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STORIA DI IMPRESA Appunti A cura di Stefania Aiello MODULO A Programma Si può parlare di imprenditore anche nell‟epoca preindustriale (addirittura vi è qualche cenno anche durante il medioevo). Nella storia si comincia ad avere un pensiero economico quando emerge la definizione di imprenditore: di tale definizione vi sono due concezioni diverse tra la Gran Bretagna e l‟Europa continentale. La storia d’impresa nasce e si afferma negli USA dagli anni ‟40 in poi. Nella storia bisogna analizzare il concetto d’impresa. E‟ importante una classificazione delle imprese per forma e dimensione (classificazione più ampia). Il contesto normativo, culturale-sociale, in rapporto con lo Stato e nei rapporti internazionali influenza la forma d‟impresa. Lo studio dei casi aziendali nella storia. Si può parlare del concetto d‟imprenditore già in epoca preindustriale, tenendo in considerazione: le aziende agricole, le quali operano nel settore primario e che producono non solo mirando a un autoconsumo, ma si rivolgono anche al mercato; i mercanti e le compagnie mercantili già presenti in epoca medievale; i mercanti-imprenditori la quale prevede una forma di organizzazione imprenditoriale. Industria rurale a domicilio: ha provenienza cittadina, pur svolgendosi in campagna, e l‟acquisto di materie prime, prevalentemente tessili, avviene sempre in ambito cittadino, al fine di impiegare tali fattori in campagna, facendoli lavorare alle famiglie contadine. Tali prodotti finiti venivano poi venduti sul mercato. Questa attività si è sviluppata in età preindustriale allo scopo di ridurre i costi di produzione per meglio competere sul mercato rispetto alle corporazioni poiché ci si rivolge a una manodopera non specializzata a salario basso. Tali industrie sono state diffuse per tutto l‟800. Compagnie commerciali per commercio transatlantico: sono le cosiddette società anonime dell’epoca preindustriale, come ad es. la Compagnia delle Indie Orientali. Attività bancaria privata → mercanti-banchieri: hanno origine medievale e si sviluppano in pieno regime tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 (= epoca preindustriale). Contesto ambientale delle suddette imprese storiche in epoca preindustriale e in epoca contemporanea L‟epoca preindustriale è caratterizzata da forte incertezza e di maggior rischio d’impresa. L‟età moderna (durante la rivoluzione industriale), rispetto all‟epoca contemporanea, si caratterizza per un‟attività agricola in balìa delle condizioni climatiche (ancora oggi il rischio è elevato) fondata sulla rotazione biennale (una semina e un raccolto all‟anno) o al massimo triennale. Anche i mercanti hanno il rischio di vendere i loro prodotti su piazze lontane, caratterizzati da un ambiente in cui le informazioni non sono sufficienti, così facendo si operava “al buio”. Mentre l‟artigianato era mercato in cui la domanda di beni (soprattutto per quanto riguarda quella non di prima necessità, i beni di lusso) era molto variabile, cosicché si trattava di un‟attività produttiva legata a fattori non controllabili. Ancora in tutti i settori vi erano dei forti vincoli (soprattutto in epoca medievale, ma anche in tempi successivi) in merito alla mobilità dei fattori produttivi (= terra, capitale, lavoro). Soprattutto il sistema feudale (ma vi sono strascichi anche in epoca moderna) era caratterizzato da un‟ereditarietà nei confronti del primogenito maschio, era un sistema molto rigido in cui difficilmente il contadino poteva permettersi di acquistare la terra, nonostante il suo guadagno. Tutto cambia in età contemporanea, dominata dal capitalismo, caratterizzata da tali fattori: mercato; impiego di macchinari complessi, in cui prevale la macchina sull‟uomo: erano quindi necessari maggiori investimento in capitale fisso, e tale capitale proveniva principalmente mediante autofinanziamento, ricorso al mercato del credito (sistema bancario) e al ricorso al capitale di rischio (borsa). Così nascono diversi modelli d‟impresa, tutto in conseguenza all‟industrializzazione. L‟epoca preindustriale, man mano che ci si avvicina alla rivoluzione industriale (1492 – rivoluzione industriale, che scoppio in Inghilterra nel „700) è caratterizzata dalla convivenza di elementi tipici riguardanti l‟economia capitalistica ed elementi arretrati tipici del feudalesimo (elementi tradizionali + elementi innovativi). Per tutta l‟epoca preindustriale lo status giuridico-sociale degli individui ha un ruolo importante, che prevale rispetto alla reale condizione economica → stratificazione sociale: essa è basata sui titoli nobiliari, l‟aspetto economico ha una valenza diversa. Vi sono due studiosi che hanno studiato in particolare il passaggio dall‟epoca moderna a quella contemporanea, e sono Karl Marx e Adam Smith, il primo ha anche studiato il passaggio dall‟epoca feudale a quella moderna). In particolare Karl Marx visse in Germania nell‟800 e spiega tale passaggio con il variare dei rapporti di produzione, ossia sostiene che la causa del passaggio sia insita in una conflittualità tra titolari dei fattori produttivi. Quando, infatti, sorge un conflitto tra capitale, terra e lavoro (ossia tra capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori) cambia anche l‟equilibrio, ad es. il feudalesimo finisce quando vi è un conflitto tra proprietari terrieri e i contadini, e tale conflitto sorge alla nascita della borghesia, mentre il passaggio dall‟epoca moderna a quella contemporanea è caratterizzata da un conflitto tra lavoratori e capitalisti, a quest‟ultimo conflitto coincide la nascita del proletariato (= classe operaia), infatti. Adam Smith è stato il fondatore della scuola classica scozzese, ed è vissuto in Inghilterra nel „700. E‟ stato anche l‟ideatore della cosiddetta mano invisibile,teoria che si basava sul non intervento dello Stato nell‟economia (il mercantilismo, al contrario, era caratterizzato da un forte intervento statale). Smith spiegò il passaggio dall‟epoca moderna a quella contemporanea con l‟espansione degli scambi commerciali, motivandola col fatto che la crescita comporti una migliore allocazione delle risorse: tutto ciò è causato dall‟innovazione tecnologica,la quale comporta una più efficiente divisione del lavoro → allargamento del mercato. In sostanza tale studioso sostiene che sia necessario che il mercato si autoregoli senza alcuno intervento da parte dello Stato: è una visione di versa da Marx. Tra le attività prevalenti in epoca preindustriale, vi sono sicuramente le aziende agrarie, le quali implicano un legame tra le attività produttive e il mercato a cui si rivolgono. Tale legame non era, però, così scontato come lo è ai nostri giorni, ma vi erano tre livelli di contatto col mercato: I livello: è quello più rudimentale, l‟obiettivo primario del contadino era quello di produrre prevalentemente per autoconsumo (la % di autoconsumo definisce il grado di commercializzazione, il livello di rapporto col mercato; l‟azienda contadina chiusa al 100% non esisteva, magari si fondava sul baratto e quindi si apriva allo stesso mercato); II livello: erano le aziende contadine che instauravano rapporti col mercato più numerosi rispetto a quelle di I livello al fine di pagare il canone di locazione della terra (in caso i contadini non fossero stati i proprietari di essa) o l‟imposta fondiaria (in caso fossero proprietari di questa); III livello: si trattava di aziende contadine che si rivolgevano al mercato anche per acquistare altri prodotti. Le conseguenze di ciò: la specializzazione della propria produzione: l‟impresa produceva esclusivamente ciò che le rendeva di più, acquistando sul mercato gli altri beni di prima necessità; le campagne diventavano così importante mercato di sbocco, non più confinato solo in città. La conseguenza di una variazione dei prezzi su un‟azienda agricola era devastante, e ciò ai tempi accadeva di frequente. L‟aumento (= inflazione) poteva derivare da una crisi agraria, un crollo della produzione o a una carestia. Sulle aziende agrarie di III livello addirittura tale aumento comporta degli effetti positivi, poiché esse aumentano i profitti grazie a tale situazione. Mentre per le imprese di I e di II livello nascevano delle situazioni di difficoltà, a causa dell‟impiego di tecniche rudimentali di lavorazione, e quindi non solo non si producono nuovi guadagni, ma si generano delle spese più elevate per gli acquisti dei beni di prima necessità. Spesso tale brutta situazione portava addirittura alla vendita dell‟appezzamento di terra (→ rischio ambientale altissimo). Il concetto di imprenditore attualmente è contenuto all‟interno dell‟art. 2082 c.c., il quale enuncia che imprenditore è colui che esercita un‟attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni/di servizi. Tale definizione è stata utilizzata a partire del 1942, la quale ha sostituito quella del 1882 prevista dal codice di commercio, a sua volta ripresa da quella del 1802 contenuta nel codice napoleonico. Nella norma del codice di commercio non si parlava di imprenditore, ma di commerciante; nel corso del tempo il concetto di imprenditore si è esteso, mentre la figura del commerciante è andata a coincidere con quella del capitalista dell‟economia classica, il quale era considerato una figura ininfluente, poiché il mercato raggiungeva automaticamente una posizione di equilibrio. Tale situazione viene definita concorrenza perfetta, ed è caratterizzata dal fatto che nessun attore è in grado di influenzare le condizioni del mercato. Si credeva che i fattori produttivi si combinassero automaticamente in tale regime e che l‟attore principale fosse il mercante. Gli economisti così non si interessano a fornire una definizione di imprenditore. Ancora oggi si fatica a spiegare il ruolo dell’imprenditore in funzione dello sviluppo economico (= quanto egli può influenzare il mercato). Vi sono diverse teorie in proposito che sono contrapposte tra loro. Prima della rivoluzione industriale i tentativi di individuare delle definizioni di imprenditore sono pochi. Con la prima rivoluzione industriale, si inizia a individuare la figura dell‟imprenditore come il capitalista (= colui che investe e coordina i fattori produttivi). Con la seconda rivoluzione industriale, e quindi con l‟affermazione delle grandi fabbriche, aumenta in maniera esponenziale il ruolo della ricerca scientifica e gli investimenti in capitale fisso: così viene definita la grande impresa che attira l‟attenzione degli studiosi poiché riguarda una produzione particolare, la quale prevede una scissione tra investitori e gestori dell‟impresa. In pratica emerge la grande impresa manageriale. Con la terza rivoluzione industriale, alla fine del „900 si diffonde la nuova tecnologia di informazione e comunicazione alla quale succedono nuovi comportamenti da parte delle imprese e nuove forme di esse: la grande impresa manageriale è superata. Le imprese sono più flessibile e nasce un nuovo imprenditore a causa del cambiamento del mercato. Nella storia nascono due filoni per definire l‟imprenditore: la tradizione continentale (= Europa continentale) e la tradizione anglosassone: Tradizione continentale 1200-1300/fine‟800 Nell‟economia europea vi era spazio per l‟iniziativa e la creatività dei singoli soggetti, i quali sono in grado di cambiare gli equilibri di mercato. Tradizione anglosassone La concezione oggettiva del funzionamento del sistema economico non prevede che venga lasciato spazio per l‟analisi dei comportamenti individuali: il mercato è influenzato solamente da variabili macroeconomiche. Tradizione continentale Negli anni 1200-1300 vi è lo sviluppo delle attività mercantili, le quali fanno in modo che il profitto del mercante sia la necessaria remunerazione del rischio corso per gli investimenti di capitale da parte dello stesso. Molti intellettuali (ma anche molti mercanti stessi) redigevano dei trattati contenenti le regole dell‟attività mercantili, in particolare sulle quotazioni delle monete, sul sistema dei cambi, pesi e misure, ecc.. Essi erano considerati e utilizzati come dei veri e propri manuali d‟istruzione, i quali legittimavano la figura dell‟imprenditore (anche se esso non viene mai nominato, ma si parla di negozianti e mercanti), in modo che tale rimanesse un concetto intrinseco. La situazione rimane tale per molto tempo. Il primo autore che introduce il termine imprenditore è stato un banchiere francese di origine irlandese Richard Cantillon tra la fine del‟600 e l‟inizio del „700. Parlò nella sua unica opera (pubblicata postuma, dopo la sua morte) del 1755 denominata “Saggio sulla natura del commercio in generale”, di imprenditore, paragonandolo e denominandolo commerciante. Il termine entrepreneur (= imprenditore in francese) è coniato dallo stesso autore che definì come colui che cercava di sfruttare la discrepanza tra domanda e offerta → il vero organizzatore di ciò che produceva (funzione organizzativa dell’imprenditore). Egli fa un passo in avanti, ma si rivolgeva pressoché esclusivamente a coloro i quali lavoravano la terra in affitto (= fittavoli) per un periodo di tempo determinato. Durante la seconda metà del „700 e i l‟inizio dell‟800 Nicolas Baudeau, studioso francese (1730-1792) era appartenente alla scuola dei fisiocratici: la scienza fisiocratica è una teoria economica che si sviluppa in Francia contemporaneamente a quella classica, secondo la quale l‟unico settore economico in grado di fornire ricchezza è quello primario, ossia quello agricolo. Egli individua la figura dell‟imprenditore e capisce che è diverso sia dal proprietario che dalla manodopera salariata, ma lo circoscrive sempre e solo al settore primario. Definisce l‟imprenditore come colui che è in grado di incrementare, attraverso le proprie scelte, la ricchezza della terra (riducendo i costi e aumentando i profitti). Egli inoltre riesce a migliorare tale attività apportando migliorie, ma per fare ciò corre anche dei rischi. Quindi Baudeau considera anche l‟aspetto innovativo, ma rimane ancora improntato sul settore primario. Tra il „700 e l‟800 un altro studioso formula importanti teoria: Melchiorre Gioia, è un politico piacentino seguace della scuola classica. Individua l‟imprenditore come un agente intermedio tra i proprietari (i capitalisti) e la manodopera salariata (gli operai). Durante il periodo tra il „700 e l‟800 (periodo molto importante) un economista e industriale francese (l‟economia ai tempi non era ancora una vera e propria disciplina economica, ma è caratterizzata dal fatto che delle persone scrivano dei trattati in merito per passione della materia) Jean Baptiste Say (1767-1832) scrive un trattato di economia politica (1803) nel quale introduce un concetto di utilità, come elemento che determina il valore di un bene, piuttosto che il suo costo. La figura dell‟imprenditore è distinta tra quella del capitalista e quella del salariato, ed è considerato l‟agente principale della produzione,avente capacità organizzative, per sovraintendere, dirigere e controllare la produzione (= capacità di combinare i fattori produttivi). E‟ esponente della teoria classica, e quindi il contesto in cui studia è un contesto statico (equilibrio autonomo del mercato, tra domanda e offerta), in cui l‟imprenditore non è in grado di influenzare il mercato. Il binomio tra concetto d‟imprenditore e ambiente dinamico (equilibrio dinamico del mercato (in cui l‟imprenditore è in grado di influenzarlo) si sviluppa solo alla fine dell‟800 con Shumpeter. Tradizione anglosassone Il massimo esponente della teoria classica è stato Adam Smith, inseguito da seguaci. Nella tradizione anglosassone la figura dell‟imprenditore viene trascurata fino alla lasefconda metà dell‟800. Lo stesso Smith nella sua “Opera per la Ricchezza delle Nazioni” ignora la figura dell‟imprenditore, ma