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n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
Che il TV sia
buono, non
importa se 4k
Siamo tornati a casa dal 12° Fourm Europeo
Digitale di Lucca tenutosi nei giorni scorsi, con
un “fastidio” di nome UltraHD (o 4k). L’Ultra HD
– è stato detto in tutte le salse a Lucca – avrebbe poco senso se riguarda solo l’incremento
di risoluzione, che però si percepisce solo con
schermi giganteschi e distanze di visione ravvicinate. Perché un passaggio all’UltraHD abbia
senso – ci spiegano - servono gli altri fattori
qualificanti, come la gamma dinamica estesa
(HDR), l’alto frame rate (HFR) e lo spazio colore
esteso. Peccato che gli attuali TV “4k” non siano compatibili con questo tipo di “4k” ma solo
con l’incremento di risoluzione (che però conta
poco); o meglio, quanto saranno compatibili lo
scopriremo quando gli standard che saranno
utilizzati per le eventuali trasmissioni saranno
definiti. L’unico standard già definito è quello
dell’Ultra HD Blu-ray, di cui però non si conosce
la data del lancio e neppure il supporto da
parte dei diversi rappresentanti dell’industria
hardware e software. Questo standard prevede
ovviamente una codifica HDR di base che
dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere
supportata solo dai migliori TV 4k attualmente
in commercio, previo aggiornamento software;
per gli altri TV 4k in commercio non ci sarà nulla
da fare. Lo stesso dicasi per spazio colore e frame rate supportato. Stante questa situazione,
in cui le caratteristiche 4k potrebbero essere
considerate ininfluenti, dato che i “vecchi”
Full HD costano molto meno, la cosa migliore
potrebbe essere anche scartare a priori il 4k,
almeno finché se ne trovano ancora di decenti.
Ma prima ancora viene da chiedersi se
un lancio così scomposto sia qualcosa di
tollerabile, con i TV che escono anni prima
della definizione di qualsiasi standard di
trasmissione, creando un installato neonato
e obsoleto. In un mercato che di certo non
brilla, come quello dei TV, invece di codificare e
semplificare le innovazioni, si costringe l’utente
a fare confusione, ben oltre ogni ragionevole
limite. Cosa volete che ci capisca l’utente finale
di HDR, HFR, profondità di bit, HEVC, gamut
esteso e via discorrendo? Tutto andava “impacchettato” in un formato definito, meraviglioso
per prestazioni e semplice per compatibilità; un
formato, uno e uno solo, che andava “chiuso”
prima del lancio dei primi TV.
Una posizione anomala la nostra, almeno
rispetto al coro osannante per l’Ultra HD. Forse
verremo accusati di “minare” il mercato proprio
nel momento in cui dovrebbe dare il meglio di
sé. Ma la storia ci insegna che nascondere certi
limiti delle tecnologie non è mai un buon servizio, né agli acquirenti né al mercato, almeno
nel medio termine: ce l’ha dimostrato il 16:9, il
3D e per certi versi anche la “terra promessa”
HD che in Italia esiste solo sulle pay TV.
Quindi, ben vengano i TV Ultra HD di oggi,
purché innanzitutto siano degli ottimi TV; ottimi
in tutte le altre funzioni, nelle prestazioni di
immagine, nel design. Quello che non deve
accadere è che questo 4k “provvisorio” oscuri
tutte le altre caratteristiche dei TV, che sono più
importanti: quello che conta è la qualità
di immagine e del suono, le prestazioni e le
funzionalità di base ed evolute, e su questo
preferiamo sensibilizzare i potenziali acquirenti.
Sull’utilità reale delle funzioni (attuali) 4k ne parleremo solo più avanti, quando tempi e modi di
arrivo dei contenuti saranno più chiari.
Gianfranco GIARDINA
MAGAZINE
Netflix (per ora)
è meglio di Infinity
e Sky Online 07
iOS 9: più autonomia, Mac OS “El Capitan”
nuove app e assistente aggiornamento
tipo Google Now 19 gratis in autunno 26
Forum Europeo Digitale Lucca 2015
Caos 4K: i TV attuali sono già obsoleti
Tarda l’approvazione degli standard 4K e i TV in vendita
non sono del tutto compatibili con le trasmissioni future
02
04
Premium: assalto a Sky
Nuovo colore, nuovo logo e prezzi più bassi
La Champions, una nuova Smart Cam Wi-Fi
e l’offerta Premium Online, tutto per battere Sky
Apple Music: assalto a Spotify
11
Annunciato il servizio di streaming audio con
la forza di iTunes. E per aggredire Spotify
funziona anche su Android e Windows Phone
Smartphone da 200 euro
Poca spesa e tanta resa
IN PROVA
37
Siamo andati alla ricerca di prodotti “top”
nella fascia di prezzo dei 200 euro di listino
Ecco i nostri consigli per chi cerca il miglior
smartphone spendendo una cifra ragionevole Cuffie: la più cara
suona meglio?
39
23
Netgear Arlo: IP cam
totalmente senza fili
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ENTERTAINMENT Al 12° Forum Europeo Digitale si sono tenuti gli “stati generali” del 4K in Italia, ne esce una situazione contrastata
Lucca 2015: confusione 4K e TV attuali obsoleti
Tanta voglia di fare e altrettanta confusione. E intanto i TV in vendita, in attesa che si fissino gli standard, sono già “vecchi”
“S
di Gianfranco GIARDINA
ul 4K le cose sono confuse”. Tocca a
Massimo Bertolotti, Head of Innovation
& Engineering di Sky Italia inquadrare
il tema dell’UltraHD alla 12° edizione del Forum
Europeo Digitale di Lucca. E lo fa con chiarezza e
realismo: “Nell’ultimo anno ci si è resi conto che il
solo incremento di risoluzione del 4K non avrebbe
dato i vantaggi sperati ed è stata prevista una ‘fase
2’ con High Dynamic Range, High Frame Rate e via
dicendo. E qui inizia la confusione”.
Al 12° Forum Europeo Digitale di Lucca, ben organizzato da Andrea Michelozzi e la sua Comunicare
Digitale, si sono tenuti di fatto gli “stati generali” dell’UltraHD in Italia, con la partecipazione di tutti i dipartimenti tecnici dei broadcaster, RAI, Mediaset e Sky
primi tra tutti. E seguendo l’interessante discussione
risulta ancor più chiaro come sul fronte 4K non si sia
fatto tutto bene e di come si siano già perse importanti occasioni per fare la “cosa giusta”. Il problema
– va detto – è tutt’altro che confinato all’Italia, anzi è
globale; ma da noi si sente ancor di più, dato che la
transizione al Full HD, realtà assestatissima altrove,
per noi è ancora un obiettivo abbastanza lontano.
garantisce la possibilità di fare una sola messa in
onda per i TV compatibili e quelli non; non c’è accordo sullo spazio colore esteso; non c’è accordo sui
profili di incremento del frame rate.
E, sempre da Bertolotti, arriva anche l’ammissione
chiara sull’inutilità di avere display 4K (almeno finché
non ci sarà anche HDR e HFR) da 50 o meno pollici:
“Sotto i 50” fare HD o 4K – dice Bertolotti di Sky
- cambia poco”. In questo video i passaggi salienti
dell’interessante intervento di Massimo Bertolotti.
Un prodotto, mille loghi
La confusione del 4K nasce già dai termini e dai loghi: “Al di là degli operatori che sanno bene cos’è
il 4K e l’Ultra HD, nei centri commerciali c’è ancora
tanta confusione – spiega Bertolotti -; e dal punto
di vista di Sky, emittente che vorrebbe partire con
il 4K, questa confusione è un problema”. E la slide
mostrata con moltissimi loghi differenti usati dai diversi produttori per identificare la stessa cosa dice
più di mille parole.
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video
lab
Forum Europeo Digitale 2015
Intervento di Massimo Bertolotti (Sky)
I TV 4K in vendita sono già obsoleti

Ma non è solo un problema di loghi e comunicazione: “Dopo un anno – prosegue Bertolotti - la fase
2 (quella che vedrà l’implementazione anche di
HDR, HFR e wide color gamut, ndr), non solo non
si sa quando diventerà realtà, ma è ancora tutta da
definire e standardizzare e questo è un problema”.
Non c’è infatti ancora una vera convergenza sugli
standard da utilizzare per le altre componenti dell’UltraHD, oltre all’incremento di risoluzione. Non c’è
accordo su quale codifica HDR utilizzare e soprattutto se utilizzare o meno uno standard “backward
compatible”, qualitativamente meno valido ma che
torna al sommario
codec: HEVC è sicuramente il futuro, ma deve funzionare sia per lo streaming, che per le trasmissioni
via antenna e per eventuali file su chiavetta e hard
disk. Bisognerebbe avere il coraggio di dire chiaramente al consumatore che gli attuali TV 4K sono già
vecchi, ma nessuno, al di fuori di questi consessi tra
operatori, ha il fegato di farlo. Da Lucca – finalmente
– questo dato è emerso chiaramente: come ha chiarito con molta onestà, rispondendo a una nostra domanda, Alfredo Bartelletti, rappresentante di SMPTE
Italia: “con le TV di oggi, quando arriveranno le trasmissioni Free to Air, servirà un decoder esterno”. In
questo video la nostra domanda e la conseguente
risposta, per noi scontata ma disarmante.
Succo della faccenda: senza le funzionalità aggiuntive, come gamma dinamica ampia, alto frame rate
e gamut cromatico esteso, l’UltraHD non comporta
vantaggi tali da spingere i broadcaster a partire. Ma i
broadcaster non si stanno mettendo d’accordo sugli
standard da impiegare: se trasmissioni ci saranno,
saranno fra molto tempo. E – cosa a nostro avviso
gravissima - nel frattempo, già oggi nei negozi si
vendono televisori denominati “UltraHD” o “4K” che
però non saranno compatibili con le future trasmissioni, almeno per quello che riguarda i contributi a
vero valore aggiunto oltre all’incremento di risoluzione. Nel migliore dei casi, i TV attuali potranno essere
resi compatibili, dopo aggiornamento software, con
le future codifiche HDR; ma di certo non saranno
adeguate a frame rate superiori al 50p (alcuni in 4K
neppure arrivano a questo risultato); men che meno i
display di oggi sono pronti per gli spazi colore estesi
di cui si parla, come il rec.2020. E poi c’è il tema del
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Forum Europeo Digitale 2015
Intervento di Alfredo Bartelletti (SMPTE Italia)
Ultra HD, la sola risoluzione non basta
Anche Benito Manlio Mari di Sony e presidente di HD
Forum, pur mostrando più ottimismo di altri speaker,
ha sottolineato come l’UltraHD si basi non solo sull’incremento di risoluzione ma su almeno altri quattro
fattori: color gamut esteso, alto frame rate, gamma
dinamica estesa e risoluzione in bit. A questi fattori,
parlando, lo stesso Mari ha aggiunto anche un audio
di qualità migliore rispetto a quello a cui siamo abituati oggi nelle trasmissioni TV. Il tutto disegna però
uno scenario che – va detto – non è presente ma
futuro: giusto traguardarlo e progettarlo, sbagliato
– almeno a nostro avviso – far passare il messaggio
che siamo già nell’era dell’UHD a tutto tondo.
segue a pagina 03 
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ENTERTAINMENT Quattro diversi indizi da altrettante fonti ci dicono che la nuova versione di Apple TV è in dirittura d’arrivo
La Apple TV con le applicazioni a bordo sta per arrivare?
Alcune informazioni fanno pensare che qualcosa bolle in pentola, probabile un evento ad hoc per lanciare Apple TV
Indizio numero 3
Premium Online su Apple TV
Premium Online sarà disponibile dal
7 settembre e sarà anche su Apple TV.
di Roberto PEZZALI
L
e applicazioni sulla Apple TV potrebbero arrivare prestissimo, facendo finalmente decollare quel
piccolo set top box dalle potenzialità
infinite ma fino ad ora poco sfruttato
per applicazioni non video. Non possiamo dare ovviamente una data certa,
ma ci sono diversi indizi che lo fanno
pensare e che abbiamo raccolto qui.
Indizio numero 1
Dov’è iOS 9 per Apple TV?
iOS 9 beta al momento non è stato rilasciato con la versione Apple TV, ma solo
Indizio numero 4
Infinity “forse” su Apple TV
Alla nostra domanda fatta al direttore
commerciale di Infinity: “E’ vero che
arriverete su Apple TV?” la risposta è
stata “no comment”.
iPhone, iPad e iPod Touch. Un comportamento diverso rispetto a quanto fatto
finora segno che Apple sta pensando
ad una versione dedicata diversa dall’attuale o che comunque ha cose che al
momento vuole nascondere.
Indizio numero 2
Lo sviluppatore può provare le app
Nel portale sviluppatori di Apple è
stato aumentato a 100 il numero di
applicazioni che ogni sviluppatore può
provare sui diversi dispositivi: 100 per
iPhone, 100 per iPad, 100 per Watch,
100 per iPod Touch e 100 per Apple TV.
Fino a pochi giorni fa Apple TV non esisteva, anche perché solo gli sviluppatori che avevano firmato un contratto di
riservatezza con Apple avevano accesso all’SDK per sviluppare su Apple TV
e potevano, di conseguenza, provare
anche le app.
Apple TV non è stata neppure menzionata al recente keynote dedicato agli
sviluppatori, ma crediamo che Apple
abbia in mente qualcosa di molto particolare: non ci stupiremmo se tra qualche settimana l’azienda organizzasse
un evento dedicato proprio alla nuova
piattaforma televisiva, magari presentando un nuovo set top box.
C’è spazio per una sola “One More
Thing” al keynote del WWDC, e Apple
ha preferito la musica perché già pronta
e più facile da spiegare, ma siamo certi
che la TV a breve tornerà protagonista.
ENTERTAINMENT
Forum Europeo Digitale - Lucca 2015
segue Da pagina 02 
I contenuti: solo cinema (e TV Vaticana)
Di certo uno dei problemi è la carenza di contenuti. A parlarne Marco Pellegrinato di Mediaset e vice
presidente di HD Forum: “Devo essere realista: la
filiera ancora scricchiola. Siamo ancora in fase di
completamento della diffusione del Full HD. Al momento praticamente gli unici contenuti arrivano dal
cinema e il mondo televisivo può avere un ruolo solo
nei grandissimi eventi; ma non esiste ancora un progetto concreto”.
video
lab
Forum Europeo Digitale 2015

Intervento di Marco Pellegrinato (Mediaset)
torna al sommario
Una conferma arriva anche da Sandro Gumiero di
Rhode Schwatz: “L’impatto produttivo dell’UltraHD
è pesante: in pratica vanno rifatti interamente gli
impianti di studio, sostitute telecamere e regia,
modificati i sistemi di inteconnessione. Salviamo i
trasmettitori, ma tutto il resto va rivisto”. I canali sperimentali dei carrier satellitari Eutelsat e SES Astra
sono un buon contributo, ma di certo non bastano,
ci vuole l’impegno delle emittenti.
A parziale smentita arriva però Don Dario Vigano,
direttore del Centro Televisivo Vaticano e ottimo
tecnologo: “Noi possiamo dare un contributo sul
punto di vista dei contenuti. Entro l’autunno inizieremo la sostituzione del parco telecamere con HDR
4K Sony; l’8 dicembre, con l’inizio dell’Anno Santo
della Misericordia, partiremo con la produzione in
UltraHD e HDR”.
“C’è poi il problema della distribuzione - prosegue
don Viganò: probabilmente questa produzione live
sarà poi trasmessa via Eutelsat e faremo anche una
personalizzazione esclusiva Ultra HD per CNN; per
l’Italia faremo necessariamente un downgrade”. E
proprio da Don Viganò arriva la spinta più importante: “Visto che neppure il Full HD in Italia non è ancora una realtà, perché non fare direttamente il salto
e passare direttamente all’UltraHD”. È giusto che
don Viganò sia spontaneamente portato a credere
ai miracoli, ma che in Italia passare direttamente all’UltraHD, saltando la fase del FullHD sarebbe una
strategia troppo illuminata: i nostri broacaster, oltre
a non avere le finanze necessarie, non hanno – a
nostro avviso – neppure la lucidità che può ispirare
un salto di questo tipo.
video
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Forum Europeo Digitale 2015
Intervento di Don Dario Viganò
Non dimentichiamoci che siamo ancora nella nazione in cui il Full HD è visto non come un “minimo garantito” ma come un prodotto “premium” da erogare
solo a pagamento.
La strada è ancora lunga e servono altri appuntamenti come questi: solo se si parla chiaro, come a
Lucca 2015, si potranno fare veri passi avanti.
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15 GIUGNO 2015
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ENTERTAINMENT Mediaset Premium totalmente rinnovata: qualità, contenuti e prezzi bassi. L’obiettivo è far tremare Sky
Mediaset Premium tutta nuova, ecco i dettagli
Premium avrà prezzi più competitivi, nuovi canali (anche in HD) e offrirà tanti contenuti esclusivi, tra cui la Champions
N
di Roberto PEZZALI
uovo logo, nuova immagine, nuovi contenuti con la Champions League fiore all’occhiello per il prossimo triennio: nasce una nuova
Mediaset Premium e per la prima volta si tratta di un
prodotto che può davvero competere ad armi pari con
Sky, da anni simbolo di qualità e innovazione tecnologica. Franco Ricci, amministratore delegato di Mediaset
Premium, ha illustrato quella che è la nuova strategia
dell’azienda sotto la sua guida, una tattica di attacco
che mira a traghettare nei prossimi tre anni il maggior
numero di clienti dalla “pay TV satellitare” alla pay TV
Mediaset. Tre i pilastri della nuova offerta: contenuti di
qualità, facilità di accesso all’offerta con una nuova piattaforma tecnologica e una piattaforma online di prim’ordine con 400 dispositivi abilitati alla visione. Il contenuto resta comunque il re; la Serie A e soprattutto la
Champions League sono i due eventi che secondo Sky
possono spostare gli equilibri: da una ricerca di mercato
emerge infatti come il principale evento europeo, e soprattutto il calcio, siano i principali fattori di scelta di una
pay TV. Ne è convinto pure Pier Silvio Berlusconi, che
non reputa contenuti di attualità come Masterchef
o Hell’s Kitchen esclusive tali da spostare gli equilibri di un mercato decisamente complesso. La nuova
Premium avrà finalmente un “vero” contenuto: cinema,
serie TV e calcio saranno organizzati in nuovi pacchetti
facili da identificare e soprattutto “all inclusive”. Ci sarà
l’HD, per i canali che lo prevedono, Premium Play e, per
chi sceglie cinema, anche Infinity, incluso gratuitamente: nessun prezzo al momento, ma ci assicurano che
saranno decisamente più competitivi di Sky.
Juventus solo pay
E arriva un nuovo canale HD

Per entrare nel dettaglio dei contenuti, l’annuncio
più rilevante lato cinema è l’arrivo di un nuovo canale in alta definizione: a breve debutta infatti Premium
Cinema HD 2, un canale dedicato alle prime TV italiane
e ai blockbuster internazionali. Un canale perfetto per
ospitare titoli del calibro di American Snipe e Interstellar,
frutto del recente accordo con Warner e NBC Universal.
La nuova Mediaset si è aggiudicata anche l’esclusiva
di un buon numero di opere italiane: i film Medusa e
i film Tao2 saranno esclusiva Mediaset, ma ovviamente in questo caso l’accordo è più semplice, si gioca in
casa. Restando in ambito film e serie TV arriva un nuovo
torna al sommario
canale dedicato alle serie “drama”, la versione Mediaset di Sky Atlantic: si chiamerà Premium Stories e avrà
una serie di titoli di caratura internazionale. Il punto di
forza dell’offerta resta in ogni caso lo sport: Mediaset
Premium avrà l’86% di tutte le partite di Serie A oltre a
tutte le partite di Champions League per i prossimi tre
anni e, grazie all’acquisto del pacchetto C, sarà anche
l’unica ad avere tutti i gol in diretta in tutti gli incontri,
le prime interviste pre e post partita, le immagini da
spogliatoi e tunnel e i cronisti sul terreno di gioco. Fatta
eccezione per Juve e Roma, che non hanno ceduto i
diritti d’archivio a Infront, avrà anche attualità e storia di
tutte le squadre di serie A. Premium, nell’idea di Mediaset, diventerà la nuova “casa del grande calcio” e per
questo ha creato un nuovo canale Premium Sport che
affiancherà Premium Calcio con una programmazione
praticamente 24 ore su 24: questo canale, in attesa della Champions, trasmetterà ad esempio i match più importanti degli ultimi anni e il torneo ICC che si giocherà
in estate tra le maggiori squadre europee. La notizia più
esclusiva riguarda però i tifosi della Juventus: Mediaset
Premium ha deciso di tenere le partite di Champions
della Juventus solo come esclusiva pay fino a gennaio,
e questo vuol dire che nessuna partita dei gironi sarà
trasmessa in chiaro da Canale 5 il mercoledì. Una mossa strategica questa di Premium che farà arrabbiare un
po’ il tifoso juventino, mentre sarà più felice il laziale o
il romanista che avrà più possibilità di vedere i match
della sua squadra in chiaro.
Nuova Smart Cam Wi-Fi gratis per tutti
Con tanti contenuti a disposizione la sfida di Mediaset
è ovviamente quella di mettere a disposizione il suo
mondo al più alto numero di persone possibile: nasce
quindi una nuova versione di smart CAM Wi-Fi, il ponte
di accesso sia alla piattaforma digitale terrestre sia ai
servizi online della nuova Mediaset Premium.
La cam Wi-Fi, compatibile con ogni TV dotato di slot
Common Interface (praticamente tutti quelli con tuner
digitale terrestre), permetterà non solo di guardare e
decodificare i pacchetti del proprio abbonamento ma
di usare lo smartphone, iOS o Android, per inviare contenuti dal servizio onDemand Premium Play alla TV.
Mediaset, per farla semplice, ha integrato nella CAM le
funzionalità di Chromecast o di AirPlay di Apple, con il
vantaggio però che questa periferica sarà data gratis a
tutti i nuovi abbonati (e a un prezzo vantaggioso, quasi
sottocosto, per i vecchi). La CAM rappresenta anche un
grosso vantaggio per gli affamati di alta definizione: il
digitale terrestre, per ovvi limiti di banda, non permette
a Mediaset di trasmettere tutti i canali del pacchetto in
HD, ma sfruttando la CAM e visualizzando i canali tramite internet e non via etere sarà possibile visualizzare lo
segue a pagina 05 
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15 GIUGNO 2015
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ENTERTAINMENT Mediaset ha ufficializzato l’accordo con Warner Bros e NBC Universal: contenuti in esclusiva per 3 anni
I film e le serie TV di Warner e Universal vanno a Mediaset
Mediaset avrà l’esclusiva assoluta per la pay TV (su DVB-T e su satellite) e per lo streaming, sia lineare che on demand
di Roberto PEZZALI
L’
accordo tra Mediaset, Warner e
Universal per l’esclusiva dei contenuti per i prossimi anni è stato
firmato: Mediaset si assicura in esclusiva
per l’Italia i film e le serie tv di Warner Bros
fino al 2020 e di NBC Universal fino al
2018. L’accordo prevede circa 3.500 ore
di prodotto all’anno con 1.000 ore di titoli
inediti, dove troviamo “American Sniper”,
“Interstellar”, “Cinquanta sfumature di grigio”, “Fast & Furious 7” e “Jurassic World”
tra i film e “Big Bang Theory”, “Arrow”,
“Flash”, “Person of interest”, “Dr. House”,
“Law&Order, “Mentalist”, “Friends” e “Suits” tra le serie. A questi si aggiungeranno
ovviamente tutte le nuove produzioni
oltre ai titoli più famosi delle due major,
come “Harry Potter”, “Batman”, “Cattivissimo me”, “Ocean’s Eleven”, “Jurassic
Park”, “Troy”, “The Bourne Ultimatum”,
“Mamma Mia” e “Fast and Furious”. La
novità non sta però nel numero di titoli
ma nell’esclusività multipiattaforma: l’accordo comprende tutte le modalità di visione e tutte le piattaforme distributive, tv
free, tv pay (satellite compreso) e online
in modalità lineare e on-demand. Questo
vuol dire gambe tagliate non solo a Sky
ma anche a concorrenti come Netflix, che
non potrà avere a catalogo né le serie né
vecchi film Warner come ad esempio la
trilogia di Matrix o i vari Batman. Franco
Ricci, amministratore delegato Mediaset
Premium, ha commentato così: «Con gli
accordi conclusi oggi, il gruppo Mediaset
potenzia per qualità e quantità l’offerta
di Mediaset Premium, pay tv leader nel
calcio e non solo. Ma soprattutto conferma la volontà di investire a lungo termine
in contenuti esclusivi, quelli che fanno la
differenza tra offerte concorrenti, sia free
sia pay sia di streaming online. Con questi accordi Mediaset si pone sempre più
al centro degli interessi internazionali legati alla convergenza tra contenuti video
e offerte broadband».
ENTERTAINMENT
Tutto sulla nuova Mediaset Premium
segue Da pagina 04 
stesso canale, magari con qualche secondo di ritardo,
in alta definizione.
Premium via internet su tutti i dispositivi
Si parla anche di 4K per cinema e serie TV

