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STORIA DI IMPRESA
Appunti
A cura di Stefania Aiello
MODULO A
Programma
 Si può parlare di imprenditore anche nell‟epoca preindustriale (addirittura vi è
qualche cenno anche durante il medioevo).
 Nella storia si comincia ad avere un pensiero economico quando emerge la definizione
di imprenditore: di tale definizione vi sono due concezioni diverse tra la Gran Bretagna
e l‟Europa continentale.
 La storia d’impresa nasce e si afferma negli USA dagli anni ‟40 in poi.
 Nella storia bisogna analizzare il concetto d’impresa.
 E‟ importante una classificazione delle imprese per forma e dimensione
(classificazione più ampia).
 Il contesto normativo, culturale-sociale, in rapporto con lo Stato e nei rapporti
internazionali influenza la forma d‟impresa.
 Lo studio dei casi aziendali nella storia.
Si può parlare del concetto d‟imprenditore già in epoca preindustriale, tenendo in
considerazione: le aziende agricole, le quali operano nel settore primario e che producono non
solo mirando a un autoconsumo, ma si rivolgono anche al mercato; i mercanti e le compagnie
mercantili già presenti in epoca medievale; i mercanti-imprenditori la quale prevede una
forma di organizzazione imprenditoriale.
Industria rurale a domicilio: ha provenienza cittadina, pur svolgendosi in campagna, e l‟acquisto
di materie prime, prevalentemente tessili, avviene sempre in ambito cittadino, al fine di
impiegare tali fattori in campagna, facendoli lavorare alle famiglie contadine. Tali prodotti
finiti venivano poi venduti sul mercato. Questa attività si è sviluppata in età preindustriale allo
scopo di ridurre i costi di produzione per meglio competere sul mercato rispetto alle
corporazioni poiché ci si rivolge a una manodopera non specializzata a salario basso. Tali
industrie sono state diffuse per tutto l‟800.
Compagnie commerciali per commercio transatlantico: sono le cosiddette società anonime
dell’epoca preindustriale, come ad es. la Compagnia delle Indie Orientali.
Attività bancaria privata → mercanti-banchieri: hanno origine medievale e si sviluppano in
pieno regime tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 (= epoca preindustriale).
Contesto ambientale delle suddette imprese storiche in epoca preindustriale e in epoca
contemporanea
L‟epoca preindustriale è caratterizzata da forte incertezza e di maggior rischio d’impresa.
L‟età moderna (durante la rivoluzione industriale), rispetto all‟epoca contemporanea, si
caratterizza per un‟attività agricola in balìa delle condizioni climatiche (ancora oggi il rischio è
elevato) fondata sulla rotazione biennale (una semina e un raccolto all‟anno) o al massimo
triennale. Anche i mercanti hanno il rischio di vendere i loro prodotti su piazze lontane,
caratterizzati da un ambiente in cui le informazioni non sono sufficienti, così facendo si
operava “al buio”. Mentre l‟artigianato era mercato in cui la domanda di beni (soprattutto per
quanto riguarda quella non di prima necessità, i beni di lusso) era molto variabile, cosicché si
trattava di un‟attività produttiva legata a fattori non controllabili. Ancora in tutti i settori vi
erano dei forti vincoli (soprattutto in epoca medievale, ma anche in tempi successivi) in merito
alla mobilità dei fattori produttivi (= terra, capitale, lavoro). Soprattutto il sistema feudale
(ma vi sono strascichi anche in epoca moderna) era caratterizzato da un‟ereditarietà nei
confronti del primogenito maschio, era un sistema molto rigido in cui difficilmente il contadino
poteva permettersi di acquistare la terra, nonostante il suo guadagno. Tutto cambia in età
contemporanea, dominata dal capitalismo, caratterizzata da tali fattori:
 mercato;
 impiego di macchinari complessi, in cui prevale la macchina sull‟uomo: erano quindi
necessari maggiori investimento in capitale fisso, e tale capitale proveniva
principalmente mediante autofinanziamento, ricorso al mercato del credito (sistema
bancario) e al ricorso al capitale di rischio (borsa).
Così nascono diversi modelli d‟impresa, tutto in conseguenza all‟industrializzazione. L‟epoca
preindustriale, man mano che ci si avvicina alla rivoluzione industriale (1492 – rivoluzione
industriale, che scoppio in Inghilterra nel „700) è caratterizzata dalla convivenza di elementi
tipici riguardanti l‟economia capitalistica ed elementi arretrati tipici del feudalesimo
(elementi tradizionali + elementi innovativi). Per tutta l‟epoca preindustriale lo status
giuridico-sociale degli individui ha un ruolo importante, che prevale rispetto alla reale
condizione economica → stratificazione sociale: essa è basata sui titoli nobiliari, l‟aspetto
economico ha una valenza diversa.
Vi sono due studiosi che hanno studiato in particolare il passaggio dall‟epoca moderna a quella
contemporanea, e sono Karl Marx e Adam Smith, il primo ha anche studiato il passaggio
dall‟epoca feudale a quella moderna).
In particolare Karl Marx visse in Germania nell‟800 e spiega tale passaggio con il variare dei
rapporti di produzione, ossia sostiene che la causa del passaggio sia insita in una conflittualità
tra titolari dei fattori produttivi. Quando, infatti, sorge un conflitto tra capitale, terra e
lavoro (ossia tra capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori) cambia anche l‟equilibrio, ad es.
il feudalesimo finisce quando vi è un conflitto tra proprietari terrieri e i contadini, e tale
conflitto sorge alla nascita della borghesia, mentre il passaggio dall‟epoca moderna a quella
contemporanea è caratterizzata da un conflitto tra lavoratori e capitalisti, a quest‟ultimo
conflitto coincide la nascita del proletariato (= classe operaia), infatti.
Adam Smith è stato il fondatore della scuola classica scozzese, ed è vissuto in Inghilterra nel
„700. E‟ stato anche l‟ideatore della cosiddetta mano invisibile,teoria che si basava sul non
intervento dello Stato nell‟economia (il mercantilismo, al contrario, era caratterizzato da un
forte intervento statale). Smith spiegò il passaggio dall‟epoca moderna a quella contemporanea
con l‟espansione degli scambi commerciali, motivandola col fatto che la crescita comporti una
migliore allocazione delle risorse: tutto ciò è causato dall‟innovazione tecnologica,la quale
comporta una più efficiente divisione del lavoro → allargamento del mercato. In sostanza tale
studioso sostiene che sia necessario che il mercato si autoregoli senza alcuno intervento da
parte dello Stato: è una visione di versa da Marx.
Tra le attività prevalenti in epoca preindustriale, vi sono sicuramente le aziende agrarie, le
quali implicano un legame tra le attività produttive e il mercato a cui si rivolgono. Tale legame
non era, però, così scontato come lo è ai nostri giorni, ma vi erano tre livelli di contatto col
mercato:
 I livello: è quello più rudimentale, l‟obiettivo primario del contadino era quello di
produrre prevalentemente per autoconsumo (la % di autoconsumo definisce il grado di
commercializzazione, il livello di rapporto col mercato; l‟azienda contadina chiusa al


100% non esisteva, magari si fondava sul baratto e quindi si apriva allo stesso
mercato);
II livello: erano le aziende contadine che instauravano rapporti col mercato più
numerosi rispetto a quelle di I livello al fine di pagare il canone di locazione della
terra (in caso i contadini non fossero stati i proprietari di essa) o l‟imposta fondiaria
(in caso fossero proprietari di questa);
III livello: si trattava di aziende contadine che si rivolgevano al mercato anche per
acquistare altri prodotti. Le conseguenze di ciò:
 la specializzazione della propria produzione: l‟impresa produceva esclusivamente
ciò che le rendeva di più, acquistando sul mercato gli altri beni di prima
necessità;
 le campagne diventavano così importante mercato di sbocco, non più confinato
solo in città.
La conseguenza di una variazione dei prezzi su un‟azienda agricola era devastante, e ciò ai
tempi accadeva di frequente. L‟aumento (= inflazione) poteva derivare da una crisi agraria, un
crollo della produzione o a una carestia. Sulle aziende agrarie di III livello addirittura tale
aumento comporta degli effetti positivi, poiché esse aumentano i profitti grazie a tale
situazione. Mentre per le imprese di I e di II livello nascevano delle situazioni di difficoltà, a
causa dell‟impiego di tecniche rudimentali di lavorazione, e quindi non solo non si producono
nuovi guadagni, ma si generano delle spese più elevate per gli acquisti dei beni di prima
necessità. Spesso tale brutta situazione portava addirittura alla vendita dell‟appezzamento di
terra (→ rischio ambientale altissimo).
Il concetto di imprenditore attualmente è contenuto all‟interno dell‟art. 2082 c.c., il quale
enuncia che imprenditore è colui che esercita un‟attività economica organizzata al fine della
produzione e dello scambio di beni/di servizi. Tale definizione è stata utilizzata a partire del
1942, la quale ha sostituito quella del 1882 prevista dal codice di commercio, a sua volta
ripresa da quella del 1802 contenuta nel codice napoleonico. Nella norma del codice di
commercio non si parlava di imprenditore, ma di commerciante; nel corso del tempo il
concetto di imprenditore si è esteso, mentre la figura del commerciante è andata a coincidere
con quella del capitalista dell‟economia classica, il quale era considerato una figura
ininfluente, poiché il mercato raggiungeva automaticamente una posizione di equilibrio. Tale
situazione viene definita concorrenza perfetta, ed è caratterizzata dal fatto che nessun
attore è in grado di influenzare le condizioni del mercato. Si credeva che i fattori produttivi
si combinassero automaticamente in tale regime e che l‟attore principale fosse il mercante. Gli
economisti così non si interessano a fornire una definizione di imprenditore.
Ancora oggi si fatica a spiegare il ruolo dell’imprenditore in funzione dello sviluppo economico
(= quanto egli può influenzare il mercato). Vi sono diverse teorie in proposito che sono
contrapposte tra loro. Prima della rivoluzione industriale i tentativi di individuare delle
definizioni di imprenditore sono pochi. Con la prima rivoluzione industriale, si inizia a
individuare la figura dell‟imprenditore come il capitalista (= colui che investe e coordina i
fattori produttivi). Con la seconda rivoluzione industriale, e quindi con l‟affermazione delle
grandi fabbriche, aumenta in maniera esponenziale il ruolo della ricerca scientifica e gli
investimenti in capitale fisso: così viene definita la grande impresa che attira l‟attenzione
degli studiosi poiché riguarda una produzione particolare, la quale prevede una scissione tra
investitori e gestori dell‟impresa. In pratica emerge la grande impresa manageriale. Con la
terza rivoluzione industriale, alla fine del „900 si diffonde la nuova tecnologia di informazione
e comunicazione alla quale succedono nuovi comportamenti da parte delle imprese e nuove
forme di esse: la grande impresa manageriale è superata. Le imprese sono più flessibile e
nasce un nuovo imprenditore a causa del cambiamento del mercato.
Nella storia nascono due filoni per definire l‟imprenditore: la tradizione continentale (=
Europa continentale) e la tradizione anglosassone:
Tradizione continentale
1200-1300/fine‟800
Nell‟economia europea vi era spazio per
l‟iniziativa e la creatività dei singoli soggetti,
i quali sono in grado di cambiare gli equilibri
di mercato.
Tradizione anglosassone
La concezione oggettiva del funzionamento
del sistema economico non prevede che venga
lasciato spazio per l‟analisi dei comportamenti
individuali: il mercato è influenzato solamente
da variabili macroeconomiche.
Tradizione continentale
Negli anni 1200-1300 vi è lo sviluppo delle attività mercantili, le quali fanno in modo che il
profitto del mercante sia la necessaria remunerazione del rischio corso per gli investimenti di
capitale da parte dello stesso. Molti intellettuali (ma anche molti mercanti stessi) redigevano
dei trattati contenenti le regole dell‟attività mercantili, in particolare sulle quotazioni delle
monete, sul sistema dei cambi, pesi e misure, ecc.. Essi erano considerati e utilizzati come dei
veri e propri manuali d‟istruzione, i quali legittimavano la figura dell‟imprenditore (anche se
esso non viene mai nominato, ma si parla di negozianti e mercanti), in modo che tale rimanesse
un concetto intrinseco. La situazione rimane tale per molto tempo. Il primo autore che
introduce il termine imprenditore è stato un banchiere francese di origine irlandese Richard
Cantillon tra la fine del‟600 e l‟inizio del „700. Parlò nella sua unica opera (pubblicata postuma,
dopo la sua morte) del 1755 denominata “Saggio sulla natura del commercio in generale”, di
imprenditore, paragonandolo e denominandolo commerciante. Il termine entrepreneur (=
imprenditore in francese) è coniato dallo stesso autore che definì come colui che cercava di
sfruttare la discrepanza tra domanda e offerta → il vero organizzatore di ciò che produceva
(funzione organizzativa dell’imprenditore). Egli fa un passo in avanti, ma si rivolgeva
pressoché esclusivamente a coloro i quali lavoravano la terra in affitto (= fittavoli) per un
periodo di tempo determinato. Durante la seconda metà del „700 e i l‟inizio dell‟800 Nicolas
Baudeau, studioso francese (1730-1792) era appartenente alla scuola dei fisiocratici: la
scienza fisiocratica è una teoria economica che si sviluppa in Francia contemporaneamente a
quella classica, secondo la quale l‟unico settore economico in grado di fornire ricchezza è
quello primario, ossia quello agricolo. Egli individua la figura dell‟imprenditore e capisce che è
diverso sia dal proprietario che dalla manodopera salariata, ma lo circoscrive sempre e solo al
settore primario. Definisce l‟imprenditore come colui che è in grado di incrementare,
attraverso le proprie scelte, la ricchezza della terra (riducendo i costi e aumentando i
profitti). Egli inoltre riesce a migliorare tale attività apportando migliorie, ma per fare ciò
corre anche dei rischi. Quindi Baudeau considera anche l‟aspetto innovativo, ma rimane
ancora improntato sul settore primario. Tra il „700 e l‟800 un altro studioso formula
importanti teoria: Melchiorre Gioia, è un politico piacentino seguace della scuola classica.
Individua l‟imprenditore come un agente intermedio tra i proprietari (i capitalisti) e la
manodopera salariata (gli operai). Durante il periodo tra il „700 e l‟800 (periodo molto
importante) un economista e industriale francese (l‟economia ai tempi non era ancora una vera
e propria disciplina economica, ma è caratterizzata dal fatto che delle persone scrivano dei
trattati in merito per passione della materia) Jean Baptiste Say (1767-1832) scrive un
trattato di economia politica (1803) nel quale introduce un concetto di utilità, come
elemento che determina il valore di un bene, piuttosto che il suo costo. La figura
dell‟imprenditore è distinta tra quella del capitalista e quella del salariato, ed è considerato
l‟agente principale della produzione,avente capacità organizzative, per sovraintendere,
dirigere e controllare la produzione (= capacità di combinare i fattori produttivi). E‟ esponente
della teoria classica, e quindi il contesto in cui studia è un contesto statico (equilibrio
autonomo del mercato, tra domanda e offerta), in cui l‟imprenditore non è in grado di
influenzare il mercato. Il binomio tra concetto d‟imprenditore e ambiente dinamico (equilibrio
dinamico del mercato (in cui l‟imprenditore è in grado di influenzarlo) si sviluppa solo alla fine
dell‟800 con Shumpeter.
Tradizione anglosassone
Il massimo esponente della teoria classica è stato Adam Smith, inseguito da seguaci. Nella
tradizione anglosassone la figura dell‟imprenditore viene trascurata fino alla lasefconda metà
dell‟800. Lo stesso Smith nella sua “Opera per la Ricchezza delle Nazioni” ignora la figura
dell‟imprenditore, ma distingue tra fornitura del capitale e organizzazione dei fattori
produttivi, anche se poi le identifica in capo a un unico soggetto. Tale formulazione di teoria
deriva dal fatto di situazione del contesto. Infatti in quel periodo l‟Inghilterra comincia a
industrializzarsi mediante l‟impiantazione di fabbriche di modeste dimensioni a livello
familiare, se non addirittura individuale, in cui il capitalista e l‟organizzatore della produzione
coincidono. Così facendo Smith non si poneva il problema dell‟imprenditore che non coincide
con la figura del capitalista. Ancora il settore bancario (mercato del credito) si è sviluppato
poco, cosicché difficilmente può nascere tale figura imprenditoriale, le fabbriche si
autofinanziano e sono per lo più imprese monofunzionali in cui:
proprietario = manager = capitalista.
David Ricardo è uno dei seguaci di Smith (1772-1803) che prosegue la sua linea anche se in
realtà aveva studiato Jean Baptiste Say senza però recepirne la teoria. Il parere di Ricardo
riguarda il raggiungimento automatico dell‟equilibrio tralasciando completamente
l‟imprenditore. A metà dell‟800 John Stewart Mill pubblica un‟opera, in un paese che però è
estremamente industrializzato, caratterizzato dalla costruzione delle ferrovie (railway
mania) tramite investimenti privati di capitale in cui non vi sono più le piccole imprese che si
autofinanziano, ma nascono le prime grandi imprese, in cui per forza di cose l‟imprenditore è
diverso dal capitalista. Nasce così l‟impresa manageriale e quindi la funzione manageriale.
Mill coglie questo cambiamento e usa il termine entrepreneur senza tradurlo dal francese,
classificandolo come un dirigente stipendiato (salariato), comunque senza dargli una grande
connotazione, rimanendo così nel regime classico. Egli gli dà una connotazione negativa poiché
sostiene che il suo interesse sia derivato esclusivamente dalla percezione di un salario e non a
una efficiente combinazione dei fattori produttivi.
Karl Marx è vissuto nell‟800 (1818-1883) e ha scritto diverse opere tra cui “Il Capitale”: nel
libro terzo di tale opera si allinea abbastanza al pensiero di Mill, addirittura sembra quasi
andare oltre. Infatti prevede che l‟imprenditore, rispetto al capitalista, abbia un ruolo
autonomo, ma lo descrive come un funzionario, il quale percepisce un salario di controllo, che
risulta più elevato rispetto a quello di un operaio, poiché egli all‟interno dell‟impresa ha una
funzione più complessa, ricadendo sempre, però nello schema classico.
Tradizione continentale (Italia, Francia e Svizzera)
Durante gli ultimi decenni dell‟800 (II rivoluzione industriale) la situazione cambia rispetto a
prima, si ribalta perché rispetto a prima la figura dell‟imprenditore viene completamente
accantonato non considerandola come un fattore produttivo.
Leo Walras è uno studioso appartenente alla scuola marginalistica neoclassica diffusasi a
partire dalla seconda metà del „600 che basa tutto sull‟utilità marginale decrescente, per la
quale al crescere del consumo di un determinato bene, l‟unità marginale decresce. Tale teoria
giunge dopo la teoria classica e propone la teoria dell’equilibrio economico generale, in cui le
forze (gli operatori economici: le imprese ↔ i consumatori) che agiscono in un sistema
economico sono tali e in una determinata posizione la quale permette di sollecitare lo stesso
operatore a mutare le proprie scelte. Per meglio capire occorre variare la quantità dei fattori
produttivi impiegati da parte delle imprese o a variare le quantità acquistate di beni da parte
dei consumatori. Il mercato è in equilibrio, ma non può far nulla per influenzare il mercato.
Vilfredo Pareto è uno studioso nato in Francia e vissuto in Italia. Egli aggiunge il concetto di
ottimo paretiano, il quale prevede che non sia possibile aumentare l‟utilità di un consumatore,
senza diminuirne l‟utilità di un altro. Il mercato raggiunge una posizione di equilibrio
automaticamente, non vi è nessuno spazio per iniziative imprenditoriali, infatti il mercato è già
nella posizione migliore possibile.
Sempre seguendo questo filone Alfred Marshall (vissuto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900)
parla inoltre di equilibri parziali: per certi beni la funzione di domanda e offerta sono
indipendenti verso altri beni. In pratica non vi è un unico equilibrio, ma vi sono tanti
microequilibri per determinati beni. Lo spazio imprenditoriale comincia a essere remunerato
con una quota di profitti, ed è definito come colui che organizza (funzione organizzativa):ha
un ruolo rilevante e viene considerato dallo studioso come il quarto fattore
dell‟organizzazione, dopo il capitale, la terra e il lavoro. In sostanza si tratta di un nuovo
filone di studi sulla tecnica industriale esistente ancora oggi.
Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 si mette un po‟ da parte il concetto d‟imprenditore, ma in
realtà diversi studiosi analizzano la figura. Karl Menger faceva parte della scuola
marginalista, la quale prevede un‟attività marginale decrescente: l‟analisi economica non deve
basarsi su variabili di macroeconomia, ma sul comportamento degli agenti individuali:
consumatore e imprenditore.
Un passo in avanti viene fatto da Werner Sombart per quanto riguarda l‟imprenditore, e da
Joseph Shumpeter. Quest‟ultimo è lo studioso più importante del periodo; egli, nel corso della
sua vita, si trasferisce negli USA, cambiando completamente visione sull‟impresa e
sull‟imprenditore. Infatti la sua storia può essere suddivisa in due fasi:
 I Shumpeter: quello vissuto in Europa;
 II Shumpeter: quello vissuto in America.
Shumpeter è vissuto tra la fine dell‟800 e la metà del „900 (1883-1950), ed è il principale
teorico sul cambiamento del sistema economico. Egli ha un approccio dinamico alla visione del
mercato ed esce dalla concezione statica classica (la quale prevedeva che l‟impresa non
potesse fare nulla per influenzare il mercato) mettendo al centro il ruolo dell‟imprenditore: lo
sviluppo economico dipende soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, secondo il suo punto di
vista, le quali vengono per l‟appunto introdotte dall‟imprenditore. Tale introduzione è
permessa dall‟accesso al credito, e viene stimolata da aspettative di profitto monopolistico
per un certo periodo: con tale profitto si remunerano i rischi:
 tasso d’interesse;
 saggio di profitto.
Entrambi derivano dalle innovazioni tecnologiche.
Analisi dinamica: I Shumpeter
L‟imprenditore è in grado di trasformare un invenzione in innovazione (= invenzione che viene
applicata al processo produttivo di produzione), considerando il fatto che spesso le invenzioni
possono rimanere fini a sé stesse. L‟aspettativa dell‟imprenditore è monopolistica, la quale
prevede extraprofitti. Comunque questo corre sempre un rischio, infatti le innovazioni non
sempre portano successo. Le innovazioni, comunque, sempre secono Shumpeter, si presentano
a grappolo, ossia da un‟innovazione ne nasce sempre un‟altra e via dicendo: tipico es. è la I
rivoluzione industriale con la filatura tessile. Lo studioso per verificare questa sua idea, risale
indietro nel tempo e studia i cicli economici di lungo periodo (lunghe Kondradiev) di durata di
circa mezzo secolo in cui vi è ad es. una fase A ascendente e una fase B discendente:



I ciclo: 1780-1840 (circa) caratterizzato da due importanti innovazioni tipiche della I
rivoluzione industriale del settore tessile e di quello metallurgico;
II ciclo: dal 1840 alla fine dell‟800, periodo a cavallo tra la I e la II rivoluzione
industriale, caratterizzata dalle ferrovie e in generale dal vapore per quanto riguarda
il settore dei trasporti;
III ciclo:dalla fine dell‟800 al 1940 nel periodo della II rivoluzione industriale, in cui la
più importante innovazione è rappresentata dall‟automobile, ma anche l‟industria
chimica e quella elettrica.
Questa serie di innovazioni genera, quindi un nuovo ciclo di sviluppo economico (da 50 a 150
anni: oggi i cicli economici trascorrono molto più velocemente, quindi durano meno). Ciò viene
dimostrato, secondo lo studioso, dagli eventi storici.
II Shumpeter
Riguarda il periodo in cui si trasferisce negli USA, e in cui studia all‟università di Harvard
(1932). In questa seconda fase è molto meno ottimista, perfino più isolato. Scrive un‟opera
intitolata “Capitalism, Socialism, Democracy” nel 1942: lo studioso è meno ottimista poiché lo
scenario diverso americano smonta un po‟ le sue teorie. Infatti esso è caratterizzato
dall‟affermazione del big business, in cui la vera protagonista è la grande impresa
manageriale e non più l‟imprenditore di Schumpeter, soprattutto l‟attore fondamentale del
sistema è il manager. Le innovazioni nascono sempre meno dalle iniziative imprenditoriali
singole ma diventa un fattore endogeno all‟impresa: infatti all‟interno di ogni organizzazione vi
è il settore dell‟attività di ricerca e sviluppo, e ancora a capo dell‟impresa non vi è più
l‟imprenditore individuale, ma i manager. In pratica cambia completamente l‟ottica, e il potere
è nelle mani della gerarchia manageriale. In collaborazione con altri studiosi, Shumpeter fonda
un‟organizzazione di ricerca sulla storia d‟impresa denominata “Research Center in
Entrepreneurial History”. All‟interno di tale fondazione vi anche Alfred Chandler, allievo di
Schumpeter, il noto studioso che riprese dal suo maestro la teoria secondo la quale al centro
dell‟analisi delle imprese non vi è più l‟imprenditore ma la grande impresa manageriale.
Altro studioso americano che si affianca alla linea del II Shumpeter è Frank Knight; egli, a tal
punto, si è soffermato di più sull‟innovazione, la quale secondo lui si concentra su:
 il rischio: esso è qualcosa di misurabile e valutabile ex ante dall‟operatore economico
(imprenditore o impresa);
 l‟incertezza:essa non è valutabile e non prevedibile è insita al verificarsi di situazioni
impossibili da prevedere.
Per valutare meglio i rischi l‟imprenditore deve essere capace di riuscirli a valutare in
situazioni di incertezza, deve cioè effettuare una valutazione preventiva: più è bravo a farlo e
più avrà successo.
La scuola neo-austriaca nasce a metà del „900 fino ai giorni nostri e segue la scuola di studi
appena analizzata ponendola sul versante europeo-continentale. Si concentra soprattutto
sull‟attenzione rispetto a ciò che accadrà in futuro. Gli studiosi che più si interessano sono ad
es. Friedrich von Hayek, Leopold von Mises e Israel Kirzner tutti vissuti tra la fine dell‟800 e
la fine del „900. Essi sostengono che l‟imprenditore deve essere in grado di valutare i prezzi
futuri a quale vendere e per quale ragione possono comportarsi di conseguenza. Quindi egli
devono acquistare i fattori produttivi in funzione del prezzo di vendita → previsione futura al
fine di fissare un prezzo di vendita equo anche in futuro.
In particolare Leopold von Mises nel 200 scrive che:
profitto = prezzo di vendita – (costo totale della produzione + interessi sul capitale investito)
Israel Kirzner enuncia che l‟imprenditore è l‟intermediario che svolge le funzioni
intermediarie, per l‟appunto, sul mercato. Per una buona previsione l‟impresa ha bisogno di
informazioni che deve saper raccogliere, leggere e far fruttare. Deve anche tenere in
considerazione il fatto che esse siano spesso incomplete e/o distorte. Problema: su ogni
mercato vi sono diversi imprenditori che non si comportano alla medesima maniera, poiché non
tutti hanno le stesse informazioni (a causa dei costi di queste e delle abilità rispetto ai legami
dei soggetti in questione) e comunque esse vengono interpretati in modo diverso da ognuno di
loro: ciò genera comportamenti diversi.
Mark Casson, nato nel 1943 ha scritto l‟opera “The entrepreneur. An economic theory” nel
1982. Egli mette al centro della sua analisi l‟informazione, le quali sono fondamentali per colui
che si specializza a prendere decisioni, anche critiche, le quali servono a coordinare risorse
scarse, quindi hanno le finalità di allocare meglio le risorse, ossia collocare al meglio i fattori
produttivi. Tali informazioni possono essere reperite facendo riferimento ai consumatori.
Per concludere: il tema dell‟imprenditore continua a essere attuale, infatti ancora oggi è una
figura poco nitida, oggetto di dibattito. Fino adesso possiamo dire che è colui che ha a che
fare con:
 l‟innovazione;
 i rischi;
 le informazioni: che deve essere in grado di raccogliere.
La storia d‟impresa si divide anche tuttora in:
 entrepreneurial history: storia imprenditoriale che pone al centro l‟imprenditore, il
quale coincide con il I Shumpeter;
 business history: storia d‟impresa che prende la sua origine dal II Shumpeter, che
analizza l‟impresa (soprattutto la grande impresa) in tutte le sue forme.
Entrambi gli orientamenti nascono dal centro delle ricerche di Harvard e vengono ancora oggi
portati avanti. Purtroppo tale settore è condizionato da mode: molti studiosi hanno studiato
fino agli anni ‟80 la grande impresa manageriale americana (periodo denominato III
rivoluzione industriale).
Dagli anni ‟90 in poi si parla di tipologia produttiva più snella la quale porta nuovamente al
centro del sistema, l‟imprenditore (evoluzione più recente), specie con le nuove forme
d‟impresa.
Prima però occorre accennare all‟impresa del II Shumpeter, la quale è stata studiata fino agli
anni ‟80: essa era posta al centro degli studi. L‟impresa, in particolare, è analizzata sotto due
punti di vista:
 concezione statica: deriva dalla teoria neo-classica marginalista, per la quale la stessa
impresa si adatta alle condizioni di mercato e quindi le sue performance dipendono
dalle capacità di adattarsi a esso → il mercato è immutabile. Conseguenza: percorso

standard seguito dall‟impresa in cui vi è poco spazio per le abilità delle singole aziende
che operano in regime di concorrenza perfetta, le quali subiscono il prezzo di mercato,
e non possono fare nulla per influenzarlo. Le stesse adotteranno l‟utilità marginale, in
pratica aumenteranno la produzione finché il profitto marginale non coincida con il
costo marginale. La teoria non è interessante;
concezione dinamica:valuta le strategie dell’impresa; ottica che ha le sue basi nella
storia d‟impresa (= teoria applicata alla storia). Ha una base empirica importante la
quale riguarda in particolare l‟azienda che è in grado di influenzare il mercato.
Lo studioso Werner Sombart tedesco nato la seconda metà dell‟800 (1863-1941) nella sua
opera “Capitalismo moderno” del 1927, mette insieme la teoria economica con la storia per
analizzare e spiegare il processo di formazione e di maturazione dell‟economia moderna.
Definisce il capitalismo come la formazione economica di scambio in cui i proprietari dei mezzi
di produzione e i lavoratori nulla tenenti siano, relativamente i soggetti/oggetti economici
(soggetti = proprietari mezzi di produzione; oggetti = lavoratori). Tale collaborazione dà
origine a una sorta di organizzazione:
principio del profitto → spirito del capitalista
=
spirito d’impresa
(viene mosso da chi vuole guadagnare e/o conquistare delle posizioni sul mercato)
+
spirito borghese
Al vertice di ciò vi è l‟imprenditore capitalista il quale rappresenta l‟organizzazione principale
che opera all‟interno di questo meccanismo. Nasce così il capitalismo maturo: all‟imprenditore
del I Shumpeter si stava sostituendo un organizzazione più complessa in cui vi è:
 separazione tra proprietà e capitale;
 specializzazione delle attività produttive;
 integrazione tra attività produttive e attività finanziarie.
Così all‟interno dell‟impresa nasce la figura del manager. Werner Sombart descrive, quindi, il
big business americano, addirittura anticipando il II Shumpeter, e lo descrive in base ai
cambiamenti che si stanno verificando.
Capitalismo maturo: fenomeno diffuso negli USA dalla fine dell‟800 fino al 1980 circa, con
l‟espansione del big business, delle grandi corporazioni, SPA, e SRL gestite dai manager. In
questo periodo diminuisce l‟industria di base. E‟ un fenomeno caratterizzato da critiche: si è
sviluppato un movimento contro tali grandi imprese (già dalla fine dell‟800), come nel caso
delle ferrovie.
Sinonimo del movimento è stata la crisi del ‟29 in cui vi furono molti licenziamenti. Comunque
già nel 1887 vennero emanate le leggi antitrust,le quali avevano il fine di limitare le aziende
delle grandi corporazioni per evitare accordi di cartello, i quali permettevano la spartizione
del mercato.
Su tali corporazioni è nato un filone di studi anglosassone che segue il II Shumpeter con gli
studiosi Berle e Means che scrivono un‟opera intitolata “The modern corporation and private
property” del 1900 in cui si analizza il caso americano: in quel periodo le 200 società maggiori
americane controllavano circa il 50% della ricchezza del paese (non quella bancaria). Ancora
queste società erano a loro volta controllate da 2000 persone che avevano in mano metà della
ricchezza americana. Le società in questione hanno la particolarità di essere frammentate in
migliaia di azionisti (anche pubblici): se la proprietà risulta frammentata da migliaia di soci
vengono denominate public companies, non nel senso di pubbliche ma nel senso della larga
diffusione di azionisti tra il pubblico, in pratica rappresentano il patrimonio della comunità). Il
controllo di tali imprese è però affidata a un numero ristretto di persone (i manager per
l‟appunto). Questo sistema è addirittura paragonabile al feudalesimo, poiché è caratterizzato
di una gerarchi accentuata. Inoltre i due studiosi individuano 3 forme di separazione tra
proprietà e controllo dell‟impresa, le quali:
1. controllo di maggioranza: la maggioranza degli azionisti esercita anche il controllo
dell‟impresa;
2. controllo di minoranza: solo pochi azionisti controllano l‟impresa;
3. controllo degli amministratori: caso più estremo; la totalità, o quasi, degli azionisti è
esclusa dal controllo dell‟impresa, tutto è nelle mani dei manager → caso della public
companies.
Ancora i due studiosi, negli ultimi due casi, individuano una contrapposizione d’interessi tra
tutti i proprietari (piccoli azionisti) e i manager. Questi ultimi, infatti, possono avere obiettivi
diversi dagli azionisti, come ad es. quello di detenere il controllo. Dagli anni ‟70 in avanti (dopo
lo shock petrolifero) la publico companies va in crisi per via delle grandi imprese giapponesi, le
quali proponevano un modello opposto a quello americano (in cui i manager operano solo per i
propri interessi e non per quelli degli azionisti). Gli anni ‟80 sono caratterizzati, sempre in
America, dai manager buyout: essi con politiche poco limpide rilevano le proprietà delle grandi
imprese (al fine di non essere fatti fuori dagli stessi azionisti). Essendo il capitale frazionato,
per detenere il controllo, basta una piccola quota di capitale.
Uno studioso nato nel 1910 che si forma negli USA molto importante è Ronald Coase. Egli nel
1937 scrive un‟opera intitolata “The nature of the firm”, partendo dagli studi di Berle e
Means. Il suo obiettivo è definire meglio il concetto d‟impresa studiandone la
governance.Infatti egli riprende il concetto per il quale solo quando il mercato è dominato da
tante piccole imprese si è in regime di massima efficienza del mercato (regime di
concorrenza perfetta), quella descritta dai neo classici. Questo non è il caso americano,
quindi smentisce i neoclassici, infatti su tale panorama vi sono pochi e grandi imprese che
dominano il mercato. In merito a ciò definisce i costi di transazione come quelli sostenuti in
questo ambiente e le imprese in base a come esse si comportano nei loro confronti. In pratica
i costi di transazione sono costi d‟impiego dei meccanismi di mercato per l‟utilizzo dei prezzi,
ossia per concludere un affare si sostengono dei costi, quali: la raccolta di informazioni, la
risoluzione di trattative, il monitoraggio del mercato, la redazione dei contratti, ecc. L‟azienda
può scegliere se internalizzare tali costi o se acquistare questi beni/servizi sul mercato (=
esternalizzare), classico es. è l‟ufficio legale. Conseguenza: l‟impresa riuscirà a emergere sul
mercato internalizzando le transazioni e limitando i costi, ma con la consapevolezza che più si
internalizza e più aumentano le dimensioni della stessa (grande impresa = le unità operative
aumenteranno). E‟ conveniente internalizzare fino a quando:
costo di internalizzazione = costo sul mercato
Coase chiama tale fenomeno come equilibrio mobile dell’impresa, per il quale si esce dalla
concezione statica d‟impresa → limite: non si può internalizzare all‟infinito, infatti se l‟azienda
cresce troppo rischia che si inneschino dei meccanismi d‟inefficienza, i quali porterebbero a
una cattiva allocazione delle risorse, e si subirebbe la concorrenza delle imprese di piccole
dimensioni.
Ancora tratta un approccio di studio contrattuale, il quale studia l‟impresa come un insieme
di contratti tra diversi agenti economici, i quali costituiscono un sistema produttivo più
efficiente del mercato stesso. In pratica l‟impresa diventa qualcosa di alternativo al medesimo
mercato in cui essa opera. Se non vi fossero dei limiti su di esso opererebbe un‟unica grande
impresa.
Il primo punto di arrivo importante è stato imposto dalla studiosa americana Edith Penrose, la
quale va a lavorare in Inghilterra. Scrive un‟opera nel 1959 denominata “La teoria della
crescita dell‟impresa” in cui spiega le cause della formazione americana, le quali per lungo
tempo non sono state considerate (per questo motivo si reca in Gran Bretagna). Considera
l‟impresa come un insieme di risorse materiali e umane coordinate da un‟organizzazione
amministrativa, al fine di produrre beni/servizi da vendere sul mercato per creare profitti →
insieme di risorse coordinate da un’organizzazione amministrativa. Ella ha una concezione
dinamica dell‟impresa, infatti sostiene che ogni azienda sia unica perché le risorse possono
essere utilizzate in modo differente → ruolo importante delle risorse umane, soprattutto
delle risorse manageriali che sono fondamentali per la crescita dell‟impresa come frutto delle
competenze acquisite all‟interno della stessa. In pratica ciascuna figura ha un percorso
pianificato all‟interno di un‟azienda, la quale sarà quindi dotata di determinate competenze, le
quali sono intrasmissibili. Ancora la studiosa pone attenzione sulle risorse umane che devono
predisporre un piano ottimale di crescita per sfruttare meglio le risorse interne, devono
aumentare le conoscenze e devono liberare le risorse che danno origine, a loro volta, a nuove
opportunità di crescita → margine delle risorse inutilizzate, come incentivo dell‟impresa a
espandersi. Di conseguenza il ruolo del manager è centrale per la teoria della crescita
dell’impresa, ma comunque non si tratta di un meccanismo infinito. Non sempre però le
opportunità di crescita sono sfruttate, infatti:
 l‟impresa non si rende conto delle possibilità di espansione;
 l‟impresa non vuole e/o non può cogliere tali possibilità.
I manager devono collegare le risorse inutilizzate con l‟ambiente esterno, ossia:
risorse interne ↔ ambiente esterno
abilità ↔ propensione
Problemi:
 i manager non sempre sono in grado di cogliere le opportunità di crescita a causa dei
limiti delle proprie conoscenze;
 i manager non vogliono cogliere tali opportunità, perché comunque la crescita
dimensionale di un‟azienda ha un limite, oltrepassato il quale diventa inefficiente,
infatti differenziare troppo l‟attività produttiva è rischioso.
La Penrose descrive l‟impresa come una realtà dinamica che non subisce il mercato, ma anzi lo
influenza, discostandosi così dalla mentalità neoclassica. E‟ molto vicina alla teoria di Alfred
Chandler (lo studioso più importante della storia d‟impresa). Tale studioso ha caratterizzato
tutto il „900, dal 1918 al 2007con le sue teorie: egli ha studiato a Harvard nella scuola di
Shumpeter. Egli, più che economista, era uno storico, perché analizza l‟economia americana nei
confronti di altri paesi; le sue opere più famose sono:
 “Strategy and structure” del 1962;
 “The visible hand” del 1977, la quale si contrappone alla teoria di Adam Smith (che si
basava su un meccanismo classico) in cui l‟impresa si contrappone al mercato;
 “Scale and scope” del 1990, in cui confronta il caso americano con quello tedesco e
quello inglese.
La sua concezione base è denominata organizational synthesis,la quale è un punto di
riferimento dominante della storia d‟impresa per tutto il „900, che prevede:
 innanzitutto riprende Schumpeter secondo la teoria dell‟innovazione come motore del
cambiamento, ma in più aggiunge che l‟imprenditore non sia più un regista, ma questo
viene sostituito dal manager, il quale ha la funzione di controllare la grande impresa;
 la gerarchia manageriale applica le strategie di crescita e di conseguenza adegua la
struttura aziendale in questo modo:
Strategia
Pianificazione e sviluppo delle imprese: i
manager fissano gli obiettivi di sviluppo a
medio/lungo termine, scelgono i criteri di
azione e come allocare le risorse,
comprese le risorse umane.
Struttura
L‟organizzazione è progettata e costruita
per amministrare i settori di attività e le
risorse dell‟impresa che comprende tutti i
livelli gerarchici e in cui vi sia circolazione
delle informazioni.
Strategia
↓
Struttura
In pratica senza una struttura adeguata e senza le necessarie modifiche le strategie di
crescita portano solo a inefficienza. L‟analisi dello studioso ha un limite: l‟unico punto di
osservazione è il big business americano, nella sua analisi, quindi, per molti anni, non si pone il
problema della relazione tra la corporate governance (= gerarchia manageriale) e la proprietò
e la performance positiva o negativa a seguito di tale rapporto, considerando il fatto che fino
a metà del „900 la situazione americana è la medesima: conflitto di interessi tra proprietà e
impresa. Secondo tale studioso i manager venivano costretti da istituzioni, i quali
esercitavano su di loro delle pressioni al fine di tenere un alto livello, distribuendo così più
divedendo possibile, e per raggiungere tale scopo attuavano anche scelte non opportune.
L‟opera “La mano visibile” percorre le tappe della nascita della grande impresa americana,
partendo dai suoi schemi organizzativi (cambiamento delle organizzazioni interne), il suo
obiettivo è quello di dimostrare l‟esistenza di una grande impresa in grado di condizionare il
mercato. Ancora Chandler introduce il principio del first mover, per il quale le prime imprese
che hanno colto le opportunità di crescita offerte dall‟innovazione sono quelle che
rapidamente hanno raggiunto una posizione dominante (durante la seconda rivoluzione
industriale) nel mercato, le prime a concludere un buon risultato.
Michael Porter è nato nel 1947 si è formato all‟Harvard Busines School e riprende il concetto
di efficienza dinamica d’impresa che riguarda:
 capacità dell‟impresa di adattarsi al mercato;
 capacità di modificare le condizioni del mercato influenzandolo.
Questo processo è attuato dal manager che valorizza meglio le risorse dell‟azienda creando
così un vantaggio competitivo, attraverso l‟utilizzo di una strategia competitiva. In pratica si
tratta di ricercare la situazione competitiva favorevole nei confronti di un determinato
settore; per fare ciò sono necessarie conoscenze approfondite del medesimo settore e del
contesto in cui si opera, anche tenendo in considerazione la presenza della concorrenza. I
manager devono capire le strategie della concorrenza per attuare le proprie, che siano
migliori a queste. Le forze che influenzano le imprese concorrenti sono:
1. minaccia di nuovi entranti:dipende dalla presenza o meno di barriere all‟entrata;
2. potere contrattuale dei fornitori: per il costo dei fattori produttivi: più elevato è il
potere verso i fornitori e minore sarà il margine; ancora l‟azienda potrebbe valutare se
ha delle valide alternative;
3. potere contrattuale dei clienti: determina il prezzo al quale l‟azienda può vendere il
prodotto, se esso è differenziato o standard, in base appunto al cliente, che può
appartenere a un mercato di sbocco unico o ampio;
4. minaccia di prodotti sostitutivi: possono esservi dei prodotti sul mercato simili a
quelli proposti dalla concorrenza;
5. eventuali manovre di posizionamento dei concorrenti: che operano sullo stesso
mercato di imprese le quali producono il loro medesimo prodotto: in tal caso è
opportuno valutare le strategie dei concorrenti.
Tali forze devono essere attentamente considerate e valutate dai manager al fine di attuare
la strategia più opportuno così da ottenere un buon vantaggio competitivo. In particolare
possono essere intraprese 3 grandi categorie di strategie:
 strategie difensive;
 strategie di attacco;
 strategie a lungo termine.
Per quanto riguarda le strategie di attacco, specie quelle a lungo termine, si può dire che esse
sono le uniche in grado di offrire un vantaggio competitivo, il quale può essere determinato da:
 riduzione dei costi di produzione;
 differenziazione del prodotto.
Combinando le varie strategie con il contesto in cui si opera, si arriva alla definizione delle
strategie, le quali, in particolare, sono di 3 tipi:
1. leadership di costo: si immette il prodotto sul mercato a costi bassi e inferiori a
quelli della concorrenza;
2. differenziazione del prodotto: l‟impresa allarga la gamma dei prodotti offerti sul
mercato;
3. focalizzazione: l‟impresa si focalizza su uno o più (comunque pochi) prodotti.
Questa teoria di Porter che riprende quella di Chandler (anch‟esso diretto verso la strategia)
e la perfeziona, rapportandola alla concorrenza e uscendo dalla concezione neoclassica.
Studioso che segue Chandler e riprende Coase (sulla teoria basata sui costi di transazione) è
Oliver Williamson (nato nel 1932) che abbina gli studi di storia d‟impresa alla sociologia e alla
psicologia. E‟ un seguace della teoria comportamentista (dei primi del „900) di John Watson, il
quale dice che i soggetti hanno una razionalità limitata, la quale impedisce loro la perfetta
comprensione del sistema economico, e quindi ne influenza le scelte economiche. Egli fa un
passo avanti rispetto a Porter, il quale non si è posto il problema di quanto i manager fossero o
meno in grado di compiere scelte giuste, considerando il limite dell‟essere umano che influenza
il sistema perché non sempre le sue scelte sono le più adatte. Ma considera che ciascuna
impresa è composta da diversi individui, i quali hanno la capacità limitata di comprendere
appieno il contesto, in vista del quale devono prendere delle decisioni strategiche. La decisione
deve essere unica e deve basarsi su un processo di contrattazione e conciliazione tra i
membri della gerarchia manageriale. Tutto ciò avviene in modo aleatorio, per questo motivo le
imprese non si comportano tutte alla stessa maniera. Inoltre Williamson, seguendo Coase,
menziona i costi di transazione, sostenendo che dipendono dalla natura dell‟uomo, e
concludendo che anche essi siano influenzati dalla razionalità limitata e da opportunismo (=
finalità egoistiche, come il caso del conflitto di interessi). Quindi i manager devono valutare,
oltre a tutto quello analizzato in precedenza, se:
 internalizzare → make;
Make or buy
 esternalizzare → buy.
Altro aspetto che è opportuno valutare è il fatto di operare in condizioni d‟incertezza dovuta
a fattori esogeni e a specificità di risorse (come capitale umano e investimenti). Ancora è
necessario valutare la frequenza delle transazioni.
Teoria evolutiva dell’impresa: intrapresa da due studiosi, Richard Nelson e Sidney Winter
nella loro opera “An evolutional theory of economic changement” del 1982. Essi rielaborano e
riprendono il ruolo delle innovazioni di Schumpeter (nel II Schumpeter). Le imprese vengono
considerate i soggetti principali del processo tecnologico e ancora sostengono che la ricerca
d‟innovazione (come d‟altronde sosteneva Schumpeter), al momento diventa endogena, interna
con il settore ricerca e sviluppo, e non è più una cosa eccezionale, ma diviene una routine
(come l‟I-phone della Apple): in pratica l‟innovazione non è più visto come qualcosa di
sconvolgente, come avveniva in caso della prima scoperta, ma si tratta di un‟innovazione
continua. Quindi per Nelson e Winter la routine è definita come l‟insieme delle conoscenze
tacite che sono alla base della maggior parte delle attività d‟impresa, non solo nel caso dei
prodotti ma anche per:
 politiche d‟investimento;
 politiche di ricerca e selezione del personale;
 riorganizzazione interna dell‟azienda: ad es. nel caso di adozione della catena di
montaggio.
Tali competenze si formano nel corso del tempo, tutto però non deve essere analizzato in
maniera statica: il potenziale innovativo dell‟impresa è di rinnovare la propria routine
attraverso un processo tecnologico mediante:
 tentativi di ottenere delle economie di scala;

processi di meccanizzazione.
Il progresso tecnologico può essere:
 continuo: all‟interno dello stesso paradigma tecnologico;
 discontinuo: cambiamento radicale, innovazione straordinaria (non si parla solo di
un‟innovazione di prodotto).
Nelson e Winter mettono insieme al concezione microeconomica (= l‟impresa) e quella
macroeconomica (= ambiente-mercato).
Successivamente nasce un filone di studi basato sul concetto di capabilities (= potenzialità
dell’impresa). E‟ un concetto recente (sviluppato negli ultimi decenni), ed è il risultato del
processo di apprendimento che si verifica nell‟imprenditore nel corso del tempo → know how:
insieme di elementi principali che differenzia le imprese le une dalle altre.
Visione Knowledge based: conoscenza delle imprese, intesa in senso diverso. In pratica
l‟impresa crea conoscenze, insieme a tali capacità si creano delle potenzialità: più l‟impresa le
riesce a usare e più ha la possibilità di raggiungere un vantaggio competitivo all‟interno del
mercato.
Ancora importante risulta un particolare filone di studi condotto da Paul David nel 1985 “Clio
and economics of QWERTY”, opera basata sulla diffusione della tastiera QWERTY, in cui si
delinea la teoria del path dependance (= dipendenza dal percorso), per la quale l‟esito finale
di un percorso aziendale può essere influenzato da eventi casuali (quindi tutte le teorie
menzionate finora avevano lo scopo di mettere in atto le strategie, mentre qui lo studioso si
reputa d‟accordo con esse, ma aggiunge che la conclusione dipende dal caso). David cita la
tastiera QWERTY come esempio, poiché essa è stata inventata per la disposizione delle
lettere/dei numeri che sembravano ottimali al fine di non fare accavallare i martelletti delle
macchine da scrivere di allora. Di conseguenza i primi operatori (= dattilografi) specializzati si
formarono su tali tastiere. In futuro, nonostante la scoperta di tastiere più funzionali e
efficienti rispetto alla QWERTY, essa rimase sempre la più diffusa (ancora ai nostri giorni).
L‟autore attribuisce questa conclusione a una casualità (non prevedibile) e associa tale tipo di
tastiera a un evento casuale → in pratica non sempre sparisce sul mercato la tecnologia
peggiore.
Impresa e contesto
Premessa: gli studi in precedenza citati hanno fornito informazioni utili per studiare il
comportamento delle imprese (partendo dall‟imprenditore in generale). Ciò ancora non regge,
manca ancora qualcosa in merito:
 costi di transazione (make or buy): esistenza anche di forme intermedie tra
imprese e mercato (= forme ibride), come ad es. le cooperative in cui i soci producono
e vendono sia a sé stessi, sia al mercato; i distretti industriali, i quali sono agglomerati
di imprese strettamente collegati tra loro; le imprese a partecipazione statale, in cui
vengono perseguite politiche pubbliche e il committente è lo Stato;


