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n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 Che il TV sia buono, non importa se 4k Siamo tornati a casa dal 12° Fourm Europeo Digitale di Lucca tenutosi nei giorni scorsi, con un “fastidio” di nome UltraHD (o 4k). L’Ultra HD – è stato detto in tutte le salse a Lucca – avrebbe poco senso se riguarda solo l’incremento di risoluzione, che però si percepisce solo con schermi giganteschi e distanze di visione ravvicinate. Perché un passaggio all’UltraHD abbia senso – ci spiegano - servono gli altri fattori qualificanti, come la gamma dinamica estesa (HDR), l’alto frame rate (HFR) e lo spazio colore esteso. Peccato che gli attuali TV “4k” non siano compatibili con questo tipo di “4k” ma solo con l’incremento di risoluzione (che però conta poco); o meglio, quanto saranno compatibili lo scopriremo quando gli standard che saranno utilizzati per le eventuali trasmissioni saranno definiti. L’unico standard già definito è quello dell’Ultra HD Blu-ray, di cui però non si conosce la data del lancio e neppure il supporto da parte dei diversi rappresentanti dell’industria hardware e software. Questo standard prevede ovviamente una codifica HDR di base che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere supportata solo dai migliori TV 4k attualmente in commercio, previo aggiornamento software; per gli altri TV 4k in commercio non ci sarà nulla da fare. Lo stesso dicasi per spazio colore e frame rate supportato. Stante questa situazione, in cui le caratteristiche 4k potrebbero essere considerate ininfluenti, dato che i “vecchi” Full HD costano molto meno, la cosa migliore potrebbe essere anche scartare a priori il 4k, almeno finché se ne trovano ancora di decenti. Ma prima ancora viene da chiedersi se un lancio così scomposto sia qualcosa di tollerabile, con i TV che escono anni prima della definizione di qualsiasi standard di trasmissione, creando un installato neonato e obsoleto. In un mercato che di certo non brilla, come quello dei TV, invece di codificare e semplificare le innovazioni, si costringe l’utente a fare confusione, ben oltre ogni ragionevole limite. Cosa volete che ci capisca l’utente finale di HDR, HFR, profondità di bit, HEVC, gamut esteso e via discorrendo? Tutto andava “impacchettato” in un formato definito, meraviglioso per prestazioni e semplice per compatibilità; un formato, uno e uno solo, che andava “chiuso” prima del lancio dei primi TV. Una posizione anomala la nostra, almeno rispetto al coro osannante per l’Ultra HD. Forse verremo accusati di “minare” il mercato proprio nel momento in cui dovrebbe dare il meglio di sé. Ma la storia ci insegna che nascondere certi limiti delle tecnologie non è mai un buon servizio, né agli acquirenti né al mercato, almeno nel medio termine: ce l’ha dimostrato il 16:9, il 3D e per certi versi anche la “terra promessa” HD che in Italia esiste solo sulle pay TV. Quindi, ben vengano i TV Ultra HD di oggi, purché innanzitutto siano degli ottimi TV; ottimi in tutte le altre funzioni, nelle prestazioni di immagine, nel design. Quello che non deve accadere è che questo 4k “provvisorio” oscuri tutte le altre caratteristiche dei TV, che sono più importanti: quello che conta è la qualità di immagine e del suono, le prestazioni e le funzionalità di base ed evolute, e su questo preferiamo sensibilizzare i potenziali acquirenti. Sull’utilità reale delle funzioni (attuali) 4k ne parleremo solo più avanti, quando tempi e modi di arrivo dei contenuti saranno più chiari. Gianfranco GIARDINA MAGAZINE Netflix (per ora) è meglio di Infinity e Sky Online 07 iOS 9: più autonomia, Mac OS “El Capitan” nuove app e assistente aggiornamento tipo Google Now 19 gratis in autunno 26 Forum Europeo Digitale Lucca 2015 Caos 4K: i TV attuali sono già obsoleti Tarda l’approvazione degli standard 4K e i TV in vendita non sono del tutto compatibili con le trasmissioni future 02 04 Premium: assalto a Sky Nuovo colore, nuovo logo e prezzi più bassi La Champions, una nuova Smart Cam Wi-Fi e l’offerta Premium Online, tutto per battere Sky Apple Music: assalto a Spotify 11 Annunciato il servizio di streaming audio con la forza di iTunes. E per aggredire Spotify funziona anche su Android e Windows Phone Smartphone da 200 euro Poca spesa e tanta resa IN PROVA 37 Siamo andati alla ricerca di prodotti “top” nella fascia di prezzo dei 200 euro di listino Ecco i nostri consigli per chi cerca il miglior smartphone spendendo una cifra ragionevole Cuffie: la più cara suona meglio? 39 23 Netgear Arlo: IP cam totalmente senza fili n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Al 12° Forum Europeo Digitale si sono tenuti gli “stati generali” del 4K in Italia, ne esce una situazione contrastata Lucca 2015: confusione 4K e TV attuali obsoleti Tanta voglia di fare e altrettanta confusione. E intanto i TV in vendita, in attesa che si fissino gli standard, sono già “vecchi” “S di Gianfranco GIARDINA ul 4K le cose sono confuse”. Tocca a Massimo Bertolotti, Head of Innovation & Engineering di Sky Italia inquadrare il tema dell’UltraHD alla 12° edizione del Forum Europeo Digitale di Lucca. E lo fa con chiarezza e realismo: “Nell’ultimo anno ci si è resi conto che il solo incremento di risoluzione del 4K non avrebbe dato i vantaggi sperati ed è stata prevista una ‘fase 2’ con High Dynamic Range, High Frame Rate e via dicendo. E qui inizia la confusione”. Al 12° Forum Europeo Digitale di Lucca, ben organizzato da Andrea Michelozzi e la sua Comunicare Digitale, si sono tenuti di fatto gli “stati generali” dell’UltraHD in Italia, con la partecipazione di tutti i dipartimenti tecnici dei broadcaster, RAI, Mediaset e Sky primi tra tutti. E seguendo l’interessante discussione risulta ancor più chiaro come sul fronte 4K non si sia fatto tutto bene e di come si siano già perse importanti occasioni per fare la “cosa giusta”. Il problema – va detto – è tutt’altro che confinato all’Italia, anzi è globale; ma da noi si sente ancor di più, dato che la transizione al Full HD, realtà assestatissima altrove, per noi è ancora un obiettivo abbastanza lontano. garantisce la possibilità di fare una sola messa in onda per i TV compatibili e quelli non; non c’è accordo sullo spazio colore esteso; non c’è accordo sui profili di incremento del frame rate. E, sempre da Bertolotti, arriva anche l’ammissione chiara sull’inutilità di avere display 4K (almeno finché non ci sarà anche HDR e HFR) da 50 o meno pollici: “Sotto i 50” fare HD o 4K – dice Bertolotti di Sky - cambia poco”. In questo video i passaggi salienti dell’interessante intervento di Massimo Bertolotti. Un prodotto, mille loghi La confusione del 4K nasce già dai termini e dai loghi: “Al di là degli operatori che sanno bene cos’è il 4K e l’Ultra HD, nei centri commerciali c’è ancora tanta confusione – spiega Bertolotti -; e dal punto di vista di Sky, emittente che vorrebbe partire con il 4K, questa confusione è un problema”. E la slide mostrata con moltissimi loghi differenti usati dai diversi produttori per identificare la stessa cosa dice più di mille parole. video video lab Forum Europeo Digitale 2015 Intervento di Massimo Bertolotti (Sky) I TV 4K in vendita sono già obsoleti Ma non è solo un problema di loghi e comunicazione: “Dopo un anno – prosegue Bertolotti - la fase 2 (quella che vedrà l’implementazione anche di HDR, HFR e wide color gamut, ndr), non solo non si sa quando diventerà realtà, ma è ancora tutta da definire e standardizzare e questo è un problema”. Non c’è infatti ancora una vera convergenza sugli standard da utilizzare per le altre componenti dell’UltraHD, oltre all’incremento di risoluzione. Non c’è accordo su quale codifica HDR utilizzare e soprattutto se utilizzare o meno uno standard “backward compatible”, qualitativamente meno valido ma che torna al sommario codec: HEVC è sicuramente il futuro, ma deve funzionare sia per lo streaming, che per le trasmissioni via antenna e per eventuali file su chiavetta e hard disk. Bisognerebbe avere il coraggio di dire chiaramente al consumatore che gli attuali TV 4K sono già vecchi, ma nessuno, al di fuori di questi consessi tra operatori, ha il fegato di farlo. Da Lucca – finalmente – questo dato è emerso chiaramente: come ha chiarito con molta onestà, rispondendo a una nostra domanda, Alfredo Bartelletti, rappresentante di SMPTE Italia: “con le TV di oggi, quando arriveranno le trasmissioni Free to Air, servirà un decoder esterno”. In questo video la nostra domanda e la conseguente risposta, per noi scontata ma disarmante. Succo della faccenda: senza le funzionalità aggiuntive, come gamma dinamica ampia, alto frame rate e gamut cromatico esteso, l’UltraHD non comporta vantaggi tali da spingere i broadcaster a partire. Ma i broadcaster non si stanno mettendo d’accordo sugli standard da impiegare: se trasmissioni ci saranno, saranno fra molto tempo. E – cosa a nostro avviso gravissima - nel frattempo, già oggi nei negozi si vendono televisori denominati “UltraHD” o “4K” che però non saranno compatibili con le future trasmissioni, almeno per quello che riguarda i contributi a vero valore aggiunto oltre all’incremento di risoluzione. Nel migliore dei casi, i TV attuali potranno essere resi compatibili, dopo aggiornamento software, con le future codifiche HDR; ma di certo non saranno adeguate a frame rate superiori al 50p (alcuni in 4K neppure arrivano a questo risultato); men che meno i display di oggi sono pronti per gli spazi colore estesi di cui si parla, come il rec.2020. E poi c’è il tema del lab Forum Europeo Digitale 2015 Intervento di Alfredo Bartelletti (SMPTE Italia) Ultra HD, la sola risoluzione non basta Anche Benito Manlio Mari di Sony e presidente di HD Forum, pur mostrando più ottimismo di altri speaker, ha sottolineato come l’UltraHD si basi non solo sull’incremento di risoluzione ma su almeno altri quattro fattori: color gamut esteso, alto frame rate, gamma dinamica estesa e risoluzione in bit. A questi fattori, parlando, lo stesso Mari ha aggiunto anche un audio di qualità migliore rispetto a quello a cui siamo abituati oggi nelle trasmissioni TV. Il tutto disegna però uno scenario che – va detto – non è presente ma futuro: giusto traguardarlo e progettarlo, sbagliato – almeno a nostro avviso – far passare il messaggio che siamo già nell’era dell’UHD a tutto tondo. segue a pagina 03 n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Quattro diversi indizi da altrettante fonti ci dicono che la nuova versione di Apple TV è in dirittura d’arrivo La Apple TV con le applicazioni a bordo sta per arrivare? Alcune informazioni fanno pensare che qualcosa bolle in pentola, probabile un evento ad hoc per lanciare Apple TV Indizio numero 3 Premium Online su Apple TV Premium Online sarà disponibile dal 7 settembre e sarà anche su Apple TV. di Roberto PEZZALI L e applicazioni sulla Apple TV potrebbero arrivare prestissimo, facendo finalmente decollare quel piccolo set top box dalle potenzialità infinite ma fino ad ora poco sfruttato per applicazioni non video. Non possiamo dare ovviamente una data certa, ma ci sono diversi indizi che lo fanno pensare e che abbiamo raccolto qui. Indizio numero 1 Dov’è iOS 9 per Apple TV? iOS 9 beta al momento non è stato rilasciato con la versione Apple TV, ma solo Indizio numero 4 Infinity “forse” su Apple TV Alla nostra domanda fatta al direttore commerciale di Infinity: “E’ vero che arriverete su Apple TV?” la risposta è stata “no comment”. iPhone, iPad e iPod Touch. Un comportamento diverso rispetto a quanto fatto finora segno che Apple sta pensando ad una versione dedicata diversa dall’attuale o che comunque ha cose che al momento vuole nascondere. Indizio numero 2 Lo sviluppatore può provare le app Nel portale sviluppatori di Apple è stato aumentato a 100 il numero di applicazioni che ogni sviluppatore può provare sui diversi dispositivi: 100 per iPhone, 100 per iPad, 100 per Watch, 100 per iPod Touch e 100 per Apple TV. Fino a pochi giorni fa Apple TV non esisteva, anche perché solo gli sviluppatori che avevano firmato un contratto di riservatezza con Apple avevano accesso all’SDK per sviluppare su Apple TV e potevano, di conseguenza, provare anche le app. Apple TV non è stata neppure menzionata al recente keynote dedicato agli sviluppatori, ma crediamo che Apple abbia in mente qualcosa di molto particolare: non ci stupiremmo se tra qualche settimana l’azienda organizzasse un evento dedicato proprio alla nuova piattaforma televisiva, magari presentando un nuovo set top box. C’è spazio per una sola “One More Thing” al keynote del WWDC, e Apple ha preferito la musica perché già pronta e più facile da spiegare, ma siamo certi che la TV a breve tornerà protagonista. ENTERTAINMENT Forum Europeo Digitale - Lucca 2015 segue Da pagina 02 I contenuti: solo cinema (e TV Vaticana) Di certo uno dei problemi è la carenza di contenuti. A parlarne Marco Pellegrinato di Mediaset e vice presidente di HD Forum: “Devo essere realista: la filiera ancora scricchiola. Siamo ancora in fase di completamento della diffusione del Full HD. Al momento praticamente gli unici contenuti arrivano dal cinema e il mondo televisivo può avere un ruolo solo nei grandissimi eventi; ma non esiste ancora un progetto concreto”. video lab Forum Europeo Digitale 2015 Intervento di Marco Pellegrinato (Mediaset) torna al sommario Una conferma arriva anche da Sandro Gumiero di Rhode Schwatz: “L’impatto produttivo dell’UltraHD è pesante: in pratica vanno rifatti interamente gli impianti di studio, sostitute telecamere e regia, modificati i sistemi di inteconnessione. Salviamo i trasmettitori, ma tutto il resto va rivisto”. I canali sperimentali dei carrier satellitari Eutelsat e SES Astra sono un buon contributo, ma di certo non bastano, ci vuole l’impegno delle emittenti. A parziale smentita arriva però Don Dario Vigano, direttore del Centro Televisivo Vaticano e ottimo tecnologo: “Noi possiamo dare un contributo sul punto di vista dei contenuti. Entro l’autunno inizieremo la sostituzione del parco telecamere con HDR 4K Sony; l’8 dicembre, con l’inizio dell’Anno Santo della Misericordia, partiremo con la produzione in UltraHD e HDR”. “C’è poi il problema della distribuzione - prosegue don Viganò: probabilmente questa produzione live sarà poi trasmessa via Eutelsat e faremo anche una personalizzazione esclusiva Ultra HD per CNN; per l’Italia faremo necessariamente un downgrade”. E proprio da Don Viganò arriva la spinta più importante: “Visto che neppure il Full HD in Italia non è ancora una realtà, perché non fare direttamente il salto e passare direttamente all’UltraHD”. È giusto che don Viganò sia spontaneamente portato a credere ai miracoli, ma che in Italia passare direttamente all’UltraHD, saltando la fase del FullHD sarebbe una strategia troppo illuminata: i nostri broacaster, oltre a non avere le finanze necessarie, non hanno – a nostro avviso – neppure la lucidità che può ispirare un salto di questo tipo. video lab Forum Europeo Digitale 2015 Intervento di Don Dario Viganò Non dimentichiamoci che siamo ancora nella nazione in cui il Full HD è visto non come un “minimo garantito” ma come un prodotto “premium” da erogare solo a pagamento. La strada è ancora lunga e servono altri appuntamenti come questi: solo se si parla chiaro, come a Lucca 2015, si potranno fare veri passi avanti. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Mediaset Premium totalmente rinnovata: qualità, contenuti e prezzi bassi. L’obiettivo è far tremare Sky Mediaset Premium tutta nuova, ecco i dettagli Premium avrà prezzi più competitivi, nuovi canali (anche in HD) e offrirà tanti contenuti esclusivi, tra cui la Champions N di Roberto PEZZALI uovo logo, nuova immagine, nuovi contenuti con la Champions League fiore all’occhiello per il prossimo triennio: nasce una nuova Mediaset Premium e per la prima volta si tratta di un prodotto che può davvero competere ad armi pari con Sky, da anni simbolo di qualità e innovazione tecnologica. Franco Ricci, amministratore delegato di Mediaset Premium, ha illustrato quella che è la nuova strategia dell’azienda sotto la sua guida, una tattica di attacco che mira a traghettare nei prossimi tre anni il maggior numero di clienti dalla “pay TV satellitare” alla pay TV Mediaset. Tre i pilastri della nuova offerta: contenuti di qualità, facilità di accesso all’offerta con una nuova piattaforma tecnologica e una piattaforma online di prim’ordine con 400 dispositivi abilitati alla visione. Il contenuto resta comunque il re; la Serie A e soprattutto la Champions League sono i due eventi che secondo Sky possono spostare gli equilibri: da una ricerca di mercato emerge infatti come il principale evento europeo, e soprattutto il calcio, siano i principali fattori di scelta di una pay TV. Ne è convinto pure Pier Silvio Berlusconi, che non reputa contenuti di attualità come Masterchef o Hell’s Kitchen esclusive tali da spostare gli equilibri di un mercato decisamente complesso. La nuova Premium avrà finalmente un “vero” contenuto: cinema, serie TV e calcio saranno organizzati in nuovi pacchetti facili da identificare e soprattutto “all inclusive”. Ci sarà l’HD, per i canali che lo prevedono, Premium Play e, per chi sceglie cinema, anche Infinity, incluso gratuitamente: nessun prezzo al momento, ma ci assicurano che saranno decisamente più competitivi di Sky. Juventus solo pay E arriva un nuovo canale HD Per entrare nel dettaglio dei contenuti, l’annuncio più rilevante lato cinema è l’arrivo di un nuovo canale in alta definizione: a breve debutta infatti Premium Cinema HD 2, un canale dedicato alle prime TV italiane e ai blockbuster internazionali. Un canale perfetto per ospitare titoli del calibro di American Snipe e Interstellar, frutto del recente accordo con Warner e NBC Universal. La nuova Mediaset si è aggiudicata anche l’esclusiva di un buon numero di opere italiane: i film Medusa e i film Tao2 saranno esclusiva Mediaset, ma ovviamente in questo caso l’accordo è più semplice, si gioca in casa. Restando in ambito film e serie TV arriva un nuovo torna al sommario canale dedicato alle serie “drama”, la versione Mediaset di Sky Atlantic: si chiamerà Premium Stories e avrà una serie di titoli di caratura internazionale. Il punto di forza dell’offerta resta in ogni caso lo sport: Mediaset Premium avrà l’86% di tutte le partite di Serie A oltre a tutte le partite di Champions League per i prossimi tre anni e, grazie all’acquisto del pacchetto C, sarà anche l’unica ad avere tutti i gol in diretta in tutti gli incontri, le prime interviste pre e post partita, le immagini da spogliatoi e tunnel e i cronisti sul terreno di gioco. Fatta eccezione per Juve e Roma, che non hanno ceduto i diritti d’archivio a Infront, avrà anche attualità e storia di tutte le squadre di serie A. Premium, nell’idea di Mediaset, diventerà la nuova “casa del grande calcio” e per questo ha creato un nuovo canale Premium Sport che affiancherà Premium Calcio con una programmazione praticamente 24 ore su 24: questo canale, in attesa della Champions, trasmetterà ad esempio i match più importanti degli ultimi anni e il torneo ICC che si giocherà in estate tra le maggiori squadre europee. La notizia più esclusiva riguarda però i tifosi della Juventus: Mediaset Premium ha deciso di tenere le partite di Champions della Juventus solo come esclusiva pay fino a gennaio, e questo vuol dire che nessuna partita dei gironi sarà trasmessa in chiaro da Canale 5 il mercoledì. Una mossa strategica questa di Premium che farà arrabbiare un po’ il tifoso juventino, mentre sarà più felice il laziale o il romanista che avrà più possibilità di vedere i match della sua squadra in chiaro. Nuova Smart Cam Wi-Fi gratis per tutti Con tanti contenuti a disposizione la sfida di Mediaset è ovviamente quella di mettere a disposizione il suo mondo al più alto numero di persone possibile: nasce quindi una nuova versione di smart CAM Wi-Fi, il ponte di accesso sia alla piattaforma digitale terrestre sia ai servizi online della nuova Mediaset Premium. La cam Wi-Fi, compatibile con ogni TV dotato di slot Common Interface (praticamente tutti quelli con tuner digitale terrestre), permetterà non solo di guardare e decodificare i pacchetti del proprio abbonamento ma di usare lo smartphone, iOS o Android, per inviare contenuti dal servizio onDemand Premium Play alla TV. Mediaset, per farla semplice, ha integrato nella CAM le funzionalità di Chromecast o di AirPlay di Apple, con il vantaggio però che questa periferica sarà data gratis a tutti i nuovi abbonati (e a un prezzo vantaggioso, quasi sottocosto, per i vecchi). La CAM rappresenta anche un grosso vantaggio per gli affamati di alta definizione: il digitale terrestre, per ovvi limiti di banda, non permette a Mediaset di trasmettere tutti i canali del pacchetto in HD, ma sfruttando la CAM e visualizzando i canali tramite internet e non via etere sarà possibile visualizzare lo segue a pagina 05 n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Mediaset ha ufficializzato l’accordo con Warner Bros e NBC Universal: contenuti in esclusiva per 3 anni I film e le serie TV di Warner e Universal vanno a Mediaset Mediaset avrà l’esclusiva assoluta per la pay TV (su DVB-T e su satellite) e per lo streaming, sia lineare che on demand di Roberto PEZZALI L’ accordo tra Mediaset, Warner e Universal per l’esclusiva dei contenuti per i prossimi anni è stato firmato: Mediaset si assicura in esclusiva per l’Italia i film e le serie tv di Warner Bros fino al 2020 e di NBC Universal fino al 2018. L’accordo prevede circa 3.500 ore di prodotto all’anno con 1.000 ore di titoli inediti, dove troviamo “American Sniper”, “Interstellar”, “Cinquanta sfumature di grigio”, “Fast & Furious 7” e “Jurassic World” tra i film e “Big Bang Theory”, “Arrow”, “Flash”, “Person of interest”, “Dr. House”, “Law&Order, “Mentalist”, “Friends” e “Suits” tra le serie. A questi si aggiungeranno ovviamente tutte le nuove produzioni oltre ai titoli più famosi delle due major, come “Harry Potter”, “Batman”, “Cattivissimo me”, “Ocean’s Eleven”, “Jurassic Park”, “Troy”, “The Bourne Ultimatum”, “Mamma Mia” e “Fast and Furious”. La novità non sta però nel numero di titoli ma nell’esclusività multipiattaforma: l’accordo comprende tutte le modalità di visione e tutte le piattaforme distributive, tv free, tv pay (satellite compreso) e online in modalità lineare e on-demand. Questo vuol dire gambe tagliate non solo a Sky ma anche a concorrenti come Netflix, che non potrà avere a catalogo né le serie né vecchi film Warner come ad esempio la trilogia di Matrix o i vari Batman. Franco Ricci, amministratore delegato Mediaset Premium, ha commentato così: «Con gli accordi conclusi oggi, il gruppo Mediaset potenzia per qualità e quantità l’offerta di Mediaset Premium, pay tv leader nel calcio e non solo. Ma soprattutto conferma la volontà di investire a lungo termine in contenuti esclusivi, quelli che fanno la differenza tra offerte concorrenti, sia free sia pay sia di streaming online. Con questi accordi Mediaset si pone sempre più al centro degli interessi internazionali legati alla convergenza tra contenuti video e offerte broadband». ENTERTAINMENT Tutto sulla nuova Mediaset Premium segue Da pagina 04 stesso canale, magari con qualche secondo di ritardo, in alta definizione. Premium via internet su tutti i dispositivi Si parla anche di 4K per cinema e serie TV Premium rinnova anche la parte “web”, quella che ora si chiama Premium Play. La nuova piattaforma sarà accessibile da tutti i dispositivi (console, smartphone, tablet) e avrà non solo contenuti “onDemand” e contenuti lineari, quindi i canali “live” in streaming. Il web non ha i problemi del digitale terrestre e proprio per questo tutti i canali e i contenuti saranno disponibili in HD, se la banda lo permetterà. Tra le novità del servizio, oltre al multipiattaforma, la possibilità di gestire fino a 5 dispositivi e di visualizzare due flussi in contemporanea, pertanto sarà possibile farsi un “multivision” gratuito TV / tablet. La sezione “online” è la più strategica, e non è un caso che a Premium Play Mediaset abbia affiancato una nuova piattaforma che nascerà il 7 settembre: Premium Online (qui l’approfondimento). Quest’ultima, simile a Sky Online, a Netflix e a Infinity sarà su abbonamento senza vincoli e avrà per la prima volta lo sport. Sarà un servizio separato, dedicato al popolo digitale che preferisce la TV 2.0 alla TV tradizionale. In questo segmento Pier Silvio Berlusconi, Vice Presidente e AD di Mediaset, ha precisato che non sono previsti in questa fase accordi con le Telco, un chiaro riferimento alla partnership Telecom-Sky. Mediaset, se mai dovesse trovare un accordo con un operatore, cercherà di fare un’offerta dedicata e specifica, non sarà una copia dell’offerta pay su digitale terrestre ma offrirà qualcosa in più. Sempre in ambito web, speranze anche per il 4K: è presto per parlarne, ma Mediaset non chiude le porte: “Ci siamo lavorando - afferma Franco Ricci ma riguarderà cinema e serie TV”. torna al sommario Un’indicazione di quanto potrebbero costare i pacchetti: i prezzi elencati sono quelli di Sky da “scontare” Nel futuro c’è anche il satellite Prezzi più bassi di Sky, Champions inclusa Per Mediaset inizia un triennio “di fuoco”, con contenuti di qualità e una piattaforma innovativa per quanto riguarda l’onDemand. Non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di chiedere a Berlusconi notizie sul possibile sbarco di Mediaset su satellite, ottenendo la conferma che Mediaset sta lavorando a un’offerta sempre più ampia e quindi presente su tutte le piattaforme. In ogni caso il decoder sarà pronto a gennaio 2016: Franco Ricci conferma che sarà un set top box ibrido satellite, digitale terrestre e IP all’inizio del prossimo anno, si tratterà di un box tecnologicamente molto evoluto e compatibile anche HEVC. Fino ad allora, per vedere tutti i canali in HD l’unica soluzione è il web, anche se grazie allo “spezzatino” di anticipi e posticipi Premium sarà già in grado quest’anno di permettere la visione dell’80% circa di partite in alta definizione, con la Champions trasmessa quasi tutta in HD. Tutto bello, ma quanto bisogna spendere? Per ora non esiste ancora un’offerta commerciale completa. Mediaset ha semplificato molto i pacchetti ed esisteranno una serie di promozioni, tuttavia assicurano che i prezzi, nonostante la Champions League, saranno più competitivi del 30% circa rispetto a quelli praticati attualmente da Sky. Un’idea ce la siamo fatta: per tutto lo sport, il cinema e le serie TV si potrebbero spendere massimo 40 euro al mese. Premium per la prima volta può davvero competere con Sky: manca tutto l’HD di Sky, ma la soluzione “web” è decisamente interessante e, se proposta al giusto prezzo, potrebbe ricevere un numero enorme di consensi. Sarà divertente vedere come verranno gestite le due offerte Premium e Premium Online: la seconda, che richiede comunque Internet, rischia di essere con HD e prezzo più appetibile il vero nemico dell’offerta tradizionale. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Mediaset lancia dal 7 settembre Premium Online: abbonamento alla Netflix Premium Online come Netflix ma con il calcio I contenuti verranno resi disponibili in HD (banda permettendo) su oltre 400 dispositivi H di Roberto PEZZALI D, contenuti, qualità e tanti dispositivi per vedere tutto quando e dove si vuole si vuole. Nasce così Premium Online, un nuovo servizio di video on demand che include tutti i contenuti di Premium veicolati tramite web. L’arrivo di Netflix in Italia non spaventa affatto Premium: “Noi non viviamo Netflix come un concorrente diretto - ci dice Pier Silvio Berlusconi - non ci sentiamo minacciati. È Infinity che compete con Netflix”. Ed effettivamente Infinity è il concorrente più diretto di Netflix per catalogo e prezzi. Mediaset condivide tuttavia l’idea alla base di Netflix: la TV del futuro viaggia sul web e non bisogna sottovalutare quei 3.8 milioni di famiglie che vogliono un prodotto diverso dalla TV tradizionale. Nasce così Premium Online: cinema, serie TV e calcio in abbonamento senza vincoli, con l’alta definizione (contrariamente a SKY Online) e con la possibilità di scaricare i contenuti offline. Premium Online è un servizio tutto nuovo che sarà attivato il 7 di settembre e sarà svincolato da Mediaset Premium: funzionerà solo tramite internet e offrirà sia canali on demand sia canali “live”. Una offerta trasparente, I vertici di Alibaba confermano: entro due mesi sarà lanciato un nuovo servizio di streaming video Almeno all’inizio, sarà destinato solo agli utenti cinesi di Vittorio Romano BARASSI tutto compreso, con più di 10.000 contenuti visibili e 22 canali live in HD con calcio, sport e intrattenimento. Premium Online di fatto unisce differenti “library”: Infinity per i contenuti meno recenti e Premium Play per quelli più nuovi e per lo sport, un mix micidiale che rischia di essere in competizione non solo con Netflix e Sky Online ma con lo stesso prodotto classico Mediaset. Il bacino di utenza di Premium Online sarà enorme: Mediaset lo renderà infatti disponibile su oltre 400 dispositivi che includono smart TV, set top box, PC, tablet smartphone e, per non lasciare indietro nulla, Apple TV e Chromecast. Premium Online non costerà come l’offerta classica, costerà addirittura meno e questo può apparire come un controsenso: non ci sono ancora i prezzi ufficiali ma ipotizziamo possano essere massimo di 35 euro al mese per il pacchetto full, quindi Cinema, Serie TV e Sport e di 15 euro circa per il pacchetto cinema. Competere con la decina scarsa di euro di Netflix è difficile: Premium Online ovviamente fa pagare un bonus per la library più recente e soprattutto per il calcio. Ci sarà comunque spazio per operazioni promozionali, magari abbinate a qualche operatore, ma al momento è tutto “top secret”. ENTERTAINMENT Nuova sfida per il digitale terrestre: Sky ha messo le mani sul canale 8 Sky è ad un passo dall’acquisto di MTV L’acquisto non è ancora ufficiale, pare che Sky vorrebbe trasformarlo in un canale sportivo S di Roberto PEZZALI e Mediaset si prepara a sbarcare sul satellite, Sky reagisce e si prende una posizione pregiata del digitale terrestre. Al momento in cui scriviamo, secondo alcune indiscrezioni che probabilmente troveranno conferma, pare che Sky sia ad un passo dall’acquisto di MTV, canale 8 del digitale terrestre. Dopo Cielo e Sky TG 24 salgono così a tre i canali Sky in chiaro sulla piattaforma più popolare italiana, anche se quello che Sky ne vuole fare non piacerà certo ai fans di MTV: il canale, ora di proprietà di Viacom, sparirà per lasciare spazio ad un nuovo canale sportivo con un palinsesto che partirà a fine agosto, torna al sommario Alibaba Pronto il servizio di streaming per la Cina appena in tempo per la partenza della prossima stagione sportiva. Probabile che Sky voglia realizzare una sorta di “Sport TG 24”, un canale de- dicato allo sport in generale con ovvia preferenza al calcio. La firma tra Viacom e Murdoch è attesa in tempi molto rapidi. Il colosso cinese Alibaba nei prossimi due mesi si lancerà prepotentemente nel mondo dell’intrattenimento domestico. A confermarlo ai reporter dell’agenzia Reuters è stato Patrick Liu, presidente della divisione digital entertainment di Alibaba, che ci ha tenuto a precisare che il prossimo servizio di video streaming TBO (che sta per Tmall Box Office) sarà ambizioso e col tempo saprà evolversi esattamente come hanno fatto i “parenti” americani. L’offerta TBO prevederà un piano free con il quale sarà possibile accedere solo al 10% del catalogo e un piano a pagamento senza limiti. Come Netflix Alibaba si concentrerà poi nella realizzazione di contenuti: oltre ad alcuni film già confermati, molto presto arriveranno serie TV prodotte da TBO e trasmesse in esclusiva assoluta. Quella di Alibaba è una mossa di incredibile importanza strategica: in Cina non vi è ancora un vero e proprio punto di riferimento nel settore dello streaming video e le recenti “minacce” di Netflix sul suo probabile prossimo sbarco sul mercato cinese (che, inutile dirlo, è il più grande al mondo) hanno fatto uscire allo scoperto il gigante asiatico. E viste le ambizioni di Alibaba, come si fa ora ad escludere a priori un eventuale sbarco anche in USA ed Europa? n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Lo streaming video di Netflix arriverà in ottobre in Italia. Perché è così atteso? Le aspettative sono giustificate? Ecco perché Netflix è meglio di Infinity e Sky Online Netflix, almeno per ora, convince di più per usabilità e approccio. Anche se il catalogo, al momento, è il più debole N di Paolo CENTOFANTI etflix ha finalmente annunciato lo sbarco in Italia, arriverà ad ottobre, qui la nostra news con tutti gli approfondimenti. Non c’è ancora un giorno preciso, ma da questo autunno gli utenti italiani potranno abbonarsi a Netflix e avere a disposizione serie tv e film in alta definizione e anche in Ultra HD 4K. Si tratta di un lancio molto atteso, certamente per il nome che si è fatto il servizio americano in patria, dove ha riscosso un incredibile successo negli ultimi anni (si stima che siano 40 milioni gli abbonati statunitensi su 62 milioni di utenti complessivi), ma anche perché, nonostante non manchino alternative simili in Italia, Netflix ha realizzato un prodotto che è un vero e proprio punto di riferimento per l’esperienza d’uso. Molto ha a che fare con il fatto che Netflix è un’azienda che punta a rivoluzionare il concetto di televisione pur non essendo mai appartenuta a quel mondo; originariamente il servizio nasce per il noleggio via posta di film in DVD e solo in un secondo tempo ha cominciato a offrire, parallelamente ai dischetti, la possibilità di vedere i film da Internet. Da allora la componente streaming è cresciuta fino a diventare il business principale di Netflix, che ha messo in campo una visione e una strategia che fonde investimenti sui contenuti da grande TV via cavo americana, con la flessibilità della visione non lineare che si richiede da un prodotto Internet. In cosa è superiore Netflix rispetto a Infinity di Mediaset o Sky Online? Lasciamo da parte per il momento il catalogo, che certamente non è un elemento secondario, ma sul quale torneremo a parlare più avanti. Il primo vero grande punto di forza di Netflix, prima ancora del prezzo, è la disponibilità praticamente su qualsiasi piattaforma. Netflix è già presente da qualche anno su un gran numero di smart TV: Panasonic, Philips, Sony, LG, Samsung, sono i principali produttori di televisori che già da tempo supportano Netflix. Sui modelli Ultra HD c’è pure la possibilità di riprodurre contenuti in 4K e presto arriveranno anche quelli in HDR. Ma non serve per forza avere uno smart TV per vedere Netflix. Anzi la maggior parte dei consumi avviene via app mobile: anche in questo caso Netflix ha lavorato molto per essere disponibile su qualunque tipo di smartphone o tablet. E poi ci sono le app per set top box come Apple TV, Roku, la chiavetta Google Chromecast e ancora le console di videogiochi. Poi naturalmente via web. Insomma, Netflix è presente ovunque e non ha limitazioni: le app supportano sia AirPlay che Chromecast e si può passare istantaneamente dalla visione su smartphone o tablet al TV. Infinity e Sky Online non offrono la stessa libertà di fruizione e forse ora si adegueranno. C’è una cosa invece che ha Infinity e che Netflix non avrà mai: la riproduzione offline. Netflix si può guardare unicamente in streaming e il CEO dell’azienda californiana ha più volte ribadito che non ha alcuna intenzione di aggiungere questa funzionalità. Offerta diversificata con prezzi per tutte le tasche Poi c’è il discorso qualità. Netflix negli anni ha migliorato notevolmente la propria piattaforma di delivery ed stato il primo servizio di streaming a offrire contenuti in Ultra HD. È uno dei fondatori della UHD Alliance e introdurrà anche contenuti in HDR. Il suo sistema di codifica scalabile è molto efficiente nell’adattare la qualità di immagine in funzione della banda disponibile, al fine di non interrompere mai la riproduzione. Certo, può capitare in casi di estrema congestione, ma il più delle volte si assisterà “solo” a un abbattimento temporaneo della qualità. Se la banda è sufficiente da permettere la riproduzione da 720p in su la qualità di immagine è nettamente superiore a qualsiasi trasmissione su digitale terrestre e persino satellite. A 1080p, la stragrande maggioranza degli spettatori non noterà la differenza da un Blu-ray Disc. La qualità video non è la stessa, intendiamoci, I tre piani che con ogni probabilità saranno disponibili anche in Italia torna al sommario e gli appassionati noteranno ancora la compressione, ma per loro (banda permettendo) c’è appunto l’Ultra HD. Quasi tutti i contenuti di Netflix ormai sono in alta definizione, e ci sono ampie selezioni di lingua audio e sottotitoli. Per le serie originali di Netflix ci sono doppiaggi in più lingue, proprio come su un DVD o un Blu-ray Disc. Altro punto a favore di Netflix è la differenziazione dell’offerta. Negli Stati Uniti e negli altri paesi in cui il servizio è presente i piani sono molteplici. Tutti prevedono l’accesso illimitato al catalogo, ma si parte dalla sola definizione standard e un solo dispositivo alla volta (7,99 euro in Europa), per poi arrivare all’alta definizione e possibilità di visualizzare contenuti da più postazioni alla volta (8,99 euro), fino poi arrivare all’Ultra HD (11,99 euro). Tre fasce di prezzo per accontentare diversi tipi di utenti, ma in ogni caso sempre molto convenienti, anche se va detto che al momento i contenuti 4K sono ancora pochi (ma cresceranno rapidamente). Non è da escludere che per Italia, Portogallo e Spagna i prezzi siano diversi, ma ne dubitiamo. Un’interfaccia immediata e multiutente Sono due gli elementi che caratterizzano l’interfaccia di Netflix: immediatezza d’uso e rapidità con cui si trova qualcosa da guadare e l’inizio della riproduzione. L’azienda californiana ben sa che il suo diretto concorrente è la pirateria, per cui l’accesso ai contenuti deve essere simile: trovo quello che voglio vedere e schiaccio play. Da una parte c’è allora l’algoritmo che offre dei suggerimenti di continuo in base ai propri gusti e abitudini di visione, un sistema che chiaramente diventa più preciso e puntuale via via che si utilizza il servizio e che funziona molto bene, meglio di quelli della concorrenza italiana attuale. Non solo Netflix aggiorna dinamicamente la lista dei suggerimenti (anche per ogni genere) mano a mano che utilizziamo il servizio, ma offre anche una valutazione stimata del contenuto in base ai nostri gusti. segue a pagina 08 n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Perché Netflix (per ora) è meglio di Infinity e Sky Online segue Da pagina 07 In secondo luogo la riproduzione di un contenuto non è mai a più di due click di distanza. Sembra una banalità, ma una volta che ci si fa l’abitudine, tornare a un DVD o un Blu-ray Disc, con tutti i loro avvisi, trailer e menù, è una tortura: arrivare al film sembra richiedere un’eternità. Infinity da questo punto di vista ha migliorato notevolmente la propria app (ispirandosi proprio a Netflix) anche se non in modo uniforme su tutte le piattaforme e continua ad essere molto limitata a livello di versatilità: niente AirPlay ad esempio su iOS, niente doppio audio su PlayStation, scelta di utilizzare prevalentemente l’MHP anziché app native per smart TV (certamente una questione di costi, ma l’esperienza utente ne soffre). Sky Online è limitata in tutto: risoluzione in primis, ma anche cross compatibilità, specie per quanto riguarda la visione su TV, oltre che in esperienza d’uso. Discorso simile per TIMVision, lo streaming on-demand di TIM, la cui app mobile necessita ancora di qualche limatura sul fronte del design. E poi c’è il supporto multiutente. Con unico account è possibile infatti creare più “spettatori”. Di default ci sono quello del creatore dell’account e il profilo bambini, che permette di restringere l’accesso solo ai contenuti per i più piccoli. Per chi è abituato a utilizzare YouTube per trovare cartoni animati per i propri bimbi, si tratterà di una manna dal cielo. Per ogni account si possono creare fino a un massimo di 5 profili utente, il che dovrebbe bastare per la maggioranza dei nuclei familiari. Ciò non vuol dire che è possibile accedere contemporaneamente in cinque persone (questo dipende dal proprio piano di abbonamento come abbiamo visto), ma ogni utente avrà la sua lista delle cose da vedere, con i propri suggerimenti personalizzati e potrà lasciare le proprie re- Non solo Netflix aggiorna dinamicamente la lista dei suggerimenti (anche per ogni genere) mano a mano che utilizziamo il servizio, ma offre anche una valutazione del contenuto in base ai nostri gusti censioni. Per ogni profilo possono essere impostati dei limiti d’età per l’accesso al catalogo, anche se poi in realtà al momento i vari profili non sono protetti da password. Il catalogo è limitato ma quantità non fa rima con qualità Non fatevi illusioni: Netflix partirà in Italia con un catalogo molto limitato, probabilmente simile a quelli francese e tedesco. Ma sarebbe un errore pensare che quel che offrirà sarà di poco valore. Innanzitutto ci sono i prodotti originali di Netflix, alcuni dei quali sono di ottima qualità. Già solo Daredevil e Bloodline, sono due appassionanti serie originali che vi terranno compagnia per uno o forse due mesi di abbonamento (sempre che non verrete presi dalla mania del binge watching, vedere cioè un episodio dopo l’altro senza mai fermarvi). Marco Polo non è forse quel capolavoro che Netflix sperava di avere tra le mani, ma è sicuramente interessante, è una produzione comunque di altissimo profilo e in Ultra HD è uno spettacolo da vedere. Ci sono poi documentari di grande valore e sicuramente non mancherà qualche film di forte richiamo. Due gli aspetti che differenziano Netflix dai player italiani: mentre ad esempio Infinity punta molto sulla quantità, Il servizio americano cerca di assicurarsi pochi titoli ma forti (sia nel senso di blockbuster, che di cult) da affiancare alle proprie produzioni originali che crescono continuamente di numero. In secondo luogo, il catalogo viene aggiornato di continuo, praticamente ogni mese, e gli investimenti cospicui sul fronte dei contenuti non mancano. Questo per dire che se il lancio avverrà in tono minore, in pochi mesi l’offerta con ogni probabilità si farà via via più aggressiva. E a meno che non passiate tutto il tempo davanti al TV, è probabile che l’offerta iniziale vi terrà già abbastanza impegnati prima che arrivino altre novità. Un lancio che aiuterà tutti anche i concorrenti Sense8 dei fratelli Wachowsky (i creatori di Matrix), è appena arrivata su Netflix e sarà disponibile in Italia torna al sommario In conclusione l’arrivo di Netflix in Italia è una buona notizia per il mercato italiano anche per un altro motivo: costringerà gli altri player italiani a fare di più e a migliorare la propria offerta e il proprio servizio. E gli utenti hanno solo da beneficiare da una maggiore concorrenza in un settore come questo. Inoltre Netflix avrà un effetto volano sulla consapevolezza tra gli utenti italiani della presenza di alternative legali di qualità alla pirateria online. Si tratta di un nome di forte richiamo che farà parlare e attirerà più persone verso lo streaming legale e questo a beneficio prima di tutto anche dei concorrenti. La crescita della domanda di servizi di streaming avrà un altro effetto molto positivo sul mercato italiano: quello di far crescere la domanda per servizi di connettività a banda ultralarga, cosa di cui c’è molto bisogno ora che il Governo ha finalmente deciso di investire una grossa quantità di investimenti pubblici nella realizzazione di nuove infrastrutture di rete in Italia. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Chiara Tosato, direttore commerciale di Infinity, fa il punto della situazione parlandoci di contenuti 4K e 1080p “Netflix ci aiuterà, il nostro nemico è la pirateria” Netflix aiuterà gli italiani a capire che esistono alternative alla pirateria, la profondità di catalogo non è così importante N di Roberto PEZZALI etflix arriva in Italia, Infinity corre ai ripari: nuova applicazione per Samsung TV Tizen, ancora più veloce, nuovi contenuti e nuove serie in esclusiva come la terza stagione di “Orange is the new Black”. Ma cosa ne pensa davvero Infinity dell’arrivo di Netflix, e soprattutto come va Infinity a più di un anno dal lancio? L’abbiamo chiesto a Chiara Tosato, direttore commerciale di Infinity. DDay.it: Un bilancio di Infinity ad un anno dal lancio: ci siamo visti quando eravate “solo Cinema” e ora avete moltissime cose da raccontare. Chiara Tosato: “Direi che il bilancio è positivo: il servizio è cresciuto tantissimo e come avete detto voi al lancio Infinity era soltanto Cinema, oltre tutto con un numero di elementi a valore aggiunto limitato, come il numero di dispositivi. Nell’arco di un anno abbiamo fatto un vero salto “quantico”, copriamo le serie TV, abbiamo aperto la sezione bambini, abbiamo incorporato le produzioni Mediaset e la catch up della TV generalista (su Infinity ora c’è anche l’ultima settimana di Canale 5, Italia Uno e degli altri canali Mediaset - nd redazione), siamo dappertuto. Arriveranno ovviamente anche altre novità che non posso svelare, ma la cosa che più ci piace ricordare e che riteniamo fondamentale è avere fatto quello che secondo noi è un grande salto nella qualità di visione”. DDay.it: Un chiaro riferimento al 1080p, quello che voi chiamate Super HD? Chiara Tosato: “Si, sui grandi schermi i contenuti sono in 1080p, connessione ADSL permettendo, e stiamo lavorando anche al 4K. L’abbiamo presentato all’HD Forum Italia e andiamo avanti con lo sviluppo, anche se ora stiamo lavorando per acquisire contenuti di qualità che possano essere usati per il 4K”. DDay.it: Tutti parlano di Netflix che arriva in Italia. Lo vedete come un competitor o vi può aiutare a lanciare un mercato dove al momento c’è spazio per tutti? C.T.: “Noi abbiamo un unico vero avversario che è la pirateria. Ben venga chiunque insegna agli italiani che esiste una alternativa valida alla pirateria. Netflix La terza stagione di Orange is The new Black sarà in anteprima esclusivale in Italia. torna al sommario può darci una mano, questo è un mercato nuovo e c’è spazio per tutti. Crediamo che Netflix sia anche quello “giusto”, è noto, porta attenzione su argomenti che interessano e soprattutto ha una offerta che vediamo complementare con la nostra. Loro sono forti sulle serie TV americane e hanno i loro prodotti originali, noi siamo molto ben piazzati sulla parte cinema grazie a Medusa e ad accordi globali del gruppo Mediaset. Credo che riusciremo a coesistere bene con Netflix, non si deve per forza scegliere o uno o l’altro. Noi, ad esempio, cercheremo di focalizzarci di più sugli italiani con prodotti specifici per il nostro paese mentre loro devono per forza proporre contenuti più internazionali.” DDay.it: Sul 4K arrivate prima voi o prima loro? C.T.: “Per noi l’importante è farlo bene. Non vogliamo attirare utenti con la scusa del 4K proponendo poi pochi contenuti e con il rischio che un consumatore voglia poi provarlo e non ci riesce per altri problemi di natura tecnica. Bisogna costruire un ecosistema di partner che ci permettano di dare il 4K a più persone: abbiamo lavorato con Samsung per implementare il 4K nei loro televisori, ma ovviamente servono anche contenuti di pregio e gli operatori devono garantire la banda richiesta che non è poca. Se riusciamo a unire tutti la cosa funziona, altrimenti si rischia il flop.” DDay.it: Avete un servizio rodato da oltre un anno: è vero che in Italia non c’è infrastruttura o la buona parte delle connessioni è sufficiente per portare in casa un buon HD? C.T.: “Oggi la stragrande maggioranza degli italiani ha una banda adeguata per vedere bene contenuti in definizione standard e i profili più bassi dell’HD. Esistono però sacche di popolazione che non vedono neppure la definizione standard, e questo è un problema perché sono per noi clienti persi. Chi è coperto dalla rete è coperto anche per un HD decoroso, magari non arriva ai massimi profili che eroghiamo (tipo il 1080p) ma ai profili più bassi ci arrivano. Resta comunque un peccato non poter raggiungere tutti: gli operatori si concentrano sulle grandi aree dove c’è una grande resa sull’investimento penalizzando però chi non abita nei grandi centri.” DDay.it: Spotify e Infinity: se inserisco una canzone al 99% su Spotify lo trovo, se provo con un film a caso su Infinity la probabilità di non trovarlo è elevatissima. E questo vale per cose straviste in TV, anche contenuti vecchi. Soluzioni? C.T.: “Il mercato video non è purtroppo il mercato della musica, è un mercato complicato in cui esistono finestre e contenuti che proprio non si riescono ad avere. Quello che però ci siamo resi conto in questo anno è che la disponibilità degli utenti a mettersi a cercare un film è molto limitata. I clienti Infinity nella stragrande maggioranza dei casi trovano il film da vedere in “homepage”, cercano poco e se non trovano subito quello che vogliono se ne vanno. L’archivio non paga, così come non pagherebbe mettere a catalogo centinaia di migliaia di titoli: il consumatore si aspetta in pochi secondi di trovare il film giusto da vedere, senza perdere tempo a sfogliare tutto. In questa ottica il palinsesto non è morto, anzi, è vivo e vegeto ma è cambiato e dev’essere allineato al singolo utente. Quando su Infinity un nuovo cliente si attiva ora facciamo votare dei film a campione e le risposte date ci permettono di costruire una home personalizzata, sia come generi che come contenuti. Mettere a disposizione un mare di contenuti non serve: dobbiamo lavorare per leggere nel pensiero del consumatore offrendogli sempre il titolo giusto. La partita si gioca sulle prime 50 posizioni dell’interfaccia.” DDay.it: Da Samsung con Tizen a iOS: è vero che state per sbarcare su Apple TV? C.T.: “No comment”. Serie S78 / Ultra HD 50” / 58” Immergetevi in una nuova esperienza ! Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz. ww.tcl.eu/it n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Dal 30 giugno gli utenti iTunes e iOS potranno ascoltare Apple Music in tutto il mondo (Italia compresa) Arriva Apple Music, anche per Windows e Android Apple Music offre streaming on demand, una nuova radio e un social network per connettere direttamente artisti e fan Previsto anche il supporto multi piattaforma per Windows e Android attraverso un’app che sarà disponibile in autunno di Paolo CENTOFANTI pple ha annunciato il suo ingresso nel mercato dello streaming musicale. Se c’è un settore fino a dove oggi non si era ritrovata a inseguire, questo era proprio quello della musica digitale, un mercato che se vogliamo ha creato proprio Apple con il lancio nel 2003 dell’iTunes Store. Apple cambia pagina, e per combattere con piattaforme nascenti come Spotify, Deezer, Rdio e TIDAL, lancia Apple Music, il frutto dell’acquisizione di Beats Music, il servizio di streaming lanciato da Dr. Dre e Jimmy Iovine. La vera incognita è sempre stata non “se” Apple avrebbe offerto un servizio di streaming ma il “come”. Per integrare Beats Music nell’ecosistema di Apple, Cupertino si è rivolta allo stesso team creativo, capeggiato da Jimmy Iovine e tra gli altri da Trent Reznor, musicista noto per la sua passione per la tecnologia e per essere stato tra i primi a sperimentare con nuovi modi di distribuire musica. Il risultato è Apple Music che non è solo streaming ma una vera e propria nuovo piattaforma per il consumo di musica. Un’app unica in cui trovare i propri brani, streaming on demand, playlist, ma anche una nuova stazione radio aperta 24 ore su 24 con alcuni dei migliori DJ internazionali e infine un canale di comunicazione diretto tra fan e artisti. Jimmy Iovine, scimmiottando l’annuncio del primo iPhone, ha definito Apple Music proprio così, come tre prodotti in uno. Il primo è un “rivoluzionario servizio musicale” con una redazione in carne ed ossa, il secondo una radio non stop con i migliori DJ, Beats1, e infine il social degli artisti, Connect. Apple Music è innanzitutto integrato direttamente nell’app musica di iOS (quella che una volta si chiamava iPod): visto che buona parte della musica oggi viene ascoltata in mobilità, Apple ha deciso di cucinare il nuovo servizio direttamente all’interno del sistema operativo del dispositivo che verrà più utilizzato: lo smartphone. Nella sezione My Library, gli utenti troveranno la solita libreria musicale che includerà non solo i propri brani acquistati o sincro- A torna al sommario nizzati con il dispositivo, ma anche tutto il catalogo di iTunes da ascoltare in streaming on demand. C’è la modalità offline, mentre al momento mancano informazioni tecniche sullo streaming, come il bitrate. Interessante notare che Apple Music include una funzionalità simile ad iTunes Match, con il pairing dei brani che già si possiedono (l’origine non conta) nella propria libreria cloud e la sincronizzazione su tutti i dispositivi. iTunes Match rimane comunque come opzione per chi non si vuole abbonare ad Apple Music. Le cose si fanno interessanti con la nuova sezione For You, che essenzialmente porta dentro l’app buona parte di quello che era Beats Music. Il processo di setup ricorda molto proprio quello del servizio di Beats, con la selezione della propria musica preferita, e mette sin da subito i gusti dell’utente al centro. Qui compariranno playlist personalizzate sia automatiche che compilate dal team editoriale di Apple e che possono interessarci. Naturalmente l’utente può poi andare a sfogliare il profilo di un’artista, ascoltare tutta la discografia presente sul servizio e riprodurre persino i video che saranno caricati. Playlist e ricerca della musica saranno controllabili anche con SIRI. Connect è la grossa scommessa di Apple Music. Apple ci aveva già provato con Ping su iTunes, specie di social network che non ha mai preso piede ed è caduto presto nell’oblio. Con Connect gli utenti potranno seguire direttamente gli artisti e accedere a post che possono includere messaggi, video, foto e naturalmente musica, ma l’intenzione - sembra di capire da quanto dichiarato da Trent Reznor durante il video promozionale - è quella di trasformare Connect in una piattaforma anche per rendere sostenibile la musica grazie a questa connessione diretta, probabilmente come canale di vendita da artista a fan. Arriviamo infine a Beats1, una nuova radio in streaming che sarà live da tre città diverse (Londra, New York e Los Angeles) in tutto il mondo in streaming 24 ore su 24. Direttore creativo è il famoso DJ della BBC Zane Lowe e l’obiettivo è stato quello di creare una radio che ha un solo “genere”: quello della buona musica. Uno statement impegnativo, che solo l’ascolto ci potrà dire se corrisponderà alla realtà. Beats1 è la proposta radiofonica di punta, ma ci saranno le consuete radio per genere che, sembra di capire, sostituiranno iTunes Radio. La notizia bomba arriva alla fine. Come sarà accessibile Apple Music? Non solo da dispositivi Apple: su iOS abbiamo detto, OS X naturalmente, con una nuova versione di iTunes, ma anche da Windows sempre con iTunes e, udite udite, anche su Android con un’app apposita che verrà lanciata in autunno. Gli utenti iTunes e iOS potranno invece ascoltare Apple Music in tutto il mondo, Italia compresa quindi, già dal 30 giugno con tre mesi di ascolto gratuito. Poi, come da indiscrezioni, toccherà pagare un abbonamento: 9,99 dollari/euro al mese per un utente, oppure 14,99 dollari/euro al mese per un account family, che darà accesso a 6 ascoltatori contemporaneamente. Radio e Connect saranno disponibili anche gratuitamente, le prime con un numero limitato di skip, mentre solo gli abbonati potranno riprodurre e salvare i contenuti multimediali condivisi dagli artisti. Siamo in attesa di conferma dei prezzi italiani. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Claudio Ferrante è il fondatore di Artist First, società che permette agli artisti di distribuire i propri progetti “fai da te” “La major mangia i guadagni dell’artista per nulla” Serve ancora il supporto delle major? Come è cambiato il mercato discografico? Ne abbiamo parlato con Claudio Ferrante P di Paolo CENTOFANTI er il mondo della musica il 2015 sarà l’anno della consacrazione dello streaming. Si tratta, volendo ben guardare, dell’ennesima rivoluzione in poco più di 15 anni, un processo di trasformazione delle abitudini di chi la musica la ascolta, ma anche di chi la fa, che ha in definitiva rivoltato l’industria discografica come un calzino. Quattro tappe fondamentali hanno portato al mondo che conosciamo oggi: 1999, apre Napster; 2003, Apple lancia l’iTunes Music Store; 2005, nasce YouTube; 2008, l’allora sconosciuta startup svedese Spotify, fa partire l’omonimo servizio di streaming “a volontà”. In mezzo ci sono state tante altre vicende, personaggi, innovazioni (l’arrivo dell’iPod prima e degli smartphone dopo su tutti), ma queste sono sicuramente le pietre miliari che hanno scolpito la scena musicale. Minimo comune denominatore: Internet. Nel 2014, per la prima volta, seppure di misura, i ricavi della musica digitale smaterializzata, a livello globale hanno superato quelli generati dalla vendita di supporti fisici. Una statistica che rivela come si comprino sempre meno CD, ma anche come, dopo la mazzata che lo scambio in rete degli MP3 ha inflitto alle case discografiche, i modelli di distribuzione digitale legali comincino finalmente a ingranare. L’altro dato di rilievo è, appunto, l’esplosione dello streaming, che in pochi anni ha cominciato velocemente a cannibalizzare le vendite di brani in download; per le major del disco è la luce in fondo al tunnel dopo anni di sofferenza, per gli artisti, si dice, un po’ meno. Perché, diciamocelo, diventare una star oggi è ancora più difficile di una volta e vivere di musica un traguardo per pochi. Una volta firmare con una casa discografica era il sogno che diventava realtà, il punto di arrivo, “l’avercela fatta”. Oggi, a meno di non essere super fortunati, è un modo se va bene per arrotondare e avere un po’ di persone in più ai concerti. Claudio Ferrante, fondatore di Artist First, società italiana di distribuzione discografica fisica e digitale, è uno che l’industria del disco la conosce bene: classe 1972, ha 25 anni alle spalle nel settore, di cui dieci passati in Carosel- Claudio Ferrante, CEO di Artist First torna al sommario lo Records, una delle più longeve e importanti etichette indipendenti italiane, che ha rappresentato artisti come Domenico Modugno, Giorgio Gaber, Vasco Rossi, solo per citarne alcuni. Un’esperienza, quella di Carosello, di cui Ferrante parla ancora con grande orgoglio: “Carosello mi ha dato la visione del mondo della discografia e delle edizioni. E in Carosello ho imparato anche il valore dell’imprenditoria italiana. Investire nella musica e nell’innovazione per creare i successi di domani, qualcosa che ormai in Italia fanno davvero in pochi”. Anche per questo, nel 2009, Ferrante esce da Carosello con un’idea: quella di lanciare una società di intermediazione per mettere in contatto diretto gli artisti con la propria fanbase, realizzando e distribuendo sui canali di vendita - tradizionali e non - edizioni deluxe e vinili. È il nuovo modello del DIY (“do it yourself”, fai da tè) che ha conquistato tanti artisti, affermati ed emergenti, che parte dalla premessa che la casa discografica classica, e in particolare la major, è diventata obsoleta in questo mercato. “Tra il 2007 e il 2009, c’è stato un tracollo totale del fatturato nella discografia, per varie cause, la pirateria da una parte, ma anche la flessione del CD e il mancato decollo della promessa del digitale” ci ricorda Ferrante, mentre ci aiuta a capire dal suo punto di vista come è cambiato il mercato del disco e soprattutto quale possa essere il suo futuro nell’era dello streaming. E partiamo proprio da qui, dalla promessa mancata del digitale. DDay.it: iTunes ha aperto i battenti nel 2003, ma ancora nel 2009, quando sei uscito da Carosello, il digitale non bastava per sopperire al calo di fatturato del fisico. Che cosa è andato storto? Claudio Ferrante: “Per quanto riguarda l’Italia, visto che all’estero e in particolare negli Stati Uniti le cose sono andate un po’ diversamente, credo che gli ingredienti siano stati tantissimi. Innanzitutto il consumatore si è sfiduciato nei confronti del mercato discografico a causa delle pubblicazioni. Si pensi all’ondata di “best of” di quegli anni. Perché per sopperire alla contrazione del mercato si rispose con la pubblicazione di tante raccolte inutili. E questo ha generato ancora più sfiducia, ancora più acredine da parte dei fan, non tanto nei confronti dell’artista, ma di chi nell’industria avallava operazioni improbabili che essenzialmente esistevano solo per fare cassa. In quegli anni c’era il boom della pirateria online e il mercato discografico era un grande pozzo d’acqua pieno di falle che si svuotava. Poi c’è stato il fattore prezzi. Basti pensare che il crollo dei consumi è arrivato quando c’era ancora un retaggio, che veniva dal boom del CD nel 1999/2000, e cioè che il prezzo della musica si riteneva ininfluente sulle vendite. Poi invece quando il mercato è crollato, il prezzo ha cominciato ad avere una leva rilevante, così si è avuto un abbassamento del prezzo e allo stesso tempo delle quantità vendute e quindi in definitiva del fatturato. Quindi, la sfiducia dei consumatori, la contrazione del prezzo medio, e poi naturalmente il fatto che la gente scaricava. Questo d’altra parte è un paese in cui il 61% della popolazione secondo un recente sondaggio non considera un reato quello di scaricare musica illegalmente. Oggi naturalmente tutto questo è superato dalla piattaforma streaming. Quando tu riesci ad accedere a una piattaforma legale come Spotify, in cui comunque gli artisti vengono renumerati, poco tanto non lo so, comunque è qualcosa. Quando invece scarichi illegalmente comunque danneggi, e quelli erano gli anni boom della pirateria online. Non c’era un’alternativa legale ed il mercato discografico era un grande pozzo d’acqua pieno di falle che si svuotava”. DDay.it: Una scelta coraggiosa, visto il contesto, quella di buttarsi in proprio… C.F.: “Sono uscito da Carosello perché pensavo di aver dato tutto quello potevo all’azienda, con cui sono rimasto in rapporti straordinari, e poi perché in quella fase ho visto l’opportunità, una grande idea: quella di riuscire a carpire e prendere dalla coscienza dell’artista quella voglia sotterranea di farsi tutto da solo. Io vedevo in quel periodo Renato Zero che si staccava dalla Sony e decideva di farsi tutto da solo. I Pooh che facevano tutto da soli da una vita ed erano solo distribuiti da una major, i Nomadi e tanti altri fino agli Afterhours. E così in pochi anni siamo usciti con 150 prodotti esclusivi, in virtù del fatto che c’era la coscienza di voler fare tutto da soli”. DDay.it: Ma perché improvvisamente è nata nell’artista la voglia di farsi tutto da solo? C.F.: “Perché fondamentalmente non c’era più bisogno della casa discografica. Perché con la contrazione del mercato di quegli anni, nelle case discografiche non segue a pagina 13 n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 ENTERTAINMENT Intervista a Claudio Ferrante segue Da pagina 12 c’era più quella propensione a investire. Quello che faceva la differenza una volta nelle major discografiche erano gli investimenti pubblicitari, la promozione, i videoclip. Ma con la nascita e il proliferare di YouTube, con le tecniche video a basso costo, tutto questo è cambiato: tu pensa oggi a Salmo: il suo primo video, Death USB, se l’è fatto da solo con i suoi amici ed è un video che forse vent’anni fa non sarebbero bastati 200 milioni delle vecchie lire per realizzarlo. Oggi le nuove tecnologie consentono di produrre dei video super, basta un’idea e non è più necessario spendere tantissimo. Quindi gli artisti hanno detto: se le case discografiche non investono più in campagne, se non c’è più l’advertising che c’era prima, se non c’è più quell’opulenza che mi consentiva di essere un artista sostenuto dalla grande casa discografica, perché devo dare più della metà dei ricavi della vendita del mio CD o di quel che ne deriva a un altro soggetto? Faccio tutto da solo e cerco di guadagnare molto di più. E quindi noi cavalchiamo questa esigenza, anche perché con una società come la nostra, noi comunque retrocediamo l’80% dei ricavi all’artista”. DDay.it: C’è da dire che c’è sempre stata un po’ la percezione, almeno da parte dei non addetti ai lavori, che le grandi major sfruttassero gli artisti. Pensiamo alle battaglie ormai negli scorsi decenni di personaggi come Prince. Ma è poi davvero così? Artist First dice di dare all’artista una fetta dell’80% dei ricavi, ma nel caso di una major qual è usualmente la proporzione? C.F.: “Tendenzialmente, se parliamo di un artista “top” può prendere il 30% da una major senza gli abbattimenti. Oggi però anche un artista top non è più sostenuto dalla major come prima, per cui è una cifra anacronistica. Un tempo tu sapevi che loro si dovevano prendere il 70% perché c’erano gli investimenti e perché dovevano marginare tanto perché magari ci perdevano su altri progetti, ma questo sistema è andato completamente in tilt. Se fai il raffronto tra un artista che prende il 30% che con degli abbattimenti diventa il 23% e un’artista che ne prende l’80%, c’è una grande differenza. Ma lo dico non perché io sono quello che ti dà l’80% e quel sistema il 23%, è che quel sistema del faccio tutto io, ti pago tutto io e ti do una piccola quota è andato un po’ in esaurimento. Gli artisti che oggi sono sotto contratto con le case discografiche, naturalmente, o riescono a fargli spendere tanti soldi, ma ormai saranno rimasti in 5, oppure non ha più senso che rimangano lì. E infatti, all’interno dei contratti, vedo che ci sono artisti come Ligabue che si fanno solo distribuire. Un motivo c’è: sono contenti di quello che fanno, riescono a farsi un contratto di rinnovo giusto, ma si fanno tutto da soli. Ligabue è un artista che fa tutto da solo. Ha la sua società, ha il suo ufficio, ha i suoi ragazzi. Il suo canale è uno dei più forti in Italia e l’ha fatto lui non una major. Vasco Rossi è lui, non c’è una major dietro. Jovanotti è lui. È un artista che dice “voglio fare questo progetto” e il progetto si fa. 30 anni fa c’era un discografico da coinvolgere, c’erano delle riunioni marketing in cui c’erano delle professionalità che potevano dare un suggerimento all’artista e guidarlo, ma ora sono cambanche le persone all’interno di quelle aziende”. DDay.it: Però fino ad ora ci hai parlato di grossi nomi della musica: Vasco Rossi, Jovanotti, Renato Zero. torna al sommario MAGAZINE L’obiezione che si fa verso un modello di questo tipo è “ok, ma prima devi essere famoso per poter stare in piedi da solo”. Un modello DIY come quello che propone una realtà come Artist First può davvero funzionare anche per i piccoli artisti o artisti emergenti? C.F.: “Assolutamente sì. Noi abbiamo realtà piccole che funzionano per i loro fan. Stiamo lavorando su un progetto per i The Sun ad esempio, band che ha una comunità molto radicata nel “clero”: è una rock band che suona anche nelle parrocchie e ha una fanbase pazzesca. Il cantante ha pubblicato un libro che è già in ristampa. Non importa quale sia il mercato, noi andiamo anche lì: la fanbase di 15.000 persone. Questi suonano nelle parrocchie e alle feste della gioventù, ma hanno fatto due tour mondiali, il cantante ha pubblicato il libro in 10 paesi, soprattutto in Sudamerica. Oggi ci sono delle realtà che grazie alla disintermediazione della comunicazione, possono arrivare direttamente ai fan, riescono a soddisfare i fan, riescono a vendere direttamente ai fan. E allora, perché non lavorare su quello? Quindi lavoriamo sull’ingaggio delle fanbase, qualunque esse siano. Quando Salmo era ancora un artista che non aveva ancora pubblicato ufficialmente un disco - ne aveva prodotto solo uno stampandoselo da sé in modo diciamo pure carbonaro -, aveva un suo videoclip, aveva YouTube, ed è andato primo in classifica con noi. La differenza la fa la fanbase. Lavorare sulla fanbase è quello che noi abbiamo percepito fare oggi la differenza”. DDay.it: Ma un artista emergente come fa a crearsi e far crescere la propria fanbase? Una volta c’era il supporto di un’etichetta, ma oggi? C.F.: “Oggi ci sono tre strade. O fai da solo, vai su YouTube, e se hai qualcosa da dire la gente prima o poi se ne accorgerà. Ho citato prima Salmo, ma anche Emis Killa ha iniziato su YouTube, poi si è fatto notare e una casa discografica l’ha preso. Oppure si può provare la strada del Talent. Di fatto il Talent Show ormai è un laboratorio, ha sostituito quelli che erano gli uffici artistici delle case discografiche, dove si faceva lo scouting. Basti pensare che da Amici sono usciti Emma Marrone, Alessandra Amoroso, che secondo me oggi sono degli artisti che hanno qualcosa da dire e che lavorano bene. Da X-Factor è uscito Marco Mengoni, che sarà l’artista del futuro. L’altra alternativa è quella di andare dagli imprenditori; vai in una società indipendente, vai da un imprenditore. In Italia c’è stato Claudio Cecchetto che ora è dedito all’innovazione, ma c’è anche Lorenzo Suraci (presidente di RTL, n.d.r.) che è un talent scout, secondo me uno dei più forti talent scout del momento; ha una grande forza alle sue spalle, fatta dalla sua radio, ma lui ha delle grandi idee per riuscire a portare… i Modà ad esempio sono farina del suo sacco, perché li ha presi quando facevano 1000 persone a Treviglio e l’anno scorso hanno fatto San Siro. Oppure appunto ci sono le etichette indipendenti come la stessa Carosello, o la Sugar di Caterina Caselli che è una straordinaria talent scout. Quel tipo di imprenditoria, quel tipo di rischio, secondo me, è l’antitesi del portare soldi in cassa tramite le operazioni improbabili delle major di cui parlavamo prima”. DDay.i: Prendiamo allora il caso che io sia un artista “fai da te”, che si è registrato il suo disco con GarageBand e magari ha già il primo migliaio di mi piace su Facebook. Cosa può offrire una società di intermediazione come Artist First all’artista DIY? C.F.: “Innanzitutto se hai già una fanbase, con i social, se Il cofanetto realizzato da Artist First in 200 esemplari con la ristampa di 11 dischi fuori catalogo di Mina hai qualcosa di nuovo, la tua base già lo sa. Quello che facciamo noi, è andare a consegnargli il disco a casa con il tuo autografo. Possiamo realizzare delle confezioni esclusive intorno alla musica: intorno al CD, che è solo una scusa, possiamo costruire un libro, un gadget, delle chiavette USB. Ci possono essere tante confezioni speciali. Per gli Afterhours ne abbiamo fatta una con le boccette con le anime degli After dentro. Noi ci inventiamo dei progetti da questo punto di vista anche con un po’ di ironia. Perché se tu sei fan di un artista, vuoi anche possedere un oggetto; perché con la tiratura numerata limitata, al di là del vinile, che quando tu lo fai lo vendi per certo, puoi fare e costruire un oggetto. L’oggetto che costruisci contiene un po’ l’anima dell’artista. E sei un fan, sei anche disposto a pagare 50 o 60 euro per quest’oggetto”. DDay.it: Però quest’anno c’è stato il sorpasso dei ricavi del digitale su quelli dei supporti fisici. A questo punto viene da chiedersi, ok il cofanetto, ma davvero il supporto fisico ha ancora qualcosa da dire? C.F.: “In Italia intanto il supporto fisico costituisce comunque ancora il 62% del mercato. Può dire assolutamente qualcosa se viene costruito intorno ad esso non un semplice CD, un pezzo di plastica, ma una storia, un concetto emotivo. Devi trasformarlo in qualcosa di “figo” che la gente vuole possedere. Poi bisogna tenere presente fasce come, non so, ad esempio le donne dai 45 anni su che non scaricano: in questa fascia demografica, guarda caso, le vendite del fisico sono ancora molto superiori al digitale”. DDay.it: Ma se alla fine la soluzione è realizzare un oggetto del desiderio, non potrebbe benissimo proporla anche la major, che forse ha anche più risorse alle spalle? E invece non accade. Come mai? C.F.: “La major ha delle griglie di costi che, per il prodotto fisico, non possono superare un tot in percentuale rispetto al prezzo di vendita. Quando ritengono l’operazione superflua rispetto ai margini che la caratterizzano, quel progetto non lo fanno”. DDay.it: Ma le major non dovrebbero avere più margini con prodotti di questo tipo? C.F.: “No, non è così semplice. Noi abbiamo realizzato per un musicista Jazz, Francesco Cafiso, un sassofonista bravissimo e molto conosciuto in America, una confezione bianca, lunga, con i CD, un libro fotografico e una chiave USB che in realtà contiene tutte le tracce del suo album senza il sax, così l’ascoltatore può suonarci sopra. Si tratta di un’edizione deluxe che si può prenosegue a pagina 14 n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 ENTERTAINMENT Intervista a Claudio Ferrante segue Da pagina 13 Emis Killa, da YouTube a star della scena rap italiana tare solo sul sito e noi la mandiamo a casa del fan con l’autografo di Francesco. Ora, quanti sassofonisti jazz in Italia ci sono? 800? Bene, questi 800 se la comprano. Quindi deve essere anche un prodotto che ingaggi. L’interattività con la fanbase può anche essere “analogica”: prendo una cosa, la metto su e ci suono sopra. Questo lo puoi fare solo se metti l’artista al centro, e cerchi di sviscerare tutto. In una major non c’è più il tempo di fare questo, perché quel lavoro sta cambiando e loro non si sono resi conto che stanno lavorando su un mercato in cui hanno peccato di disattenzione, di qualità e soprattutto di passione. Per loro quel lavoro oggi è bene o male sempre una questione di soldi. Sono persone che sono cambiate molto nel loro approccio, perché ora le senti parlare di quantità, ecc., mentre prima le sentivi parlare di musica, di concerti; oggi francamente parlano solo di numeri, gli interessano solo i risultati. Ma dico, tu sei in un’azienda in cui tu hai anche una responsabilità culturale sul mercato locale; va bene far quadrare i conti, ma perché oggi devono essere solo i produttori indipendenti a fare diversità culturale? Ma perché deve essere una Carosello a investire su John De Leo (ex Quintorigo n.d.r.), e John De Leo non può essere un’artista che può crescere in una multinazionale?” DDay.it: Qual è la risposta degli artisti che lasciano le case discografiche, iniziano a fare tutto da soli e si rivolgono ad un’azienda come la vostra? C’è qualcuno che alla fine dice “ma forse stavo meglio prima”? C.F.: “Devo dire che noi abbiamo un tasso di soddisfazione di chi sceglie di lavorare con noi molto elevato. L’unico che mi viene in mente è Tiromancino. Ma perché probabilmente l’ultimo progetto l’ha realizzato con una major e perché lui è un uomo ancora molto ancorato al discorso “voglio che faccia tutto la major, non mi interessa quello che guadagno con il disco, perché poi me lo guadagno con i concerti”. Diciamo che devi comunque avere la predisposizione a metterti in gioco, devi avere la voglia lavorare, perché è un lavoro molto faticoso. Lo sto vedendo ora con Il Teatro degli Orrori con cui stiamo lavorando, dove loro si mettono in gioco in prima persona perché davvero vogliono fare tutto loro”. DDay.it: Ma la tua sensazione è che gli artisti sono pronti a inseguire questa evoluzione del mercato? Spesso si ha questa percezione dell’artista che è perso nel suo flusso creativo e non ha molto i piedi per terra torna al sommario MAGAZINE quando si parla di impresa… o sono più avanti invece delle major rispetto a questo discorso? C.F.: “Partiamo dalla considerazione che per anni l’artista è stato sempre considerato un minus habens, il disadattato che ha sempre bisogno dell’esperto che lo segue. Certamente c’è sempre bisogno di servirsi di professionalità, promoters, manager con cui fare squadra, non è che uno può letteralmente fare tutto da solo. In ogni caso sono gli artisti che ci chiamano per lavorare con loro, perché sanno quello che facciamo e hanno bisogno di professionalità. E sono tanti i professionisti che prima lavoravano all’interno delle case discografiche e che ora comunque ne sono usciti anche loro e lavorano direttamente con gli artisti”. DDay.it: Ma in questo mondo dove sembra che ormai tutti siano diventati liberi professionisti, c’è ancora un motivo per fare un contratto con una grande casa discografica? C.F.: “Non c’è più motivo se non… tanto denaro, prendere tanti soldi. Quello è l’unico motivo oggi per firmare un contratto con una major: se prendi dei soldi, tanti. Con minimi garantiti elevati. Tutto il resto non ha senso. È anacronistico, è vecchio”. DDay.it: Ma visto che di “tanti soldi” non sembrano comunque essercene, secondo te, è ancora possibile vivere di musica oggi? C.F.: “È molto difficile oggi vivere di musica. Primo perché i locali preferiscono prenderti solo se porti come minimo 200 persone. E quindi è anche molto difficile iniziare, ci vuole tanto coraggio. Mi sono molto ritrovato in un film come Whiplash, che è una storia assolutamente estrema di un ragazzino che vuole fare il batterista e che poi viene come violentato nel suo animo gentile, ma oggi puoi uscire solo se hai una bestia dentro. Però è difficile quanto oggi è difficile fare, non so, l’architetto, perché oggi ci sono pochi studi di architettura in cui lavorare. Ci vuole molto più tempo a diventare una star e devi avere dei risultati. Sicuramente è un cammino difficile e irto di ostacoli, però, dall’altra parte, sei molto più padrone della tua fanbase rispetto a prima”. DDay.it: Come lo vedi il rilancio di TIDAL come servizio di streaming dalla parte degli artisti? C.F.: “Si continua a leggere che è un flop totale, io ho apprezzato lo spirito con cui questi artisti, poiché vedevano poco chiare le royalties offerte dagli altri servizi di streaming, abbiano voluto prendere delle share di un’altra piattaforma. Il lancio probabilmente ha peccato un po’ di arroganza, perché ha visto 15 star planetarie, ricche, che avevano tutto e che volevano anche questo. E questo è stato visto un po’ come arroganza. Io il servizio l’ho provato e ha una qualità in effetti più elevata, ma al grande pubblico della qualità audio non gliene frega niente. Alla fine se sei in metropolitana, ad ascoltare Spotify con le cuffiette dell’iPhone… Interessa a noi audiofili”. DDay.it: Come giudichi questa polemica sulle royalties dello streaming? Lo streaming può davvero essere il futuro del mercato della musica? C.F.: “In realtà questo è un problema che riguarda il contratto tra l’artista e chi ha intermediato la pubblicazione sulla piattaforma di streaming, non il servizio in sé. Io sono convinto che lo streaming sia sicuramente il futuro e credo che le cifre più cospicue arriveranno quando davvero sarà un fenomeno di massa, quando lo sarà la subscription premium a Spotify o altre piattaforme. È ovvio che per l’artista dipende dal contratto che hai con il proprietario del catalogo. Se sei il Tom Yorke della situazione che ha un contratto con l’etichetta per l’8 o il 10%, quei ricavi non potranno mai avere un impatto significativo. Gli artisti che si lamentano dovrebbero prendersela non con Spotify ma con gli intermediari, quelli con cui hanno fatto il contratto. In questo c’è la componente “disadattata” dell’artista: “ho firmato una roba, non so bene cosa ho firmato, ma voglio di più” (ride)”. Una cosa diversa e assolutamente scandalosa è YouTube, perché tu hai video e audio, un intrattenimento più invasivo e a fronte di che cosa? Cioè, per 100.000.000 di visualizzazioni prendi 80.000 euro, ma di cosa stiamo parlando? E sai per quale motivo abbiamo queste royalties? Perché all’estero le multinazionali hanno firmato quegli accordi, che a noi sono piovuti dal cielo, e oggi non puoi andare da YouTube e dirgli “tu mi devi dare di più di 8 millesimi”, quando tu non hai un catalogo di 50 milioni di brani. La cosa gravissima delle major è che abbiano accettato supinamente accordi ridicoli con YouTube. Se YouTube pagasse anche solo dieci volte quello che paga oggi, che poi sarebbe il minimo sindacale, sicuramente tanta gente potrebbe anche vivere solo di quello”. DDay.it: Ma il vecchio mondo della discografia è tutto da buttare secondo te o c’è qualcosa da salvare? C.F.: “Sicuramente i piccoli imprenditori, le piccole etichette indipendenti, gente che ci mette del suo, la sua passione per scoprire il ragazzino che ci vuole provare o il gruppo che sta li li per esplodere. Quelli sono eroi. Sono eroi perché pur di fare quello che gli piace sono disposti a fare sacrifici e a rimanere in una situazione sempre sul chi va là, per cercare di dare un colpo al cerchio e uno alla botte per la passione a lavorare in questo settore. C’è tanta purezza in questo discorso. Comunque, non è che io voglio demolire le major perché io rappresento Artist First e loro sono le multinazionali. Io dico: “bene, mettetevi su un territorio diverso. Smettetela di pensare”, e lo dico ai capi, ai country manager delle multinazionali, “smettetela di pensare solo ai numeri. Cioè, il vostro è un meccanismo che non potrà mai essere favorevole al fan, non può mai ingaggiare il fan, perché voi il fan lo avete disingaggiato, ed è stato solo l’artista a tenerselo. E gli artisti ve li siete tenuti soltanto con i soldi. Invece, trovate delle valide motivazioni. Attorno a quei tavoli, in quelle sale riunioni, inventatevi dei discorsi più logici, più in linea con il mercato, non pensate soltanto che se dite una cosa un pochino più avanti domani perdete il posto”. Non è che siano stupidi nelle major, è che c’è paura, paura di andare via di lì. Paura di essere cacciati. Quando si lavora in un’azienda di un imprenditore, il portafogli che tu stai gestendo è nella porta accanto. Ti fai venire senza dubbio delle idee diverse. Se i soldi non sono tuoi e non ce li metti tu, quello fa la differenza”. Insomma non tutto è da buttare, ma c’è tanto lavoro da fare per raddrizzare le cose. Ferrante ci lascia con un appello per i dirigenti delle major del disco presenti in Italia, un appello che ci sentiamo di rilanciare: “Io dico: aiutate chi in Italia ci mette i propri soldi. Le produzione italiane. Finanziate le aziende italiane. Oggi mancano i talent scout di una volta che andavano a vedere i ragazzi suonare. Non ci sono più quei momenti in cui magari due case discografiche volevano un artista e se lo contendevano. Manca questo, manca la passione, l’amore per quello che si faceva, la determinazione, il dire voglio prendermelo, voglio firmarlo. Ritrovate la passione”. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Tutti i fine settimana è possibile visitare la mostra presso la Cineteca di Milano Aperta la mostra “Un archivio da paura” Un viaggio nell’archivio in realtà aumentata con i Moverio di Epson tra migliaia di pellicole I di Paolo CENTOFANTI l Museo Interattivo del Cinema della Fondazione Cineteca Italiana, in collaborazione con Epson, ha inaugurato a Milano la mostra “Un archivio da paura”, un esperimento di realtà aumentata che permette di visitare gratuitamente l’archivio della cineteca di Milano, in cui sono conservate copie in pellicola di circa 25000 opere cinematografiche. L’iniziativa è un’occasione per tenere viva la memoria storica dell’era della pellicola cinematografica, in quest’era in cui il digitale ha praticamente soppiantato, salvo rare eccezioni, il vecchio supporto in celluloide nella distribuzione dei film nelle sale. Prima di entrare nell’archivio, che si trova 15 metri sotto il livello del suolo, il pubblico viene guidato attraverso il “Tunnel dei Sogni”, un percorso che attraverso delle gigantografie ripercorre la storia della pellicola, dalla sua introduzione, fino video lab “Un archivio da paura” Matteo Pavesi presenta la mostra torna al sommario YouTube ha i video 8K A cosa servono? Su YouTube è disposnibile Ghost Towns, 2 minuti di corto pubblicato alla “mostruosa” risoluzione di 4320p A parte che ci vuole un super PC per farlo girare, ma chi ha un monitor/TV 8K? di Emanuele VILLA alla sua evoluzione finale, con curiosità e informazioni accessibili a tutti. Il tunnel, lungo 150 metri, include alla fine della visita anche una sezione dedicata al cambiamento introdotto dall’avvento del digitale per portarci fino al presente del cinema. Il piatto forte è però appunto la visita dell’archivio, uno spazio di circa 3500 metri quadri in cui sono conservate migliaia di pellicole in ambiente climatizzato intorno ai 12 gradi e bassa umidità, condizioni che permettono alle bobine di mantenere le loro proprietà fino a quasi 80 anni. Vista la temperatura i visitatori potranno indossare dei piumini prima di ricevere la loro unità Moverio BT-200, gli smartglass stereoscopici di Epson che sono alla base di questa installazione. Perché “Un archivio da paura”? La trovata ironica è quella di incoraggiare i visitatori ad aggirarsi tra gli scaffali che ospitano le tante pellicole alla ricerca di QR code che una volta inquadrati con gli occhiali Moverio, permetteranno di far partire delle clip restaurate di classici horror principalmente degli anni ‘40 e ‘50 provenienti direttamente dalla Cineteca. Tramite gli occhiali Moverio, le immagini dei film del passato rimarranno sospese di fronte a noi, mentre passeggiamo tra i corridoi dell’archivio, respirando così l’atmosfera del cinema di un tempo. L’app è semplicissima e assolutamente alla portata di tutti, anche perché una volta concluso il breve tutorial iniziale, non dovremo toccare alcunché, tutto quello che dobbiamo fare è passeggiare e guardare i QR Code per attivare i filmati. Con le basse luci dei corridoi dell’archivio, su alcuni cartelli occorre soffermarsi un po’ di più per il riconoscimento del codice, ma per il resto l’app fa il suo dovere senza problemi. Si tratta solamente di un primo passo verso le potenzialità della realtà aumentata, e forse ci aspettavamo qualche informazione in più sul visore (ci sono comunque le guide del MiC in carne ed ossa) ma è sicuramente un’iniziativa lodevole e una scusa per visitare un luogo che pochi milanesi conoscono, per non parlare di chi vive fuori dal capoluogo lombardo. La mostra è completamente gratuita, ma su prenotazione (al numero 02 87242114), e avviene a gruppi di 12 persone ogni venerdì, sabato e domenica dalle 17 alle 18. Il supporto per i video 8K in casa YouTube non è una cosa recentissima, e soprattutto non una novità di oggi (si parla addirittura del 2010), ma l’inserimento di video con risoluzione 4320p (8192 x 4320) è molto più recente, addirittura degli ultimi giorni. Fatto sta che chi volesse deliziarsi con 2 minuti di documentario alla mirabolante risoluzione 8K oggi può farlo, fermo restando che l’hardware richiesto per una visione fluida sarà impressionante e soprattutto c’è bisogno di un display 8K, cosa che ad oggi è poco meno di un miraggio. Per non parlare delle videocamere 8K: se ne contano 3 o 4 modelli in tutto e sono rigorosamente professionali; prima che lo standard prenda piede a livello consumer ci vorranno anni e anni. Il video si intitola Ghost Towns, è stato caricato da pochi giorni su YouTube e girato in modalità portrait con una RED Epid Dragon 6K, con un upscale di alcune scene al 125% per passare dal nativo 6.1 allo standard 7.6K. In altri casi, è stato impiegato Adobe After Effects. Per chi vuole provare l’ebrezza dell’ 8K il video è disponibile a questo collegamento. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MERCATO Firmata una lettera di intenti per investire in Metroweb e sulla banda ultra larga Vodafone e Wind insieme per Metroweb Lo scopo è realizzare una rete in fibra ottica nazionale, l’iniziativa è aperta ad altri investitori È finito il balletto di Telecom Italia (fuori, dentro, poi ancora fuori), saranno Vodafone e Wind ad allearsi con Metroweb per attrarre i finanziamenti per il piano banda ultralarga messo in atto dal Governo. Le due compagnie telefoniche, infatti, hanno annunciato di aver firmato una lettera di intenti con F2i e FSi, i due soggetti che controllano Metroweb, per investire nella società per la realizzazione della rete in fibra ottica in diverse città italiane. La “newco” di cui si è parlato in questi mesi sarà Metroweb Sviluppo, controllata al 100% da Metroweb, il cui scopo sarà quella di costruire una rete in fibra spenta, su cui poi diversi operatori potranno offrire servizi di connettività. L’iniziativa resta aperta agli investimenti anche di altri operatori e soggetti pubblici pri- MERCATO Twitter perde la testa Costolo lascia Dal primo di luglio il nuovo amministratore delegato ad interim di Twitter sarà Jack Dorsey, uno dei fondatori e ora amministratore delegato di Square, azienda che realizza sistemi di pagamento mobile. Esce di scena quindi Jack Costolo, il volto più noto di Twitter. Dorsey dovrebbe tuttavia essere solo un CEO ad interim, in attesa di una nuova figura che possa guidare il social network verso i profitti tanto attesi. Le azioni di Twitter, infatti, al momento hanno un valore più basso dell’offerta pubblica del 2013, segno che nel corso di questi due anni Costolo non è riuscito a rassicurare gli azionisti sulle prospettive di guadagno e crescita della base utenti. Twitter, a differenza di Facebook, non è riuscita a capitalizzare la sua base di utenza facendo decollare la raccolta pubblicitaria, anche le novità come Periscope, per quanto apprezzate, non sono viste come una futura fonte di guadagno per l’azienda e come un mezzo per raggiungere un numero più alto di utenti. MAGAZINE di Paolo CENTOFANTI torna al sommario Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 vati, che possano rafforzarla e ci sarebbe una dimostrazione di interesse anche da parte di Enel, che attualmente ha già avviato una collaborazione anche con Telecom Italia. Se il “gruppo” intorno a Metroweb continuasse a crescere, Telecom a questo punto potrebbe anche rivedere la propria posizione e tornare sui propri passi. L’importante è che qualcosa cominci a muoversi: nonostante la presentazione del piano si avvenuta ormai quasi quattro mesi fa, a livello concreto ancora poco si è visto. Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] MERCATO Spotify non si scompone per l’arrivo di Apple Music e difende il suo modello freemium Spotify risponde ad Apple con la forza dei numeri 10 milioni di abbonati Premium in più in un anno In un anno raddoppiato il numero di abbonati Premium, raggiunti i 75 milioni di utenti attivi di Paolo CENTOFANTI P iù di 10 milioni di nuovi abbonati a pagamento in un anno: è questa la risposta di Spotify al lancio di Apple Music e a chi critica il suo modello di business. Dopo la presentazione, Jimmy Iovine, il responsabile insieme a Eddie Cue del servizio musicale di Apple, ha rilanciato in varie interviste la sua idea che la musica non dovrebbe essere gratis. Dal canto suo, come ha già fatto più volte in passato, Spotify difende invece la sua scelta di offrire anche un piano gratuito, perché gli utenti che lo provano alla fine si “convertono” alla versione a pagamento. E ora l’azienda svedese ha anche delle prove a suo favore. A fine maggio 2014, Spotify aveva raggiunto quota 40 milioni di utenti attivi, di cui 10 milioni quelli abbonati a Spotify Premium. Il numero chiave è il rapporto tra i due tipi ascoltatori, che è sempre stato di circa 1 a 4. Ebbene, nell’ultimo anno la conversione verso Premium ha visto un’impennata e a fine maggio 2015 i nuovi dati sono di 20 milioni di abbonati su 75 milioni di utenti attivi, il che vuol dire che Spotify ha raddoppiato il numero di chi ha scelto l’offerta a pagamento in un solo anno. A gennaio gli abbonati erano 15 milioni, per cui Spotify sta crescendo a un ritmo di 5 milioni di nuovi utenti a pagamento ogni 6 mesi. Si è anche ridotto il rapporto di cui parlavamo prima, 1 a 3,75. In un post sul blog ufficiale, Spotify fa anche una proiezione di quello che significa “in soldoni” per gli artisti questo successo: poiché i compensi sono legati al numero di utenti con abbonamento a pagamento, le royalties versate nei prossimi mesi praticamente saranno quasi doppie rispetto a prima. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Al Retail Asia Expo 2015 Samsung stupisce con un display OLED trasparente da 55” Oled a specchio e trasparente per Samsung Non è un esercizio di stile ma una realtà che entrerà a breve nel mondo del retail del lusso A di Michele LEPORI l CES 2011 Samsung mostrò i primi display OLED trasparenti: pochi pollicI, interessante, ma pur sempre un esercizio di stile. Oggi i grandi schermi OLED sono una realtà in espansione e in Samsung devono aver pensato di rispolverare il progetto ed arrivare al Retail Asia Expo 2015 con prodotti capaci di far parlare di sé: un display OLED trasparente e uno in grado di riflettere l’immagine come uno specchio con tanto di applicazione di realtà aumentata. Una chicca hi-tech con diagonale da 55” pollici pensata per il settore del digital signage. Veniamo ai numeri: il mirror OLED ha una riflettenza pari al 75%, un valore che è circa il 50% in più di un display a specchio LCD: assieme al gamut esteso e a un tempo di risposta del pannello di meno di 1 ms, questo pannello travolge la limitata concorrenza LCD ed amplia il range di utilizzo grazie all’eliminazione dell’obbligo di avere retroilluminazione ambientale come invece richiedono i modelli LCD. L’integrazione della realtà aumentata arriva in partnership con Intel ed il suo RealSense, un elaboratore di immagini 3D in grado di mostrare oggetti a LG ha raggiunto un rendimento del 65% nella fabbricazione di pannelli OLED UHD In sperimentazione la produzione tramite stampa di Paolo CENTOFANTI video che possono “interagire” con chi si sta specchiando o con l’ambiente circostante: la demo presentata da Samsung mostrava come una cliente potesse provare dei gioielli “virtuali” e valutarne l’abbinamento con vari look. Il Transparent OLED (immagine di apertura) è pensato per usi più dedicati alla pubblica utilità, hotel, reception, retail del lusso: anche qui l’integrazione con RealSense è totale e la risoluzione Full HD garantirà la perfetta visione dei contenuti senza nessun tipo di confusione fra il video e quello che sono le realtà antistanti e retrostanti che potranno anche essere modificate o aumentate grazie all’uso delle videocamere su entrambi i lati del monitor che permetteranno interazioni ad oggi impensabili. Dalla fiera di Hong Kong giunge anche il rumor di un interesse del mercato automobilistico e di come si possa sfruttare questa tecnologia nelle concessionarie per mostrare come può apparire un’auto equipaggiata o meno di alcuni optional, ma anche il mondo dell’Interior Design può trarre vantaggi dall’uso di questa tecnologia per gli specchi 2.0 di camere e bagni quando Samsung vorrà portare il Mirror OLED Display anche sul mercato consumer. TV E VIDEO Il 55 XT810 ha pannello Ultra HD, processore quadcore e doppio tuner DVB-T2 Hisense ha presentato il suo primo TV curvo Ha ottime finiture, considerando le caratteristiche del TV il prezzo (1699 euro) è conveniente H di Roberto PEZZALI isense debutta sul mercato dei TV curvi con il suo primo modello, un 55” con pannello Ultra HD siglato 55XT810. Il produttore cinese, dopo la partnership con Loewe, inizia a sfornare prodotti dotati di un’ottima qualità costruttiva, di un eccellente design e di tanta sostanza come dimostra questo TV che dispone davvero di tutto quello che si può desiderare da un prodotto moderno. Tralasciando il pannello 4K curvo, che ad oggi può essere sfruttato a pieno esclusivamente con le foto, i punti di forza del nuovo Hisense sono la funzionalità PVR con TimeShift e la porta USB 3.0 che permette di agganciare un disco veloce. Il 55XT810 offre 3 ingressi HDMI (di torna al sommario Migliora il rendimento della produzione di OLED per LG cui 2 versione 1.4 e 1 versione 2.0), un doppio tuner DVB-T2 e DVB-S2 ed è basato su un processore quadcore per la gestione di upscaling e smart TV, quest’ultima basata su linux e con una serie di applicazioni pre-installate. Il nuovo TV Hisense è in vendita a 1699 euro di listino, un prezzo interessante per chi vuole un TV curvo e lo vuole con pannello Ultra HD. Stando a un articolo pubblicato dal Korea IT Times, LG sta velocemente migliorando l’efficienza delle linee in cui vengono fabbricati i pannelli OLED per i TV Ultra HD. Mentre per i tagli da 55 pollici full HD il rendimento ha raggiunto una percentuale dell’80%, sui modelli Ultra HD i pannelli “buoni” sarebbero ora circa il 65% del totale. Un maggiore rendimento si tradurrebbe naturalmente in minori costi di produzione e quindi in una discesa dei prezzi finali per i consumatori. L’obiettivo di LG è quello di arrivare entro fine anno ad avere un rendimento per i modelli da 77, 65 e 55 pollici Ultra HD, pari rispettivamente dell’87%, 85% e 75%. Ma a quanto pare l’affidabilità della produzione dei pannelli OLED non è l’unico problema di LG: anche per l’elettronica di pilotaggio ci sarebbero dei problemi di scarti, ma anche in questo caso LG conta di migliorare significativamente la situazione entro fine anno, con un obiettivo di rendimento del 95%. Parallelamente, LG sta continuando a investire anche in una nuova linea di produzione che utilizza il processo di fabbricazione con stampa a getto, tecnologia che potenzialmente potrebbe accelerare la discesa dei costi di fabbricazione dei pannelli OLED. A breve, LG avvierà una linea pilota a Paju per testarne l’efficacia. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE APP Al momento il supporto Chromecast non sembra sia attivato per Android e Windows Phone Rai TV per iOS si aggiorna a Chromecast Gli utenti ringraziano: è possibile guardare i contenuti di Rai.TV anche sul TV di casa di Emanuele VILLA om’è noto, l’app Rai.TV è quella che permette agli utenti italiani di accedere gratuitamente da dispositivo mobile iOS, Android e Windows Phone alle dirette dei canali Rai, a Rai Replay per rivedere i programmi dei giorni precedenti, al Video on Demand di casa Rai e molto altro, tra cui le Fotogallery e i Trenta Secondi sui temi di maggiore attualità. Il limite è ovviamente quello di vedere il contenuto tramite il display ridotto del dispositivo mobile, soprattutto se si dispone solo di uno smartphone. Ecco perchè Rai, con l’ultimo aggiornamento dell’app per iOS, ha aggiunto il supporto Chromecast, supporto che - di fatto - permette a tutti gli utenti di dispositivi Apple di riprodurre i contenuti dell’app Rai.TV anche sul C TV E VIDEO LG pensa ai professionisti con il monitor 21:9 curvo L’ 34UC97 è la proposta di LG per il mercato dei monitor. Si tratta di un 34” 21:9 wide QuadHD di 3440x1440 in grado di riprodurre il 100% dello spettro colore RGB ed il 78% di quello Adobe RGB. Il contrasto dichiarato è pari a 600:1, la luminosità a 225 lux, lato connessioni troviamo 2 HDMi, 1 DisplayPort, 2 Thunderbolt, 2 USB 3.0 ed 1 AUX. Il 34UC97 è un prodotto importante, che strizza l’occhio anche al design grazie alle rifiniture in cromate di cornice e piedistallo così come la parte posteriore in metallo. Nelle opzioni configurabili con il selettore installato, il 34UC97 presenta anche 4-Split-Screen che permette la divisione delle aree di lavoro fino a 4 zone ed esalta quello per cui il monitor ha visto la luce del giorno: il multitasking. La nuova proposta curva di LG in campo monitor è già disponibile sul mercato a un prezzo consigliato di 1.299 euro, tutto sommato in linea con le realtà di altri competitor. torna al sommario Telesystem TS9020HD Decoder TivùSat con doppio tuner e funzione PVR Telesystem lancia un decoder satellitare certificato TivùSat con doppio sintonizzatore e dotato di Wi-Fi di Roberto FAGGIANO televisore di casa e con la consueta semplicità d’uso tipica della “chiavetta” di casa Google. Nessun vincolo per quanto riguarda il modello, nessun brand supportato in modo particolare o esclusivo: basta avere Chromecast e il gioco è fatto. Non ci risulta invece che il supporto Chromecast sia già stato attivato nelle versioni Android e Windows Phone, che molto presumibilmente seguiranno però a ruota la release per iOS. TV E VIDEO Sfida le leggi sulla percezione della risoluzione Dalla Cina super display 82” 10K di Roberto PEZZALI S iamo abituati a sentir parlare di Samsung, LG, AUO, ma questa volta è un produttore di pannelli cinese a salire agli onori della cronaca. BOE ha infatti esposto alla Display Week Conference un pannello da 82” in formato 21:9 con l’incredibile risoluzione 10K, 10240x4320 pixel. Basta fare la moltiplicazione per capire che siamo di fronte a 44 milioni di pixel, una risoluzione impressionante con un dettaglio che difficilmente l’occhio umano potrà percepire anche ad una distanza ravvicinata. Con una densità di pixel di 135 ppi questo 82” è probabilmente lo schermo di grandi dimensioni più risoluto esistente al mondo, un grande traguardo per la Cina che fino a pochi anni fa era reputata da tutti una nazione capace solo di copiare e non di innovare. Al momento non esiste alcun piano di produzione di massa, anche perché un display di questo tipo è sostanzialmente inutile per svariati motivi, ma resta comunque un eccellente esercizio di stile. Nuovo decoder satellitare per Telesystem, si tratta del TS 9020HD dedicato agli utenti TivùSat, offre ricezione programmi in HD e certificazione TivùOn e altri contenuti interessanti. Si parte dal doppio sintonizzatore per le funzioni di PVR su hard disk esterno e chiavette USB, poi c’è la connessione Wi-Fi integrata per poter accedere ai servizi degli operatori o utilizzare il decoder come network player in DLNA sul server casalingo. Tra i servizi di rete già disponibili ci sono tutti quelli della Rai e de La7, mentre Infinity e Premium Play di Mediaset saranno disponibili da settembre. Per le registrazioni è disponibile un timer, che può sfruttare anche l’EPG di Tivùsat. Le dimensioni del decoder sono molto contenute, solo 26 x 3 x 17 cm (L x A x P), si è rinunciato al display ma ci sono due slot per le card di Tivùsat ed eventuali altri servizi in abbonamento. In dotazione un telecomando intelligente, in grado di attivare anche il televisore per semplificare l’utilizzo quotidiano. Tra i collegamenti la presa HDMI, un digitale ottico per l’audio, la presa di rete cablata, una scart e una presa USB. Gli ingressi di antenna sono compatibili con sistemi Diseqc e SCR Unicable. Non ancora comunicato il prezzo. Concert for one Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte- nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello, da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple. Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi. www.audiogamma.it n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MOBILE Al WWDC 2015, Apple ha presentato il nuovo iOS 9, disponibile in beta per gli sviluppatori e in autunno per tutti iOS 9: autonomia, nuove app e un assistente come Google Now Parole chiave migliorare la sicurezza, l’autonomia e garantire l’aggiornamento ad iOS al maggior numero di persone possibile di Roberto PEZZALI ifficile dire se Apple tenga più ad OS X o ad iOS, ma è chiaro che il sistema operativo mobile ormai è diventato il prodotto di punta per l’azienda, quello che garantisce non solo maggiori guadagni ma assicura anche un ricambio di hardware più costante e proficuo. Non è un caso che i correttivi applicati alla nuova versione di iOS, la numero “9”, siano andati principalmente in una direzione: migliorare la sicurezza, l’autonomia e garantire l’aggiornamento ad iOS al maggior numero di persone possibile. iOS guadagna moltissime funzionalità, ma sarà installabile senza problemi su tutti i dispositivi che hanno a bordo iOS 8: Apple ha lavorato anche sul processo di upgrade, e proprio per questo gli iPhone e gli iPad con poco spazio libero sul dispositivo, solitamente quelli da 8 GB o 16 GB, riusciranno lo stesso ad aggiornare “on air” senza dover liberare spazio. Ogni aspetto va ovviamente approfondito, ma vediamo quali sono le cose “più grosse” che Craig Federighi ha mostrato dal palco del WWDC 2015. Una premessa è d’obbligo: molte delle cose mostrate da Apple possono sembrare nuove a un pubblico tecnologicamente poco attento, ma in realtà molte caratteristiche di iOS 9 sono evoluzioni o rivisitazione di cose che già esistono, siano app o sistemi operativi. D La nuova Siri Un po’ Cortana, un po’ Google Now iOS 9 guarda soprattutto a autonomia, sicurezza e performance, ma vuole anticipare anche alcuni temi come l’intelligenza del device e la capacità di predire le necessità dell’utilizzatore facendogli risparmiare tempo. Siri prende qualcosa da Cortana di Microsoft e qualcosa da Google Now: da suggeritore diventa una sorta di maggiordomo capace con una nuova interfaccia di prendere appunti, aggiungere appuntamenti e ricordarsi momenti. Questo vuol dire che basta dire “ricordami questa cosa quando arrivo a casa” e automaticamente Siri memorizzerà quello che stiamo facendo con l’iPhone e lo ricorderà quando ci avviciniamo a casa. Siri può cercare anche nelle applicazioni, tra le foto, e può farlo molto più rapidamente: rispetto allo scorso anno, gra- iOS 9 cerca di battere l’83% di adozione del sistema operativo attuale, e lo fa con tante piccole novità. torna al sommario zie ad algoritmi più raffinati e nuove server farm, è in grado di rispondere il 40% più velocemente e accuratatamente. Insieme a Siri, Apple ha aggiunto anche un assistente intelligente che prende decisioni in autonomia basandosi su dati aggregati come fa Google Now: aggiunge appuntamenti che arrivano in mail o via SMS, suggerisce quando partire per un meeting analizzando il traffico e prova pure a indovinare a chi appartiene un numero sconosciuto scansionando la mail. Tutto questo viene fatto tuttavia nel pieno rispetto della privacy, senza inviare dati a server esterni o a terze parti: se servono informazioni come quelle sul traffico i dati vengono richiesti in modo anonimo, e nulla secondo Apple è riconducibile al singolo utente. L’algoritmo di ricerca, in ogni caso, non è cloud based ma installato in iOS, quindi in locale: con Google tutto viene inviato ai server di Mountain View. con la possibilità di creare liste facilitate, di aggiungere foto e il “disegno”: si possono prendere appunti con le dita. Mappe, molto criticato al momento del lancio, gestisce ora in modo perfetto i trasporti pubblici, con la cartografia e gli orari dettagliati di mezzi di superficie, treni e metropolitane delle maggiori città al mondo. In Europa si parte con Berlino e Londra, niente Roma e niente Milano. L’Italia resta esclusa anche da altri due servizi: Apple Pay, rinnovato con la nuova app “Wallet”, sbarca in UK a luglio mentre News, la nuova app in stile “Flipboard” arriverà in Usa, UK e Australia. segue a pagina 20 Search e le app preinstallate Apple ha rivisto anche il “search”: una nuova schermata accessibile con uno “swipe” verso destra della home mostra suggerimenti interattivi e cerca anche nelle applicazioni installate grazie ad un nuovo set di api messe a disposizione degli sviluppatori. Questo vuol dire che cercare un paio di scarpe con “spotlight” equivale a cercarle anche all’interno delle app di shopping installate sull’iPhone se lo sviluppatore ha previsto l’opzione. Apple ha rivisto anche una serie di applicazioni pre installate: Note guadagna la formattazione Le novità per iPad e le nuove API n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MOBILE Swift, il linguaggio di programmazione lanciato da Apple lo scorso anno arriva alla seconda versione e diventa Open Source Apple rende Swift open source, ma non poteva fare altrimenti Una mossa obbligata per tenerlo vivo, ma per chi sviluppa app cambia poco: Xcode e il Mac resteranno sempre indispensabili P di Roberto PEZZALI er molti, il più grosso annuncio di Apple al keynote del WWDC è stata la decisione di rendere Swift, il suo linguaggio di programmazione, open-source. Una mossa però quasi obbligata: tutti i grandi linguaggi di programmazione sono open-source e senza questa decisione probabilmente Swift sarebbe stato relegato ad un ambito esclusivo Apple, senza possibilità di crescita in altri settori. Swift, tuttavia, è molto più completo e flessibile: non serve solo a sviluppare applicazioni, teoricamente potrebbe essere usato anche come linguaggio di programmazione web e di server scripting. Apple vuole spingere un numero sempre maggiore di sviluppatori a usare Swift, e per farlo ha bisogno anche di sviluppatori e contributor che possano aiutarla a far evolvere il codice, migliorando prestazioni e correggendo bug. La decisione di rendere Swift open-source al momento interessa solo una piccola nicchia di sviluppatori, probabilmente i più bravi, che hanno tempo e hanno voglia di plasmare insieme ad Apple il futuro di questo promettente linguaggio. È tuttavia necessario raffreddare un po’ di entusiasmi: Apple rilascerà il codice sorgente di Swift e del compilatore per OSX e Linux, ma questo non vuol dire che sarà possibile sviluppare applicazioni per iOS o OSX senza possedere un Mac: il framework (che rappresenta il 95% delle app), gli strumenti di sviluppo come Xcode e tutto quello che ser- ve per un progetto resteranno closed e di proprietà di Apple. Non ci sarà mai quindi uno strumento per sviluppare app iOS per Windows o Linux, ma paradossalmente Microsoft e Google potrebbero adottare Swift come linguaggio di programmazione per Windows o Android. Questa mossa di Apple è obbligata se non si vuole uccidere un promettente linguaggio, tuttavia per chi sviluppa app cambia ben poco: Xcode e il Mac restano e resteranno sempre indispensabili. MOBILE iOS 9: tutte le novità segue Da pagina 19 Novità più sostanziose per iPad: geniale la nuova tastiera con shortcut per copia e incolla e possibilità di diventare un trackpad appoggiando due dita sullo schermo, bella la nuova modalità multitasking che gestisce sidebar, split screen e picture in picture per i video. Nulla di nuovo sia chiaro, abbiamo già visto molti di questi concetti sui tablet Android Samsung, tuttavia Apple è riuscita migliorare alcune idee rendendole facili da utilizzare e accattivanti dal punto di vista grafico. Purtroppo questa modalità sarà disponibile solo iPad Air e iPad Air 2, e alcune modalità del multitasking come lo “Split View simultaneous app” torna al sommario funzioneranno solo sull’Air 2. iOS 9 nasconde poi molti miglioramenti a livello “Foundation”, uno dei layer che compongono il core del sistema operativo: Apple promette un’ora in più di autonomia e una nuova modalità risparmio che assicura 3 ore in più spegnendo servizi accessori. Come per ogni versione di iOS anche la 9 porta poi in dote centinaia di nuove API, miglioramenti ai framework esistenti e nuovi framework: HealthKit guadagna nuovi parametri di misurazione come l’esposizione ai raggi UV, il ciclo mestruale e l’idratazione, e lo stesso HomeKit si prepara al grande controllo della casa con la gestione di ogni tipo di sensore possibile.Inoltre Apple ha implementato il controllo dei dispositivi HomeKit tramite iCloud: sarà possibile gestire videocamere, termostati e altro ancora da remoto passando dai server Apple senza appoggiarsi a servizi proprietari. È una prima integrazione, ma ancora per Apple non è tempo di gestire i dispositivi di casa in modo centralizzato. Novità anche per CarPlay: oltre al wireless Apple darà la possibilità ai produttori di auto sviluppare le app di sistema dei veicoli su CarPlay: sensori di parcheggio, videocamere, impostazioni del veicolo saranno integrati come già oggi succede sui sistemi di infotainment usati dai maggiori produttori, e questo dovrebbe spingere l’adozione del sistema. iOS 9 sarà disponibile in beta per gli sviluppatori: il rilascio avverrà contestualmente con il lancio dei nuovi iPhone in autunno. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MOBILE Apple Watch non è ancora uscito in tutto il mondo e c’è già la seconda versione del SO watchOS 2, ecco le app native su Apple Watch La novità più importante sono le app native per gli sviluppatori, per realizzare i programmi di Paolo CENTOFANTI on l’App Store che ha raggiunto e superato la pietra miliare dei 100 miliardi di app scaricate, non sorprende che una delle maggiori novità presentate da Apple alla WWDC riguardi l’arrivo delle app native su Apple Watch. Direte: “ma come, non ci sono già le app per Apple Watch”? Si è no. Fino ad ora, infatti, le app per lo smart watch di Apple - che è sul mercato da appena 6 settimane - non sono che un’estensione di quelle installate sull’iPhone a cui l’orologio è connesso: l’interfaccia è sul Watch, ma tutta la logica gira sullo smartphone. Con il nuovo watchOS, questo ufficialmente il nome del sistema operativo dello smart watch, arrivano invece le app native, che girano cioè al 100% sull’orologio, app vere e proprie insomma. Poter realizzare delle app native vuol dire infatti per gli sviluppatori avere un accesso più completo all’hardware dell’Apple Watch e quindi la possibilità di realizzare programmi potenzialmente più versatili. Tutte le novità arrivano con già una nuova versione di watchOS, la numero 2, che include innanzitutto alcuni miglioramenti alle app di base e al funzionamento del Watch. Per cominciare ci sono più possibilità di personalizzazione per i quadranti dell’orologio. C’è una nuova modalità foto album, che dipinge le lancette dell’ora su foto o galleria di foto a piacere, più dei time laps creati appositamente da Apple. La novità più importante da questo punto di vista è la possibilità per gli sviluppatori di creare “complicazioni” ad hoc in aggiunta a C torna al sommario quelle già previste da Apple, per personalizzare ancora di più il quadrante dell’orologio. Altre novità riguardano la possibilità di rispondere alle email direttamente da Watch, le chiamate FaceTime Audio, utilizzare la corona per visualizzare su quadrante non solo gli appuntamenti imminenti, ma anche quelli passati o futuri, creazione di più gruppi per i contatti preferiti da accedere velocemente per telefonate e messaggi. SIRI diventa più intelligente anche su Apple Watch, con accesso alla nuova finzione transit di Mappe per iOS, ma permette di aprire anche glances e avviare attività di fitness con l’app nativa utilizzando linguaggio naturale (“avvia una corsa di 5 Km”). E arriva HomeKit anche su Apple Watch, con controllo via SIRI dei dispositivi compatibili sulla propria rete. Anche su Apple Watch arrivano le novità di Apple Pay, che ora è abilitato per virtualizzate carte fedeltà e promozionali dei negozi, oltre alla nuova modalità notte, che essenzialmente consiste in un nuovo layout orizzontale del quadrante di stand-by durante la ricarica dell’orologio, che lo trasforma anche in una mini sveglia da tavolo. La novità maggiore riguarda però appunto l’accesso completo al dispositivo per gli sviluppatori di terze parti. Le app di fitness, ad esempio, potranno ora girare al 100% sul Watch con porte aperte ai dati biometrici di healthkit e quindi al cardiofrequenzimetro integrato nell’orologio. Inoltre tutte le app “sportive” potranno registrare le prestazioni all’interno dell’app Attività di watchOS. Gli sviluppatori potranno ora sfruttare direttamente anche l’accelerometro, la corona digitale, il taptic engine, il microfono, l’altoparlante, riprodurre video, insomma tutto l’hardware disponibile e quindi creare qualsiasi tipo di app venga loro in mente. Secondo Apple le app native saranno molto più veloci di quelle realizzate con l’attuale versione dei tool di sviluppo (visto che non funzionano più in tethering) senza significativi impatti sulla durata della batteria, un aspetto questo tutto da verificare sul campo. Da notare che con watchOS 2, lo smart watch acquisisce anche l’abilità di collegarsi direttamente alla rete senza lo smartphone, sfruttando una qualunque rete WiFi già conosciuta (le cui credenziali cioè sono già state memorizzate da iPhone). Quale potrà essere l’impatto sull’evoluzione dell’Apple Watch l’arrivo delle app native lo sapremo solo in autunno, quando watchOS 2 arriverà come aggiornamento gratuito su tutti i dispositivi, insieme alle nuove applicazioni. Come ha ricordato Tim Cook durante la presentazione, l’esperienza d’uso di iPhone è cambiata radicalmente quando è stato lanciato l’App Store; vedremo se lo stesso accadrà con lo smart watch. Il 26 giugno Apple Watch arriva in Italia Apple Watch arriverà in Italia il 26 giugno Apple ha inserito l’Italia nell’elenco dei “sette nuovi Paesi” in cui lo smartwatch verrà commercializzato di Emanuele VILLA Apple Watch sarà disponibile in Italia a partire dal 26 giugno. Lo comunica l’azienda stessa, che ha inserito l’italia nell’elenco dei 7 Stati che vedranno Apple Watch nei negozi a cavallo dell’estate. Come noi, anche il Messico, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svizzera e Taiwan avranno disponibilità di Apple Watch dal 26 giugno: le vendite inizieranno sì nell’Apple Store Online, ma ora anche negli Apple Store fisici e presso i rivenditori autorizzati. Tra questi si segnala, per l’Italia, 10 Corso Como a Milano, che per l’occasione allestirà una selezione di Apple Watch il giorno del lancio. Nel medesimo comunicato stampa, Apple afferma di aver fatto importanti passi avanti nell’evadere tutti gli ordini in sospeso: l’azienda sostiene che tutti gli ordini piazzati nel mese di maggio, con la sola eccezione dell’Apple Watch da 42 mm con finitura Space Black e analogo cinturino, verranno spediti entro due settimane, quando inizieranno anche le vendite presso gli Apple Retail Store. Apple Watch arriverà in Italia in tutte e tre le versioni, quella sportiva, la versione Watch con cassa in acciaio e cinturino metallico fino all’edizione Watch Edition realizzata in leghe d’oro rosa o giallo 18 carati. I prezzi di listino verranno comunicati in seguito o pubblicati nell’Apple Store Online: in attesa di dati ufficiali, possiamo supporre un prezzo di listino (di partenza) di 399 euro per la versione sportiva, da 649 euro per Watch e oltre 10.000 euro per Watch Edition, che nelle versioni più pregiate potrebbe raggiungere i 18.000 euro. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MOBILE Possibile che gli smartphone che costano poco siano tutti uguali? Macché: basta indagare per scovare delle “perle” I migliori smartphone “poca spesa e tanta resa” Siamo andati alla ricerca di prodotti “top” nella fascia dei 200 euro di listino e cercato di capire il loro prezzo di mercato di Emanuele VILLA pesso e volentieri ci troviamo a parlare di quei 3 o 4 smartphone che monopolizzano il mercato: iPhone 6, Galaxy S6, LG G4, Xperia Z3 (ora Z3+), HTC One e via dicendo. Anche perché l’immagine che il resto del mercato dà di sé è abbastanza grigia: tanti telefoni più o meno grandi, dalle caratteristiche fotocopiate e senza brio, soprattutto nella gamma medio/bassa. Talvolta ci capita, infatti, di non dare la notizia di un nuovo smartphone da 200 euro perché troppo simile a un altro, troppo uguale a tutti quelli di questa fascia, come se avere un budget limitato significasse dover acquistare un solo modello, semplicemente prodotto da più aziende e con un logo diverso sul frontale. In realtà non è così, ma bisogna indagare: il mercato dei 200 euro di listino, quello che pensa a ottimizzare il rapporto qualità/prezzo, è immenso sia in termini di proposte che di bacino d’utenza, e se è vero che la base è una sorte di Guerra dei Cloni, ci sono proposte che riescono a differenziarsi. Peccato che non sia facile trovarle: se in gamma alta si deve decidere tra 4 o 5 modelli ben conosciuti, qui ce ne sono centinaia. E poi c’è tutto il capitolo delle offerte: ponendo il nostro target a 200 euro con una piccola tolleranza verso l’alto, l’unico elemento oggettivo è il prezzo di listino, ma poi sappiamo quanto questo possa discostarsi da quello del negozio, a seconda delle singole offerte. Siamo quindi andati alla ricerca di questi prodotti “top” nella fascia dei 200 euro di listino, e poi abbiamo anche cercato di capire quale fosse il loro prezzo di mercato. S Asus Zenfone 2. La rivelazione Abbiamo appena provato il modello ZE551ML, quello con processore Atom quadcore e 4 GB di RAM, rilevandone un eccezionale rapporto qualità/prezzo, ed estendiamo la medesima valutazione anche al modello di base, che è sempre uno Zenfone 2 ma con codice prodotto ZE500CL. Il motivo è semplicissimo: trovare a 179 euro di listino uno smartphone da 5’’ con risoluzione HD (1280 x 720) e processore Atom Z2560 da 1.6 GHz, 2 GB di RAM (cosa incredibile per questa fascia di prezzo) e 16 GB di flash eMMC è un’impresa davvero ardua. Anche perchè non stiamo parlando del prezzo di un volantino ultrascontato, ma quello di partenza. Altra cosa da non trascurare è il sistema operativo: c’è già Android Lollipop, supportato dal “solito” elenco di sensori, tecnologie di connettività e una batteria da 2.500 mAh. Unico limite? Il fatto che, essendo appena uscito, le offerte online e in negozio - non sono un granché: l’ipotesi più probabile è che oggi lo si paghi una cifra simile al listino, ma è comunque un affare. Eventualmente tra qualche mese la situazione potrà cambiare, in meglio. • Perché considerarlo? Perché per 179 euro di listino un Atom da 1.6 Ghz con 2 GB di RAM e 16 GB di storage è davvero un affare. • A chi è dedicato: a chi vuole mescolare convenienza massima con una discreta longevità. • Prezzo di listino: 179 euro • Prezzo medio di mercato: circa 170 euro Moto G - Seconda generazione La conferma Se si vuole andare sul sicuro, un bel Moto G di seconda generazione e ci si toglie il fastidio. Qui c’è solo un problema: il fatto che di Moto G non ce n’è solo uno ma diversi, visto che l’azienda lo aggiorna con una certa costanza senza cambiargli nome. Il primo è del 2013, poi è arrivato quello di seconda generazione (2014) e si attende quello di terza all’IFA di Berlino, ma nel frattempo è comparsa anche la variante LTE a rendere un po’ più caotico il quadro. Resta il fatto che si tratta di uno dei prodotti di maggior successo di sempre nella fascia del 200 euro: estetica curata, possibilità di sostituzione della cover posteriore colorata, processore snapdragon 400, 1 GB di RAM, slot microSD, display da 5’’ HD, supporto reti LTE e Android Lollipop non sono propriamente caratteristiche comuni a tutti i prodotti da 200 euro di listino. Il suo successo, le recensioni positive da parte degli utenti (che sottolineano come l’esperienza sia senza intoppi e molto simile a quella di Android stock dei terminali Nexus di Google) fanno sì che ci siano svariate offerte, anche se di solito sui modelli precedenti o non LTE. La variante LTE si trova a poco meno di 200 euro. • Perché prenderlo in considerazione: è un’istituzione nel mondo low cost. Affidabile, dalle caratteristiche “giuste”, completo di tutto. C’è anche Dual SIM. • A chi è dedicato: chi vuole un’esperienza Android “stock” e vuole prestazioni più che degne per questa fascia di prezzo. • Prezzo di listino: annunciato a “meno di 200 euro” • Prezzo di mercato: come il listino, circa 200 euro Wiko WAX 4G. Gaming al giusto prezzo Altra proposta un po’ defilata rispetto ai “soliti noti” ma meritevole di menzione. Wiko Wax 4G è uno smartphone da 199 euro di listino, lo si trova tranquillamente a poco più di 150 (anche su Amazon) ed è uno dei pochissimi con processore Nvidia Tegra 4i quad-core da 1,7 GHz con 1 GB di memoria al seguito. Pur rimanendo all’interno della fascia media, il terminale è così più che scattante nella routine di tutti i giorni, supporta le reti LTE e mostra un’anima grintosa quando si tratta di gaming. I limiti sono legati principalmente allo storage, di appena 4GB (c’è comunque l’immancabile slot micro SD), e il fatto che il sistema operativo sia “solo” un Android Jelly Bean 4.3. Nota positiva invece sul fronte del design, decisamente curato per essere una proposta da meno di 200 euro, e a livello fotografico, dove Wax 4G può proporre un modulo principale da 8 mpixel con Flash LED e uno frontale da ben 5 Mpixel per i selfie. Le dimensioni sono “giuste” in virtù del tipo di apparecchio: 4,7’’ di diagonale del display, con risoluzione 1280 x 720 (HD). • Perché prenderlo in considerazione: è prodotto scattante, con un buon processore e un design interessante. • A chi è dedicato: chi vuole un prodotto discreto da usare anche come strumento di svago • Prezzo di listino: 199 euro • Prezzo medio di mercato: 160-190 euro segue a pagina 24 torna al sommario n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MOBILE I migliori smartphone da 200 euro segue Da pagina 23 NGM Forward Endurance 3 giorni di autonomia Bisogna spendere 219 euro stando allo store ufficiale, ma chi odia ricaricare lo smartphone ogni sera ha finalmente risolto i suoi problemi. Senza contare che al momento su Amazon è proposto a 195 e 200 euro e rientra così perfettamente nel nostro target. NGM Forward Endurance è un telefono ampio, da 5’’ con display HD e processore quadcore da 1.3 GHz, ma è soprattutto la batteria da 5.000 mAh ( ! ) a differenziarlo dalla media e a permettergli un’autonomia dichiarata di 3 giorni di utilizzo. Si parla di 1.000 ore di stand by ma la cosa che ci interessa è il fatto di non doverlo ricaricare ogni sera: tre giorni sono un record notevole. Il design è piuttosto standard e si parla di 10 mm di spessore, che in questa fascia sono un po’ più della media ma neanche un’esagerazione. Il resto delle caratteristiche tecniche è in linea con il tipo di prodotto, anche se 8 GB di storage sono leggermente sopra la media e anche la fotocamera da 12 mpixel con flash LED colpisce positivamente. 1 GB di RAM e lo slot micro SD sono normali mentre leggermente sottotono il sistema operativo KitKat e l’assenza di connettività LTE. • Perché prenderlo in considerazione: costa poco e ha caratteristiche allineate alla fascia di prodotto, con in più un’autonomia da record. • A chi è dedicato: chi viaggia molto, non ha sempre una presa elettrica a disposizione e non vuole portarsi dietro un battery pack • Prezzo medio di listino: 219 euro • Prezzo di mercato: 195/200 euro HTC Desire 620 Il selfiephone Dual SIM Ecco una buona idea per chi vuole “stare nel 200 euro” e acquistare un telefono completo di tutto. Desire 620G ci ha convinto inizialmente per l’aspetto estetico: anche se i materiali non sono quelli dell’HTC One, è molto difficile distinguerli, nonostante l’impatto sulle finanze sia molto diverso. Tra l’altro è un Dual SIM con display ampio da 5’’, risoluzione HD di 1280 x 720 pixel e processore Mediatek MT6592 Octa-core. Cosa lo distingue dalla massa oltre all’estetica, è senza dubbio la capacità di storage di 8 GB espandibile con micro SD, e il torna al sommario MAGAZINE comparto fotografico: se c’è passione per i selfie, questo è sicuramente un telefono ad hoc. Ce lo suggerisce la fotocamera frontale da 5 mpixel con capacità di ripresa 1080p, mentre il modulo principale è un 8 mpixel con flash LED. La batteria è da 2.100 mAh, non un granchè ma va anche considerato che la componentistica non consuma chissà quanto: HTC dichiara 525 ore in standby e 19 ore di conversazione. Di fatto, si tratta di un telefono che arriva a sera, ma poi va sempre ricaricato. Aspetti negativi il fatto che non sia aggiornato a Lollipop (monta Android KitKat) e il mancato supporto per le reti LTE. • Perché prenderlo in considerazione: è un bel telefono, curato a livello estetico, con doppia SIM e comparto fotografico di buon livello • A chi è dedicato: chi pensa che l’aspetto sia importante e vuole un telefono versatile e conveniente • Prezzo di listino: 229 euro • Prezzo medio di mercato: 200/220 euro Samsung Galaxy S3 Neo Campione di qualità/prezzo Consigliare un telefono che si chiama Samsung Galaxy S3 Neo quando siamo tre generazioni dopo può sembrare un controsenso, ma più abbiamo approfondito la questione, più ci siamo resi conto che l’S3 Neo non solo ha ancora molto da dire, ma è decisamente più appetibile di tante soluzioni di ultima generazione. Non per niente è uno dei telefoni più venduti dello scorso anno. Il nome non deve indurre in errore: il modello che ci interessa (nome in codice GT-I9301I) è uscito nel 2014 ed è quindi abbastanza recente. Nonostante sia proposto a un prezzo di listino di 229 euro, le offerte si sprecano al punto da raggiungere anche i 150 euro senza grosse difficoltà. Quello che stupisce sono le caratteristiche del prodotto: 150 euro per un display Super AMOLED da 4,8’’ non si è mai visto, mentre a muovere il tutto c’è uno Snapdragon 400 da 1.4GHz quad-core, più che sufficiente considerando che il display è HD. Ci si aspetterebbe una memoria da 1 GB ma anche qui si va oltre: 1,5 GB per un po’ più di brio nei momenti difficili, il tutto supportato non da 4 nè da 8, ma da 16 GB di memoria di storage. Non manca lo slot micro SD per l’espansione di memoria e la doppia fotocamera, da 8 mpixel e 1,9 mpixel frontale: ecco, a volergli trovare un difetto potremo proprio individuare il comparto fotografico, progettato prima che la moda dei selfie prendesse piede. Purtroppo non c’è lollipop ma Android KitKat e manca supporto LTE, ma per il resto troviamo un valore sulla carta ben superiore alla media. • Perché prenderlo in considerazione: il rapporto qualità/prezzo è elevato, nonostante non sia recentissimo • A chi è dedicato: chi vuole spendere poco (grazie alle offerte sul mercato) ma vuole buone prestazioni e non ha particolari esigenze fotografiche • Prezzo di listino: 229 euro • Prezzo medio di mercato: 165/180 euro LG Spirit 4G LTE. Tutto a poco LG è nota soprattutto per i suoi top di gamma, ovvero il G4 e la variante curva G Flex 2. Ma in realtà l’azienda coreana può vantare una formazione completa di smartphone Android, e ce n’è davvero per tutte le tasche. Sfogliando il catalogo, ha colpito la nostra attenzione un modello di ultima generazione, dalle caratteristiche tecniche di medio livello ma completo di tutto: Spirit 4G LTE. Il prezzo di listino è di 179 euro, meno della media di questa rassegna, e non è difficile trovarlo a 150 euro nelle varie offerte disponibili, online e in negozio. Ci ha colpito perchè, oltre a richiamare il look dei top di gamma LG, è già aggiornato ad Android Lollipop 5.0.1 (tutt’altro che una certezza in questa fascia), supporta le reti LTE e ha un display IPS da 4,7’’ leggermente curvo con risoluzione HD. Il processore è uno snapdragon di fascia media, il 415 con architettura 64bit per supportare tutte le feature di Android 5.0 e successivi. Non manca una batteria da 2.100 mAh, 1 GB di RAM e 8 GB di storage integrato, espandibile con memorie micro SD. • Perché prenderlo in considerazione: LTE, Android Lollipop e un ampio display IPS non si trovano facilmente per 179 euro di listino. • A chi è dedicato: chi vuole essere al passo coi tempi nonostante la convenienza. • Prezzo di listino: 179 euro • Prezzo medio di mercato: 155/179 euro Lumia 640 LTE. Tuttofare con grinta Qui si apre un capitolo diverso: com’è noto Windows Phone ha l’indubbia dote di “regalare” prestazioni invidiabili anche su terminali con hardware di fascia media e bassa: da questo, e dalla completezza di un sistema operativo che ormai non soffre di alcuna inferiorità rispetto ad Android e iOS, deriva il successo dei terminali “base” targati Microsoft. Uno degli ultimi in ordine di tempo, prezzato 199 euro di listino ma facilmente reperibile al di sotto dei 180, è il Lumia 640 LTE, un modello coloratissimo, come da tradizione del brand, con un display molto ampio (5’’ IPS, 1280 x 720 pixel), già aggiornato a Windows Phone 8.1 e col “classico” snapdragon 400 quad-core da 1.2 GHz. Il tutto supportato da 8 GB di storage espandibili con micro SD fino a 128 GB. A livello fotografico è un prodotto di fascia media: può contare su una fotocamera principale da 8 mpixel con Flash LED e una grandangolare da 0.9 mpixel frontale per i selfie. Siamo certi che a livello di longevità non ha nulla da invidiare a modelli più costosi. • Perché prenderlo in considerazione: LTE, ultima versione di Windows Phone, display ampio e buona versatilità. • A chi è dedicato: chi vuole entrare nel mondo Windows Phone, non cerca le massime prestazioni ma