Premium rinnova anche la parte “web”, quella che ora
si chiama Premium Play. La nuova piattaforma sarà
accessibile da tutti i dispositivi (console, smartphone,
tablet) e avrà non solo contenuti “onDemand” e contenuti lineari, quindi i canali “live” in streaming. Il web
non ha i problemi del digitale terrestre e proprio per
questo tutti i canali e i contenuti saranno disponibili in
HD, se la banda lo permetterà. Tra le novità del servizio,
oltre al multipiattaforma, la possibilità di gestire fino a
5 dispositivi e di visualizzare due flussi in contemporanea, pertanto sarà possibile farsi un “multivision”
gratuito TV / tablet. La sezione “online” è la più strategica, e non è un caso che a Premium Play Mediaset
abbia affiancato una nuova piattaforma che nascerà il
7 settembre: Premium Online (qui l’approfondimento).
Quest’ultima, simile a Sky Online, a Netflix e a Infinity
sarà su abbonamento senza vincoli e avrà per la prima volta lo sport. Sarà un servizio separato, dedicato
al popolo digitale che preferisce la TV 2.0 alla TV tradizionale. In questo segmento Pier Silvio Berlusconi, Vice
Presidente e AD di Mediaset, ha precisato che non sono
previsti in questa fase accordi con le Telco, un chiaro
riferimento alla partnership Telecom-Sky. Mediaset, se
mai dovesse trovare un accordo con un operatore, cercherà di fare un’offerta dedicata e specifica, non sarà
una copia dell’offerta pay su digitale terrestre ma offrirà
qualcosa in più. Sempre in ambito web, speranze anche
per il 4K: è presto per parlarne, ma Mediaset non chiude
le porte: “Ci siamo lavorando - afferma Franco Ricci ma riguarderà cinema e serie TV”.
torna al sommario
Un’indicazione di quanto potrebbero costare i pacchetti: i prezzi elencati sono quelli di Sky da “scontare”
Nel futuro c’è anche il satellite
Prezzi più bassi di Sky, Champions inclusa
Per Mediaset inizia un triennio “di fuoco”, con contenuti di qualità e una piattaforma innovativa per quanto
riguarda l’onDemand. Non ci siamo lasciati sfuggire
l’occasione di chiedere a Berlusconi notizie sul possibile sbarco di Mediaset su satellite, ottenendo la conferma che Mediaset sta lavorando a un’offerta sempre
più ampia e quindi presente su tutte le piattaforme.
In ogni caso il decoder sarà pronto a gennaio 2016:
Franco Ricci conferma che sarà un set top box ibrido
satellite, digitale terrestre e IP all’inizio del prossimo
anno, si tratterà di un box tecnologicamente molto
evoluto e compatibile anche HEVC. Fino ad allora, per
vedere tutti i canali in HD l’unica soluzione è il web,
anche se grazie allo “spezzatino” di anticipi e posticipi
Premium sarà già in grado quest’anno di permettere
la visione dell’80% circa di partite in alta definizione, con la Champions trasmessa quasi tutta in HD.
Tutto bello, ma quanto bisogna spendere? Per ora
non esiste ancora un’offerta commerciale completa.
Mediaset ha semplificato molto i pacchetti ed esisteranno una serie di promozioni, tuttavia assicurano che
i prezzi, nonostante la Champions League, saranno più
competitivi del 30% circa rispetto a quelli praticati attualmente da Sky. Un’idea ce la siamo fatta: per tutto
lo sport, il cinema e le serie TV si potrebbero spendere
massimo 40 euro al mese. Premium per la prima volta
può davvero competere con Sky: manca tutto l’HD di
Sky, ma la soluzione “web” è decisamente interessante e, se proposta al giusto prezzo, potrebbe ricevere
un numero enorme di consensi. Sarà divertente vedere come verranno gestite le due offerte Premium e
Premium Online: la seconda, che richiede comunque
Internet, rischia di essere con HD e prezzo più appetibile il vero nemico dell’offerta tradizionale.
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Mediaset lancia dal 7 settembre Premium Online: abbonamento alla Netflix
Premium Online come Netflix ma con il calcio
I contenuti verranno resi disponibili in HD (banda permettendo) su oltre 400 dispositivi
H
di Roberto PEZZALI
D, contenuti, qualità e tanti dispositivi per vedere tutto quando e
dove si vuole si vuole. Nasce così
Premium Online, un nuovo servizio di
video on demand che include tutti i contenuti di Premium veicolati tramite web.
L’arrivo di Netflix in Italia non spaventa affatto Premium: “Noi non viviamo
Netflix come un concorrente diretto - ci
dice Pier Silvio Berlusconi - non ci sentiamo minacciati. È Infinity che compete
con Netflix”. Ed effettivamente Infinity
è il concorrente più diretto di Netflix
per catalogo e prezzi. Mediaset condivide tuttavia l’idea alla base di Netflix:
la TV del futuro viaggia sul web e non
bisogna sottovalutare quei 3.8 milioni
di famiglie che vogliono un prodotto diverso dalla TV tradizionale. Nasce così
Premium Online: cinema, serie TV e calcio in abbonamento senza vincoli, con
l’alta definizione (contrariamente a SKY
Online) e con la possibilità di scaricare i
contenuti offline. Premium Online è un
servizio tutto nuovo che sarà attivato il
7 di settembre e sarà svincolato da Mediaset Premium: funzionerà solo tramite
internet e offrirà sia canali on demand
sia canali “live”. Una offerta trasparente,
I vertici di Alibaba
confermano: entro
due mesi sarà lanciato
un nuovo servizio di
streaming video
Almeno all’inizio, sarà
destinato solo agli
utenti cinesi
di Vittorio Romano BARASSI
tutto compreso, con più di 10.000 contenuti visibili e 22 canali live in HD con
calcio, sport e intrattenimento. Premium
Online di fatto unisce differenti “library”:
Infinity per i contenuti meno recenti e
Premium Play per quelli più nuovi e per
lo sport, un mix micidiale che rischia di
essere in competizione non solo con
Netflix e Sky Online ma con lo stesso
prodotto classico Mediaset.
Il bacino di utenza di Premium Online
sarà enorme: Mediaset lo renderà infatti
disponibile su oltre 400 dispositivi che
includono smart TV, set top box, PC,
tablet smartphone e, per non lasciare
indietro nulla, Apple TV e Chromecast.
Premium Online non costerà come l’offerta classica, costerà addirittura meno
e questo può apparire come un controsenso: non ci sono ancora i prezzi
ufficiali ma ipotizziamo possano essere massimo di 35 euro al mese per
il pacchetto full, quindi Cinema, Serie
TV e Sport e di 15 euro circa per il pacchetto cinema. Competere con la decina scarsa di euro di Netflix è difficile:
Premium Online ovviamente fa pagare
un bonus per la library più recente e soprattutto per il calcio. Ci sarà comunque
spazio per operazioni promozionali,
magari abbinate a qualche operatore,
ma al momento è tutto “top secret”.
ENTERTAINMENT Nuova sfida per il digitale terrestre: Sky ha messo le mani sul canale 8
Sky è ad un passo dall’acquisto di MTV
L’acquisto non è ancora ufficiale, pare che Sky vorrebbe trasformarlo in un canale sportivo
S
di Roberto PEZZALI

e Mediaset si prepara a sbarcare sul satellite, Sky reagisce e si
prende una posizione pregiata
del digitale terrestre.
Al momento in cui scriviamo, secondo
alcune indiscrezioni che probabilmente troveranno conferma, pare che Sky
sia ad un passo dall’acquisto di MTV,
canale 8 del digitale terrestre.
Dopo Cielo e Sky TG 24 salgono così
a tre i canali Sky in chiaro sulla piattaforma più popolare italiana, anche se
quello che Sky ne vuole fare non piacerà certo ai fans di MTV: il canale, ora di
proprietà di Viacom, sparirà per lasciare
spazio ad un nuovo canale sportivo con
un palinsesto che partirà a fine agosto,
torna al sommario
Alibaba
Pronto il servizio
di streaming
per la Cina
appena in tempo per la partenza della
prossima stagione sportiva.
Probabile che Sky voglia realizzare una
sorta di “Sport TG 24”, un canale de-
dicato allo sport in generale con ovvia
preferenza al calcio.
La firma tra Viacom e Murdoch è attesa
in tempi molto rapidi.
Il colosso cinese Alibaba nei prossimi due mesi si lancerà prepotentemente nel mondo dell’intrattenimento domestico. A confermarlo
ai reporter dell’agenzia Reuters è
stato Patrick Liu, presidente della
divisione digital entertainment di
Alibaba, che ci ha tenuto a precisare che il prossimo servizio di
video streaming TBO (che sta per
Tmall Box Office) sarà ambizioso e
col tempo saprà evolversi esattamente come hanno fatto i “parenti”
americani. L’offerta TBO prevederà un piano free con il quale sarà
possibile accedere solo al 10% del
catalogo e un piano a pagamento
senza limiti. Come Netflix Alibaba
si concentrerà poi nella realizzazione di contenuti: oltre ad alcuni film
già confermati, molto presto arriveranno serie TV prodotte da TBO
e trasmesse in esclusiva assoluta.
Quella di Alibaba è una mossa di
incredibile importanza strategica:
in Cina non vi è ancora un vero
e proprio punto di riferimento nel
settore dello streaming video e
le recenti “minacce” di Netflix sul
suo probabile prossimo sbarco sul
mercato cinese (che, inutile dirlo,
è il più grande al mondo) hanno
fatto uscire allo scoperto il gigante
asiatico. E viste le ambizioni di Alibaba, come si fa ora ad escludere
a priori un eventuale sbarco anche
in USA ed Europa?
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MAGAZINE
ENTERTAINMENT Lo streaming video di Netflix arriverà in ottobre in Italia. Perché è così atteso? Le aspettative sono giustificate?
Ecco perché Netflix è meglio di Infinity e Sky Online
Netflix, almeno per ora, convince di più per usabilità e approccio. Anche se il catalogo, al momento, è il più debole
N
di Paolo CENTOFANTI
etflix ha finalmente annunciato lo sbarco in Italia, arriverà ad ottobre, qui la nostra news con
tutti gli approfondimenti. Non c’è ancora un
giorno preciso, ma da questo autunno gli utenti italiani potranno abbonarsi a Netflix e avere a disposizione serie tv e film in alta definizione e anche in Ultra
HD 4K. Si tratta di un lancio molto atteso, certamente
per il nome che si è fatto il servizio americano in patria, dove ha riscosso un incredibile successo negli
ultimi anni (si stima che siano 40 milioni gli abbonati
statunitensi su 62 milioni di utenti complessivi), ma
anche perché, nonostante non manchino alternative
simili in Italia, Netflix ha realizzato un prodotto che è
un vero e proprio punto di riferimento per l’esperienza d’uso. Molto ha a che fare con il fatto che Netflix
è un’azienda che punta a rivoluzionare il concetto
di televisione pur non essendo mai appartenuta a
quel mondo; originariamente il servizio nasce per il
noleggio via posta di film in DVD e solo in un secondo tempo ha cominciato a offrire, parallelamente ai
dischetti, la possibilità di vedere i film da Internet.
Da allora la componente streaming è cresciuta fino
a diventare il business principale di Netflix, che ha
messo in campo una visione e una strategia che fonde investimenti sui contenuti da grande TV via cavo
americana, con la flessibilità della visione non lineare che si richiede da un prodotto Internet.
In cosa è superiore Netflix rispetto
a Infinity di Mediaset o Sky Online?
Lasciamo da parte per il momento il catalogo, che
certamente non è un elemento secondario, ma sul
quale torneremo a parlare più avanti. Il primo vero
grande punto di forza di Netflix, prima ancora del
prezzo, è la disponibilità praticamente su qualsiasi
piattaforma. Netflix è già presente da qualche anno
su un gran numero di smart TV: Panasonic, Philips,
Sony, LG, Samsung, sono i principali produttori di
televisori che già da tempo supportano Netflix. Sui
modelli Ultra HD c’è pure la possibilità di riprodurre
contenuti in 4K e presto arriveranno anche quelli in
HDR. Ma non serve per forza avere uno smart TV per
vedere Netflix. Anzi la maggior parte dei consumi avviene via app mobile: anche in questo caso Netflix
ha lavorato molto per essere disponibile su qualunque tipo di smartphone o tablet. E poi ci sono le app
per set top box come Apple TV, Roku, la chiavetta
Google Chromecast e ancora le console di videogiochi. Poi naturalmente via web. Insomma, Netflix
è presente ovunque e non ha limitazioni: le app supportano sia AirPlay che Chromecast e si può passare
istantaneamente dalla visione su smartphone o tablet al TV. Infinity e Sky Online non offrono la stessa
libertà di fruizione e forse ora si adegueranno. C’è
una cosa invece che ha Infinity e che Netflix non
avrà mai: la riproduzione offline. Netflix si può guardare unicamente in streaming e il CEO dell’azienda
californiana ha più volte ribadito che non ha alcuna
intenzione di aggiungere questa funzionalità.
Offerta diversificata
con prezzi per tutte le tasche

Poi c’è il discorso qualità. Netflix negli anni ha migliorato notevolmente la propria piattaforma di
delivery ed stato il primo servizio di streaming a offrire contenuti in Ultra HD. È uno dei fondatori della
UHD Alliance e introdurrà anche contenuti in HDR.
Il suo sistema di codifica scalabile è molto efficiente
nell’adattare la qualità di immagine in funzione della
banda disponibile, al fine di non interrompere mai la
riproduzione. Certo, può capitare in casi di estrema
congestione, ma il più delle volte si assisterà “solo”
a un abbattimento temporaneo della qualità. Se la banda
è sufficiente da permettere
la riproduzione da 720p in
su la qualità di immagine è
nettamente superiore a qualsiasi trasmissione su digitale
terrestre e persino satellite.
A 1080p, la stragrande maggioranza degli spettatori non
noterà la differenza da un
Blu-ray Disc. La qualità video
non è la stessa, intendiamoci,
I tre piani che con ogni probabilità saranno disponibili anche in Italia
torna al sommario
e gli appassionati noteranno ancora la compressione, ma per loro (banda permettendo) c’è appunto
l’Ultra HD. Quasi tutti i contenuti di Netflix ormai
sono in alta definizione, e ci sono ampie selezioni
di lingua audio e sottotitoli. Per le serie originali di
Netflix ci sono doppiaggi in più lingue, proprio come
su un DVD o un Blu-ray Disc.
Altro punto a favore di Netflix è la differenziazione
dell’offerta. Negli Stati Uniti e negli altri paesi in cui il
servizio è presente i piani sono molteplici. Tutti prevedono l’accesso illimitato al catalogo, ma si parte
dalla sola definizione standard e un solo dispositivo
alla volta (7,99 euro in Europa), per poi arrivare all’alta definizione e possibilità di visualizzare contenuti
da più postazioni alla volta (8,99 euro), fino poi arrivare all’Ultra HD (11,99 euro). Tre fasce di prezzo per
accontentare diversi tipi di utenti, ma in ogni caso
sempre molto convenienti, anche se va detto che al
momento i contenuti 4K sono ancora pochi (ma cresceranno rapidamente). Non è da escludere che per
Italia, Portogallo e Spagna i prezzi siano diversi, ma
ne dubitiamo.
Un’interfaccia immediata e multiutente
Sono due gli elementi che caratterizzano l’interfaccia di Netflix: immediatezza d’uso e rapidità con cui
si trova qualcosa da guadare e l’inizio della riproduzione. L’azienda californiana ben sa che il suo diretto
concorrente è la pirateria, per cui l’accesso ai contenuti deve essere simile: trovo quello che voglio vedere e schiaccio play. Da una parte c’è allora l’algoritmo che offre dei suggerimenti di continuo in base
ai propri gusti e abitudini di visione, un sistema che
chiaramente diventa più preciso e puntuale via via
che si utilizza il servizio e che funziona molto bene,
meglio di quelli della concorrenza italiana attuale.
Non solo Netflix aggiorna dinamicamente la lista dei
suggerimenti (anche per ogni genere) mano a mano
che utilizziamo il servizio, ma offre anche una valutazione stimata del contenuto in base ai nostri gusti.
segue a pagina 08 
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MAGAZINE
ENTERTAINMENT
Perché Netflix (per ora) è meglio
di Infinity e Sky Online
segue Da pagina 07 
In secondo luogo la riproduzione di un contenuto
non è mai a più di due click di distanza. Sembra una
banalità, ma una volta che ci si fa l’abitudine, tornare
a un DVD o un Blu-ray Disc, con tutti i loro avvisi,
trailer e menù, è una tortura: arrivare al film sembra richiedere un’eternità. Infinity da questo punto
di vista ha migliorato notevolmente la propria app
(ispirandosi proprio a Netflix) anche se non in modo
uniforme su tutte le piattaforme e continua ad essere
molto limitata a livello di versatilità: niente AirPlay ad
esempio su iOS, niente doppio audio su PlayStation,
scelta di utilizzare prevalentemente l’MHP anziché
app native per smart TV (certamente una questione
di costi, ma l’esperienza utente ne soffre). Sky Online
è limitata in tutto: risoluzione in primis, ma anche
cross compatibilità, specie per quanto riguarda la
visione su TV, oltre che in esperienza d’uso. Discorso simile per TIMVision, lo streaming on-demand di
TIM, la cui app mobile necessita ancora di qualche
limatura sul fronte del design.
E poi c’è il supporto multiutente. Con unico account
è possibile infatti creare più “spettatori”. Di default
ci sono quello del creatore dell’account e il profilo
bambini, che permette di restringere l’accesso solo
ai contenuti per i più piccoli. Per chi è abituato a
utilizzare YouTube per trovare cartoni animati per i
propri bimbi, si tratterà di una manna dal cielo. Per
ogni account si possono creare fino a un massimo di
5 profili utente, il che dovrebbe bastare per la maggioranza dei nuclei familiari. Ciò non vuol dire che è
possibile accedere contemporaneamente in cinque
persone (questo dipende dal proprio piano di abbonamento come abbiamo visto), ma ogni utente avrà
la sua lista delle cose da vedere, con i propri suggerimenti personalizzati e potrà lasciare le proprie re-
Non solo Netflix aggiorna dinamicamente la lista dei suggerimenti (anche per ogni genere) mano
a mano che utilizziamo il servizio, ma offre anche una valutazione del contenuto in base ai nostri gusti
censioni. Per ogni profilo possono essere impostati
dei limiti d’età per l’accesso al catalogo, anche se
poi in realtà al momento i vari profili non sono protetti da password.
Il catalogo è limitato
ma quantità non fa rima con qualità
Non fatevi illusioni: Netflix partirà in Italia con un catalogo molto limitato, probabilmente simile a quelli
francese e tedesco. Ma sarebbe un errore pensare che quel che offrirà sarà di poco valore. Innanzitutto ci sono i prodotti originali di Netflix, alcuni
dei quali sono di ottima qualità. Già solo Daredevil
e Bloodline, sono due appassionanti serie originali
che vi terranno compagnia per uno o forse due mesi
di abbonamento (sempre che non verrete presi dalla
mania del binge watching, vedere cioè un episodio
dopo l’altro senza mai fermarvi). Marco Polo non è
forse quel capolavoro che Netflix sperava di avere
tra le mani, ma è sicuramente interessante, è una
produzione comunque di altissimo profilo e in Ultra
HD è uno spettacolo da vedere. Ci sono poi documentari di grande valore e sicuramente non mancherà qualche film di forte richiamo. Due gli aspetti
che differenziano Netflix dai player italiani: mentre
ad esempio Infinity punta molto sulla quantità, Il servizio americano cerca di assicurarsi pochi titoli ma
forti (sia nel senso di blockbuster, che di cult) da affiancare alle proprie produzioni originali che crescono continuamente di numero. In secondo luogo, il
catalogo viene aggiornato di continuo, praticamente
ogni mese, e gli investimenti cospicui sul fronte dei
contenuti non mancano. Questo per dire che se il
lancio avverrà in tono minore, in pochi mesi l’offerta
con ogni probabilità si farà via via più aggressiva. E a
meno che non passiate tutto il tempo davanti al TV, è
probabile che l’offerta iniziale vi terrà già abbastanza
impegnati prima che arrivino altre novità.
Un lancio che aiuterà tutti
anche i concorrenti

Sense8 dei fratelli Wachowsky (i creatori di Matrix), è appena arrivata su Netflix e sarà disponibile in Italia
torna al sommario
In conclusione l’arrivo di Netflix in Italia è una buona notizia per il mercato italiano anche per un altro
motivo: costringerà gli altri player italiani a fare di più
e a migliorare la propria offerta e il proprio servizio.
E gli utenti hanno solo da beneficiare da una maggiore concorrenza in un settore come questo. Inoltre
Netflix avrà un effetto volano sulla consapevolezza
tra gli utenti italiani della presenza di alternative
legali di qualità alla pirateria online. Si tratta di un
nome di forte richiamo che farà parlare e attirerà più
persone verso lo streaming legale e questo a beneficio prima di tutto anche dei concorrenti. La crescita
della domanda di servizi di streaming avrà un altro
effetto molto positivo sul mercato italiano: quello di
far crescere la domanda per servizi di connettività a
banda ultralarga, cosa di cui c’è molto bisogno ora
che il Governo ha finalmente deciso di investire una
grossa quantità di investimenti pubblici nella realizzazione di nuove infrastrutture di rete in Italia.
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ENTERTAINMENT Chiara Tosato, direttore commerciale di Infinity, fa il punto della situazione parlandoci di contenuti 4K e 1080p
“Netflix ci aiuterà, il nostro nemico è la pirateria”
Netflix aiuterà gli italiani a capire che esistono alternative alla pirateria, la profondità di catalogo non è così importante
N
di Roberto PEZZALI
etflix arriva in Italia, Infinity corre ai ripari: nuova applicazione per Samsung TV Tizen, ancora
più veloce, nuovi contenuti e nuove serie in
esclusiva come la terza stagione di “Orange is the
new Black”. Ma cosa ne pensa davvero Infinity dell’arrivo di Netflix, e soprattutto come va Infinity a più
di un anno dal lancio? L’abbiamo chiesto a Chiara Tosato, direttore commerciale di Infinity.
DDay.it: Un bilancio di Infinity ad un anno dal lancio: ci siamo visti quando eravate “solo Cinema” e
ora avete moltissime cose da raccontare.
Chiara Tosato: “Direi che il bilancio è positivo: il servizio è cresciuto tantissimo e come avete detto voi
al lancio Infinity era soltanto Cinema, oltre tutto con
un numero di elementi a valore aggiunto limitato,
come il numero di dispositivi. Nell’arco di un anno
abbiamo fatto un vero salto “quantico”, copriamo le
serie TV, abbiamo aperto la sezione bambini, abbiamo incorporato le produzioni Mediaset e la catch up
della TV generalista (su Infinity ora c’è anche l’ultima
settimana di Canale 5, Italia Uno e degli altri canali
Mediaset - nd redazione), siamo dappertuto. Arriveranno ovviamente anche altre novità che non posso
svelare, ma la cosa che più ci piace ricordare e che
riteniamo fondamentale è avere fatto quello che secondo noi è un grande salto nella qualità di visione”.
DDay.it: Un chiaro riferimento al 1080p, quello che
voi chiamate Super HD?
Chiara Tosato: “Si, sui grandi schermi i contenuti sono
in 1080p, connessione ADSL permettendo, e stiamo
lavorando anche al 4K. L’abbiamo presentato all’HD
Forum Italia e andiamo avanti con lo sviluppo, anche
se ora stiamo lavorando per acquisire contenuti di
qualità che possano essere usati per il 4K”.
DDay.it: Tutti parlano di Netflix che arriva in Italia.
Lo vedete come un competitor o vi può aiutare a
lanciare un mercato dove al momento c’è spazio
per tutti?
C.T.: “Noi abbiamo un unico vero avversario che è
la pirateria. Ben venga chiunque insegna agli italiani
che esiste una alternativa valida alla pirateria. Netflix

La terza stagione di Orange is The new Black sarà
in anteprima esclusivale in Italia.
torna al sommario
può darci una mano, questo è un mercato nuovo e
c’è spazio per tutti. Crediamo che Netflix sia anche
quello “giusto”, è noto, porta attenzione su argomenti che interessano e soprattutto ha una offerta che
vediamo complementare con la nostra. Loro sono
forti sulle serie TV americane e hanno i loro prodotti originali, noi siamo molto ben piazzati sulla parte
cinema grazie a Medusa e ad accordi globali del
gruppo Mediaset. Credo che riusciremo a coesistere
bene con Netflix, non si deve per forza scegliere o
uno o l’altro. Noi, ad esempio, cercheremo di focalizzarci di più sugli italiani con prodotti specifici per il
nostro paese mentre loro devono per forza proporre
contenuti più internazionali.”
DDay.it: Sul 4K arrivate prima voi o prima loro?
C.T.: “Per noi l’importante è farlo bene. Non vogliamo
attirare utenti con la scusa del 4K proponendo poi
pochi contenuti e con il rischio che un consumatore
voglia poi provarlo e non ci riesce per altri problemi
di natura tecnica. Bisogna costruire un ecosistema di
partner che ci permettano di dare il 4K a più persone:
abbiamo lavorato con Samsung per implementare il
4K nei loro televisori, ma ovviamente servono anche
contenuti di pregio e gli operatori devono garantire la banda richiesta che non è poca. Se riusciamo
a unire tutti la cosa funziona, altrimenti si rischia il
flop.”
DDay.it: Avete un servizio rodato da oltre un anno:
è vero che in Italia non c’è infrastruttura o la buona
parte delle connessioni è sufficiente per portare in
casa un buon HD?
C.T.: “Oggi la stragrande maggioranza degli italiani
ha una banda adeguata per vedere bene contenuti
in definizione standard e i profili più bassi dell’HD.
Esistono però sacche di popolazione che non vedono neppure la definizione standard, e questo è un
problema perché sono per noi clienti persi. Chi è coperto dalla rete è coperto anche per un HD decoroso,
magari non arriva ai massimi profili che eroghiamo
(tipo il 1080p) ma ai profili più bassi ci arrivano. Resta
comunque un peccato non poter raggiungere tutti:
gli operatori si concentrano sulle grandi aree dove
c’è una grande resa sull’investimento penalizzando
però chi non abita nei grandi centri.”
DDay.it: Spotify e Infinity: se inserisco una canzone
al 99% su Spotify lo trovo, se provo con un film a
caso su Infinity la probabilità di non trovarlo è elevatissima. E questo vale per cose straviste in TV,
anche contenuti vecchi. Soluzioni?
C.T.: “Il mercato video non è purtroppo il mercato della musica, è un mercato complicato in cui esistono
finestre e contenuti che proprio non si riescono ad
avere. Quello che però ci siamo resi conto in questo
anno è che la disponibilità degli utenti a mettersi a
cercare un film è molto limitata. I clienti Infinity nella
stragrande maggioranza dei casi trovano il film da
vedere in “homepage”, cercano poco e se non trovano subito quello che vogliono se ne vanno. L’archivio
non paga, così come non pagherebbe mettere a catalogo centinaia di migliaia di titoli: il consumatore
si aspetta in pochi secondi di trovare il film giusto
da vedere, senza perdere tempo a sfogliare tutto. In
questa ottica il palinsesto non è morto, anzi, è vivo
e vegeto ma è cambiato e dev’essere allineato al
singolo utente. Quando su Infinity un nuovo cliente
si attiva ora facciamo votare dei film a campione e
le risposte date ci permettono di costruire una home
personalizzata, sia come generi che come contenuti. Mettere a disposizione un mare di contenuti non
serve: dobbiamo lavorare per leggere nel pensiero
del consumatore offrendogli sempre il titolo giusto.
La partita si gioca sulle prime 50 posizioni dell’interfaccia.”
DDay.it: Da Samsung con Tizen a iOS: è vero che
state per sbarcare su Apple TV?
C.T.: “No comment”.
Serie S78 / Ultra HD
50” / 58”
Immergetevi
in una nuova
esperienza !
Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli
più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la
perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz.
ww.tcl.eu/it
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Dal 30 giugno gli utenti iTunes e iOS potranno ascoltare Apple Music in tutto il mondo (Italia compresa)
Arriva Apple Music, anche per Windows e Android
Apple Music offre streaming on demand, una nuova radio e un social network per connettere direttamente artisti e fan
Previsto anche il supporto multi piattaforma per Windows e Android attraverso un’app che sarà disponibile in autunno
di Paolo CENTOFANTI
pple ha annunciato il suo ingresso nel mercato dello streaming musicale. Se c’è un settore
fino a dove oggi non si era ritrovata a inseguire, questo era proprio quello della musica digitale, un
mercato che se vogliamo ha creato proprio Apple con il
lancio nel 2003 dell’iTunes Store. Apple cambia pagina,
e per combattere con piattaforme nascenti come Spotify, Deezer, Rdio e TIDAL, lancia Apple Music, il frutto
dell’acquisizione di Beats Music, il servizio di streaming
lanciato da Dr. Dre e Jimmy Iovine. La vera incognita è
sempre stata non “se” Apple avrebbe offerto un servizio di streaming ma il “come”. Per integrare Beats Music
nell’ecosistema di Apple, Cupertino si è rivolta allo stesso team creativo, capeggiato da Jimmy Iovine e tra gli
altri da Trent Reznor, musicista noto per la sua passione
per la tecnologia e per essere stato tra i primi a sperimentare con nuovi modi di distribuire musica. Il risultato
è Apple Music che non è solo streaming ma una vera
e propria nuovo piattaforma per il consumo di musica.
Un’app unica in cui trovare i propri brani, streaming on
demand, playlist, ma anche una nuova stazione radio
aperta 24 ore su 24 con alcuni dei migliori DJ internazionali e infine un canale di comunicazione diretto tra
fan e artisti. Jimmy Iovine, scimmiottando l’annuncio
del primo iPhone, ha definito Apple Music proprio così,
come tre prodotti in uno. Il primo è un “rivoluzionario
servizio musicale” con una redazione in carne ed ossa,
il secondo una radio non stop con i migliori DJ, Beats1,
e infine il social degli artisti, Connect. Apple Music è innanzitutto integrato direttamente nell’app musica di iOS
(quella che una volta si chiamava iPod): visto che buona
parte della musica oggi viene ascoltata in mobilità, Apple ha deciso di cucinare il nuovo servizio direttamente all’interno del sistema operativo del dispositivo che
verrà più utilizzato: lo smartphone. Nella sezione My
Library, gli utenti troveranno la solita libreria musicale
che includerà non solo i propri brani acquistati o sincro-