forme di imprese big business:vi è netta separazione tra proprietà e controllo;
piccole imprese: la proprietà coincide col controllo. In mezzo alle due forme d‟impresa
appena citate vi sono moltissime forme ibride che non rappresentano né uno, né l‟altro
tipo, che non dipendono dalla dimensione e che si utilizzano dei criteri per sapere chi
detiene il controllo. Ad es. controllo del pacchetto azionario minimo, detenere il
controllo vuol dire possedere anche un pacchetto minimo di azioni: ciò dipende dalla
struttura dell‟impresa: holding, gruppi di imprese tipiche del modello asiatico, ecc.;
comportamento, struttura, storia: fattori influenzati dal contesto e da fattori
esterni. Contesto = insieme di fattori culturali, religiosi, politici, casuali, legislativi,
formativi presenti in un paese. Sono molti gli elementi considerati per lo sviluppo delle
forme d‟impresa.
Quanto ha influenzato il contesto nello sviluppo della storia d‟impresa? Vi sono diversi aspetti
da analizzare:
I aspetto: fattori culturali, fattori etici e/o religiosi
Non sono facili da definire. Innanzitutto proviamo a definire il concetto di cultura. Essa va
intesa come l‟insieme di valori e credenze condivise (definizione di Casson). Altra definizione è
fornita da David Landes ed è: l‟insieme di consuetudini e di valori morali. In pratica a fare la
differenza in campo evolutivo dell‟impresa è la cultura, e quindi su di esso si pone un accento
particolare.
La cultura è l‟insieme delle informazioni a disposizione dei soggetti economici che effettuano
delle determinate scelte. Per gli storici d‟impresa, infatti dal punto di vista pratico, vi è una
concezione diversa della stessa tra Europa, USA e Giappone:
Europa
L‟impresa
intesa
come
imprenditore che la dirige →
aspetto
personale
dell‟impresa (in base alle
stesse che si sono affermate
nel territorio europeo).
USA
L‟impresa è impersonale, ed è
vista come l‟insieme di assets,
fattori
produttivi,
organizzativi, ecc. (in base
alle stesse sviluppate come
ad es. le public companies).
Giappone
L‟impresa
è
un
valore
collettivo, come bene comune
di appartenenza → la cultura
del lavoro è ampiamente
sviluppata.
I fattori etici e/o religiosi sono molto importanti per lo sviluppo economico. Max Weber
diceva che “L‟etica protestante è lo spirito del capitalismo”, infatti il protestantesimo ebbe un
ruolo centrale nello sviluppo economico, proprio perché l‟etica protestante vedeva nell‟attività
lavorativa un mezzo per avvicinarsi a Dio. Diversa mentalità prevedeva l‟etica cattolica,la
quale considerava la ricchezza e il benessere economico un fattore pericoloso da evitare.
L‟etica religiosa, ad es. in Italia e in Francia, non ha permesso di accettare fino in fondo lo
sviluppo della grande impresa.
Ancora lo sviluppo delle imprese è stato influenzato dal contesto sociale.
Più in generale occorre definire la parola etica come la concezione che gli individui hanno dello
Stato, in quanto esso deve intervenire per creare il contesto favorevole per lo sviluppo delle
imprese. In Italia, in Germania e in Giappone esso è stato l‟assoluto protagonista nell‟economia
di fine „800. In Gran Bretagna, con la II rivoluzione industriale, si fatica a mantenere il passo
con la Germania e gli USA (fine „800) a causa di fattori culturali e sociali diversi. Qui vi è
un‟economia già matura, in cui vi è una scarsa separazione tra proprietà e controllo, quindi si
tratta di imprese di modeste dimensioni a conduzione familiare → scarsa cultura industriale,
disagio del progresso, in pratica non si è creata una classe industriale, ma una classe
aristocratica (imprese ereditate, giunte alla III generazione) la quale è caratterizzata da:
 scarsa propensione agli investimenti tecnologici;
 scarsa tendenza a proiettare la propria attività verso i consumi di massa.
In pratica fattori culturali, sociali ed etici impediscono alla Gran Bretagna di essere
competitiva nei confronti degli altri paesi, considerato il fatto che anche il livello d‟istruzione
risulta non adeguato per un ottimo sviluppo economico del paese.
II aspetto: concezione della famiglia
Anche la concezione della famiglia influenza lo sviluppo delle imprese, infatti:
1. ovunque in occidente sono diffuse leggi per la successione, al fine di preservare
l‟impresa familiare (l‟impresa veniva trasmessa al primo figlio maschio e erano
diffusissimi i matrimoni tra consanguinei → la famiglia è al centro dei valori aziendali).
Tali valori improntati sulla famiglia possono sembrare positivi, ma in realtà, con il
passare del tempo, diventano negativi (soprattutto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del
„900). A tal proposito è utile citare il famoso scrittore letterario Thomas Mann che
con la sua opera più famosa “I Buddenbrook” racconta la storia di una famiglia di quel
periodo in decadenza. Da tale romanzo viene addirittura definita la cosiddetta
sindrome Buddenbrook, che si manifesta quando l‟impresa giunge alla III generazione
e va in decadenza (credenza diffusa ancora oggi, ad es. il caso del “figlio di papà”), con
una mancata riconversione delle imprese;
2. in estremo oriente la famiglia ha un ruolo importantissimo, anche se non in tutti i paesi
orientali vi è la medesima idea di famiglia:
 in Korea del sud: chaebol → reti di imprese;
 in Taiwan: persone appartenenti allo stesso rango, famiglie allargate intese
come comunità legate a un territorio → business group.
La famiglia viene intesa in due modi, quindi, in senso stretto come il legame tra consanguinei,
e in senso più largo come famiglia allargata.
III aspetto: ruolo delle donne
Da considerare il fatto che la donna ha un comportamento diverso rispetto a quello dell‟uomo,
soprattutto per quanto riguarda la dirigenza di un‟azienda:
 leadesrship femminile: la gerarchia è meno rigida e i rapporti sono più personali;
 leadership maschile: i rapporti sono più gerarchici e i rapporti più impersonali.
IV aspetto: livello dell‟istruzione
Occorre analizzare due punti di vista:
 il livello microeconomico: effetti diretti sui comportamenti dei soggetti sia dal lato
dell‟offerta, sia dal lato della domanda;
 il livello macroeconomico: effetti sullo sviluppo del paese.
Per quanto riguarda il livello macroeconomico il confronto tra Inghilterra, Germania e USA a
metà dell‟800:




Inghilterra
resta indietro;
il
tasso
di
analfabetismo
è
superiore al 30%;
recepisce
tardi
il
ruolo dell‟istruzione;
continua a puntare
sull‟istruzione classica
riservata
all‟élite,


Germania
industrializzazione
tedesca come caso
tipico del legame tra
scienza e industria;
sviluppo delle scuole
tecniche
e
professionali
→
formazione
fondamentale;


USA
l‟alfabetizzazione
è
precoce, infatti risale
già al „700 ed è rivolta
a materie religiose
e/o politiche;
istruzione
fondamentale
per
partecipare alla vita
politica;


poco
spazio
alle
materie
tecnicoscientifiche;
lo
Stato
non
interviene, l‟istruzione
è in mano ai privati;
è stata tra gli ultimi
paesi a rendere la
scuola
elementare
obbligatoria.

lo Stato incentiva
l‟istruzione tecnica e
interviene.




nascono delle leggi che
invitavano lo Stato a
istituire delle scuole;
aumenta
il
ruolo
statale nell‟istruzione
(1830-1840 circa);
emanate leggi federali
con la possibilità di
concedere terreni al
fine
di
costruire
scuole
superioritecniche;
anche il ruolo dei
privati è importante,
infatti
i
ricchi
industriali si rendono
conto del legame tra
industria e formazione
tecnica (= università),
però
il
panorama
americano
era
dominato da università
di vecchio stampo di
tipo religioso votate
agli
studi
classici.
Grazie
a
tali
investimenti
privati
nascono
le
prime
università
tecnicoscientifiche
(formazione di alto
livello) private che
sopravvivono grazie a
lasciti e donazioni di
ex allievi che hanno
avuto successo.
V aspetto: ruolo dello Stato e delle istituzioni pubbliche
1. Lo Stato esisteva già prima dello sviluppo delle grandi imprese.
2. Il rapporto Stato-imprese è di diverso livello:
 I livello → Stato dirigista:Stato che si impone sulle imprese e subordina le
attività alle proprie finalità (come ad es. è accaduto durante le guerre mondiali);
in pratica s‟impone sul Consiglio di amministrazione per produrre ciò che serve
alla guerra o si serve di imprese ausiliarie che continuano la loro produzione
poiché i loro prodotti sono comunque funzionali alla guerra;
 II livello → Stato socialista: Stato che non dà spazio all‟iniziativa privata, si
sostituisce alle imprese (che sono tutte statali) e non vi è concorrenza, come ad
es. era negli anni ‟90 l‟ex Unione Sovietica. Tale Stato non è in grado di operare
in un mercato aperto;
 III livello → Livello intermedio:vi sono diversi tipi di interventi statali
intermedi tra i due livelli precedenti.
Le istituzioni pubbliche si dovrebbero occupare dell‟insieme delle attività necessarie alla
formazione di un efficiente mercato di fattori produttivi dei beni/servizi → perché vi sia un
mercato efficiente è necessario un contesto istituzionale che favorisce lo sviluppo delle
imprese → crescita economica. Come minimo lo Stato stabilisce le cosiddette regole del
gioco, ad es. per garantire il diritto di proprietà, per emanare leggi che influenzano
l‟economia, e per stimolare gli investimenti.
In Gran Bretagna vi è un contesto molto avanzato per le imprese:
 crisi finanziaria intorno al 1720: vengono vietate le SRL, e ci vorrà molto tempo prima
che vengano costituite nuovamente;
 1779: rivoluzione francese;
 1807: il codice di commercio napoleonico viene in seguito applicato anche in altri paesi
conquistati da Napoleone;
 limite massimo del numero dei soci (6) fino a metà „800.
Negli USA:
 lo Stato sembra che sia sempre intervenuto poco nell‟economia, ma in realtà vi è stato
un ruolo importante sia statale che federale, soprattutto dopo l‟indipendenza (17761840 circa) per quanto riguarda:
 emanazione di leggi;
 infrastrutture;
 politica commerciale;
 colonizzazione delle terre dell‟ovest;


lo Stato nel „700 interviene nella costituzione di società impegnate nella costruzione di
(quindi partecipa al capitale):
 canali;
 ferrovie.
Il capitale pubblico interviene inizialmente per poi piano piano ritirarsi cosicché da
lasciare spazio al capitale di fatto delle public companies;
nell‟800 vengono emanate le norme per la costituzione di società anonime (= a
responsabilità limitata), gli USA a questo punto sono più evoluti rispetto alla Gran
Bretagna e all‟Europa in generale (di quasi mezzo secolo), le più importanti nascono:
 1809 → Massachussets;
 1811 → New York;
 1816 → New Jersey;
a fronte della Gran Bretagna in cui la prima società anonima risale al 1866, della
Francia nel 1863 e dell‟Italia nel 1882.
In Giappone:
 dal 1500 al 1868 è stato un paese chiuso nei confronti dell‟estero;
 intervento statale dal 1868 in avanti:
 dinastia Meiji;
 avvio industrializzazione verso l‟esportazione (apertura all‟estero);
 istituito un nuovo sistema di tassazione sulla proprietà terriera, in base agli
obiettivi → tassa su produzione potenziale (incentivo a produrre);
 create le aziende pubbliche;
 istruzione all‟estero per acquisire delle competenze imprenditoriali;
 politica militare espansionistica fino alla II guerra mondiale;
 istituzione del Ministero dell‟industria;
 incentivati dei gruppi industriali.
→ modello simile: Korea e Taiwan
VI aspetto: ruolo dei mercati finanziari
Il premio Nobel Joseph Stiglitz disse
“La comprensione della crescita delle moderne società deve cominciare dall‟evoluzione dei
mercati finanziari”.
L‟evoluzione dei mercati finanziari (= dei capitali) è fondamentale per capire l‟evoluzione delle
imprese che è dominato da istituzioni finanziarie (= intermediari) che ha il determinato
compito: facilitare il trasferimento di capitale tra chi le detiene (investitore) e chi le usa
(imprese). Il mercato dei capitali è particolare: il denaro viene scambiato con una promessa di
futuro introito. Problema: garantire che la promessa venga rispettata per finanziare le
imprese (al di là dell‟autofinanziamento) mediante:
 indebitamento;
 capitale di rischio.
I mercati finanziari dalla I rivoluzione industriale si delinea sempre una più netta separazione
tra risparmio (= risorse in mano a soggetti che hanno delle risorse inutilizzate che sono
lontani dagli imprenditori) e soggetti che hanno la capacità di dirigere un impresa ma che non
hanno mezzi finanziari per sostenerla → incontro tra domanda e offerta di capitali. Le
funzioni del mercato finanziario sono le seguenti:
 rendere più fluidi i servizi (evitando lo sfasamento temporale, il gap);
 agevolare l‟allocazione delle risorse aumentando il capitale fisso e le tecnologie; dalla I
rivoluzione industriale vi è un ampliamento dei tempi di rientro dei capitali investiti che
bisognerebbe ridurre;
 far fruttare i risparmi;
 migliorare la gestione dei rischi;
 esercitare le decisioni a livello societario → controllo.
Inizialmente il ricorso al mercato dei capitali era più fondato su debiti di breve termine.
Successivamente le aziende si ingrandiscono, e quindi gli investimenti effettuati accompagnati
dall‟autofinanziamento non sono più sufficienti. Scelte possibili:
 ricorrere all‟indebitamento;
 ricorrere al capitale di rischio (mercato borsistico).
Questo non è solo un calcolo di convenienza, ma si tratta più precisamente:
 valutazione dei rischi;
 condizioni di mercato;
 assetto proprietario (= rapporto tra proprietà e management).
Dalla II rivoluzione industriale si sono venuti a creare due modelli (in base al tipo di
finanziamento prevalente):
 bank oriented: paesi che ricorrono prevalentemente al sistema bancario come l‟Europa
continentale e il Giappone;
 market oriented: paesi che ricorrono prevalentemente al ricorso alla borsa.
Lo sviluppo del mercato finanziario agevola lo sviluppo delle imprese, ma è vero anche il
contrario, cioè che lo sviluppo delle imprese agevola il mercato finanziario → relazione
biunivoca.
Sistema market oriented
Fondato su forme di finanziamento esterne, tra cui:
 emissione delle azioni → finanziamento;
 emissione delle azioni → s‟indebita.
Titoli/quote
Le quote trattate sul mercato danno il volume dell‟impresa, e regolano/influenzano il
comportamento. Caratteristica: vi è un‟elevata divisione del lavoro, il mercato è formato da:
 borsa;
 banche commerciali per finanziamenti a breve termine;
 banche d‟investimento/istituti di emissione/collocamento titoli;
 brokers, intermediari di borsa.
Inizialmente il mercato finanziario non sorge spontaneamente, ma ha bisogno di imporsi nel
tempo poiché comunque risulta necessario un ruolo di intermediari → caso americano.
Vi sono 3 fasi di sviluppo che vanno di pari passi con lo sviluppo industriale:
1. dal 1800 fino al 1860 (circa): le piccole imprese si autofinanziano e ricorrono alla banca
per prestiti a breve termine, il sistema bancario non è regolamentato (free banking),
quindi è instabile;
2. dal 1864 al 1880 (circa): viene emanata una riforma bancaria in cui sono state create
delle banche nazionali, le quali devono scegliere in quale Stato operare. Limiti: sui
finanziamenti concessi dalle banche alle imprese; la nascita della normativa andava di
pari passo con la nascita delle grandi compagnie;
3. dal 1880/90 in poi: lo sviluppo del mercato borsistico comporta la nascita di banche
specializzate sui finanziamenti a medio/lungo termine, ma anche la nascita di nuove
banche specializzate negli investimenti per:
 fornire capitale di rischio;
 svolgere l‟intermediazione;
 agevolare il collocamento delle azioni;
 agevolare le fusioni tra aziende.
In pratica le banche diventano degli istituti che favoriscono le grandi imprese.
Caso inglese
Durante la I rivoluzione industriale esistono imprese piccole caratterizzate da pochi
investimento in capitale fisso e che si avvalgono soprattutto di autofinanziamento. Per questo
motivo lo sviluppo delle banche è stato ritardato. A fine del „700 non è consentita la
costituzione delle SPA, tale provvedimento comporta delle conseguenze, le quali:
 fino a metà dell‟800: la Banca d‟Inghilterra è l‟unica ad adottare la denominazione di
SPA;
 gli altri istituti bancari sono piccoli che non si sbilanciano in finanziamenti rischiosi,
infatti i soci della banca, non potendo avvalersi della responsabilità limitata,
rischiavano il proprio capitale; in generale si trattava di banche che concedevano
finanziamenti a breve termine e banche con compiti di intermediazione finanziaria. Il
sistema bancario, quindi, è poco evoluto e di conseguenza anche il settore delle
tecnologie è in rallentamento. Grazie a questi ultimi due fattori viene agevolato lo
sviluppo del mercato borsistico, il quale è noto per le sue radici storiche (Borsa di
Londra).
Sistema bank oriented
Le banche, in tale ambito, hanno un ruolo cruciale per lo sviluppo industriale. Intervengono dei
fattori sostitutivi atti alla risoluzione dei paesi ritardatari, come l‟Italia. In pratica si tratta
di qualcosa di esterno al sistema economico, il quale fa in modo che avvenga
l‟industrializzazione; tale soggetto è impersonato da:
 lo Stato, che incentiva la produzione diventando anch‟esso imprenditore;
 le banche, che finanziano le industrie nascenti → banche miste e universali che in
Germania si sviluppano dal 1850 (circa), esempio imitato dall‟Italia con la Banca d‟Italia,
dalla Svizzera, dalla Spagna, dalla Svezia, e da tutti i paesi di seconda
industrializzazione in generale.
Le banche miste sono quelle che esercitano sia il credito a breve/medio/lungo termine, ma il
legame tra questa e l‟impresa è molto più ristretto perché essa acquista pacchetti azionari
dell‟impresa, e l‟impresa, a sua volta, acquista pacchetti azionari della banca → fratellanza
siamese, per cui una regge l‟altra: il rischio grosso in questo sistema è l‟effetto domino. Dopo
gli anni ‟30 nasce l‟IRI proprio per questo motivo, per salvare le banche le quali avevano in
mano i pacchetti azionari delle imprese più importante (in crisi). Le banche, come fattore
sostitutivo, sono istituti despecializzati, quindi il mercato borsistico non si sviluppa tanto, ma
resta ai margini.
Caso giapponese
Nel 1900 si sviluppano gli zaibatsu, che sono dei gruppi d‟imprese integrate verticalmente e
che vengono direttamente finanziate da una propira house bank (la quale finanzia tutto il
gruppo).
In generale i sistemi market oriented sono più adatti per le economie libere e concorrenziali,
mentre di solito il sistema bank oriented necessitano di un contesto stabile, caratterizzato
da scarsa circolazione delle informazioni nell‟economia e da sistemi opachi (= monopoli,
oligopoli) in cui operano pochi e grandi gruppi → rischio: degenerazione del rapporto tra
banche imprese, generando così un effetto domino (contesto dinamico). Oggi grazie alla
globalizzazione vi è la tendenza a una convergenza tra i due sistemi, in pratica non vi è più,
come accadeva in precedenza, una netta distinzione tra i due. Ciò porta a delle conseguenze, le
quali:
 cambiamento della dimensione imprenditoriale (aumentano le dimensioni);
 sparizione delle grandi imprese dal mercato.
Contesto normativo
Il contesto normativo riguarda gli elementi i quali sono in grado di influenzare le strategie
imprenditoriali (esempio tipico è la legislazione antitrust). Ora occorre evidenziare le
differenze tra:
USA





Germania
si sviluppano contemporaneamente
leggi antitrust;
 non vi sono leggi antitrust;
emergere delle grandi imprese nei
 non esiste ostilità verso i gruppi di
servizi;
imprese;
ostilità verso le grandi compagnie che
 gli accordi e i cartelli tra impresi sono
operano in regime di monopolio od
addirittura visti come un modo di
oligopolio caratterizzati da forti
conquistare il mercato interno e quello
barriere all‟entrata;
estero;
legislazione antitrust per limitare i
 lo Stato favorisce gli accordi tra le
cartelli (= accordi) tra le imprese;
aziende;
il primo provvedimento antitrust viene
 la costituzione dei cartelli comincia a
varato nel 1887, seguito a ruota dallo
proliferare a partire dal 1870
Sherman Act (1890): la stipulazione
contestualmente all‟unificazione del
degli accordi di cartello e di pool sono
paese;
dichiarati incostituzionali;
 i rapporti di collaborazione tra le



non consentite le fusioni, ma solo le
holding (un provvedimento di legge
vieta le fusioni), in generale la legge
diviene sempre più restrittiva nei
confronti delle imprese;
si manifesta l‟effetto non desiderato
di una non concentrazione di imprese
che sono uguali a un unico grande
gruppo. Allora l‟obiettivo diventa
quello di aprire tale mercato troppo
caratterizzato da poche e grosse
aziende;
a fine „800 la legge antitrust viene
rispettata a dovere e le società
vengono smembrate per legge.




imprese diventano sempre più stretti;
dopo la I guerra mondiale vengono
istituiti i Konzerne, ossia una forma di
cartelli in cui in più si scambiano le
azioni
(imprese
che
diventano
azionarie di altre imprese);
costituzione delle cosiddette comunità
d‟interessi in cui oltre che venire
scambiate le azioni, vengono anche
suddivisi i profitti;
nascono i grandi pool industriali, come
Bayer e BASF;
nel 1925 una gigantesca impresa
chimica controlla, nel giro di pochi
anni,
il 50% della produzione
farmaceutica (che controlla l‟intero
settore).
In Gran Bretagna viene seguito il modello americano, ma a differenza di questo, qui vengono
consentite le fusioni.
In Giappone, invece, si favorisce il modello tedesco, ma le imprese operano sul mercato
sottoforma di zaibatsu.
In Francia vige la liberalizzazione totale in merito.
Classificazione di imprese ed evoluzione delle forme d‟impresa
Fino al 1880 e per lungo tempo prevalgono solo gli studi della grande impresa, infatti vi sono
problemi in merito alla storiografia di imprese di piccole e medie dimensioni. Ciò perché la
grande impresa è stata considerata come un naturale punto di arrivo. Infatti Chandler vedeva
il capitale familiare solo come un punto di partenza: in realtà non è così perché la grande
impresa non è l‟unica azienda che sopravvive sul mercato e tantomeno che rappresenti un
punto d‟arrivo, anzi tale punto d‟arrivo può essere tranquillamente un‟altra forma
organizzativa. Inoltre studiare la storia delle grandi imprese è più facile perché esse hanno
lasciato maggiore traccia nella storiografia rispetto alla loro attività, infatti vi sono più dati
poiché hanno avuto un impatto maggiore. Ancora durante la II guerra mondiale (anni ‟50-‟60)
vi è stata una convergenza verso gli USA, grazie al Piano Marshall caratterizzato da uno
scambio di manager, i quali prevalentemente avevano un ruolo nelle grandi imprese. Negli anni
‟80 il modello americano entra in crisi per le seguenti cause:
 shock petrolifero;
 il modello giapponese entra prepotentemente nel mercato nazionale poiché è
caratterizzato da forme di produzione più flessibili, alternative alla produzione di
massa (= su larga scala).
Così avviene il declino delle gerarchie manageriali, ma questo non sempre si verifica. Ecco
perché diviene opportuno classificare le imprese:
 dal punto di vista qualitativo;
 dal punto di vista quantitativo (ad es. in termini di fatturato);