distingue tra fornitura del capitale e organizzazione dei fattori produttivi, anche se poi le identifica in capo a un unico soggetto. Tale formulazione di teoria deriva dal fatto di situazione del contesto. Infatti in quel periodo l‟Inghilterra comincia a industrializzarsi mediante l‟impiantazione di fabbriche di modeste dimensioni a livello familiare, se non addirittura individuale, in cui il capitalista e l‟organizzatore della produzione coincidono. Così facendo Smith non si poneva il problema dell‟imprenditore che non coincide con la figura del capitalista. Ancora il settore bancario (mercato del credito) si è sviluppato poco, cosicché difficilmente può nascere tale figura imprenditoriale, le fabbriche si autofinanziano e sono per lo più imprese monofunzionali in cui: proprietario = manager = capitalista. David Ricardo è uno dei seguaci di Smith (1772-1803) che prosegue la sua linea anche se in realtà aveva studiato Jean Baptiste Say senza però recepirne la teoria. Il parere di Ricardo riguarda il raggiungimento automatico dell‟equilibrio tralasciando completamente l‟imprenditore. A metà dell‟800 John Stewart Mill pubblica un‟opera, in un paese che però è estremamente industrializzato, caratterizzato dalla costruzione delle ferrovie (railway mania) tramite investimenti privati di capitale in cui non vi sono più le piccole imprese che si autofinanziano, ma nascono le prime grandi imprese, in cui per forza di cose l‟imprenditore è diverso dal capitalista. Nasce così l‟impresa manageriale e quindi la funzione manageriale. Mill coglie questo cambiamento e usa il termine entrepreneur senza tradurlo dal francese, classificandolo come un dirigente stipendiato (salariato), comunque senza dargli una grande connotazione, rimanendo così nel regime classico. Egli gli dà una connotazione negativa poiché sostiene che il suo interesse sia derivato esclusivamente dalla percezione di un salario e non a una efficiente combinazione dei fattori produttivi. Karl Marx è vissuto nell‟800 (1818-1883) e ha scritto diverse opere tra cui “Il Capitale”: nel libro terzo di tale opera si allinea abbastanza al pensiero di Mill, addirittura sembra quasi andare oltre. Infatti prevede che l‟imprenditore, rispetto al capitalista, abbia un ruolo autonomo, ma lo descrive come un funzionario, il quale percepisce un salario di controllo, che risulta più elevato rispetto a quello di un operaio, poiché egli all‟interno dell‟impresa ha una funzione più complessa, ricadendo sempre, però nello schema classico. Tradizione continentale (Italia, Francia e Svizzera) Durante gli ultimi decenni dell‟800 (II rivoluzione industriale) la situazione cambia rispetto a prima, si ribalta perché rispetto a prima la figura dell‟imprenditore viene completamente accantonato non considerandola come un fattore produttivo. Leo Walras è uno studioso appartenente alla scuola marginalistica neoclassica diffusasi a partire dalla seconda metà del „600 che basa tutto sull‟utilità marginale decrescente, per la quale al crescere del consumo di un determinato bene, l‟unità marginale decresce. Tale teoria giunge dopo la teoria classica e propone la teoria dell’equilibrio economico generale, in cui le forze (gli operatori economici: le imprese ↔ i consumatori) che agiscono in un sistema economico sono tali e in una determinata posizione la quale permette di sollecitare lo stesso operatore a mutare le proprie scelte. Per meglio capire occorre variare la quantità dei fattori produttivi impiegati da parte delle imprese o a variare le quantità acquistate di beni da parte dei consumatori. Il mercato è in equilibrio, ma non può far nulla per influenzare il mercato. Vilfredo Pareto è uno studioso nato in Francia e vissuto in Italia. Egli aggiunge il concetto di ottimo paretiano, il quale prevede che non sia possibile aumentare l‟utilità di un consumatore, senza diminuirne l‟utilità di un altro. Il mercato raggiunge una posizione di equilibrio automaticamente, non vi è nessuno spazio per iniziative imprenditoriali, infatti il mercato è già nella posizione migliore possibile. Sempre seguendo questo filone Alfred Marshall (vissuto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900) parla inoltre di equilibri parziali: per certi beni la funzione di domanda e offerta sono indipendenti verso altri beni. In pratica non vi è un unico equilibrio, ma vi sono tanti microequilibri per determinati beni. Lo spazio imprenditoriale comincia a essere remunerato con una quota di profitti, ed è definito come colui che organizza (funzione organizzativa):ha un ruolo rilevante e viene considerato dallo studioso come il quarto fattore dell‟organizzazione, dopo il capitale, la terra e il lavoro. In sostanza si tratta di un nuovo filone di studi sulla tecnica industriale esistente ancora oggi. Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 si mette un po‟ da parte il concetto d‟imprenditore, ma in realtà diversi studiosi analizzano la figura. Karl Menger faceva parte della scuola marginalista, la quale prevede un‟attività marginale decrescente: l‟analisi economica non deve basarsi su variabili di macroeconomia, ma sul comportamento degli agenti individuali: consumatore e imprenditore. Un passo in avanti viene fatto da Werner Sombart per quanto riguarda l‟imprenditore, e da Joseph Shumpeter. Quest‟ultimo è lo studioso più importante del periodo; egli, nel corso della sua vita, si trasferisce negli USA, cambiando completamente visione sull‟impresa e sull‟imprenditore. Infatti la sua storia può essere suddivisa in due fasi: I Shumpeter: quello vissuto in Europa; II Shumpeter: quello vissuto in America. Shumpeter è vissuto tra la fine dell‟800 e la metà del „900 (1883-1950), ed è il principale teorico sul cambiamento del sistema economico. Egli ha un approccio dinamico alla visione del mercato ed esce dalla concezione statica classica (la quale prevedeva che l‟impresa non potesse fare nulla per influenzare il mercato) mettendo al centro il ruolo dell‟imprenditore: lo sviluppo economico dipende soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, secondo il suo punto di vista, le quali vengono per l‟appunto introdotte dall‟imprenditore. Tale introduzione è permessa dall‟accesso al credito, e viene stimolata da aspettative di profitto monopolistico per un certo periodo: con tale profitto si remunerano i rischi: tasso d’interesse; saggio di profitto. Entrambi derivano dalle innovazioni tecnologiche. Analisi dinamica: I Shumpeter L‟imprenditore è in grado di trasformare un invenzione in innovazione (= invenzione che viene applicata al processo produttivo di produzione), considerando il fatto che spesso le invenzioni possono rimanere fini a sé stesse. L‟aspettativa dell‟imprenditore è monopolistica, la quale prevede extraprofitti. Comunque questo corre sempre un rischio, infatti le innovazioni non sempre portano successo. Le innovazioni, comunque, sempre secono Shumpeter, si presentano a grappolo, ossia da un‟innovazione ne nasce sempre un‟altra e via dicendo: tipico es. è la I rivoluzione industriale con la filatura tessile. Lo studioso per verificare questa sua idea, risale indietro nel tempo e studia i cicli economici di lungo periodo (lunghe Kondradiev) di durata di circa mezzo secolo in cui vi è ad es. una fase A ascendente e una fase B discendente: I ciclo: 1780-1840 (circa) caratterizzato da due importanti innovazioni tipiche della I rivoluzione industriale del settore tessile e di quello metallurgico; II ciclo: dal 1840 alla fine dell‟800, periodo a cavallo tra la I e la II rivoluzione industriale, caratterizzata dalle ferrovie e in generale dal vapore per quanto riguarda il settore dei trasporti; III ciclo:dalla fine dell‟800 al 1940 nel periodo della II rivoluzione industriale, in cui la più importante innovazione è rappresentata dall‟automobile, ma anche l‟industria chimica e quella elettrica. Questa serie di innovazioni genera, quindi un nuovo ciclo di sviluppo economico (da 50 a 150 anni: oggi i cicli economici trascorrono molto più velocemente, quindi durano meno). Ciò viene dimostrato, secondo lo studioso, dagli eventi storici. II Shumpeter Riguarda il periodo in cui si trasferisce negli USA, e in cui studia all‟università di Harvard (1932). In questa seconda fase è molto meno ottimista, perfino più isolato. Scrive un‟opera intitolata “Capitalism, Socialism, Democracy” nel 1942: lo studioso è meno ottimista poiché lo scenario diverso americano smonta un po‟ le sue teorie. Infatti esso è caratterizzato dall‟affermazione del big business, in cui la vera protagonista è la grande impresa manageriale e non più l‟imprenditore di Schumpeter, soprattutto l‟attore fondamentale del sistema è il manager. Le innovazioni nascono sempre meno dalle iniziative imprenditoriali singole ma diventa un fattore endogeno all‟impresa: infatti all‟interno di ogni organizzazione vi è il settore dell‟attività di ricerca e sviluppo, e ancora a capo dell‟impresa non vi è più l‟imprenditore individuale, ma i manager. In pratica cambia completamente l‟ottica, e il potere è nelle mani della gerarchia manageriale. In collaborazione con altri studiosi, Shumpeter fonda un‟organizzazione di ricerca sulla storia d‟impresa denominata “Research Center in Entrepreneurial History”. All‟interno di tale fondazione vi anche Alfred Chandler, allievo di Schumpeter, il noto studioso che riprese dal suo maestro la teoria secondo la quale al centro dell‟analisi delle imprese non vi è più l‟imprenditore ma la grande impresa manageriale. Altro studioso americano che si affianca alla linea del II Shumpeter è Frank Knight; egli, a tal punto, si è soffermato di più sull‟innovazione, la quale secondo lui si concentra su: il rischio: esso è qualcosa di misurabile e valutabile ex ante dall‟operatore economico (imprenditore o impresa); l‟incertezza:essa non è valutabile e non prevedibile è insita al verificarsi di situazioni impossibili da prevedere. Per valutare meglio i rischi l‟imprenditore deve essere capace di riuscirli a valutare in situazioni di incertezza, deve cioè effettuare una valutazione preventiva: più è bravo a farlo e più avrà successo. La scuola neo-austriaca nasce a metà del „900 fino ai giorni nostri e segue la scuola di studi appena analizzata ponendola sul versante europeo-continentale. Si concentra soprattutto sull‟attenzione rispetto a ciò che accadrà in futuro. Gli studiosi che più si interessano sono ad es. Friedrich von Hayek, Leopold von Mises e Israel Kirzner tutti vissuti tra la fine dell‟800 e la fine del „900. Essi sostengono che l‟imprenditore deve essere in grado di valutare i prezzi futuri a quale vendere e per quale ragione possono comportarsi di conseguenza. Quindi egli devono acquistare i fattori produttivi in funzione del prezzo di vendita → previsione futura al fine di fissare un prezzo di vendita equo anche in futuro. In particolare Leopold von Mises nel 200 scrive che: profitto = prezzo di vendita – (costo totale della produzione + interessi sul capitale investito) Israel Kirzner enuncia che l‟imprenditore è l‟intermediario che svolge le funzioni intermediarie, per l‟appunto, sul mercato. Per una buona previsione l‟impresa ha bisogno di informazioni che deve saper raccogliere, leggere e far fruttare. Deve anche tenere in considerazione il fatto che esse siano spesso incomplete e/o distorte. Problema: su ogni mercato vi sono diversi imprenditori che non si comportano alla medesima maniera, poiché non tutti hanno le stesse informazioni (a causa dei costi di queste e delle abilità rispetto ai legami dei soggetti in questione) e comunque esse vengono interpretati in modo diverso da ognuno di loro: ciò genera comportamenti diversi. Mark Casson, nato nel 1943 ha scritto l‟opera “The entrepreneur. An economic theory” nel 1982. Egli mette al centro della sua analisi l‟informazione, le quali sono fondamentali per colui che si specializza a prendere decisioni, anche critiche, le quali servono a coordinare risorse scarse, quindi hanno le finalità di allocare meglio le risorse, ossia collocare al meglio i fattori produttivi. Tali informazioni possono essere reperite facendo riferimento ai consumatori. Per concludere: il tema dell‟imprenditore continua a essere attuale, infatti ancora oggi è una figura poco nitida, oggetto di dibattito. Fino adesso possiamo dire che è colui che ha a che fare con: l‟innovazione; i rischi; le informazioni: che deve essere in grado di raccogliere. La storia d‟impresa si divide anche tuttora in: entrepreneurial history: storia imprenditoriale che pone al centro l‟imprenditore, il quale coincide con il I Shumpeter; business history: storia d‟impresa che prende la sua origine dal II Shumpeter, che analizza l‟impresa (soprattutto la grande impresa) in tutte le sue forme. Entrambi gli orientamenti nascono dal centro delle ricerche di Harvard e vengono ancora oggi portati avanti. Purtroppo tale settore è condizionato da mode: molti studiosi hanno studiato fino agli anni ‟80 la grande impresa manageriale americana (periodo denominato III rivoluzione industriale). Dagli anni ‟90 in poi si parla di tipologia produttiva più snella la quale porta nuovamente al centro del sistema, l‟imprenditore (evoluzione più recente), specie con le nuove forme d‟impresa. Prima però occorre accennare all‟impresa del II Shumpeter, la quale è stata studiata fino agli anni ‟80: essa era posta al centro degli studi. L‟impresa, in particolare, è analizzata sotto due punti di vista: concezione statica: deriva dalla teoria neo-classica marginalista, per la quale la stessa impresa si adatta alle condizioni di mercato e quindi le sue performance dipendono dalle capacità di adattarsi a esso → il mercato è immutabile. Conseguenza: percorso standard seguito dall‟impresa in cui vi è poco spazio per le abilità delle singole aziende che operano in regime di concorrenza perfetta, le quali subiscono il prezzo di mercato, e non possono fare nulla per influenzarlo. Le stesse adotteranno l‟utilità marginale, in pratica aumenteranno la produzione finché il profitto marginale non coincida con il costo marginale. La teoria non è interessante; concezione dinamica:valuta le strategie dell’impresa; ottica che ha le sue basi nella storia d‟impresa (= teoria applicata alla storia). Ha una base empirica importante la quale riguarda in particolare l‟azienda che è in grado di influenzare il mercato. Lo studioso Werner Sombart tedesco nato la seconda metà dell‟800 (1863-1941) nella sua opera “Capitalismo moderno” del 1927, mette insieme la teoria economica con la storia per analizzare e spiegare il processo di formazione e di maturazione dell‟economia moderna. Definisce il capitalismo come la formazione economica di scambio in cui i proprietari dei mezzi di produzione e i lavoratori nulla tenenti siano, relativamente i soggetti/oggetti economici (soggetti = proprietari mezzi di produzione; oggetti = lavoratori). Tale collaborazione dà origine a una sorta di organizzazione: principio del profitto → spirito del capitalista = spirito d’impresa (viene mosso da chi vuole guadagnare e/o conquistare delle posizioni sul mercato) + spirito borghese Al vertice di ciò vi è l‟imprenditore capitalista il quale rappresenta l‟organizzazione principale che opera all‟interno di questo meccanismo. Nasce così il capitalismo maturo: all‟imprenditore del I Shumpeter si stava sostituendo un organizzazione più complessa in cui vi è: separazione tra proprietà e capitale; specializzazione delle attività produttive; integrazione tra attività produttive e attività finanziarie. Così all‟interno dell‟impresa nasce la figura del manager. Werner Sombart descrive, quindi, il big business americano, addirittura anticipando il II Shumpeter, e lo descrive in base ai cambiamenti che si stanno verificando. Capitalismo maturo: fenomeno diffuso negli USA dalla fine dell‟800 fino al 1980 circa, con l‟espansione