A
torna al sommario
nizzati con il dispositivo, ma anche tutto il catalogo di
iTunes da ascoltare in streaming on demand. C’è la modalità offline, mentre al momento mancano informazioni
tecniche sullo streaming, come il bitrate. Interessante
notare che Apple Music include una funzionalità simile
ad iTunes Match, con il pairing dei brani che già si possiedono (l’origine non conta) nella propria libreria cloud
e la sincronizzazione su tutti i dispositivi. iTunes Match
rimane comunque come opzione per chi non si vuole
abbonare ad Apple Music. Le cose si fanno interessanti con la nuova sezione For You, che essenzialmente
porta dentro l’app buona parte di quello che era Beats
Music. Il processo di setup ricorda molto proprio quello
del servizio di Beats, con la selezione della propria musica preferita, e mette sin da subito i gusti dell’utente
al centro. Qui compariranno playlist personalizzate sia
automatiche che compilate dal team editoriale di Apple
e che possono interessarci. Naturalmente l’utente può
poi andare a sfogliare il profilo di un’artista, ascoltare
tutta la discografia presente sul servizio e riprodurre
persino i video che saranno caricati. Playlist e ricerca
della musica saranno controllabili anche con SIRI.
Connect è la grossa scommessa di Apple Music.
Apple ci aveva già provato con Ping su iTunes, specie
di social network che non ha mai preso piede ed è caduto presto nell’oblio. Con Connect gli utenti potranno seguire direttamente gli artisti e accedere a post
che possono includere messaggi, video, foto e naturalmente musica, ma l’intenzione - sembra di capire
da quanto dichiarato da Trent Reznor durante il video
promozionale - è quella di trasformare Connect in una
piattaforma anche per rendere sostenibile la musica
grazie a questa connessione diretta, probabilmente
come canale di vendita da artista a fan.
Arriviamo infine a Beats1, una nuova radio in streaming che sarà live da tre città diverse (Londra, New
York e Los Angeles) in tutto il mondo in streaming
24 ore su 24. Direttore creativo è il famoso DJ della
BBC Zane Lowe e l’obiettivo è stato quello di creare
una radio che ha un solo “genere”: quello della buona
musica. Uno statement impegnativo, che solo l’ascolto ci potrà dire se corrisponderà alla realtà. Beats1
è la proposta radiofonica di punta, ma ci saranno le
consuete radio per genere che, sembra di capire, sostituiranno iTunes Radio.
La notizia bomba arriva alla fine. Come sarà accessibile Apple Music? Non solo da dispositivi Apple:
su iOS abbiamo detto, OS X naturalmente, con una
nuova versione di iTunes, ma anche da Windows
sempre con iTunes e, udite udite, anche su Android
con un’app apposita che verrà lanciata in autunno. Gli
utenti iTunes e iOS potranno invece ascoltare Apple
Music in tutto il mondo, Italia compresa quindi, già dal
30 giugno con tre mesi di ascolto gratuito. Poi, come
da indiscrezioni, toccherà pagare un abbonamento:
9,99 dollari/euro al mese per un utente, oppure 14,99
dollari/euro al mese per un account family, che darà
accesso a 6 ascoltatori contemporaneamente. Radio
e Connect saranno disponibili anche gratuitamente,
le prime con un numero limitato di skip, mentre solo
gli abbonati potranno riprodurre e salvare i contenuti
multimediali condivisi dagli artisti. Siamo in attesa di
conferma dei prezzi italiani.
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Claudio Ferrante è il fondatore di Artist First, società che permette agli artisti di distribuire i propri progetti “fai da te”
“La major mangia i guadagni dell’artista per nulla”
Serve ancora il supporto delle major? Come è cambiato il mercato discografico? Ne abbiamo parlato con Claudio Ferrante
P
di Paolo CENTOFANTI
er il mondo della musica il 2015 sarà l’anno della
consacrazione dello streaming. Si tratta, volendo
ben guardare, dell’ennesima rivoluzione in poco
più di 15 anni, un processo di trasformazione delle abitudini di chi la musica la ascolta, ma anche di chi la fa,
che ha in definitiva rivoltato l’industria discografica come
un calzino. Quattro tappe fondamentali hanno portato al
mondo che conosciamo oggi: 1999, apre Napster; 2003,
Apple lancia l’iTunes Music Store; 2005, nasce YouTube;
2008, l’allora sconosciuta startup svedese Spotify, fa partire l’omonimo servizio di streaming “a volontà”. In mezzo
ci sono state tante altre vicende, personaggi, innovazioni
(l’arrivo dell’iPod prima e degli smartphone dopo su tutti),
ma queste sono sicuramente le pietre miliari che hanno
scolpito la scena musicale. Minimo comune denominatore: Internet. Nel 2014, per la prima volta, seppure di misura, i ricavi della musica digitale smaterializzata, a livello
globale hanno superato quelli generati dalla vendita di
supporti fisici. Una statistica che rivela come si comprino sempre meno CD, ma anche come, dopo la mazzata
che lo scambio in rete degli MP3 ha inflitto alle case discografiche, i modelli di distribuzione digitale legali comincino finalmente a ingranare. L’altro dato di rilievo è,
appunto, l’esplosione dello streaming, che in pochi anni
ha cominciato velocemente a cannibalizzare le vendite
di brani in download; per le major del disco è la luce in
fondo al tunnel dopo anni di sofferenza, per gli artisti, si
dice, un po’ meno. Perché, diciamocelo, diventare una
star oggi è ancora più difficile di una volta e vivere di
musica un traguardo per pochi. Una volta firmare con
una casa discografica era il sogno che diventava realtà, il punto di arrivo, “l’avercela fatta”. Oggi, a meno di
non essere super fortunati, è un modo se va bene per
arrotondare e avere un po’ di persone in più ai concerti.
Claudio Ferrante, fondatore di Artist First, società italiana
di distribuzione discografica fisica e digitale, è uno che
l’industria del disco la conosce bene: classe 1972, ha 25
anni alle spalle nel settore, di cui dieci passati in Carosel-

Claudio Ferrante, CEO di Artist First
torna al sommario
lo Records, una delle più longeve e importanti etichette
indipendenti italiane, che ha rappresentato artisti come
Domenico Modugno, Giorgio Gaber, Vasco Rossi, solo
per citarne alcuni. Un’esperienza, quella di Carosello, di
cui Ferrante parla ancora con grande orgoglio: “Carosello mi ha dato la visione del mondo della discografia e
delle edizioni. E in Carosello ho imparato anche il valore dell’imprenditoria italiana. Investire nella musica e
nell’innovazione per creare i successi di domani, qualcosa che ormai in Italia fanno davvero in pochi”. Anche
per questo, nel 2009, Ferrante esce da Carosello con
un’idea: quella di lanciare una società di intermediazione
per mettere in contatto diretto gli artisti con la propria
fanbase, realizzando e distribuendo sui canali di vendita
- tradizionali e non - edizioni deluxe e vinili. È il nuovo
modello del DIY (“do it yourself”, fai da tè) che ha conquistato tanti artisti, affermati ed emergenti, che parte dalla
premessa che la casa discografica classica, e in particolare la major, è diventata obsoleta in questo mercato.
“Tra il 2007 e il 2009, c’è stato un tracollo totale del fatturato nella discografia, per varie cause, la pirateria da
una parte, ma anche la flessione del CD e il mancato
decollo della promessa del digitale” ci ricorda Ferrante,
mentre ci aiuta a capire dal suo punto di vista come è
cambiato il mercato del disco e soprattutto quale possa
essere il suo futuro nell’era dello streaming. E partiamo
proprio da qui, dalla promessa mancata del digitale.
DDay.it: iTunes ha aperto i battenti nel 2003, ma ancora nel 2009, quando sei uscito da Carosello, il digitale
non bastava per sopperire al calo di fatturato del fisico. Che cosa è andato storto?
Claudio Ferrante: “Per quanto riguarda l’Italia, visto che
all’estero e in particolare negli Stati Uniti le cose sono
andate un po’ diversamente, credo che gli ingredienti
siano stati tantissimi. Innanzitutto il consumatore si è
sfiduciato nei confronti del mercato discografico a causa delle pubblicazioni. Si pensi all’ondata di “best of”
di quegli anni. Perché per sopperire alla contrazione
del mercato si rispose con la pubblicazione di tante
raccolte inutili. E questo ha generato ancora più sfiducia, ancora più acredine da parte dei fan, non tanto nei
confronti dell’artista, ma di chi nell’industria avallava
operazioni improbabili che essenzialmente esistevano
solo per fare cassa. In quegli anni c’era il boom della
pirateria online e il mercato discografico era un grande pozzo d’acqua pieno di falle che si svuotava. Poi c’è
stato il fattore prezzi. Basti pensare che il crollo dei consumi è arrivato quando c’era ancora un retaggio, che
veniva dal boom del CD nel 1999/2000, e cioè che il
prezzo della musica si riteneva ininfluente sulle vendite. Poi invece quando il mercato è crollato, il prezzo ha
cominciato ad avere una leva rilevante, così si è avuto
un abbassamento del prezzo e allo stesso tempo delle quantità vendute e quindi in definitiva del fatturato.
Quindi, la sfiducia dei consumatori, la contrazione del
prezzo medio, e poi naturalmente il fatto che la gente
scaricava. Questo d’altra parte è un paese in cui il 61%
della popolazione secondo un recente sondaggio non
considera un reato quello di scaricare musica illegalmente. Oggi naturalmente tutto questo è superato dalla
piattaforma streaming. Quando tu riesci ad accedere a
una piattaforma legale come Spotify, in cui comunque
gli artisti vengono renumerati, poco tanto non lo so,
comunque è qualcosa. Quando invece scarichi illegalmente comunque danneggi, e quelli erano gli anni
boom della pirateria online. Non c’era un’alternativa
legale ed il mercato discografico era un grande pozzo
d’acqua pieno di falle che si svuotava”.
DDay.it: Una scelta coraggiosa, visto il contesto, quella
di buttarsi in proprio…
C.F.: “Sono uscito da Carosello perché pensavo di aver
dato tutto quello potevo all’azienda, con cui sono rimasto in rapporti straordinari, e poi perché in quella fase
ho visto l’opportunità, una grande idea: quella di riuscire
a carpire e prendere dalla coscienza dell’artista quella voglia sotterranea di farsi tutto da solo. Io vedevo in
quel periodo Renato Zero che si staccava dalla Sony e
decideva di farsi tutto da solo. I Pooh che facevano tutto
da soli da una vita ed erano solo distribuiti da una major,
i Nomadi e tanti altri fino agli Afterhours. E così in pochi
anni siamo usciti con 150 prodotti esclusivi, in virtù del
fatto che c’era la coscienza di voler fare tutto da soli”.
DDay.it: Ma perché improvvisamente è nata nell’artista la voglia di farsi tutto da solo?
C.F.: “Perché fondamentalmente non c’era più bisogno
della casa discografica. Perché con la contrazione del
mercato di quegli anni, nelle case discografiche non
segue a pagina 13 
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15 GIUGNO 2015
ENTERTAINMENT
Intervista a Claudio Ferrante
segue Da pagina 12 

c’era più quella propensione a investire. Quello che faceva la differenza una volta nelle major discografiche
erano gli investimenti pubblicitari, la promozione, i videoclip. Ma con la nascita e il proliferare di YouTube, con le
tecniche video a basso costo, tutto questo è cambiato:
tu pensa oggi a Salmo: il suo primo video, Death USB,
se l’è fatto da solo con i suoi amici ed è un video che
forse vent’anni fa non sarebbero bastati 200 milioni delle vecchie lire per realizzarlo. Oggi le nuove tecnologie
consentono di produrre dei video super, basta un’idea e
non è più necessario spendere tantissimo. Quindi gli artisti hanno detto: se le case discografiche non investono
più in campagne, se non c’è più l’advertising che c’era
prima, se non c’è più quell’opulenza che mi consentiva
di essere un artista sostenuto dalla grande casa discografica, perché devo dare più della metà dei ricavi della
vendita del mio CD o di quel che ne deriva a un altro
soggetto? Faccio tutto da solo e cerco di guadagnare
molto di più. E quindi noi cavalchiamo questa esigenza,
anche perché con una società come la nostra, noi comunque retrocediamo l’80% dei ricavi all’artista”.
DDay.it: C’è da dire che c’è sempre stata un po’ la
percezione, almeno da parte dei non addetti ai lavori,
che le grandi major sfruttassero gli artisti. Pensiamo
alle battaglie ormai negli scorsi decenni di personaggi
come Prince. Ma è poi davvero così? Artist First dice
di dare all’artista una fetta dell’80% dei ricavi, ma nel
caso di una major qual è usualmente la proporzione?
C.F.: “Tendenzialmente, se parliamo di un artista “top”
può prendere il 30% da una major senza gli abbattimenti. Oggi però anche un artista top non è più sostenuto
dalla major come prima, per cui è una cifra anacronistica. Un tempo tu sapevi che loro si dovevano prendere il
70% perché c’erano gli investimenti e perché dovevano
marginare tanto perché magari ci perdevano su altri
progetti, ma questo sistema è andato completamente
in tilt. Se fai il raffronto tra un artista che prende il 30%
che con degli abbattimenti diventa il 23% e un’artista
che ne prende l’80%, c’è una grande differenza. Ma lo
dico non perché io sono quello che ti dà l’80% e quel
sistema il 23%, è che quel sistema del faccio tutto io, ti
pago tutto io e ti do una piccola quota è andato un po’
in esaurimento. Gli artisti che oggi sono sotto contratto
con le case discografiche, naturalmente, o riescono a
fargli spendere tanti soldi, ma ormai saranno rimasti in
5, oppure non ha più senso che rimangano lì. E infatti,
all’interno dei contratti, vedo che ci sono artisti come Ligabue che si fanno solo distribuire. Un motivo c’è: sono
contenti di quello che fanno, riescono a farsi un contratto di rinnovo giusto, ma si fanno tutto da soli. Ligabue
è un artista che fa tutto da solo. Ha la sua società, ha il
suo ufficio, ha i suoi ragazzi. Il suo canale è uno dei più
forti in Italia e l’ha fatto lui non una major. Vasco Rossi è
lui, non c’è una major dietro. Jovanotti è lui. È un artista
che dice “voglio fare questo progetto” e il progetto si fa.
30 anni fa c’era un discografico da coinvolgere, c’erano
delle riunioni marketing in cui c’erano delle professionalità che potevano dare un suggerimento all’artista e
guidarlo, ma ora sono cambanche le persone all’interno
di quelle aziende”.
DDay.it: Però fino ad ora ci hai parlato di grossi nomi
della musica: Vasco Rossi, Jovanotti, Renato Zero.
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MAGAZINE
L’obiezione che si fa verso un modello di questo tipo
è “ok, ma prima devi essere famoso per poter stare in
piedi da solo”. Un modello DIY come quello che propone una realtà come Artist First può davvero funzionare
anche per i piccoli artisti o artisti emergenti?
C.F.: “Assolutamente sì. Noi abbiamo realtà piccole che
funzionano per i loro fan. Stiamo lavorando su un progetto per i The Sun ad esempio, band che ha una comunità molto radicata nel “clero”: è una rock band che suona anche nelle parrocchie e ha una fanbase pazzesca.
Il cantante ha pubblicato un libro che è già in ristampa.
Non importa quale sia il mercato, noi andiamo anche
lì: la fanbase di 15.000 persone. Questi suonano nelle
parrocchie e alle feste della gioventù, ma hanno fatto
due tour mondiali, il cantante ha pubblicato il libro in
10 paesi, soprattutto in Sudamerica. Oggi ci sono delle
realtà che grazie alla disintermediazione della comunicazione, possono arrivare direttamente ai fan, riescono
a soddisfare i fan, riescono a vendere direttamente ai
fan. E allora, perché non lavorare su quello? Quindi lavoriamo sull’ingaggio delle fanbase, qualunque esse siano. Quando Salmo era ancora un artista che non aveva
ancora pubblicato ufficialmente un disco - ne aveva prodotto solo uno stampandoselo da sé in modo diciamo
pure carbonaro -, aveva un suo videoclip, aveva YouTube, ed è andato primo in classifica con noi. La differenza
la fa la fanbase. Lavorare sulla fanbase è quello che noi
abbiamo percepito fare oggi la differenza”.
DDay.it: Ma un artista emergente come fa a crearsi e
far crescere la propria fanbase? Una volta c’era il supporto di un’etichetta, ma oggi?
C.F.: “Oggi ci sono tre strade. O fai da solo, vai su YouTube, e se hai qualcosa da dire la gente prima o poi se
ne accorgerà. Ho citato prima Salmo, ma anche Emis
Killa ha iniziato su YouTube, poi si è fatto notare e una
casa discografica l’ha preso. Oppure si può provare la
strada del Talent. Di fatto il Talent Show ormai è un laboratorio, ha sostituito quelli che erano gli uffici artistici
delle case discografiche, dove si faceva lo scouting.
Basti pensare che da Amici sono usciti Emma Marrone, Alessandra Amoroso, che secondo me oggi sono
degli artisti che hanno qualcosa da dire e che lavorano
bene. Da X-Factor è uscito Marco Mengoni, che sarà
l’artista del futuro. L’altra alternativa è quella di andare
dagli imprenditori; vai in una società indipendente, vai
da un imprenditore. In Italia c’è stato Claudio Cecchetto
che ora è dedito all’innovazione, ma c’è anche Lorenzo
Suraci (presidente di RTL, n.d.r.) che è un talent scout,
secondo me uno dei più forti talent scout del momento;
ha una grande forza alle sue spalle, fatta dalla sua radio, ma lui ha delle grandi idee per riuscire a portare…
i Modà ad esempio sono farina del suo sacco, perché
li ha presi quando facevano 1000 persone a Treviglio e
l’anno scorso hanno fatto San Siro. Oppure appunto ci
sono le etichette indipendenti come la stessa Carosello,
o la Sugar di Caterina Caselli che è una straordinaria
talent scout. Quel tipo di imprenditoria, quel tipo di rischio, secondo me, è l’antitesi del portare soldi in cassa
tramite le operazioni improbabili delle major di cui parlavamo prima”.
DDay.i: Prendiamo allora il caso che io sia un artista
“fai da te”, che si è registrato il suo disco con GarageBand e magari ha già il primo migliaio di mi piace su
Facebook. Cosa può offrire una società di intermediazione come Artist First all’artista DIY?
C.F.: “Innanzitutto se hai già una fanbase, con i social, se
Il cofanetto realizzato da Artist First in 200 esemplari con la ristampa di 11 dischi fuori catalogo di Mina
hai qualcosa di nuovo, la tua base già lo sa. Quello che
facciamo noi, è andare a consegnargli il disco a casa
con il tuo autografo. Possiamo realizzare delle confezioni esclusive intorno alla musica: intorno al CD, che è
solo una scusa, possiamo costruire un libro, un gadget,
delle chiavette USB. Ci possono essere tante confezioni
speciali. Per gli Afterhours ne abbiamo fatta una con le
boccette con le anime degli After dentro. Noi ci inventiamo dei progetti da questo punto di vista anche con
un po’ di ironia. Perché se tu sei fan di un artista, vuoi
anche possedere un oggetto; perché con la tiratura numerata limitata, al di là del vinile, che quando tu lo fai lo
vendi per certo, puoi fare e costruire un oggetto. L’oggetto che costruisci contiene un po’ l’anima dell’artista.
E sei un fan, sei anche disposto a pagare 50 o 60 euro
per quest’oggetto”.
DDay.it: Però quest’anno c’è stato il sorpasso dei ricavi
del digitale su quelli dei supporti fisici. A questo punto
viene da chiedersi, ok il cofanetto, ma davvero il supporto fisico ha ancora qualcosa da dire?
C.F.: “In Italia intanto il supporto fisico costituisce comunque ancora il 62% del mercato. Può dire assolutamente qualcosa se viene costruito intorno ad esso non
un semplice CD, un pezzo di plastica, ma una storia,
un concetto emotivo. Devi trasformarlo in qualcosa di
“figo” che la gente vuole possedere. Poi bisogna tenere
presente fasce come, non so, ad esempio le donne dai
45 anni su che non scaricano: in questa fascia demografica, guarda caso, le vendite del fisico sono ancora
molto superiori al digitale”.
DDay.it: Ma se alla fine la soluzione è realizzare un oggetto del desiderio, non potrebbe benissimo proporla anche la major, che forse ha anche più risorse alle
spalle? E invece non accade. Come mai?
C.F.: “La major ha delle griglie di costi che, per il prodotto fisico, non possono superare un tot in percentuale
rispetto al prezzo di vendita. Quando ritengono l’operazione superflua rispetto ai margini che la caratterizzano,
quel progetto non lo fanno”.
DDay.it: Ma le major non dovrebbero avere più margini con prodotti di questo tipo?
C.F.: “No, non è così semplice. Noi abbiamo realizzato
per un musicista Jazz, Francesco Cafiso, un sassofonista bravissimo e molto conosciuto in America, una confezione bianca, lunga, con i CD, un libro fotografico e
una chiave USB che in realtà contiene tutte le tracce del
suo album senza il sax, così l’ascoltatore può suonarci
sopra. Si tratta di un’edizione deluxe che si può prenosegue a pagina 14 
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
ENTERTAINMENT
Intervista a Claudio Ferrante
segue Da pagina 13 
Emis Killa, da YouTube a star della scena rap italiana

tare solo sul sito e noi la mandiamo a casa del fan con
l’autografo di Francesco. Ora, quanti sassofonisti jazz in
Italia ci sono? 800? Bene, questi 800 se la comprano.
Quindi deve essere anche un prodotto che ingaggi. L’interattività con la fanbase può anche essere “analogica”:
prendo una cosa, la metto su e ci suono sopra. Questo
lo puoi fare solo se metti l’artista al centro, e cerchi di
sviscerare tutto. In una major non c’è più il tempo di fare
questo, perché quel lavoro sta cambiando e loro non si
sono resi conto che stanno lavorando su un mercato
in cui hanno peccato di disattenzione, di qualità e soprattutto di passione. Per loro quel lavoro oggi è bene o
male sempre una questione di soldi. Sono persone che
sono cambiate molto nel loro approccio, perché ora le
senti parlare di quantità, ecc., mentre prima le sentivi
parlare di musica, di concerti; oggi francamente parlano
solo di numeri, gli interessano solo i risultati. Ma dico, tu
sei in un’azienda in cui tu hai anche una responsabilità culturale sul mercato locale; va bene far quadrare i
conti, ma perché oggi devono essere solo i produttori
indipendenti a fare diversità culturale? Ma perché deve
essere una Carosello a investire su John De Leo (ex
Quintorigo n.d.r.), e John De Leo non può essere un’artista che può crescere in una multinazionale?”
DDay.it: Qual è la risposta degli artisti che lasciano le
case discografiche, iniziano a fare tutto da soli e si rivolgono ad un’azienda come la vostra? C’è qualcuno
che alla fine dice “ma forse stavo meglio prima”?
C.F.: “Devo dire che noi abbiamo un tasso di soddisfazione di chi sceglie di lavorare con noi molto elevato.
L’unico che mi viene in mente è Tiromancino. Ma perché
probabilmente l’ultimo progetto l’ha realizzato con una
major e perché lui è un uomo ancora molto ancorato al
discorso “voglio che faccia tutto la major, non mi interessa quello che guadagno con il disco, perché poi me lo
guadagno con i concerti”. Diciamo che devi comunque
avere la predisposizione a metterti in gioco, devi avere
la voglia lavorare, perché è un lavoro molto faticoso. Lo
sto vedendo ora con Il Teatro degli Orrori con cui stiamo
lavorando, dove loro si mettono in gioco in prima persona perché davvero vogliono fare tutto loro”.
DDay.it: Ma la tua sensazione è che gli artisti sono
pronti a inseguire questa evoluzione del mercato?
Spesso si ha questa percezione dell’artista che è perso
nel suo flusso creativo e non ha molto i piedi per terra
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quando si parla di impresa… o sono più avanti invece
delle major rispetto a questo discorso?
C.F.: “Partiamo dalla considerazione che per anni l’artista è stato sempre considerato un minus habens, il
disadattato che ha sempre bisogno dell’esperto che
lo segue. Certamente c’è sempre bisogno di servirsi di
professionalità, promoters, manager con cui fare squadra, non è che uno può letteralmente fare tutto da solo.
In ogni caso sono gli artisti che ci chiamano per lavorare
con loro, perché sanno quello che facciamo e hanno bisogno di professionalità. E sono tanti i professionisti che
prima lavoravano all’interno delle case discografiche e
che ora comunque ne sono usciti anche loro e lavorano
direttamente con gli artisti”.
DDay.it: Ma in questo mondo dove sembra che ormai
tutti siano diventati liberi professionisti, c’è ancora un
motivo per fare un contratto con una grande casa discografica?
C.F.: “Non c’è più motivo se non… tanto denaro, prendere tanti soldi. Quello è l’unico motivo oggi per firmare un contratto con una major: se prendi dei soldi,
tanti. Con minimi garantiti elevati. Tutto il resto non ha
senso. È anacronistico, è vecchio”.
DDay.it: Ma visto che di “tanti soldi” non sembrano
comunque essercene, secondo te, è ancora possibile
vivere di musica oggi?
C.F.: “È molto difficile oggi vivere di musica. Primo perché i locali preferiscono prenderti solo se porti come
minimo 200 persone. E quindi è anche molto difficile
iniziare, ci vuole tanto coraggio. Mi sono molto ritrovato
in un film come Whiplash, che è una storia assolutamente estrema di un ragazzino che vuole fare il batterista
e che poi viene come violentato nel suo animo gentile,
ma oggi puoi uscire solo se hai una bestia dentro. Però
è difficile quanto oggi è difficile fare, non so, l’architetto, perché oggi ci sono pochi studi di architettura in cui
lavorare. Ci vuole molto più tempo a diventare una star
e devi avere dei risultati. Sicuramente è un cammino difficile e irto di ostacoli, però, dall’altra parte, sei molto più
padrone della tua fanbase rispetto a prima”.
DDay.it: Come lo vedi il rilancio di TIDAL come servizio
di streaming dalla parte degli artisti?
C.F.: “Si continua a leggere che è un flop totale, io ho
apprezzato lo spirito con cui questi artisti, poiché vedevano poco chiare le royalties offerte dagli altri servizi
di streaming, abbiano voluto prendere delle share di
un’altra piattaforma. Il lancio probabilmente ha peccato
un po’ di arroganza, perché ha visto 15 star planetarie,
ricche, che avevano tutto e che volevano anche questo.
E questo è stato visto un po’ come arroganza. Io il servizio l’ho provato e ha una qualità in effetti più elevata,
ma al grande pubblico della qualità audio non gliene
frega niente. Alla fine se sei in metropolitana, ad ascoltare Spotify con le cuffiette dell’iPhone… Interessa a noi
audiofili”.
DDay.it: Come giudichi questa polemica sulle
royalties dello streaming? Lo streaming può davvero
essere il futuro del mercato della musica?
C.F.: “In realtà questo è un problema che riguarda il contratto tra l’artista e chi ha intermediato la pubblicazione
sulla piattaforma di streaming, non il servizio in sé. Io
sono convinto che lo streaming sia sicuramente il futuro
e credo che le cifre più cospicue arriveranno quando
davvero sarà un fenomeno di massa, quando lo sarà
la subscription premium a Spotify o altre piattaforme.
È ovvio che per l’artista dipende dal contratto che hai
con il proprietario del catalogo. Se sei il Tom Yorke della
situazione che ha un contratto con l’etichetta per l’8 o
il 10%, quei ricavi non potranno mai avere un impatto
significativo. Gli artisti che si lamentano dovrebbero
prendersela non con Spotify ma con gli intermediari,
quelli con cui hanno fatto il contratto. In questo c’è la
componente “disadattata” dell’artista: “ho firmato una
roba, non so bene cosa ho firmato, ma voglio di più”
(ride)”. Una cosa diversa e assolutamente scandalosa
è YouTube, perché tu hai video e audio, un intrattenimento più invasivo e a fronte di che cosa? Cioè, per
100.000.000 di visualizzazioni prendi 80.000 euro, ma
di cosa stiamo parlando? E sai per quale motivo abbiamo queste royalties? Perché all’estero le multinazionali
hanno firmato quegli accordi, che a noi sono piovuti dal
cielo, e oggi non puoi andare da YouTube e dirgli “tu
mi devi dare di più di 8 millesimi”, quando tu non hai
un catalogo di 50 milioni di brani. La cosa gravissima
delle major è che abbiano accettato supinamente accordi ridicoli con YouTube. Se YouTube pagasse anche
solo dieci volte quello che paga oggi, che poi sarebbe
il minimo sindacale, sicuramente tanta gente potrebbe
anche vivere solo di quello”.
DDay.it: Ma il vecchio mondo della discografia è tutto
da buttare secondo te o c’è qualcosa da salvare?
C.F.: “Sicuramente i piccoli imprenditori, le piccole etichette indipendenti, gente che ci mette del suo, la sua
passione per scoprire il ragazzino che ci vuole provare
o il gruppo che sta li li per esplodere. Quelli sono eroi.
Sono eroi perché pur di fare quello che gli piace sono
disposti a fare sacrifici e a rimanere in una situazione
sempre sul chi va là, per cercare di dare un colpo al
cerchio e uno alla botte per la passione a lavorare in
questo settore. C’è tanta purezza in questo discorso.
Comunque, non è che io voglio demolire le major perché
io rappresento Artist First e loro sono le multinazionali.
Io dico: “bene, mettetevi su un territorio diverso. Smettetela di pensare”, e lo dico ai capi, ai country manager
delle multinazionali, “smettetela di pensare solo ai numeri. Cioè, il vostro è un meccanismo che non potrà mai
essere favorevole al fan, non può mai ingaggiare il fan,
perché voi il fan lo avete disingaggiato, ed è stato solo
l’artista a tenerselo. E gli artisti ve li siete tenuti soltanto con i soldi. Invece, trovate delle valide motivazioni.
Attorno a quei tavoli, in quelle sale riunioni, inventatevi
dei discorsi più logici, più in linea con il mercato, non
pensate soltanto che se dite una cosa un pochino più
avanti domani perdete il posto”. Non è che siano stupidi
nelle major, è che c’è paura, paura di andare via di lì.
Paura di essere cacciati. Quando si lavora in un’azienda di un imprenditore, il portafogli che tu stai gestendo
è nella porta accanto. Ti fai venire senza dubbio delle
idee diverse. Se i soldi non sono tuoi e non ce li metti tu,
quello fa la differenza”.
Insomma non tutto è da buttare, ma c’è tanto lavoro da
fare per raddrizzare le cose. Ferrante ci lascia con un appello per i dirigenti delle major del disco presenti in Italia,
un appello che ci sentiamo di rilanciare: “Io dico: aiutate
chi in Italia ci mette i propri soldi. Le produzione italiane.
Finanziate le aziende italiane. Oggi mancano i talent
scout di una volta che andavano a vedere i ragazzi
suonare. Non ci sono più quei momenti in cui magari
due case discografiche volevano un artista e se lo contendevano. Manca questo, manca la passione, l’amore
per quello che si faceva, la determinazione, il dire voglio
prendermelo, voglio firmarlo. Ritrovate la passione”.
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Tutti i fine settimana è possibile visitare la mostra presso la Cineteca di Milano
Aperta la mostra “Un archivio da paura”
Un viaggio nell’archivio in realtà aumentata con i Moverio di Epson tra migliaia di pellicole
I
di Paolo CENTOFANTI
l Museo Interattivo del Cinema della Fondazione Cineteca Italiana, in
collaborazione con Epson, ha inaugurato a Milano la mostra “Un archivio
da paura”, un esperimento di realtà aumentata che permette di visitare gratuitamente l’archivio della cineteca di
Milano, in cui sono conservate copie in
pellicola di circa 25000 opere cinematografiche.
L’iniziativa è un’occasione per tenere
viva la memoria storica dell’era della
pellicola cinematografica, in quest’era
in cui il digitale ha praticamente soppiantato, salvo rare eccezioni, il vecchio
supporto in celluloide nella distribuzione dei film nelle sale. Prima di entrare
nell’archivio, che si trova 15 metri sotto
il livello del suolo, il pubblico viene guidato attraverso il “Tunnel dei Sogni”,
un percorso che attraverso delle gigantografie ripercorre la storia della
pellicola, dalla sua introduzione, fino
video
lab
“Un archivio da paura”