dal punto di vista delle performance (una volta si pensava che una grande dimensione
portasse automaticamente a delle buone performance);
dal punto di vista della longevità dell‟impresa.
Secondo Chandler le grandi imprese costituiscono l‟elemento portante nell‟economia americana
e tedesca, mentre in Gran Bretagna lo studioso osserva che prevalgono le imprese di modeste
dimensioni. In realtà, non è così, infatti diversi studi smentiscono la sua teoria. Leslie Hannah
ha elencato le prime 100 imprese, denominandole sequoie giganti, però aggiunge che occorre
andare a vedere anche le dimensioni di ciò che sta intorno a esse (il contesto).
Impresa manageriale
La definizione di impresa manageriale è fornita da uno studioso dell‟Università Bocconi
Andrea Colli, il quale la definisce come l‟istituzione che occupa a livello multi unitario e che fa
perno su un‟ampia gerarchia manageriale per la sua gestione, quindi non può essere sotto il
controllo di un‟unica famiglia.
Origini
Inizialmente si è sviluppata nel settore dei trasporti, in fase di costruzione delle
infrastrutture (soprattutto per quanto riguarda le ferrovie) sia in America che in Europa. Fino
al 1870 gli unici esempi del comparto ferroviario comprendevano anche i settori a monte e a
valle, avendo così bisogno di ingenti finanziamenti ed è caratterizzato dall‟utilizzo di
strumenti finanziari (soprattutto negli USA), quali:
 obbligazioni a tasso fisso;
 azioni.
Così tali compagnie stringono tra loro degli accordi:
 di cartello;
 per la fissazione di tariffe, creando così forti barriere all‟entrata.
Alla fine dell‟800 vengono emanate le leggi antitrust (precisamente la prima legge antitrust
viene emanata nel 1887).
A metà dell‟800 le aziende più importanti nel panorama mondiale sono:
 “Compagnia Erie” in America;
 “Pennsylvania R.R” in America;
 “Ferrovie dello Stato” in Italia.
Tali esigenze di trasporto portano a una crescita dimensionale, la quale viene attuata tramite
un‟opportuna organizzazione interna per funzioni soprattutto nella sezione finanziamenti,
sezione merci e sezione passeggeri, mediante gerarchie ben precise e cascata.
Caso americano
La grande impresa manageriale è il modello americano per eccellenza, infatti nel territorio in
questione si trovano le condizioni ideali per il suo sviluppo, le quali:
 paese scarsamente popolato;
 nel corso dell‟800 vi è stata una crescita enorme della popolazione → esigenza di
industrializzarsi in fretta e in modo più prorompente;
 disposizione di grandi quantità di risorse;
 terra vastissima;
 poca forza lavoro → salari elevati;
 precoce meccanizzazione in quanto disponibilità di capitale.
Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 il sistema americano è stato caratterizzato da
innovazioni di processo produttivo, detta American system of manufacturing basato sulla
standardizzazione della produzione e l‟intercambiabilità delle parti al fine di velocizzare i
processi produttivi e ridurre i costi. Esempi sono il fordismo, basato sulla catena di
montaggio, e il taylorismo, basato sull‟organizzazione scientifica del lavoro, in cui vi è una
suddivisione per funzioni e dove si raggiungono economie di scala. Ancora la caratteristica dei
sistemi adottati negli USA è che la proprietà è diversa dalla gestione, per cui vi è:
 internalizzazione dei costi di transazione;
 affermazione di strategie manageriali.
La grande impresa americana, quindi:
 sfrutta le economie di scala;
 sfrutta le economie di diversificazione;
 sfrutta le economie di rapidità.
Sempre in America, e non in Europa, l‟economia nazionale è caratterizzata dai seguenti
fattori:
 grande quantità di forza-lavoro;
 forte sindacalizzazione;
 investimenti ingenti in macchinari sofisticati (in Europa non vi sono i capitali necessari
per fare ciò);
 fino al 1929 l‟impresa americana è molto protetta a livello doganale, e il mercato di
sbocco è quello interno, che comunque è considerevole; la conseguenza è quello che
vengono incrementati anche i redditi pro-capite.
I settori coinvolti in tal senso, oltre a quello classico dei trasporti, sono:
 le telecomunicazioni (il telegrafo e il telefono);
 l‟acciaio;
 la chimica;
 il petrolio;
 l‟elettricità;
 la gomma;
 l‟elettromeccanica;
 il commercio, la grande distribuzione (magazzini a prezzo unico);
 il comparto alimentare;
 il tabacco;
 la meccanica leggera;
 la macchina da scrivere;
 il settore dell‟automobile con Henry Ford, il primo a inserire la catena di montaggio
all‟interno del processo produttivo.
Le grandi imprese hanno raggiunto varie strategie per raggiungere determinate dimensioni, le
quali:
 processi d’integrazione a monte e a valle:attraverso investimenti nel settore
dell‟acquisto delle materie prime e attraverso investimenti nella distribuzione, in
particolare di alimenti, tabacco, meccanica leggera;
 strategie d’integrazione orizzontali: per controllare il mercato, acquistando le azioni
delle imprese affini, soprattutto nel settore della chimica, del petrolio e
dell‟elettricità.
Spesso tali strategie vengono integrate e abbinate → strategie d’integrazione verticale, ciò
avviene nel caso del petrolio, ma per abbinare le due strategie sono necessari maggiori
capitali, quindi occorre ricorrere maggiormente al mercato azionario.
Chandler ha definito quelle imprese che hanno raggiunto tali livelli dimensionali come first
movers, le quali sono le prime entrate nel mercato (le prime che si dotano di strategie
organizzative) guadagnando così un vantaggio competitivo, creando barriere all‟entrata in
regime di monopolio e oligopolio. La competizione è basata sui seguenti elementi:
 politiche di marketing;
 distribuzione;
 rapporto forza-lavoro;
 acquisizione di materie prime.
Chandler, inoltre, individua altre strategie per mantenere le imprese ai vertici, per restare sul
mercato, le quali in particolare sono 4:
strategie difensive:
per proteggere gli investimenti già effettuati
basati su integrazione orizzontale e
verticale.
Da metà „900 fino agli anni ‟70: la studiosa
Penrose, parlando di risorse inutilizzate,
sostiene che occorre sfruttarle e che la
diversificazione opportuna sia quella
correlata.
strategie offensive:
per entrare in nuovi mercati, per espandersi
da metà „900 in poi:
→ diversificazione produttiva: la quale è di
due tipi:
1. diversificazione correlata: riguarda
la produzione di nuovi prodotti che
comunque sono vicini al core business
(riguarda anche il marketing, non solo
la produzione in senso stretto);
2. diversificazione
non
correlata:la
quale è indirizzata verso settori
completamente diversi → imprese
conglomerate e/o → espansione verso
aree geografiche lontane.
Chandler ha verificato che oltre 1/3 delle imprese esistenti fossero diversificate in modo
correlato. A metà dell‟800 tale strategia si diffonde anche in Europa. Mentre negli USA le
imprese conglomerate raggiungono l‟apice intorno al 1880 (rappresentano il 22% delle prime
500 grandi imprese americane). Tali imprese sono considerate come una degenerazione della
diversificazione, la quale comporta dei rischi, i quali:
 scarsa correlazione;
 scarsa razionalità;
 dispersione delle risorse.
Questa è la visione condivisa dai due studiosi Chandler e la Penrose. In particolare Chandler si
occupa di un‟analisi estesa ad altri paesi, quali la Germania, il Giappone e la Gran Bretagna,
tentando di dimostrare un fenomeno di convergenza con quello americano: secondo lo
studioso vi è convergenza, ma gli stessi fenomeni arrivano in Europa più tardi e le grandi
imprese si concentrano in settori ad alto capitale. Nel 1915 tali studi portano ai seguenti
risultati:
Gran Bretagna
Germania/Italia
Le grandi imprese sono concentrate in alcuni settori → first movers tradizionali
Settori:
Settori:
 tabacco;
 chimica;
 alimentari.
 settori tradizionali.
Vi sono poche imprese di grandi dimensioni
nel settore petrolifero perché lo studio è
stato svolto nel 1915, ci vorrà più tempo
perché esso si sviluppi.
Le grande impresa manageriale europea è comunque più piccola di quella americana.
Durante il II dopoguerra, nel 1950 le differenze settoriali tra i vari stati si riducono, in
particolare i settori coinvolti sono:
 il tessile;
 l‟alimentare.
Negli anni ‟70 in Europa compaiono le prime grandi imprese conglomerate, il fenomeno rimane
comunque più limitato rispetto a quello americano, infatti coinvolge solo l‟1% delle imprese. Gli
es. in Italia sono l‟”ENI” e la “Montedison”.
Espansione verso mercati lontani
Gli investi diretti all‟estero (= FDI, foreign direct investment) sono quelli che consentono di
sfruttare anche all‟estero le capacità dell‟impresa manageriale → nel caso di impresa
multinazionale e/o transnazionale. Tali due termini vengono utilizzati da molti studiosi come
sinonimi ma in realtà vi è una differenza:
impresa multinazionale
impresa transnazionale
=
=
imprese che effettuano FDI con filiali strategie globali secondo le quali ogni fase di
all‟estero,
nelle
quali
ci
si
occupa lavorazione del prodotto viene svolta in un
direttamente degli approvvigionamenti nei paese diverso in base:
mercati nazionali → si svolge nel paese
 al costo;
estero l‟intero ciclo produttivo.
 alla normativa fiscale;
 a motivi di ricerca scientifica.
→ Es. strategie utilizzate da Nike, Nestlè e
Apple.
Per studiare gli FDI o gli investimenti di portafoglio, alcuni studiosi usano le percentuali di
detenzione del capitale; ma questa risulta un‟ipotesi poco convincente, perché il fulcro della
questione sta nell‟interesse della gestione, che non concerne con un mero scopo di lucro.
Chi non ha interessi → interessi di portafoglio.
Chi ha interessi → FDI.
Le imprese investono mediante FDI (= all‟estero) per i seguenti motivi:





tariffe doganali e provvedimenti legislativi che rendono più conveniente produrre
all‟estero;
basso costo del lavoro;
possibilità di sfruttare nuovi mercati di sbocco;
cercare di prevenire la concorrenza;
strategie di diversificazione della produzione di marca per rispondere all‟esigenza
locale → produzione di beni destinati solo al mercato esterno.
Gli studi sui FDI non derivano da Chandler perché sono piuttosto recenti, infatti si sono
sviluppati durante gli ultimi 30 anni, ma hanno comunque radici antiche, alla fine dell‟800 e
durante la I guerra mondiale, in generale in Europa, in particolare in Gran Bretagna → apice
dell’imperialismo europeo. Tali FDI sono diretti in:
 33% centro-sud America;
 21% Asia;
 20% USA;
 20% Europa orientale;
 ….
I settori, ai quali gli FDI erano indirizzati, sono:
 settore risorse naturali → 56%;
 servizi → 33%;
 industria → 15%.
Le multinazionali europee sono più piccole rispetto a quelle americane, già in quest‟epoca. In
Gran Bretagna vi sono le free standing companies, le quali solo in questa nazione sono
registrate, ma hanno la caratteristica di operare solo all‟estero. Negli anni ‟20 questi FDI si
spostano verso altri settori, quali quelli ad alta tecnologia (come quello petrolifero). Aumenta
il peso delle multinazionali americane, le quali assorbono anche quelle inglesi. Nel 1929 lo
sviluppo delle multinazionali è frenato, a causa della crisi, infatti vengono chiusi i mercati e di
conseguenza diminuiscono gli FDI. Durante la II guerra mondiale un ruolo importante, rispetto
ai FDI, viene svolto dalla Gran Bretagna e dall‟Olanda grazie alla Shell e cresce in modo
importante la quota di FDI in America. Tra il 1960 e il 1980 gli FDI aumentano in modo
spropositato, di 5 volte rispetto al passato. Per quanto riguarda la detenzione di FDI, si può
dire che sia così suddivisa sui vari paesi:
 USA → 40%;
 Gran Bretagna → 15%;
 Olanda → 8%;
 Germania → 8%;
 Giappone → 8%.
Tra i paesi di destinazione prevale l‟Europa, inoltre prevale il fatto che si investa all‟estero nei
paesi sviluppati, e soprattutto nel settore manifatturiero. Tra il 1980 e il 1990 vi è un
ulteriore sviluppo degli FDI, infatti inizia l‟era della globalizzazione: tutti i paesi
industrializzati investono all‟estero provocando un rallentamento dello sviluppo americano →
fenomeno diffuso nei paesi economicamente avanzati. In Italia un valido es. è rappresentato
da imprese come l‟ENI, la FIAT e la Telecom, ma qui sono diffuse anche le cosiddette
multinazionali tascabili (= imprese di medie dimensioni), come la Candy e la MAPEI. Le aree di
destinazione per quanto concerne gli FDI sono le seguenti:
 Europa → 43%;
 USA → 21% grazie ai tassi d‟interesse vantaggiosi (i quali hanno portato all‟attuale
crisi);
 Cina ….
Anche i settori di destinazione di tali investimenti cambiano con il tempo, infatti sono rivolti
ai servizi in prevalenza (per oltre il 50%). In pratica:
modello familiare
modello manageriale
Gruppi d’imprese: risultano molto importanti, soprattutto in alcuni paesi di più recente
industrializzazione, e che sono imprese conglomerate le quali si sviluppano grazie allo
sfruttamento di tecnologie estere, operando mediante una gestione centralizzata. Esempi
sono il Giappone e il Sud America.
Caso giapponese
Gli zaibatsu rappresentano quei gruppi di imprese giapponesi. In precedenza il processo
d‟industrializzazione giapponese si basava su due strutture:
Stato
Zaibatsu
Ha un ruolo forte, più rispetto agli altri paesi Istituzione
fondamentale
del
modello
di tarda industrializzazione. I suoi compiti giapponese che si sviluppa dal 1968 e opera
sono:
fino alla II guerra mondiale.
 proteggere
mediante
barriere
doganali;
 adottare prezzi di equilibrio stabili in
modo tale da contenere l‟inflazione;
 costruire le strutture necessarie allo
sviluppo economico del paese;
 sostenere l‟investimento tecnologico;
 favorire cartelli e/o accordi;
 porre limiti per quanto riguarda il
numero di imprese nel settore;
 promuovere la ricerca e lo sviluppo.
Gli zaibatsu sono dei grandi gruppi composti da un ingente numero di imprese che adotta
strategie di diversificazione non correlata. All‟interno di tali gruppi è prevista anche una
banca denominata house bank,la quale è dotata di una struttura mista, infatti:
 finanzia l‟intero gruppo;
House bank = polmone finanziario
 detiene le sue partecipazioni.
La proprietà degli zaibatsu è in capo a delle famiglie mercantili, un valido es. è la Toyota. Tra
la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 comincia a industrializzarsi, così nascono tali gruppi mediante
l‟adozione di tecnologie estere. Le imprese che fanno parte del gruppo operano in maniera
diversa e non detengono contatti tra di loro, ma tutte adottano politiche aggressive nei
confronti dei paesi stranieri. Tale forma atipica si sviluppa a causa di una mancanza di
gerarchia manageriale appropriata alla costruzione di uno sviluppo, come quello americano. Così
nascono tante imprese di piccole dimensioni unite nel medesimo gruppo che operano in settori
diversi al fine di ridurre il rischio d‟impresa. Negli anni ‟30 hanno un ruolo importante perché
diventano le protagoniste della militarizzazione del paese, in pratica si occupa
prevalentemente della produzione di armi in preparazione alla II guerra mondiale. Alla fine
della II guerra mondiale il Giappone viene invaso dall‟America che rende illegale gli zaibatsu.
Nel 1952 termina l‟occupazione americana, il governo giapponese decide la ripartizione
dell‟economia del paese, mediante la costruzione di gruppi di imprese nuovamente ma questa
organizzazione non è più vista bene a livello internazionale. Ecco che nascono i keiretsu, i quali
sono gruppi di imprese, ma non più facenti capo a delle famiglie, ma controllati mediante
partecipazioni incrociate; man mano che si va avanti nel tempo, però, si ricostituiscono gli
zaibatsu. Negli anni ‟60 così sul panorama economico del Giappone operano due tipi di gruppi di
imprese: gli zaibatsu e i keiretsu. In pratica si afferma un modello di sviluppo industriale
differente rispetto a quello americano il quale è basato su un‟elevata flessibilità:
 per la produzione;
 per il mercato del lavoro.
Al fine della costruzione di unità produttive non si fa ricorso né una ripartizione del lavoro
divisionale, né funzionale, ma ogni unità operativa (= lavoratore) è motivato e ha il fine di
raggiungere un determinato obiettivo di produzione. In tale organizzazione l‟intera squadra è
direttamente responsabile in merito alle singole funzioni, le quali sono intercambiabili, inoltre
si basa su un lavoro di tipo sinergico. Non vi è una divisione gerarchica dei compiti, del tipo
dall‟operaio all‟ingegnere, ma il lavoro è inteso come un fattore collettivo e sinergico, che dà
un grande stimolo a coloro che fanno parte dell‟azienda. Durante gli anni ‟70-‟80 tale modello
diventa un modello di successo, il quale è alternativo a quello fordista. Si sviluppa tramite un
modello piramidale, il quale:
Impresa capogruppo
Imprese-satellite
Tale modello prevede le seguenti caratteristiche:
 flusso continuo di informazione tra la manodopera e i manager mediante l‟utilizzo di
tecnologia;
 aspirazione a raggiungere i vertici della piramide (ossia lavorare in capo all‟impresa
capogruppo) per ottenere un posto fisso;
 sistema giapponese → toyotismo (come alternativo al fordismo).
just in time = modello di produzione che mira a
ridurre al minimo le scorte per evitare gli sprechi; ciò
viene fatto tramite:
 lavoro di squadra;
 autoattivazione:ogni membro della squadra è in
grado di intervenire per risolvere le anomalie/i
problemi del processo produttivo;
 maggiore qualità, vasto assortimento;
 riduzione dei costi.
→ Differenziazione (ottica) flessibile = produrre al
fine di adattarsi a diversi tipi di produzione
Negli anni ‟90 il Giappone diventa la seconda economia al mondo, dopo gli USA. Nel corso degli
anni ‟90 subisce una forte crisi a causa di diversi fattori:
 ristrettezza del mercato interno, il quale è pure caratterizzato da bassi livelli di
consumi;
 non vi è un adeguato sviluppo del mercato del capitale;
 problemi politici tra impresa e Stato a causa di legami poco chiari e ampia diffusione di
correzione.
Il modello giapponese viene imitato da:
 Korea, la quale è stata sino alla II guerra mondiale sotto in controllo dello stesso
Giappone. Infatti anch‟essa è caratterizzata da un ruolo importante dello Stato, il
quale è imprenditore, dirigista e autoritario ma che comunque stimola lo sviluppo
economico. La Korea si affida alle tecnologie estere e le imprese koreane si sviluppano
in gruppi con a capo alcune famiglie denominati chaebol, simili agli zaibatsu giapponesi.
Si differenziano da queste ultime per il fatto che non possono rientrare all‟interno del
loro gruppo le banche (ossia non caratterizzate da gruppi di imprese controllati dalle
banche). Ma di conseguenza chi controlla è lo Stato, il quale influenza fortemente il
processo di organizzazione del paese che vede la fase di sviluppo maggiore dopo la II
guerra mondiale grazie anche all‟imitazione dei modelli americani, quindi utilizzano
politiche aggressive e puntano su una forte diversificazione. Alla fine degli anni ‟80 i
gruppi più importanti sono Hyundai, Samsung, Daewoo e Lucky Goldstar;