buona versatilità e longevità • Prezzo di listino: 199 euro • Prezzo medio di mercato: 179/189 euro n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE MOBILE La gamma di fitness tracker indossabili di Jawbone si amplia con il lancio di UP2 Jawbone UP2, il compatto Smart Coach da polso Il coach da polso completo per prepararsi alla prova costume mantenendo alta la motivazione J Pubblicando per errore la nuova app di gestione Sony ha (forse) rivelato in anticipo l’aspetto della SmartBand 2 Il design è classico e tra le novità l’istantanea della tua giornata e il sensore di battito cardiaco di Andrea ZUFFI awbone ha lanciato ieri a livello mondiale UP2, il nuovo dispositivo indossabile dedicato al monitoraggio dell’attività fisica. Il braccialetto, che rappresenta una evoluzione del modello UP24 è stato completamente rivisto nel design. La struttura, più compatta del 45 % rispetto a UP3, del quale ricorda l’aspetto, è realizzata in alluminio anodizzato per risultare più elegante e discreta al polso. Oltre alle funzionalità classiche comuni a suoi predecessori come il tracking delle attività di fitness, la sveglia che tiene conto del ciclo naturale del sonno, o i promemoria che invitano a muoversi quando si è inattivi per un certo periodo di tempo, UP2 integra Smart Coach, un sistema intelligente che impara dalle abitudini dell’utente per poi fornire consigli personalizzati. Smart Coach, analizzando per esempio l’ora in cui si va a dormire, potrà fornire obiettivi più “sfidanti” per le giornate in cui si è riposato di più. UP2 rileva i movimenti tramite accelerometro a 3 assi e dispone di tre singoli di Massimiliano ZOCCHI LED colorati: blu per il sonno, arancione per l’attività e bianco per le notifiche; si connette a tablet e smartphone tramite Bluetooth Smart e, grazie all’app e alla piattaforma online, permette di ampliare l’esperienza d’uso con statistiche e suggerimenti specifici per perseguire i propri obiettivi personali, come la perdita di peso, il miglioramento della qualità del sonno e altro. Con il motore a vibrazione di cui è dotato, Jawbone UP2 è possibile essere svegliati o ricevere notifiche di vario tipo. È inoltre possibile impostare promemoria personalizzati come ad esempio per ricordare il momento in cui deve essere assunto un farmaco. Il nuovo wearable di Jawbone è resistente agli spruzzi d’acqua e ha un’autonomia dichiarata pari a 7 giorni. UP2 è già acquistabile sul sito jawbone.com e sarà disponibile sui principali siti di e-commerce e nei negozi a partire da metà giugno. Il prezzo al pubblico è fissato a 119,99 euro. MOBILE Microsoft annuncia la nuova versione del suo entry level phone, Nokia 105, a 20 euro Lo smartphone Nokia che dura 35 giorni e costa 19 € Ha uno schermo a colori, 2 giochi preinstallati e un’autonomia di 35 giorni in stand-by di Roberto PEZZALI irca 20 euro per metterlo in tasca e 35 giorni per farlo scaricare, numeri da fare impallidire un moderno smartphone. Microsoft rispolvera il brand Nokia per lanciare il nuovo Nokia 105, versione rivista e corretta del vendutissimo Nokia 105 lanciato nel 2013 al C torna al sommario Sony sbadata È questa la SmartBand 2? Mobile World Congress. Apprezzato soprattutto nei paesi emergenti, il nuovo Nokia mantiene brand e nome che lo hanno reso famoso ma aggiunge funzionalità importanti, senza toccare però quei due elementi che lo hanno reso così attraente, prezzo e autonomia. Tra le novità una rubrica ampliata a 2000 contatti, una qualità audio migliorata durante le chiamate, una batteria più potente che assicura 15 ore di conversazione e la disponibilità di una variante dual SIM. Nokia 105 non è ovviamente touch screen e non è neppure 3G, ma ha un modulo radio 2G e uno schermo da 1.45” a colori; non mancano “utility” come la torcia nella parte alta e la radio FM, indispensabile per ascoltarsi un po’ di musica in assenza di servizi di streaming. Con il Nokia 105 ci sarà anche la possibilità di giocare: Snake Xenzia e Bubble Bash 2 saranno i due giochi gratuiti preinstallati. Disponibile in ciano, nero e bianco il nuovo Microsoft Nokia 105 è pensato per i paesi in via di sviluppo ma è probabile che la distribuzione venga ampliata a tutti i mercati inclusa l’Italia, dove il suo predecessore ha avuto un discreto successo. Ultimamente gli errori e le pubblicazioni “sbadate” sono all’ordine del giorno, e Sony non sia esente da questo problema. Ancora non è stata annunciata, ma (qualora non si tratti di uno scherzo di dubbio gusto) conosciamo già l’aspetto della SmartBand 2 proprio a causa di un errore. Per alcune ore infatti è comparsa sul Play Store la nuova Companion App con tanto di foto del prodotto. L’app è stata prontamente rimossa, ma chi è riuscito a visualizzarla ha potuto anche scaricarla e installarla regolarmente, anche su smartphone diversi dagli Xperia di Sony. La foto del prodotto è solo una e non si vede la parte superiore quindi non possiamo sapere se ci sarà un display per la gestione delle informazioni di base. Quello che si nota, invece, è la presenza del sensore per il battito cardiaco. Mancando ancora il device, l’app non può essere configurata a dovere ma si possono già scoprire alcune cose come lo smart wake up, probabilmente una sorta di sveglia intelligente, e la funzione snapshot per creare una “istantanea” dei dati raccolti per avere un quadro preciso di particolari momenti. Quando un’app è in stato così avanzato ci si può aspettare l’uscita del prodotto a breve, ma Sony al momento non ha rilasciato nessuna dichiarazione. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE PC All’appuntamento annuale con la WWDC, Apple ha annunciato la nuova versione di OS X, il sistema operativo desktop dei Mac Apple ottimizza Yosemite con OS X El Capitan Le novità riguardano l’ottimizzazione delle prestazioni rispetto a Yosemite, con l’introduzione delle API grafiche Metal di Paolo CENTOFANTI ome ogni anno la WWDC è l’appuntamento per le novità sul fronte OS X, il sistema operativo desktop dei Mac. L’anno scorso era stata la volta di Yosemite, il più grande aggiornamento della piattaforma Mac da anni a questa parte: un nuovo tema grafico, varie funzionalità di continuity e tanto altro ancora. . Per il 2015, Apple ha voluto puntare sul raffinamento della versione precedente, un po’ come aveva fatto anni fa con Snow Leopard, piuttosto che introdurre un grosso numero di nuove funzionalità. Ecco allora arrivare OS X El Capitan, dal nome del famoso monte all’interno del parco di Yosemite, a indicare la vicinanza tra i due sistemi operativi. Le ottimizzazioni di El Capitan riguardano essenzialmente due linee d’azione: raffinamento dell’esperienza d’uso e miglioramento delle prestazioni. La presentazione è stata molto veloce e Greg Federighi si è soffermato solo su alcuni piccoli raffinamenti dell’interfaccia di OS X. La prima novità riguarda Spotlight, il motore di ricerca integrato di OS X, che acquisisce la facoltà di apprendere richieste di ricerca in linguaggio naturale, non solo dall’interfaccia principale, ma anche in ogni programma in cui compare la casella di Spotlight. Piccoli miglioramenti anche nella gestione della finestra principale, ma che rendono più pratico il suo utilizzo, e nella ricerca di risultati non solo tra i propri documenti, ma anche da fonti online. Mail acquisisce nuove gesture che arrivano direttamente dall’app per iOS, compresa una nuova modalità a tutto schermo, con la stessa finestra di composizione che può essere messa in secondo piano senza uscire dalla vista a schermo pieno e che acquista anche la possibilità di avere più tab aperte contemporaneamente. Parlando di modalità a tutto schermo, Apple ha rivisto il sistema di gestione delle finestre Mission Control, che torna a essere semplice e intuitivo com’era quando si chiamava semplicemente Exposé prima di OS X Lion. Più semplice vedere tutte le finestre aperte e passarle su un altro desktop, mentre arriva anche la modalità split screen, che consente di C aprire due finestre una di fianco all’altra in modalità tutto schermo. Infine piccoli miglioramenti per Safari, che acquisisce alcune funzionalità disponibili da tempo su Chrome, come la possibilità di “pinnare” delle tab, permettendo di tenere sempre aperti e a portata di mano i siti web che si frequentano più spesso (si pensi a Facebook, Twitter, Gmail e così via). Una funzione interessante sono i controlli di riproduzione multimediale direttamente nella barra degli indirizzi, utile per interrompere video che partono automaticamente, specie quando si hanno tante tab aperte e non si sa da dove viene l’audio partito improvvisamente. Gli stessi componenti Core Animation e Core Graphics di OS X sono stati riscritti in Metal per offrire prestazioni migliorate anche di 8 volte con programmi come After Effects di Adobe, azienda che ha annunciato di riscrivere su Metal l’intera Creative Suite. Apple parla di un miglioramento del rendering fino a 40% per i videogiochi a parità di hardware, ma anche 1.4x nell’avvio delle applicazioni, 2x nel passare da un’app all’altra, 4x nell’aprire un documento PDF in anteprima e così via. Sul fronte delle prestazioni, invece, oltre a vari miglioramenti che non sono stati approfonditi, la novità più importante è l’introduzione delle API grafiche Metal anche su Mac. Si tratta di un nuovo framework, che ha debuttato lo scorso anno su iOS, che combina insieme OpenGL e OpenCL per migliorare le prestazioni SAFARI Il grafico evidenzia la diffusione rapidissima di Yosemite. torna al sommario MAIL SPOTLIGHT di qualsiasi tipo di app. Per il momento Apple non ha voluto rilasciare ulteriori informazioni su OS X El Capitan, se non che sarà disponibile da subito la preview per sviluppatori e che ci sarà una beta pubblica aperta a tutti a partire da luglio. L’aggiornamento gratuito alla versione finale sarà disponibile il prossimo autunno. SPLIT SCREEN n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE PC Al Computex Intel lancia Thunderbolt 3, connessione due volte più veloce della precedente Intel ha scelto USB-C per Thunderbolt 3 Ma la novità più importante è il connettore scelto: l’USB-C, nuovo “tuttofare” del futuro di Paolo CENTOFANTI è un nuovo Thunderbolt ed è due volte più veloce della versione precedente. Intel ha presentato infatti in occasione del Computex la versione numero 3 del suo standard di connessione tutto fare, che a dire il vero non è ancora diventato così mainstream come forse ci si aspettava. Ma le cose potrebbero cambiare del tutto con questa nuova release dello standard, grazie al nuovo connettore: Thunderbolt 3 non viaggerà più infatti su mini DisplayPort ma USB-C, che si candida a diventare la connessione “unica” per tutti i dispositivi. Thunderbolt 3 permette di connettere con una banda di 40 Gbit/s bidirezionali praticamente qualsiasi tipo di periferica: USB 3.1, DisplayPort 1.2, PCI Express, 10 GBit/s ethernet, più C’ alimentazione fino a 100 Watt. Il nuovo connettore “senza verso” che ha debuttato sul nuovo MacBook di Apple, è uno dei protagonisti del Computex di quest’anno e grazie anche alla tecnologia di Intel potrebbe a questo punto diventare il connettore definitivo, anche perché il rapporto di forma lo rende adatto ad essere impiegato anche su smartphone e tablet. La nuova versione di Thunderbolt consente di collegare fino a 6 dispositivi concatenati, due monitor con risoluzione 4K a 60 Hz contemporaneamente (ma per ora non si fa menzione di HDMI 2.0 se non tramite un adattatore), e consente di gestire due periferiche PCIe per presa Thunderbolt fino a un massimo di 4 su singolo chipset. Secondo Intel ciò consentirà ad esempio di collegare ad un portatile una scheda grafica esterna in modalità plug&play per potenziare le prestazioni grafiche, ma la connessione supporta anche la registrazione audio a bassa latenza, per le periferiche dedicate all’audio professionale. Non è ancora chiaro invece quando saranno disponibili i primi dispositivi compatibili. PC La produzione su larga scala dei memristori si è rivelata più complicata del previsto HP ridimensiona la prima versione di “The Machine” Il primo pc in grado di processare “Big Data” progettato da HP sarà fatto tutto di RAM T di Paolo CENTOFANTI he Machine è il progetto visionario di HP di realizzare un nuovo tipo di computer, non solo potentissimo in senso generale, ma soprattutto ottimizzato per processare grossi quantitativi di dati localmente, dove per grossi parliamo di quei Big Data che oggi possono venire gestiti solo via cloud computing e affini. Pensate ai dati raccolti sul traffico, data base di banche e mercati finanziari, dati sanitari. Ma anche sistemi di riconoscimento vocale come quelli di Google o Apple, o ancora al riconoscimento di oggetti in un’immagine o di un brano musicale, tutte operazioni che oggi vengono effettuate inviando i dati a grossi data center nel cloud. HP promette di fare tutto questo con un solo computer in grado di lavorare su grossi quantitativi di dati locali e di condividere la capacità di elaborazione con altre macchine connesse alla rete. In pratica un centro di calcolo distribuito. Alla base della nuova “Macchina” c’è un importante sviluppo tecnologico ottenuto da HP nei suoi laboratori, cioè la capacità di produrre i memristori, un elemento circuitale - per decenni solo teorico - che permette di realizzare memorie velocissi- torna al sommario me ed estremamente dense e soprattutto di superare la distinzione oggi esistente tra RAM e ROM: veloce ma volatile la prima, persistente ma più lenta la seconda. La nuova architettura di HP prevede infatti una sola unica memoria che non fa distinzione tra disco, RAM e cache. Esiste un blocco unico ad elevatissima velocità, e quindi con la possibilità di elaborare senza colli di bottiglia grandissime quantità di informazione. Purtroppo Martin Fink, chief technology officer di HP, ha annunciato che di lavoro per arrivare alla produzione su vasta scala dei memristori ce n’è ancora parecchio e che quindi si allontana la possibilità di realizzare completamente la visione originale della Macchina. Ciò non vuol dire però che il lavoro sulla nuova architettura sia giunto a una battuta di arresto. Tutt’altro. L’anno prossimo vedrà infatti la luce un primo prototipo, che sfrutterà però moduli DRAM al posto dei memristori per realizzare la memoria universale del computer. Purtroppo la RAM ordinaria necessita di essere continuamente alimentata per mantenere i dati nelle sue celle, il che vuol dire in primo luogo che la prima Macchina sarà tutt’altro che efficiente a livello energetico, anche perché il primo prototipo avrà una memoria di 320 Terabyte. Dopo questo modello, ne verrà realizzato più avanti un altro, basato questa volta su memoria a cambiamento di fase, memoria di tipo non volatile che potrà garantire stesse prestazioni ma senza gli svantaggi delle RAM. Martin Fink HP Il nuovo monitor 4K di Asus copre il 100% di AdobeRGB Asus ha annunciato un monitor da 32” con risoluzione 4K pensato per grafici e fotografi: copertura totale dello spazio AdobeRGB, ma anche supporto per DCI e pannello a 10 bit di Paolo CENTOFANTI Porta la dicitura ProArt il nuovo monitor PA329Q che Asus presenta al Computex. SI trata di un display con diagonale da 32 pollici e risoluzione Ultra HD pensato del resto proprio per professionisti della grafica e fotografi. Oltre alla risoluzione di 3840 x 2160 pixel, con pannello IPS, è un’altra la caratteristica che rende particolarmente interessante il monitor di Asus: la copertura del 100% dello spazio colore Adobe RGB, con una taratura di fabbrica che offre un’accuratezza della riproduzione cromatica con un deltaE (il parametro che misura la deviazione rispetto al riferimento) inferiore a 2. Il monitor è inoltre compatibile con gli spazi colore DCI P3 e Rec BT.2020, con riproduzione del colore a 10 bit e LUT programmabile a 16 bit per la calibrazione con i principali marchi di colorimetri. L’Asus PA329Q è dotato di ingressi DisplayPort 1.2 e HDMI 2.0 compatibili con segnali 4K a 60 Hz, ma anche di due porte HDMI 1.4 e 4 prese USB 3.0. Al momento Asus non ha rilasciato ancora informazioni su prezzi e disponibilità. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE HI-FI & HOME CINEMA Caratteristiche tecniche di spessore con soluzioni per l’home cinema Denon completa il multiroom con la soundbar La gamma multiroom Heos si arricchisce con Home Cinema, una soundbar con sub separato A di Roberto FAGGIANO rriva sul mercato la nuova soundbar del sistema multiroom Heos di Denon: si chiama Home Cinema, ha il subwoofer separato in dotazione e costa 799 euro. Oltre al prezzo sono le caratteristiche tecniche a metterla in evidenza rispetto ai concorrenti, infatti oltre a tutte le possibilità di riproduzione musicale multiroom, ci sono molte soluzioni dedicate all’home cinema. La soundbar Heos è compatibile con Dolby Digital, Dolby Digital Plus e DTS, inoltre ha un processore DSP dedicato da 400 MHz e 32 bit per poter riprodurre virtualmente gli effetti surround e allineare la risposta del subwoofer; disponibile anche un DSP per la musica, con scelta del tipo di sorgente da riprodurre tra cinema e musica. La versatilità degli ingressi cablati è completa con HDMI ARC, digitale otiico e coassiale, ingresso minijack nonché una comoda presa USB per chiavette di memoria o hard disk esterni. Tutti i cavi sono forniti in dotazione. La connettività Wi-Fi a/b/g/n è di tipo dual band. Tra i formati audio riproducibili rimane la li- mitazione in frequenza ai soli 48 kHz, escludendo per il momento i migliori Flac. Per maggiore comodità d’uso è stato integrato anche un ricevitore a infrarossi per il telecomando del TV con funzione di ripetitore. Dal punto di vista tecnico la soundbar utilizza un sistema stereo con un midwoofer rettangolare con cono in materiale composito con kevlar e un tweeter a cupola da 20 mm per ogni canale; il subwoofer invece sfrutta due woofer da 13 cm. Ogni altoparlante ha il suo amplificatore digitale in classe D con potenza non dichiarata. Per quanto riguarda le dimensioni la soundbar vera e propria misura poco più di un metro in larghezza con altezza e profondità di circa 10 cm; in dotazione ci sono piedini per il posizionamento su di un ripiano ma il diffusore può anche essere fissato a parete. Il subwoofer è abbastanza compatto e sviluppato in profondità con misure di 17 x 31 x 33 cm (L x A x P); l’accordo reflex è sul lato posteriore e quindi non va avvicinato troppo alla parete. Bose Soundlink Mini II con vivavoce e maggiore autonomia Il piccolo diffusore portatile di Bose si rinnova con l’aggiunta della funzione vivavoce, maggiore autonomia della batteria e istruzioni vocali migliorate per l’abbinamento. Inoltre, può essere collegato contemporaneamente a più dispositivi di Roberto FAGGIANO Dopo due anni di onorata carriera (qui potete leggere la nostra prova della prima versione), è tempo di novità per il diffusore portatile compatto del marchio HI-FI & HOME CINEMA LG aggiorna parte della sua gamma audio rendendola più versatile Google Cast arriva sui sistemi audio LG Music Flow I diffusori potranno gestire musica in streaming tramite app compatibili o browser Chrome di Roberto PEZZALI S peaker e soundbar del sistema audio LG Music Flow guadagnano, tramite aggiornamento software, la compatibilità a Google Cast for Audio. Disponibile sui modelli LG Music Flow tra cui HS9, HS7, HS6, H7, H5, H3 e H4 Portable, Google Cast permette di trasmettere alle casse la musica, tramite Wi-Fi, da smartphone o tablet Android, iPhone e iPad, e da computer Mac, Windows o Chromebook. Google Cast è in pratica la versione Google di AirPlay di Apple, con la differenza, in questo caso, che ci troviamo davanti a una soluzione cross-platform, quindi funzionante con tutti i sistemi operativi e non limitata al solo mondo Apple. L’utente apre un’applicazione compatibile sul proprio smartphone, l’app cerca i diffusori compatibili in rete e appare il tasto “Cast” che permette di trasmette- torna al sommario re la musica. Esattamente come accade con la chiavetta Chromecast, il principio è lo stesso: Google Cast non usa lo smartphone o il tablet per lo streaming ma solo come telecomando per non consumare la batteria; sarà il diffusore ad occuparsi di intercettare lo stream e riprodurlo. Tra le prime app compatibili Spotify, TuneIn, Google Play Musica e Rdio, ma volendo è possibile anche inviare la musica presen- te sullo smartphone o su una libreria condivisa tramite l’app Music Flow Player di LG. I modelli LG compatibili Google Cast dispongono anche di Bluetooth, ma per versatilità e qualità audio è preferibile la soluzione “Wi-Fi” tramite casting: da segnalare poi che la soluzione Google Cast permette anche l’abbinamento di più prodotti compatibili di differenti marche. Clicca qui per il video. statunitense. Il nuovo diffusore Bose Soundlink Mini II (199 euro) aggiunge la funzione vivavoce e una maggiore autonomia portata a 10 ore. Inoltre, è ora possibile abbinare contemporaneamente tramite Bluetooth due dispositivi al diffusore, per esempio uno smartphone e un tablet. Sono state anche migliorate le istruzioni vocali per l’abbinamento nel caso si dovessero incontrare difficoltà. Nulla cambia, invece, dal punto di vista acustico e dimensionale, con un peso di soli 668 grammi e dimensioni quasi tascabili che si uniscono a prestazioni sonore di tutto rispetto, specie in gamma bassa. Dal punto di vista estetico il nuovo Soundlink Mini II di Bose è disponibile nelle due finiture Carbon e Pearl, con la possibilità di aggiungere delle cover colorate in vendita separatamente al prezzo di 26 euro. H Super garanzia L P n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE GAMING I primi due PC da gioco sono realizzati da AlienWare e Syber e hanno configurazioni simili Sono in arrivo le prime Steam Machine Dopo tanti annunci, Valve è pronta a lanciare la sua piattaforma di gioco basata su Linux Le prime macchine sono disponibili da novembre, i pre-order saranno consegnati a ottobre di Paolo CENTOFANTI C’ è voluto un sacco di tempo dall’annuncio del 2013, ma SteamOS sta per diventare una cosa seria, o quanto meno qualcosa di effettivamente presente sul mercato. Dal prossimo novembre saranno disponibili le prime Steam Machine, ovvero PC da gioco ottimizzati per il sistema operativo Linux realizzato da Valve. I primi prodotti sono già in pre-order, tra cui lo Steam Controller, il set top box Steam Link per lo streaming dei giochi in 1080p da PC a TV, e le due prime Steam Machine realizzate rispettivamente da AlienWare e Syber. Entrambe hanno un costo di partenza di 499$ e una configurazione simile: processore Intel Core i3, 4 GB di RAM, 500 GB di hard disk e scheda video NVIDIA GTX750 con 1 GB di RAM nel caso della Syber, una non specificata GTX con 2 GB GAMING Amazon ha in programma un “super” gioco per PC Amazon Game Studios esiste ormai da un po’, ma non si può dire che - a parte qualche gioco con target mobile e quelli dedicati alla Fire TV - finora abbia avuto obiettivi molto ambiziosi. A giudicare da un’inserzione pubblicata su Gamasutra, però, tutto ciò potrebbe cambiare a breve: Amazon sta assumendo nuovi sviluppatori per “un nuovo gioco per PC, molto ambizioso e che fa uso delle tecnologie più recenti”. Sempre secondo l’inserzione, l’intento dell’azienda è quello di rinnovare in modo radicale il concetto stesso di gameplay, facendo uso del cloud, del servizio di streaming Twitch e di altre innovazioni tecniche, il tutto supportato da un team di sviluppatori il cui lavoro è alla base di molti dei più importanti titoli degli ultimi anni, da World of Warcraft a Halo. Ovviamente è troppo presto per informazioni più dettagliate, ma vista l’enfasi che gli viene data, il team coinvolto e la potenza di Amazon, aspettiamoci un ingresso dei Game Studios nel mondo del gaming che conta. torna al sommario LG apripista È suo il primo monitor 4K con AMD FreeSync LG annuncia in USA il primo monitor per gaming con tecnologia AMD FreeSync È un 4K IPS da 26,3’’ e 9,7 ms di input lag Lo attendiamo in Italia di Emanuele VILLA di RAM per quella AlienWare. Entrambe le soluzioni sono disponibili anche in configurazioni più “pompate” con prezzi fino 1.419$. Entrambi i prodotti saranno disponibili per chi effettua il pre-order un mese prima dell’uscita ufficiale, con consegna entro il 16 ottobre. Scopo dell’iniziativa è quello di offrire un’esperienza di gaming “da divano” anche su PC, con un sistema operativo che consente di utilizzare il PC anche con il solo controller, un po’ come avviene su console, con il vantaggio però di avere un sistema aggiornabile anche a livello hardware e con prestazioni superiori. La vera scommessa è su quali giochi verranno portati sulla nuova piattaforma e se Valve riuscirà a guadagnarsi il supporto dei grandi publisher. GAMING Il controller è wireless con inserito un jack da 3,5” Microsoft anticipa l’E3 di Los Angeles Xbox One da 1 TB e un nuovo controller di Emanuele VILLA nticipando di qualche giorno il più importante evento mondiale dedicato al gaming (l’E3 di Los Angeles), Microsoft annuncia una nuova versione di Xbox One, quella da 1 TB. La decisione di realizzare una console più capiente di quella in commercio è la diretta conseguenza delle insistenti richieste degli utenti, che con giochi e contenuti multimediali sempre più “esosi” in termini di spazio richiesto, vedono in 1 TB integrato una soluzione quanto mai auspicata, fermo restando la possibilità di espandere lo storage via USB 3.0. Ma in realtà la novità più interessante non è tanto la console da 1 TB quanto il nuovo controller, che sarà disponibile in bundle con la console oppure in acquisto singolo (anche in una “avventurosa” variante Camouflage). La novità più significativa è l’inserimento di un jack da 3,5’’ direttamente nel controller, jack cui collegare il proprio headset di gioco. Il controller è rigorosamente wireless e permette la regolazione dei vari volumi (comprensivi della sensibilità del microfono) tramite menù a schermo. Tra le altre novità, Microsoft segnala un miglioramento nella qualità dell’audio percepito, l’aumento del volume massimo, un fine-tuning dei grilletti e l’abilitazione degli aggiornamenti firmware OTA, senza quindi la necessità di collegare il controller alla console via cavo. A LG tiene in massima considerazione le esigenze dei gamer e presenta (per il momento solo negli USA) il primo monitor 4K compatibile con la tecnologia FreeSync di AMD, la controparte di NVIDIA GSync. Il nuovo monitor, il cui nome in codice è 27MU67, sarà nei negozi d’oltreoceano a partire da fine mese e può vantare caratteristiche tecniche di tutto rispetto: 26,3 pollici di diagonale, con formato 16:9, dotato di pannello 4K IPS e specificamente pensato per le esigenze dei gamer. Il nuovo nato supporta la tecnologia AMD FreeSync con un range di refresh 40-60 Hz; così, eliminando il problema del fuorisync tra monitor e scheda video, la tecnologia di AMD è in grado di minimizzare il problema del tearing che si avverte soprattutto in situazioni ad alto framerate (come negli FPS o negli sportivi). Tra le altre caratteristiche segnalate dall’azienda troviamo la modalità Dynamic Action Sync, che porta l’input lag a 9,7 millisecondi, ma anche altre tecnologie pensate per chi gioca come Black Stabilizer e Flicker Safe, con quest’ultima che riduce l’affaticamento visivo anche in condizioni di massima azione. Infine, il pannello è in grado di riprodurre il 99% dello spazio colore sRGB, ha un tempo di risposta GTG di 5 ms e luminsità di 300 nits, oltre a un angolo visuale di 178° in entrambi i versi. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE GAMING Oltre alla compatibilità con Windows 10 c’è un controller da usare con entrambe le mani Oculus svela il modello consumer definitivo Rift VR ha due display OLED, audio posizionale ed è compatibile con Windows e Xbox O di Roberto PEZZALI culus ha svelato la versione finale del modello consumer, quello che sarà in vendita dal primo trimestre del 2016. Non solo: in risposta a Sony con il suo Project Morpheus, Oculus abbraccia Microsoft, offrendo non solo compatibilità con Windows 10 ma un controller Xbox One per la gestione e la possibilità di inviare i giochi di Xbox, in streaming, verso Oculus. Il visore è un lontano parente di quello visto agli inizi, ed è anche abbastanza diverso dall’ultimo prototipo: Oculus promette una qualità migliore grazie all’uso di due schermi OLED al posto di un singolo schermo, un nuovo tracking system con una latenza bassissima, un sensore da posizionare sulla scrivania per seguire i movimenti della testa e, cosa non meno importante, un sistema audio integrato con audio posizionale. L’utente potrà rimuovere le cuffie Oculus per usare le sue cuffie, ma ovviamente non sarà la stessa cosa, soprattutto per l’integrazione perfetta tra il visore e il suo set audio. Tutti gli aspetti sembrano es- sere stati gestiti al meglio: si potrà regolare la distanza intrapupillare e si potranno usare anche gli occhiali, cosa che invece non è possibile nel visore Gear VR di Samsung sempre proposto da Oculus. Nel kit di vendita, oltre al visore, l’utente troverà un ricevitore wireless e un controller Xbox One. Ancora non sarà possibile usare Oculus e Xbox One per giocare giochi immersivi (cosa che si può fare con il prototipo Sony), ma sfruttando l’app di Xbox per Windows 10 e indossando l’Oculus sembrerà di trovarsi in un super cinema e giocare a Halo o a Forza Horizon. Il controller Xbox One è tuttavia una soluzione “tampone”: Oculus è consapevole che per giocare in una nuova dimensione serve un tipo di controller più intuitivo e diverso nel concetto, ecco quindi che arriva Oculus Touch, un nuovo Deriva direttamente dalla mostruosa Titan X ma costerà un po’ meno e permetterà di giocare in 4K con prestazioni da urlo. Ma sarà anche l’ideale per giocare con Oculus Rift tipo di controller da usare con entrambe le mani e basato più sul movimento delle braccia che sulle dita. Tutto bello, ma il costo? Oculus non ha dato i due dati che forse più interessavano: quando sarà possibile ordinarlo e il costo, per questo si dovrà attendere ancora un po’. GAMING La data prevista di uscita è inizio 2016, periodo in cui Oculus arriverà nei negozi GloveOne, adesso la realtà virtuale la tocchi Guanti stracolmi di sensori per rendere più realistiche le avventure nella realtà virtuale T di Emanuele VILLA utto farebbe pensare che il 2016 sia davvero l’anno della realtà virtuale: nomi “top” del settore, come Samsung, LG, HTC e Google iniziano a investirci con vigore, ma soprattutto arriverà sul mercato il game changer, quell’Oculus di proprietà Facebook di cui sentiamo parlare da anni ma che nessuno ha mai visto in negozio. Chi l’ha provato può confermare che l’esperienza, pur emozionante e piacevole, manca ancora di qualcosa: poter interagire con gli oggetti che si vedono, poterli toccare e sentirli come fossero oggetti reali. Se otterrà il finanziamento richiesto (150.000 dollari, per ora siamo a 1/3 della raccolta ma manca ancora un mese), il problema verrà risolto da GloveOne, un guanto per Oculus e sistemi concorrenti che permette la percezione degli oggetti presenti nel quadro virtuale 3D. torna al sommario Tutto ciò è possibile grazie a 10 sensori distribuiti nella superficie interna dei guanti, che vibrano indipendentemente a diverse frequenze e intensità, riproducendo la sensazione del tatto. Sono anche presenti dei sensori dedicati all’interazione con gli oggetti, mentre per il rilevamento della posizione e l’hand NVIDIA annuncia la GTX 980Ti per giocare in 4K tracking ci si avvale di sensori esterni come Leap Motion o Intel RealSense, ma è anche possibile integrare GloveOne con altre tecnologie come Kinect e OpenCV. Se il progetto otterrà il successo sperato, lo vedremo in azione a inizio 2016, in tempo per salutare l’arrivo di Oculus nei negozi: bundle in vista? di Paolo CENTOFANTI Dopo la mostruosa Titan X, NVIDIA lancia una nuova scheda grafica, basata sulla stessa GPU GM200, leggermente depotenziata e con meno RAM grafica della top di gamma. Il risultato è la nuova GeForce GTX 980 Ti, scheda che porta sotto i 1.000 euro la possibilità di avere un’esperienza di gioco fluida in 4K su PC. La nuova scheda NVIDIA nasce con già in mente le nuove API DirectX 12 di Microsoft e offre prestazioni tre volte superiori a quelle della GTX 680. La GTX 980 Ti è dotata di 6 GB di memoria GDDR5 e secondo NVIDIA consente di giocare con molti giochi di ultima generazione in risoluzione 4K con un frame rate stabilmente superiore ai 30 fps. La nuova scheda permetterà, inoltre, di sfruttare le nuove librerie GameWorks VR per la realtà virtuale, che consentiranno di ottimizzare i nuovi giochi per i visori come Oculus Rift. I costi sono appunto inferiori a quelli della Titan X, ma stiamo pur sempre parlando di una scheda top di gamma che avrà un costo di 649 dollari negli Stati Uniti (e circa 740 euro in Italia). Secondo i primi benchmark però, il calo di prestazioni rispetto alla Titan X è quantificabile in pochi punti percentuali. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE DIGITAL IMAGING Un piccolo “gioiello” che arriverà quest’estate al prezzo di 3.500 euro Sony a7R II: full frame e con 42 megapixel Un sensore full frame da 35 mm BSI, stabilizzazione sul sensore, ripresa 4K e altre novità S di Roberto PEZZALI ony continua a innovare nel campo delle fotocamere: dopo essere diventata leader delle mirrorless full frame amplia la gamma presentando la nuova a7R II (ILCE-7RM2 il modello), una revisione della a7R dello scorso anno, che di fatto dal modello precedente eredita solo il concetto e la forma. La nuova a7R II è, infatti, la prima ad adottare il nuovo sensore gioiello uscito dai laboratori Sony, un CMOS Full Frame back-illuminated capace di 42 Megapixel e con una sensibilità che, grazie al processore Bionz, raggiunge i 102.400 ISO (25.600 nativi). Nuova anche la messa a fuoco: il sensore, ibrido, racchiude 399 punti di messa a fuoco a ricerca di fase che rendono l’operazione del 40% più veloce rispetto al modello precedente. La novità però più rilevante relativa al sensore è lo stabilizzatore a cinque assi sul sensore stesso, una chicca ereditata dal modello a7 II già rinnovato lo scorso dicembre. Sony crede moltissimo in questo nuovo sensore che lei stessa ha sviluppato: “spesso si sceglie tra sensibilità e risoluzione, con la a7R II si possono avere entrambe”. Il riferimento va ovviamente alla classica discussione sulle dimensioni dei pixel che contano più della risoluzione, ma sembra che Sony abbia trovato il modo di far coesistere le cose grazie anche alla tecnologia BSI. Il sensore, privo anche di filtro passa basso, dispone anche di un’elettronica decisamente più veloce e questo permette la cattura di video 4K con rolling shutter ridottissimo: per il 4K la a7R II è flessibilissima, con la possibilità di registrare in diversi formati incluso il Super 35 mm. Tra le altre novità segnaliamo un nuovo mirino OLED ad altissima risoluzione, una velocità di scatto di 5 fps con fuoco continuo, una durata dell’otturatore fino a 500.000 scatti e l’uso del codec XAVC S per registrare fino a 100 Mbps con una qualità Sony a7R II Fast Hybrid AF torna al sommario RX100 IV e RX10: Sony aggiunge slow motion e velocità alle due compatte top La novità è il primo sensore al mondo con memoria DRAM integrata che permette, grazie a una velocità altissima, slow motion fino a 1000 fps decisamente elevata. Per le riprese video Sony ha pensato anche a un monitor esterno: è un piccolo Full HD da 5” che si può agganciare alla fotocamera e che offre tutte le letture in fase di ripresa, dall’esposizione ai livelli audio. Con a bordo Wi-Fi, NFC e PlayMemories App la a7R II arriverà in estate a 3.500 euro circa. Un vero gioiello, appunto. DIGITAL IMAGING Prezzo stellare come Leica ci ha abituato Leica Q è una nuova mirrorless Ha sensore full frame da 24 Mpixel L di Paolo CENTOFANTI eica ha una nuova mirrorless, la Leica Q. A differenza delle serie X e T, questa volta si tratta di una macchina con sensore full frame da 24 Megapixel e ottica fissa, e se vogliamo è la risposta del produttore tedesco alla moda delle compatte tipo Sony RX1. La nuova Leica Q ha un design del corpo macchina che può ricordare una versione ridotta della Leica M e si caratterizza per una scelta insolita della focale: invece di montare un 35 mm, infatti, Leica ha preferito un obiettivo Summilux 28 mm F1.7. Altra differenza rispetto alla serie M, la Leica Q funziona anche come fotocamera automatica, sia per il fuoco che per l’esposizione, anche se naturalmente troviamo tutti i comandi manuali che ci si aspetta da una macchina di questo tipo. Il sensore è di tipo CMOS e offre una sensibilità ISO fino a 50.000. Altra novità rispetto alle altre mirrorless di fascia “bassa” del produttore tedesco, la Leica Q è dotata di mirino elettronico integrato con una risoluzione di 3,68 milioni di punti. Come al solito, quando si parla di Leica, i prezzi non sono esattamente alla portata di tutti: Leica Q costa 3.999 euro. di Roberto PEZZALI Sony rinnova il reparto imaging con una compatta e una bridge. RX100 IV e RX10 II sono sorelle: hanno lo stesso sensore da 1”, registrano in 4K e fanno della velocità il loro punto di forza, ma se la prima è una compatta con un obiettivo ZEISS Vario-Sonnar T* 24-70mm F1.8-F2.8, la RX10 II mantiene la stessa ottica della RX10, uno ZEISS Vario-Sonnar T* 24-200mm F2.8. Due macchine per due target differenti: una dedicata a chi vuole tanta qualità in un corpo piccolo, l’altra a chi vuole un prodotto versatile che possa scattare con buona qualità senza rinunciare allo zoom. La novità vera è il sensore: debutta uno Exmor RS da 1” e 16 Megapixel con processore avanzato e memoria DRAM integrata. I vantaggi si vedono soprattutto nella velocità di lettura dei dati, in grado di attivare funzionalità inedite come un super slow motion nei video a 40x, con un framerate di 1000 fps circa. Non manca la ripresa 4K e un otturatore velocissimo che arriva a 1/32000 di secondo. Notevole anche la raffica: 16 fps sulla RX100 IV, 14 fps a piena risoluzione sulla RX10 II. Sony assicura anche un’eccellente qualità in termini di ripresa 4K: rolling shutter al minimo, XAVC S a 100 Mbps e profili professionali S-Log2 e S-Gamut. Entrambe le fotocamere hanno un mirino OLED hi-res, un sistema di messa a fuoco velocissimo e wireless a bordo. Prezzi ancora non definitivi: 1.150 euro circa per la nuova RX100, 1.600 euro per la RX10, con debutto in estate. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE SMARTHOME Si va da soluzioni semiprofessionali per tutta la casa a semplici gadget Ecco i primi prodotti compatibili con HomeKit I partner di Apple hanno presentato i primi prodotti compatibili col protocollo HomeKit Termostati, controllo luci, termometri smart, sensori e hub per un impianto completo A di Massimiliano ZOCCHI pple e i suoi partner hanno promesso più volte che i primi prodotti con integrata la tecnologia HomeKit sarebbero arrivati in tempo per il WWDC di quest’anno, e così è stato. Diversi produttori hanno presentato alcuni dei dispositivi che andranno a comporre l’ecosistema HomeKit. Uno dei kit più completi, da subito disponibile (per ora nel mercato americano) è Caseta Wireless di Lutron, un vero e proprio hub per il controllo delle luci tramite uno smart bridge. Le possibilità di controllo sono diverse, da Siri a iOS, passando per Apple Watch. È possibile anche il controllo da remoto o tramite geofencing. Per lo starter kit ci vogliono 230 dollari. Insteon propone qualcosa di simile, ma che permette di controllare oltre alle luci anche videocamere, allarmi, e altro tramite standard Wi-Fi e RF, ma prezzi e disponibilità non sono ancora stati comunicati. Clicca qui per il video. Saranno disponibili a breve i sensori della famiglia Eve di Elgato che comprende una centralina per misurare la temperatura, l’umidità di una stanza e la qualità dell’aria, oltre alla versione outdoor, più improntata alle condizioni atmosferiche. Si passa poi alla smart plug (Eve energy) per il controllo dell’impianto elettrico, con possibilità di accendere e spegnere da remoto e conoscere il consumo istantaneo. Infine, Eve door e window, che comprende sensori per porte e finestre in grado di monitorare ogni accesso all’abitazione e segnalare aperture impreviste. Non poteva mancare un termostato: per 249 dollari sarà disponibile Ecobee3, in grado di autoregolare la temperatura secondo le abitudini di chi abita la casa, oltre alla possibilità (tramite sensori satellite) di differenziare tra loro le stanze. Infine, anche se al momento è solo in preorder, l’unico prodotto di iHome, una smart plug che al prezzo di 40 dollari permetterà il controllo di luci o elettrodomestici collegati alla presa. SMARTHOME Elementi curati esteticamente, non stonano nemmeno in ambienti di prestigio MyFox, sistema smart che protegge la casa dai ladri Sistema d’allarme facile da installare e controllabile da remoto. Il prezzo è abbordabile di Roberto FAGGIANO P resentato il nuovo sistema di Myfox che ha lo scopo di prevenire l’intrusione oltre a dare l’allarme ad effrazione avvenuta. Non necessita di installazione da parte di personale specializzato ma è un’operazione alla portata di tutti seguendo le istruzioni dell’app dedicata per iOS e Android. Il pacchetto di partenza è l’Home Alarm (299 euro) che comprende la centralina del sistema con la sirena d’allarme, un sensore di sicurezza da applicare sulla porta d’ingresso, un piccolo telecomando utilizzabile come portachiavi e un elemento da fissare a una qualsiasi presa elettrica che funge da collegamento in Wi-Fi verso il router casalingo. Elemento opzionale è la te- torna al sommario lecamera Security Camera (199 euro) che si può integrare nel sistema con la funzione di sorveglianza e videoregistrazione. È sempre prevista un’alimentazione a batteria che può fungere da supporto agli elementi che vanno collegati alla rete elettrica in caso di manomissione, con autonomia di 1 ora per la telecamera e 6 ore per la centralina. Secondo il costruttore la tecnologia brevettata applicata ai sensori IntelliTag è in grado di riconoscere un tentativo di intrusione dalle normali vibrazioni di passaggio e reagisce a tentativi di manomissione. Oltre al primo sensore in dotazione se ne possono aggiungere altri (49 euro cadauno) per mettere in sicurezza altri ingressi o le finestre. Le ri- prese partono non appena il proprietario lascia la casa e vengono memorizzate nel cloud fino a 30 giorni. Il portachiavi in dotazione contiene un sensore di prossimità per disattivare automaticamente l’allarme non appena il proprietario arriva a casa. Il sistema è già pronto per lavorare con altri elementi di smarthome eventualmente presenti in casa e fa già parte del gruppo Work with Nest. Super-batteria Mercedes per la casa Mercedes ha presentato il suo accumulatore di energia per la casa e le aziende. Combinato in diversi moduli può arrivare a 20 kWh di capacità di Massimiliano ZOCCHI Qualche mese fa erano circolate indiscrezioni secondo le quali Mercedes-Benz stava incrementando la produzione di batterie al litio per prepararsi a nuovi sbocchi di mercato. Ora dopo il lancio ufficiale della Classe B Electric Drive, Mercedes presenta la sua visione di batteria casalinga. Evidentemente il successo appena riscosso da Tesla Motors col suo accumulatore per la casa (tutti i preordini esauriti in poche ore) ha spinto i vertici di Stoccarda a dare una spinta ulteriore alla divisione elettrica. A prima vista più piccolo rispetto al prodotto del concorrente californiano, l’accumulatore Mercedes segue nel design le vetture della gamma Electric Drive con profili azzurri ed è in grado di immagazzinare 2.5 kWh. Tuttavia possono essere combinati tra loro fino a 8 moduli, raggiungendo i 20 kWh di capacità totale. Decisamente meno rispetto alla soluzione Tesla, che può arrivare fino a 90 kWh. Clicca qui per la pagina dedicata, con le spedizioni che dovrebbero partire a settembre. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE SMARTHOME Per ottenere il risultato, adottate tecnologie derivate dal mondo aerospaziale Dyson geniale, la lampada che dura 37 anni La nuova gamma di lampade LED Dyson ha durata record: 37 anni senza perdere luminosità D di Roberto PEZZALI ai geniali aspirapolvere ai ventilatori fanless Dyson ha spesso creato oggetti non solo belli ma anche innovativi e tecnologicamente avanzatissimi. L’ultimo esempio è la serie di lampade CSYS, lampade LED che possono vantare una durata, senza perdere efficienza o luminosità, di ben 37 anni. La tecnologia è di derivazione aerospaziale, ma non è nulla di eccessivamente sofisticato: utilizza un sistema simile a quello dei satelliti per spostare il calore dai LED verso l’esterno, mantenendo così il diodo luminoso sempre freddo anche dopo svariate ore. Un LED acceso per molto tempo può raggiungere internamente la temperatura di 130°, deteriorando poco per volta la giunzione e quindi perdendo di luminosità nel tempo fino a bruciarsi: grazie ad un heatpipe inserito nel braccio Dyson riesce a mantenere la temperatura dei sette LED usati attorno ai 55°, assicurandosi così non solo una durata record ma anche la stessa luminosità nell’arco del tempo. Il valore è stato ovviamente ricavato con simulazioni e stime di laboratorio, e solo il tempo ci dirà se ci avevano visto giusto (la garanzia resta di due anni però). Con un prezzo che varia tra i 700 e i 1000 euro a seconda del modello la nuova gamma di lampade, molto essenziale nel design, può contare anche su un sistema di snodi e carrucole per gestire il posizionamento su tre assi e su un touch alla base con controller a processore per controllare il livello di luminosità. Per chi ama il design e la tecnologia un bell’investimento da 19 euro all’anno. Dai termostati alla videosorveglianza: arriva Nest Cam Svelate in anticipo le immagini del prossimo prodotto dedicato alla casa, Nest Cam E di Massimiliano ZOCCHI torna al sommario Devi spedire un pacco? Puoi provare lo schema social di YouPony che ti mette in contatto con chi è disposto a consegnarlo dove vuoi tu. Costi contenuti e c’è anche il tracking di Emanuele VILLA SMARTHOME Nest, da tempo controllata da Google, è famosa per il termostato intelligente rano voci insistenti che circolavano già da giorni, ma ormai pare non ci siano più dubbi. Il nuovo prodotto che Nest si appresta a presentare è una videocamera di sorveglianza. Com’è noto, Nest e da tempo controllata da Google, ma a sua volta gode di libertà d’azione e aveva acquisito l’azienda specializzata nel settore, Dropcam. Uno dei primi esemplari in fase di test della nuova Nest Cam assomiglia moltissimo a quelle realizzate proprio da Dropcam, come potete vedere dall’immagine qui sotto, pubblicata dai ragazzi di Droid-Life. com. E sempre dallo stesso sito erano arrivate le prime informazioni, derivanti dai soliti documenti della FCC, dai quali era chiaro che il nuovo prodotto Le spedizioni diventano social con YouPony sarebbe stato molto simile alla già esistente Dropcam Pro, con in dote connessione Bluetooth 4.0, la capacità di streaming video a 1080p, e la possibilità di essere appoggiata sulla base o sfruttare la stessa come supporto a muro. Assieme al nuovo hardware arriverà anche un aggiornamento dell’app di controllo Nest, che includerà appunto anche la nuova Cam, oltre alle vecchie Dropcam, nonché il famoso termostato e anche Nest Protect, un rilevatore di fumo wireless già in commercio da tempo. In sostanza da semplice app per la temperatura di casa diventa una sorta di hub per la domotica. Tuttavia all’evento dedicato alla stampa che si terrà il 17 giugno c’è chi si aspetta anche dell’altro. Sono noti i piani di Google di creare una smart home connessa, quindi Nest Cam potrebbe non essere l’unica novità che Mountain View ha in serbo per noi. Ancora pochi giorni e ne sapremo di più. YouPony è un’app che vuole rivoluzionare lo schema delle spedizioni e delle consegne, sostituendo al classico sistema postale o tramite corriere privato, un meccanismo collaborativo che aggrega domanda e offerta di spedizioni e consegne. È un’app gratuita, disponibile nell’App Store di Apple e in Google Play, che mette in contatto i Sender, chi spedisce, e i Pony, chi consegna. Il contatto è effettuato via smartphone ed è disponibile 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Se si vuole mandare un pacco, si entra nell’app, si verifica se esistono Pony certificati che fanno la tratta che interessa e li si contatta, mettendosi d’accordo su tariffa e luogo dell’incontro. Il video spiega il meccanismo. Tutti possono diventare Sender e inviare in pochi minuti il proprio prodotto, e al tempo stesso ognuno può iscriversi come Pony. A livello tecnologico, YouPony ha un sistema di Verified ID process e sfrutta un duplice meccanismo di Selfie e QR Shipping Code per assicurare che le confezioni non vengano manipolate e non passino da un pony all’altro. Per seguire la spedizione c’è il sistema QR Shipping Code che permette la geolocalizzazione attraverso l’app stessa, con in più la disponibilità del numero telefonico del Pony per mettersi in contatto in caso di necessità. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Sfruttando la connessione dell’auto alla rete sarà più facile trovare parcheggio L’auto di BMW ti indica il parcheggio libero BMW presenta la tecnologia Dynamic Parking Prediction che individua aree disponibili di Paolo CENTOFANTI hi non si è trovato nella situazione di girare per diversi minuti alla ricerca inutile di un posto libero per la propria auto? Una nuova tecnologia di BMW, punta a trasformare tutto ciò in un lontano ricordo. Il progetto si chiama Dynamic Parking Prediction e nel prossimo futuro rientrerà tra le funzionalità della piattaforma ConnectedDrive di BMW. Si tratta di un sistema di assistenza alla guida che sfruttando la connessione dell’auto alla rete e quindi l’accesso ai dati sui flussi di traffico, saprà capire dove in ogni momento sarà più facile trovare un parcheggio libero. Diversi studi dimostrano che buona parte del traffico in città è dovuto proprio alle auto che parcheggiano e il Dynamic Parking Prediction di BMW e altre tecnologie simili non solo potrebbero rendere più veloce la ricerca di un parcheggio C per la propria auto, ma anche contribuire a ridurre gli ingorghi in città. Il sistema si basa su una mappa dell’area che include i parcheggi disponibili in zona e la raccolta anonima dei dati di spostamento di altri veicoli in città, tipo quando una macchina si allontana da un parcheggio, oppure quando sta cercando un posto libero. L’algoritmo tiene conto di queste informazioni e del numero di parcheggi liberi in città ed è in grado di calcolare l’area in cui è più probabile trovare un parcheggio per la propria auto. Anche soltanto con i dati sui movimenti di un numero limitato di veicoli, l’algoritmo di BMW sarebbe in grado di indirizzare nella zona migliore il guidatore. Chiaramente, più sono i dati a disposizione, più efficace diventa l’algoritmo di ricerca. BMW ha presentato un prototipo del sistema alla fiera TU-Automotive di Detroit in collaborazione con INRIX, installato su una BMW i3, auto elettrica il cui ambito ideale di utilizzo è proprio la città e che può beneficiare del Dynamic Parking Prediction anche per ridurre i consumi di energia. AUTOMOTIVE Allo studio un modo per ridurre di molto i tempi di ricarica delle auto elettriche StoreDot promette di ricaricare un’auto in 5 minuti La startup israeliana si rivolge al mercato delle auto elettriche: 400 km in 5 minuti di ricarica di Massimiliano ZOCCHI M esi fa l’azienda israeliana StoreDot era venuta alla ribalta perché presentò i suoi studi su una batteria in grado di caricare uno smartphone in 30 secondi. Il tutto era possibile grazie alla particolare chimica della batteria, non più al litio ma un mix di composti organici con elettrodi al polimero e ossidi di metallo. Fu ribattezzata Flash Battery proprio per la sua velocità di ricarica, ma non solo. I particolari elettrodi subiscono pochissimo degrado assicurando anche una vita media più lunga. Oggi gli scienziati israeliani hanno spostato la loro attenzione al settore automotive, in particolare alle auto a trazione elettrica. È noto che uno dei principali problemi di questo settore è la scarsa autonomia di molti modelli, unita ai tempi di ricarica. Il top della categoria, la Tesla Model S, può percorrere fino a 400 km con un pieno di energia, ma poi sono necessari almeno 40 minuti per caricarla completamente, sempre che si usi una stazione Tesla SuperCharger. torna al sommario Nel caso si utilizzi una normale colonnina di ricarica i tempi si dilaterebbero ulteriormente. StoreDot dichiara che 7.000 delle loro celle potrebbero essere caricate in appena 5 minuti, come una qualsiasi sosta in un distributore di benzina, e basterebbero per circa 400 km di autonomia. Sarebbe la svolta attesa da tempo. Tuttavia è presto per cantare vittoria perché va considerato un secondo problema. Per quanto possano caricarsi velocemente, le batterie hanno bisogno di una fonte energetica di sufficiente potenza per sfruttare tale velocità di ricarica. Già adesso i SuperCharger Tesla lavorano a una potenza di 120 Kw, che è una potenza, secondo le nostre abitudini, enorme. Quindi per caricare in pochi minuti una batteria dalla capienza simile ci vorrebbe non solo una batteria ad hoc ma anche una potenza elettrica ancora superiore, cosa che attualmente è piuttosto complessa da ottenere. Ma un giorno ci arriveremo... Google Car a nudo: arrivano le pagelle con incidenti e traguardi Google pubblicherà dei report mensili sulla sua automobile a guida autonoma. I rapporti mostreranno tutto: valutazione dell’intelligenza artificiale e situazioni particolari incontrate di Massimiliano ZOCCHI “Google continuerà a dare ampio supporto ai progetti che possono portare risultati nel lungo periodo”, è quanto ha dichiarato Sergey Brin. E uno di questi progetti è la Google Car, l’automobile a guida autonoma di Mountain View. Proprio in una visione a lungo termine, Google ha deciso di pubblicare mensilmente dei report su tutto ciò che riguarda l’auto del futuro. La prima di queste “pagelle” è già stata pubblicata ed è relativa al mese di maggio. Al suo interno si può trovare di tutto, a partire dai veicoli in strada (al momento 23 Lexus RX450h modificate e 9 prototipi di Google PodCar), passando per le miglia percorse, schemi di situazioni particolari o di eventi accaduti sulle strade. Così potremo vedere schermate dove la selfdrive car evita due ciclisti sbadati, e per giunta di notte, con scarsa visibilità, oppure il riconoscimento di un’ambulanza, con l’auto che si ferma anche se il semaforo era verde. Non sempre purtroppo l’intelligenza artificiale è sufficiente a bilanciare gli errori umani, e sui report si trova il dettaglio degli incidenti in cui le Lexus autonome sono state coinvolte. Rassicurante il fatto che in nessuno di questi casi la colpa è del pilota automatico, tranne in un caso in cui la vettura era in fase di test con guida manuale. In totale 12 incidenti, senza feriti o danni gravi, su un totale di 1.8 milioni di miglia percorse. Molto meglio di qualsiasi automobilista. n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE TEST Le protagoniste del nostro test sono la Sony ZX-110AP da 20 euro, la Yamaha HPH-M82 da 80 euro e la B&W P3 da 200 euro Cuffie a confronto: suona meglio quella più cara? Abbiamo provato, e fatto ascoltare ad audiofili e non, tre cuffie di prezzo molto diverso. Si nota davvero tanta differenza? di Roberto FAGGIANO interrogativo è sempre più diffuso: desidero una buona cuffia ma non voglio sprecare il mio denaro, sarà veramente così notevole il divario di qualità di una cuffia che costa dieci volte più di un’altra? Oppure sarà più conveniente scegliere un modello di prezzo intermedio tra le due? La risposta esce dal nostro confronto, un test dove abbiamo selezionato tre modelli molto diversi tra loro. Tra le protagoniste c’è una Sony entry level: ZX-110AP è uno di quei modelli che si acquistano al supermercato oppure all’aeroporto quando ci accorgiamo di aver dimenticato la nostra cuffia a casa. Come rappresentante della via di mezzo c’è un modello Yamaha di bell’aspetto, HPH-M82, che rappresenta una scelta ragionata, puntando a un nome di gran fama che non dovrebbe deludere nemmeno un ascoltatore esigente. In cima alla lista c’è una prestigiosa B&W P3, che è in realtà il modello più economico del marchio britannico ma promette meraviglie all’ascolto e una costruzione impeccabile. L’ Le tre protagoniste del confronto La Sony ZX-110AP costa 25 euro di listino ma si può acquistare tranquillamente a 20 euro; è il modello più economico della gamma ma è dotato del microfono per la funzione vivavoce e con telecomando per le funzioni di risposta a una telefonata. L’estetica è piuttosto curata ed è disponibile in colore nero, bianco o in un vezzoso rosa. Inutile aggiungere che la costruzione utilizza solo plastica, seppure ben rifinita e con opportuni rinforzi nella zona dell’archetto. Preoccupa il meccanismo che consente di ripiegare i padiglioni per occupare meno spazio: è anch’esso in plastica e non scommetteremmo molto sulla sua durata nel tempo. Ben conformati i padiglioni e buono il rivestimento morbido verso l’orecchio. Il cavo di collegamento è molto sottile mentre il connettore è angolato e robusto. Insomma per la cifra richiesta nulla da eccepire. La Yamaha HPH-M82 costa 80 euro di listino ed è caratterizzata da un’estetica molto originale, con pa- SONY ZX-110AP video diglioni squadrati e un archetto ricurvo, è disponibile in molti colori e si indirizza a un pubblico che non trascura l’aspetto di ciò che compra. Una volta estratta dalla sua confezione la cuffia Yamaha fa smorzare gli entusiasmi iniziali, infatti l’archetto che sembra metallico è in realtà di plastica (solo l’anima dell’archetto è metallica) mentre la zona colorata con effetto velluto opaco fa ancora la sua figura. I padiglioni sono ben imbottiti e rivestiti in morbido tessuto mentre l’imbottitura dell’archetto è solo virtuale dato che scompare alla minima pressione. Il cavo ha un buono spessore e il terminale angolato; il microfono e i tasti lungo il cavo sono dedicati con piena funzionalità (compreso il volume) a dispositivi Apple mentre chi non ha un oggetto della “mela” dovrà accontentarsi della pausa per una telefonata. In dotazione c’è l’adattatore jack ma avremmo visto volentieri anche una custodia da viaggio. La B&W P3 costa 199 euro di listino e nonostante la cifra non certo bassa è il modello più economico del prestigioso marchio bri- tannico. L’estetica è molto rigorosa e i materiali curati; oltre al compassato nero dell’esemplare in prova si può avere anche la finitura bianca o le più vivaci blu e rosso. La costruzione vede ampio utilizzo di tessuto e metallo con poco plastica; i lab padiglioni sono facilmente ripiegabili con un meccanismo molto robusto e hanno un rivestimento completo e non solo lungo il perimetro. Il punto di forza però sono i trasduttori da 30mm, realizzati direttamente da B&W e con soluzioni tecnologiche strettamente derivate da quelle usate per gli altoparlanti dei diffusori domestici. In dotazione c’è un cavo (molto sottile) con microfono e tasti per un dispositivo Apple e un secondo cavo senza alcuna funzione accessoria; il terminale non è angolato. Nella dotazione c’è anche una custodia per il trasporto, ma è in una plastica troppo rigida e con un meccanismo di chiusura a scatto che sembra fatto apposta per chiudersi sulle dita del malcapitato utente. Utilizzo e ascolto, la prova della verità Ecco le tre contendenti alla prova del fuoco: quale uscirà meglio dal confronto? Iniziamo con la cuffia più economica, un modello Sony non deve mai deludere gli affezionati del marchio, nemmeno in cambio di un esborso così contenuto. La prima impressione è positiva e riguarda il comfort, che è notevole anche dopo un lungo ascolto grazie al peso ultraleggero e al minimo impatto sulle orecchie. I padiglioni sono ben imbottiti e al tempo stesso danno una buona solidità in testa, magari non proprio adatti a una corsa impegnativa. L’isolamento verso l’esterno è minimo ma comunque sufficiente ad allontanare i rumori esterni meno invadenti. La sensibilità è nella media, nessun problema di adattamento con gli smartphone. Iniziamo l’ascolto e rimaniamo piacevolmente coinvolti dalla musica, un’impostazione molto equilibrata che non crea mai fatica d’ascolto nemmeno con i pezzi registrati nel modo peggiore. Ma questo non vuol dire che non manchino bassi e dettagli, basta alzare leggermente il volume per avere ottima dinamica e bassi convincenti. La Sony si adatta bene anche a generi musicali molto diversi tra loro, fi- segue a pagina 38 torna al sommario n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE TEST Cuffie a confronto segue Da pagina 37 per la categoria e più controllata, il dettaglio acuto svela strumenti che altre cuffie nascondono, creando anche un piacevole effetto tridimensionale, con fin troppa profondità. Le voci femminili escono accurate e precise ma si poteva fare ancora meglio. Perfetta la compatibilità con ogni genere musicale ben registrato, classica compresa. La cuffia B&W si indossa facilmente, è leggera sulla YAMAHA HPH-M82 nendo per accontentare tutti a un prezzo che diventa molto interessante. La cuffia Yamaha è comoda e leggera, non preme molto sulla testa ma l’archetto non è regolabile una volta indossato perché non scorre, in pratica bisogna togliersi la cuffia e trovare la giusta estensione prima dell’ascolto. Il tessuto che ricopre i padiglioni tende a far salire la temperatura delle orecchie, ma solo dopo un ascolto molto prolungato. L’isolamento dai rumori esterni è minimo, ma comunque sufficiente se non si transita in ambienti e situazioni molto rumorose. Iniziamo l’ascolto con qualche brano “moderno”, ovvero studiato per esaltare bassi a profusione: è un impatto pericoloso perché il modello Yamaha è molto più sensibile della media e veniamo catapultati in un poco gradevole effetto discoteca. Una volta placato il volume basta qualche altro brano recente per farci capire che in queste situazioni la M82 non è a proprio agio, i bassi ci sono ma sono anche fastidiosi e impastati mentre sull’estremo opposto il dettaglio diventa eccessivo. Ma con brani meglio registrati e più tranquilli la cuffia Yamaha mostra il suo lato migliore: la gamma bassa è molto profonda B&W P3 torna al sommario re i dettagli poco curati di molti brani MP3. Un difetto che diventa un pregio se si ascoltano brani Flac o in streaming a risoluzione CD. L’ascolto è comunque di ottimo livello, invita a prolungarlo e tende anche a migliorare dopo qualche ora di riproduzione. Quando vince il rapporto qualità/prezzo Il risultato del nostro test ci porta a conclusioni molto semplici e nette: la B&W P3 è senza dubbio la migliore all’ascolto, la più gradevole con qualsiasi genere musicale, la più coinvolgente e quella meglio costruita. Però questo test voleva puntare soprattutto sul rapporto qualità/prezzo e in questo caso la Sony si prende sicuramente la rivincita perché la B&W non suona dieci volte meglio di lei, come dice invece il prezzo di listino. Sicuramente la piccola Sony non vivrà a lungo come la B&W, ma se accettate questo principio potete sceglierla tranquillamente. E la Yamaha? Difficile valutarla, il suo livello costruttivo è più vicino a quello della Sony che a quello della B&W e lo stesso si può dire dell’ascolto, anzi con certi generi musicali ci è piaciuta di più la Sony. Inoltre, la fascia dei 100 euro è affollata da molti concorrenti di blasone ugualmente famoso, magari meno appariscenti ma con più sostanza. Il giudizio del pubblico: gli audiofili dicono B&W, gli altri Yamaha testa e i padiglioni non stringono troppo l’orecchio, anche il rivestimento dei padiglioni è in un tessuto leggero che non crea troppo calore. Non molto forte l’isolamento dall’esterno ma sempre più che sufficiente in condizioni di utilizzo normali. Iniziamo anche qui da brani musicali “forti”, registrando una sensibilità leggermente superiore alla media. La B&W P3 riesce ad addomesticare i bassi troppo pompati e li riporta in un ambito più gradevole, la profondità è notevole e il coinvolgimento non manca. Anche in questo caso però si capisce che le B&W non gradiscono troppo. Con brani meglio registrati il piacere d’ascolto sale e si nota una realistica profondità della scena, non più compressa tra le due orecchie ma ben estesa ai lati e con voci al centro. Sulla gamma acuta la P3 fa un lavoro di analisi molto accurato e può quindi esalta- Quella realizzata è senza dubbio una comparativa sui generis: non stiamo cercando il prodotto migliore ma vogliamo capire se la grossa differenza in termini di prezzo si riflette anche sulle prestazioni percepite. Quindi abbiamo pensato, oltre alla prova, di interpellare una decina di persone facendo ascoltare loro lo stesso brano e derivandone un giudizio sintetico, per quanto sia stato del tutto impossibile “mascherare” il livello del prodotto: indossare a breve distanza la cuffia Sony e la B&W fa trasparire immediatamente le differenze di prezzo e di posizionamento sul mercato. Per ottenere un resoconto ancor più attendibile, abbiamo suddiviso gli utenti tra casual e appassionati, e la differenza di percezione ci ha dato un esito interessante: l’ultimo classificato è ovviamente Sony (ci mancherebbe...), ma mentre gli “audiofili” gli attribuiscono un posizionamento non troppo distante dalle soluzioni superiori, gli utenti casual ritengono che il divario con le altre cuffie sia enorme. Presumibilmente pesa (e non poco) la differenza di livello costruttivo, materiali, design e di comfort, che rispecchia i quasi 200 euro di differenza di prezzo. Al primo posto c’è la spaccatura: assolutamente B&W per gli appassionati, ma vince Yamaha tra i casual, tra l’altro senza esitazioni. E in realtà non ci stupiamo di questo risultato: chi vuole la migliore qualità sonora e ha l’esperienza per comprenderla appieno sa appezzare quelle sfumature che rendono il suono completo, bilanciato, dinamico in ogni circostanza, un suono più “analitico” rispetto ai competitor, chi ha una sensibilità musicale minore e considera la musica un sottofondo ha invece apprezzato molto la dinamica e l’energia che le cuffie Yamaha sono state in grado di esprimere. E rispetto alle B&W, c’è anche un risparmio notevole da mettere in conto... n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE TEST In prova Arlo, una soluzione di ripresa video completamente wireless realizzato da Netgear. Ecco le nostre impressioni Casa o ufficio sotto controllo con Netgear Arlo Un sistema che si controlla dal cloud via app per smartphone e tablet oppure via web e l’installazione è semplicissima di Paolo CENTOFANTI egli ultimi anni, la videosorveglianza IP è passata rapidamente da un qualcosa per esperti a un vero e proprio prodotto di massa. Ha contribuito sicuramente il calo dei prezzi delle videocamere di questo tipo, ma soprattutto la diffusione degli smartphone e la possibilità di tenere sotto controllo in prima persona e a distanza case, negozi e uffici, là dove una volta ci si doveva affidare agli antifurti con chiamata. Se prima i sistemi di videocamere a circuito chiuso richiedevano investimenti importanti, oggi crearsi un piccolo sistema di monitoraggio è praticamente alla portata di tutti. La soluzione di Netgear, Arlo, si distingue dagli altri prodotti di questo tipo per la scelta di creare un sistema completamente senza fili: non solo connettività Wi-Fi per lo stream delle immagini, ma anche libertà dai cavi di alimentazione grazie alle batterie integrate. Si tratta anche di una soluzione che punta molto sul cloud per l’archivio delle registrazioni e l’accesso ai filmati e ai feed delle videocamere da praticamente qualsiasi tipo di dispositivo: web, smartphone e tablet. N Wireless e a batteria Le piccole videocamere Arlo uniscono caratteristiche tecniche interessanti a un design che mette al centro la praticità. Un esempio è l’idea di utilizzare dei supporti magnetici per il fissaggio a parete, così che la stessa videocamera può essere spostata con facilità da un ambiente all’altro a seconda delle proprie esigenze, semplicemente staccandola da una parte e appiccicandola dall’altra in assoluta libertà. Lo stesso tipo di aggancio consente di puntarla con buona libertà verso l’area da riprendere e tenere sotto controllo. Il modulo di ripresa è costituito da un sensore CMOS a colori con risoluzione di 1280x720 pixel, con faretto a LED a infrarosso che consente di riprendere anche in totale assenza di luce, fino a una distanza di oltre 7 metri. L’obiettivo è grandangolare e ha un angolo di ripresa di 110 gradi, il che permette di monitorare con una sola videocamera anche stanze piuttosto grandi. L’alimentazione è a batteria e ogni videocamera ha bisogno di quattro pile di tipo fotografico CR123, una scelta dettata dalla necessità di offrire una buona autonomia, che Netgear dichiara essere intorno ai 4 o 6 mesi a seconda della qualità video impostata e naturalmente dell’utilizzo. Il sistema non è video 299,99 € lab Netgear Arlo Security System UNA SOLUZIONE CON MOLTO POTENZIALE Netgear non fa mistero del fatto che il sistema Arlo è solo all’inizio. Si tratta di una soluzione i cui punti di forza sono soprattutto la flessibilità di installazione data dall’assenza di fili e la semplicità di installazione e utilizzo. La programmazione non è del tutto immediata, ma una volta compresa la logica poi diventa possibile creare un sistema di sorveglianza su misura per le proprie esigenze. Le videocamere offrono una qualità di ripresa più che adeguata allo scopo anche in modalità notturna e la piattaforma cloud offre un accesso molto pratico a tutti i video registrati. Si tratta di una piattaforma al momento molto semplice ma che lascia intravedere molto potenziale, specie se, come già annunciato, Netgear introdurrà nuovi modelli di videocamere o altri sensori compatibili. Essendo prevalentemente una piattaforma software via cloud, speriamo che Netgear aggiunga con il tempo nuove funzionalità. Unico dubbio il prezzo, visto che il kit base con una sola videocamera parte da ben 299 euro. 7.9 Qualità 8 Longevità 8 Design 9 Semplicità di installazione COSA Le videocamere si possono piazzare ovunque CI PIACE Buona versatilità e affidabilità pensato per riprendere 24 ore su 24, ma per attivarsi a comando, oppure quando viene rilevato del movimento. Le videocamere, grazie alla connettività senza fili, sono pensate per essere impiegate anche all’esterno e quindi potenzialmente esposte alle intemperie, motivo per il quale sono state progettate per resistere ad acqua e sabbia (con certificazione IP65) e a operare con un range di temperatura che è tra i -10 e i +50 gradi. Per il montaggio in esterno (ma non solo) è previsto opzionalmente anche un supporto con aggancio a vite alternativo a quello magnetico. Installazione semplicissima Il sistema Arlo impiega videocamere, come abbiamo visto, senza fili, ma per garantire prestazioni, copertura, autonomia della batteria e anche sicurezza, Netgear ha scelto di implementare una versione leggermente modificata dello standard 802.11n, che consente di piazzare le videocamere fino a una distanza massima di 90 metri. Ciò significa che per connettere le videocamere alla piattaforma cloud occorre un’apposita base station. L’aspetto è quello di un normale router, anche nelle dimensioni, e tutto sommato non è troppo impegnativo da sistemare in ambiente, anche se si tratta pur sempre di una “scatola” in più da piazzare. Sul retro troviamo la Semplicità 8 D-Factor 8 Prezzo 7 Gestione regole non immediata via app COSA Qualche bug ancora da limare NON CI PIACE Costo un po’ elevato porta di rete per il collegamento alla propria rete locale (niente Wi-Fi) e due porte USB che nei piano di Netgear serviranno in futuro per espandere la piattaforma Arlo anche ad altri tipi di dispositivi. L’installazione di tutto il sistema è davvero molto semplice e può essere tranquillamente effettuata anche unicamente dall’app per smartphone o tablet. Una volta collegata la stazione base e inserite le batterie nelle videocamere del proprio kit, basta aprire l’app, registrarsi e seguire le semplici istruzioni che ci guideranno dall’accensione al pairing delle videocamere (che poi si riduce al premere il tasto sync). Il passaggio chiave dell’installazione è quello che prevede il collegamento del seriale della base station al proprio account Arlo. Per fare questo è importante che lo smartphone (o il tablet o il PC) che si sta utilizzando per l’installazione si trovi naturalmente sulla stessa rete. Da notare che non c’è nulla da configurare sulla stazione base, visto che i parametri di rete vengono presi automaticamente via DHCP. Allestiamo il nostro programma di sorveglianza Di default il sistema viene impostato per attivare la registrazione video in presenza di movimento e quindi, segue a pagina40 torna al sommario n.114 / 15 15 GIUGNO 2015 MAGAZINE TEST Netgear Arlo Security System segue Da pagina 39 completata l’installazione, possiamo passare a piazzare videocamere nella posizione desiderata, assegnare un nome per identificarle e quindi stabilire delle regole per la loro accensione. Per aiutarci nel loro posizionamento, il sistema prevede un’apposita modalità che effettua lo streaming alla massima velocità possibile e senza buffering verso l’app per smartphone, in modo tale da vedere direttamente cosa riprende la videocamera in quella posizione e quindi effettuare gli aggiustamenti necessari. In realtà, non è che questa modalità funzioni granché bene, tant’è che abbiamo notato una minore latenza con il live feed normale. Una volta messa in posizione, possiamo scegliere quale qualità di immagine vogliamo: abbiamo tre livelli di qualità, ma occorre tenere presente che maggiore qualità, implica non solo un bitrate superiore (il che può rappresentare un problema a seconda della distanza dalla stazione base), ma anche nel consumo della batteria delle singole videocamere. Per quanto riguarda la funzione di rilevamento del movimento è bene tarare prima la sensibilità del rilevamento a seconda dell’area da coprire, al fine di evitare falsi positivi dati, ad esempio, da movimenti fuori da una finestra, tende, luci e così via. Per fare questo basta mettersi nella zona che vogliamo monitorare con lo smartphone e cambiare il livello di sensibilità facendoci guidare dal LED che si accende sulla videocamera quando registra dei movimenti. A questo punto possia- mo decidere come vogliamo funzioni il sistema, creando delle regole per ciascuna videocamera e stabilendo una programmazione per la sorveglianza. Questa gestione non è molto intuitiva e diventa in realtà più chiara dall’interfaccia web via browser desktop. Le “regole” definisco i profili di comportamento delle telecamere e specificano la sensibilità del movimento, la durata della registrazione in caso di rilevamento del movimento e i destinatari e-mail di eventuali notifiche. Da notare che la videocamera che registra può non essere quella che rileva il movimento in caso di configurazione multicamera. Ciò permette di definire scenari in cui, ad esempio, se viene rilevato un movimento su una finestra si attiva la registrazione anche su un controcampo da una seconda videocamera. Con un’altra regola andremo a riprendere invece direttamente anche sulla stessa finestra naturalmente. Con più videocamere potremo creare più regole per attivare magari la registrazione su tutte, ogni volta che viene rilevato un movimento da torna al sommario una sola di queste. Allo stato attuale, la definizione di una regola è ancora piuttosto rigida e nell’esempio di cui sopra, dovremmo creare una regola per ogni videocamera, visto che possiamo selezionare una videocamera alla volta per registrare. A questo punto possiamo definire una modalità di funzionamento del sistema raggruppando le regole così definite. A cosa servono le modalità? A costruire la programmazione tramite l’interfaccia mostrata nell’immagine qui a lato. Il calendario si programma prendendo le modalità che troviamo in alto e le trasciniamo sulle varie fasce orarie. Via app, come dicevamo, la procedura è simile ma un po’ meno intuitiva visto che non è possibile semplicemente trascinare le modalità, e non è molto chiaro all’inizio il rapporto tra le regole, le modalità e la programmazione. Nel complesso si tratta di un buon compromesso tra facilità d’uso e versatilità, anche se c’è ancora qualche bug da sistemare. I cambiamenti alla programmazione apportati tramite app ogni tanto non vengono memorizzati o non sono attivi da subito se non disattivando e quindi riattivando la programmazione stessa. Oppure ancora l’interfaccia del calendario via web ogni tanto fa le bizze quando si cerca di regolare le varie fasce orarie. Si tratta per lo più però di piccole imperfezioni software. Tutti i video sempre a disposizione Tutti i video registrati dalle nostre videocamere Arlo finiranno nella libreria cloud, dove saranno accessibili via app o web in ogni momento. Con il piano base gratuito, i video sono conservati per 7 giorni, a meno che non li impostiamo come preferiti, dove rimarranno a disposizione fino a esaurimento dello spazio che è di 1 GB. Le registrazioni possono essere di tre tipi: ci sono quelle automatiche, che avranno la lunghezza definita nelle regole e che vengono effettuate in base al rilevamento dei movimenti, quelle manuali, che effettuiamo dall’app o da web in qualsiasi momento, oppure gli scatti fotografici, anche questi fatti manualmente quando guardiamo un feed live. I filmati sono automaticamente organiz- zati in base alla data e ora di registrazione e la libreria è facilmente sfogliabile, sia da mobile che da web. Naturalmente possiamo filtrare l’elenco delle registrazioni anche in base alle videocamere con l’apposito filtro. Il player è molto semplice e consente, oltre naturalmente di vedere il filmato, di scaricare in locale il video e anche di condividerlo via email con un apposito link web che dà accesso solo a quel filmato. Durante la riproduzione, cliccando sul simbolo dello zoom, possiamo ingrandire l’immagine e spostarci su diverse aree dell’immagine utilizzando il mouse. La qualità video è abbastanza buona e permette di identificare senza problemi i volti delle persone che entrano nel raggio d’azione. La risoluzione 720p si ha solo se si imposta la massima qualità di registrazione. Già con l’impostazione media, la risoluzione scende a 640x352 pixel, mentre al livello di qualità più bassa si arriva a 416x240 pixel. Bisogna tenere conto poi che questa è la risoluzione con cui i filmati vengono salvati sullo spazio cloud. In riproduzione, specie da mobile, la qualità dipende anche dalla velocità della propria connessione, specie per quanto riguarda la visione live del feed delle videocamere. Molto buona la qualità di ripresa notturna, dove si perde il colore, ma la scena rimane perfettamente intelligibile. Il ritardo durante la visione live delle immagini può variare in base alla propria connessione, ma in generale abbiamo riscontrato una latenza intorno ai 2 e 3 secondi durante le nostre prove. Anche per quanto riguarda la registrazione automatica al rilevamento di un movimento, ci vuole circa 1 o 2 secondi prima che la registrazione parta. video lab Netgear Arlo Test di qualità video