Matteo Pavesi presenta la mostra
torna al sommario
YouTube
ha i video 8K
A cosa servono?
Su YouTube
è disposnibile
Ghost Towns, 2 minuti
di corto pubblicato
alla “mostruosa”
risoluzione di 4320p
A parte che ci vuole
un super PC per farlo
girare, ma chi ha un
monitor/TV 8K?
di Emanuele VILLA
alla sua evoluzione finale, con curiosità e informazioni accessibili a tutti.
Il tunnel, lungo 150 metri, include alla
fine della visita anche una sezione dedicata al cambiamento introdotto dall’avvento del digitale per portarci fino
al presente del cinema. Il piatto forte è
però appunto la visita dell’archivio, uno
spazio di circa 3500 metri quadri in cui
sono conservate migliaia di pellicole
in ambiente climatizzato intorno ai 12
gradi e bassa umidità, condizioni che
permettono alle bobine di mantenere
le loro proprietà fino a quasi 80 anni.
Vista la temperatura i visitatori potranno indossare dei piumini prima di ricevere la loro unità Moverio BT-200, gli
smartglass stereoscopici di Epson che
sono alla base di questa installazione.
Perché “Un archivio da paura”? La trovata ironica è quella di incoraggiare i
visitatori ad aggirarsi tra gli scaffali che
ospitano le tante pellicole alla ricerca
di QR code che una volta inquadrati
con gli occhiali Moverio, permetteranno di far partire delle clip restaurate
di classici horror principalmente degli
anni ‘40 e ‘50 provenienti direttamente
dalla Cineteca. Tramite gli occhiali Moverio, le immagini dei film del passato
rimarranno sospese di fronte a noi,
mentre passeggiamo tra i corridoi dell’archivio, respirando così l’atmosfera
del cinema di un tempo.
L’app è semplicissima e assolutamente alla portata di tutti, anche perché
una volta concluso il breve tutorial
iniziale, non dovremo toccare alcunché, tutto quello che dobbiamo fare è
passeggiare e guardare i QR Code per
attivare i filmati. Con le basse luci dei
corridoi dell’archivio, su alcuni cartelli
occorre soffermarsi un po’ di più per
il riconoscimento del codice, ma per il
resto l’app fa il suo dovere senza problemi. Si tratta solamente di un primo
passo verso le potenzialità della realtà aumentata, e forse ci aspettavamo
qualche informazione in più sul visore
(ci sono comunque le guide del MiC
in carne ed ossa) ma è sicuramente
un’iniziativa lodevole e una scusa per
visitare un luogo che pochi milanesi
conoscono, per non parlare di chi vive
fuori dal capoluogo lombardo.
La mostra è completamente gratuita,
ma su prenotazione (al numero 02
87242114), e avviene a gruppi di 12 persone ogni venerdì, sabato e domenica
dalle 17 alle 18.
Il supporto per i video 8K in casa
YouTube non è una cosa recentissima, e soprattutto non una
novità di oggi (si parla addirittura del 2010), ma l’inserimento
di video con risoluzione 4320p
(8192 x 4320) è molto più recente, addirittura degli ultimi giorni.
Fatto sta che chi volesse deliziarsi con 2 minuti di documentario
alla mirabolante risoluzione 8K
oggi può farlo, fermo restando
che l’hardware richiesto per una
visione fluida sarà impressionante e soprattutto c’è bisogno di
un display 8K, cosa che ad oggi
è poco meno di un miraggio. Per
non parlare delle videocamere
8K: se ne contano 3 o 4 modelli in tutto e sono rigorosamente
professionali; prima che lo standard prenda piede a livello consumer ci vorranno anni e anni.
Il video si intitola Ghost Towns,
è stato caricato da pochi giorni
su YouTube e girato in modalità portrait con una RED Epid
Dragon 6K, con un upscale di
alcune scene al 125% per passare dal nativo 6.1 allo standard 7.6K. In altri casi, è stato
impiegato Adobe After Effects.
Per chi vuole provare l’ebrezza
dell’ 8K il video è disponibile a
questo collegamento.
n.114 / 15
15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
MERCATO Firmata una lettera di intenti per investire in Metroweb e sulla banda ultra larga
Vodafone e Wind insieme per Metroweb
Lo scopo è realizzare una rete in fibra ottica nazionale, l’iniziativa è aperta ad altri investitori
È
finito il balletto di Telecom Italia
(fuori, dentro, poi ancora fuori),
saranno Vodafone e Wind ad
allearsi con Metroweb per attrarre i
finanziamenti per il piano banda ultralarga messo in atto dal Governo.
Le due compagnie telefoniche, infatti,
hanno annunciato di aver firmato una
lettera di intenti con F2i e FSi, i due
soggetti che controllano Metroweb,
per investire nella società per la realizzazione della rete in fibra ottica in
diverse città italiane. La “newco” di
cui si è parlato in questi mesi sarà Metroweb Sviluppo, controllata al 100%
da Metroweb, il cui scopo sarà quella
di costruire una rete in fibra spenta, su
cui poi diversi operatori potranno offrire servizi di connettività. L’iniziativa
resta aperta agli investimenti anche di
altri operatori e soggetti pubblici pri-
MERCATO
Twitter
perde la testa
Costolo lascia
Dal primo di luglio il nuovo amministratore delegato ad interim di
Twitter sarà Jack Dorsey, uno dei
fondatori e ora amministratore delegato di Square, azienda che realizza
sistemi di pagamento mobile. Esce
di scena quindi Jack Costolo, il volto
più noto di Twitter. Dorsey dovrebbe
tuttavia essere solo un CEO ad interim, in attesa di una nuova figura
che possa guidare il social network
verso i profitti tanto attesi. Le azioni
di Twitter, infatti, al momento hanno
un valore più basso dell’offerta
pubblica del 2013, segno che nel
corso di questi due anni Costolo non
è riuscito a rassicurare gli azionisti
sulle prospettive di guadagno e
crescita della base utenti. Twitter,
a differenza di Facebook, non è
riuscita a capitalizzare la sua base di
utenza facendo decollare la raccolta
pubblicitaria, anche le novità come
Periscope, per quanto apprezzate,
non sono viste come una futura
fonte di guadagno per l’azienda e
come un mezzo per raggiungere un
numero più alto di utenti.

MAGAZINE
di Paolo CENTOFANTI
torna al sommario
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca
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vati, che possano rafforzarla e ci sarebbe una dimostrazione di interesse
anche da parte di Enel, che attualmente ha già avviato una collaborazione
anche con Telecom Italia.
Se il “gruppo” intorno a Metroweb
continuasse a crescere, Telecom a
questo punto potrebbe anche rivedere la propria posizione e tornare sui
propri passi. L’importante è che qualcosa cominci a muoversi: nonostante
la presentazione del piano si avvenuta ormai quasi quattro mesi fa, a livello
concreto ancora poco si è visto.
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MERCATO Spotify non si scompone per l’arrivo di Apple Music e difende il suo modello freemium
Spotify risponde ad Apple con la forza dei numeri
10 milioni di abbonati Premium in più in un anno
In un anno raddoppiato il numero di abbonati Premium, raggiunti i 75 milioni di utenti attivi
di Paolo CENTOFANTI
P
iù di 10 milioni di nuovi abbonati a
pagamento in un anno: è questa
la risposta di Spotify al lancio di
Apple Music e a chi critica il suo modello di business. Dopo la presentazione,
Jimmy Iovine, il responsabile insieme
a Eddie Cue del servizio musicale di
Apple, ha rilanciato in varie interviste
la sua idea che la musica non dovrebbe essere gratis. Dal canto suo, come
ha già fatto più volte in passato, Spotify
difende invece la sua scelta di offrire anche un piano gratuito, perché gli utenti
che lo provano alla fine si “convertono” alla versione a pagamento. E ora
l’azienda svedese ha anche delle prove
a suo favore.
A fine maggio 2014, Spotify aveva raggiunto quota 40 milioni di utenti attivi,
di cui 10 milioni quelli abbonati a Spotify
Premium. Il numero chiave è il rapporto
tra i due tipi ascoltatori, che è sempre
stato di circa 1 a 4. Ebbene, nell’ultimo
anno la conversione verso Premium ha
visto un’impennata e a fine maggio 2015
i nuovi dati sono di 20 milioni di abbonati su 75 milioni di utenti attivi, il che
vuol dire che Spotify ha raddoppiato il
numero di chi ha scelto l’offerta a pagamento in un solo anno. A gennaio gli abbonati erano 15 milioni, per cui Spotify
sta crescendo a un ritmo di 5 milioni di
nuovi utenti a pagamento ogni 6 mesi.
Si è anche ridotto il rapporto di cui parlavamo prima, 1 a 3,75.
In un post sul blog ufficiale, Spotify fa
anche una proiezione di quello che significa “in soldoni” per gli artisti questo
successo: poiché i compensi sono legati al numero di utenti con abbonamento
a pagamento, le royalties versate nei
prossimi mesi praticamente saranno
quasi doppie rispetto a prima.
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Al Retail Asia Expo 2015 Samsung stupisce con un display OLED trasparente da 55”
Oled
a
specchio
e
trasparente
per
Samsung
Non è un esercizio di stile ma una realtà che entrerà a breve nel mondo del retail del lusso
A
di Michele LEPORI
l CES 2011 Samsung mostrò i primi
display OLED trasparenti: pochi
pollicI, interessante, ma pur sempre
un esercizio di stile. Oggi i grandi schermi OLED sono una realtà in espansione
e in Samsung devono aver pensato di rispolverare il progetto ed arrivare al Retail
Asia Expo 2015 con prodotti capaci di far
parlare di sé: un display OLED trasparente e uno in grado di riflettere l’immagine
come uno specchio con tanto di applicazione di realtà aumentata. Una chicca hi-tech con diagonale da 55” pollici
pensata per il settore del digital signage.
Veniamo ai numeri: il mirror OLED ha
una riflettenza pari al 75%, un valore
che è circa il 50% in più di un display a
specchio LCD: assieme al gamut esteso
e a un tempo di risposta del pannello di
meno di 1 ms, questo pannello travolge
la limitata concorrenza LCD ed amplia il
range di utilizzo grazie all’eliminazione
dell’obbligo di avere retroilluminazione
ambientale come invece richiedono i
modelli LCD. L’integrazione della realtà
aumentata arriva in partnership con Intel
ed il suo RealSense, un elaboratore di immagini 3D in grado di mostrare oggetti a
LG ha raggiunto
un rendimento del 65%
nella fabbricazione
di pannelli OLED UHD
In sperimentazione
la produzione
tramite stampa
di Paolo CENTOFANTI
video che possono “interagire” con chi si
sta specchiando o con l’ambiente circostante: la demo presentata da Samsung
mostrava come una cliente potesse provare dei gioielli “virtuali” e valutarne l’abbinamento con vari look. Il Transparent
OLED (immagine di apertura) è pensato
per usi più dedicati alla pubblica utilità,
hotel, reception, retail del lusso: anche
qui l’integrazione con RealSense è totale
e la risoluzione Full HD garantirà la perfetta visione dei contenuti senza nessun
tipo di confusione fra il video e quello
che sono le realtà antistanti e retrostanti
che potranno anche essere modificate
o aumentate grazie all’uso delle videocamere su entrambi i lati del monitor
che permetteranno interazioni ad oggi
impensabili. Dalla fiera di Hong Kong
giunge anche il rumor di un interesse
del mercato automobilistico e di come si
possa sfruttare questa tecnologia nelle
concessionarie per mostrare come può
apparire un’auto equipaggiata o meno di
alcuni optional, ma anche il mondo dell’Interior Design può trarre vantaggi dall’uso di questa tecnologia per gli specchi
2.0 di camere e bagni quando Samsung
vorrà portare il Mirror OLED Display anche sul mercato consumer.
TV E VIDEO Il 55 XT810 ha pannello Ultra HD, processore quadcore e doppio tuner DVB-T2
Hisense ha presentato il suo primo TV curvo
Ha ottime finiture, considerando le caratteristiche del TV il prezzo (1699 euro) è conveniente
H
di Roberto PEZZALI

isense debutta sul mercato dei
TV curvi con il suo primo modello, un 55” con pannello Ultra HD
siglato 55XT810. Il produttore cinese,
dopo la partnership con Loewe, inizia
a sfornare prodotti dotati di un’ottima
qualità costruttiva, di un eccellente
design e di tanta sostanza come dimostra questo TV che dispone davvero di
tutto quello che si può desiderare da
un prodotto moderno. Tralasciando il
pannello 4K curvo, che ad oggi può
essere sfruttato a pieno esclusivamente con le foto, i punti di forza del nuovo
Hisense sono la funzionalità PVR con
TimeShift e la porta USB 3.0 che permette di agganciare un disco veloce.
Il 55XT810 offre 3 ingressi HDMI (di
torna al sommario
Migliora
il rendimento
della produzione
di OLED per LG
cui 2 versione 1.4 e 1 versione 2.0), un
doppio tuner DVB-T2 e DVB-S2 ed è
basato su un processore quadcore
per la gestione di upscaling e smart
TV, quest’ultima basata su linux e con
una serie di applicazioni pre-installate. Il nuovo TV Hisense è in vendita a
1699 euro di listino, un prezzo interessante per chi vuole un TV curvo e lo
vuole con pannello Ultra HD.
Stando a un articolo pubblicato
dal Korea IT Times, LG sta velocemente migliorando l’efficienza
delle linee in cui vengono fabbricati i pannelli OLED per i TV
Ultra HD. Mentre per i tagli da 55
pollici full HD il rendimento ha raggiunto una percentuale dell’80%,
sui modelli Ultra HD i pannelli
“buoni” sarebbero ora circa il 65%
del totale. Un maggiore rendimento si tradurrebbe naturalmente in minori costi di produzione e
quindi in una discesa dei prezzi
finali per i consumatori. L’obiettivo di LG è quello di arrivare entro
fine anno ad avere un rendimento
per i modelli da 77, 65 e 55 pollici
Ultra HD, pari rispettivamente
dell’87%, 85% e 75%. Ma a quanto
pare l’affidabilità della produzione
dei pannelli OLED non è l’unico
problema di LG: anche per l’elettronica di pilotaggio ci sarebbero
dei problemi di scarti, ma anche in
questo caso LG conta di migliorare significativamente la situazione
entro fine anno, con un obiettivo
di rendimento del 95%. Parallelamente, LG sta continuando a investire anche in una nuova linea di
produzione che utilizza il processo di fabbricazione con stampa
a getto, tecnologia che potenzialmente potrebbe accelerare la
discesa dei costi di fabbricazione
dei pannelli OLED. A breve, LG
avvierà una linea pilota a Paju per
testarne l’efficacia.
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15 GIUGNO 2015
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APP Al momento il supporto Chromecast non sembra sia attivato per Android e Windows Phone
Rai TV per iOS si aggiorna a Chromecast
Gli utenti ringraziano: è possibile guardare i contenuti di Rai.TV anche sul TV di casa
di Emanuele VILLA
om’è noto, l’app Rai.TV è quella
che permette agli utenti italiani
di accedere gratuitamente da
dispositivo mobile iOS, Android e Windows Phone alle dirette dei canali Rai,
a Rai Replay per rivedere i programmi dei giorni precedenti, al Video on
Demand di casa Rai e molto altro, tra
cui le Fotogallery e i Trenta Secondi
sui temi di maggiore attualità.
Il limite è ovviamente quello di vedere
il contenuto tramite il display ridotto
del dispositivo mobile, soprattutto se
si dispone solo di uno smartphone.
Ecco perchè Rai, con l’ultimo aggiornamento dell’app per iOS, ha aggiunto
il supporto Chromecast, supporto che
- di fatto - permette a tutti gli utenti di dispositivi Apple di riprodurre i
contenuti dell’app Rai.TV anche sul
C
TV E VIDEO
LG pensa ai
professionisti
con il monitor
21:9 curvo

L’ 34UC97 è la proposta di LG per
il mercato dei monitor. Si tratta
di un 34” 21:9 wide QuadHD di
3440x1440 in grado di riprodurre
il 100% dello spettro colore RGB
ed il 78% di quello Adobe RGB. Il
contrasto dichiarato è pari a 600:1, la
luminosità a 225 lux, lato connessioni
troviamo 2 HDMi, 1 DisplayPort, 2
Thunderbolt, 2 USB 3.0 ed 1 AUX. Il
34UC97 è un prodotto importante,
che strizza l’occhio anche al design
grazie alle rifiniture in cromate di
cornice e piedistallo così come la
parte posteriore in metallo.
Nelle opzioni configurabili con il selettore installato, il 34UC97 presenta
anche 4-Split-Screen che permette la
divisione delle aree di lavoro fino a
4 zone ed esalta quello per cui il monitor ha visto la luce del giorno: il multitasking. La nuova proposta curva di
LG in campo monitor è già disponibile
sul mercato a un prezzo consigliato
di 1.299 euro, tutto sommato in linea
con le realtà di altri competitor.
torna al sommario
Telesystem
TS9020HD
Decoder TivùSat
con doppio tuner
e funzione PVR
Telesystem lancia
un decoder satellitare
certificato TivùSat con
doppio sintonizzatore
e dotato di Wi-Fi
di Roberto FAGGIANO
televisore di casa e con la consueta
semplicità d’uso tipica della “chiavetta” di casa Google. Nessun vincolo
per quanto riguarda il modello, nessun
brand supportato in modo particolare
o esclusivo: basta avere Chromecast
e il gioco è fatto. Non ci risulta invece che il supporto Chromecast sia già
stato attivato nelle versioni Android e
Windows Phone, che molto presumibilmente seguiranno però a ruota la
release per iOS.
TV E VIDEO Sfida le leggi sulla percezione della risoluzione
Dalla Cina super display 82” 10K
di Roberto PEZZALI
S
iamo abituati a sentir parlare di Samsung, LG, AUO, ma questa volta è un
produttore di pannelli cinese a salire agli onori della cronaca. BOE ha infatti
esposto alla Display Week Conference un pannello da 82” in formato 21:9
con l’incredibile risoluzione 10K, 10240x4320 pixel. Basta fare la moltiplicazione
per capire che siamo di fronte a 44 milioni di pixel, una risoluzione impressionante
con un dettaglio che difficilmente l’occhio umano potrà percepire anche ad una
distanza ravvicinata. Con una densità di pixel di 135 ppi questo 82” è probabilmente lo schermo di grandi dimensioni più risoluto esistente al mondo, un grande
traguardo per la Cina che fino a pochi anni fa era reputata da tutti una nazione
capace solo di copiare e non di innovare. Al momento non esiste alcun piano di
produzione di massa, anche perché un display di questo tipo è sostanzialmente
inutile per svariati motivi, ma resta comunque un eccellente esercizio di stile.
Nuovo
decoder
satellitare
per Telesystem, si tratta del
TS 9020HD dedicato agli utenti
TivùSat, offre ricezione programmi in HD e certificazione TivùOn
e altri contenuti interessanti. Si
parte dal doppio sintonizzatore
per le funzioni di PVR su hard disk
esterno e chiavette USB, poi c’è la
connessione Wi-Fi integrata per
poter accedere ai servizi degli
operatori o utilizzare il decoder
come network player in DLNA
sul server casalingo. Tra i servizi
di rete già disponibili ci sono tutti
quelli della Rai e de La7, mentre Infinity e Premium Play di Mediaset
saranno disponibili da settembre.
Per le registrazioni è disponibile
un timer, che può sfruttare anche
l’EPG di Tivùsat. Le dimensioni
del decoder sono molto contenute, solo 26 x 3 x 17 cm (L x A
x P), si è rinunciato al display ma
ci sono due slot per le card di
Tivùsat ed eventuali altri servizi in
abbonamento. In dotazione un telecomando intelligente, in grado
di attivare anche il televisore per
semplificare l’utilizzo quotidiano.
Tra i collegamenti la presa HDMI,
un digitale ottico per l’audio, la
presa di rete cablata, una scart e
una presa USB. Gli ingressi di antenna sono compatibili con sistemi Diseqc e SCR Unicable. Non
ancora comunicato il prezzo.
Concert for one
Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte-
nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli
amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello,
da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il
cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple.
Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi.
www.audiogamma.it
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
MOBILE Al WWDC 2015, Apple ha presentato il nuovo iOS 9, disponibile in beta per gli sviluppatori e in autunno per tutti
iOS 9: autonomia, nuove app e un assistente come Google Now
Parole chiave migliorare la sicurezza, l’autonomia e garantire l’aggiornamento ad iOS al maggior numero di persone possibile
di Roberto PEZZALI
ifficile dire se Apple tenga più ad OS X o ad iOS,
ma è chiaro che il sistema operativo mobile ormai è diventato il prodotto di punta per l’azienda,
quello che garantisce non solo maggiori guadagni ma
assicura anche un ricambio di hardware più costante e proficuo. Non è un caso che i correttivi applicati
alla nuova versione di iOS, la numero “9”, siano andati
principalmente in una direzione: migliorare la sicurezza, l’autonomia e garantire l’aggiornamento ad iOS al
maggior numero di persone possibile. iOS guadagna
moltissime funzionalità, ma sarà installabile senza problemi su tutti i dispositivi che hanno a bordo iOS 8: Apple ha lavorato anche sul processo di upgrade, e proprio per questo gli iPhone e gli iPad con poco spazio
libero sul dispositivo, solitamente quelli da 8 GB o 16
GB, riusciranno lo stesso ad aggiornare “on air” senza
dover liberare spazio. Ogni aspetto va ovviamente approfondito, ma vediamo quali sono le cose “più grosse”
che Craig Federighi ha mostrato dal palco del WWDC
2015. Una premessa è d’obbligo: molte delle cose mostrate da Apple possono sembrare nuove a un pubblico tecnologicamente poco attento, ma in realtà molte
caratteristiche di iOS 9 sono evoluzioni o rivisitazione
di cose che già esistono, siano app o sistemi operativi.
D
La nuova Siri
Un po’ Cortana, un po’ Google Now
iOS 9 guarda soprattutto a autonomia, sicurezza e performance, ma vuole anticipare anche alcuni temi come
l’intelligenza del device e la capacità di predire le necessità dell’utilizzatore facendogli risparmiare tempo.
Siri prende qualcosa da Cortana di Microsoft e qualcosa da Google Now: da suggeritore diventa una sorta
di maggiordomo capace con una nuova interfaccia di
prendere appunti, aggiungere appuntamenti e ricordarsi momenti. Questo vuol dire che basta dire “ricordami
questa cosa quando arrivo a casa” e automaticamente
Siri memorizzerà quello che stiamo facendo con l’iPhone e lo ricorderà quando ci avviciniamo a casa. Siri può
cercare anche nelle applicazioni, tra le foto, e può farlo
molto più rapidamente: rispetto allo scorso anno, gra-

iOS 9 cerca di battere l’83% di adozione del sistema operativo attuale, e lo fa con tante piccole
novità.
torna al sommario
zie ad algoritmi più raffinati e nuove server farm, è in
grado di rispondere il 40% più velocemente e accuratatamente. Insieme a Siri, Apple ha aggiunto anche un
assistente intelligente che prende decisioni in autonomia basandosi su dati aggregati come fa Google Now:
aggiunge appuntamenti che arrivano in mail o via SMS,
suggerisce quando partire per un meeting analizzando
il traffico e prova pure a indovinare a chi appartiene un
numero sconosciuto scansionando la mail.
Tutto questo viene fatto tuttavia nel pieno rispetto della
privacy, senza inviare dati a server esterni o a terze parti: se servono informazioni come quelle sul traffico i dati
vengono richiesti in modo anonimo, e nulla secondo
Apple è riconducibile al singolo utente. L’algoritmo di
ricerca, in ogni caso, non è cloud based ma installato in
iOS, quindi in locale: con Google tutto viene inviato ai
server di Mountain View.
con la possibilità di creare liste facilitate, di aggiungere
foto e il “disegno”: si possono prendere appunti con
le dita. Mappe, molto criticato al momento del lancio,
gestisce ora in modo perfetto i trasporti pubblici, con la
cartografia e gli orari dettagliati di mezzi di superficie,
treni e metropolitane delle maggiori città al mondo. In
Europa si parte con Berlino e Londra, niente Roma e
niente Milano. L’Italia resta esclusa anche da altri due
servizi: Apple Pay, rinnovato con la nuova app “Wallet”,
sbarca in UK a luglio mentre News, la nuova app in stile
“Flipboard” arriverà in Usa, UK e Australia.
segue a pagina 20 
Search e le app preinstallate
Apple ha rivisto anche il “search”: una nuova schermata accessibile con uno “swipe” verso destra della home
mostra suggerimenti interattivi e cerca anche nelle applicazioni installate grazie ad un nuovo set di api messe a disposizione degli sviluppatori. Questo vuol dire
che cercare un paio di scarpe con “spotlight” equivale a cercarle anche all’interno delle app di shopping
installate sull’iPhone se lo sviluppatore ha previsto
l’opzione. Apple ha rivisto anche una serie di applicazioni pre installate: Note guadagna la formattazione
Le novità per iPad e le nuove API
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15 GIUGNO 2015
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MOBILE Swift, il linguaggio di programmazione lanciato da Apple lo scorso anno arriva alla seconda versione e diventa Open Source
Apple rende Swift open source, ma non poteva fare altrimenti
Una mossa obbligata per tenerlo vivo, ma per chi sviluppa app cambia poco: Xcode e il Mac resteranno sempre indispensabili
P
di Roberto PEZZALI
er molti, il più grosso annuncio
di Apple al keynote del WWDC
è stata la decisione di rendere
Swift, il suo linguaggio di programmazione, open-source. Una mossa
però quasi obbligata: tutti i grandi
linguaggi di programmazione sono
open-source e senza questa decisione probabilmente Swift sarebbe
stato relegato ad un ambito esclusivo
Apple, senza possibilità di crescita in
altri settori. Swift, tuttavia, è molto più
completo e flessibile: non serve solo
a sviluppare applicazioni, teoricamente potrebbe essere usato anche
come linguaggio di programmazione
web e di server scripting. Apple vuole
spingere un numero sempre maggiore di sviluppatori a usare Swift, e per
farlo ha bisogno anche di sviluppatori
e contributor che possano aiutarla
a far evolvere il codice, migliorando
prestazioni e correggendo bug. La
decisione di rendere Swift open-source al momento interessa solo una piccola nicchia di sviluppatori, probabilmente i più bravi, che hanno tempo e
hanno voglia di plasmare insieme ad
Apple il futuro di questo promettente
linguaggio. È tuttavia necessario raffreddare un po’ di entusiasmi: Apple
rilascerà il codice sorgente di Swift e
del compilatore per OSX e Linux, ma
questo non vuol dire che sarà possibile sviluppare
applicazioni
per iOS o OSX
senza possedere un Mac: il
framework (che
rappresenta il
95% delle app),
gli strumenti di
sviluppo come
Xcode e tutto
quello che ser-
ve per un progetto resteranno closed
e di proprietà di Apple. Non ci sarà
mai quindi uno strumento per sviluppare app iOS per Windows o Linux,
ma paradossalmente Microsoft e
Google potrebbero adottare Swift
come linguaggio di programmazione per Windows o Android. Questa
mossa di Apple è obbligata se non
si vuole uccidere un promettente
linguaggio, tuttavia per chi sviluppa app cambia ben poco: Xcode e
il Mac restano e resteranno sempre
indispensabili.
MOBILE
iOS 9: tutte le novità
segue Da pagina 19 