Sudamerica (Brasile, Argentina), nella quale si sono sviluppati i groupos. Si tratta di
tante imprese dotate di una gestione finanziaria e di parte di gestione imprenditoriale
unificata. Si sviluppano in modo intenso soprattutto negli anni ‟20. Esempi simili di
imprese nascono anche in India.
→ L‟industrializzazione tardiva sviluppa sistemi diversi rispetto le grande imprese manageriali
perché non ha le medesime competenze. Le imprese (che fanno parte dell‟industria di tarda
industrializzazione), se vogliono competere sui mercati esteri, però, si devono rendere conto
dell‟impossibilità di tale evenienza quanto piccole imprese, così si sviluppano sottoforma di
forme intermedie.
Altre forme imprenditoriali, tipiche italiane, sono i distretti industriali (individuati e definiti
dallo studioso Giacomo Becattini), i quali rappresentano delle entità socio-territoriali
caratterizzate da comunità di persone compresenti attivamente in un‟area circoscritta verso
una certa popolazione.
Entità socio-territoriale = è necessario far riferimento a un‟area territoriale circoscritta e
ben determinata, anche collegata a livello legislativo e sociale; tale relazione si estende anche
tra le imprese e coloro i quali sono coinvolti in tali attività → ruolo importante dell‟individuo.
In pratica si tratta di tante piccole imprese presenti in un‟area circoscritta e le quali hanno
dei legami. Gli elementi cruciali sono 4:
1. la comunità locale;
2. le imprese che ne fanno parte;
3. le risorse umane;
4. il mercato di riferimento.
I contatti all‟esterno riguardano i fornitori in prevalenza, ma mediante questo si allarga la
produzione a livello nazionale, e successivamente a livello internazionale. Anche il distretto,
così, diviene alternativo al fordismo, e la specializzazione flessibile costituisce una valida
alternativa alla produzione di massa. Tutto ciò mette in crisi il paradigma chandleriano, il quale
vedeva la grande impresa come il punto d‟arrivo per le performance. Le caratteristiche di un
distretto sono:
 elevata flessibilità;
 basso costo del lavoro;
 bassi costi di transazione;
 bassi costi di circolazione delle informazioni.
Grazie allo stretto legame tra imprese e contesto sociale in cui tali imprese operano, infatti,
si delineano le caratteristiche appena elencate.
La comunità locale è la comunità di persone che vive all‟interno di un distretto, la quale segue
un preciso insieme di:
 regole;
 istituzioni;
 codice etico e codice del lavoro;
 legami familiari.
Tali valori vengono preservati nel tempo e trasmessi di generazione in generazione (mediante
circoli, parrocchie) → legami forti.
Le imprese sono di piccole dimensioni (poi eventualmente possono ampliarsi) specializzate in
poche fasi del processo produttivo complesso, il quale risulta scomponibile nelle sue parti e
che consente una divisione del lavoro a livello locale (del distretto).
Le risorse umane rappresentano la forza-lavoro, la quale ha grandi competenze ed è
caratterizzata da un‟elevata mobilità verticale (dotata anche di una rilevante
intercambiabilità dei ruoli tra i commercianti, gli imprenditori e gli operai).
Il mercato di riferimento è flessibile e specializzato, la merce prodotta è di qualità elevata e
tipica (= riconoscibile), le consegne sono molto rapide. Non si tratta di certo di un mercato
vasto, né tantomeno omogeneo, ma è basato sulla produzione di nicchia, la quale si sposta
continuamente per esigenze di mercato. Per quanto riguarda la fornitura di materie prime il
distretto rappresenta un compratore specializzato, quindi l‟acquisto delle medesime si fa in
comune e si beneficia delle economie di scala. Il mercato di approvvigionamento è quindi
considerato elastico, infatti ci si fornisce dove più conviene. Anche il mercato creditizio
occupa la sua importanza: infatti il finanziamento viene effettuato con ricorso a banche locali
che forniscono un credito agevolato, grazie agli stretti rapporti personali (per la banca il
rischio d‟insolvenza è minore in tale situazione poiché, grazie a una buona circolazione di
informazioni all‟interno del distretto, è a perfetta conoscenza della solvibilità delle imprese in
questione).
Altre caratteristiche del distretto sono:
 la resistenza contro l‟introduzione delle innovazioni a causa del peso del capitale umano
e delle sue competenze;
 l‟introduzione delle innovazione, quando avviene, avviene in modo graduale in modo tale
che l‟adattamento delle medesime all‟interno del processo produttivo sia visto in modo
meno traumatico.
Il processo d‟industrializzazione in Italia è dotato di più fasi:
 tra il „700 e l‟800, all‟interno del triangolo industriale (Genova-Milano-Torino) si
sviluppano grandi imprese private → I Italia;
 durante gli anni ‟30: vengono istituite le grandi aziende a partecipazione statale, con la
costituzione dell‟IRI → II Italia;
 accanto alle precedenti forme d‟impresa si affiancano i distretti, anche se a dire il
vero, molti di essi si sono sviluppati in epoca più remota, ma in tale periodo lo sviluppo
è stato intenso → III Italia.
Le aree geografiche di maggior sviluppo industriali sono:
 il Trentino;
 il Veneto;
 il Friuli;
 l‟Emilia;
 la Toscana, specializzata in attività estrattive e nel tessile;
 le Marche, specializzata nel settore delle calzature;
 l‟Abruzzo.
regioni economiche del nordovest protagoniste della I Italia,
e
regioni
del
centro-sud,
protagoniste della II Italia; altre
regioni
caratterizzate
dalla
prevalenza del settore agricolo,
sviluppato con capitale fondiario
e in cui vige una spiccata
tradizione
La crescita dei distretti si ha dagli anni ‟70 in poi, ma essi entrano in crisi nel corso degli anni
‟80 anche a causa della spietata concorrenza da parte delle grandi imprese. Durante gli anni
‟90, comunque, si rendono protagonisti di una buona ripresa, ma per fare ciò devono
trasformarsi in media impresa orientata anche sul mercato internazionale e vengono
denominati multinazionali tascabili settore made in Italy. A questo punto all‟interno del
distretto emerge una determinata impresa e le altre divengono le sue imprese-satellite.
Nuovo fenomeno: IV capitalismo: il periodo della nascita delle multinazionali tascabili viene
così denominato (IV Italia); si sviluppa un fenomeno interessante: la nascita di imprese di
medie dimensioni con un numero di dipendenti maggiore a 250 e un fatturato minore a 1,5
miliardi. Tali aziende acquistano importanza a partire dagli anni ‟90 anche se hanno origini più
antiche. Secondo la classificazione dello studioso Andrea Colli le imprese possono così essere
suddivise:
 imprese pioniere;
 baby boomers: le più diffuse con origini antiche, come ad es. la Candy e la Berloni;
 latecomers: sviluppatesi negli anni ‟70-‟80 come la Stefanel, la Diesel, l‟Aprilia e La
Perla.
Tali imprese nascono con base artigianale e si irrobustiscono col passare del tempo, mediante
le seguenti caratteristiche:
 produzione di beni individuabili;
 il mercato di riferimento è dotato di barriere all‟entrata;
 imprese fortemente legate all‟ambiente d‟origine, il quale viene mantenuto come
riferimento;
 forte controllo familiare.
Imprese cooperative
Tali imprese hanno la caratteristica di essere no profit, e tra di esse sono le più diffuse a
livello mondiale. Di solito si tratta di associazioni autogestite e volontarie, costituite di
individui che si uniscono tra di loro allo scopo di soddisfare le proprie esigenze, aspirazioni
economico-sociali, le quali si fondano sui seguenti valori:
 responsabilità;
 equità;
 garanzia;
 solidarietà;
 uguaglianza.
In teoria le scelte strategiche dovrebbero essere basate su tali valori. Nel 1884 nasce la
prima cooperativa a Manchester, la quale commercializzava prodotti alimentari e candele, la
quale viene fondata dal settore tessile per acquistare beni di prima necessità per rivenderli ai
propri operai.
MODULO B
Architettura organizzativa dell‟impresa
Si tratta della struttura, del modo con cui si mette in campo l‟impresa per perseguire una
strategia. A seconda della dimensione, del contesto la struttura organizzativa necessaria,
sarà diverso. All‟inizio delle rivoluzioni industriali, vi sono imprese familiari con a capo un unico
titolare che si rivale di pochi dipendenti. Il big business di Chandler nasce durante la II
rivoluzione industriale, comunque ancora le imprese non possiedono una vera e propria
struttura organizzativa.
Proprietario
Responsabili
Rapporto
fornitori - clienti
Unità operativa x
Funzione di
staff:contabilità,
personale, ecc.
Unità operativa Y
L‟organizzazione monofunzionale è quella che caratterizza la semplice attività produttiva
elementare, in cui vi è una struttura verticale,la quale prevede che tra i lavoratori delle unità
operative vi siano sia quelli specializzati nel coordinamento, sia quelli esecutivi. I rapporti sono
gerarchici, cioè i livelli più bassi prendono comandi dagli organi superiori, e le unità operative
di solito non hanno un contatto diretto con l‟imprenditore. Le funzioni di staff non prevedono
un contatto con le unità operative. Questo tipo di struttura non funziona più quando si
sviluppano i big business nel contesto americano, i quali impongono una riorganizzazione:
 l‟imprenditore non è più il proprietario dell‟azienda, ma lo è una società anonima per
azioni: chi gestisce l‟impresa ha una responsabilità nei confronti dei soci e dei
finanziatori;
 esigenza di ricorrere al capitale estero di rischio e al capitale proprio.
All‟interno del primo ramo industriale in cui si manifesta la necessità riorganizzativa è stato
quello delle ferrovie, ove appunto si è reso fondamentale organizzare in modo efficiente il
trasporto che è differenziato al suo interno (settore trasporto merci e settore passeggeri).
Non esiste un‟unica compagnia monopolistica, poiché le ferrovie si trovano a dover associarsi
con altre imprese per funzionare, affrontando così problemi complessi, e cercando di
mantenere efficiente il sistema di manutenzione: per questo motivo vi è un bisogno di dirigenti
al fine di una corretta differenziazione geografica, essenziale per gestire in modo corretto
sul posto. Ciò impone nuovi metodi di gestione → struttura organizzativa plurifunzionale
accentrata (descritta da Alfred Chandler):
Amministratore delegato
Consiglio
d‟Amministrazione
Assemblea
degli azionisti
Organi di staff
finanziamento, acquisti, vendite, GRU, assistenza legale
Funzione → singoli prodotti
Funzione → territorio
Particolarità: i reparti sottostanti vivono con il Consiglio d‟Amministrazione un rapporto
gerarchico, mentre gli organi di staff non dipendono gerarchicamente da esso, ma integrano
semplicemente le sue funzioni. La struttura è accentrata poiché tutto dipende dall‟assemblea
degli azionisti. Le decisioni vengono prese tutte al vertice, che poi vengono rese esecutive
dalle unità operative. Lo staff ha una semplice funzione di appoggio ai vertici.
Le imprese ferroviarie che si sviluppano sono dotate di manager moderni, cosicché tale
struttura organizzativa plurifunzionale accentrata viene esportata al settore manifatturiero,
rammentando che funziona finché:
 vi è una precisa identificazione delle funzioni;
 è facile da capire se gli obiettivi vengano fissati o meno.
Ciò funziona perché le ferrovie e le altre imprese dell‟800 sono caratterizzate da:
 imprese monoprodotto;
 produzione di prodotti molto vicini tra di loro.
Nel „900 accade che (soprattutto negli USA) l‟impresa si tende a diversificarsi, così nascono
le cosiddette imprese conglomerate, perché:
 il mercato è saturo e dà pochi margini operativi;
 l‟adozione di economie di scopo (≠ economie di scala = vantaggio nel produrre di più, a
causa di costi fissi alti) che consentono di trarre un vantaggio poiché vengono
utilizzate meglio le risorse, le quali in precedenza venivano sfruttate solo in parte
(caratteristico il caso dello sviluppo tecnologico).
La diversificazione implica canali di vendita diversi, così capita che l‟impresa multinazionale
accentrata (chiamata u-form da Chandler) non sia più adeguata. Così nasce una nuova
struttura organizzativa: struttura organizzativa multi divisionale (chiamata anche m-form
da Chandler).
Azionisti
Top management:
Consiglio d‟amministrazione
Amministratore delegato
Organi di staff
Organi di staff
divisione A
divisione B
divisione C
Divisione = struttura più complessa rispetto alle funzioni della struttura organizzativa
plurifunzionale.
divisione
staff
funzione
staff
funzione
funzione
Ora è opportuno analizzare due cose:
1. i vertici hanno responsabilità strategiche di lungo periodo per tutte le imprese;
2. le singole divisioni dovendo coordinare produzioni o aree geografiche con
caratteristiche diverse tra loro, le quali:
 margine di autonomia ampio perché si tratta di problemi diversi tra di loro sia
per quanto riguarda la diversità del prodotto, sia per la modalità di
distribuzione;
 funzioni di staff decentrate alle singole divisioni, le quali sono addirittura
organizzate come singole imprese monofunzionali.
Divisione = ogni divisione è una singola impresa in concorrenza rispetto alle altre, ma
all‟interno di un‟unica grande impresa; al fine di verificare la propria efficienza ed efficacia, si
decide se continuare o meno l‟attività svolta all‟interno della medesima divisione. Le prime
imprese americane che adottano tale struttura sono:
 la Du Pont (industria chimica);
 la General Motors.
In particolare la Du Pont possiede 5 divisioni:
1. esplosivi;
2. coloranti;
3. vernici;
4. fibre tessili artificiali;
5. cellulosa.
La General Motors ne possiede 7:
1. accessori per auto (ricambi);
2. mezzi industriali (camion);
3.
4.
autovetture distinte appartenenti a case
5.
automobilistiche diverse.
6.
7.
La diversificazione porta a un‟architettura più complessa dell‟azienda.
Resto del mondo: in particolare l‟Europa
Nel resto del mondo la situazione è diversa dagli USA, infatti non vi sono imprese di quelle
dimensioni. Chandler sostiene la struttura divisionale, ritenendola la migliore. In realtà però si
sono sviluppate anche altri tipi di imprese, soprattutto in Europa, mentre ad es. la Siemens e
la francese Saint-Gobain sono dotate di strutture organizzative analoghe a quelle divisionali.
In generale il modello divisionale si diffonde in Europa dopo la II guerra mondiale, ma non su
tutto il continente: si evidenziano, nel secondo dopoguerra, due blocchi: uno occidentale che
fa riferimento agli USA e uno orientale che fa riferimento all‟ex URSS. In particolare
nell‟Europa occidentale, grazie all‟apporto della mentalità americana, viene suggerito alle
grandi imprese di riorganizzarsi in maniera multi divisionale (Germania, Francia e Italia). La
Gran Bretagna segue più alla lettera il modello americano, mentre a livello extraeuropeo,
importante caso a sé è quello del Giappone. Rientrando nel contesto europeo, il paese che
tarda molto a utilizzare il modello divisionale è la Spagna, a causa della dittatura franchista.
Comunque, in generale, il modello divisionale è stato introdotto tra il 1947 e il 1950 con il
piano Marshall, con esso anche introdotte le varie conoscenze, consulenze, know-how
organizzativo, ecc..
Le forme organizzative preesistenti non scompaiono e una in particolare resiste a tutt‟oggi: la
holding, h-form (così denominata da Chandler). Questa è una struttura che controlla una
serie di imprese-satellite che operano in ambiti legati tramite un‟integrazione verticale e/o
orizzontale: si tratta di imprese distinte (anche caratterizzate da un‟alta % di
partecipazione), di società partecipate in altre società. Soprattutto nelle imprese in cui vi è
una forte polverizzazione e caratterizzate in genere da piccoli azionisti, per detenere il
controllo è sufficiente una ridotta % di azioni. Al fine di verificare i legami tra le varie
imprese del gruppo (interlocking directorship) si va a vedere se ad esempio vi sono persone
che risiedono in più consigli di amministrazione, infatti ciò è sintomo di un legame
(rappresentanti in comune tra le varie imprese). Secondo Chandler alla holding manca una
visione d‟insieme, infatti non sono chiari i rapporti tra la holding e gli assetti proprietari delle
controllate, che possono variare e che si possono sovrapporre una sull‟altra (tipico il caso della
FIAT con la Lancia e l‟Alfa Romeo). Non è nemmeno chiara né tantomeno identificabile chi è a
capo della responsabilità strategica e operativa, infatti Chandler conclude dicendo che il
manager della holding è meno “potente”, perché egli ha meno strumenti e informazioni per
intervenire, rispetto alla struttura divisionale. Ancora questo non è in grado di sostituirsi a
manager controllati, i quali possono essere ostili nei suoi riguardi, specie se il pacchetto di
controllo è basso. Ciò comporta una sorta di confusione: le imprese controllate cambiano
continuamente e possono contrapporsi, cosicché il manager può confondersi durante la sua
gestione. Chandler, proprio per questi motivi, considera la holding meno funzionale rispetto al
modello divisionale. Eppure molti paesi mantengono tale forma organizzativa meno efficiente
per le seguenti motivazioni:
 esistono fattori esogeni all‟impresa che possono condizionare l‟adozione di una scelta
organizzativa piuttosto che un‟altra (dipende dal contesto legislativo in cui si opera);
 elementi culturale-ambientali: lo studio americano si basa molto sul livello
multidivisionale; in Europa la situazione è estremamente indifferente.
Vi possono essere anche delle soluzioni ibride, soprattutto in quei contesti che continuano a
sopravvivere e che hanno radici in fattori culturali-ambientali particolari di quell‟ambito.
L‟incentivo all‟utilizzo di una diversa soluzione organizzativa non vi è, finché risulta
conveniente produrre con una determinata struttura → il cambiamento costa. Vi sono
cambiamenti pilotati o più difficili da applicare; comunque i modelli adottati si discostano
spesso rispetto alla teoria, per motivi economici.
ODL
Struttura che l‟impresa utilizza per operare → organizzazione del lavoro, ODL. All‟inizio
della rivoluzione industriale le condizioni di lavoro erano disumane, “esse piegavano l‟uomo al
servizio del capitale” (Carl Marx). Chiaramente si tratta di elementi intrisi di una componente
ideologica → la realtà è più complessa. A fine „700 non vi sono ancora contesti con centinaia di
persone, ma piuttosto unità produttive sparse per il territorio, di solito nelle vicinanze di un
corso d‟acqua da sfruttare come energia. I lavoratori cambiano il loro modo di lavorare in base
alle innovazioni tecnologiche introdotte → cambiamenti lenti, quindi non vi è un radicale
mutamento delle condizioni lavorative. Quando nascono le prime fabbriche, vengono
fortemente ostacolate, da parte delle industrie artigiane e delle corporazioni che si
contraddistinguevano per qualità. Le prime macchine industriali (vi è stata una graduale
sostituzione del capitale umano, la forza-lavoro, con forza-capitale) permettevano la velocità
nella produzione, ma anche ahimè l‟abbassamento della qualità: tali attività di lavorazione
industriale non richiedevano particolari abilità. La velocità si esplica nella sostituzione a 8
persone di una sola macchina, nella sua produttività. Ma siamo ancora in una fase transitoria,
in cui le attività manifatturiere hanno un ingente peso. Solo con l‟introduzione della macchina
a vapore (1830-1840) si sviluppa la grande fabbrica con centinaia di lavoratori. L‟ODL diventa,
così, un problema complesso perché i lavoratori non hanno le stesse capacità di svolgere le
mansioni → si creano delle sequenze obbligate: all‟interno delle singole fasi vi sono:
 attività non specializzate;
 attività svolte con lavoro estremamente qualificato.
La macchina va, tendenzialmente, a sostituirsi al lavoro non qualificato che non richiede
grosse abilità manuali. Comunque vi sono diverse resistenze da parte dei lavoratori non
specializzati, i quali hanno paura di perdere il posto di lavoro. Il rapporto tra lavoratore
generico e operaio specializzato (= aristocrazie operaie, rappresentano le eccellenze):
l‟operatore non specializzato rispetta e individua quello specializzato
→ differenza retributiva
Per divenire operaio specializzato (oggi):
formazione scolastica (= conoscenza)
+
esperienza
=
professionalità.
Ai tempi l‟istruzione era ridotta all‟osso, e si imparava il “mestiere” guardando gli altri,
mediante le conoscenze tacite, imparando sul campo, senza che esplicitamente venga previsto
un manuale (questo è un metodo più intuitivo, si impara dal lavoro altrui). In pratica non
esistevano testi scritti e il lavoratore specializzato si trovava in posizione di vantaggio per i
seguenti motivi:
 il datore di lavoro non ne poteva fare a meno;
 veniva pagato di più;
 veniva a esso riconosciuta una posizione di supremazia.
Il lavoratore generico aveva l‟opportunità di maturare con il tempo in termini di esperienza, e
quindi poteva divenire, col tempo, a sua volta, un lavoratore specializzato così traeva i
seguenti vantaggi:
 guadagnare di più in termini economici;
 guadagnare di più in termini sociali, anche al di fuori della fabbrica.
In seguito anche l‟operatore specializzato comincia ad aver paura della tecnologia, la quale
potrebbe “rubargli la scena”. Infatti l‟impiego della forza lavoro qualificata comincia a variare
in base al settore:
 settore metallurgico: caratterizzato da sempre da forza-lavoro non qualificata;
 settore meccanico: la forza-lavoro qualificata adottata si aggira intorno al 60%, poiché
all‟epoca non erano tante diffuse le macchine utensili, quindi non vi è il sufficiente
grado di precisioni (ossia le opere effettuate sono simili, ma non identiche) → così era
necessaria la fase di aggiustaggio,al fine di aggiustare i dettagli per ottenere un
prodotto standardizzato (in realtà non è sufficientemente standardizzato).
La standardizzazione è sintomo di abbondanza di capitali e scarsità di forza-lavoro. Vengono,
così, diffuse le macchine-utensili, le quali permettono un‟estrema precisione: tale sistema è
denominato sistema americano di standardizzazione manifatturiero, caratterizzato da:
 il prodotto finale standardizzato;
 i componenti del prodotto devono essere sostituibili.
A introdurre tale sistema sono le aziende meccaniche, in particolare:
 la meccanica leggera;
 le armi (la Colt);
 le macchine da cucire (la Singer);
 le serrature (la Yale).
Il sistema americano rappresenta primo elemento ad abbattere il forte potere dell‟operaio
specializzato, in Europa non si diffonde subito a causa di:
 il numero ingente dei lavoratori;
 tali lavoratori oppongono resistenza.
L‟avvento del sistema è importante all‟inizio del „900 e così nascono due importanti strutture
organizzative:
Taylorismo, organizzazione scientifica del
Fordismo
lavoro
Teoria elaborata da Taylor, il quale formula Struttura nata da Ford, il quale cerca di
dei principi osservando gli operai a lungo nello riorganizzare la suddivisione del lavoro così
svolgimento di una mansione (anche semplice) facendo:
e scopre che non tutti la svolgono nel
 egli parte da alcune idee espresse da
medesimo modo. Così formula una teoria
Taylor;
basata sull‟ottimizzazione di ogni lavoro,
 bisogna aumentare la produzione e la
prevedendo dei criteri al fine di giungere
produttività.
all‟efficienza, tenendo conto che il lavoro è
svolto per tutta la giornata e per tutta la
vita, suddividendo il lavoro in fasi. Tali studi
vengono applicati da molte fabbriche.
↓
Un sistema di questo genere è stato
inventato dall‟Ingegnere Bedaux, il quale
stabilisce la quantità di lavoro che si riesce a
fare in un minuto, moltiplicandolo per 60, così
da ottenere la quantità di lavoro esatta da
svolgere in un‟ora → pagamento al lavoratore
in base a quanto produce in un‟ora. Se un
lavoratore riesce a produrre di più, allora
sarà incentivato mediante un reddito
superiore.
Bisogna prendere in considerazione due
variabili:
 I variabile: il costo totale di
produzione;
 II variabile: il salario degli operai.
Quando scende il costo di produzione,
aumenta il salario degli operai. Così si passa
da un bene d‟élite a un bene di massa. Finora
la produzione complessa necessita di fasi
sequenziali affiancate da diverse strutture
organizzative. Ford, inoltre, elabora il
principio della catena di montaggio, nella
quale l‟operaio lavora stando fermo in un
punto al fine di lavorare meglio, ottimizzando
le fasi del processo produttivo in termini di
tempistica. L‟operaio svolge sempre le stesse
mansioni, senza spostarsi da un luogo all‟altro,
dal punto di vista spaziale. La prima catena di
montaggio nasce nel 1912 a Detroit, che però
porta agli eccessi → vengono tagliati tempi e
costi di produzione, però essa richiede
notevoli spazi orizzontali. Nel 1925 (dopo la I
guerra mondiale) il prodotto finale costa
molto meno e si velocizza la produzione
(tipico esempio della ford T). Il successo di
Ford era dato dal fatto che i suoi stessi
operai potessero comprarsi la macchina
prodotta da loro stessi.
Welfare aziendale: benefits extra che
l‟azienda non è tenuta a offrire, ma che
rendono più agevole l‟impegno lavorativo. La
catena di montaggio non viene sempre
accettata,
spessa
infatti
è
stata
protagonista e teatro di lotte sindacali, ma
ciò non toglie il fatto che rappresenti un
modello efficiente.
Al di fuori degli USA: caso italiano
Tra il 1916 e il 1922 la Fiat costruisce lo stabilimento Torino Lingotto, concepito come un
modello diverso rispetto a quello della Ford, infatti è caratterizzato dallo sfruttamento
verticale degli spazi. Infatti vi è una forte differenza tra produzione americana e italiana:
 il mercato americano è più ampio in termini di dimensioni;
 la situazione economica italiana è arretrata, infatti solo pochi possiedono il capitale
necessario per acquistare un‟automobile.
I direttori tecnici della Fiat, tra cui Vittorio Valletta, fanno una spedizione a Detroit per
vedere se la logica fordista può essere esportata in Italia. Grazie a tale trasferta si rendono
conto che i costi di produzione nel nostro continente sono ancora molto alti, cosicché molti
italiani non si possono permettere di comprare l‟auto (infatti se i costi di produzione sono alti,
saranno alti anche quelli di vendita): un operaio può permettersi di comprare solo 1/4
dell‟automobile più economica venduta dalla Fiat. Nel 1939 così viene aperto lo stabilimento
Torino Mirafiori, solo che subito dopo scoppia la II guerra mondiale, e quindi tutte le
produzioni si fermano. Dopo la II guerra mondiale tale stabilimento diviene la più grossa
concentrazione operaia esistente in Italia, proprio perché viene sviluppata la catena di
montaggio. Tale sistema produttivo è caratterizzato da una scarsa qualità, cosicché viene
considerato con diffidenza: infatti si pensa a un modo di produrre non di qualità nella
percezione collettiva → scarso successo del modello Ford in Italia.
Come più volte specificato, il fordismo è quella produzione di massa la quale ha la funzione di
ridurre i costi e allargare il mercato. Tale sistema di produzione entra in crisi dopo la II
guerra mondiale, tra gli anni 1950-1973, periodo che corrisponde alla fase di crescita delle
economie più avanzate. Nel 1937 scoppia il I shock petrolifero, il quale inaugura un forte
periodo di crisi. Fino al 1973 il sistema economico americano è caratterizzato da:
 crescita del PIL e del PIL pro-capite;
 crescita della produzione fordista.
Dopo il 1973 il sistema fordista entra in crisi, infatti in molti casi vi è un‟attiva partecipazione
degli operai alla vita dell‟impresa, caratterizzata dall‟attento ascolto delle loro osservazioni →
capacità individuali del singolo operaio, anche tra gli operai che svolgono la medesima
mansione. Quindi vi è una maggiore solidarietà tra i lavoratori. Tali principi vengono ripresi e
valorizzati mediante il modello di organizzazione denominato modello di produzione snella
(nato in Giappone) caratterizzato da una lavorazione artigianale, la quale è sensibile ai gusti
del consumatore. Esso viene adottato per la prima volta negli anni ‟70 in un‟altra industria
automobilistica: la Toyota, infatti tale modello viene anche denominato toyotismo. All‟interno
di tale modello vi è un rovesciamento radicale dell‟ottica, rispetto al fordismo: in quest‟ultimo
modello citato vi era un forte legame tra volume della produzione e volume di vendita,
successivamente durante gli anni ‟70, a seguito della crisi petrolifera, ci si ritrova ad avere
eccessivi avanzi di magazzino. Il toyotismo, invece, è basato sulla produzione in funzione alla
quantità delle vendite, in pratica non si programma (come nel modello fordista) la produzione
da monte a valle. Ciò impone:
 la produzione di un certo numero di autovetture in un determinato periodo;
 i componenti devono essere pronti esattamente quando sono necessari in modo tale da:
 eliminare gli sprechi;
 snellire il processo produttivo.
In definita la produzione/fabbrica snella si fonda su 3 principi complementari tra di loro:
 il just in time, secondo il quale la componentistica deve giungere ed essere pronta al
momento giusto, nella quantità necessaria;
 l‟autoattivazione, secondo cui l‟operaio non deve essere un semplice strumento di
lavoro, ma deve anche essere in grado di intervenire in maniera appropriata in caso di
anomalie, al fine di eliminarle (→ qualità elevata);
 il lavoro di squadra, secondo il quale si valorizza la responsabilità in capo a ciascuno; i
gruppi controllano e autogestiscono la produzione → solidarietà tra i lavoratori.
L‟operaio sempre meno svolge un semplice lavoro manuale, ma lavora a livello di coordinamento
tra i vari macchinari, così attenuandosi la differenza tra i colletti bianchi (= gli operai) e i
colletti blu (= gli operai, per l‟appunto). Le diverse fasi del lavoro sono tutte importanti per la
produzione ottimale del prodotto finale. Il toyotismo ha un grande successo, infatti la Toyota
diventa il secondo gruppo leader nella produzione automobilistica in 20-25 anni → la
produttività per addetto è di 4-5 volte superiore rispetto alle altre cause automobilistiche
europee e americane, le quali continuano imperterrite a utilizzare i sistemi di produzione
vecchi.
Ruolo dell‟innovazione nella storia d‟impresa
L‟innovazione può essere di prodotto, di processo, di organizzazione, inerente all‟adozione di
determinate politiche di marketing, inerente all‟adozione di particolari ed efficienti politiche
dei costi, ecc.. Shumpeter si è occupato molto di innovazione: secondo tale studioso la
capacità di un‟impresa di innovare è alla base del suo sviluppo, l‟impresa che non innova è
destinata a morire. Ancora lo stesso parla di distruzione creativa,teoria secondo la quale
l‟innovazione spazza via le vecchie imprese e le loro tecnologie obsolete. Inoltre Shumpeter
distingue tra innovazione e invenzione, definendo la prima come una teoria suscettibile di
essere tradotta in pratica, e la seconda come un‟idea geniale che sta sul piano teorico, però.
Parla anche di innovazioni a grappolo (= a ondate cicliche), le quali sono concentrate nello
spazio e nel tempo: gli innovatori ottengono così un vantaggio competitivo. Quando tale
vantaggio viene meno, la crescita si arresta e il ciclo economico si inverte, finché non nascono
nuove innovazioni. Sono 3 i cluster dell’innovazione che vengono individuati da Shumpeter in
compagnia di un economista russo Kondratiev, i quali:
I cluster =
innovazioni
tipiche della I
rivoluzione
industriale,
quali l‟industria
del cotone e
quella
metallurgica.
1814
1789
III
cluster
=
innovazioni tipiche
della
II
rivoluzione
industriale, quali il
settore
dell‟elettricità, la
chimica, l‟acciao, il
motore a scoppio,
ecc..
II
cluster =
boom
delle
ferrovie
in tutto il
mondo.
1873
1849
1920
1896
1940
Il progresso tecnico, quindi, avviene per effetto di una spinta endogena, all‟interno della
stessa impresa, o per effetto di una spinta esogena, all‟esterno dell‟azienda. Ancora lo stesso
progresso può derivare da: la crescita della domanda (facendo in modo di produrre di più) e il
cambiamento scientifico e tecnologico sia rispetto al processo organizzativo che a quello
relativo ai prodotti. Difficile percepire le logiche alla base di tale processo tecnologico, esso
infatti veniva liquidato come una variabile residua la quale non si riusciva a spiegare con altre
variabili. Questa situazione è cambiata quando la tecnologia e l‟innovazione hanno cominciato a
svilupparsi al di fuori dell‟impresa → si determina così un più forte legame tra scienza (=
ricerca) e industria. A metà dell‟800 la ricerca diventa una componente fondamentale per una
sempre maggiore propensione all‟innovazione tecnologica, con conseguente elevata
qualificazione dei lavoratori (anche a livello operaio) e un più alto grado d‟istruzione a essi
richiesto (componente fondamentale per le innovazioni tecnologiche applicate in concreto
durante il processo produttivo). A questo punto entra in gioco lo Stato, il quale comincia a
garantire il servizio d‟istruzione. Gli obiettivi statali sono i seguenti:
 alfabetizzazione;
 istruzione di livello superiore (tecnici, periti, ecc.);
 istruzione universitaria.
Il processo delle innovazioni è condizionato fortemente dal passato: path dependence, teoria
formulata da Paul David, per il quale il processo produttivo dipende anche dal caso e dal
percorso di sviluppo (caso della tastiera QWERTY, la quale si afferma con prepotenza grazie
a fattori casuali, utilizzata ancora ai giorni nostri). Quando si afferma un‟innovazione:
 alcuni imprenditore ne fanno uso;
 altri rimangono attaccati al sistema precedente (tradizionale).
Secondo Shumpeter l‟innovazione spinge l‟imprenditore che non la adotta a:
 uscire dal mercato;
 riconvertirsi alla nuova tecnologia.
Altri studiosi hanno ipotizzato che l‟imprenditore il quale mantiene la vecchia tecnologia,
segue comunque i passi della nuova → effetto sailing ship: nel settore in cui opera la nuova
tecnologia non risulta conveniente (= geografia produttiva). Ancora vi è da aggiungere che la
tecnologia matura, prima di divenire obsoleta, produce ancora un certo margine di
investimento, ossia l‟impresa riesce a gestire per un certo periodo di tempo la sua presenza
sul mercato, in cui valuta se uscire dal mercato perché non può fronteggiare l‟utilizzo della
nuova tecnologia, o se adottarla. Comunque occorre vedere se vi è spazio al fine di inserirsi
nell‟innovazione. Un ruolo importante è giocato dalle innovazioni tecnologiche e in particolare
dall‟istruzione necessaria per intraprenderle: in particolare la ricerca può essere:
 esterna: praticata da università e centri di ricerca specializzati;
 interna: praticata all‟interno dell‟azienda nella divisione ricerca e sviluppo, soprattutto
dalle grandi imprese.
Nei contesti geografici in cui si sono sviluppate in prevalenza piccole/medie imprese, lo Stato
ha il compito di supportare queste per quanto riguarda il campo della ricerca e dello sviluppo.
La divisione ricerca e sviluppo è fondamentale all‟interno di imprese che puntano sul lancio di
un nuovo prodotto interessante → effetto paradossale: a volte trascorre molto tempo dal
momento della scoperta a quello della commercializzazione; in realtà si tende ad accelerare
l‟introduzione dell‟innovazione, senza soffermarsi troppo a verificarne l‟efficienza. Spesso
essa nasce da un tentativo precedentemente fallito → spingere a innovare di continuo non
deriva da un intenzione aziendale, ma da un‟imposizione esterna, dettata dalla concorrenza.
Infatti se l‟impresa non innova, a lungo termine risulta perdente, tendenzialmente ritrovandosi
in difficoltà: per questo motivo risulta così importante per la stessa di ritagliarsi un piccolo
spazio in tali termini al fine di sopravvivere nel mercato; al contrario si ritroverebbe a dover
uscire dal mercato. Le innovazioni, comunque, sono caratterizzate da:
 importanza al fine di entrare nel mercato;
 proposta di un prodotto di qualità a un buon prezzo;
 ossessione, nel senso che non se ne può fare a meno: l‟impresa in generale punta tutto
su di essa.
Distribuzione commerciale → storia del marketing
I fattori che possono determinare il successo/l‟insuccesso nel mercato e nei confronti dei
concorrenti sono spesso dettati da politiche di marketing. Ciò è risultato molto interessante
per gli studiosi di storia, ma poco interessante per gli economisti. Ad es. la concorrenza
perfetta è quel modello teorico secondo il quale l‟impresa opera in regime di monopolio (una
sola impresa presente sul mercato), che non ha alcun interesse a pubblicizzare la propria
attività. Situazione diversa quella dell‟oligopolio, per il quale poche imprese sono presenti sul
mercato. Per fortuna non tutti gli economisti snobbano la storia d‟impresa, e più nel dettaglio
la storia del marketing: Alfred Marshall ne è un esempio. Egli è un economista che valuta e
riconosce il ruolo dell‟imprenditore, il quale appunto ha un ruolo attivo nel costruirsi un
mercato e sarà sempre alla ricerca di nuovi sbocchi. Tale studioso è in contrasto con il
principio di Jean-Baptiste Say, per il quale basta la produzione di un singolo bene al fine di
creare il mercato. Marhall, al contrario, sostiene che se l‟imprenditore riesce a influenzare il
mercato, allora può orientare la produzione ottenendo un ruolo di rilievo niente affatto
neutro. Marketing = insieme di aspetti: distribuzione commerciale, ricerche di mercato,
politiche di vendite, pubblicità, marche, analisi di comportamento del consumatore, ecc. Oggi
la definizione di marketing è un concetto molto esteso e sviluppato. In passato, non era così:
dalla seconda metà dell‟800 in poi ha guadagnato sempre più rilievo all‟interno delle imprese.
Evoluzione del marketing
Due periodi in particolari vengono presi in considerazione per spiegare come il marketing è
nato, e come si è evoluto → due punti di vista differenti, i quali hanno dei punti in comune, ma
che sono in disaccordo:
1. history of marketing thought:storia del pensiero del marketing che serve a capire
quanto è nato e i quale momento ha cambiato struttura. Sono 4 le ere individuate nella
storia del marketing:
a) 1900-1920 circa: era di fondazione del marketing, nascita del marketing →
all‟interno della business school americana venivano proposti corsi in tale
materia e si comincia a riflettere sempre di più in merito alle sue tematiche. In
questa prima fase il marketing si occupa prevalentemente di distribuzione
commerciale;
b) 1920-1950 circa: si assiste a un consolidamento formale del marketing (= il
marketing è a tutti gli effetti una didattica riconosciuta a livello universitario,
nei quali vengono istituiti specifici dipartimenti; inoltre vengono pubblicate le
prime riviste specializzate, e contestualmente nascono le prime figure
professionali come manager ad hoc o all‟interno delle imprese e professionisti).
Ci si occupa soprattutto di strategie delle imprese e problemi di posizione
dell’impresa nel mercato;
c) 1950-1980 circa: cambiano i paradigmi tradizionali del marketing, si
manifestano due tendenze diverse in un contesto in cui esplode il mercato di
massa, si sviluppa la concorrenza e le spese inerenti al marketing aumentano. Da
un lato alcuni ritengono fondamentale effettuare stime/analisi in ambito
matematico-statistico al fine di ricavare delle approssimazioni in merito alle
indagini di mercato. Dall‟altro lato vi è l‟esigenza di analizzare in maniera
dettagliata il mercato per comprendere i flussi/le tendenze dei consumatori,
mediante un approccio più antropologico, servendosi di un‟opportuna analisi
qualitativa (e non più quantitativa), nella quale non si giunge a un numero, ma
vengono utilizzate altre categorie analitiche. Sempre all‟interno di questo
contesto nasce il marketing mix,per il quale vengono individuate le 4 leve del
marketing su cui si fa riferimento: prodotto, prezzo, distribuzione e
comunicazione;
d) dopo il 1980: fase di frammentazione del pensiero dominante del marketing →
mainstream. La crisi del fordismo determina anche la crisi delle logiche a esso
applicate. Tale periodo è caratterizzato, infatti, dalla globalizzazione, la quale
fa cambiare il contesto internazionale, ma in termini di marketing continuano a
sussistere le due variabili caratterizzante il periodo precedente (quantitative e
qualitative);
2. viene anche analizzato un altro approccio da parte di uno studioso americano, il quale
considera come punto di partenza il lavoro delle grandi imprese (sempre in termini di
marketing): Richard Tedlow, studioso di business history che lavora a Harvard. Egli
individua una vera e propria periodizzazione, suddivisa in 3 fasi principali, alle quali
successivamente ne è stata aggiunta una quarta:
a) dalla II metà dell‟800 fino al 1880: fase in cui non vi è un‟attività di marketing,
in un ben definito modello, poiché il mercato americano di quel periodo è un
mercato frammentato, non integrato in cui vi è una concorrenza ridottissima;
b) 1880-1950: si sta completando la costruzione delle ferrovie, la quale è una delle
condizioni fondamentali perché il mercato si sviluppi a livello nazionale (in
precedenza i costi di trasporto erano proibitivi). Negli USA, il mercato a scala
nazionale si sviluppa in modo graduale dopo la I guerra mondiale. In realtà vi
sono già delle produzioni di massa grazie a un tenore di vita piuttosto alto e un
alto livello di innovazione tecnologica. Con la nascita e l‟espansione del mercato
di massa emerge anche l‟importanza della marca, la quale ha la funzione di
essere il segno distintivo di un determinato prodotto, che rende riconoscibile il
medesimo al consumatore tra gli altri commercializzati (i quali sono simili). A
volte essa si identifica con il produttore e/o con il distributore. Per ridurre i
costi e per favorire lo sviluppo del mercato di massa le imprese hanno adottato
le politiche di marketing in diversi contesti offrendo beni di largo consumo
facilmente standardizzabili. Alla nascita della marca l‟America è in procinto di
mutare i processi di distribuzione a livello nazionale (nascita del supermercato):
i prodotti vengono acquistati dai fornitori di materie prime in grandi quantità, i
quali vengono smistati dall‟azienda in base alle esigenze del consumatore →
distribuzione al dettaglio presente capillarmente nel territorio mediante piccole
unità. Conseguenze:le quantità sono personalizzate al cliente, l‟assortimento è
ridotto, la fiducia tra venditore e consumatore è elevata, i fornitori sono vicini
→ il marketing, in tale contesto, non può avere rilievo. In ambito nazionale
queste imprese devono adottare politiche di comunicazione, quali la pubblicità,
che si evolve nel tempo: giornali, locandine, utilizzo di colori, formati, imballaggi,
ecc.. Le strategie cambiano con l‟arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione;
divengono importanti così spot radiofonici e televisivi dedicati a prodotti e/o
sponsor di trasmissioni radio/TV intrapresi dalle imprese per pubblicizzarsi
(dedicandosi soprattutto alle massaie). All‟inizio le campagne promozionali erano
semplici e non mirate a specifici segmenti di clientela: si promuove un prodotto
di unico formato dedicato al numero più alto possibile di potenziali acquirenti;
c) dopo il 1950: cambia radicalmente la società. Esplode la radio, e soprattutto la
TV; l‟offerta di prodotti è aumentata di parecchio e la concorrenza è maggiore.
Al fine di ritagliarsi una quota di mercato si comincia a segmentare il mercato
per età, condizione sociale, condizione culturale, decidendo così a quale target
di clientela indirizzarsi. Le generazioni più giovani risultano meno sensibili al
prezzo, ma piuttosto lo sono a questioni simboliche legate allo status. Per questi
motivi vengono ridisegnate le strategie aziendali, estendendo il proprio
assortimento mediante ricerche di mercato sempre più evolute e
contemporaneamente le campagne promozionali creano mercati relativi a un
prodotto nuovo;
d) fase aggiunta di ipersegmentazione, mediante lo sviluppo delle innovazioni
tecnologiche telematiche/informatiche. Anche il consumatore cambia, diventa
più reattivo alle campagne pubblicitarie/promozionali (grazie alla possibilità di
feedback, rispetto chi ha già usufruito di un prodotto/servizio).
Nell‟ipersegmentazione si parcellizza la clientela allo scopo di vendere al singolo
cliente ciò che esattamente si aspetta (→ personalizzazione).
Il modello di Tedlow è stato criticato, soprattutto per la seconda e la terza fase: le critiche
riguardano il fatto che egli identifichi la distinzione generazionale solo dopo il 1950. Infatti
nel settore automobilistico tale distinzione generazionale si presenta già dagli anni ‟30, ma per
Tedlow l‟industria dell‟automobile rappresenta solo un‟eccezione.
Resto del mondo
Per molto tempo in Europa e in Italia sono state trascurate le logiche del marketing, le quali
giungono nel continente solo dopo la II guerra mondiale (intorno al 1950) grazie ai seguenti
motivi:
 le imprese americane si sono associate a quelle europee;
 alcune delle multinazionali americane hanno sede anche in Europa.
Nei periodi precedenti il marketing esisteva, ma risultava notevolmente frammentato: le
imprese per far conoscere i prodotti, prima della II guerra mondiale, si affidavano a degli
agenti. Ancora le strategie di marketing utilizzate erano quelle inerenti la sponsorizzazione di
varie iniziative, tra le quali eventi per attirare la curiosità dei potenziali clienti, e quelle di
fidelizzazione del cliente (anche in Italia). In generale comunque le attività di marketing
compaiono solo dopo la II guerra mondiale, come già in precedenza detto, infatti nel periodo
precedente, per molti prodotti non esisteva ancora un mercato di massa a livello nazionale.
Distribuzione commerciale: premessa
Le considerazioni finora fatte hanno riguardato in prevalenza la vendita del prodotto finale;
infatti il materiale a disposizione per quanto concerne i passaggi intermedi non è di certo di
portata consistente. Le tematiche di marketing, comunque, hanno preso spunto e sono nate
negli USA. Nella prima metà dell‟800 l‟America è caratterizzata da economie ineguali, il nord è
più sviluppato, mentre il sud comprende un‟economia rurale basata sullo schiavismo. Nel 1860
Lyncoln abolisce la schiavitù, ma il Sud Carolina non è d‟accordo, così scoppia la guerra di
seccessione con conseguente sconfitta del sud. Le maggiori trasformazioni avvengono nel
nord, ma le prime imprese intermediarie sorgono al sud, in particolare:
 l‟agente commissionario, che fa tramite alle economie basate sulle piantagioni e il
mercato. Da un lato si occupa di piazzare il prodotto sul mercato (in uscita) e dall‟altro
si occupa di procurarsi le materie prime per produrlo (in entrata);
 il grossista indipendente, intermediario che di fatto non giunge direttamente al
consumatore finale, ma compra beni che sono importati negli USA, in grandi quantità,
trasferendole successivamente ai consumatori finali. Egli, in pratica, fa da tramite tra
il compratore e il dettagliante.
La figura dell‟agente commissionario decade dal 1865 in avanti, con la guerra di seccessione,
mentre il grossista diventa sempre più rilevante dalla metà dell‟800 fino al 1880. In seguito
anche questa figura che occupa la scena americana viene soppiantata da nuove forme di
intermediazione. Nascono così i department stores alla vigilia della guerra di seccessione, in
alcune grandi città dell‟est. Questi hanno successo (nel 1860) perché in un unico luogo viene
venduta una ampia varietà di beni (una sorta di grandi magazzini in cui vengono venduti sia beni
alimentari che non alimentari → di sovente si specializzano nell‟abbigliamento). Sempre negli
USA, si afferma la vendita per corrispondenza, secondo la quale viene consegnata la merce a
domicilio, anche grazie a uno sviluppo efficiente dei trasporti (logica diversa: il venditore si
reca dall‟acquirente, e non il contrario). Le caratteristiche dei department stores e della
vendita per corrispondenza sono le seguenti:
 le scorte girano più velocemente;
 i profitti conseguiti sono più consistenti.
Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 nascono le catene dei negozi, facilmente riconoscibili e
che sono specializzate nella vendita di particolari prodotti (ad es.: drogheria e/o prodotti non
facilmente reperibili e non stoccabili, ma trasportati semplicemente). Particolarità: nascono le
cosiddette vendite a prezzo unico (ad es. “Tutto a 1$”): sistemi dei profitti effettuati sulla
quantità venduta. I prodotti venduti da tali sistemi, però, sono spesso non di qualità e riferiti
a una clientela medio-bassa. Tali punti vendita nascono nelle grandi città, e poi si diffondono
anche nei centri urbani medi. Queste distribuzioni coinvolgono imprese specializzate: vi è una
netta separazione tra aziende produttrici e distributrici; alcuni produttori cominciano a
specializzarsi anche nella distribuzione. Ancora esse operano in settori particolari; le cause a
fronte dell‟offerta di un prodotto caratterizzato da una natura particolare sono:
 bene dalle caratteristiche particolari, ad es. deperibile;
 bene che necessita una determinata procedura per il trasporto, come nel caso delle
pellicole fotografiche.
Per evitare che tale prodotto non arrivi in buone condizioni al consumatore finale, a causa del
distributore, il produttore si specializza anche nella distribuzione, in caso di:
 beni strumentali per i quali necessita una fase d‟installazione e/o servizio post-vendita
come nel caso di macchinari;
 beni per cui il produttore preferisca un‟interfaccia diretta con il cliente.
Negli anni ‟20-‟30 nell‟America caratterizzata da uno sviluppato mercato di massa, nascono i
primi self service, intesi nel senso di supermercato alimentare. Il primo sorge nel 1916 a
Memphis, ma il vero e proprio successo avviene solo a partire dagli anni ‟30, nonostante la crisi
internazionale in corso. Alla fine degli anni ‟40 negli USA i self service sono ancora pochi, ma
con un ingente giro d‟affari. La novità introdotta dal supermercato self service è quella del
mutamento della logica rispetto al punto vendita. Infatti il supermercato è caratterizzato da:
 ambiente invitante e accogliente;
 atmosfera che stimola l‟acquisto;
 atmosfera piacevole, la quale è studiata da far vivere un‟esperienza coinvolgente a i
propri visitatori, che saranno così disposti a spendere più dello stretto necessario,
aumentando così il giro di affari dei consumi.
L‟importanza del vendere un‟elevata quantità di prodotti sta nel fatto che:
profitto elevati
SOLO SE
alti volumi di acquisti
Tutto all‟interno di tali punti vendita è studiato da comportamentisti specializzati nelle
materie di marketing.
In Europa e in particolare in Italia
Queste nuove forme di vendita non si affermano tutte sul continente, e nemmeno con le
stesse caratteristiche per i seguenti motivi:
 l‟Europa è più densamente popolata rispetto agli USA;
 la formula prevalente è quella della vendita al dettaglio; questa è profondamente
radicata nella mentalità collettiva, atta a rivolgersi a piccoli esercizi commerciali di
vario genere.
Dopo la II guerra mondiale vi è un‟influenza sempre più marcata del modello americano,
soprattutto a partire dagli anni ‟70 in poi il mercato si diffonde anche in Italia, peraltro non
senza ostilità, per lo più si tratta di:
 imprese straniere;
 imprese italiane, le quali avevano sì una maggiore conoscenza del mercato italiano, ma
anche caratterizzato da una forte resistenza, da parte dei dettaglianti, nei confronti
di tali tipologie d‟impresa.
La mentalità collettiva è indirizzata verso acquisti effettuati in base alla fiducia nel
venditore, fatto totalmente sostenuto dai trasporti non ancora efficienti. Infatti nei piccoli
centri non vi era la possibilità di ricevere i prodotti necessari, così erano diffusi due tipi di
distribuzioni, atti a ottemperare a tali carenze:
 dal 1880 ci si affidava al commerciante girovago, il quale vendeva prodotti non
abitualmente smerciati dai piccoli esercizi commerciali presenti nel territorio
circostante. Molto sviluppata era la vendita porta a porta al fine di fornire i
consumatori direttamente a domicilio;
 fiere di paese con la funzione di avvicinare determinate produzioni di eccedenze
agricole e/o di particolari prodotti irreperibili nel paese di riferimento a causa di un
bacino d‟utenza troppo basso. Le fiere sono tuttora esistenti a titolo di tradizione
culturale, perdendo così la loro originale funzione. Oggi come allora hanno cadenza
regolare e rappresentano un appuntamento fisso per i residenti i quali vogliono
acquistare un particolare tipo di bene.
L‟affermazione dei grandi magazzini in Europa è contestuale, se non addirittura precedente, a
quella americana. Il primo grande magazzino nasce a Parigi ed è denominato Bon Marché,
destinato ad acquisti a prezzi ragionevoli. Sempre a Parigi nasce Le Printemps e La
Samaritane anch‟essi rivolti a clienti interessati a prodotti a buon mercato. Per andare
incontro anche a clienti più esigenti, pronti a spendere qualcosa in più nasce anche Le Louvre.
La nascita di questi sistemi di punti vendita, soprattutto in campo dell‟abbigliamento non più
sartoriale ma confezionato, si diffonde ovunque in Europa, e quindi anche in Italia. Qui infatti
il primo grande magazzino sorge a Milano ed è denominato Aux villes d’Italie nel 1877 da una
famiglia di imprenditori milanesi: i fratelli Ferdinando e Luigi Bocconi, i quali si occupavano già
da tempo di abbigliamento confezionato. Il punto vendita ha un successo veloce e si diffonde
soprattutto nel centro-nord. Con la morte dei proprietari però comincia a soffrire qualche
problema, così viene rilevato da altri imprenditori e rilanciato con un nuovo marchio, creato da
Gabriele D‟Annunzio: La Rinascente. Successivamente nascono altri grandi marchi. Dopo la
crisi del ‟29, infatti, nasce l‟UPIM (= Unico Prezzo Italia Moda), ispirandosi al modello
americano, che propone a prezzi definiti capi d‟abbigliamento economici, e nel 1939 vi sono 57
punti vendita dislocati su tutta la penisola. Nei primi anni ‟30, un ex manager della UPIM fonda
la Standa, la quale nel 1939 conta circa 40 punti vendita sul territorio italiano. Diversa è la
storia della Coin, creata da V.Coin, il quale nel 1916 possedeva la licenza da mercante
ambulante legata a tessuti e abbigliamento confezionati. Nel 1926 Coin in compagnia dei figli
apre il primo punto vendita, in seguito ne aprono altri concentrati soprattutto nella provincia
di Venezia, della quale la famiglia di imprenditori è originaria. L‟offerta di tali negozi riguarda
prodotti di qualità, ma non di lusso. Dopo la II guerra mondiale il numero di punti vendita
aumenta prepotentemente e nel 1968 la Coin dà vita a un‟altra catena, appartenente al
medesimo gruppo, l‟Oviesse (= Organizzazione Vendita Specializzata) al fine di piazzare e
vendere i prodotti invenduti da Coin sul mercato. In seguito altri grandi magazzini nascono,
quasi tenendo il passo con la nascita di quelli americani: situazione nettamente differente nel
caso dei supermercati, essi non decollano mai come accade in America.
PR (= relazioni pubbliche)
Le relazioni pubbliche sono intese come una vera e propria necessità di interfacciarsi con il
mondo esterno e sul mercato. Hanno origine negli USA perché:
 sono strettamente collegate alla nascita della grande impresa;