del big business, delle grandi corporazioni, SPA, e SRL gestite dai manager. In questo periodo diminuisce l‟industria di base. E‟ un fenomeno caratterizzato da critiche: si è sviluppato un movimento contro tali grandi imprese (già dalla fine dell‟800), come nel caso delle ferrovie. Sinonimo del movimento è stata la crisi del ‟29 in cui vi furono molti licenziamenti. Comunque già nel 1887 vennero emanate le leggi antitrust,le quali avevano il fine di limitare le aziende delle grandi corporazioni per evitare accordi di cartello, i quali permettevano la spartizione del mercato. Su tali corporazioni è nato un filone di studi anglosassone che segue il II Shumpeter con gli studiosi Berle e Means che scrivono un‟opera intitolata “The modern corporation and private property” del 1900 in cui si analizza il caso americano: in quel periodo le 200 società maggiori americane controllavano circa il 50% della ricchezza del paese (non quella bancaria). Ancora queste società erano a loro volta controllate da 2000 persone che avevano in mano metà della ricchezza americana. Le società in questione hanno la particolarità di essere frammentate in migliaia di azionisti (anche pubblici): se la proprietà risulta frammentata da migliaia di soci vengono denominate public companies, non nel senso di pubbliche ma nel senso della larga diffusione di azionisti tra il pubblico, in pratica rappresentano il patrimonio della comunità). Il controllo di tali imprese è però affidata a un numero ristretto di persone (i manager per l‟appunto). Questo sistema è addirittura paragonabile al feudalesimo, poiché è caratterizzato di una gerarchi accentuata. Inoltre i due studiosi individuano 3 forme di separazione tra proprietà e controllo dell‟impresa, le quali: 1. controllo di maggioranza: la maggioranza degli azionisti esercita anche il controllo dell‟impresa; 2. controllo di minoranza: solo pochi azionisti controllano l‟impresa; 3. controllo degli amministratori: caso più estremo; la totalità, o quasi, degli azionisti è esclusa dal controllo dell‟impresa, tutto è nelle mani dei manager → caso della public companies. Ancora i due studiosi, negli ultimi due casi, individuano una contrapposizione d’interessi tra tutti i proprietari (piccoli azionisti) e i manager. Questi ultimi, infatti, possono avere obiettivi diversi dagli azionisti, come ad es. quello di detenere il controllo. Dagli anni ‟70 in avanti (dopo lo shock petrolifero) la publico companies va in crisi per via delle grandi imprese giapponesi, le quali proponevano un modello opposto a quello americano (in cui i manager operano solo per i propri interessi e non per quelli degli azionisti). Gli anni ‟80 sono caratterizzati, sempre in America, dai manager buyout: essi con politiche poco limpide rilevano le proprietà delle grandi imprese (al fine di non essere fatti fuori dagli stessi azionisti). Essendo il capitale frazionato, per detenere il controllo, basta una piccola quota di capitale. Uno studioso nato nel 1910 che si forma negli USA molto importante è Ronald Coase. Egli nel 1937 scrive un‟opera intitolata “The nature of the firm”, partendo dagli studi di Berle e Means. Il suo obiettivo è definire meglio il concetto d‟impresa studiandone la governance.Infatti egli riprende il concetto per il quale solo quando il mercato è dominato da tante piccole imprese si è in regime di massima efficienza del mercato (regime di concorrenza perfetta), quella descritta dai neo classici. Questo non è il caso americano, quindi smentisce i neoclassici, infatti su tale panorama vi sono pochi e grandi imprese che dominano il mercato. In merito a ciò definisce i costi di transazione come quelli sostenuti in questo ambiente e le imprese in base a come esse si comportano nei loro confronti. In pratica i costi di transazione sono costi d‟impiego dei meccanismi di mercato per l‟utilizzo dei prezzi, ossia per concludere un affare si sostengono dei costi, quali: la raccolta di informazioni, la risoluzione di trattative, il monitoraggio del mercato, la redazione dei contratti, ecc. L‟azienda può scegliere se internalizzare tali costi o se acquistare questi beni/servizi sul mercato (= esternalizzare), classico es. è l‟ufficio legale. Conseguenza: l‟impresa riuscirà a emergere sul mercato internalizzando le transazioni e limitando i costi, ma con la consapevolezza che più si internalizza e più aumentano le dimensioni della stessa (grande impresa = le unità operative aumenteranno). E‟ conveniente internalizzare fino a quando: costo di internalizzazione = costo sul mercato Coase chiama tale fenomeno come equilibrio mobile dell’impresa, per il quale si esce dalla concezione statica d‟impresa → limite: non si può internalizzare all‟infinito, infatti se l‟azienda cresce troppo rischia che si inneschino dei meccanismi d‟inefficienza, i quali porterebbero a una cattiva allocazione delle risorse, e si subirebbe la concorrenza delle imprese di piccole dimensioni. Ancora tratta un approccio di studio contrattuale, il quale studia l‟impresa come un insieme di contratti tra diversi agenti economici, i quali costituiscono un sistema produttivo più efficiente del mercato stesso. In pratica l‟impresa diventa qualcosa di alternativo al medesimo mercato in cui essa opera. Se non vi fossero dei limiti su di esso opererebbe un‟unica grande impresa. Il primo punto di arrivo importante è stato imposto dalla studiosa americana Edith Penrose, la quale va a lavorare in Inghilterra. Scrive un‟opera nel 1959 denominata “La teoria della crescita dell‟impresa” in cui spiega le cause della formazione americana, le quali per lungo tempo non sono state considerate (per questo motivo si reca in Gran Bretagna). Considera l‟impresa come un insieme di risorse materiali e umane coordinate da un‟organizzazione amministrativa, al fine di produrre beni/servizi da vendere sul mercato per creare profitti → insieme di risorse coordinate da un’organizzazione amministrativa. Ella ha una concezione dinamica dell‟impresa, infatti sostiene che ogni azienda sia unica perché le risorse possono essere utilizzate in modo differente → ruolo importante delle risorse umane, soprattutto delle risorse manageriali che sono fondamentali per la crescita dell‟impresa come frutto delle competenze acquisite all‟interno della stessa. In pratica ciascuna figura ha un percorso pianificato all‟interno di un‟azienda, la quale sarà quindi dotata di determinate competenze, le quali sono intrasmissibili. Ancora la studiosa pone attenzione sulle risorse umane che devono predisporre un piano ottimale di crescita per sfruttare meglio le risorse interne, devono aumentare le conoscenze e devono liberare le risorse che danno origine, a loro volta, a nuove opportunità di crescita → margine delle risorse inutilizzate, come incentivo dell‟impresa a espandersi. Di conseguenza il ruolo del manager è centrale per la teoria della crescita dell’impresa, ma comunque non si tratta di un meccanismo infinito. Non sempre però le opportunità di crescita sono sfruttate, infatti: l‟impresa non si rende conto delle possibilità di espansione; l‟impresa non vuole e/o non può cogliere tali possibilità. I manager devono collegare le risorse inutilizzate con l‟ambiente esterno, ossia: risorse interne ↔ ambiente esterno abilità ↔ propensione Problemi: i manager non sempre sono in grado di cogliere le opportunità di crescita a causa dei limiti delle proprie conoscenze; i manager non vogliono cogliere tali opportunità, perché comunque la crescita dimensionale di un‟azienda ha un limite, oltrepassato il quale diventa inefficiente, infatti differenziare troppo l‟attività produttiva è rischioso. La Penrose descrive l‟impresa come una realtà dinamica che non subisce il mercato, ma anzi lo influenza, discostandosi così dalla mentalità neoclassica. E‟ molto vicina alla teoria di Alfred Chandler (lo studioso più importante della storia d‟impresa). Tale studioso ha caratterizzato tutto il „900, dal 1918 al 2007con le sue teorie: egli ha studiato a Harvard nella scuola di Shumpeter. Egli, più che economista, era uno storico, perché analizza l‟economia americana nei confronti di altri paesi; le sue opere più famose sono: “Strategy and structure” del 1962; “The visible hand” del 1977, la quale si contrappone alla teoria di Adam Smith (che si basava su un meccanismo classico) in cui l‟impresa si contrappone al mercato; “Scale and scope” del 1990, in cui confronta il caso americano con quello tedesco e quello inglese. La sua concezione base è denominata organizational synthesis,la quale è un punto di riferimento dominante della storia d‟impresa per tutto il „900, che prevede: innanzitutto riprende Schumpeter secondo la teoria dell‟innovazione come motore del cambiamento, ma in più aggiunge che l‟imprenditore non sia più un regista, ma questo viene sostituito dal manager, il quale ha la funzione di controllare la grande impresa; la gerarchia manageriale applica le strategie di crescita e di conseguenza adegua la struttura aziendale in questo modo: Strategia Pianificazione e sviluppo delle imprese: i manager fissano gli obiettivi di sviluppo a medio/lungo termine, scelgono i criteri di azione e come allocare le risorse, comprese le risorse umane. Struttura L‟organizzazione è progettata e costruita per amministrare i settori di attività e le risorse dell‟impresa che comprende tutti i livelli gerarchici e in cui vi sia circolazione delle informazioni. Strategia ↓ Struttura In pratica senza una struttura adeguata e senza le necessarie modifiche le strategie di crescita portano solo a inefficienza. L‟analisi dello studioso ha un limite: l‟unico punto di osservazione è il big business americano, nella sua analisi, quindi, per molti anni, non si pone il problema della relazione tra la corporate governance (= gerarchia manageriale) e la proprietò e la performance positiva o negativa a seguito di tale rapporto, considerando il fatto che fino a metà del „900 la situazione americana è la medesima: conflitto di interessi tra proprietà e impresa. Secondo tale studioso i manager venivano costretti da istituzioni, i quali esercitavano su di loro delle pressioni al fine di tenere un alto livello, distribuendo così più divedendo possibile, e per raggiungere tale scopo attuavano anche scelte non opportune. L‟opera “La mano visibile” percorre le tappe della nascita della grande impresa americana, partendo dai suoi schemi organizzativi (cambiamento delle organizzazioni interne), il suo obiettivo è quello di dimostrare l‟esistenza di una grande impresa in grado di condizionare il mercato. Ancora Chandler introduce il principio del first mover, per il quale le prime imprese che hanno colto le opportunità di crescita offerte dall‟innovazione sono quelle che rapidamente hanno raggiunto una posizione dominante (durante la seconda rivoluzione industriale) nel mercato, le prime a concludere un buon risultato. Michael Porter è nato nel 1947 si è formato all‟Harvard Busines School e riprende il concetto di efficienza dinamica d’impresa che riguarda: capacità dell‟impresa di adattarsi al mercato; capacità di modificare le condizioni del mercato influenzandolo. Questo processo è attuato dal manager che valorizza meglio le risorse dell‟azienda creando così un vantaggio competitivo, attraverso l‟utilizzo di una strategia competitiva. In pratica si tratta di ricercare la situazione competitiva favorevole nei confronti di un determinato settore; per fare ciò sono necessarie conoscenze approfondite del medesimo settore e del contesto in cui si opera, anche tenendo in considerazione la presenza della concorrenza. I manager devono capire le strategie della concorrenza per attuare le proprie, che siano migliori a queste. Le forze che influenzano le imprese concorrenti sono: 1. minaccia di nuovi entranti:dipende dalla presenza o meno di barriere all‟entrata; 2. potere contrattuale dei fornitori: per il costo dei fattori produttivi: più elevato è il potere verso i fornitori e minore sarà il margine; ancora l‟azienda potrebbe valutare se ha delle valide alternative; 3. potere contrattuale dei clienti: determina il prezzo al quale l‟azienda può vendere il prodotto, se esso è differenziato o standard, in base appunto al cliente, che può appartenere a un mercato di sbocco unico o ampio; 4. minaccia di prodotti sostitutivi: possono esservi dei prodotti sul mercato simili a quelli proposti dalla concorrenza; 5. eventuali manovre di posizionamento dei concorrenti: che operano sullo stesso mercato di imprese le quali producono il loro medesimo prodotto: in tal caso è opportuno valutare le strategie dei concorrenti. Tali forze devono essere attentamente considerate e valutate dai manager al fine di attuare la strategia più opportuno così da ottenere un buon vantaggio competitivo. In particolare possono essere intraprese 3 grandi categorie di strategie: strategie difensive; strategie di attacco; strategie a lungo termine. Per quanto riguarda le strategie di attacco, specie quelle a lungo termine, si può dire che esse sono le uniche in grado di offrire un vantaggio competitivo, il quale può essere determinato da: riduzione dei costi di produzione; differenziazione del prodotto. Combinando le varie strategie con il contesto in cui si opera, si arriva alla definizione delle strategie, le quali, in particolare, sono di 3 tipi: 1. leadership di costo: si immette il prodotto sul mercato a costi bassi e inferiori a quelli della concorrenza; 2. differenziazione del prodotto: l‟impresa allarga la gamma dei prodotti offerti sul mercato; 3. focalizzazione: l‟impresa si focalizza su uno o più (comunque pochi) prodotti. Questa teoria di Porter che riprende quella di Chandler (anch‟esso diretto verso la strategia) e la perfeziona, rapportandola alla concorrenza e uscendo dalla concezione neoclassica. Studioso che segue Chandler e riprende Coase (sulla teoria basata sui costi di transazione) è Oliver Williamson (nato nel 1932) che abbina gli studi di storia d‟impresa alla sociologia e alla psicologia. E‟ un seguace della teoria comportamentista (dei primi del „900) di John Watson, il quale dice che i soggetti hanno una razionalità limitata, la quale impedisce loro la perfetta comprensione del sistema economico, e quindi ne influenza le scelte economiche. Egli fa un passo avanti rispetto a Porter, il quale non si è posto il problema di quanto i manager fossero o meno in grado di compiere scelte giuste, considerando il limite dell‟essere umano che influenza il sistema perché non sempre le sue scelte sono le più adatte. Ma considera che ciascuna impresa è composta da diversi individui, i quali hanno la capacità limitata di comprendere appieno il contesto, in vista del quale devono prendere delle decisioni strategiche. La decisione deve essere unica e deve basarsi su un processo di contrattazione e conciliazione tra i membri della gerarchia manageriale. Tutto ciò avviene in modo aleatorio, per questo motivo le imprese non si comportano tutte alla stessa maniera. Inoltre Williamson, seguendo Coase, menziona i costi di transazione, sostenendo che dipendono dalla natura dell‟uomo, e concludendo che anche essi siano influenzati dalla razionalità limitata e da opportunismo (= finalità egoistiche, come il caso del conflitto di interessi). Quindi i manager devono valutare, oltre a tutto quello analizzato in precedenza, se: internalizzare → make; Make or buy esternalizzare → buy. Altro aspetto che è opportuno valutare è il fatto di operare in condizioni d‟incertezza dovuta a fattori esogeni e a specificità di risorse (come capitale umano e investimenti). Ancora è necessario valutare la frequenza delle transazioni. Teoria evolutiva dell’impresa: intrapresa da due studiosi, Richard Nelson e Sidney Winter nella loro opera “An evolutional theory of economic changement” del 1982. Essi rielaborano e riprendono il ruolo delle innovazioni