Novità più sostanziose per iPad: geniale la nuova
tastiera con shortcut per copia e incolla e possibilità
di diventare un trackpad appoggiando due dita sullo schermo, bella la nuova modalità multitasking che
gestisce sidebar, split screen e picture in picture per
i video. Nulla di nuovo sia chiaro, abbiamo già visto
molti di questi concetti sui tablet Android Samsung,
tuttavia Apple è riuscita migliorare alcune idee rendendole facili da utilizzare e accattivanti dal punto di
vista grafico. Purtroppo questa modalità sarà disponibile solo iPad Air e iPad Air 2, e alcune modalità del
multitasking come lo “Split View simultaneous app”
torna al sommario
funzioneranno solo sull’Air 2. iOS 9 nasconde poi molti miglioramenti a livello “Foundation”, uno dei layer
che compongono il core del sistema operativo: Apple
promette un’ora in più di autonomia e una nuova modalità risparmio che assicura 3 ore in più spegnendo
servizi accessori. Come per ogni versione di iOS anche la 9 porta poi in dote centinaia di nuove API, miglioramenti ai framework esistenti e nuovi framework:
HealthKit guadagna nuovi parametri di misurazione
come l’esposizione ai raggi UV, il ciclo mestruale e
l’idratazione, e lo stesso HomeKit si prepara al grande controllo della casa con la gestione di ogni tipo
di sensore possibile.Inoltre Apple ha implementato
il controllo dei dispositivi HomeKit tramite iCloud:
sarà possibile gestire videocamere, termostati e altro
ancora da remoto passando dai server Apple senza
appoggiarsi a servizi proprietari. È una prima integrazione, ma ancora per Apple non è tempo di gestire i
dispositivi di casa in modo centralizzato.
Novità anche per CarPlay: oltre al wireless Apple darà
la possibilità ai produttori di auto sviluppare le app di
sistema dei veicoli su CarPlay: sensori di parcheggio,
videocamere, impostazioni del veicolo saranno integrati come già oggi succede sui sistemi di infotainment usati dai maggiori produttori, e questo dovrebbe
spingere l’adozione del sistema.
iOS 9 sarà disponibile in beta per gli sviluppatori: il rilascio avverrà contestualmente con il lancio dei nuovi
iPhone in autunno.
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
MOBILE Apple Watch non è ancora uscito in tutto il mondo e c’è già la seconda versione del SO
watchOS 2, ecco le app native su Apple Watch
La novità più importante sono le app native per gli sviluppatori, per realizzare i programmi
di Paolo CENTOFANTI
on l’App Store che ha raggiunto e
superato la pietra miliare dei 100
miliardi di app scaricate, non sorprende che una delle maggiori novità
presentate da Apple alla WWDC riguardi
l’arrivo delle app native su Apple Watch.
Direte: “ma come, non ci sono già le app
per Apple Watch”? Si è no. Fino ad ora,
infatti, le app per lo smart watch di Apple
- che è sul mercato da appena 6 settimane - non sono che un’estensione di quelle installate sull’iPhone a cui l’orologio è
connesso: l’interfaccia è sul Watch, ma
tutta la logica gira sullo smartphone.
Con il nuovo watchOS, questo ufficialmente il nome del sistema operativo
dello smart watch, arrivano invece le app
native, che girano cioè al 100% sull’orologio, app vere e proprie insomma. Poter
realizzare delle app native vuol dire infatti per gli sviluppatori avere un accesso più completo all’hardware dell’Apple
Watch e quindi la possibilità di realizzare
programmi potenzialmente più versatili.
Tutte le novità arrivano con già una
nuova versione di watchOS, la numero
2, che include innanzitutto alcuni miglioramenti alle app di base e al funzionamento del Watch. Per cominciare ci
sono più possibilità di personalizzazione per i quadranti dell’orologio. C’è una
nuova modalità foto album, che dipinge
le lancette dell’ora su foto o galleria di
foto a piacere, più dei time laps creati
appositamente da Apple. La novità più
importante da questo punto di vista è la
possibilità per gli sviluppatori di creare
“complicazioni” ad hoc in aggiunta a

C
torna al sommario
quelle già previste da Apple, per personalizzare ancora di più il quadrante
dell’orologio.
Altre novità riguardano la possibilità di
rispondere alle email direttamente da
Watch, le chiamate FaceTime Audio,
utilizzare la corona per visualizzare su
quadrante non solo gli appuntamenti
imminenti, ma anche quelli passati o futuri, creazione di più gruppi per i contatti
preferiti da accedere velocemente per
telefonate e messaggi. SIRI diventa più
intelligente anche su Apple Watch, con
accesso alla nuova finzione transit di
Mappe per iOS, ma permette di aprire
anche glances e avviare attività di fitness
con l’app nativa utilizzando linguaggio
naturale (“avvia una corsa di 5 Km”). E arriva HomeKit anche su Apple Watch, con
controllo via SIRI dei dispositivi compatibili sulla propria rete.
Anche su Apple Watch arrivano le novità
di Apple Pay, che ora è abilitato per virtualizzate carte fedeltà e promozionali
dei negozi, oltre alla nuova modalità
notte, che essenzialmente consiste in
un nuovo layout orizzontale del quadrante di stand-by durante la ricarica
dell’orologio, che lo trasforma anche
in una mini sveglia da tavolo. La novità maggiore riguarda però appunto
l’accesso completo al dispositivo per
gli sviluppatori di terze parti. Le app di
fitness, ad esempio, potranno ora girare al 100% sul Watch con porte aperte
ai dati biometrici di healthkit e quindi
al cardiofrequenzimetro integrato nell’orologio. Inoltre tutte le app “sportive”
potranno registrare le prestazioni all’interno dell’app Attività di watchOS.
Gli sviluppatori potranno ora sfruttare
direttamente anche l’accelerometro, la
corona digitale, il taptic engine, il microfono, l’altoparlante, riprodurre video,
insomma tutto l’hardware disponibile
e quindi creare qualsiasi tipo di app
venga loro in mente. Secondo Apple
le app native saranno molto più veloci
di quelle realizzate con l’attuale versione
dei tool di sviluppo (visto che non funzionano più in tethering) senza significativi impatti sulla durata della batteria,
un aspetto questo tutto da verificare sul
campo. Da notare che con watchOS 2, lo
smart watch acquisisce anche l’abilità di
collegarsi direttamente alla rete senza lo
smartphone, sfruttando una qualunque
rete WiFi già conosciuta (le cui credenziali cioè sono già state memorizzate da
iPhone). Quale potrà essere l’impatto
sull’evoluzione dell’Apple Watch l’arrivo
delle app native lo sapremo solo in autunno, quando watchOS 2 arriverà come
aggiornamento gratuito su tutti i dispositivi, insieme alle nuove applicazioni.
Come ha ricordato Tim Cook durante
la presentazione, l’esperienza d’uso di
iPhone è cambiata radicalmente quando
è stato lanciato l’App Store; vedremo se
lo stesso accadrà con lo smart watch.
Il 26 giugno
Apple Watch
arriva in Italia
Apple Watch arriverà in
Italia il 26 giugno
Apple ha inserito
l’Italia nell’elenco
dei “sette nuovi Paesi”
in cui lo smartwatch
verrà commercializzato
di Emanuele VILLA
Apple Watch sarà disponibile in
Italia a partire dal 26 giugno. Lo
comunica l’azienda stessa, che
ha inserito l’italia nell’elenco dei
7 Stati che vedranno Apple Watch nei negozi a cavallo dell’estate. Come noi, anche il Messico,
Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svizzera e Taiwan avranno
disponibilità di Apple Watch dal
26 giugno: le vendite inizieranno sì nell’Apple Store Online, ma
ora anche negli Apple Store fisici
e presso i rivenditori autorizzati.
Tra questi si segnala, per l’Italia,
10 Corso Como a Milano, che
per l’occasione allestirà una selezione di Apple Watch il giorno
del lancio. Nel medesimo comunicato stampa, Apple afferma di
aver fatto importanti passi avanti nell’evadere tutti gli ordini in
sospeso: l’azienda sostiene che
tutti gli ordini piazzati nel mese
di maggio, con la sola eccezione
dell’Apple Watch da 42 mm con
finitura Space Black e analogo
cinturino, verranno spediti entro
due settimane, quando inizieranno anche le vendite presso gli
Apple Retail Store.
Apple Watch arriverà in Italia in
tutte e tre le versioni, quella sportiva, la versione Watch con cassa
in acciaio e cinturino metallico
fino all’edizione Watch Edition
realizzata in leghe d’oro rosa o
giallo 18 carati. I prezzi di listino
verranno comunicati in seguito o
pubblicati nell’Apple Store Online: in attesa di dati ufficiali, possiamo supporre un prezzo di listino (di partenza) di 399 euro per
la versione sportiva, da 649 euro
per Watch e oltre 10.000 euro per
Watch Edition, che nelle versioni
più pregiate potrebbe raggiungere i 18.000 euro.
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MOBILE Possibile che gli smartphone che costano poco siano tutti uguali? Macché: basta indagare per scovare delle “perle”
I migliori smartphone “poca spesa e tanta resa”
Siamo andati alla ricerca di prodotti “top” nella fascia dei 200 euro di listino e cercato di capire il loro prezzo di mercato
di Emanuele VILLA
pesso e volentieri ci troviamo a parlare di quei 3 o
4 smartphone che monopolizzano il mercato: iPhone 6, Galaxy S6, LG G4, Xperia Z3 (ora Z3+), HTC
One e via dicendo. Anche perché l’immagine che il resto
del mercato dà di sé è abbastanza grigia: tanti telefoni
più o meno grandi, dalle caratteristiche fotocopiate e
senza brio, soprattutto nella gamma medio/bassa. Talvolta ci capita, infatti, di non dare la notizia di un nuovo
smartphone da 200 euro perché troppo simile a un altro, troppo uguale a tutti quelli di questa fascia, come se
avere un budget limitato significasse dover acquistare
un solo modello, semplicemente prodotto da più aziende e con un logo diverso sul frontale.
In realtà non è così, ma bisogna indagare: il mercato
dei 200 euro di listino, quello che pensa a ottimizzare il
rapporto qualità/prezzo, è immenso sia in termini di proposte che di bacino d’utenza, e se è vero che la base
è una sorte di Guerra dei Cloni, ci sono proposte che
riescono a differenziarsi. Peccato che non sia facile trovarle: se in gamma alta si deve decidere tra 4 o 5 modelli
ben conosciuti, qui ce ne sono centinaia. E poi c’è tutto
il capitolo delle offerte: ponendo il nostro target a 200
euro con una piccola tolleranza verso l’alto, l’unico elemento oggettivo è il prezzo di listino, ma poi sappiamo
quanto questo possa discostarsi da quello del negozio,
a seconda delle singole offerte. Siamo quindi andati alla
ricerca di questi prodotti “top” nella fascia dei 200 euro
di listino, e poi abbiamo anche cercato di capire quale
fosse il loro prezzo di mercato.
S
Asus Zenfone 2. La rivelazione
Abbiamo appena provato il
modello ZE551ML, quello
con processore Atom quadcore e 4 GB di RAM, rilevandone un eccezionale rapporto qualità/prezzo, ed
estendiamo la medesima
valutazione anche al modello di base, che è sempre
uno Zenfone 2 ma con codice prodotto ZE500CL.
Il motivo è semplicissimo: trovare a 179 euro di listino
uno smartphone da 5’’ con risoluzione HD (1280 x 720) e
processore Atom Z2560 da 1.6 GHz, 2 GB di RAM (cosa
incredibile per questa fascia di prezzo) e 16 GB di flash
eMMC è un’impresa davvero ardua.
Anche perchè non stiamo parlando del prezzo di un volantino ultrascontato, ma quello di partenza. Altra cosa
da non trascurare è il sistema operativo: c’è già Android
Lollipop, supportato dal “solito” elenco di sensori, tecnologie di connettività e una batteria da 2.500 mAh. Unico
limite? Il fatto che, essendo appena uscito, le offerte online e in negozio - non sono un granché: l’ipotesi più
probabile è che oggi lo si paghi una cifra simile al listino,
ma è comunque un affare. Eventualmente tra qualche
mese la situazione potrà cambiare, in meglio.
• Perché considerarlo? Perché per 179 euro di listino un
Atom da 1.6 Ghz con 2 GB di RAM e 16 GB di storage è
davvero un affare.
• A chi è dedicato: a chi vuole mescolare convenienza
massima con una discreta longevità.
• Prezzo di listino: 179 euro
• Prezzo medio di mercato: circa 170 euro
Moto G - Seconda generazione
La conferma
Se si vuole andare sul sicuro, un bel Moto G di seconda generazione e ci si toglie il fastidio. Qui c’è solo
un problema: il fatto che di
Moto G non ce n’è solo uno
ma diversi, visto che l’azienda lo aggiorna con una certa costanza senza cambiargli nome. Il primo è del 2013, poi è arrivato quello di
seconda generazione (2014) e si attende quello di terza
all’IFA di Berlino, ma nel frattempo è comparsa anche la
variante LTE a rendere un po’ più caotico il quadro. Resta
il fatto che si tratta di uno dei prodotti di maggior successo di sempre nella fascia del 200 euro: estetica curata,
possibilità di sostituzione della cover posteriore colorata,
processore snapdragon 400, 1 GB di RAM, slot microSD,
display da 5’’ HD, supporto reti LTE e Android Lollipop
non sono propriamente caratteristiche comuni a tutti i
prodotti da 200 euro di listino. Il suo successo, le recensioni positive da parte degli utenti (che sottolineano
come l’esperienza sia senza intoppi e molto simile a
quella di Android stock dei terminali Nexus di Google)
fanno sì che ci siano svariate offerte, anche se di solito
sui modelli precedenti o non LTE. La variante LTE si trova
a poco meno di 200 euro.
• Perché prenderlo in considerazione: è un’istituzione
nel mondo low cost. Affidabile, dalle caratteristiche “giuste”, completo di tutto. C’è anche Dual SIM.
• A chi è dedicato: chi vuole un’esperienza Android
“stock” e vuole prestazioni più che degne per questa
fascia di prezzo.
• Prezzo di listino: annunciato a “meno di 200 euro”
• Prezzo di mercato: come il listino, circa 200 euro
Wiko WAX 4G. Gaming al giusto prezzo
Altra proposta un
po’ defilata rispetto ai “soliti noti”
ma meritevole di
menzione. Wiko
Wax 4G è uno
smartphone
da
199 euro di listino,
lo si trova tranquillamente a poco
più di 150 (anche
su Amazon) ed è
uno dei pochissimi con processore Nvidia Tegra 4i quad-core da 1,7
GHz con 1 GB di memoria al seguito. Pur rimanendo
all’interno della fascia media, il terminale è così più che
scattante nella routine di tutti i giorni, supporta le reti
LTE e mostra un’anima grintosa quando si tratta di gaming. I limiti sono legati principalmente allo storage, di
appena 4GB (c’è comunque l’immancabile slot micro
SD), e il fatto che il sistema operativo sia “solo” un Android Jelly Bean 4.3. Nota positiva invece sul fronte del
design, decisamente curato per essere una proposta
da meno di 200 euro, e a livello fotografico, dove Wax
4G può proporre un modulo principale da 8 mpixel con
Flash LED e uno frontale da ben 5 Mpixel per i selfie.
Le dimensioni sono “giuste” in virtù del tipo di apparecchio: 4,7’’ di diagonale del display, con risoluzione
1280 x 720 (HD).
• Perché prenderlo in considerazione: è prodotto
scattante, con un buon processore e un design interessante.
• A chi è dedicato: chi vuole un prodotto discreto da
usare anche come strumento di svago
• Prezzo di listino: 199 euro
• Prezzo medio di mercato: 160-190 euro

segue a pagina 24 
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15 GIUGNO 2015
MOBILE
I migliori smartphone da 200 euro
segue Da pagina 23 
NGM Forward Endurance
3 giorni di autonomia
Bisogna spendere 219 euro stando allo store ufficiale, ma chi odia
ricaricare lo smartphone ogni
sera ha finalmente risolto i suoi
problemi. Senza contare che al
momento su Amazon è proposto
a 195 e 200 euro e rientra così
perfettamente nel nostro target.
NGM Forward Endurance è un
telefono ampio, da 5’’ con display HD e processore quadcore da 1.3 GHz, ma è soprattutto la batteria da 5.000 mAh ( ! ) a differenziarlo dalla
media e a permettergli un’autonomia dichiarata di 3
giorni di utilizzo. Si parla di 1.000 ore di stand by ma
la cosa che ci interessa è il fatto di non doverlo ricaricare ogni sera: tre giorni sono un record notevole.
Il design è piuttosto standard e si parla di 10 mm di
spessore, che in questa fascia sono un po’ più della
media ma neanche un’esagerazione. Il resto delle caratteristiche tecniche è in linea con il tipo di prodotto,
anche se 8 GB di storage sono leggermente sopra la
media e anche la fotocamera da 12 mpixel con flash
LED colpisce positivamente. 1 GB di RAM e lo slot micro SD sono normali mentre leggermente sottotono
il sistema operativo KitKat e l’assenza di connettività
LTE.
• Perché prenderlo in considerazione: costa poco
e ha caratteristiche allineate alla fascia di prodotto,
con in più un’autonomia da record.
• A chi è dedicato: chi viaggia molto, non ha sempre
una presa elettrica a disposizione e non vuole portarsi dietro un battery pack
• Prezzo medio di listino: 219 euro
• Prezzo di mercato: 195/200 euro
HTC Desire 620
Il selfiephone Dual SIM

Ecco una buona idea
per chi vuole “stare nel
200 euro” e acquistare
un telefono completo
di tutto. Desire 620G ci
ha convinto inizialmente per l’aspetto estetico: anche se i materiali
non sono quelli dell’HTC One, è molto difficile distinguerli, nonostante l’impatto sulle
finanze sia molto diverso. Tra l’altro è un Dual SIM con display ampio da 5’’,
risoluzione HD di 1280 x 720 pixel e processore Mediatek MT6592 Octa-core. Cosa lo distingue dalla
massa oltre all’estetica, è senza dubbio la capacità
di storage di 8 GB espandibile con micro SD, e il
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comparto fotografico: se c’è passione per i selfie,
questo è sicuramente un telefono ad hoc. Ce lo suggerisce la fotocamera frontale da 5 mpixel con capacità di ripresa 1080p, mentre il modulo principale è un 8
mpixel con flash LED.
La batteria è da 2.100 mAh, non un granchè ma va anche considerato che la componentistica non consuma
chissà quanto: HTC dichiara 525 ore in standby e 19
ore di conversazione. Di fatto, si tratta di un telefono
che arriva a sera, ma poi va sempre ricaricato. Aspetti
negativi il fatto che non sia aggiornato a Lollipop (monta
Android KitKat) e il mancato supporto per le reti LTE.
• Perché prenderlo in considerazione: è un bel telefono, curato a livello estetico, con doppia SIM e comparto fotografico di buon livello
• A chi è dedicato: chi pensa che l’aspetto sia importante e vuole un telefono versatile e conveniente
• Prezzo di listino: 229 euro
• Prezzo medio di mercato: 200/220 euro
Samsung Galaxy S3 Neo
Campione di qualità/prezzo
Consigliare un telefono che
si chiama Samsung Galaxy
S3 Neo quando siamo tre
generazioni dopo può sembrare un controsenso, ma
più abbiamo approfondito la
questione, più ci siamo resi
conto che l’S3 Neo non solo
ha ancora molto da dire, ma
è decisamente più appetibile di tante soluzioni di ultima
generazione. Non per niente
è uno dei telefoni più venduti dello scorso anno. Il nome
non deve indurre in errore: il
modello che ci interessa (nome in codice GT-I9301I) è
uscito nel 2014 ed è quindi abbastanza recente. Nonostante sia proposto a un prezzo di listino di 229 euro, le
offerte si sprecano al punto da raggiungere anche i 150
euro senza grosse difficoltà.
Quello che stupisce sono le caratteristiche del prodotto: 150 euro per un display Super AMOLED da 4,8’’
non si è mai visto, mentre a muovere il tutto c’è uno
Snapdragon 400 da 1.4GHz quad-core, più che sufficiente considerando che il display è HD. Ci si aspetterebbe una memoria da 1 GB ma anche qui si va oltre:
1,5 GB per un po’ più di brio nei momenti difficili, il tutto
supportato non da 4 nè da 8, ma da 16 GB di memoria
di storage. Non manca lo slot micro SD per l’espansione di memoria e la doppia fotocamera, da 8 mpixel e
1,9 mpixel frontale: ecco, a volergli trovare un difetto
potremo proprio individuare il comparto fotografico,
progettato prima che la moda dei selfie prendesse
piede. Purtroppo non c’è lollipop ma Android KitKat e
manca supporto LTE, ma per il resto troviamo un valore
sulla carta ben superiore alla media.
• Perché prenderlo in considerazione: il rapporto qualità/prezzo è elevato, nonostante non sia recentissimo
• A chi è dedicato: chi vuole spendere poco (grazie
alle offerte sul mercato) ma vuole buone prestazioni
e non ha particolari esigenze fotografiche
• Prezzo di listino: 229 euro
• Prezzo medio di mercato: 165/180 euro
LG Spirit 4G LTE. Tutto a poco
LG è nota soprattutto per i suoi top
di gamma, ovvero il G4 e la variante curva G Flex 2. Ma in realtà
l’azienda coreana può vantare una
formazione completa di smartphone Android, e ce n’è davvero per
tutte le tasche. Sfogliando il catalogo, ha colpito la nostra attenzione
un modello di ultima generazione,
dalle caratteristiche tecniche di
medio livello ma completo di tutto:
Spirit 4G LTE. Il prezzo di listino è
di 179 euro, meno della media di
questa rassegna, e non è difficile trovarlo a 150 euro
nelle varie offerte disponibili, online e in negozio. Ci ha
colpito perchè, oltre a richiamare il look dei top di gamma LG, è già aggiornato ad Android Lollipop 5.0.1 (tutt’altro che una certezza in questa fascia), supporta le reti
LTE e ha un display IPS da 4,7’’ leggermente curvo con
risoluzione HD. Il processore è uno snapdragon di fascia
media, il 415 con architettura 64bit per supportare tutte
le feature di Android 5.0 e successivi. Non manca una
batteria da 2.100 mAh, 1 GB di RAM e 8 GB di storage
integrato, espandibile con memorie micro SD.
• Perché prenderlo in considerazione: LTE, Android Lollipop e un ampio display IPS non si trovano facilmente
per 179 euro di listino.
• A chi è dedicato: chi vuole essere al passo coi tempi
nonostante la convenienza.
• Prezzo di listino: 179 euro
• Prezzo medio di mercato: 155/179 euro
Lumia 640 LTE. Tuttofare con grinta
Qui si apre un capitolo diverso: com’è noto Windows Phone ha l’indubbia dote di “regalare” prestazioni invidiabili
anche su terminali con hardware di fascia media e bassa:
da questo, e dalla completezza di un sistema operativo
che ormai non soffre di alcuna
inferiorità rispetto ad Android
e iOS, deriva il successo dei terminali “base” targati Microsoft. Uno degli ultimi in ordine di tempo, prezzato 199
euro di listino ma facilmente reperibile al di sotto dei 180,
è il Lumia 640 LTE, un modello coloratissimo, come da
tradizione del brand, con un display molto ampio (5’’ IPS,
1280 x 720 pixel), già aggiornato a Windows Phone 8.1 e
col “classico” snapdragon 400 quad-core da 1.2 GHz. Il
tutto supportato da 8 GB di storage espandibili con micro SD fino a 128 GB. A livello fotografico è un prodotto
di fascia media: può contare su una fotocamera principale da 8 mpixel con Flash LED e una grandangolare da
0.9 mpixel frontale per i selfie. Siamo certi che a livello di
longevità non ha nulla da invidiare a modelli più costosi.
• Perché prenderlo in considerazione: LTE, ultima versione di Windows Phone, display ampio e buona versatilità.
• A chi è dedicato: chi vuole entrare nel mondo Windows Phone, non cerca le massime prestazioni ma buona versatilità e longevità
• Prezzo di listino: 199 euro
• Prezzo medio di mercato: 179/189 euro
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15 GIUGNO 2015
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MOBILE La gamma di fitness tracker indossabili di Jawbone si amplia con il lancio di UP2
Jawbone UP2, il compatto Smart Coach da polso
Il coach da polso completo per prepararsi alla prova costume mantenendo alta la motivazione
J
Pubblicando per errore
la nuova app di gestione
Sony ha (forse) rivelato in
anticipo l’aspetto
della SmartBand 2
Il design è classico e
tra le novità l’istantanea
della tua giornata
e il sensore di battito
cardiaco
di Andrea ZUFFI
awbone ha lanciato ieri a livello
mondiale UP2, il nuovo dispositivo
indossabile dedicato al monitoraggio dell’attività fisica. Il braccialetto, che
rappresenta una evoluzione del modello
UP24 è stato completamente rivisto nel
design. La struttura, più compatta del
45 % rispetto a UP3, del quale ricorda
l’aspetto, è realizzata in alluminio anodizzato per risultare più elegante e discreta
al polso.
Oltre alle funzionalità classiche comuni a suoi predecessori come il tracking
delle attività di fitness, la sveglia che
tiene conto del ciclo naturale del sonno,
o i promemoria che invitano a muoversi
quando si è inattivi per un certo periodo
di tempo, UP2 integra Smart Coach, un
sistema intelligente che impara dalle abitudini dell’utente per poi fornire consigli
personalizzati. Smart Coach, analizzando
per esempio l’ora in cui si va a dormire,
potrà fornire obiettivi più “sfidanti” per le
giornate in cui si è riposato di più.
UP2 rileva i movimenti tramite accelerometro a 3 assi e dispone di tre singoli
di Massimiliano ZOCCHI
LED colorati: blu per il sonno, arancione
per l’attività e bianco per le notifiche; si
connette a tablet e smartphone tramite
Bluetooth Smart e, grazie all’app e alla
piattaforma online, permette di ampliare
l’esperienza d’uso con statistiche e suggerimenti specifici per perseguire i propri obiettivi personali, come la perdita di
peso, il miglioramento della qualità del
sonno e altro. Con il motore a vibrazione
di cui è dotato, Jawbone UP2 è possibile
essere svegliati o ricevere notifiche di
vario tipo. È inoltre possibile impostare promemoria personalizzati come ad
esempio per ricordare il momento in cui
deve essere assunto un farmaco.
Il nuovo wearable di Jawbone è resistente agli spruzzi d’acqua e ha un’autonomia dichiarata pari a 7 giorni. UP2 è già
acquistabile sul sito jawbone.com e sarà
disponibile sui principali siti di e-commerce e nei negozi a partire da metà
giugno. Il prezzo al pubblico è fissato a
119,99 euro.
MOBILE Microsoft annuncia la nuova versione del suo entry level phone, Nokia 105, a 20 euro
Lo smartphone Nokia che dura 35 giorni e costa 19 €
Ha uno schermo a colori, 2 giochi preinstallati e un’autonomia di 35 giorni in stand-by
di Roberto PEZZALI
irca 20 euro per metterlo in tasca
e 35 giorni per farlo scaricare, numeri da fare impallidire un moderno smartphone. Microsoft rispolvera il
brand Nokia per lanciare il nuovo Nokia
105, versione rivista e corretta del vendutissimo Nokia 105 lanciato nel 2013 al