vi è una marcata esigenza da parte della grande impresa di proporre all‟esterno
un‟immagine positiva di sé.
All‟inizio si faceva riferimento soprattutto alla figura dell‟addetto stampa,il quale aveva la
funzione di far uscire le notizie (spesso manipolate ad hoc) in maniera tale da rispondere a
malumori venuti fuori nel pubblico o più semplicemente per prepararlo a un cambiamento non
facilmente digeribile da esso (come ad es. fatti che penalizzano l‟utile a scapito dei
risparmiatori e/o scelte che riguardano i lavoratori). Solo successivamente l‟attività di PR
diviene più strutturata e svolta secondo cadenze periodiche, al fine di meglio interfacciarsi
nei confronti della società civile. Logica resasi necessaria già negli anni ‟30, ma che si è
estremamente sviluppata solo dopo la II guerra mondiale, le pubbliche relazioni, cioè,
diventano sempre meno trascurabili. Infatti molte imprese sono meno tollerate, soprattutto
le multinazionali sono vittime di diffidenza. Le funzioni di tali attività riguardano:
 l‟ampliamento del consenso pubblico;
 l‟aumento esponenziale della propria clientela.
La prima iniziativa viene intrapresa da ATT, compagnia telefonica americana, la quale nella sua
campagna sottolinea il fatto che comunicare telefonicamente sia uno strumento:
 di avvicinamento dei centri urbani alle città;
 che sia divenuto indispensabile.
Infatti in America la rivoluzione dei trasporti ha comportato anche la rivoluzione della
comunicazione, con l‟introduzione di due importanti innovazioni, quali il telegrafo e
successivamente il telefono. Già a fine dell‟800 vi sono molti abbonati, ma sono perlopiù
circoscritti alle grandi città, infatti il numero di abbonamenti nei piccoli centri è decisamente
basso, se non in qualche caso addirittura inesistente. L‟attività di pubbliche relazione
intrapresa da ATT si rivolge proprie a questi piccoli paesi, comunicando a essi che grazie al
telefono possono facilmente sentirsi più vicini alle grandi metropoli, annullando così la
distanza geografica e unendo la nazione. Grazie a tale campagna, quindi, non si vende
semplicemente un servizio, ma si comunica una vera e propria funzione sociale la quale,
ovviamente, va ben oltre la stretta necessità, rendendo così la comunicazione più convincente.
Nascita, evoluzione, ridefinizione della contabilità
La contabilità si è evoluta seguendo, a livello indicativo, 3 fasi:
1. nascita generale della contabilità ordinata;
2. nascita ed evoluzione del bilancio;
3. aspetti legati alla funzione della contabilità come strumento interno.
Nascita generale della contabilità ordinata
La contabilità nasce contestualmente all‟esigenza di annotare delle informazioni relative
all‟impresa: in questi termini essa è sempre esistita, dacché esistono le attività commerciale in
tutte le loro forme (prescindendo da qualunque vincolo legislativo) → esigenza irrinunciabile.
Irrinunciabile perché essa viene utilizzata da sempre al fine di tenere memoria in riguardo ad
alcuni eventi dell‟azienda. Gli strumenti contabili esistenti attualmente sono filtrati da
disposizioni legislative, le quali si sono venute a creare man mano nel corso del tempo. Gli
imprenditori hanno acquisito la consapevolezza che l‟azienda sia un soggetto diverso
dall‟imprenditore ai fini contabili: in passato tale distinzione concettuale non era prevista, e
solo ai tempi della comparsa delle prime società si è diffuso il concetto di diversità,
individuando definizioni quali capitale e utile. In pratica:
beni dell‟imprenditore ≠ beni dell‟azienda.
I passaggi fondamentali sono i seguenti:
 nasce l‟esigenza di tenere i conti fin dall‟antichità (vi sono delle testimonianze
addirittura in epoca romana);
 l‟azienda si rapporta con i debitori, i quali le devono dare dei soldi, così nasce l‟esigenza
di annotarsi i crediti. Solo successivamente ci si annoterà anche l‟ammontare dei propri
debiti nei confronti dei creditori aziendali (l‟azienda deve dei soldi a un altro
soggetto).
In questa fase si fa riferimento a note tenute nei modi più svariati utilizzando criteri
individuali, specialmente i crediti e i debiti non sono ancora collegati tra di loro, e non vengono
relazionati alle operazioni aziendali. I primi salti di qualità avvengono nelle imprese
commerciali medievali in cui:
 numero di merci in magazzino;
 costo della partita di merci acquistata → movimento delle merci in entrata/in uscita e
relativamente ai loro prezzi di acquisto, considerando anche i prezzi di carico, proprio
per capire se il prezzo di acquisto risulta conveniente o meno;
 movimento di denaro: entrate/uscite di cassa per verificare eventuali errori;
 immobilizzazioni che servono per lo svolgimento dell‟attività d‟impresa; sono importanti
perché oggi vanno spalmati in più esercizi, ma in epoca pre-industriale ciò non veniva
considerato naturale per i seguenti motivi:
 non esisteva normativa fiscale;
 tali immobilizzazioni venivano rimpiazzate nel tempo, ma in periodi lunghissimi
(oggi a causa della tecnologia la sostituzione degli stessi è precoce).
La contabilità di masserizie è diversa dalla contabilità che mette in correlazione le voci tra
di loro. Quando tale correlazione avviene → nascita della contabilità moderna:
somma algebrica delle voci = patrimonio d’esercizio
In conseguenza della nascita della partita doppia, i conti di segno opposto sono atti a
monitorare la variazione del patrimonio di esercizio. Si sviluppa in Italia, ma non vi è una
precisa collocazione temporale a causa di un disaccordo tra studiosi → compare nelle aziende
mercantili italiane già alla fine del 1200 in Toscana (a Firenze, a Lucca, a Siena, a Pisa).
Questa usanza però fuori dall‟ambito toscano non è così sparsa, ma era diffusa una contabilità
scarsa e insufficiente. Allora la partita doppia raggiunge il suo primato nel 1341, usato nella
pubblica amministrazione, in particolare il Comune di Genova. Si trattava di una contabilità
particolarmente dettagliata, presumibilmente non utilizzata per la prima volta: ciò non può
essere dimostrato visto che gli archivi precedenti sono andati irrimedialmente perduti. In
pratica veniva controllato l‟intero operato di chi occupava una carica pubblica, nel momento
della sua uscita → esigenza di tenere la contabilità in modo razionale e sistematico. La partita
doppia funziona rilevando fatti esterni dell‟impresa facendo emergere operazioni finanziarie,
le quali scaturiscono operazioni di segno opposto (come accade oggi). La logica è quella secondo
cui:
totale dare = totale avere
Per fare emergere eventuali errori (di calcolo), importanti per capire cosa accade a livello
dell‟impresa.
Evoluzione della contabilità
Uno studioso italiano (toscano), Melis ha scritto nel 1950 “La storia della ragioneria”, testo
nel quale sono individuate 4 fasi:
1. dall‟antichità fino al 1202: viene alla luce un testo manoscritto da Fibonacci denominato
“Libera baci”: è il primo tentativo di far utilizzare in Europa, ma soprattutto in Italia, i
numeri arabi. Infatti prima di questo periodo in contabilità venivano usati i numeri
romani. In realtà i numeri arabi sono più funzionali perché sono incolonnabili (= metodo
posizionale), ma vi è una resistenza rispetto alla loro adozione perché:
 i numeri arabi sono più facilmente falsificabili, così alcune regole mercantili
vietano il loro utilizzo (tra cui la Repubblica di Genova);
 il testo di Fibonacci è scritto in latino, i tempi di diffusione sono lenti; in tale
manoscritto è sottolineato il fatto che non dovrebbero esservi delle regole che
vietino l‟uso dei numeri arabi;
2. 1202-1494: vi è il primo esempio di contabilità in partita doppia, ed essa viene
gradualmente usata in città come Genova e Venezia. Nel 1494 viene stampato il primo
trattato periodico sulla partita doppia a Venezia, il quale è scritto in volgare e ha un
capitolo interamente dedicato a essa. Si moltiplicano così i trattati sulla stessa;
3. 1494-1840: comparsa e aumento di trattati sulla contabilità in generale e sulla partita
doppia in particolare;
4. dal 1840 in avanti: la contabilità viene studiata a livello scientifico e diventa oggetto di
didattica (soprattutto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900).
In particolare il trattato di Luca Pacciale, frate che in passato era stato un mercante a
Venezia, nella sua seconda edizione (nel 1323), il quale dà il via a una serie di altri testi:
 nel 1586 Pietra, monaco benedettino di origine ligure, è tra i primi a tener conto del
patrimonio;
 nel 1636: Flori, monaco d‟origine siciliano che propone un metodo uniforme a tutte le
imprese.
Il motivo per cui spesso chi si occupa di contabilità sono ecclesiastici:
 la contabilità tiene conto della gestione di una qualunque attività, la quale prevede
moralità; infatti la religione cattolica detiene una forte influenza sulla moralità →
credere nei santi, in Dio, facendo in modo che la contabilità vada a buon fine come se
fosse un intervento divino;
 la Chiesa, da sempre, gestisce grandi patrimoni immobiliari e fondiari → necessità di
fare andare a buon fine gli affari, spingendosi verso un sistema uniforme di
contabilità, la quale viene sottoposta a controlli.
Caratteristica: di testi, di trattati è quella di definire (o almeno provare a definire) le logiche
che stanno dietro la rilevazione contabile (senza riuscirci), riproducendo intere contabilità,
come una sorta di prontuario. L‟aspetto che viene maggiormente esplicato è il senso del
prospetto dare/avere del conto come soggetto (ad es. si pensa non al credito, ma al soggetto
al quale questo è in capo, il creditore):
dare
avere
Tale è la logica secondo la quale ancora oggi si fonda la partita doppia. Dopo il 1840, con la
nascita della ragioneria scientifica, la contabilità tradizionale non è più sufficiente perché
non dà tutte le risposte (nel periodo a cavallo tra le due rivoluzioni industriali). L‟Italia a
partire dal „600 perde il passo rispetto agli altri paesi, infatti fino a questo periodo il
cosiddetto metodo italiano (= quello basato sulla partita doppia) era il più diffuso all‟estero.
Dopo tale data comincia a non esportare più i propri metodi contabili all‟estero, ma comincia a
importare, in particolare dagli USA, i metodi di contabilità più avanzati. I trattati per
imparare il corretto metodo di contabilità non basta più: essi non aiutavano a capire la logica
che sta dietro ai calcoli. Ciò cambia profondamente con l‟introduzione della ragioneria
scientifica. Molto importante risulta il ruolo giocato da: ordini religiosi, imprese mercantili e/o
individuali ed enti pubblici. Le società cominciano ad adottare una contabilità più articolata
poiché bisogna dare conto ad altri soggetti i quali sono orientati a un profitto → vengono
monitorati di più alcuni aspetti della gestione, e di qui matura l‟esigenza del bilancio.
Tutti i trattati di contabilità che si succedono dal 1494 all‟inizio dell‟800 non contengono dati
basati sulle imprese industriali, ma solo su quelle commerciali. Infatti nella contabilità
industriale si tende a semplificare parecchio perché:
 le imprese sono di piccole dimensioni;
 vi sono minori restrizioni legislative;
 i prodotti venduti sono pochi.
Quindi il contesto non spinge all‟utilizzo di una contabilità dettagliata. Comunque la partita
doppia è utilizzata da tali imprese industriali, perché essa riguarda i fatti esterni alla stessa
azienda, ma non vi è alcuna traccia di conti riguardanti i processi interni, inerenti la
produzione.
Nel XV e nel XVI secolo la contabilità comincia ad avere valore probatorio → prove
precostituite. Così cominciano piano piano a emergere principi di natura formale, tra i quali:
 regole secondo le quali i numeri devono essere ordinati progressivamente;
 criteri di tenuta della contabilità (fine dell‟800 e inizio del „900), prima a livello
nazionale e poi a livello internazionale.
Ciò non porta a un unico criterio omogeneo → non è semplice, infatti, raffrontare due
situazioni diverse.
Bilancio d‟esercizio
Il bilancio d’esercizio è inteso come qualcosa che viene comunicato al pubblico mediante delle
pubblicazioni depositate nei vari modi previsti. L‟esigenza di redigere il bilancio è piuttosto
recente perché per moltissimi anni il concetto di azienda non era chiaro. Attualmente
l‟azienda è definita come l‟insieme di beni i quali sono combinati dall‟imprenditore per gestire
la propria attività d‟impresa. In passato, però, tali beni non erano individuati in modo preciso,
e così l‟azienda era tradizionalmente intesa in modo un po‟ confuso, senza separare il
patrimonio dell‟impresa da quello dell‟imprenditore. Tale separazione non è nemmeno percepita
da chi condivide degli affari con l‟imprenditore. Questo modo di operare si riflette sulla
gestione → fine: ottenere un reddito che consente la sussistenza dell‟imprenditore e della sua
famiglia. In pratica questa è l‟ottica della gestione dell‟impresa familiare odierna, la quale in
più mira ad assicurare la durata della propria azienda nel tempo, anche per le future
generazioni. A quel periodo non vi è un costante monitoraggio delle attività imprenditoriali →
Sombart definisce la partita doppia come base del capitalismo. La mancata esigenza di
raccogliere dati contabili non comporta le imprese a non fare nulla in merito, ma esse in realtà
si occupano dell‟affare a livello singolo, senza vedere come sta andando la gestione a livello
complessivo. Non vi sono né leggi e non esiste alcuna esigenza di comunicare la propria
situazione contabile a qualcuno → nessuna spinta a compilare il bilancio. Tale esigenza non
compare nemmeno all‟occasione di comparsa dei primi soci, anche perché essi solitamente
vengono ricercati all‟interno della parentela. Però quando la famiglia non riesce più a fornire le
risorse necessarie, e quindi queste devono essere ricercate all‟esterno → nascono i primi
bilanci, non annuali e/o periodici, ma solo finali relativi alla chiusura della società, o per
richiesta dei soci. Come oggi era vietato il patto leonino (= escludere alcuni soci da
utili/perdite) e vi era la possibilità di remunerare di più gli amministratori. Dopo il 1494
compaiono i primi trattati, in cui si parla anche del bilancio, ma esso non è come quello attuale,
ma si tratta di un bilancio di verifica, di correttezza formale, in cui è contenuta la somma
di tutte le attività e le passività, se tali importi sono i medesimi allora la contabilità è
corretta. Non vi è ancora un criterio comune e alcuna idea di redigerlo in maniera sistematica:
per fare ciò il processo è molto più lento.
Nel „600 il bilancio viene redatto ma occorre considerare che non è ancora regolato.
Attualmente si calcolano le scritture di assestamento, le quali sono precedenti alla redazione
del bilancio, e sono fatte seguendo il principio di cassa, ai fini fiscali, ma aggiustando alcune
voci per motivi gestionali. All‟epoca il criterio era il non-criterio: tutti facevano come pareva
loro giusto fare, senza una redazione comune: normalmente non si calcolava l‟ammortamento,
anche se questo non era un concetto ignoto agli imprenditori. Infatti, a tal riguardo, alcuni
inventari dimostrano tale conoscenza, anche all‟epoca, ma non avvertono l‟esigenza di tenerlo
in considerazione calcolandolo, nonostante sapessero del deprezzamento dei beni. I beni
strumentali nell‟attivo patrimoniale rappresentano una quota minima e l‟imprenditore non si
preoccupa nemmeno di rivalutare il valore degli immobili → si rafforza il patrimonio
dell‟impresa, motivo per cui non si applicano regolarmente gli ammortamenti. L‟unica voce
inerente le immobilizzazioni è quella utilizzata in caso di manutenzioni straordinarie.
Il magazzino era calcolato senza aggiornare il valore dei beni in magazzino, ma semplicemente
il valore si calcolano le rimanenze finali per il costo storico; ciò è giustificato dall‟assenza di
norme tributarie.
Per i crediti sorge un problema, soprattutto per quanto riguarda i creditori poco solvibili: in
passato si faceva fatica a svalutare i crediti → i contenziosi si tramandavano di padre in
figlio. Al massimo essi vengono inseriti in conti particolari, i quali sono i crediti di poca
speranza.
I ratei/risconti non compaiono perché ancora non viene utilizzato il criterio di competenza,
ma un più semplice criterio di cassa.
Così il bilancio è così caratterizzato:
 da un insieme non omogeneo di voci;
 da un insieme eterogeneo basato su operazioni per nulla ordinate.
Ancora in quel periodo l‟impresa è influenzata dal contesto culturale, istituzionale in cui opera.
Con la I rivoluzione industriale, e l‟avvento della grande impresa, le cose cominciano a
cambiare, e il bilancio, gradualmente, diviene uno strumento fondamentale, anche se per molto
tempo la struttura è molto diversa, specie nei settori differenti.
In Italia
Per molto tempo, al fine di costruire una SPA, era necessaria un‟autorizzazione governativa,
per la responsabilità limitata (all‟inizio del Nuovo Regno). Con il codice di commercio (1882)
viene prevista la costituzione mediante atto pubblico, e per la prima volta si parla di bilancio:
ogni anno esso viene compilato per dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente
conseguiti e le perdite sofferte, ma non viene fornita nessuna regola al fine di valutare i
cespiti di bilancio. Così si aprono due visioni opposte:
1. concezione giuridica: individuare comunque un minimo di contenuto e dire qualcosa sui
criteri di valutazione da applicare, principi-guida validi e applicabili alle imprese;
2. concezione economica: tende a negare la possibilità di definire in maniera stringente i
criteri, i quali, secondo tale ottica, non possono essere definiti collettivamente validi,
anzi le stesse imprese possono redigere più bilanci a diversi scopi → non vi è un
criterio fisso, ma il bilancio può avere contenuto differente a seconda dell‟uso.
Prevale la concezione economica. Oggi, o per lo meno in periodi più recenti, i bilanci vengono
pubblicati e in essi si evidenziano utili/perdite su cui si pagano i tributi. L‟imprenditore Gaslini,
ad esempio, oleario genovese, oltre la contabilità ufficiale, deteneva anche dei bilanci
effettivi, i quali dimostrano un utile nettamente superiore a quello dichiarato, il quale è stato
rappresentato più basso per evadere fiscalmente → questo per dire quanto i bilanci, nel caso
di molte imprese, siano approssimativi in quel periodo, e ciò non era per niente considerato
disdicevole, anzi era normale. In altri casi addirittura venivano gonfiati i bilanci così poteva
essere distribuito più utile di quello reale. Ma nel 1942 viene emanato il codice civile, infatti
lo Stato si era reso conto davvero di ciò che accadeva nel mondo economico, e quindi detta
regola più precise. Infatti gli amministratori devono redigere:



il bilancio (allora raffigurato solo dallo S/P);
il conto profitti e perdite (= C/E);
la relazione esplicativa a cura degli stessi amministratori, per evidenziare in modo
corretto il risultato economico.
Si stabiliscono così i criteri da adottare per la compilazione del bilancio, i quali:
 non si possono compensare le voci di segno opposto;
 si crea un conto unico nel libro mastro per i c/c bancari così da avere una visione
d‟insieme degli stessi.
Le regole, però, riguardano solo lo S/P. I contenuti del C/E vengono stabiliti solo nel 1974
mediante l‟emanazione di una legge relativa alle società quotate in borsa → obblighi di
contenuti minimi estesi anche alle altre società. Comunque il codice civile si sforza di stabilire
una forma di bilancio uniforme a tutte le imprese (mentre nel codice di commercio tale forma
poteva essere scelta dagli amministratori, e ancora si evidenziano gli utili o le perdite non è
chiaro: la struttura è ambigua, non si capisce la situazione dell‟azienda).
Contabilità dei costi
I primi esempi di contabilità analitica,nella partita doppia riguardano alcuni studiosi, i quali
hanno riscontrato esempi di contabilità industriale già nel „300-„400. Altri invece sostengono,
che tale contabilità sia sorta dopo l‟avvento delle grandi imprese, soprattutto quelle
ferroviarie. Vi è ancora un filone di studi diverso: con le grandi imprese ferroviarie e le
conglomerate nasce l‟esigenza di sviluppare un sistema organico di gerarchia manageriale, ma è
impensabile che prima non esistesse alcuna forma di contabilità, anche se ciò non è
testimoniato da testi. Quindi gli studiosi hanno cercato di capire se ci sono costi legati
all‟azienda manifatturiera → in realtà non vi sono trattati sui costi, ma ciò non significa che in
azienda non si fossero sviluppate procedure, le quali probabilmente non sono state codificate,
perché la prassi dell‟utilizzo precede il repertorio.
La contabilità dei costi si sviluppa in questo modo: ognuno utilizzava il metodo a lui più
gradito, senza alcuna esigenza di descriverlo per tramandarlo. Per quanto riguarda la
contabilità delle imprese, si tiene soprattutto conto delle stesse quando entrano in relazione
con il mondo esterno, senza comprendere i costi delle operazioni a monte. Quindi in epoca preindustriale:
 i costi fissi erano moderni;
 non importa guardare ai costi perché vi è comunque il guadagno → non vi è alcun
modello di monitoraggio dei costi.
Le imprese faticano a distinguere tra:
 costi fissi e costi variabili;
 costi diretti e costi indiretti;
 costi specifici a un prodotto o comuni (che sono ricaricati sulle diverse produzioni).
Nonostante funzionino molto bene, le imprese mercantili sono caratterizzate dal fatto che
tutte le operazioni prevedano l‟interfaccia col mercato e si sia a conoscenza dei prezzi:
categoria
merceologica
costi
ricavi
E l‟imprenditore manifatturiero (tessile)? Compra sul mercato le materie prime, su di esse
effettua un‟operazione di trasformazione, e poi le vende:
materie prime → operazione esterna regolata con il mercato
costo del lavoro
costo totale