di Schumpeter (nel II Schumpeter). Le imprese vengono considerate i soggetti principali del processo tecnologico e ancora sostengono che la ricerca d‟innovazione (come d‟altronde sosteneva Schumpeter), al momento diventa endogena, interna con il settore ricerca e sviluppo, e non è più una cosa eccezionale, ma diviene una routine (come l‟I-phone della Apple): in pratica l‟innovazione non è più visto come qualcosa di sconvolgente, come avveniva in caso della prima scoperta, ma si tratta di un‟innovazione continua. Quindi per Nelson e Winter la routine è definita come l‟insieme delle conoscenze tacite che sono alla base della maggior parte delle attività d‟impresa, non solo nel caso dei prodotti ma anche per: politiche d‟investimento; politiche di ricerca e selezione del personale; riorganizzazione interna dell‟azienda: ad es. nel caso di adozione della catena di montaggio. Tali competenze si formano nel corso del tempo, tutto però non deve essere analizzato in maniera statica: il potenziale innovativo dell‟impresa è di rinnovare la propria routine attraverso un processo tecnologico mediante: tentativi di ottenere delle economie di scala; processi di meccanizzazione. Il progresso tecnologico può essere: continuo: all‟interno dello stesso paradigma tecnologico; discontinuo: cambiamento radicale, innovazione straordinaria (non si parla solo di un‟innovazione di prodotto). Nelson e Winter mettono insieme al concezione microeconomica (= l‟impresa) e quella macroeconomica (= ambiente-mercato). Successivamente nasce un filone di studi basato sul concetto di capabilities (= potenzialità dell’impresa). E‟ un concetto recente (sviluppato negli ultimi decenni), ed è il risultato del processo di apprendimento che si verifica nell‟imprenditore nel corso del tempo → know how: insieme di elementi principali che differenzia le imprese le une dalle altre. Visione Knowledge based: conoscenza delle imprese, intesa in senso diverso. In pratica l‟impresa crea conoscenze, insieme a tali capacità si creano delle potenzialità: più l‟impresa le riesce a usare e più ha la possibilità di raggiungere un vantaggio competitivo all‟interno del mercato. Ancora importante risulta un particolare filone di studi condotto da Paul David nel 1985 “Clio and economics of QWERTY”, opera basata sulla diffusione della tastiera QWERTY, in cui si delinea la teoria del path dependance (= dipendenza dal percorso), per la quale l‟esito finale di un percorso aziendale può essere influenzato da eventi casuali (quindi tutte le teorie menzionate finora avevano lo scopo di mettere in atto le strategie, mentre qui lo studioso si reputa d‟accordo con esse, ma aggiunge che la conclusione dipende dal caso). David cita la tastiera QWERTY come esempio, poiché essa è stata inventata per la disposizione delle lettere/dei numeri che sembravano ottimali al fine di non fare accavallare i martelletti delle macchine da scrivere di allora. Di conseguenza i primi operatori (= dattilografi) specializzati si formarono su tali tastiere. In futuro, nonostante la scoperta di tastiere più funzionali e efficienti rispetto alla QWERTY, essa rimase sempre la più diffusa (ancora ai nostri giorni). L‟autore attribuisce questa conclusione a una casualità (non prevedibile) e associa tale tipo di tastiera a un evento casuale → in pratica non sempre sparisce sul mercato la tecnologia peggiore. Impresa e contesto Premessa: gli studi in precedenza citati hanno fornito informazioni utili per studiare il comportamento delle imprese (partendo dall‟imprenditore in generale). Ciò ancora non regge, manca ancora qualcosa in merito: costi di transazione (make or buy): esistenza anche di forme intermedie tra imprese e mercato (= forme ibride), come ad es. le cooperative in cui i soci producono e vendono sia a sé stessi, sia al mercato; i distretti industriali, i quali sono agglomerati di imprese strettamente collegati tra loro; le imprese a partecipazione statale, in cui vengono perseguite politiche pubbliche e il committente è lo Stato; forme di imprese big business:vi è netta separazione tra proprietà e controllo; piccole imprese: la proprietà coincide col controllo. In mezzo alle due forme d‟impresa appena citate vi sono moltissime forme ibride che non rappresentano né uno, né l‟altro tipo, che non dipendono dalla dimensione e che si utilizzano dei criteri per sapere chi detiene il controllo. Ad es. controllo del pacchetto azionario minimo, detenere il controllo vuol dire possedere anche un pacchetto minimo di azioni: ciò dipende dalla struttura dell‟impresa: holding, gruppi di imprese tipiche del modello asiatico, ecc.; comportamento, struttura, storia: fattori influenzati dal contesto e da fattori esterni. Contesto = insieme di fattori culturali, religiosi, politici, casuali, legislativi, formativi presenti in un paese. Sono molti gli elementi considerati per lo sviluppo delle forme d‟impresa. Quanto ha influenzato il contesto nello sviluppo della storia d‟impresa? Vi sono diversi aspetti da analizzare: I aspetto: fattori culturali, fattori etici e/o religiosi Non sono facili da definire. Innanzitutto proviamo a definire il concetto di cultura. Essa va intesa come l‟insieme di valori e credenze condivise (definizione di Casson). Altra definizione è fornita da David Landes ed è: l‟insieme di consuetudini e di valori morali. In pratica a fare la differenza in campo evolutivo dell‟impresa è la cultura, e quindi su di esso si pone un accento particolare. La cultura è l‟insieme delle informazioni a disposizione dei soggetti economici che effettuano delle determinate scelte. Per gli storici d‟impresa, infatti dal punto di vista pratico, vi è una concezione diversa della stessa tra Europa, USA e Giappone: Europa L‟impresa intesa come imprenditore che la dirige → aspetto personale dell‟impresa (in base alle stesse che si sono affermate nel territorio europeo). USA L‟impresa è impersonale, ed è vista come l‟insieme di assets, fattori produttivi, organizzativi, ecc. (in base alle stesse sviluppate come ad es. le public companies). Giappone L‟impresa è un valore collettivo, come bene comune di appartenenza → la cultura del lavoro è ampiamente sviluppata. I fattori etici e/o religiosi sono molto importanti per lo sviluppo economico. Max Weber diceva che “L‟etica protestante è lo spirito del capitalismo”, infatti il protestantesimo ebbe un ruolo centrale nello sviluppo economico, proprio perché l‟etica protestante vedeva nell‟attività lavorativa un mezzo per avvicinarsi a Dio. Diversa mentalità prevedeva l‟etica cattolica,la quale considerava la ricchezza e il benessere economico un fattore pericoloso da evitare. L‟etica religiosa, ad es. in Italia e in Francia, non ha permesso di accettare fino in fondo lo sviluppo della grande impresa. Ancora lo sviluppo delle imprese è stato influenzato dal contesto sociale. Più in generale occorre definire la parola etica come la concezione che gli individui hanno dello Stato, in quanto esso deve intervenire per creare il contesto favorevole per lo sviluppo delle imprese. In Italia, in Germania e in Giappone esso è stato l‟assoluto protagonista nell‟economia di fine „800. In Gran Bretagna, con la II rivoluzione industriale, si fatica a mantenere il passo con la Germania e gli USA (fine „800) a causa di fattori culturali e sociali diversi. Qui vi è un‟economia già matura, in cui vi è una scarsa separazione tra proprietà e controllo, quindi si tratta di imprese di modeste dimensioni a conduzione familiare → scarsa cultura industriale, disagio del progresso, in pratica non si è creata una classe industriale, ma una classe aristocratica (imprese ereditate, giunte alla III generazione) la quale è caratterizzata da: scarsa propensione agli investimenti tecnologici; scarsa tendenza a proiettare la propria attività verso i consumi di massa. In pratica fattori culturali, sociali ed etici impediscono alla Gran Bretagna di essere competitiva nei confronti degli altri paesi, considerato il fatto che anche il livello d‟istruzione risulta non adeguato per un ottimo sviluppo economico del paese. II aspetto: concezione della famiglia Anche la concezione della famiglia influenza lo sviluppo delle imprese, infatti: 1. ovunque in occidente sono diffuse leggi per la successione, al fine di preservare l‟impresa familiare (l‟impresa veniva trasmessa al primo figlio maschio e erano diffusissimi i matrimoni tra consanguinei → la famiglia è al centro dei valori aziendali). Tali valori improntati sulla famiglia possono sembrare positivi, ma in realtà, con il passare del tempo, diventano negativi (soprattutto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900). A tal proposito è utile citare il famoso scrittore letterario Thomas Mann che con la sua opera più famosa “I Buddenbrook” racconta la storia di una famiglia di quel periodo in decadenza. Da tale romanzo viene addirittura definita la cosiddetta sindrome Buddenbrook, che si manifesta quando l‟impresa giunge alla III generazione e va in decadenza (credenza diffusa ancora oggi, ad es. il caso del “figlio di papà”), con una mancata riconversione delle imprese; 2. in estremo oriente la famiglia ha un ruolo importantissimo, anche se non in tutti i paesi orientali vi è la medesima idea di famiglia: in Korea del sud: chaebol → reti di imprese; in Taiwan: persone appartenenti allo stesso rango, famiglie allargate intese come comunità legate a un territorio → business group. La famiglia viene intesa in due modi, quindi, in senso stretto come il legame tra consanguinei, e in senso più largo come famiglia allargata. III aspetto: ruolo delle donne Da considerare il fatto che la donna ha un comportamento diverso rispetto a quello dell‟uomo, soprattutto per quanto riguarda la dirigenza di un‟azienda: leadesrship femminile: la gerarchia è meno rigida e i rapporti sono più personali; leadership maschile: i rapporti sono più gerarchici e i rapporti più impersonali. IV aspetto: livello dell‟istruzione Occorre analizzare due punti di vista: il livello microeconomico: effetti diretti sui comportamenti dei soggetti sia dal lato dell‟offerta, sia dal lato della domanda; il livello macroeconomico: effetti sullo sviluppo del paese. Per quanto riguarda il livello macroeconomico il confronto tra Inghilterra, Germania e USA a metà dell‟800: Inghilterra resta indietro; il tasso di analfabetismo è superiore al 30%; recepisce tardi il ruolo dell‟istruzione; continua a puntare sull‟istruzione classica riservata all‟élite, Germania industrializzazione tedesca come caso tipico del legame tra scienza e industria; sviluppo delle scuole tecniche e professionali → formazione fondamentale; USA l‟alfabetizzazione è precoce, infatti risale già al „700 ed è rivolta a materie religiose e/o politiche; istruzione fondamentale per partecipare alla vita politica; poco spazio alle materie tecnicoscientifiche; lo Stato non interviene, l‟istruzione è in mano ai privati; è stata tra gli ultimi paesi a rendere la scuola elementare obbligatoria. lo Stato incentiva l‟istruzione tecnica e interviene. nascono delle leggi che invitavano lo Stato a istituire delle scuole; aumenta il ruolo statale nell‟istruzione (1830-1840 circa); emanate leggi federali con la possibilità di concedere terreni al fine di costruire scuole superioritecniche; anche il ruolo dei privati è importante, infatti i ricchi industriali si rendono conto del legame tra industria e formazione tecnica (= università), però il panorama americano era dominato da università di vecchio stampo di tipo religioso votate agli studi classici. Grazie a tali investimenti privati nascono le prime università tecnicoscientifiche (formazione di alto livello) private che sopravvivono grazie a lasciti e donazioni di ex allievi che hanno avuto successo. V aspetto: ruolo dello Stato e delle istituzioni pubbliche 1. Lo Stato esisteva già prima dello sviluppo delle grandi imprese. 2. Il rapporto Stato-imprese è di diverso livello: I livello → Stato dirigista:Stato che si impone sulle imprese e subordina le attività alle proprie finalità (come ad es. è accaduto durante le guerre mondiali); in pratica s‟impone sul Consiglio di amministrazione per produrre ciò che serve alla guerra o si serve di imprese ausiliarie che continuano la loro produzione poiché i loro prodotti sono comunque funzionali alla guerra; II livello → Stato socialista: Stato che non dà spazio all‟iniziativa privata, si sostituisce alle imprese (che sono tutte statali) e non vi è concorrenza, come ad es. era negli anni ‟90 l‟ex Unione Sovietica. Tale Stato non è in grado di operare in un mercato aperto; III livello → Livello intermedio:vi sono diversi tipi di interventi statali intermedi tra i due livelli precedenti. Le istituzioni pubbliche si dovrebbero occupare dell‟insieme delle attività necessarie alla formazione di un efficiente mercato di fattori produttivi dei beni/servizi → perché vi sia un mercato efficiente è necessario un contesto istituzionale che favorisce lo sviluppo delle imprese → crescita economica. Come minimo lo Stato stabilisce le cosiddette regole del gioco, ad es. per garantire il diritto di proprietà, per emanare leggi che influenzano l‟economia, e per stimolare gli investimenti. In Gran Bretagna vi è un contesto molto avanzato per le imprese: crisi finanziaria intorno al 1720: vengono vietate le SRL, e ci vorrà molto tempo prima che vengano costituite nuovamente; 1779: rivoluzione francese; 1807: il codice di commercio napoleonico viene in seguito applicato anche in altri paesi conquistati da Napoleone; limite massimo del numero dei soci (6) fino a metà „800. Negli USA: lo Stato sembra che sia sempre intervenuto poco nell‟economia, ma in realtà vi è stato un ruolo importante sia statale che federale, soprattutto dopo l‟indipendenza (17761840 circa) per quanto riguarda: emanazione di leggi; infrastrutture; politica commerciale; colonizzazione delle terre dell‟ovest; lo Stato nel „700 interviene nella costituzione di società impegnate nella costruzione di (quindi partecipa al capitale): canali; ferrovie. Il capitale pubblico interviene inizialmente per poi piano piano ritirarsi cosicché da lasciare spazio al capitale di fatto delle public companies; nell‟800 vengono emanate le norme per la costituzione di società anonime (= a responsabilità limitata), gli USA a questo punto sono più evoluti rispetto alla Gran Bretagna e all‟Europa in generale (di quasi mezzo secolo), le più importanti nascono: 1809 → Massachussets; 1811 → New York; 1816 → New Jersey; a fronte della Gran Bretagna in cui la prima società anonima risale al 1866, della Francia nel 1863 e dell‟Italia nel 1882. In Giappone: dal 1500 al 1868 è stato un paese chiuso nei confronti dell‟estero; intervento statale dal 1868 in avanti: dinastia Meiji; avvio industrializzazione verso l‟esportazione (apertura all‟estero); istituito un nuovo sistema di tassazione sulla proprietà terriera, in base agli obiettivi → tassa su produzione potenziale (incentivo a produrre); create le aziende pubbliche; istruzione all‟estero per acquisire delle competenze imprenditoriali; politica militare espansionistica fino alla II guerra mondiale; istituzione del Ministero dell‟industria; incentivati dei gruppi industriali. → modello simile: Korea e Taiwan VI aspetto: ruolo dei mercati finanziari Il premio Nobel Joseph Stiglitz disse “La comprensione della crescita delle moderne società deve cominciare dall‟evoluzione dei mercati finanziari”. L‟evoluzione dei mercati finanziari (= dei capitali) è fondamentale per capire l‟evoluzione delle imprese che è dominato da istituzioni finanziarie (= intermediari) che ha il determinato compito: facilitare il trasferimento di capitale tra chi le detiene (investitore) e chi le usa (imprese). Il mercato dei capitali è particolare: il denaro viene scambiato con una promessa di futuro introito. Problema: garantire che