C
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Sony sbadata
È questa la
SmartBand 2?
Mobile World Congress. Apprezzato soprattutto nei paesi emergenti, il nuovo
Nokia mantiene brand e nome che lo
hanno reso famoso ma aggiunge funzionalità importanti, senza toccare però
quei due elementi che lo hanno reso
così attraente, prezzo e autonomia.
Tra le novità una rubrica ampliata a
2000 contatti, una qualità audio migliorata durante le chiamate, una batteria
più potente che assicura 15 ore di conversazione e la disponibilità di una variante dual SIM. Nokia 105 non è ovviamente touch screen e non è neppure
3G, ma ha un modulo radio 2G e uno
schermo da 1.45” a colori; non mancano “utility” come la torcia nella parte
alta e la radio FM, indispensabile per
ascoltarsi un po’ di musica in assenza
di servizi di streaming. Con il Nokia 105
ci sarà anche la possibilità di giocare:
Snake Xenzia e Bubble Bash 2 saranno
i due giochi gratuiti preinstallati.
Disponibile in ciano, nero e bianco il
nuovo Microsoft Nokia 105 è pensato per i paesi in via di sviluppo ma è
probabile che la distribuzione venga
ampliata a tutti i mercati inclusa l’Italia,
dove il suo predecessore ha avuto un
discreto successo.
Ultimamente gli errori e le pubblicazioni “sbadate” sono all’ordine
del giorno, e Sony non sia esente
da questo problema. Ancora non è
stata annunciata, ma (qualora non
si tratti di uno scherzo di dubbio
gusto) conosciamo già l’aspetto
della SmartBand 2 proprio a causa
di un errore. Per alcune ore infatti è
comparsa sul Play Store la nuova
Companion App con tanto di foto
del prodotto. L’app è stata prontamente rimossa, ma chi è riuscito a
visualizzarla ha potuto anche scaricarla e installarla regolarmente,
anche su smartphone diversi dagli
Xperia di Sony. La foto del prodotto è solo una e non si vede la parte
superiore quindi non possiamo sapere se ci sarà un display per la gestione delle informazioni di base.
Quello che si nota, invece, è la presenza del sensore per il battito cardiaco. Mancando ancora il device,
l’app non può essere configurata a
dovere ma si possono già scoprire
alcune cose come lo smart wake
up, probabilmente una sorta di
sveglia intelligente, e la funzione
snapshot per creare una “istantanea” dei dati raccolti per avere un
quadro preciso di particolari momenti. Quando un’app è in stato
così avanzato ci si può aspettare
l’uscita del prodotto a breve, ma
Sony al momento non ha rilasciato
nessuna dichiarazione.
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15 GIUGNO 2015
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PC All’appuntamento annuale con la WWDC, Apple ha annunciato la nuova versione di OS X, il sistema operativo desktop dei Mac
Apple ottimizza Yosemite con OS X El Capitan
Le novità riguardano l’ottimizzazione delle prestazioni rispetto a Yosemite, con l’introduzione delle API grafiche Metal
di Paolo CENTOFANTI
ome ogni anno la WWDC è l’appuntamento per
le novità sul fronte OS X, il sistema operativo
desktop dei Mac. L’anno scorso era stata la
volta di Yosemite, il più grande aggiornamento della piattaforma Mac da anni a questa parte: un nuovo
tema grafico, varie funzionalità di continuity e tanto
altro ancora. .
Per il 2015, Apple ha voluto puntare sul raffinamento
della versione precedente, un po’ come aveva fatto
anni fa con Snow Leopard, piuttosto che introdurre un
grosso numero di nuove funzionalità. Ecco allora arrivare OS X El Capitan, dal nome del famoso monte all’interno del parco di Yosemite, a indicare la vicinanza
tra i due sistemi operativi. Le ottimizzazioni di El Capitan riguardano essenzialmente due linee d’azione:
raffinamento dell’esperienza d’uso e miglioramento
delle prestazioni.
La presentazione è stata molto veloce e Greg Federighi si è soffermato solo su alcuni piccoli raffinamenti dell’interfaccia di OS X. La prima novità riguarda
Spotlight, il motore di ricerca integrato di OS X, che
acquisisce la facoltà di apprendere richieste di ricerca
in linguaggio naturale, non solo dall’interfaccia principale, ma anche in ogni programma in cui compare la
casella di Spotlight.
Piccoli miglioramenti anche nella gestione della finestra principale, ma che rendono più pratico il suo
utilizzo, e nella ricerca di risultati non solo tra i propri
documenti, ma anche da fonti online.
Mail acquisisce nuove gesture che arrivano direttamente dall’app per iOS, compresa una nuova modalità a tutto schermo, con la stessa finestra di composizione che può essere messa in secondo piano senza
uscire dalla vista a schermo pieno e che acquista
anche la possibilità di avere più tab aperte contemporaneamente. Parlando di modalità a tutto schermo,
Apple ha rivisto il sistema di gestione delle finestre
Mission Control, che torna a essere semplice e intuitivo com’era quando si chiamava semplicemente Exposé prima di OS X Lion. Più semplice vedere tutte le
finestre aperte e passarle su un altro desktop, mentre
arriva anche la modalità split screen, che consente di
C
aprire due finestre una di fianco all’altra in modalità
tutto schermo.
Infine piccoli miglioramenti per Safari, che acquisisce
alcune funzionalità disponibili da tempo su Chrome,
come la possibilità di “pinnare” delle tab, permettendo di tenere sempre aperti e a portata di mano i siti
web che si frequentano più spesso (si pensi a Facebook, Twitter, Gmail e così via).
Una funzione interessante sono i controlli di riproduzione multimediale direttamente nella barra degli
indirizzi, utile per interrompere video che partono
automaticamente, specie quando si hanno tante tab
aperte e non si sa da dove viene l’audio partito improvvisamente.
Gli stessi componenti Core Animation e Core Graphics di OS X sono stati riscritti in Metal per offrire prestazioni migliorate anche di 8 volte con programmi come
After Effects di Adobe, azienda che ha annunciato di
riscrivere su Metal l’intera Creative Suite. Apple parla
di un miglioramento del rendering fino a 40% per i
videogiochi a parità di hardware, ma anche 1.4x nell’avvio delle applicazioni, 2x nel passare da un’app all’altra, 4x nell’aprire un documento PDF in anteprima
e così via.
Sul fronte delle prestazioni, invece, oltre a vari miglioramenti che non sono stati approfonditi, la novità più
importante è l’introduzione delle API grafiche Metal
anche su Mac. Si tratta di un nuovo framework, che ha
debuttato lo scorso anno su iOS, che combina insieme OpenGL e OpenCL per migliorare le prestazioni
SAFARI

Il grafico evidenzia la diffusione rapidissima di
Yosemite.
torna al sommario
MAIL
SPOTLIGHT
di qualsiasi tipo di app. Per il momento Apple non ha
voluto rilasciare ulteriori informazioni su OS X El Capitan, se non che sarà disponibile da subito la preview
per sviluppatori e che ci sarà una beta pubblica aperta
a tutti a partire da luglio. L’aggiornamento gratuito alla
versione finale sarà disponibile il prossimo autunno.
SPLIT SCREEN
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15 GIUGNO 2015
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PC Al Computex Intel lancia Thunderbolt 3, connessione due volte più veloce della precedente
Intel ha scelto USB-C per Thunderbolt 3
Ma la novità più importante è il connettore scelto: l’USB-C, nuovo “tuttofare” del futuro
di Paolo CENTOFANTI
è un nuovo Thunderbolt ed è due
volte più veloce della versione
precedente. Intel ha presentato
infatti in occasione del Computex la versione numero 3 del suo standard di connessione tutto fare, che a dire il vero non
è ancora diventato così mainstream come
forse ci si aspettava. Ma le cose potrebbero cambiare del tutto con questa nuova
release dello standard, grazie al nuovo
connettore: Thunderbolt 3 non viaggerà
più infatti su mini DisplayPort ma USB-C,
che si candida a diventare la connessione
“unica” per tutti i dispositivi. Thunderbolt 3
permette di connettere con una banda di
40 Gbit/s bidirezionali praticamente qualsiasi tipo di periferica: USB 3.1, DisplayPort
1.2, PCI Express, 10 GBit/s ethernet, più
C’
alimentazione fino a 100 Watt. Il nuovo
connettore “senza verso” che ha debuttato sul nuovo MacBook di Apple, è uno
dei protagonisti del Computex di quest’anno e grazie anche alla tecnologia di
Intel potrebbe a questo punto diventare
il connettore definitivo, anche perché il
rapporto di forma lo rende adatto ad
essere impiegato anche su smartphone
e tablet. La nuova versione di Thunderbolt consente di collegare fino a 6
dispositivi concatenati, due monitor con
risoluzione 4K a 60 Hz contemporaneamente (ma per ora non si fa menzione di
HDMI 2.0 se non tramite un adattatore), e
consente di gestire due periferiche PCIe
per presa Thunderbolt fino a un massimo
di 4 su singolo chipset. Secondo Intel ciò
consentirà ad esempio di collegare ad
un portatile una scheda grafica esterna
in modalità plug&play per potenziare le
prestazioni grafiche, ma la connessione
supporta anche la registrazione audio a
bassa latenza, per le periferiche dedicate all’audio professionale. Non è ancora
chiaro invece quando saranno disponibili
i primi dispositivi compatibili.
PC La produzione su larga scala dei memristori si è rivelata più complicata del previsto
HP ridimensiona la prima versione di “The Machine”
Il primo pc in grado di processare “Big Data” progettato da HP sarà fatto tutto di RAM
T
di Paolo CENTOFANTI

he Machine è il progetto visionario
di HP di realizzare un nuovo tipo di
computer, non solo potentissimo in
senso generale, ma soprattutto ottimizzato per processare grossi quantitativi
di dati localmente, dove per grossi parliamo di quei Big Data che oggi possono
venire gestiti solo via cloud computing e
affini. Pensate ai dati raccolti sul traffico,
data base di banche e mercati finanziari,
dati sanitari. Ma anche sistemi di riconoscimento vocale come quelli di Google
o Apple, o ancora al riconoscimento di
oggetti in un’immagine o di un brano musicale, tutte operazioni che oggi vengono
effettuate inviando i dati a grossi data
center nel cloud. HP promette di fare tutto
questo con un solo computer in grado di
lavorare su grossi quantitativi di dati locali
e di condividere la capacità di elaborazione con altre macchine connesse alla rete.
In pratica un centro di calcolo distribuito.
Alla base della nuova “Macchina” c’è un
importante sviluppo tecnologico ottenuto
da HP nei suoi laboratori, cioè la capacità di produrre i memristori, un elemento
circuitale - per decenni solo teorico - che
permette di realizzare memorie velocissi-
torna al sommario
me ed estremamente dense
e soprattutto di superare la
distinzione oggi esistente
tra RAM e ROM: veloce ma
volatile la prima, persistente
ma più lenta la seconda. La
nuova architettura di HP prevede infatti una sola unica
memoria che non fa distinzione tra disco, RAM e cache. Esiste un blocco unico
ad elevatissima velocità, e quindi con la
possibilità di elaborare senza colli di bottiglia grandissime quantità di informazione.
Purtroppo Martin Fink, chief technology
officer di HP, ha annunciato che di lavoro
per arrivare alla produzione su vasta scala dei memristori ce n’è ancora parecchio
e che quindi si allontana la possibilità di
realizzare completamente la visione originale della Macchina. Ciò non vuol dire
però che il lavoro sulla nuova architettura
sia giunto a una battuta di arresto. Tutt’altro. L’anno prossimo vedrà infatti la luce
un primo prototipo, che sfrutterà però
moduli DRAM al posto dei memristori
per realizzare la memoria universale del
computer. Purtroppo la RAM ordinaria necessita di essere continuamente alimentata per mantenere i dati nelle sue celle, il
che vuol dire in primo luogo che la prima
Macchina sarà tutt’altro che efficiente a
livello energetico, anche perché il primo
prototipo avrà una memoria di 320 Terabyte. Dopo questo modello, ne verrà realizzato più avanti un altro, basato questa
volta su memoria a cambiamento di fase,
memoria di tipo non volatile che potrà
garantire stesse prestazioni ma senza gli
svantaggi delle RAM.
Martin Fink HP
Il nuovo monitor
4K di Asus copre
il 100%
di AdobeRGB
Asus ha annunciato
un monitor da 32”
con risoluzione 4K
pensato per grafici
e fotografi: copertura
totale dello spazio
AdobeRGB, ma anche
supporto per DCI
e pannello a 10 bit
di Paolo CENTOFANTI
Porta la dicitura ProArt il nuovo
monitor PA329Q che Asus presenta al Computex. SI trata di un
display con diagonale da 32 pollici e risoluzione Ultra HD pensato
del resto proprio per professionisti della grafica e fotografi. Oltre
alla risoluzione di 3840 x 2160
pixel, con pannello IPS, è un’altra la caratteristica che rende
particolarmente interessante il
monitor di Asus: la copertura del
100% dello spazio colore Adobe
RGB, con una taratura di fabbrica che offre un’accuratezza della
riproduzione cromatica con un
deltaE (il parametro che misura la
deviazione rispetto al riferimento)
inferiore a 2. Il monitor è inoltre
compatibile con gli spazi colore
DCI P3 e Rec BT.2020, con riproduzione del colore a 10 bit e LUT
programmabile a 16 bit per la calibrazione con i principali marchi di
colorimetri. L’Asus PA329Q è dotato di ingressi DisplayPort 1.2 e
HDMI 2.0 compatibili con segnali
4K a 60 Hz, ma anche di due porte HDMI 1.4 e 4 prese USB 3.0. Al
momento Asus non ha rilasciato
ancora informazioni su prezzi e
disponibilità.
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
HI-FI & HOME CINEMA Caratteristiche tecniche di spessore con soluzioni per l’home cinema
Denon completa il multiroom con la soundbar
La gamma multiroom Heos si arricchisce con Home Cinema, una soundbar con sub separato
A
di Roberto FAGGIANO
rriva sul mercato la nuova soundbar del sistema multiroom Heos di
Denon: si chiama Home Cinema,
ha il subwoofer separato in dotazione e
costa 799 euro. Oltre al prezzo sono le
caratteristiche tecniche a metterla in evidenza rispetto ai concorrenti, infatti oltre
a tutte le possibilità di riproduzione musicale multiroom, ci sono molte soluzioni
dedicate all’home cinema. La soundbar
Heos è compatibile con Dolby Digital,
Dolby Digital Plus e DTS, inoltre ha un
processore DSP dedicato da 400 MHz e
32 bit per poter riprodurre virtualmente
gli effetti surround e allineare la risposta
del subwoofer; disponibile anche un
DSP per la musica, con scelta del tipo di
sorgente da riprodurre tra cinema e musica. La versatilità degli ingressi cablati è
completa con HDMI ARC, digitale otiico
e coassiale, ingresso minijack nonché
una comoda presa USB per chiavette di
memoria o hard disk esterni. Tutti i cavi
sono forniti in dotazione. La connettività
Wi-Fi a/b/g/n è di tipo dual band. Tra i
formati audio riproducibili rimane la li-
mitazione in frequenza ai soli 48 kHz,
escludendo per il momento i migliori
Flac. Per maggiore comodità d’uso è
stato integrato anche un ricevitore a infrarossi per il telecomando del TV con
funzione di ripetitore. Dal punto di vista
tecnico la soundbar utilizza un sistema
stereo con un midwoofer rettangolare
con cono in materiale composito con
kevlar e un tweeter a cupola da 20 mm
per ogni canale; il subwoofer invece
sfrutta due woofer da 13 cm. Ogni altoparlante ha il suo amplificatore digitale
in classe D con potenza non dichiarata.
Per quanto riguarda le dimensioni la
soundbar vera e propria misura poco
più di un metro in larghezza con altezza
e profondità di circa 10 cm; in dotazione
ci sono piedini per il posizionamento su
di un ripiano ma il diffusore può anche
essere fissato a parete. Il subwoofer è
abbastanza compatto e sviluppato in
profondità con misure di 17 x 31 x 33 cm
(L x A x P); l’accordo reflex è sul lato posteriore e quindi non va avvicinato troppo alla parete.
Bose Soundlink
Mini II
con vivavoce
e maggiore
autonomia
Il piccolo diffusore
portatile di Bose si
rinnova con l’aggiunta
della funzione
vivavoce, maggiore
autonomia della
batteria e istruzioni
vocali migliorate per
l’abbinamento. Inoltre,
può essere collegato
contemporaneamente
a più dispositivi
di Roberto FAGGIANO
Dopo due anni di onorata carriera (qui potete leggere la nostra
prova della prima versione), è
tempo di novità per il diffusore
portatile compatto del marchio
HI-FI & HOME CINEMA LG aggiorna parte della sua gamma audio rendendola più versatile
Google Cast arriva sui sistemi audio LG Music Flow
I diffusori potranno gestire musica in streaming tramite app compatibili o browser Chrome
di Roberto PEZZALI
S

peaker e soundbar del sistema
audio LG Music Flow guadagnano,
tramite aggiornamento software, la
compatibilità a Google Cast for Audio. Disponibile sui modelli LG Music Flow tra cui
HS9, HS7, HS6, H7, H5, H3 e H4 Portable,
Google Cast permette di trasmettere alle
casse la musica, tramite Wi-Fi, da smartphone o tablet Android, iPhone e iPad,
e da computer Mac, Windows o Chromebook. Google Cast è in pratica la versione Google di AirPlay di Apple, con la differenza, in questo caso, che ci troviamo
davanti a una soluzione cross-platform,
quindi funzionante con tutti i sistemi operativi e non limitata al solo mondo Apple.
L’utente apre un’applicazione compatibile sul proprio smartphone, l’app cerca
i diffusori compatibili in rete e appare il
tasto “Cast” che permette di trasmette-
torna al sommario
re la musica. Esattamente come accade
con la chiavetta Chromecast, il principio
è lo stesso: Google Cast non usa lo smartphone o il tablet per lo streaming ma solo
come telecomando per non consumare
la batteria; sarà il diffusore ad occuparsi
di intercettare lo stream e riprodurlo. Tra
le prime app compatibili Spotify, TuneIn,
Google Play Musica e Rdio, ma volendo è
possibile anche inviare la musica presen-
te sullo smartphone o su una libreria condivisa tramite l’app Music Flow Player di
LG. I modelli LG compatibili Google Cast
dispongono anche di Bluetooth, ma per
versatilità e qualità audio è preferibile la
soluzione “Wi-Fi” tramite casting: da segnalare poi che la soluzione Google Cast
permette anche l’abbinamento di più
prodotti compatibili di differenti marche.
Clicca qui per il video.
statunitense. Il nuovo diffusore
Bose Soundlink Mini II (199 euro)
aggiunge la funzione vivavoce e
una maggiore autonomia portata
a 10 ore. Inoltre, è ora possibile
abbinare contemporaneamente
tramite Bluetooth due dispositivi al diffusore, per esempio uno
smartphone e un tablet. Sono
state anche migliorate le istruzioni vocali per l’abbinamento
nel caso si dovessero incontrare
difficoltà. Nulla cambia, invece,
dal punto di vista acustico e dimensionale, con un peso di soli
668 grammi e dimensioni quasi
tascabili che si uniscono a prestazioni sonore di tutto rispetto, specie in gamma bassa. Dal
punto di vista estetico il nuovo
Soundlink Mini II di Bose è disponibile nelle due finiture Carbon e Pearl, con la possibilità di
aggiungere delle cover colorate in vendita separatamente al
prezzo di 26 euro.
H
Super garanzia
L
P
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
GAMING I primi due PC da gioco sono realizzati da AlienWare e Syber e hanno configurazioni simili
Sono in arrivo le prime Steam Machine
Dopo tanti annunci, Valve è pronta a lanciare la sua piattaforma di gioco basata su Linux
Le prime macchine sono disponibili da novembre, i pre-order saranno consegnati a ottobre
di Paolo CENTOFANTI
C’
è voluto un sacco di tempo
dall’annuncio del 2013, ma
SteamOS sta per diventare una
cosa seria, o quanto meno qualcosa di
effettivamente presente sul mercato. Dal
prossimo novembre saranno disponibili
le prime Steam Machine, ovvero PC da
gioco ottimizzati per il sistema operativo
Linux realizzato da Valve. I primi prodotti sono già in pre-order, tra cui lo Steam
Controller, il set top box Steam Link per lo
streaming dei giochi in 1080p da PC a TV,
e le due prime Steam Machine realizzate
rispettivamente da AlienWare e Syber.
Entrambe hanno un costo di partenza di
499$ e una configurazione simile: processore Intel Core i3, 4 GB di RAM, 500
GB di hard disk e scheda video NVIDIA
GTX750 con 1 GB di RAM nel caso della
Syber, una non specificata GTX con 2 GB
GAMING
Amazon ha
in programma
un “super”
gioco per PC