costo a cottimo, commisurato all‟unità prodotta, relazione: costo del lavoro ↔ prezzo
di vendita;
costo a tempo, quanta parte di esso bisogna imputare all‟unità prodotta → cambia la
retribuzione dei lavoratori.
Problemi: riguardanti l‟incidenza sul costo totale. Dove vi è maggiore concorrenza, vi è a più
esigenza di monitorare i costi; già nel „600-„700 l‟impresa non solo paga i lavoratori a tempo, e
attribuisce loro la capacità di produzione, ma anche effettua analisi approfondite su altri
tipi di costi predisponendo una contabilità degli stessi in modo sistematico.
Melis recepisce un testo di Moschetti a Venezia nel 1610, che parlava di contabilità
industriale da parte di un‟impresa produttrice di zucchero, la quale giungeva all‟utile solo
considerando i costi diretti, tralasciando gli altri. In epoca preindustriale, non esiste un
modello unico applicato da tutti i settori, ma al massimo delle iniziative individuali di
imprenditori che volevano comprendere il processo produttivo: si trattava di un metodo non
esportabile ad altri contesti, perché era piuttosto personalizzato. In epoca industriale, quello
della grande impresa, in particolare ferroviaria, nasce il primo esempio di adozione di una
politica dei costi mediante una contabilità:
 sistematica;
 integrata;
 collegata alla contabilità generale.
Durante la I rivoluzione industriale, le tecniche contabili dei costi erano abbastanza rozze,
perché ancora mancano le strutture complesse e le conoscenze sul metodo. Con l‟avvento del
big business negli USA, le imprese hanno a che fare con:
 una produzione complessa;
 una dimensione più ampia, senza alcun controllo sulle singole unità produttive;
 dei mercati complessi ad alta concorrenzialità, o anche monopoli e oligopoli → spinta a
capire il funzionamento dei costi.
Dal 1880 al 1890 vi sono i primi tentativi di produrre testi sulla contabilità industriale negli
USA: alcune modalità di contabilità possono essere comuni a più settori, mentre altre sono più
adatte a un singolo settore produttivo. Grazie alle organizzazioni imprenditoriali, vi è la spinta
a individuare i criteri per aiutare le imprese a migliorare le proprie performance → contabilità
dei costi. Sempre più importanti rappresentano le diverse esigenze derivanti da settori
differenti (adottando il sistema di rilevazione più mirato).
In Italia
L‟Italia è caratterizzata da una lentezza nonostante il precoce sviluppo sulla ricerca della
questione contabile, ma la scuola si sforza di trovare una soluzione comune a tutti i settori,
quindi ci si muove ancora sul piano teorico con scarsa applicabilità nella pratica. I testi sono
scritti da ingegneri, i quali si sono posti il problema di provare a trasmettere il proprio sapere.
Negli USA
Si lavora sulla formazione di esperti contabili per la produzione di testi direttamente sulle
esigenze delle imprese e sull‟evoluzione della tecnica contabile. All‟inizio del „900 ci si collega
all‟organizzazione scientifica del lavoro (= taylorismo), ossia l‟evoluzione contabile procede
con questa di pari passo, così definendo:
 le mansioni del lavoratore;
 la quantità che il lavoratore deve produrre;
 il rapporto con il processo produttivo;
 il costo standard dell‟organizzazione del lavoro, il quale deve essere di un livello
ottimale.
→ Finalità: aumentare la produttività dei lavoratori e ridurre i costi.
Analisi del bilancio: analisi scientifica del bilancio; si procede a calcolare alcuni indicatori che
sintetizzano situazioni particolari; a essi viene assegnata una funzione particolare ben
delineata e con uno scopo predittivo (previsioni sul futuro dell‟azienda). I primi esempi di
intervento in tale ambito riguardano la separazione tra proprietà e controllo nel contesto
della grande impresa americana con una crescente necessità di ottenere del capitale di rischio
e del capitale di finanziamento. Col tempo utilizzare tali indicatori non ha solo una valenza
esterna di comunicazione, ma anche interna di riflessione per la comprensione della
produzione. Innanzitutto è importante reperire capitale, e ciò veniva fatto rivolgendosi a
banche, senza che venisse richiesto alcun merito, ma a fine „800 le cose cambiano, e le stesse
chiedono il bilancio, sebbene esso non sia del tutto attendibile. La banca guarda soprattutto la
correlazione temporale tra le fonti e gli impieghi (per non mettere a rischio la stabilità
finanziaria) per fornire alle imprese soprattutto debiti commerciali a breve termine. In
particolare al fine di fornire tali crediti la banca guarda all‟interno del bilancio:
passività correnti – attivo circolante > 0
liquidità – debiti a breve termine > 0
Fondamentale è il calcolo di indicatori con fattori che si trovano tra le voci di bilancio, così da
comprendere se l‟impresa è in grado di remunerare il finanziamento richiesto → esigenza
esterna, proveniente dal settore creditizio.
Alcune grandi imprese ferroviarie calcolano tali indici sistematicamente per rilevare lo stato
di salute dell‟impresa a breve termine. Solo con l‟inizio del „900 si valuta la possibilità di
calcolare altri indicatori, con valore interno all‟impresa, al fine di controllare e fornire meglio
spiegazioni alle dinamiche reddituali. Nell‟impresa americana Du Pont ha inventato il ROI (=
indice di ritorno del capitale investito):
ROI =
reddito
capitale investito
Precedentemente l‟analisi era più orientate ai singoli azionisti, ma essa non permetteva di far
capire all‟impresa la situazione sulla propria redditività. In seguito il ROI si pone in relazione
con altre variabili, in particolare con il fatturato, considerando che:
reddito ≠ fatturato
Per scomporre il tasso di rotazione del capitale investito, dopo la I guerra mondiale, grazie
alla Du Pont (e più precisamente a un suo contabile):
dato preso dal C/E
reddito
capitale investito
=
fatturato
capitale investito
=
reddito
fatturato
dati presi dallo S/P
Tale formula è strettamente legata alle vendite (→ fatturato, preso dal C/E). Quindi:
 ROI → tasso di remunerazione del capitale investito;
 ROE → tasso di remunerazione del capitale proprio.
In pratica occorre considerare quanto si paga per il capitale di prestito per comprendere se
l‟indebitamento è stato un fatto positivo (portando la propria redditività a livelli maggiori
rispetto al fatto di non averne usufruito) o meno, funzionando da leva. Le voci di bilancio (S/P
e C/E) sono correlate da relazioni complesse, le quali servono ad adottare decisioni
consapevoli, evitando, in tal modo, eventuali criticità. Con il tempo il ROI, si calcola non solo a
livello complessivo, ma anche a livello divisionale (divisione ≈ imprese come struttura) per
vedere quale divisione contribuisce in maggiore misura alla produzione del risultato economico
per puntare di più su di essa, magari tralasciando quelle poco remunerative. Alcune aziende,
come quelle europee, non applicano questi indicatori in modo ristretto. Si affermano in Europa
e in Italia dopo la II guerra mondiale e poi si diffondono ampiamente e diventano strumenti di
uso comune. Quindi per quanto concerne la contabilità, l‟Italia non ha più un ruolo di primo
piano, ma ha importato un sistema contabile da oltre oceano, visto che proprio in America vi
era il contesto ideale per la proliferazione di tali tecniche grazie a un determinato ambiente
economico-culturale.
Stato imprenditore
Lo Stato imprenditore può avere un ruolo inesistente, lieve, rilevante, presente, ecc. Le
attività svolte dallo Stato sono le attività economiche che non sempre sono in forma d‟impresa
e agiscono su:
 area normativa: la legislazione può influenzare le attività economiche private;
 produzione di beni/servizi: (in quanto consumatori, i soggetti pubblici sono uguali a
quelli privati) la produzione avviene all‟interno di due grandi categorie (in qualità di):
 amministrazioni pubbliche: i beni prodotti in questo ambito non sono destinati
al mercato perché sono di interesse generale, e quindi si tratta di servizi
destinati alla collettività;
 beni/servizi a cui si applica un prezzo non pieno, ma che rappresenta una
compartecipazione (ad es. l‟università, il servizio sanitario, il trasporto
pubblico) → servizi pubblici erogati da imprese pubbliche o private ma
convenzionate con lo Stato.
La presenza dell‟ente pubblico è dettata da:
 la caratteristica del servizio (ad es. acquedotto);
 si riteneva che il privato potesse offrire lo stesso servizio a prezzi troppo alti.
Vi sono casi in cui lo Stato detiene o la totalità o parte di un pacchetto azionario di un‟impresa
che opera sul mercato per ricavare profitti, che si confrontano con una concorrenza
internazionale. Cosa ha spinto lo Stato entrato nell‟economia: gli economisti classici tendono a
dare un ruolo minimale allo Stato → Adam Smith sosteneva che lo Stato si fosse limitato a
fornire solo alcuni servizi essenziali: questo è un modello teorico difficilmente riscontrabile
nella realtà. Nella pratica l‟intervento si è verificato in modo differente a causa delle diverse
posizioni ideologiche: a fine del „500, ad esempio in Gran Bretagna vengono emanati leggi sui
poveri, obbligati a registrarsi nella parrocchia per l‟assistenza, in cambio potevano dedicarsi ai
lavori forzati. Dopo la I rivoluzione industriale la logica marxista prevedeva uno Stato in cui si
sfruttava la popolazione in termini lavorativi e interveniva per:
 aumentare il capitale dell‟imprenditore capitalista;
 mantenere una sorta di pace sociale per contenere eventuali rivoluzioni;
 farsi carico di attività non particolarmente profittevoli per i capitalisti.
Nel „900 vi è l‟avvento dello Stato sociale, che deve garantire un sistema di servizi essenziali,
perché il cittadino ha diritto a tali servizi: servizi sanitari, istruzione, sussidi familiari,
risorse culturali come biblioteche e musei, spazi/impianti per il tempo libero, pensioni (il
sistema retributivo era proiettato nell‟ottica dello Stato sociale, molto diverso dal sistema
contributivo, che prevede un ruolo presente dello Stato). Dagli anni ‟90 in poi lo scenario nel
tempo è cambiato, e il peso dello Stato torna a diminuire. In particolare il welfare state,
prevede 3 modelli:
1. regione liberale: welfare residuale; lo Stato fa il minimo indispensabile con servizi
erogati a persone che versano in stato di bisogno, solo dimostrando tale necessità lo
Stato interviene. E‟ un regime che privilegia la privatizzazione (caso dell‟America);
2. modello conservativo: il diritto a ricevere una prestazione particolare spetta
all‟appartenenza professionale, ad esempio l‟assistenza sanitaria legata a contributi
specifici;
3. welfare universalistico o socialdemocratico: nei paesi scandinavi si lega alla
cittadinanza la prestazione di servizi determinati. Ad esempio nel 1948 la Svezia
introduce la pensione popolare, garantita dalla nascita → anche qui alcune logiche sono
state messe in discussione per via delle risorse necessarie.
Attività mediante le quali lo Stato può giocare un ruolo nel campo della redistribuzione del
reddito
Si tratta di interventi volti a dare la possibilità a chi non parte da una posizione favorevole. Lo
strumento principe per dirigere, in tal senso, è rappresentato dalla tassa di successione. Lo
Stato in maniera più o meno incisiva può giocare un ruolo fondamentale.
Imprese pubbliche
Il contesto chiaramente ha delle ricadute sull‟impresa pubblica. Oggi non ha una concezione
positiva, spesso è collegata a:
 inefficienza;
 spreco di risorse.
Soprattutto ciò vale nell‟amministrazione pubblica, soprattutto per quanto riguarda l‟esubero
di personale:
 piuttosto che mantenere una persona mediante un sussidio di disoccupazione, è meglio
impiegarlo nel settore pubblico (evitando il lavoro nero);
 il pubblico era visto come un serbatoio di voti, quindi si veniva assunti preventivamente
in cambio del voto politico.
Quando le imprese pubbliche si sono affermate nel corso del „900, mediante un‟accelerazione
del fenomeno tra la I e la II guerra mondiale. Si è affermata non solo nei regimi comunisti (in
cui si è preclusa l‟iniziativa privata), ma anche in regimi autoritari dirigisti in Europa, come il
fascismo, il nazismo e il franchismo, i quali condizionavano l‟intera economia. Tuttavia anche
nei regimi democratici, l‟impresa pubblica, per una serie di motivazioni, è cresciuta,
soprattutto durante le guerre, per fare in modo di controllare le imprese strategiche in
periodi di crisi economica. L‟impresa pubblica è vista per fronteggiare il fallimento del
mercato, del non funzionamento dei modelli teorici → azioni in campo economico per ovviare a
situazioni di difficoltà. Nei regimi sovietici (= marxisti) l‟intervento statale è forte, ma no
totalitario, e l‟economia è formata da un mix di investimenti pubblici e privati. Intorno agli
anni ‟70 iniziano, così, una serie di privatizzazioni per via dello shock petrolifero → la crisi
spinge lo Stato a rivedere alcune logiche, rimettendo anche in discussione principi scontati,
ma a volte l‟ideologia preme su taluni principi, giusti o sbagliati che siano. Nell‟ottica più
moderna il settore pubblico viene vissuto come inefficiente, quindi si manifesta l‟avvio della
privatizzazione che parte dalla Gran Bretagna, e si estende dapprima in Europa, in seguito
anche nei paesi sovietici.
Fasi storiche della formazione dell‟impresa pubblica
Le fasi sono le seguenti:
 età preindustriale: vi è qualche esempio circoscritto in Francia (per le manifatture
reali), in Russia e in Spagna. Inoltre vi è la presenza dello Stato nelle produzioni
strategiche, quali le attività minerarie e il campo militare;



„800: con l‟avvio dell‟industrializzazione ogni Stato ha un ruolo diverso. In Gran
Bretagna, negli USA lo Stato è poco presente e agisce essenzialmente come regolatore
(intervenendo con leggi e l‟istituzione di enti garanti). In Europa è caratteristica una
maggiore tradizione riguardo alla presenza dello Stato a causa delle scuole di pensiero
per le quali si pensa che non tutti i problemi possano essere soddisfatti dal privato;
nel corso del „900, anni ‟30: in corso alla crisi economica si tende a una
nazionalizzazione delle imprese, e questa esigenza cresce dopo la II guerra mondiale;
dagli anni ‟70 in poi: decresce gradualmente la presenza dello Stato a causa
dell‟innovazione tecnologica o istituzionale la quale consente all‟apertura verso il
capitalista privato, così da allargare la concorrenza, facendo venire meno, in molti casi
la presenza dei cosiddetti monopoli naturali.
Processo di nazionalizzazione
Le motivazioni che fanno decidere lo Stato di nazionalizzare sono:
1. fattori di tipo politico-ideologico;
2. fattori sociali;
3. fattori economici.
Non vi è un ordine di priorità, ma ciascuna dei 3 componenti è presente.
Per quanto riguarda i fattori di tipo politico-ideologico si può dire che essi sono stati rilevanti
nei regimi politici socialisti (come l‟Europa dell‟est, e l‟ex URSS) in cui si estendeva il controllo
pubblico sull‟impresa per far perdere peso al capitalismo, dando più potere al lavoratore (il
manager dell‟impresa pubblica risponde delle sue responsabilità alla collettività, senza avere
come obiettivo primario quello del profitto). Subito dopo la II guerra mondiale, in Gran
Bretagna avviene la prima ondata di nazionalizzazione, infatti, in tal caso, la componente
politico-ideologica ha importanza, come accade anche nei governi caratterizzati da regimi
autoritari: Germania, Italia e Spagna. Tali regimi controllano direttamente le imprese
strategiche.
Dal punto di vista dei fattori sociali è importante mantenere l‟occupazione a livelli elevati, in
ottica di non utilizzare risorse in sussidi di disoccupazione e di offrire migliori condizioni di
lavoro (= certezza e stabilità dell‟impiego). In tale caso entra in gioco la corrente sindacale,
la quale si propone diversi obiettivi come la massima retribuzione e/o la massima occupazione.
Altre volte lo Stato agisce direttamente come imprenditore per investire in settori o paesi, in
cui vi è carenza di iniziative private (ad esempio cassa del mezzogiorno) al fine di stimolare
l‟imprenditoria privata.
Infine i fattori economici prendono in considerazione il caso del fallimento del mercato, in cui
il privato non ha alcuna convenienza a investire. Il caso del monopolio naturale è tipico, infatti
è più economico per un‟impresa monopolista pubblico offrire condizioni migliori ai consumatori.
Ancora, utilizzato al fine di agire quale fattore di sviluppo in aree/settori più arretrati
perché l‟imprenditore privato è orientato al profitto e deve avere reale convenienza
economica a produrre, mentre il pubblico ha un‟ottica più di lungo periodo, per vedere se
effettivamente l‟attività risulta produttiva. Lo Stato interviene anche per istituire attività
dedite in settori strategici di ricerca, di approvvigionamento di materie prime energetiche,
nelle infrastrutture, come quelle autostradali, ecc.. Inoltre esso interviene per effettuare
salvataggi di imprese private in difficoltà: queste sono di solito grandi imprese in cui il
business sia ritenuto strategico a livello nazionale, ponendo particolare attenzione sul livello
occupazionale. Importante anche l‟intervento statale per la redistribuzione del reddito,
comprando l‟attività da privati, i quali, mediante la somma ottenuta, investono in altri settori.
Lo Stato, possedendo l‟impresa, può fissare i prezzi al consumo come desidera → laddove sono
presenti molte imprese pubbliche o pubbliche amministrazioni lo Stato ha un ruolo anticiclico,
ossia nei momenti di crescita si cresce meno, ma nei momenti di crisi si subisce anche meno.
Prima della I guerra mondiale vi sono già episodi di nazionalizzazione. Nel 1905 nascono le
Ferrovie dello Stato, liquidando i concessionari al fine di rilevare la proprietà delle
infrastrutture. Così tali concessionari investono in attività elettriche. Nel 1962 lo Stato
nazionalizza anche il settore dell‟elettricità, chiamando l‟impresa ENEL, e la società
concessionaria Edison si fonde con l‟impresa chimica Montecatini, divenendo la Montedison.
Questo per comprendere che ciclicamente lo Stato nazionalizza diversi settori, provocando
dei cambiamenti continui nell‟equilibrio. Nel 1912 viene fondato l‟INA (= istituto nazionale
assicurazioni), nazionalizzato perché il settore delle assicurazioni è considerato strategico.
Nel 1926 nasce l‟AGIP (= agenzia generale italiana petroli) per occuparsi della ricerca di
idrocarburi; rappresenta la prima campagna petrolifera che costituisce le prime stazioni di
rifornimento carburante in modo capillare, cosicché viene favorito il trasporto su gomma.
Mentre per quanto concerne i più famosi salvataggi da parte dello Stato, uno dei più famosi
riguarda quello dell‟Ansaldo: essa si occupava della fornitura di armi, e ha problemi di
riconversione dopo la I guerra mondiale, così la banca di sua proprietà (banca mista → banca
italiana di sconto) non riesce a garantirle la liquidità. A tal punto l‟impresa tenta la scalata di
un‟altra banca, che però fallisce. Nel 1924 così, viene salvata dallo Stato per mezzo della
Banca d’Italia, ma nel 1925 diviene di nuovo di proprietà privata. Nel 1929, con la crisi
mondiale, che comunque in Europa si sente dal 1931 in poi, le banche miste hanno un ruolo
importante al fine di favorire lo sviluppo industriale per fornire capitale di rischio e capitale
di credito (soprattutto in Italia e in Germania), ma la medesima crisi porta a delle difficoltà,
infatti le banche e le imprese sono partecipate le une nelle altre a vicenda (→ fratellanza
siamese), così non sono in grado di operare le une senza le altre. Lo Stato si rende conto
dell‟effetto domino disastroso che sta per colpire le imprese e le banche così:
1. crea l‟IMI (= istituto immobiliare italiano) per aiutare le banche in difficoltà e
immettere maggiore liquidità nel sistema;
2. nel 1932, però la crisi si fa più violenta, e nel 1933 nasce l‟IRI (= istituto per la
ricostruzione industriale), nato per:
 la sezione finanziamenti, per fornire crediti alle piccole-medie imprese che si
trovano in difficoltà a causa della crisi. Tale sezione viene soppressa nel 1937
che viene passata all‟IMI;
 la sezione smobilizzi, al fine di aiutare le banche miste, rilevando i pacchetti
azionari delle imprese industriali e facendosi carico delle imprese in difficoltà:
ma la logica doveva essere temporanea solo per il momento di difficoltà.
Ma nel 1937 l‟IRI diventa da temporanea a permanente, controllando così circa il 43% delle
SPA italiane, in particolare nei settori:
 industria alimentare;
 telecomunicazioni;
 energia elettrica;
 industria siderurgica;
 cantieristica navale.
Nel 1936 lo Stato vara una legge bancaria per l‟IRI, la quale impone la fine della banca
universale (la quale rientra in gioco nel 1993), e di conseguenza:
 la fine delle partecipazioni nelle imprese;
 la separazione tra credito a breve termine e credito a medio/lungo termine.
Lo Stato, inoltre, si appropria di alcune banche di interesse nazionale, come la banca dei
commercianti italiani, il banco di Roma e il credito italiano,acquisite mediante l‟IRI. Alla
vigilia della II guerra mondiale l‟IRI conta 200.000 dipendenti (che nel 1980 diventano più di
500.000 → quota rilevante di forza-lavoro). Dopo la II guerra mondiale si diffonde l‟ideologia
dello Stato sociale, e quindi non si cambia direzione in senso pubblicistico (come più o meno
accade negli altri paesi europei), e comunque vi è la coesistenza tra soggetti pubblici e privati.
In Gran Bretagna, dopo la II guerra mondiale vi è la nazionalizzazione delle public utilities, dei
trasporti e delle industrie minerarie con forti ragioni sociali. Un'altra nazionalizzazione
importante è quella della rolls royce al fine di evitare la scomparsa dell‟impresa-simbolo
britannica.
In Francia vengono nazionalizzate in prevalenza le public utilities.
In Italia, nel 1953 nasce l‟ENI (= ente nazionale idrocarburi) guidato da Enrico Mattei, il
quale inizialmente viene messo alla guida dell‟AGIP al fine di smantellarla, invece la potenzia
(appunto mediante la nascita dell‟ENI), bypassando le compagnie petrolifere straniere
monopoliste (intermediarie) e rivolgendosi direttamente ai produttori, così facendo ostacola il
mercato petrolifero nazionale. Nel 1956 nasce il ministero delle partecipazioni statali, che
nel 1976 controlla il 12% del PIL nazionale delle partecipazioni statali, quindi è legato
fortemente alle imprese pubbliche.
Il processo di nazionalizzazione nei paesi extraeuropei, come India, America Latina è ancora
più sviluppato rispetto a quello italiano.
Mentre negli USA lo Stato risulta sempre sostanzialmente estraneo a questo processo.
In altri paesi lo Stato non interviene direttamente nazionalizzando le imprese, ma ha un ruolo
forte per spingere verso lo sviluppo della ricchezza. Tipici esempi sono la Germania e il
Giappone.
Processo di privatizzazione
Tale processo comincia a diventare rilevante a partire dagli anni ‟70. La componente economica
ha giocato un ruolo forte (in cui vi sono delle crisi e un contesto economico di stagflazione),
l‟economia non cresce e i prezzi si impennano → il ruolo dell‟impresa pubblica viene messo in
discussione, perché non procede bene, e dal punto di vista del mercato del lavoro costituisce
delle rigidità (viene considerato il posto fisso per eccellenza), infatti non è possibile ridurre il
personale. Così l‟economia dei paesi deve essere modernizzata: tra i propugnatori di
quest‟ondata di pensiero vi è la Gran Bretagna della Thatcher, in contrapposizione ai governi
laburisti (infatti la Thatcher faceva parte del governo conservatore), al fine di mostrare una
discontinuità rispetto ai governi che l‟avevano preceduta. I motivi per cui le imprese pubbliche
sono considerate come cattive risorse gestionali sono i seguenti:
 perseguono obiettivi sociali e non economici, ad esempio assumendo di più del
necessario;
 replicano il modello tipico dell‟impresa privata, ma a causa della burocrazia si
appesantisce la gestione dell‟impresa;
 le classi politiche controllano la gestione, soprattutto il sistema dualistico tra manager
e impresa, curando così solo interessi individuali e non quelli della collettività;
 l‟inefficienza diventa massima, se opera in regimi monopolistici;
 situazione contingente legata alla finanza pubblica: se si privatizza, si diminuisce il
debito pubblico.
In caso di fallimento dell‟impresa pubblica il manager della stessa si comporta in modo
superficiale, perché comunque non ci rimette nulla, ma al massimo a rimetterci è lo Stato. A
tal punto viene meno la funzione sociale dell‟impresa pubblica, ma si afferma una forte
centralità di quella privata: in Gran Bretagna, in Francia e in Grecia. In Italia la più ampia
parte di privatizzazioni viene effettuata da governi di centro-sinistra o da governi tecnici.
In Gran Bretagna
I governi conservatori hanno l‟obiettivo di sorpassare i sindacati operai (= laburisti, cioè del
partito opposto). La Gran Bretagna aveva bisogno di ridurre il peso dello Stato sull‟economia,
favorendo così di più l‟iniziativa privata e la libera concorrenza. Tale fenomeno riguarda
soprattutto quello dei settori tipici, specie con l‟avvento delle nuove tecnologie.
Come avviene la privatizzazione
Vi deve essere qualcuno disposto a comprare, mediante un contesto istituzionale favorevole e
ideologico, quindi deve trattarsi di un mercato finanziario in cui vi è una forte propensione dei
piccoli risparmiatori ad acquistare azioni. Vi sono due modalità perché essa avvenga:
 l‟offerta pubblica di vendita: caratterizzato, come già detto, dalla forte propensione
del piccolo risparmiatore ad acquistare delle azioni;
 la trattativa privata: occorre avere degli investitori interessati ad acquistare l‟ex
impresa pubblica. Tale modalità viene usata soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Nell‟offerta pubblica di vendita le azioni di solito sono concesse a un prezzo di favore
mediante promozioni che creano delle aspettative di profitto nel risparmiatore, magari
invogliando gli stessi dipendenti a investire sulla loro impresa offrendo le quote a prezzi
speciali. In molti casi si tratta di imprese strategiche, e lo Stato al fine di tutelare comunque
la collettività può:
 non vendere tutte le azioni;
 tenersi la cosiddetta golden share, così da esprimere il proprio parere nei confronti di
alcuni atti gestori.
La privatizzazione può avere successo o può determinare un fallimento in base ai seguenti
fattori:
 il contesto economico e la libera iniziativa privata;
 regole per cui gli azionisti sono protetti, e in riferimento alle azioni, le quali possono
essere scambiate liberamente.
Tali condizioni, all‟inizio della privatizzazione, però, sono spesso assenti, quindi si cerca di:
 creare le condizioni contestualmente alla privatizzazione;
 facendo precedere alla privatizzazione un contesto istituzionale adeguato.
Vi è da dire che spesso la privatizzazione non ha successo a causa delle forti resistenze
popolari e da parte dei sindacati. Ancora potrebbero esservi dei settori difficili: in tal caso lo
Stato prova a privatizzarli solo dopo gli altri settori. Dal 1970 a fine degli anni ‟90 due
importanti eventi accadono:
 la caduta dei regimi sovietici;
 la forte spinta dei paesi europei verso una libera concorrenza → privatizzazioni.
I settori di attività più privatizzati sono:
 le telecomunicazioni;
 le public utilities;
 i trasporti;
 le attività manifatturiere;
 le attività bancarie;
 la distribuzione di energia.
Spagna e Gran Bretagna hanno privatizzato di più nei settori strategici, altri paesi hanno
preferito detenere comunque un pacchetto di controllo azionario, in modo da supervisionari gli
atti gestori.
In Italia
La prima privatizzazione risale al 1992, in particolare la Banca di Credito Italiano. Gli
italiani, ai tempi, erano abituati a investire nei titoli di Stato perché erano sicuri del fatto che
fossero convenienti. Mentre i titoli azionari privati avevano dei limiti come l‟obbligo di
dichiarazione dei redditi, ora, fortunatamente, non più previsto, adempimenti tributari e
fiscali vari e ancora il tasso d‟interesse variabile, che non dava alcuna certezza sui rendimenti.
Nei paesi sovietici
Le persone non avevano la liquidità necessaria per acquistare, così venivano a essi consegnati
alcuni voucher gratuitamente, o adottate strategie di management by out, in cui i manager
della stessa impresa acquisiscono pacchetti di maggioranza in modo da trasferire le imprese
pubbliche in mani private (in merito ai proventi realizzati dalla privatizzazioni il primo paese è
la Gran Bretagna, il secondo l‟Italia, e via via il primo paese dell‟est è la Polonia, ottavo nella
medesima classifica).
Conseguenze
Diverse sono le conseguenze portate dalla privatizzazione:
 il peso delle imprese pubbliche è progressivamente diminuito (in termini di PIL); ciò è
avvenuto soprattutto nei paesi occidentali, a scapito di quelli orientali (pur essendo
stati anch‟essi caratterizzati da diverse privatizzazioni);
 sono state risolte le inefficienze; sono state gestite meglio le imprese e messe in
condizione di produrre utili;
 in alcuni paesi più sviluppati, in cui si è privatizzato meno, anche il risultato delle
imprese pubbliche è nettamente migliorato in termini di performance, orientando le
stesse al profitto, ma in modo tale da mantenere il controllo dei settori strategici,
evitando quantomeno di sottovalutare l‟interesse della collettività.
Nei paesi in via di sviluppo tali imprese puntano a massimizzare l‟interesse collettivo (≠ da
massimizzare il profitto) → ruolo protagonista dello Stato, le imprese pubbliche devono
reggere il confronto con quelle private; in alcuni casi la privatizzazione è consentita/favorita
grazie al miglioramento dell‟efficienza dell‟impresa quando è ancora in mani pubbliche (così
evitando di cedere imprese in perdita, e soprattutto evitando il taglio dei posti di lavoro).
Però:
 durante il passaggio da un‟economia pianificata caratterizzata da un benessere non
diffuso, a un contesto che dispone di un benessere più diffuso e più elevato, può
accadere che le politiche gestionali utilizzate siano poco corrette e i costi sociali molto
elevati con relativo aumento della disoccupazione e crescita dei prezzi. Le imprese,
infatti, potrebbero essere svendute ad altre straniere o a persone che hanno
l‟interesse di vedere la propria attività esclusivamente come profittevole;
 nei paesi sovietici la situazione non è cambiata; in particolare in Polonia le imprese
pubbliche erano già migliorate prima della loro cessione, avvenuta a fine degli anni ‟90;
 in Italia la disoccupazione è aumentata non di molto, ma nel tempo è aumentato
considerevolmente il debito pubblico (motivo della crisi odierna), quindi, in pratica, non
vi è una situazione ottimale nel lungo periodo;
 in America Latina, soprattutto in Argentina, l‟occupazione è calata del 20% e le
performance delle imprese non sono migliorate più di tanto.
Per questi motivi vi è una concezione negativa della privatizzazione, ma nonostante tutto le
imprese private, piano piano, vanno avanti. A far la differenza in tale politica è il contesto:
 la struttura del mercato;
 la relazione con i mercati finanziari;
 le scelte imprenditoriali;
 la componente culturale, secondo la quale tutti devono perseguire l‟interesse aziendale,
sperando che l‟impresa funzioni bene nel panorama economico, approccio diverso, nella
realtà, di tutti coloro che hanno a che fare con l‟impresa → problema: riuscire a farlo
in tempi brevi.
Nei paesi nordici (Finlandia, Svezia), come già detto in precedenza, più che a privatizzare, lo
Stato si è preoccupato di mettere a confronto le imprese pubbliche con quelle private
all‟interno del medesimo settore, grazie all‟accurato controllo di agenzie indipendenti, così da
porre direttamente in concorrenza i due soggetti, ponendo finalmente l‟impresa pubblica in
condizioni di essere efficiente.
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FINE -