la promessa venga rispettata per finanziare le imprese (al di là dell‟autofinanziamento) mediante: indebitamento; capitale di rischio. I mercati finanziari dalla I rivoluzione industriale si delinea sempre una più netta separazione tra risparmio (= risorse in mano a soggetti che hanno delle risorse inutilizzate che sono lontani dagli imprenditori) e soggetti che hanno la capacità di dirigere un impresa ma che non hanno mezzi finanziari per sostenerla → incontro tra domanda e offerta di capitali. Le funzioni del mercato finanziario sono le seguenti: rendere più fluidi i servizi (evitando lo sfasamento temporale, il gap); agevolare l‟allocazione delle risorse aumentando il capitale fisso e le tecnologie; dalla I rivoluzione industriale vi è un ampliamento dei tempi di rientro dei capitali investiti che bisognerebbe ridurre; far fruttare i risparmi; migliorare la gestione dei rischi; esercitare le decisioni a livello societario → controllo. Inizialmente il ricorso al mercato dei capitali era più fondato su debiti di breve termine. Successivamente le aziende si ingrandiscono, e quindi gli investimenti effettuati accompagnati dall‟autofinanziamento non sono più sufficienti. Scelte possibili: ricorrere all‟indebitamento; ricorrere al capitale di rischio (mercato borsistico). Questo non è solo un calcolo di convenienza, ma si tratta più precisamente: valutazione dei rischi; condizioni di mercato; assetto proprietario (= rapporto tra proprietà e management). Dalla II rivoluzione industriale si sono venuti a creare due modelli (in base al tipo di finanziamento prevalente): bank oriented: paesi che ricorrono prevalentemente al sistema bancario come l‟Europa continentale e il Giappone; market oriented: paesi che ricorrono prevalentemente al ricorso alla borsa. Lo sviluppo del mercato finanziario agevola lo sviluppo delle imprese, ma è vero anche il contrario, cioè che lo sviluppo delle imprese agevola il mercato finanziario → relazione biunivoca. Sistema market oriented Fondato su forme di finanziamento esterne, tra cui: emissione delle azioni → finanziamento; emissione delle azioni → s‟indebita. Titoli/quote Le quote trattate sul mercato danno il volume dell‟impresa, e regolano/influenzano il comportamento. Caratteristica: vi è un‟elevata divisione del lavoro, il mercato è formato da: borsa; banche commerciali per finanziamenti a breve termine; banche d‟investimento/istituti di emissione/collocamento titoli; brokers, intermediari di borsa. Inizialmente il mercato finanziario non sorge spontaneamente, ma ha bisogno di imporsi nel tempo poiché comunque risulta necessario un ruolo di intermediari → caso americano. Vi sono 3 fasi di sviluppo che vanno di pari passi con lo sviluppo industriale: 1. dal 1800 fino al 1860 (circa): le piccole imprese si autofinanziano e ricorrono alla banca per prestiti a breve termine, il sistema bancario non è regolamentato (free banking), quindi è instabile; 2. dal 1864 al 1880 (circa): viene emanata una riforma bancaria in cui sono state create delle banche nazionali, le quali devono scegliere in quale Stato operare. Limiti: sui finanziamenti concessi dalle banche alle imprese; la nascita della normativa andava di pari passo con la nascita delle grandi compagnie; 3. dal 1880/90 in poi: lo sviluppo del mercato borsistico comporta la nascita di banche specializzate sui finanziamenti a medio/lungo termine, ma anche la nascita di nuove banche specializzate negli investimenti per: fornire capitale di rischio; svolgere l‟intermediazione; agevolare il collocamento delle azioni; agevolare le fusioni tra aziende. In pratica le banche diventano degli istituti che favoriscono le grandi imprese. Caso inglese Durante la I rivoluzione industriale esistono imprese piccole caratterizzate da pochi investimento in capitale fisso e che si avvalgono soprattutto di autofinanziamento. Per questo motivo lo sviluppo delle banche è stato ritardato. A fine del „700 non è consentita la costituzione delle SPA, tale provvedimento comporta delle conseguenze, le quali: fino a metà dell‟800: la Banca d‟Inghilterra è l‟unica ad adottare la denominazione di SPA; gli altri istituti bancari sono piccoli che non si sbilanciano in finanziamenti rischiosi, infatti i soci della banca, non potendo avvalersi della responsabilità limitata, rischiavano il proprio capitale; in generale si trattava di banche che concedevano finanziamenti a breve termine e banche con compiti di intermediazione finanziaria. Il sistema bancario, quindi, è poco evoluto e di conseguenza anche il settore delle tecnologie è in rallentamento. Grazie a questi ultimi due fattori viene agevolato lo sviluppo del mercato borsistico, il quale è noto per le sue radici storiche (Borsa di Londra). Sistema bank oriented Le banche, in tale ambito, hanno un ruolo cruciale per lo sviluppo industriale. Intervengono dei fattori sostitutivi atti alla risoluzione dei paesi ritardatari, come l‟Italia. In pratica si tratta di qualcosa di esterno al sistema economico, il quale fa in modo che avvenga l‟industrializzazione; tale soggetto è impersonato da: lo Stato, che incentiva la produzione diventando anch‟esso imprenditore; le banche, che finanziano le industrie nascenti → banche miste e universali che in Germania si sviluppano dal 1850 (circa), esempio imitato dall‟Italia con la Banca d‟Italia, dalla Svizzera, dalla Spagna, dalla Svezia, e da tutti i paesi di seconda industrializzazione in generale. Le banche miste sono quelle che esercitano sia il credito a breve/medio/lungo termine, ma il legame tra questa e l‟impresa è molto più ristretto perché essa acquista pacchetti azionari dell‟impresa, e l‟impresa, a sua volta, acquista pacchetti azionari della banca → fratellanza siamese, per cui una regge l‟altra: il rischio grosso in questo sistema è l‟effetto domino. Dopo gli anni ‟30 nasce l‟IRI proprio per questo motivo, per salvare le banche le quali avevano in mano i pacchetti azionari delle imprese più importante (in crisi). Le banche, come fattore sostitutivo, sono istituti despecializzati, quindi il mercato borsistico non si sviluppa tanto, ma resta ai margini. Caso giapponese Nel 1900 si sviluppano gli zaibatsu, che sono dei gruppi d‟imprese integrate verticalmente e che vengono direttamente finanziate da una propira house bank (la quale finanzia tutto il gruppo). In generale i sistemi market oriented sono più adatti per le economie libere e concorrenziali, mentre di solito il sistema bank oriented necessitano di un contesto stabile, caratterizzato da scarsa circolazione delle informazioni nell‟economia e da sistemi opachi (= monopoli, oligopoli) in cui operano pochi e grandi gruppi → rischio: degenerazione del rapporto tra banche imprese, generando così un effetto domino (contesto dinamico). Oggi grazie alla globalizzazione vi è la tendenza a una convergenza tra i due sistemi, in pratica non vi è più, come accadeva in precedenza, una netta distinzione tra i due. Ciò porta a delle conseguenze, le quali: cambiamento della dimensione imprenditoriale (aumentano le dimensioni); sparizione delle grandi imprese dal mercato. Contesto normativo Il contesto normativo riguarda gli elementi i quali sono in grado di influenzare le strategie imprenditoriali (esempio tipico è la legislazione antitrust). Ora occorre evidenziare le differenze tra: USA Germania si sviluppano contemporaneamente leggi antitrust; non vi sono leggi antitrust; emergere delle grandi imprese nei non esiste ostilità verso i gruppi di servizi; imprese; ostilità verso le grandi compagnie che gli accordi e i cartelli tra impresi sono operano in regime di monopolio od addirittura visti come un modo di oligopolio caratterizzati da forti conquistare il mercato interno e quello barriere all‟entrata; estero; legislazione antitrust per limitare i lo Stato favorisce gli accordi tra le cartelli (= accordi) tra le imprese; aziende; il primo provvedimento antitrust viene la costituzione dei cartelli comincia a varato nel 1887, seguito a ruota dallo proliferare a partire dal 1870 Sherman Act (1890): la stipulazione contestualmente all‟unificazione del degli accordi di cartello e di pool sono paese; dichiarati incostituzionali; i rapporti di collaborazione tra le non consentite le fusioni, ma solo le holding (un provvedimento di legge vieta le fusioni), in generale la legge diviene sempre più restrittiva nei confronti delle imprese; si manifesta l‟effetto non desiderato di una non concentrazione di imprese che sono uguali a un unico grande gruppo. Allora l‟obiettivo diventa quello di aprire tale mercato troppo caratterizzato da poche e grosse aziende; a fine „800 la legge antitrust viene rispettata a dovere e le società vengono smembrate per legge. imprese diventano sempre più stretti; dopo la I guerra mondiale vengono istituiti i Konzerne, ossia una forma di cartelli in cui in più si scambiano le azioni (imprese che diventano azionarie di altre imprese); costituzione delle cosiddette comunità d‟interessi in cui oltre che venire scambiate le azioni, vengono anche suddivisi i profitti; nascono i grandi pool industriali, come Bayer e BASF; nel 1925 una gigantesca impresa chimica controlla, nel giro di pochi anni, il 50% della produzione farmaceutica (che controlla l‟intero settore). In Gran Bretagna viene seguito il modello americano, ma a differenza di questo, qui vengono consentite le fusioni. In Giappone, invece, si favorisce il modello tedesco, ma le imprese operano sul mercato sottoforma di zaibatsu. In Francia vige la liberalizzazione totale in merito. Classificazione di imprese ed evoluzione delle forme d‟impresa Fino al 1880 e per lungo tempo prevalgono solo gli studi della grande impresa, infatti vi sono problemi in merito alla storiografia di imprese di piccole e medie dimensioni. Ciò perché la grande impresa è stata considerata come un naturale punto di arrivo. Infatti Chandler vedeva il capitale familiare solo come un punto di partenza: in realtà non è così perché la grande impresa non è l‟unica azienda che sopravvive sul mercato e tantomeno che rappresenti un punto d‟arrivo, anzi tale punto d‟arrivo può essere tranquillamente un‟altra forma organizzativa. Inoltre studiare la storia delle grandi imprese è più facile perché esse hanno lasciato maggiore traccia nella storiografia rispetto alla loro attività, infatti vi sono più dati poiché hanno avuto un impatto maggiore. Ancora durante la II guerra mondiale (anni ‟50-‟60) vi è stata una convergenza verso gli USA, grazie al Piano Marshall caratterizzato da uno scambio di manager, i quali prevalentemente avevano un ruolo nelle grandi imprese. Negli anni ‟80 il modello americano entra in crisi per le seguenti cause: shock petrolifero; il modello giapponese entra prepotentemente nel mercato nazionale poiché è caratterizzato da forme di produzione più flessibili, alternative alla produzione di massa (= su larga scala). Così avviene il declino delle gerarchie manageriali, ma questo non sempre si verifica. Ecco perché diviene opportuno classificare le imprese: dal punto di vista qualitativo; dal punto di vista quantitativo (ad es. in termini di fatturato); dal punto di vista delle performance (una volta si pensava che una grande dimensione portasse automaticamente a delle buone performance); dal punto di vista della longevità dell‟impresa. Secondo Chandler le grandi imprese costituiscono l‟elemento portante nell‟economia americana e tedesca, mentre in Gran Bretagna lo studioso osserva che prevalgono le imprese di modeste dimensioni. In realtà, non è così, infatti diversi studi smentiscono la sua teoria. Leslie Hannah ha elencato le prime 100 imprese, denominandole sequoie giganti, però aggiunge che occorre andare a vedere anche le dimensioni di ciò che sta intorno a esse (il contesto). Impresa manageriale La definizione di impresa manageriale è fornita da uno studioso dell‟Università Bocconi Andrea Colli, il quale la definisce come l‟istituzione che occupa a livello multi unitario e che fa perno su un‟ampia gerarchia manageriale per la sua gestione, quindi non può essere sotto il controllo di un‟unica famiglia. Origini Inizialmente si è sviluppata nel settore dei trasporti, in fase di costruzione delle infrastrutture (soprattutto per quanto riguarda le ferrovie) sia in America che in Europa. Fino al 1870 gli unici esempi del comparto ferroviario comprendevano anche i settori a monte e a valle, avendo così bisogno di ingenti finanziamenti ed è caratterizzato dall‟utilizzo di strumenti finanziari (soprattutto negli USA), quali: obbligazioni a tasso fisso; azioni. Così tali compagnie stringono tra loro degli accordi: di cartello; per la fissazione di tariffe, creando così forti barriere all‟entrata. Alla fine dell‟800 vengono emanate le leggi antitrust (precisamente la prima legge antitrust viene emanata nel 1887). A metà dell‟800 le aziende più importanti nel panorama mondiale sono: “Compagnia Erie” in America; “Pennsylvania R.R” in America; “Ferrovie dello Stato” in Italia. Tali esigenze di trasporto portano a una crescita dimensionale, la quale viene attuata tramite un‟opportuna organizzazione interna per funzioni soprattutto nella sezione finanziamenti, sezione merci e sezione passeggeri, mediante gerarchie ben precise e cascata. Caso americano La grande impresa manageriale è il modello americano per eccellenza, infatti nel territorio in questione si trovano le condizioni ideali per il suo sviluppo, le quali: paese scarsamente popolato; nel corso dell‟800 vi è stata una crescita enorme della popolazione → esigenza di industrializzarsi in fretta e in modo più prorompente; disposizione di grandi quantità di risorse; terra vastissima; poca forza lavoro → salari elevati; precoce meccanizzazione in quanto disponibilità di capitale. Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 il sistema americano è stato caratterizzato da innovazioni di processo produttivo, detta American system of manufacturing basato sulla standardizzazione della produzione e l‟intercambiabilità delle parti al fine di velocizzare i processi produttivi e ridurre i costi. Esempi sono il fordismo, basato sulla catena di montaggio, e il taylorismo, basato sull‟organizzazione scientifica del lavoro, in cui vi è una suddivisione per funzioni e dove si raggiungono economie di scala. Ancora la caratteristica dei sistemi adottati negli USA è che la proprietà è diversa dalla gestione, per cui vi è: internalizzazione dei costi di transazione; affermazione di strategie manageriali. La grande impresa americana, quindi: sfrutta le economie di scala; sfrutta le economie di diversificazione; sfrutta le economie di rapidità. Sempre in America, e non in Europa, l‟economia nazionale è caratterizzata dai seguenti fattori: grande quantità di forza-lavoro; forte sindacalizzazione; investimenti ingenti in macchinari sofisticati (in Europa non vi sono i capitali necessari per fare ciò); fino al 1929 l‟impresa americana è molto protetta a livello doganale, e il mercato di sbocco è quello interno, che comunque è considerevole; la conseguenza è quello che vengono incrementati anche i redditi pro-capite. I settori coinvolti in tal senso, oltre a quello classico dei trasporti, sono: le telecomunicazioni (il telegrafo e il telefono); l‟acciaio; la chimica; il petrolio; l‟elettricità; la gomma; l‟elettromeccanica; il commercio, la grande distribuzione (magazzini a prezzo unico); il comparto alimentare; il tabacco; la meccanica leggera; la macchina da scrivere; il settore dell‟automobile con Henry Ford, il primo a inserire la catena di montaggio all‟interno del processo produttivo. Le grandi imprese hanno raggiunto varie strategie per raggiungere determinate dimensioni, le quali: processi d’integrazione a monte e a valle:attraverso investimenti nel settore dell‟acquisto delle materie prime e attraverso investimenti nella distribuzione, in particolare di alimenti, tabacco, meccanica leggera; strategie d’integrazione orizzontali: per controllare il mercato, acquistando le azioni delle imprese affini, soprattutto nel settore della chimica, del petrolio e dell‟elettricità. Spesso tali strategie vengono integrate e abbinate → strategie d’integrazione verticale, ciò avviene nel caso del petrolio, ma per abbinare le due strategie sono necessari maggiori capitali, quindi occorre ricorrere maggiormente al mercato azionario. Chandler ha definito quelle imprese che hanno raggiunto tali livelli dimensionali come first movers, le quali sono le prime entrate nel mercato (le prime che si dotano di strategie organizzative) guadagnando così un vantaggio competitivo, creando barriere all‟entrata in regime di monopolio e oligopolio. La competizione è basata sui seguenti elementi: politiche di marketing; distribuzione; rapporto forza-lavoro; acquisizione di materie prime. Chandler, inoltre, individua altre strategie per mantenere le imprese ai vertici, per restare sul mercato, le quali in particolare sono 4: strategie difensive: per proteggere gli investimenti già effettuati basati su integrazione orizzontale e verticale. Da metà „900 fino agli anni ‟70: la studiosa Penrose, parlando di risorse inutilizzate, sostiene che occorre sfruttarle e che la diversificazione opportuna sia quella correlata. strategie offensive: per entrare in nuovi mercati, per espandersi da metà „900 in poi: → diversificazione produttiva: la quale è di due tipi: 1. diversificazione correlata: riguarda la produzione di nuovi prodotti che comunque sono vicini al core business (riguarda anche il marketing, non solo la produzione in senso stretto); 2. diversificazione non correlata:la quale è indirizzata verso settori completamente diversi → imprese conglomerate e/o → espansione verso aree geografiche lontane. Chandler ha verificato che oltre 1/3 delle imprese esistenti fossero diversificate in modo correlato. A metà dell‟800 tale strategia si diffonde anche in Europa. Mentre negli USA le imprese conglomerate raggiungono l‟apice intorno al 1880 (rappresentano il 22% delle prime 500 grandi imprese americane). Tali imprese sono considerate come una degenerazione della diversificazione, la quale comporta dei rischi, i quali: scarsa correlazione; scarsa razionalità; dispersione delle risorse. Questa è la visione condivisa dai due studiosi Chandler e la Penrose. In particolare Chandler si occupa di un‟analisi estesa ad altri paesi, quali la Germania, il Giappone e la Gran Bretagna, tentando di dimostrare un fenomeno di convergenza con quello americano: secondo lo studioso vi è convergenza, ma gli stessi fenomeni arrivano in Europa più tardi e le grandi imprese si concentrano in settori ad alto capitale. Nel 1915 tali studi portano ai seguenti risultati: Gran Bretagna Germania/Italia Le grandi imprese sono concentrate in alcuni settori → first movers tradizionali Settori: Settori: tabacco; chimica; alimentari. settori tradizionali. Vi sono poche imprese di grandi dimensioni nel settore petrolifero perché lo studio è stato svolto nel 1915, ci vorrà più tempo perché esso si sviluppi. Le grande impresa manageriale europea è comunque più piccola di quella americana. Durante il II dopoguerra, nel 1950 le differenze settoriali tra i vari stati si riducono, in particolare i settori coinvolti sono: il tessile; l‟alimentare. Negli anni ‟70 in Europa compaiono le prime grandi imprese conglomerate, il fenomeno rimane comunque più limitato rispetto a quello americano, infatti coinvolge solo l‟1% delle imprese. Gli es. in Italia sono l‟”ENI” e la “Montedison”. Espansione verso mercati lontani Gli investi diretti all‟estero (= FDI, foreign direct investment) sono quelli che consentono di sfruttare anche all‟estero le capacità dell‟impresa manageriale → nel caso di impresa multinazionale e/o transnazionale. Tali due termini vengono utilizzati da molti studiosi come sinonimi ma in realtà vi è una differenza: impresa multinazionale impresa transnazionale = = imprese che effettuano FDI con filiali strategie globali secondo le quali ogni fase di all‟estero, nelle quali ci si occupa lavorazione del prodotto viene svolta in un direttamente degli approvvigionamenti nei paese diverso in base: mercati nazionali → si svolge nel paese al costo; estero l‟intero ciclo produttivo. alla normativa fiscale; a motivi di ricerca scientifica. → Es. strategie utilizzate da Nike, Nestlè e Apple. Per studiare gli FDI o gli investimenti di portafoglio, alcuni studiosi usano le percentuali di detenzione del capitale; ma questa risulta un‟ipotesi poco convincente, perché il fulcro della questione sta nell‟interesse della gestione, che non concerne con un mero scopo di lucro. Chi non ha interessi → interessi di portafoglio. Chi ha interessi → FDI. Le imprese investono mediante FDI (= all‟estero) per i seguenti motivi: tariffe doganali e provvedimenti legislativi che rendono più conveniente produrre all‟estero; basso costo del lavoro; possibilità di sfruttare nuovi mercati di sbocco; cercare di prevenire la concorrenza; strategie di diversificazione della produzione di marca per rispondere all‟esigenza locale → produzione di beni destinati solo al mercato esterno. Gli studi sui FDI non derivano da Chandler perché sono piuttosto recenti, infatti si sono sviluppati durante gli ultimi 30 anni, ma hanno comunque radici antiche, alla fine dell‟800 e durante la I guerra mondiale, in generale in Europa, in particolare in Gran Bretagna → apice dell’imperialismo europeo. Tali FDI sono diretti in: 33% centro-sud America; 21% Asia; 20% USA; 20% Europa orientale; …. I settori, ai quali gli FDI erano indirizzati, sono: settore risorse naturali → 56%; servizi → 33%; industria → 15%. Le multinazionali europee sono più piccole rispetto a quelle americane, già in quest‟epoca. In Gran Bretagna vi sono le free standing companies, le quali solo in questa nazione sono registrate, ma hanno la caratteristica di operare solo all‟estero. Negli anni ‟20 questi FDI si spostano verso altri settori, quali quelli ad alta tecnologia (come quello petrolifero). Aumenta il peso delle multinazionali americane, le quali assorbono anche quelle inglesi. Nel 1929 lo sviluppo delle multinazionali è frenato, a causa della crisi, infatti vengono chiusi i mercati e di conseguenza diminuiscono gli FDI. Durante la II guerra mondiale un ruolo importante, rispetto ai FDI, viene svolto dalla Gran Bretagna e dall‟Olanda grazie alla Shell e cresce in modo importante la quota di FDI in America. Tra il 1960 e il 1980 gli FDI aumentano in modo spropositato, di 5 volte rispetto al passato. Per quanto riguarda la detenzione di FDI, si può dire che sia così suddivisa sui vari paesi: USA → 40%; Gran Bretagna → 15%; Olanda → 8%; Germania → 8%; Giappone → 8%. Tra i paesi di destinazione prevale l‟Europa, inoltre prevale il fatto che si investa all‟estero nei paesi sviluppati, e soprattutto nel settore manifatturiero. Tra il 1980 e il 1990 vi è un ulteriore sviluppo degli FDI, infatti inizia l‟era della globalizzazione: tutti i paesi industrializzati investono all‟estero provocando un rallentamento dello sviluppo americano → fenomeno diffuso nei paesi economicamente avanzati. In Italia un valido es. è rappresentato da imprese come l‟ENI, la FIAT e la Telecom, ma qui sono diffuse anche le cosiddette multinazionali tascabili (= imprese di medie dimensioni), come la Candy e la MAPEI. Le aree di destinazione per quanto concerne gli FDI sono le seguenti: Europa → 43%; USA → 21% grazie ai tassi d‟interesse vantaggiosi (i quali hanno portato all‟attuale crisi); Cina …. Anche i settori di destinazione di tali investimenti cambiano con il tempo, infatti sono rivolti ai servizi in prevalenza (per oltre il 50%). In pratica: modello familiare modello manageriale Gruppi d’imprese: risultano molto importanti, soprattutto in alcuni paesi di più recente industrializzazione, e che sono imprese conglomerate le quali si sviluppano grazie allo sfruttamento di tecnologie estere, operando mediante una gestione centralizzata. Esempi sono il Giappone e il Sud America. Caso giapponese Gli zaibatsu rappresentano quei gruppi di imprese giapponesi. In precedenza il processo d‟industrializzazione giapponese si basava su due strutture: Stato Zaibatsu Ha un ruolo forte, più rispetto agli altri paesi Istituzione fondamentale del modello di tarda industrializzazione. I suoi compiti giapponese che si sviluppa dal 1968 e opera sono: fino alla II guerra mondiale. proteggere mediante barriere doganali; adottare prezzi di equilibrio stabili in modo tale da contenere l‟inflazione; costruire le strutture necessarie allo sviluppo economico del paese; sostenere l‟investimento tecnologico; favorire cartelli e/o accordi; porre limiti per quanto riguarda il numero di imprese nel settore; promuovere la ricerca e lo sviluppo. Gli zaibatsu sono dei grandi gruppi composti da un ingente numero di imprese che adotta strategie di diversificazione non correlata. All‟interno di tali gruppi è prevista anche una banca denominata house bank,la quale è dotata di una struttura mista, infatti: finanzia l‟intero gruppo; House bank = polmone finanziario detiene le sue partecipazioni. La proprietà degli zaibatsu è in capo a delle famiglie mercantili, un valido es. è la Toyota. Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 comincia a industrializzarsi, così nascono tali gruppi mediante l‟adozione di tecnologie estere. Le imprese che fanno parte del gruppo operano in maniera diversa e non detengono contatti tra di loro, ma tutte adottano politiche aggressive nei confronti dei paesi stranieri. Tale forma atipica si sviluppa a causa di una mancanza di gerarchia manageriale appropriata alla costruzione di uno sviluppo, come quello americano. Così nascono tante imprese di piccole dimensioni unite nel medesimo gruppo che operano in settori diversi al fine di ridurre il rischio d‟impresa. Negli anni ‟30 hanno un ruolo importante perché diventano le protagoniste della militarizzazione del paese, in pratica si occupa prevalentemente della produzione di armi in preparazione alla II guerra mondiale. Alla fine della II guerra mondiale il Giappone viene invaso dall‟America che rende illegale gli zaibatsu. Nel 1952 termina l‟occupazione americana, il governo giapponese decide la ripartizione dell‟economia del paese, mediante la costruzione di gruppi di imprese nuovamente ma questa organizzazione non è più vista bene a livello internazionale. Ecco che nascono i keiretsu, i quali sono gruppi di imprese, ma non più facenti capo a delle famiglie, ma controllati mediante partecipazioni incrociate; man mano che si va avanti nel tempo, però, si ricostituiscono gli zaibatsu. Negli anni ‟60 così sul panorama economico del Giappone operano due tipi di gruppi di imprese: gli zaibatsu e i keiretsu. In pratica si afferma un modello di sviluppo industriale differente rispetto a quello americano il quale è basato su un‟elevata flessibilità: per la produzione; per il mercato del lavoro. Al fine della costruzione di unità produttive non si fa ricorso né una ripartizione del lavoro divisionale, né funzionale, ma ogni unità operativa (= lavoratore) è motivato e ha il fine di raggiungere un determinato obiettivo di produzione. In tale organizzazione l‟intera squadra è direttamente responsabile in merito alle singole funzioni, le quali sono intercambiabili, inoltre si basa su un lavoro di tipo sinergico. Non vi è una divisione gerarchica dei compiti, del tipo dall‟operaio all‟ingegnere, ma il lavoro è inteso come un fattore collettivo e sinergico, che dà un grande stimolo a coloro che fanno parte dell‟azienda. Durante gli anni ‟70-‟80 tale modello diventa un modello di successo, il quale è alternativo a quello fordista. Si sviluppa tramite un modello piramidale, il quale: Impresa capogruppo Imprese-satellite Tale modello prevede le seguenti caratteristiche: flusso continuo di informazione tra la manodopera e i manager mediante l‟utilizzo di tecnologia; aspirazione a raggiungere i vertici della piramide (ossia lavorare in capo all‟impresa capogruppo) per ottenere un posto fisso; sistema giapponese → toyotismo (come alternativo al fordismo). just in time = modello di produzione che mira a ridurre al minimo le scorte per evitare gli sprechi; ciò viene fatto tramite: lavoro di squadra; autoattivazione:ogni membro della squadra è in grado di intervenire per risolvere le anomalie/i problemi del processo produttivo; maggiore qualità, vasto assortimento; riduzione dei costi. → Differenziazione (ottica) flessibile = produrre al fine di adattarsi a diversi tipi di produzione Negli anni ‟90 il Giappone diventa la seconda economia al mondo, dopo gli USA. Nel corso degli anni ‟90 subisce una forte crisi a causa di diversi fattori: ristrettezza del mercato interno, il quale è pure caratterizzato da bassi livelli di consumi; non vi è un adeguato sviluppo del mercato del capitale; problemi politici tra impresa e Stato a causa di legami poco chiari e ampia diffusione di correzione. Il modello giapponese viene imitato da: Korea, la quale è stata sino alla II guerra mondiale sotto in controllo dello stesso Giappone. Infatti anch‟essa è caratterizzata da un ruolo importante dello Stato, il quale è imprenditore, dirigista e autoritario ma che comunque stimola lo sviluppo economico. La Korea si affida alle tecnologie estere e le imprese koreane si sviluppano in gruppi con a capo alcune famiglie denominati chaebol, simili agli zaibatsu giapponesi. Si differenziano da queste ultime per il fatto che non possono rientrare all‟interno del loro gruppo le banche (ossia non caratterizzate da gruppi di imprese controllati dalle banche). Ma di conseguenza chi controlla è lo Stato, il quale influenza fortemente il processo di organizzazione del paese che vede la fase di sviluppo maggiore dopo la II guerra mondiale grazie anche all‟imitazione dei modelli americani, quindi utilizzano politiche aggressive e puntano su una forte diversificazione. Alla fine degli anni ‟80 i gruppi più importanti sono Hyundai, Samsung, Daewoo e Lucky Goldstar; Sudamerica (Brasile, Argentina), nella quale si sono sviluppati i groupos. Si tratta di tante imprese dotate di una gestione finanziaria e di parte di gestione imprenditoriale unificata. Si sviluppano in modo intenso soprattutto negli anni ‟20. Esempi simili di imprese nascono anche in India. → L‟industrializzazione tardiva sviluppa sistemi diversi rispetto le grande imprese manageriali perché non ha le medesime competenze. Le imprese (che fanno parte dell‟industria di tarda industrializzazione), se vogliono competere sui mercati esteri, però, si devono rendere conto dell‟impossibilità di tale evenienza quanto piccole imprese, così si sviluppano sottoforma di forme intermedie. Altre forme imprenditoriali, tipiche italiane, sono i distretti industriali (individuati e definiti dallo studioso Giacomo Becattini), i quali rappresentano delle entità socio-territoriali caratterizzate da comunità di persone compresenti attivamente in un‟area circoscritta verso una certa popolazione. Entità socio-territoriale = è necessario far riferimento a un‟area territoriale circoscritta e ben determinata, anche collegata a livello legislativo e sociale; tale relazione si estende anche tra le imprese e coloro i quali sono coinvolti in tali attività → ruolo importante dell‟individuo. In pratica si tratta di tante piccole imprese presenti in un‟area circoscritta e le quali hanno dei legami. Gli elementi cruciali sono 4: 1. la comunità locale; 2. le imprese che ne fanno parte; 3. le risorse umane; 4. il mercato di riferimento. I contatti all‟esterno riguardano i fornitori in prevalenza, ma mediante questo si allarga la produzione a livello nazionale, e successivamente a livello internazionale. Anche il distretto, così, diviene alternativo al fordismo, e la