Amazon Game Studios esiste ormai
da un po’, ma non si può dire che - a
parte qualche gioco con target mobile
e quelli dedicati alla Fire TV - finora
abbia avuto obiettivi molto ambiziosi.
A giudicare da un’inserzione pubblicata su Gamasutra, però, tutto ciò
potrebbe cambiare a breve: Amazon
sta assumendo nuovi sviluppatori per
“un nuovo gioco per PC, molto ambizioso e che fa uso delle tecnologie più
recenti”. Sempre secondo l’inserzione, l’intento dell’azienda è quello di
rinnovare in modo radicale il concetto
stesso di gameplay, facendo uso del
cloud, del servizio di streaming Twitch
e di altre innovazioni tecniche, il tutto
supportato da un team di sviluppatori
il cui lavoro è alla base di molti dei più
importanti titoli degli ultimi anni, da
World of Warcraft a Halo. Ovviamente
è troppo presto per informazioni più
dettagliate, ma vista l’enfasi che
gli viene data, il team coinvolto e la
potenza di Amazon, aspettiamoci un
ingresso dei Game Studios nel mondo
del gaming che conta.
torna al sommario
LG apripista
È suo il primo
monitor 4K con
AMD FreeSync
LG annuncia in USA
il primo monitor per
gaming con tecnologia
AMD FreeSync
È un 4K IPS da 26,3’’
e 9,7 ms di input lag
Lo attendiamo in Italia
di Emanuele VILLA
di RAM per quella AlienWare. Entrambe
le soluzioni sono disponibili anche in configurazioni più “pompate” con prezzi fino
1.419$. Entrambi i prodotti saranno disponibili per chi effettua il pre-order un mese
prima dell’uscita ufficiale, con consegna
entro il 16 ottobre. Scopo dell’iniziativa è
quello di offrire un’esperienza di gaming
“da divano” anche su PC, con un sistema
operativo che consente di utilizzare il PC
anche con il solo controller, un po’ come
avviene su console, con il vantaggio però
di avere un sistema aggiornabile anche a
livello hardware e con prestazioni superiori. La vera scommessa è su quali giochi
verranno portati sulla nuova piattaforma
e se Valve riuscirà a guadagnarsi il supporto dei grandi publisher.
GAMING Il controller è wireless con inserito un jack da 3,5”
Microsoft anticipa l’E3 di Los Angeles
Xbox One da 1 TB e un nuovo controller
di Emanuele VILLA
nticipando di qualche giorno il più importante evento mondiale dedicato
al gaming (l’E3 di Los Angeles), Microsoft annuncia una nuova versione di
Xbox One, quella da 1 TB. La decisione di realizzare una console più capiente
di quella in commercio è la diretta conseguenza delle insistenti richieste degli utenti, che con giochi e contenuti multimediali sempre più “esosi” in termini di spazio
richiesto, vedono in 1 TB integrato una soluzione quanto mai auspicata, fermo restando la possibilità di espandere lo storage via USB 3.0. Ma in realtà la novità più
interessante non è tanto la console da 1 TB quanto il nuovo controller, che sarà disponibile in bundle con la console oppure in acquisto singolo (anche in una “avventurosa” variante Camouflage). La novità più significativa è l’inserimento di un jack
da 3,5’’ direttamente nel controller, jack cui collegare il proprio headset di gioco. Il
controller è rigorosamente wireless e permette la regolazione
dei vari volumi (comprensivi
della sensibilità del microfono)
tramite menù a schermo. Tra le
altre novità, Microsoft segnala
un miglioramento nella qualità
dell’audio percepito, l’aumento
del volume massimo, un fine-tuning dei grilletti e l’abilitazione
degli aggiornamenti firmware
OTA, senza quindi la necessità di collegare il controller alla
console via cavo.
A
LG tiene in massima considerazione le esigenze dei gamer e presenta (per il momento solo negli
USA) il primo monitor 4K compatibile con la tecnologia FreeSync di
AMD, la controparte di NVIDIA GSync. Il nuovo monitor, il cui nome
in codice è 27MU67, sarà nei negozi d’oltreoceano a partire da fine
mese e può vantare caratteristiche
tecniche di tutto rispetto: 26,3 pollici di diagonale, con formato 16:9,
dotato di pannello 4K IPS e specificamente pensato per le esigenze
dei gamer. Il nuovo nato supporta
la tecnologia AMD FreeSync con
un range di refresh 40-60 Hz; così,
eliminando il problema del fuorisync tra monitor e scheda video,
la tecnologia di AMD è in grado di
minimizzare il problema del tearing
che si avverte soprattutto in situazioni ad alto framerate (come negli
FPS o negli sportivi). Tra le altre caratteristiche segnalate dall’azienda
troviamo la modalità Dynamic Action Sync, che porta l’input lag a 9,7
millisecondi, ma anche altre tecnologie pensate per chi gioca come
Black Stabilizer e Flicker Safe, con
quest’ultima che riduce l’affaticamento visivo anche in condizioni di
massima azione. Infine, il pannello
è in grado di riprodurre il 99% dello
spazio colore sRGB, ha un tempo
di risposta GTG di 5 ms e luminsità
di 300 nits, oltre a un angolo visuale di 178° in entrambi i versi.
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MAGAZINE
GAMING Oltre alla compatibilità con Windows 10 c’è un controller da usare con entrambe le mani
Oculus svela il modello consumer definitivo
Rift VR ha due display OLED, audio posizionale ed è compatibile con Windows e Xbox
O
di Roberto PEZZALI
culus ha svelato la versione finale
del modello consumer, quello che
sarà in vendita dal primo trimestre
del 2016. Non solo: in risposta a Sony con
il suo Project Morpheus, Oculus abbraccia Microsoft, offrendo non solo compatibilità con Windows 10 ma un controller
Xbox One per la gestione e la possibilità
di inviare i giochi di Xbox, in streaming,
verso Oculus. Il visore è un lontano parente di quello visto agli inizi, ed è anche
abbastanza diverso dall’ultimo prototipo:
Oculus promette una qualità migliore
grazie all’uso di due schermi OLED al
posto di un singolo schermo, un nuovo
tracking system con una latenza bassissima, un sensore da posizionare sulla scrivania per seguire i movimenti della testa
e, cosa non meno importante, un sistema
audio integrato con audio posizionale.
L’utente potrà rimuovere le cuffie Oculus
per usare le sue cuffie, ma ovviamente
non sarà la stessa cosa, soprattutto per
l’integrazione perfetta tra il visore e il suo
set audio. Tutti gli aspetti sembrano es-
sere stati gestiti
al meglio: si potrà
regolare la distanza intrapupillare
e si potranno
usare anche gli
occhiali, cosa che
invece non è possibile nel visore
Gear VR di Samsung sempre proposto da Oculus.
Nel kit di vendita, oltre al visore, l’utente troverà un ricevitore wireless e un
controller Xbox One. Ancora non sarà
possibile usare Oculus e Xbox One per
giocare giochi immersivi (cosa che si può
fare con il prototipo Sony), ma sfruttando
l’app di Xbox per Windows 10 e indossando l’Oculus sembrerà di trovarsi in un
super cinema e giocare a Halo o a Forza
Horizon. Il controller Xbox One è tuttavia
una soluzione “tampone”: Oculus è consapevole che per giocare in una nuova
dimensione serve un tipo di controller
più intuitivo e diverso nel concetto, ecco
quindi che arriva Oculus Touch, un nuovo
Deriva direttamente
dalla mostruosa Titan X
ma costerà un po’ meno
e permetterà di giocare
in 4K con prestazioni
da urlo. Ma sarà anche
l’ideale per giocare
con Oculus Rift
tipo di controller da usare con entrambe
le mani e basato più sul movimento delle
braccia che sulle dita. Tutto bello, ma il
costo? Oculus non ha dato i due dati che
forse più interessavano: quando sarà
possibile ordinarlo e il costo, per questo
si dovrà attendere ancora un po’.
GAMING La data prevista di uscita è inizio 2016, periodo in cui Oculus arriverà nei negozi
GloveOne, adesso la realtà virtuale la tocchi
Guanti stracolmi di sensori per rendere più realistiche le avventure nella realtà virtuale
T
di Emanuele VILLA

utto farebbe pensare che il 2016
sia davvero l’anno della realtà virtuale: nomi “top” del settore, come
Samsung, LG, HTC e Google iniziano a
investirci con vigore, ma soprattutto arriverà sul mercato il game changer, quell’Oculus di proprietà Facebook di cui
sentiamo parlare da anni ma che nessuno ha mai visto in negozio. Chi l’ha provato può confermare che l’esperienza,
pur emozionante e piacevole, manca
ancora di qualcosa: poter interagire con
gli oggetti che si vedono, poterli toccare e sentirli come fossero oggetti reali. Se otterrà il finanziamento richiesto
(150.000 dollari, per ora siamo a 1/3 della raccolta ma manca ancora un mese),
il problema verrà risolto da GloveOne,
un guanto per Oculus e sistemi concorrenti che permette la percezione degli
oggetti presenti nel quadro virtuale 3D.
torna al sommario
Tutto ciò è possibile grazie a 10 sensori distribuiti nella superficie interna dei
guanti, che vibrano indipendentemente
a diverse frequenze e intensità, riproducendo la sensazione del tatto. Sono
anche presenti dei sensori dedicati all’interazione con gli oggetti, mentre per
il rilevamento della posizione e l’hand
NVIDIA
annuncia
la GTX 980Ti
per giocare in 4K
tracking ci si avvale di sensori esterni
come Leap Motion o Intel RealSense,
ma è anche possibile integrare GloveOne con altre tecnologie come Kinect e
OpenCV. Se il progetto otterrà il successo sperato, lo vedremo in azione a inizio
2016, in tempo per salutare l’arrivo di
Oculus nei negozi: bundle in vista?
di Paolo CENTOFANTI
Dopo la mostruosa Titan X,
NVIDIA lancia una nuova scheda
grafica, basata sulla stessa GPU
GM200, leggermente depotenziata e con meno RAM grafica
della top di gamma. Il risultato è la
nuova GeForce GTX 980 Ti, scheda che porta sotto i 1.000 euro la
possibilità di avere un’esperienza
di gioco fluida in 4K su PC. La nuova scheda NVIDIA nasce con già
in mente le nuove API DirectX 12
di Microsoft e offre prestazioni
tre volte superiori a quelle della
GTX 680. La GTX 980 Ti è dotata di 6 GB di memoria GDDR5
e secondo NVIDIA consente di
giocare con molti giochi di ultima
generazione in risoluzione 4K
con un frame rate stabilmente superiore ai 30 fps. La nuova scheda permetterà, inoltre, di sfruttare
le nuove librerie GameWorks VR
per la realtà virtuale, che consentiranno di ottimizzare i nuovi giochi per i visori come Oculus Rift.
I costi sono appunto inferiori a
quelli della Titan X, ma stiamo pur
sempre parlando di una scheda
top di gamma che avrà un costo
di 649 dollari negli Stati Uniti (e
circa 740 euro in Italia). Secondo
i primi benchmark però, il calo di
prestazioni rispetto alla Titan X è
quantificabile in pochi punti percentuali.
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15 GIUGNO 2015
MAGAZINE
DIGITAL IMAGING Un piccolo “gioiello” che arriverà quest’estate al prezzo di 3.500 euro
Sony a7R II: full frame e con 42 megapixel
Un sensore full frame da 35 mm BSI, stabilizzazione sul sensore, ripresa 4K e altre novità
S
di Roberto PEZZALI
ony continua a innovare nel campo delle fotocamere: dopo essere
diventata leader delle mirrorless
full frame amplia la gamma presentando la nuova a7R II (ILCE-7RM2 il modello), una revisione della a7R dello
scorso anno, che di fatto dal modello
precedente eredita solo il concetto e la
forma. La nuova a7R II è, infatti, la prima
ad adottare il nuovo sensore gioiello
uscito dai laboratori Sony, un CMOS
Full Frame back-illuminated capace di
42 Megapixel e con una sensibilità che,
grazie al processore Bionz, raggiunge i
102.400 ISO (25.600 nativi). Nuova anche la messa a fuoco: il sensore, ibrido,
racchiude 399 punti di messa a fuoco a
ricerca di fase che rendono l’operazione
del 40% più veloce rispetto al modello
precedente. La novità però più rilevante relativa al sensore è lo stabilizzatore
a cinque assi sul sensore stesso, una
chicca ereditata dal modello a7 II già
rinnovato lo scorso dicembre. Sony crede moltissimo in questo nuovo sensore
che lei stessa ha sviluppato: “spesso si
sceglie tra sensibilità e risoluzione, con
la a7R II si possono avere entrambe”. Il
riferimento va ovviamente alla classica
discussione sulle dimensioni dei pixel
che contano più della risoluzione, ma
sembra che Sony abbia trovato il modo
di far coesistere le cose grazie anche
alla tecnologia BSI. Il sensore, privo anche di filtro passa basso, dispone anche
di un’elettronica decisamente più veloce e questo permette la cattura di video
4K con rolling shutter ridottissimo: per
il 4K la a7R II è flessibilissima, con la
possibilità di registrare in diversi formati
incluso il Super 35 mm. Tra le altre novità segnaliamo un nuovo mirino OLED
ad altissima risoluzione, una velocità di
scatto di 5 fps con fuoco continuo, una
durata dell’otturatore fino a 500.000
scatti e l’uso del codec XAVC S per registrare fino a 100 Mbps con una qualità

Sony a7R II Fast Hybrid AF
torna al sommario
RX100 IV
e RX10: Sony
aggiunge
slow motion e
velocità alle due
compatte top
La novità è il primo
sensore al mondo
con memoria DRAM
integrata che permette,
grazie a una velocità
altissima, slow motion
fino a 1000 fps
decisamente elevata. Per le riprese video Sony ha pensato anche a un monitor esterno: è un piccolo Full HD da 5”
che si può agganciare alla fotocamera e
che offre tutte le letture in fase di ripresa, dall’esposizione ai livelli audio. Con
a bordo Wi-Fi, NFC e PlayMemories App
la a7R II arriverà in estate a 3.500 euro
circa. Un vero gioiello, appunto.
DIGITAL IMAGING Prezzo stellare come Leica ci ha abituato
Leica Q è una nuova mirrorless
Ha sensore full frame da 24 Mpixel
L
di Paolo CENTOFANTI
eica ha una nuova mirrorless, la Leica Q. A differenza delle serie X e T, questa volta si tratta di una macchina con sensore full frame da 24 Megapixel e ottica fissa,
e se vogliamo è la risposta del produttore tedesco alla moda delle compatte tipo
Sony RX1. La nuova Leica Q ha un design del corpo macchina che può ricordare una
versione ridotta della Leica M e si caratterizza per una scelta insolita della focale: invece di montare un 35 mm, infatti, Leica ha preferito un obiettivo Summilux 28 mm F1.7.
Altra differenza rispetto alla serie M, la Leica Q funziona anche come fotocamera
automatica, sia per il fuoco che per l’esposizione, anche se naturalmente troviamo
tutti i comandi manuali che ci si aspetta da una macchina di questo tipo. Il sensore è di tipo CMOS e offre
una sensibilità ISO fino
a 50.000. Altra novità
rispetto alle altre mirrorless di fascia “bassa” del
produttore tedesco, la
Leica Q è dotata di mirino
elettronico integrato con
una risoluzione di 3,68
milioni di punti. Come al
solito, quando si parla di
Leica, i prezzi non sono
esattamente alla portata di tutti: Leica Q costa
3.999 euro.
di Roberto PEZZALI
Sony rinnova il reparto imaging
con una compatta e una bridge.
RX100 IV e RX10 II sono sorelle:
hanno lo stesso sensore da 1”, registrano in 4K e fanno della velocità il
loro punto di forza, ma se la prima
è una compatta con un obiettivo
ZEISS Vario-Sonnar T* 24-70mm
F1.8-F2.8, la RX10 II mantiene la
stessa ottica della RX10, uno ZEISS
Vario-Sonnar T* 24-200mm F2.8.
Due macchine per due target differenti: una dedicata a chi vuole
tanta qualità in un corpo piccolo,
l’altra a chi vuole un prodotto versatile che possa scattare con buona qualità senza rinunciare allo
zoom. La novità vera è il sensore:
debutta uno Exmor RS da 1” e 16
Megapixel con processore avanzato e memoria DRAM integrata.
I vantaggi si vedono soprattutto
nella velocità di lettura dei dati, in
grado di attivare funzionalità inedite come un super slow motion nei
video a 40x, con un framerate di
1000 fps circa. Non manca la ripresa 4K e un otturatore velocissimo
che arriva a 1/32000 di secondo.
Notevole anche la raffica: 16 fps
sulla RX100 IV, 14 fps a piena risoluzione sulla RX10 II. Sony assicura
anche un’eccellente qualità in termini di ripresa 4K: rolling shutter
al minimo, XAVC S a 100 Mbps e
profili professionali S-Log2 e S-Gamut. Entrambe le fotocamere hanno un mirino OLED hi-res, un sistema di messa a fuoco velocissimo
e wireless a bordo. Prezzi ancora
non definitivi: 1.150 euro circa per
la nuova RX100, 1.600 euro per la
RX10, con debutto in estate.
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SMARTHOME Si va da soluzioni semiprofessionali per tutta la casa a semplici gadget
Ecco i primi prodotti compatibili con HomeKit
I partner di Apple hanno presentato i primi prodotti compatibili col protocollo HomeKit
Termostati, controllo luci, termometri smart, sensori e hub per un impianto completo
A
di Massimiliano ZOCCHI
pple e i suoi partner hanno promesso più volte che i primi prodotti con
integrata la tecnologia HomeKit sarebbero arrivati in tempo per il WWDC di
quest’anno, e così è stato. Diversi produttori hanno presentato alcuni dei dispositivi che andranno a comporre l’ecosistema
HomeKit.
Uno dei kit più completi, da subito disponibile (per ora nel mercato americano) è
Caseta Wireless di Lutron, un vero e proprio hub per il controllo delle luci tramite
uno smart bridge. Le possibilità di controllo sono diverse, da Siri a iOS, passando per Apple Watch. È possibile anche il
controllo da remoto o tramite geofencing.
Per lo starter kit ci vogliono 230 dollari.
Insteon propone qualcosa di simile, ma
che permette di controllare oltre alle luci
anche videocamere, allarmi, e altro tramite standard Wi-Fi e RF, ma prezzi e disponibilità non sono ancora stati comunicati.
Clicca qui per il video.
Saranno disponibili a breve i sensori
della famiglia Eve di Elgato che comprende una centralina per misurare la
temperatura, l’umidità di una stanza e la
qualità dell’aria,
oltre alla versione outdoor,
più improntata
alle condizioni
atmosferiche. Si
passa poi alla
smart plug (Eve
energy) per il
controllo dell’impianto elettrico, con possibilità di accendere e spegnere da remoto e conoscere il consumo istantaneo.
Infine, Eve door e window, che comprende sensori per porte e finestre in grado
di monitorare ogni accesso all’abitazione
e segnalare aperture impreviste. Non
poteva mancare un termostato: per 249
dollari sarà disponibile Ecobee3, in grado
di autoregolare la temperatura secondo
le abitudini di chi abita la casa, oltre alla
possibilità (tramite sensori satellite) di differenziare tra loro le stanze. Infine, anche
se al momento è solo in preorder, l’unico
prodotto di iHome, una smart plug che al
prezzo di 40 dollari permetterà il controllo di luci o elettrodomestici collegati alla
presa.
SMARTHOME Elementi curati esteticamente, non stonano nemmeno in ambienti di prestigio
MyFox, sistema smart che protegge la casa dai ladri
Sistema d’allarme facile da installare e controllabile da remoto. Il prezzo è abbordabile
di Roberto FAGGIANO
P

resentato il nuovo sistema di Myfox
che ha lo scopo di prevenire l’intrusione oltre a dare l’allarme ad
effrazione avvenuta. Non necessita di
installazione da parte di personale specializzato ma è un’operazione alla portata
di tutti seguendo le istruzioni dell’app dedicata per iOS e Android. Il pacchetto di
partenza è l’Home Alarm (299 euro) che
comprende la centralina del sistema con
la sirena d’allarme, un sensore di sicurezza da applicare sulla porta d’ingresso, un
piccolo telecomando utilizzabile come
portachiavi e un elemento da fissare a
una qualsiasi presa elettrica che funge
da collegamento in Wi-Fi verso il router
casalingo. Elemento opzionale è la te-
torna al sommario
lecamera Security Camera (199
euro) che si può integrare nel
sistema con la funzione di sorveglianza e videoregistrazione.
È sempre prevista un’alimentazione a batteria che può fungere
da supporto agli elementi che
vanno collegati alla rete elettrica
in caso di manomissione, con autonomia di 1 ora per la telecamera e 6 ore
per la centralina. Secondo il costruttore la
tecnologia brevettata applicata ai sensori IntelliTag è in grado di riconoscere un
tentativo di intrusione dalle normali vibrazioni di passaggio e reagisce a tentativi
di manomissione. Oltre al primo sensore
in dotazione se ne possono aggiungere
altri (49 euro cadauno) per mettere in
sicurezza altri ingressi o le finestre. Le ri-
prese partono non appena il proprietario
lascia la casa e vengono memorizzate
nel cloud fino a 30 giorni. Il portachiavi in
dotazione contiene un sensore di prossimità per disattivare automaticamente l’allarme non appena il proprietario arriva a
casa. Il sistema è già pronto per lavorare
con altri elementi di smarthome eventualmente presenti in casa e fa già parte del
gruppo Work with Nest.
Super-batteria
Mercedes
per la casa
Mercedes ha presentato
il suo accumulatore di
energia per la casa e
le aziende. Combinato
in diversi moduli può
arrivare a 20 kWh di
capacità
di Massimiliano ZOCCHI
Qualche mese fa erano circolate indiscrezioni secondo le quali
Mercedes-Benz stava incrementando la produzione di batterie al
litio per prepararsi a nuovi sbocchi di mercato. Ora dopo il lancio
ufficiale della Classe B Electric
Drive, Mercedes presenta la sua
visione di batteria casalinga. Evidentemente il successo appena
riscosso da Tesla Motors col suo
accumulatore per la casa (tutti i
preordini esauriti in poche ore)
ha spinto i vertici di Stoccarda
a dare una spinta ulteriore alla
divisione elettrica. A prima vista
più piccolo rispetto al prodotto
del concorrente californiano, l’accumulatore Mercedes segue nel
design le vetture della gamma
Electric Drive con profili azzurri
ed è in grado di immagazzinare
2.5 kWh. Tuttavia possono essere
combinati tra loro fino a 8 moduli,
raggiungendo i 20 kWh di capacità totale. Decisamente meno
rispetto alla soluzione Tesla, che
può arrivare fino a 90 kWh. Clicca
qui per la pagina dedicata, con le
spedizioni che dovrebbero partire a settembre.
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15 GIUGNO 2015
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SMARTHOME Per ottenere il risultato, adottate tecnologie derivate dal mondo aerospaziale
Dyson geniale, la lampada che dura 37 anni
La nuova gamma di lampade LED Dyson ha durata record: 37 anni senza perdere luminosità
D
di Roberto PEZZALI
ai geniali aspirapolvere ai ventilatori fanless Dyson ha spesso
creato oggetti non solo belli ma
anche innovativi e tecnologicamente
avanzatissimi. L’ultimo esempio è la
serie di lampade CSYS, lampade LED
che possono vantare una durata, senza
perdere efficienza o luminosità, di ben
37 anni. La tecnologia è di derivazione
aerospaziale, ma non è nulla di eccessivamente sofisticato: utilizza un sistema
simile a quello dei satelliti per spostare
il calore dai LED verso l’esterno, mantenendo così il diodo luminoso sempre
freddo anche dopo svariate ore. Un LED
acceso per molto tempo può raggiungere internamente la temperatura di 130°,
deteriorando poco per volta la giunzione e quindi perdendo di luminosità nel
tempo fino a bruciarsi: grazie ad un heatpipe inserito nel braccio Dyson riesce a
mantenere la temperatura dei sette LED
usati attorno ai 55°, assicurandosi così
non solo una durata record ma anche la
stessa luminosità nell’arco del tempo. Il
valore è stato ovviamente ricavato con
simulazioni e stime di laboratorio, e solo
il tempo ci dirà se ci avevano visto giusto
(la garanzia resta di due anni però). Con
un prezzo che varia tra i 700 e i 1000
euro a seconda del modello la nuova
gamma di lampade, molto essenziale
nel design, può contare anche su un sistema di snodi e carrucole per gestire il
posizionamento su tre assi e su un touch alla base con controller a processore
per controllare il livello di luminosità. Per
chi ama il design e la tecnologia un bell’investimento da 19 euro all’anno.
Dai termostati alla videosorveglianza: arriva Nest Cam
Svelate in anticipo le immagini del prossimo prodotto dedicato alla casa, Nest Cam
E
di Massimiliano ZOCCHI

torna al sommario
Devi spedire un pacco?
Puoi provare lo schema
social di YouPony
che ti mette in contatto
con chi è disposto
a consegnarlo dove
vuoi tu. Costi contenuti
e c’è anche il tracking
di Emanuele VILLA
SMARTHOME Nest, da tempo controllata da Google, è famosa per il termostato intelligente
rano voci insistenti che circolavano già da giorni, ma ormai pare
non ci siano più dubbi. Il nuovo
prodotto che Nest si appresta a presentare è una videocamera di sorveglianza. Com’è noto, Nest e da tempo
controllata da Google, ma a sua volta
gode di libertà d’azione e aveva acquisito l’azienda specializzata nel settore,
Dropcam.
Uno dei primi esemplari in fase di test
della nuova Nest Cam assomiglia moltissimo a quelle realizzate proprio da
Dropcam, come potete vedere dall’immagine qui sotto, pubblicata dai ragazzi di Droid-Life.
com. E sempre
dallo stesso sito
erano
arrivate
le prime informazioni,
derivanti dai soliti
documenti della
FCC, dai quali
era chiaro che il
nuovo prodotto
Le spedizioni
diventano social
con YouPony
sarebbe stato molto simile alla già esistente Dropcam Pro, con in dote connessione Bluetooth 4.0, la capacità di
streaming video a 1080p, e la possibilità
di essere appoggiata sulla base o sfruttare la stessa come supporto a muro.
Assieme al nuovo hardware arriverà
anche un aggiornamento dell’app di
controllo Nest, che includerà appunto
anche la nuova Cam, oltre alle vecchie
Dropcam, nonché il famoso termostato
e anche Nest Protect, un rilevatore di
fumo wireless già in commercio da tempo. In sostanza da semplice app per la
temperatura di casa diventa una sorta
di hub per la domotica.
Tuttavia all’evento dedicato alla stampa
che si terrà il 17 giugno c’è chi si aspetta anche dell’altro. Sono noti i piani
di Google di creare una smart home
connessa, quindi Nest Cam potrebbe
non essere l’unica novità che Mountain
View ha in serbo per noi. Ancora pochi
giorni e ne sapremo di più.
YouPony è un’app che vuole rivoluzionare lo schema delle spedizioni e delle consegne, sostituendo al classico sistema postale o
tramite corriere privato, un meccanismo collaborativo che aggrega domanda e offerta di spedizioni e consegne. È un’app gratuita,
disponibile nell’App Store di Apple e in Google Play, che mette in
contatto i Sender, chi spedisce, e
i Pony, chi consegna. Il contatto è
effettuato via smartphone ed è disponibile 24 ore al giorno, 7 giorni
su 7. Se si vuole mandare un pacco, si entra nell’app, si verifica se
esistono Pony certificati che fanno
la tratta che interessa e li si contatta, mettendosi d’accordo su tariffa
e luogo dell’incontro. Il video spiega il meccanismo. Tutti possono
diventare Sender e inviare in pochi minuti il proprio prodotto, e al
tempo stesso ognuno può iscriversi come Pony.
A livello tecnologico, YouPony ha
un sistema di Verified ID process
e sfrutta un duplice meccanismo
di Selfie e QR Shipping Code per
assicurare che le confezioni non
vengano manipolate e non passino da un pony all’altro. Per seguire la spedizione c’è il sistema QR
Shipping Code
che permette
la geolocalizzazione attraverso l’app stessa,
con in più la disponibilità del
numero telefonico del Pony
per
mettersi
in contatto in
caso di necessità.
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AUTOMOTIVE Sfruttando la connessione dell’auto alla rete sarà più facile trovare parcheggio
L’auto di BMW ti indica il parcheggio libero
BMW presenta la tecnologia Dynamic Parking Prediction che individua aree disponibili
di Paolo CENTOFANTI
hi non si è trovato nella situazione di girare per diversi minuti alla
ricerca inutile di un posto libero
per la propria auto? Una nuova tecnologia di BMW, punta a trasformare tutto
ciò in un lontano ricordo. Il progetto si
chiama Dynamic Parking Prediction e
nel prossimo futuro rientrerà tra le funzionalità della piattaforma ConnectedDrive di BMW. Si tratta di un sistema di
assistenza alla guida che sfruttando la
connessione dell’auto alla rete e quindi
l’accesso ai dati sui flussi di traffico, saprà capire dove in ogni momento sarà
più facile trovare un parcheggio libero.
Diversi studi dimostrano che buona parte del traffico in città è dovuto proprio
alle auto che parcheggiano e il Dynamic
Parking Prediction di BMW e altre tecnologie simili non solo potrebbero rendere
più veloce la ricerca di un parcheggio
C
per la propria auto,
ma anche contribuire a ridurre gli
ingorghi in città.
Il sistema si basa
su una mappa dell’area che include i
parcheggi disponibili in zona e la raccolta anonima dei
dati di spostamento di altri veicoli in città, tipo quando una
macchina si allontana da un parcheggio,
oppure quando sta cercando un posto
libero. L’algoritmo tiene conto di queste
informazioni e del numero di parcheggi
liberi in città ed è in grado di calcolare
l’area in cui è più probabile trovare un
parcheggio per la propria auto. Anche
soltanto con i dati sui movimenti di un
numero limitato di veicoli, l’algoritmo
di BMW sarebbe in grado di indirizzare
nella zona migliore il guidatore. Chiaramente, più sono i dati a disposizione,
più efficace diventa l’algoritmo di ricerca. BMW ha presentato un prototipo
del sistema alla fiera TU-Automotive di
Detroit in collaborazione con INRIX, installato su una BMW i3, auto elettrica il
cui ambito ideale di utilizzo è proprio la
città e che può beneficiare del Dynamic
Parking Prediction anche per ridurre i
consumi di energia.
AUTOMOTIVE Allo studio un modo per ridurre di molto i tempi di ricarica delle auto elettriche
StoreDot promette di ricaricare un’auto in 5 minuti
La startup israeliana si rivolge al mercato delle auto elettriche: 400 km in 5 minuti di ricarica
di Massimiliano ZOCCHI
M