specializzazione flessibile costituisce una valida alternativa alla produzione di massa. Tutto ciò mette in crisi il paradigma chandleriano, il quale vedeva la grande impresa come il punto d‟arrivo per le performance. Le caratteristiche di un distretto sono: elevata flessibilità; basso costo del lavoro; bassi costi di transazione; bassi costi di circolazione delle informazioni. Grazie allo stretto legame tra imprese e contesto sociale in cui tali imprese operano, infatti, si delineano le caratteristiche appena elencate. La comunità locale è la comunità di persone che vive all‟interno di un distretto, la quale segue un preciso insieme di: regole; istituzioni; codice etico e codice del lavoro; legami familiari. Tali valori vengono preservati nel tempo e trasmessi di generazione in generazione (mediante circoli, parrocchie) → legami forti. Le imprese sono di piccole dimensioni (poi eventualmente possono ampliarsi) specializzate in poche fasi del processo produttivo complesso, il quale risulta scomponibile nelle sue parti e che consente una divisione del lavoro a livello locale (del distretto). Le risorse umane rappresentano la forza-lavoro, la quale ha grandi competenze ed è caratterizzata da un‟elevata mobilità verticale (dotata anche di una rilevante intercambiabilità dei ruoli tra i commercianti, gli imprenditori e gli operai). Il mercato di riferimento è flessibile e specializzato, la merce prodotta è di qualità elevata e tipica (= riconoscibile), le consegne sono molto rapide. Non si tratta di certo di un mercato vasto, né tantomeno omogeneo, ma è basato sulla produzione di nicchia, la quale si sposta continuamente per esigenze di mercato. Per quanto riguarda la fornitura di materie prime il distretto rappresenta un compratore specializzato, quindi l‟acquisto delle medesime si fa in comune e si beneficia delle economie di scala. Il mercato di approvvigionamento è quindi considerato elastico, infatti ci si fornisce dove più conviene. Anche il mercato creditizio occupa la sua importanza: infatti il finanziamento viene effettuato con ricorso a banche locali che forniscono un credito agevolato, grazie agli stretti rapporti personali (per la banca il rischio d‟insolvenza è minore in tale situazione poiché, grazie a una buona circolazione di informazioni all‟interno del distretto, è a perfetta conoscenza della solvibilità delle imprese in questione). Altre caratteristiche del distretto sono: la resistenza contro l‟introduzione delle innovazioni a causa del peso del capitale umano e delle sue competenze; l‟introduzione delle innovazione, quando avviene, avviene in modo graduale in modo tale che l‟adattamento delle medesime all‟interno del processo produttivo sia visto in modo meno traumatico. Il processo d‟industrializzazione in Italia è dotato di più fasi: tra il „700 e l‟800, all‟interno del triangolo industriale (Genova-Milano-Torino) si sviluppano grandi imprese private → I Italia; durante gli anni ‟30: vengono istituite le grandi aziende a partecipazione statale, con la costituzione dell‟IRI → II Italia; accanto alle precedenti forme d‟impresa si affiancano i distretti, anche se a dire il vero, molti di essi si sono sviluppati in epoca più remota, ma in tale periodo lo sviluppo è stato intenso → III Italia. Le aree geografiche di maggior sviluppo industriali sono: il Trentino; il Veneto; il Friuli; l‟Emilia; la Toscana, specializzata in attività estrattive e nel tessile; le Marche, specializzata nel settore delle calzature; l‟Abruzzo. regioni economiche del nordovest protagoniste della I Italia, e regioni del centro-sud, protagoniste della II Italia; altre regioni caratterizzate dalla prevalenza del settore agricolo, sviluppato con capitale fondiario e in cui vige una spiccata tradizione La crescita dei distretti si ha dagli anni ‟70 in poi, ma essi entrano in crisi nel corso degli anni ‟80 anche a causa della spietata concorrenza da parte delle grandi imprese. Durante gli anni ‟90, comunque, si rendono protagonisti di una buona ripresa, ma per fare ciò devono trasformarsi in media impresa orientata anche sul mercato internazionale e vengono denominati multinazionali tascabili settore made in Italy. A questo punto all‟interno del distretto emerge una determinata impresa e le altre divengono le sue imprese-satellite. Nuovo fenomeno: IV capitalismo: il periodo della nascita delle multinazionali tascabili viene così denominato (IV Italia); si sviluppa un fenomeno interessante: la nascita di imprese di medie dimensioni con un numero di dipendenti maggiore a 250 e un fatturato minore a 1,5 miliardi. Tali aziende acquistano importanza a partire dagli anni ‟90 anche se hanno origini più antiche. Secondo la classificazione dello studioso Andrea Colli le imprese possono così essere suddivise: imprese pioniere; baby boomers: le più diffuse con origini antiche, come ad es. la Candy e la Berloni; latecomers: sviluppatesi negli anni ‟70-‟80 come la Stefanel, la Diesel, l‟Aprilia e La Perla. Tali imprese nascono con base artigianale e si irrobustiscono col passare del tempo, mediante le seguenti caratteristiche: produzione di beni individuabili; il mercato di riferimento è dotato di barriere all‟entrata; imprese fortemente legate all‟ambiente d‟origine, il quale viene mantenuto come riferimento; forte controllo familiare. Imprese cooperative Tali imprese hanno la caratteristica di essere no profit, e tra di esse sono le più diffuse a livello mondiale. Di solito si tratta di associazioni autogestite e volontarie, costituite di individui che si uniscono tra di loro allo scopo di soddisfare le proprie esigenze, aspirazioni economico-sociali, le quali si fondano sui seguenti valori: responsabilità; equità; garanzia; solidarietà; uguaglianza. In teoria le scelte strategiche dovrebbero essere basate su tali valori. Nel 1884 nasce la prima cooperativa a Manchester, la quale commercializzava prodotti alimentari e candele, la quale viene fondata dal settore tessile per acquistare beni di prima necessità per rivenderli ai propri operai. MODULO B Architettura organizzativa dell‟impresa Si tratta della struttura, del modo con cui si mette in campo l‟impresa per perseguire una strategia. A seconda della dimensione, del contesto la struttura organizzativa necessaria, sarà diverso. All‟inizio delle rivoluzioni industriali, vi sono imprese familiari con a capo un unico titolare che si rivale di pochi dipendenti. Il big business di Chandler nasce durante la II rivoluzione industriale, comunque ancora le imprese non possiedono una vera e propria struttura organizzativa. Proprietario Responsabili Rapporto fornitori - clienti Unità operativa x Funzione di staff:contabilità, personale, ecc. Unità operativa Y L‟organizzazione monofunzionale è quella che caratterizza la semplice attività produttiva elementare, in cui vi è una struttura verticale,la quale prevede che tra i lavoratori delle unità operative vi siano sia quelli specializzati nel coordinamento, sia quelli esecutivi. I rapporti sono gerarchici, cioè i livelli più bassi prendono comandi dagli organi superiori, e le unità operative di solito non hanno un contatto diretto con l‟imprenditore. Le funzioni di staff non prevedono un contatto con le unità operative. Questo tipo di struttura non funziona più quando si sviluppano i big business nel contesto americano, i quali impongono una riorganizzazione: l‟imprenditore non è più il proprietario dell‟azienda, ma lo è una società anonima per azioni: chi gestisce l‟impresa ha una responsabilità nei confronti dei soci e dei finanziatori; esigenza di ricorrere al capitale estero di rischio e al capitale proprio. All‟interno del primo ramo industriale in cui si manifesta la necessità riorganizzativa è stato quello delle ferrovie, ove appunto si è reso fondamentale organizzare in modo efficiente il trasporto che è differenziato al suo interno (settore trasporto merci e settore passeggeri). Non esiste un‟unica compagnia monopolistica, poiché le ferrovie si trovano a dover associarsi con altre imprese per funzionare, affrontando così problemi complessi, e cercando di mantenere efficiente il sistema di manutenzione: per questo motivo vi è un bisogno di dirigenti al fine di una corretta differenziazione geografica, essenziale per gestire in modo corretto sul posto. Ciò impone nuovi metodi di gestione → struttura organizzativa plurifunzionale accentrata (descritta da Alfred Chandler): Amministratore delegato Consiglio d‟Amministrazione Assemblea degli azionisti Organi di staff finanziamento, acquisti, vendite, GRU, assistenza legale Funzione → singoli prodotti Funzione → territorio Particolarità: i reparti sottostanti vivono con il Consiglio d‟Amministrazione un rapporto gerarchico, mentre gli organi di staff non dipendono gerarchicamente da esso, ma integrano semplicemente le sue funzioni. La struttura è accentrata poiché tutto dipende dall‟assemblea degli azionisti. Le decisioni vengono prese tutte al vertice, che poi vengono rese esecutive dalle unità operative. Lo staff ha una semplice funzione di appoggio ai vertici. Le imprese ferroviarie che si sviluppano sono dotate di manager moderni, cosicché tale struttura organizzativa plurifunzionale accentrata viene esportata al settore manifatturiero, rammentando che funziona finché: vi è una precisa identificazione delle funzioni; è facile da capire se gli obiettivi vengano fissati o meno. Ciò funziona perché le ferrovie e le altre imprese dell‟800 sono caratterizzate da: imprese monoprodotto; produzione di prodotti molto vicini tra di loro. Nel „900 accade che (soprattutto negli USA) l‟impresa si tende a diversificarsi, così nascono le cosiddette imprese conglomerate, perché: il mercato è saturo e dà pochi margini operativi; l‟adozione di economie di scopo (≠ economie di scala = vantaggio nel produrre di più, a causa di costi fissi alti) che consentono di trarre un vantaggio poiché vengono utilizzate meglio le risorse, le quali in precedenza venivano sfruttate solo in parte (caratteristico il caso dello sviluppo tecnologico). La diversificazione implica canali di vendita diversi, così capita che l‟impresa multinazionale accentrata (chiamata u-form da Chandler) non sia più adeguata. Così nasce una nuova struttura organizzativa: struttura organizzativa multi divisionale (chiamata anche m-form da Chandler). Azionisti Top management: Consiglio d‟amministrazione Amministratore delegato Organi di staff Organi di staff divisione A divisione B divisione C Divisione = struttura più complessa rispetto alle funzioni della struttura organizzativa plurifunzionale. divisione staff funzione staff funzione funzione Ora è opportuno analizzare due cose: 1. i vertici hanno responsabilità strategiche di lungo periodo per tutte le imprese; 2. le singole divisioni dovendo coordinare produzioni o aree geografiche con caratteristiche diverse tra loro, le quali: margine di autonomia ampio perché si tratta di problemi diversi tra di loro sia per quanto riguarda la diversità del prodotto, sia per la modalità di distribuzione; funzioni di staff decentrate alle singole divisioni, le quali sono addirittura organizzate come singole imprese monofunzionali. Divisione = ogni divisione è una singola impresa in concorrenza rispetto alle altre, ma all‟interno di un‟unica grande impresa; al fine di verificare la propria efficienza ed efficacia, si decide se continuare o meno l‟attività svolta all‟interno della medesima divisione. Le prime imprese americane che adottano tale struttura sono: la Du Pont (industria chimica); la General Motors. In particolare la Du Pont possiede 5 divisioni: 1. esplosivi; 2. coloranti; 3. vernici; 4. fibre tessili artificiali; 5. cellulosa. La General Motors ne possiede 7: 1. accessori per auto (ricambi); 2. mezzi industriali (camion); 3. 4. autovetture distinte appartenenti a case 5. automobilistiche diverse. 6. 7. La diversificazione porta a un‟architettura più complessa dell‟azienda. Resto del mondo: in particolare l‟Europa Nel resto del mondo la situazione è diversa dagli USA, infatti non vi sono imprese di quelle dimensioni. Chandler sostiene la struttura divisionale, ritenendola la migliore. In realtà però si sono sviluppate anche altri tipi di imprese, soprattutto in Europa, mentre ad es. la Siemens e la francese Saint-Gobain sono dotate di strutture organizzative analoghe a quelle divisionali. In generale il modello divisionale si diffonde in Europa dopo la II guerra mondiale, ma non su tutto il continente: si evidenziano, nel secondo dopoguerra, due blocchi: uno occidentale che fa riferimento agli USA e uno orientale che fa riferimento all‟ex URSS. In particolare nell‟Europa occidentale, grazie all‟apporto della mentalità americana, viene suggerito alle grandi imprese di riorganizzarsi in maniera multi divisionale (Germania, Francia e Italia). La Gran Bretagna segue più alla lettera il modello americano, mentre a livello extraeuropeo, importante caso a sé è quello del Giappone. Rientrando nel contesto europeo, il paese che tarda molto a utilizzare il modello divisionale è la Spagna, a causa della dittatura franchista. Comunque, in generale, il modello divisionale è stato introdotto tra il 1947 e il 1950 con il piano Marshall, con esso anche introdotte le varie conoscenze, consulenze, know-how organizzativo, ecc.. Le forme organizzative preesistenti non scompaiono e una in particolare resiste a tutt‟oggi: la holding, h-form (così denominata da Chandler). Questa è una struttura che controlla una serie di imprese-satellite che operano in ambiti legati tramite un‟integrazione verticale e/o orizzontale: si tratta di imprese distinte (anche caratterizzate da un‟alta % di partecipazione), di società partecipate in altre società. Soprattutto nelle imprese in cui vi è una forte polverizzazione e caratterizzate in genere da piccoli azionisti, per detenere il controllo è sufficiente una ridotta % di azioni. Al fine di verificare i legami tra le varie imprese del gruppo (interlocking directorship) si va a vedere se ad esempio vi sono persone che risiedono in più consigli di amministrazione, infatti ciò è sintomo di un legame (rappresentanti in comune tra le varie imprese). Secondo Chandler alla holding manca una visione d‟insieme, infatti non sono chiari i rapporti tra la holding e gli assetti proprietari delle controllate, che possono variare e che si possono sovrapporre una sull‟altra (tipico il caso della FIAT con la Lancia e l‟Alfa Romeo). Non è nemmeno chiara né tantomeno identificabile chi è a capo della responsabilità strategica e operativa, infatti Chandler conclude dicendo che il manager della holding è meno “potente”, perché egli ha meno strumenti e informazioni per intervenire, rispetto alla struttura divisionale. Ancora questo non è in grado di sostituirsi a manager controllati, i quali possono essere ostili nei suoi riguardi, specie se il pacchetto di controllo è basso. Ciò comporta una sorta di confusione: le imprese controllate cambiano continuamente e possono contrapporsi, cosicché il manager può confondersi durante la sua gestione. Chandler, proprio per questi motivi, considera la holding meno funzionale rispetto al modello divisionale. Eppure molti paesi mantengono tale forma organizzativa meno efficiente per le seguenti motivazioni: esistono fattori esogeni all‟impresa che possono condizionare l‟adozione di una scelta organizzativa piuttosto che un‟altra (dipende dal contesto legislativo in cui si opera); elementi culturale-ambientali: lo studio americano si basa molto sul livello multidivisionale; in Europa la situazione è estremamente indifferente. Vi possono essere anche delle soluzioni ibride, soprattutto in quei contesti che continuano a sopravvivere e che hanno radici in fattori culturali-ambientali particolari di quell‟ambito. L‟incentivo all‟utilizzo di una diversa soluzione organizzativa non vi è, finché risulta