esi fa l’azienda israeliana StoreDot era venuta alla ribalta
perché presentò i suoi studi su
una batteria in grado di caricare uno
smartphone in 30 secondi. Il tutto era
possibile grazie alla particolare chimica
della batteria, non più al litio ma un mix
di composti organici con elettrodi al polimero e ossidi di metallo. Fu ribattezzata
Flash Battery proprio per la sua velocità di ricarica, ma non solo. I particolari
elettrodi subiscono pochissimo degrado assicurando anche una vita media
più lunga. Oggi gli scienziati israeliani
hanno spostato la loro attenzione al settore automotive, in particolare alle auto
a trazione elettrica. È noto che uno dei
principali problemi di questo settore è la
scarsa autonomia di molti modelli, unita
ai tempi di ricarica. Il top della categoria,
la Tesla Model S, può percorrere fino a
400 km con un pieno di energia, ma poi
sono necessari almeno 40 minuti per
caricarla completamente, sempre che
si usi una stazione Tesla SuperCharger.
torna al sommario
Nel caso si utilizzi una normale colonnina di ricarica i tempi si dilaterebbero
ulteriormente. StoreDot dichiara che
7.000 delle loro celle potrebbero essere
caricate in appena 5 minuti, come una
qualsiasi sosta in un distributore di benzina, e basterebbero per circa 400 km di
autonomia. Sarebbe la svolta attesa da
tempo. Tuttavia è presto per cantare vittoria perché va considerato un secondo
problema. Per quanto possano caricarsi
velocemente, le batterie hanno bisogno
di una fonte energetica di sufficiente
potenza per sfruttare tale velocità di ricarica. Già adesso i SuperCharger Tesla
lavorano a una potenza di 120 Kw, che
è una potenza, secondo le nostre abitudini, enorme. Quindi per caricare in
pochi minuti una batteria dalla capienza
simile ci vorrebbe non solo una batteria
ad hoc ma anche una potenza elettrica
ancora superiore, cosa che attualmente
è piuttosto complessa da ottenere. Ma
un giorno ci arriveremo...
Google Car
a nudo: arrivano
le pagelle
con incidenti
e traguardi
Google pubblicherà
dei report mensili
sulla sua automobile
a guida autonoma. I
rapporti mostreranno
tutto: valutazione
dell’intelligenza
artificiale e situazioni
particolari incontrate
di Massimiliano ZOCCHI
“Google continuerà a dare ampio
supporto ai progetti che possono
portare risultati nel lungo periodo”, è quanto ha dichiarato Sergey
Brin. E uno di questi progetti è la
Google Car, l’automobile a guida
autonoma di Mountain View. Proprio in una visione a lungo termine,
Google ha deciso di pubblicare
mensilmente dei report su tutto
ciò che riguarda l’auto del futuro.
La prima di queste “pagelle” è già
stata pubblicata ed è relativa al
mese di maggio. Al suo interno si
può trovare di tutto, a partire dai
veicoli in strada (al momento 23
Lexus RX450h modificate e 9 prototipi di Google PodCar), passando per le miglia percorse, schemi
di situazioni particolari o di eventi
accaduti sulle strade. Così potremo vedere schermate dove la selfdrive car evita due ciclisti sbadati,
e per giunta di notte, con scarsa
visibilità, oppure il riconoscimento
di un’ambulanza, con l’auto che
si ferma anche se il semaforo era
verde. Non sempre purtroppo l’intelligenza artificiale è sufficiente
a bilanciare gli errori umani, e sui
report si trova il dettaglio degli incidenti in cui le Lexus autonome
sono state coinvolte. Rassicurante
il fatto che in nessuno di questi
casi la colpa è del pilota automatico, tranne in un caso in cui la vettura era in fase di test con guida manuale. In totale 12 incidenti, senza
feriti o danni gravi, su un totale di
1.8 milioni di miglia percorse. Molto
meglio di qualsiasi automobilista.
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TEST Le protagoniste del nostro test sono la Sony ZX-110AP da 20 euro, la Yamaha HPH-M82 da 80 euro e la B&W P3 da 200 euro
Cuffie a confronto: suona meglio quella più cara?
Abbiamo provato, e fatto ascoltare ad audiofili e non, tre cuffie di prezzo molto diverso. Si nota davvero tanta differenza?
di Roberto FAGGIANO
interrogativo è sempre più diffuso: desidero una
buona cuffia ma non voglio sprecare il mio denaro, sarà veramente così notevole il divario di
qualità di una cuffia che costa dieci volte più di un’altra?
Oppure sarà più conveniente scegliere un modello di
prezzo intermedio tra le due? La risposta esce dal nostro confronto, un test dove abbiamo selezionato tre
modelli molto diversi tra loro. Tra le protagoniste c’è
una Sony entry level: ZX-110AP è uno di quei modelli
che si acquistano al supermercato oppure all’aeroporto quando ci accorgiamo di aver dimenticato la nostra
cuffia a casa. Come rappresentante della via di mezzo
c’è un modello Yamaha di bell’aspetto, HPH-M82, che
rappresenta una scelta ragionata, puntando a un nome
di gran fama che non dovrebbe deludere nemmeno un
ascoltatore esigente. In cima alla lista c’è una prestigiosa B&W P3, che è in realtà il modello più economico del
marchio britannico ma promette meraviglie all’ascolto
e una costruzione impeccabile.
L’
Le tre protagoniste del confronto
La Sony ZX-110AP costa 25 euro di listino ma si può
acquistare tranquillamente a 20 euro; è il modello più
economico della gamma ma è dotato del microfono
per la funzione vivavoce e con telecomando per le
funzioni di risposta a una telefonata. L’estetica è piuttosto curata ed è disponibile in colore nero, bianco o
in un vezzoso rosa. Inutile aggiungere che la costruzione utilizza solo plastica, seppure ben rifinita e con
opportuni rinforzi nella zona dell’archetto. Preoccupa
il meccanismo che consente di ripiegare i padiglioni
per occupare meno spazio: è anch’esso in plastica e
non scommetteremmo molto sulla sua durata nel tempo. Ben conformati i padiglioni e buono il rivestimento
morbido verso l’orecchio. Il cavo di collegamento è
molto sottile mentre il connettore è angolato e robusto. Insomma per la cifra richiesta nulla da eccepire.
La Yamaha HPH-M82 costa 80 euro di listino ed è
caratterizzata da un’estetica molto originale, con pa-
SONY ZX-110AP
video
diglioni squadrati e un archetto ricurvo, è disponibile
in molti colori e si indirizza a un pubblico che non trascura l’aspetto di ciò che compra. Una volta estratta
dalla sua confezione la cuffia Yamaha fa smorzare gli
entusiasmi iniziali, infatti l’archetto che sembra metallico è in realtà di plastica (solo l’anima dell’archetto è
metallica) mentre la zona colorata con effetto velluto
opaco fa ancora la sua figura. I padiglioni sono ben
imbottiti e rivestiti in morbido tessuto mentre l’imbottitura dell’archetto è solo virtuale dato che scompare
alla minima pressione. Il cavo ha un buono spessore
e il terminale angolato; il microfono e i tasti lungo il
cavo sono dedicati con piena funzionalità (compreso
il volume) a dispositivi Apple mentre chi non ha un
oggetto della “mela” dovrà accontentarsi della pausa
per una telefonata. In dotazione c’è l’adattatore jack
ma avremmo visto volentieri anche una custodia da
viaggio.
La B&W P3 costa 199 euro di listino e nonostante la
cifra non certo
bassa è il modello più economico
del
prestigioso
marchio bri-
tannico. L’estetica è molto rigorosa e i materiali
curati; oltre al compassato nero dell’esemplare
in prova si può avere anche la finitura bianca o le
più vivaci blu e rosso. La
costruzione vede ampio
utilizzo di tessuto e metallo con poco plastica; i
lab
padiglioni sono facilmente ripiegabili con un meccanismo molto robusto e hanno un rivestimento completo
e non solo lungo il perimetro.
Il punto di forza però sono i trasduttori da 30mm,
realizzati direttamente da B&W e con soluzioni tecnologiche strettamente derivate da quelle usate per
gli altoparlanti dei diffusori domestici. In dotazione c’è
un cavo (molto sottile) con microfono e tasti per un
dispositivo Apple e un secondo cavo senza alcuna
funzione accessoria; il terminale non è angolato. Nella dotazione c’è anche una custodia per il trasporto,
ma è in una plastica troppo rigida e con un meccanismo di chiusura a scatto che sembra fatto apposta per
chiudersi sulle dita del malcapitato utente.
Utilizzo e ascolto, la prova della verità
Ecco le tre contendenti alla prova del fuoco: quale
uscirà meglio dal confronto?
Iniziamo con la cuffia più economica, un modello Sony
non deve mai deludere gli affezionati
del marchio, nemmeno in cambio di
un esborso così contenuto. La prima
impressione è positiva e riguarda il
comfort, che è notevole anche dopo
un lungo ascolto grazie al peso ultraleggero e al minimo impatto sulle
orecchie. I padiglioni sono ben imbottiti e al tempo stesso danno una buona solidità in testa, magari non proprio
adatti a una corsa impegnativa. L’isolamento verso l’esterno è minimo ma
comunque sufficiente ad allontanare i
rumori esterni meno invadenti. La sensibilità è nella media, nessun problema di adattamento
con gli smartphone. Iniziamo l’ascolto e rimaniamo
piacevolmente coinvolti dalla musica, un’impostazione molto equilibrata che non crea mai fatica d’ascolto
nemmeno con i pezzi registrati nel modo peggiore.
Ma questo non vuol dire che non manchino bassi e
dettagli, basta alzare leggermente il volume per avere
ottima dinamica e bassi convincenti. La Sony si adatta
bene anche a generi musicali molto diversi tra loro, fi-

segue a pagina 38 
torna al sommario
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MAGAZINE
TEST
Cuffie a confronto
segue Da pagina 37 
per la categoria e più controllata, il dettaglio acuto
svela strumenti che altre
cuffie nascondono, creando anche un piacevole
effetto
tridimensionale,
con fin troppa profondità.
Le voci femminili escono
accurate e precise ma si
poteva fare ancora meglio.
Perfetta la compatibilità
con ogni genere musicale ben registrato, classica
compresa.
La cuffia B&W si indossa
facilmente, è leggera sulla
YAMAHA HPH-M82
nendo per accontentare tutti a un prezzo che diventa
molto interessante.
La cuffia Yamaha è comoda e leggera, non preme
molto sulla testa ma l’archetto non è regolabile una
volta indossato perché non scorre, in pratica bisogna
togliersi la cuffia e trovare la giusta estensione prima
dell’ascolto. Il tessuto che ricopre i padiglioni tende a
far salire la temperatura delle orecchie, ma solo dopo
un ascolto molto prolungato.
L’isolamento dai rumori esterni è minimo, ma comunque sufficiente se non si transita in ambienti e situazioni molto rumorose. Iniziamo l’ascolto con qualche
brano “moderno”, ovvero studiato per esaltare bassi a
profusione: è un impatto pericoloso perché il modello
Yamaha è molto più sensibile della media e veniamo
catapultati in un poco gradevole effetto discoteca.
Una volta placato il volume basta qualche altro brano recente per farci capire che in queste situazioni
la M82 non è a proprio agio, i bassi ci sono ma sono
anche fastidiosi e impastati mentre sull’estremo opposto il dettaglio diventa eccessivo. Ma con brani meglio registrati e più tranquilli la cuffia Yamaha mostra
il suo lato migliore: la gamma bassa è molto profonda

B&W P3
torna al sommario
re i dettagli poco curati di molti brani MP3. Un difetto
che diventa un pregio se si ascoltano brani Flac o in
streaming a risoluzione CD. L’ascolto è comunque di
ottimo livello, invita a prolungarlo e tende anche a migliorare dopo qualche ora di riproduzione.
Quando vince il rapporto qualità/prezzo
Il risultato del nostro test ci porta a conclusioni molto
semplici e nette: la B&W P3 è senza dubbio la migliore
all’ascolto, la più gradevole con qualsiasi genere musicale, la più coinvolgente e quella meglio costruita.
Però questo test voleva puntare soprattutto sul rapporto qualità/prezzo e in questo caso la Sony si prende sicuramente la rivincita perché la B&W non suona
dieci volte meglio di lei, come dice invece il prezzo di
listino. Sicuramente la piccola Sony non vivrà a lungo
come la B&W, ma se accettate questo principio potete
sceglierla tranquillamente. E la Yamaha? Difficile valutarla, il suo livello costruttivo è più vicino a quello della
Sony che a quello della B&W e lo stesso si può dire
dell’ascolto, anzi con certi generi musicali ci è piaciuta
di più la Sony. Inoltre, la fascia dei 100 euro è affollata
da molti concorrenti di blasone ugualmente famoso,
magari meno appariscenti ma con più sostanza.
Il giudizio del pubblico: gli audiofili
dicono B&W, gli altri Yamaha
testa e i padiglioni non stringono troppo l’orecchio,
anche il rivestimento dei padiglioni è in un tessuto
leggero che non crea troppo calore. Non molto forte
l’isolamento dall’esterno ma sempre più che sufficiente in condizioni di utilizzo normali. Iniziamo anche qui
da brani musicali “forti”, registrando una sensibilità
leggermente superiore alla media. La B&W P3 riesce
ad addomesticare i bassi troppo pompati e li riporta
in un ambito più gradevole, la profondità è notevole
e il coinvolgimento non manca. Anche in questo caso
però si capisce che le B&W non gradiscono troppo.
Con brani meglio registrati il piacere d’ascolto sale e
si nota una realistica profondità della scena, non più
compressa tra le due orecchie ma ben estesa ai lati
e con voci al centro. Sulla
gamma acuta la P3 fa un
lavoro di analisi molto accurato e può quindi esalta-
Quella realizzata è senza dubbio una comparativa sui
generis: non stiamo cercando il prodotto migliore ma
vogliamo capire se la grossa differenza in termini di
prezzo si riflette anche sulle prestazioni percepite.
Quindi abbiamo pensato, oltre alla prova, di interpellare una decina di persone facendo ascoltare loro lo
stesso brano e derivandone un giudizio sintetico, per
quanto sia stato del tutto impossibile “mascherare” il
livello del prodotto: indossare a breve distanza la cuffia Sony e la B&W fa trasparire immediatamente le differenze di prezzo e di posizionamento sul mercato.
Per ottenere un resoconto ancor più attendibile, abbiamo suddiviso gli utenti tra casual e appassionati,
e la differenza di percezione ci ha dato un esito interessante: l’ultimo classificato è ovviamente Sony (ci
mancherebbe...), ma mentre gli “audiofili” gli attribuiscono un posizionamento non troppo distante dalle
soluzioni superiori, gli utenti casual ritengono che il
divario con le altre cuffie sia enorme. Presumibilmente pesa (e non poco) la differenza di livello costruttivo,
materiali, design e di comfort, che rispecchia i quasi
200 euro di differenza di prezzo. Al primo posto c’è la
spaccatura: assolutamente B&W per gli appassionati,
ma vince Yamaha tra i casual, tra l’altro senza esitazioni. E in realtà non ci stupiamo di questo risultato:
chi vuole la migliore qualità sonora e ha l’esperienza
per comprenderla appieno sa appezzare quelle sfumature che rendono il suono completo, bilanciato,
dinamico in ogni circostanza, un suono più “analitico”
rispetto ai competitor, chi ha una sensibilità musicale
minore e considera la musica un sottofondo ha invece
apprezzato molto la dinamica e l’energia che le cuffie
Yamaha sono state in grado di esprimere. E rispetto
alle B&W, c’è anche un risparmio notevole da mettere
in conto...
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MAGAZINE
TEST In prova Arlo, una soluzione di ripresa video completamente wireless realizzato da Netgear. Ecco le nostre impressioni
Casa o ufficio sotto controllo con Netgear Arlo
Un sistema che si controlla dal cloud via app per smartphone e tablet oppure via web e l’installazione è semplicissima
di Paolo CENTOFANTI
egli ultimi anni, la videosorveglianza IP è passata rapidamente da un qualcosa per esperti a un
vero e proprio prodotto di massa. Ha contribuito
sicuramente il calo dei prezzi delle videocamere di questo tipo, ma soprattutto la diffusione degli smartphone
e la possibilità di tenere sotto controllo in prima persona
e a distanza case, negozi e uffici, là dove una volta ci si
doveva affidare agli antifurti con chiamata. Se prima i
sistemi di videocamere a circuito chiuso richiedevano
investimenti importanti, oggi crearsi un piccolo sistema
di monitoraggio è praticamente alla portata di tutti. La
soluzione di Netgear, Arlo, si distingue dagli altri prodotti di questo tipo per la scelta di creare un sistema
completamente senza fili: non solo connettività Wi-Fi
per lo stream delle immagini, ma anche libertà dai cavi
di alimentazione grazie alle batterie integrate. Si tratta
anche di una soluzione che punta molto sul cloud per
l’archivio delle registrazioni e l’accesso ai filmati e ai
feed delle videocamere da praticamente qualsiasi tipo
di dispositivo: web, smartphone e tablet.
N
Wireless e a batteria
Le piccole videocamere Arlo uniscono caratteristiche
tecniche interessanti a un design che mette al centro
la praticità. Un esempio è l’idea di utilizzare dei supporti
magnetici per il fissaggio a parete, così che la stessa
videocamera può essere spostata con facilità da un ambiente all’altro a seconda delle proprie esigenze, semplicemente staccandola da una parte e appiccicandola
dall’altra in assoluta libertà. Lo stesso tipo di aggancio
consente di puntarla con buona libertà verso l’area da
riprendere e tenere sotto controllo. Il modulo di ripresa
è costituito da un sensore CMOS a colori con risoluzione di 1280x720 pixel, con faretto a LED a infrarosso che
consente di riprendere anche in totale assenza di luce,
fino a una distanza di oltre 7 metri. L’obiettivo è grandangolare e ha un angolo di ripresa di 110 gradi, il che
permette di monitorare con una sola videocamera anche stanze piuttosto grandi. L’alimentazione è a batteria
e ogni videocamera ha bisogno di quattro pile di tipo
fotografico CR123, una scelta dettata dalla necessità di
offrire una buona autonomia, che Netgear dichiara essere intorno ai 4 o 6 mesi a seconda della qualità video
impostata e naturalmente dell’utilizzo. Il sistema non è
video
299,99 €
lab
Netgear Arlo Security System
UNA SOLUZIONE CON MOLTO POTENZIALE
Netgear non fa mistero del fatto che il sistema Arlo è solo all’inizio. Si tratta di una soluzione i cui punti di forza sono soprattutto la flessibilità
di installazione data dall’assenza di fili e la semplicità di installazione e utilizzo. La programmazione non è del tutto immediata, ma una volta
compresa la logica poi diventa possibile creare un sistema di sorveglianza su misura per le proprie esigenze. Le videocamere offrono una qualità
di ripresa più che adeguata allo scopo anche in modalità notturna e la piattaforma cloud offre un accesso molto pratico a tutti i video registrati.
Si tratta di una piattaforma al momento molto semplice ma che lascia intravedere molto potenziale, specie se, come già annunciato, Netgear
introdurrà nuovi modelli di videocamere o altri sensori compatibili. Essendo prevalentemente una piattaforma software via cloud, speriamo che
Netgear aggiunga con il tempo nuove funzionalità. Unico dubbio il prezzo, visto che il kit base con una sola videocamera parte da ben 299 euro.
7.9
Qualità
8
Longevità
8
Design
9
Semplicità di installazione
COSA
Le videocamere si possono piazzare ovunque
CI PIACE Buona versatilità e affidabilità
pensato per riprendere 24 ore su 24, ma per attivarsi a
comando, oppure quando viene rilevato del movimento. Le videocamere, grazie alla connettività senza fili,
sono pensate per essere impiegate anche all’esterno e
quindi potenzialmente esposte alle intemperie, motivo
per il quale sono state progettate per resistere ad acqua e sabbia (con certificazione IP65) e a operare con
un range di temperatura che è tra i -10 e i +50 gradi.
Per il montaggio in esterno (ma non solo) è previsto
opzionalmente anche un supporto con aggancio a vite
alternativo a quello magnetico.
Installazione semplicissima
Il sistema Arlo impiega videocamere, come abbiamo
visto, senza fili, ma per garantire prestazioni, copertura,
autonomia della batteria e anche sicurezza, Netgear ha
scelto di implementare una versione leggermente modificata dello standard 802.11n, che consente di piazzare le videocamere fino a una distanza massima di 90
metri. Ciò significa che per connettere le videocamere
alla piattaforma cloud occorre un’apposita base station.
L’aspetto è quello di un normale router, anche nelle dimensioni, e tutto sommato non è troppo impegnativo
da sistemare in ambiente, anche se si tratta pur sempre
di una “scatola” in più da piazzare. Sul retro troviamo la
Semplicità
8
D-Factor
8
Prezzo
7
Gestione regole non immediata via app
COSA
Qualche bug ancora da limare
NON CI PIACE Costo un po’ elevato
porta di rete per il collegamento alla propria rete locale
(niente Wi-Fi) e due porte USB che nei piano di Netgear
serviranno in futuro per espandere la piattaforma Arlo
anche ad altri tipi di dispositivi. L’installazione di tutto il
sistema è davvero molto semplice e può essere tranquillamente effettuata anche unicamente dall’app per
smartphone o tablet. Una volta collegata la stazione
base e inserite le batterie nelle videocamere del proprio
kit, basta aprire l’app, registrarsi e seguire le semplici
istruzioni che ci guideranno dall’accensione al pairing
delle videocamere (che poi si riduce al premere il tasto
sync). Il passaggio chiave dell’installazione è quello che
prevede il collegamento del seriale della base station al
proprio account Arlo. Per fare questo è importante che
lo smartphone (o il tablet o il PC) che si sta utilizzando
per l’installazione si trovi naturalmente sulla stessa rete.
Da notare che non c’è nulla da configurare sulla stazione base, visto che i parametri di rete vengono presi
automaticamente via DHCP.
Allestiamo il nostro programma
di sorveglianza
Di default il sistema viene impostato per attivare la registrazione video in presenza di movimento e quindi,

segue a pagina40 
torna al sommario
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MAGAZINE
TEST
Netgear Arlo Security System
segue Da pagina 39 
completata l’installazione, possiamo passare a piazzare
videocamere nella posizione desiderata, assegnare un
nome per identificarle e quindi stabilire delle regole per
la loro accensione. Per aiutarci nel loro posizionamento, il sistema prevede un’apposita modalità che effettua
lo streaming alla massima velocità possibile e senza
buffering verso l’app per smartphone, in modo tale da
vedere direttamente cosa riprende la videocamera in
quella posizione e quindi effettuare gli aggiustamenti
necessari. In realtà, non è che questa modalità funzioni
granché bene, tant’è che abbiamo notato una minore
latenza con il live feed normale. Una volta messa in posizione, possiamo scegliere quale qualità di immagine
vogliamo: abbiamo tre livelli di qualità, ma occorre tenere presente che maggiore qualità, implica non solo un
bitrate superiore (il che può rappresentare un problema
a seconda della distanza dalla stazione base), ma anche
nel consumo della batteria delle singole videocamere.
Per quanto riguarda la funzione di rilevamento del
movimento è bene tarare prima la sensibilità del rilevamento a seconda dell’area da coprire, al fine di evitare falsi positivi dati, ad esempio, da movimenti fuori
da una finestra, tende, luci e così via. Per fare questo
basta mettersi nella zona che vogliamo monitorare con
lo smartphone e cambiare il livello di sensibilità facendoci guidare dal LED che si accende sulla videocamera
quando registra dei movimenti. A questo punto possia-

mo decidere come vogliamo funzioni il sistema, creando delle regole per ciascuna videocamera e stabilendo
una programmazione per la sorveglianza. Questa gestione non è molto intuitiva e diventa in realtà più chiara
dall’interfaccia web via browser desktop. Le “regole”
definisco i profili di comportamento delle telecamere e
specificano la sensibilità del movimento, la durata della
registrazione in caso di rilevamento del movimento e i
destinatari e-mail di eventuali notifiche. Da notare che
la videocamera che registra può non essere quella che
rileva il movimento in caso di configurazione multicamera. Ciò permette di definire scenari in cui, ad esempio, se viene rilevato un movimento su una finestra si
attiva la registrazione anche su un controcampo da una
seconda videocamera. Con un’altra regola andremo
a riprendere invece direttamente anche sulla stessa
finestra naturalmente. Con più videocamere potremo
creare più regole per attivare magari la registrazione
su tutte, ogni volta che viene rilevato un movimento da
torna al sommario
una sola di queste. Allo stato attuale, la definizione di
una regola è ancora piuttosto rigida e nell’esempio di
cui sopra, dovremmo creare una regola per ogni videocamera, visto che possiamo selezionare una videocamera alla volta per registrare. A questo punto possiamo
definire una modalità di funzionamento del sistema
raggruppando le regole così definite. A cosa servono
le modalità? A costruire la programmazione tramite l’interfaccia mostrata nell’immagine qui a lato. Il calendario
si programma prendendo le modalità che
troviamo in alto e le trasciniamo sulle varie
fasce orarie. Via app, come dicevamo, la
procedura è simile ma un po’ meno intuitiva visto che non è possibile semplicemente
trascinare le modalità, e non è molto chiaro
all’inizio il rapporto tra le regole, le modalità e la programmazione. Nel complesso
si tratta di un buon compromesso tra facilità d’uso e versatilità, anche se c’è ancora
qualche bug da sistemare. I cambiamenti
alla programmazione apportati tramite app
ogni tanto non vengono memorizzati o non
sono attivi da subito se non disattivando
e quindi riattivando la programmazione
stessa. Oppure ancora l’interfaccia del calendario via
web ogni tanto fa le bizze quando si cerca di regolare
le varie fasce orarie. Si tratta per lo più però di piccole
imperfezioni software.
Tutti i video sempre a disposizione
Tutti i video registrati dalle nostre videocamere Arlo finiranno nella libreria cloud, dove saranno accessibili via
app o web in ogni momento. Con il piano base gratuito,
i video sono conservati per 7 giorni, a meno che non li
impostiamo come preferiti, dove rimarranno a disposizione fino a esaurimento dello spazio che è di 1 GB. Le
registrazioni possono essere di tre tipi: ci sono quelle
automatiche, che avranno la lunghezza definita nelle
regole e che vengono effettuate in base al rilevamento
dei movimenti, quelle manuali, che effettuiamo dall’app
o da web in qualsiasi momento, oppure gli scatti fotografici, anche questi fatti manualmente quando guardiamo un feed live. I filmati sono automaticamente organiz-
zati in base alla data e ora di registrazione e la libreria
è facilmente sfogliabile, sia da mobile che da web. Naturalmente possiamo filtrare l’elenco delle registrazioni
anche in base alle videocamere con l’apposito filtro. Il
player è molto semplice e consente, oltre naturalmente
di vedere il filmato, di scaricare in locale il video e anche
di condividerlo via email con un apposito link web che
dà accesso solo a quel filmato. Durante la riproduzione,
cliccando sul simbolo dello zoom, possiamo ingrandire
l’immagine e spostarci su diverse aree dell’immagine
utilizzando il mouse. La qualità video è abbastanza buona e permette di identificare senza problemi i volti delle
persone che entrano nel raggio d’azione. La risoluzione
720p si ha solo se si imposta la massima qualità di registrazione. Già con l’impostazione media, la risoluzione
scende a 640x352 pixel, mentre al livello di qualità più
bassa si arriva a 416x240 pixel. Bisogna tenere conto
poi che questa è la risoluzione con cui i filmati vengono salvati sullo spazio cloud. In riproduzione, specie da
mobile, la qualità dipende anche dalla velocità della propria connessione, specie per quanto riguarda la visione
live del feed delle videocamere. Molto buona la qualità
di ripresa notturna, dove si perde il colore, ma la scena
rimane perfettamente intelligibile. Il ritardo durante la visione live delle immagini può variare in base alla propria
connessione, ma in generale abbiamo riscontrato una
latenza intorno ai 2 e 3 secondi durante le nostre prove.
Anche per quanto riguarda la registrazione automatica
al rilevamento di un movimento, ci vuole circa 1 o 2 secondi prima che la registrazione parta.
video
lab
Netgear Arlo
Test di qualità video