conveniente produrre con una determinata struttura → il cambiamento costa. Vi sono cambiamenti pilotati o più difficili da applicare; comunque i modelli adottati si discostano spesso rispetto alla teoria, per motivi economici. ODL Struttura che l‟impresa utilizza per operare → organizzazione del lavoro, ODL. All‟inizio della rivoluzione industriale le condizioni di lavoro erano disumane, “esse piegavano l‟uomo al servizio del capitale” (Carl Marx). Chiaramente si tratta di elementi intrisi di una componente ideologica → la realtà è più complessa. A fine „700 non vi sono ancora contesti con centinaia di persone, ma piuttosto unità produttive sparse per il territorio, di solito nelle vicinanze di un corso d‟acqua da sfruttare come energia. I lavoratori cambiano il loro modo di lavorare in base alle innovazioni tecnologiche introdotte → cambiamenti lenti, quindi non vi è un radicale mutamento delle condizioni lavorative. Quando nascono le prime fabbriche, vengono fortemente ostacolate, da parte delle industrie artigiane e delle corporazioni che si contraddistinguevano per qualità. Le prime macchine industriali (vi è stata una graduale sostituzione del capitale umano, la forza-lavoro, con forza-capitale) permettevano la velocità nella produzione, ma anche ahimè l‟abbassamento della qualità: tali attività di lavorazione industriale non richiedevano particolari abilità. La velocità si esplica nella sostituzione a 8 persone di una sola macchina, nella sua produttività. Ma siamo ancora in una fase transitoria, in cui le attività manifatturiere hanno un ingente peso. Solo con l‟introduzione della macchina a vapore (1830-1840) si sviluppa la grande fabbrica con centinaia di lavoratori. L‟ODL diventa, così, un problema complesso perché i lavoratori non hanno le stesse capacità di svolgere le mansioni → si creano delle sequenze obbligate: all‟interno delle singole fasi vi sono: attività non specializzate; attività svolte con lavoro estremamente qualificato. La macchina va, tendenzialmente, a sostituirsi al lavoro non qualificato che non richiede grosse abilità manuali. Comunque vi sono diverse resistenze da parte dei lavoratori non specializzati, i quali hanno paura di perdere il posto di lavoro. Il rapporto tra lavoratore generico e operaio specializzato (= aristocrazie operaie, rappresentano le eccellenze): l‟operatore non specializzato rispetta e individua quello specializzato → differenza retributiva Per divenire operaio specializzato (oggi): formazione scolastica (= conoscenza) + esperienza = professionalità. Ai tempi l‟istruzione era ridotta all‟osso, e si imparava il “mestiere” guardando gli altri, mediante le conoscenze tacite, imparando sul campo, senza che esplicitamente venga previsto un manuale (questo è un metodo più intuitivo, si impara dal lavoro altrui). In pratica non esistevano testi scritti e il lavoratore specializzato si trovava in posizione di vantaggio per i seguenti motivi: il datore di lavoro non ne poteva fare a meno; veniva pagato di più; veniva a esso riconosciuta una posizione di supremazia. Il lavoratore generico aveva l‟opportunità di maturare con il tempo in termini di esperienza, e quindi poteva divenire, col tempo, a sua volta, un lavoratore specializzato così traeva i seguenti vantaggi: guadagnare di più in termini economici; guadagnare di più in termini sociali, anche al di fuori della fabbrica. In seguito anche l‟operatore specializzato comincia ad aver paura della tecnologia, la quale potrebbe “rubargli la scena”. Infatti l‟impiego della forza lavoro qualificata comincia a variare in base al settore: settore metallurgico: caratterizzato da sempre da forza-lavoro non qualificata; settore meccanico: la forza-lavoro qualificata adottata si aggira intorno al 60%, poiché all‟epoca non erano tante diffuse le macchine utensili, quindi non vi è il sufficiente grado di precisioni (ossia le opere effettuate sono simili, ma non identiche) → così era necessaria la fase di aggiustaggio,al fine di aggiustare i dettagli per ottenere un prodotto standardizzato (in realtà non è sufficientemente standardizzato). La standardizzazione è sintomo di abbondanza di capitali e scarsità di forza-lavoro. Vengono, così, diffuse le macchine-utensili, le quali permettono un‟estrema precisione: tale sistema è denominato sistema americano di standardizzazione manifatturiero, caratterizzato da: il prodotto finale standardizzato; i componenti del prodotto devono essere sostituibili. A introdurre tale sistema sono le aziende meccaniche, in particolare: la meccanica leggera; le armi (la Colt); le macchine da cucire (la Singer); le serrature (la Yale). Il sistema americano rappresenta primo elemento ad abbattere il forte potere dell‟operaio specializzato, in Europa non si diffonde subito a causa di: il numero ingente dei lavoratori; tali lavoratori oppongono resistenza. L‟avvento del sistema è importante all‟inizio del „900 e così nascono due importanti strutture organizzative: Taylorismo, organizzazione scientifica del Fordismo lavoro Teoria elaborata da Taylor, il quale formula Struttura nata da Ford, il quale cerca di dei principi osservando gli operai a lungo nello riorganizzare la suddivisione del lavoro così svolgimento di una mansione (anche semplice) facendo: e scopre che non tutti la svolgono nel egli parte da alcune idee espresse da medesimo modo. Così formula una teoria Taylor; basata sull‟ottimizzazione di ogni lavoro, bisogna aumentare la produzione e la prevedendo dei criteri al fine di giungere produttività. all‟efficienza, tenendo conto che il lavoro è svolto per tutta la giornata e per tutta la vita, suddividendo il lavoro in fasi. Tali studi vengono applicati da molte fabbriche. ↓ Un sistema di questo genere è stato inventato dall‟Ingegnere Bedaux, il quale stabilisce la quantità di lavoro che si riesce a fare in un minuto, moltiplicandolo per 60, così da ottenere la quantità di lavoro esatta da svolgere in un‟ora → pagamento al lavoratore in base a quanto produce in un‟ora. Se un lavoratore riesce a produrre di più, allora sarà incentivato mediante un reddito superiore. Bisogna prendere in considerazione due variabili: I variabile: il costo totale di produzione; II variabile: il salario degli operai. Quando scende il costo di produzione, aumenta il salario degli operai. Così si passa da un bene d‟élite a un bene di massa. Finora la produzione complessa necessita di fasi sequenziali affiancate da diverse strutture organizzative. Ford, inoltre, elabora il principio della catena di montaggio, nella quale l‟operaio lavora stando fermo in un punto al fine di lavorare meglio, ottimizzando le fasi del processo produttivo in termini di tempistica. L‟operaio svolge sempre le stesse mansioni, senza spostarsi da un luogo all‟altro, dal punto di vista spaziale. La prima catena di montaggio nasce nel 1912 a Detroit, che però porta agli eccessi → vengono tagliati tempi e costi di produzione, però essa richiede notevoli spazi orizzontali. Nel 1925 (dopo la I guerra mondiale) il prodotto finale costa molto meno e si velocizza la produzione (tipico esempio della ford T). Il successo di Ford era dato dal fatto che i suoi stessi operai potessero comprarsi la macchina prodotta da loro stessi. Welfare aziendale: benefits extra che l‟azienda non è tenuta a offrire, ma che rendono più agevole l‟impegno lavorativo. La catena di montaggio non viene sempre accettata, spessa infatti è stata protagonista e teatro di lotte sindacali, ma ciò non toglie il fatto che rappresenti un modello efficiente. Al di fuori degli USA: caso italiano Tra il 1916 e il 1922 la Fiat costruisce lo stabilimento Torino Lingotto, concepito come un modello diverso rispetto a quello della Ford, infatti è caratterizzato dallo sfruttamento verticale degli spazi. Infatti vi è una forte differenza tra produzione americana e italiana: il mercato americano è più ampio in termini di dimensioni; la situazione economica italiana è arretrata, infatti solo pochi possiedono il capitale necessario per acquistare un‟automobile. I direttori tecnici della Fiat, tra cui Vittorio Valletta, fanno una spedizione a Detroit per vedere se la logica fordista può essere esportata in Italia. Grazie a tale trasferta si rendono conto che i costi di produzione nel nostro continente sono ancora molto alti, cosicché molti italiani non si possono permettere di comprare l‟auto (infatti se i costi di produzione sono alti, saranno alti anche quelli di vendita): un operaio può permettersi di comprare solo 1/4 dell‟automobile più economica venduta dalla Fiat. Nel 1939 così viene aperto lo stabilimento Torino Mirafiori, solo che subito dopo scoppia la II guerra mondiale, e quindi tutte le produzioni si fermano. Dopo la II guerra mondiale tale stabilimento diviene la più grossa concentrazione operaia esistente in Italia, proprio perché viene sviluppata la catena di montaggio. Tale sistema produttivo è caratterizzato da una scarsa qualità, cosicché viene considerato con diffidenza: infatti si pensa a un modo di produrre non di qualità nella percezione collettiva → scarso successo del modello Ford in Italia. Come più volte specificato, il fordismo è quella produzione di massa la quale ha la funzione di ridurre i costi e allargare il mercato. Tale sistema di produzione entra in crisi dopo la II guerra mondiale, tra gli anni 1950-1973, periodo che corrisponde alla fase di crescita delle economie più avanzate. Nel 1937 scoppia il I shock petrolifero, il quale inaugura un forte periodo di crisi. Fino al 1973 il sistema economico americano è caratterizzato da: crescita del PIL e del PIL pro-capite; crescita della produzione fordista. Dopo il 1973 il sistema fordista entra in crisi, infatti in molti casi vi è un‟attiva partecipazione degli operai alla vita dell‟impresa, caratterizzata dall‟attento ascolto delle loro osservazioni → capacità individuali del singolo operaio, anche tra gli operai che svolgono la medesima mansione. Quindi vi è una maggiore solidarietà tra i lavoratori. Tali principi vengono ripresi e valorizzati mediante il modello di organizzazione denominato modello di produzione snella (nato in Giappone) caratterizzato da una lavorazione artigianale, la quale è sensibile ai gusti del consumatore. Esso viene adottato per la prima volta negli anni ‟70 in un‟altra industria automobilistica: la Toyota, infatti tale modello viene anche denominato toyotismo. All‟interno di tale modello vi è un rovesciamento radicale dell‟ottica, rispetto al fordismo: in quest‟ultimo modello citato vi era un forte legame tra volume della produzione e volume di vendita, successivamente durante gli anni ‟70, a seguito della crisi petrolifera, ci si ritrova ad avere eccessivi avanzi di magazzino. Il toyotismo, invece, è basato sulla produzione in funzione alla quantità delle vendite, in pratica non si programma (come nel modello fordista) la produzione da monte a valle. Ciò impone: la produzione di un certo numero di autovetture in un determinato periodo; i componenti devono essere pronti esattamente quando sono necessari in modo tale da: eliminare gli sprechi; snellire il processo produttivo. In definita la produzione/fabbrica snella si fonda su 3 principi complementari tra di loro: il just in time, secondo il quale la componentistica deve giungere ed essere pronta al momento giusto, nella quantità necessaria; l‟autoattivazione, secondo cui l‟operaio non deve essere un semplice strumento di lavoro, ma deve anche essere in grado di intervenire in maniera appropriata in caso di anomalie, al fine di eliminarle (→ qualità elevata); il lavoro di squadra, secondo il quale si valorizza la responsabilità in capo a ciascuno; i gruppi controllano e autogestiscono la produzione → solidarietà tra i lavoratori. L‟operaio sempre meno svolge un semplice lavoro manuale, ma lavora a livello di coordinamento tra i vari macchinari, così attenuandosi la differenza tra i colletti bianchi (= gli operai) e i colletti blu (= gli operai, per l‟appunto). Le diverse fasi del lavoro sono tutte importanti per la produzione ottimale del prodotto finale. Il toyotismo ha un grande successo, infatti la Toyota diventa il secondo gruppo leader nella produzione automobilistica in 20-25 anni → la produttività per addetto è di 4-5 volte superiore rispetto alle altre cause automobilistiche europee e americane, le quali continuano imperterrite a utilizzare i sistemi di produzione vecchi. Ruolo dell‟innovazione nella storia d‟impresa L‟innovazione può essere di prodotto, di processo, di organizzazione, inerente all‟adozione di determinate politiche di marketing, inerente all‟adozione di particolari ed efficienti politiche dei costi, ecc.. Shumpeter si è occupato molto di innovazione: secondo tale studioso la capacità di un‟impresa di innovare è alla base del suo sviluppo, l‟impresa che non innova è destinata a morire. Ancora lo stesso parla di distruzione creativa,teoria secondo la quale l‟innovazione spazza via le vecchie imprese e le loro tecnologie obsolete. Inoltre Shumpeter distingue tra innovazione e invenzione, definendo la prima come una teoria suscettibile di essere tradotta in pratica, e la seconda come un‟idea geniale che sta sul piano teorico, però. Parla anche di innovazioni a grappolo (= a ondate cicliche), le quali sono concentrate nello spazio e nel tempo: gli innovatori ottengono così un vantaggio competitivo. Quando tale vantaggio viene meno, la crescita si arresta e il ciclo economico si inverte, finché non nascono nuove innovazioni. Sono 3 i cluster dell’innovazione che vengono individuati da Shumpeter in compagnia di un economista russo Kondratiev, i quali: I cluster = innovazioni tipiche della I rivoluzione industriale, quali l‟industria del cotone e quella metallurgica. 1814 1789 III cluster = innovazioni tipiche della II rivoluzione industriale, quali il settore dell‟elettricità, la chimica, l‟acciao, il motore a scoppio, ecc.. II cluster = boom delle ferrovie in tutto il mondo. 1873 1849 1920 1896 1940 Il progresso tecnico, quindi, avviene per effetto di una spinta endogena, all‟interno della stessa impresa, o per effetto di una spinta esogena, all‟esterno dell‟azienda. Ancora lo stesso progresso può derivare da: la crescita della domanda (facendo in modo di produrre di più) e il cambiamento scientifico e tecnologico sia rispetto al processo organizzativo che a quello relativo ai prodotti. Difficile percepire le logiche alla base di tale processo tecnologico, esso infatti veniva liquidato come una variabile residua la quale non si riusciva a spiegare con altre variabili. Questa situazione è cambiata quando la tecnologia e l‟innovazione hanno cominciato a svilupparsi al di fuori dell‟impresa → si determina così un più forte legame tra scienza (= ricerca) e industria. A metà dell‟800 la ricerca diventa una componente fondamentale per una sempre maggiore propensione all‟innovazione tecnologica, con conseguente elevata qualificazione dei lavoratori (anche a livello operaio) e un più alto grado d‟istruzione a essi richiesto (componente fondamentale per le innovazioni tecnologiche applicate in concreto durante il processo produttivo). A questo punto entra in gioco lo Stato, il quale comincia a garantire il servizio d‟istruzione. Gli obiettivi statali sono i seguenti: alfabetizzazione; istruzione di livello superiore (tecnici, periti, ecc.); istruzione universitaria. Il processo delle innovazioni è condizionato fortemente dal passato: path dependence, teoria formulata da Paul David, per il quale il processo produttivo dipende anche dal caso e dal percorso di sviluppo (caso della tastiera QWERTY, la quale si afferma con prepotenza grazie a fattori casuali, utilizzata ancora ai giorni nostri). Quando si afferma un‟innovazione: alcuni imprenditore ne fanno uso; altri rimangono attaccati al sistema precedente (tradizionale). Secondo Shumpeter l‟innovazione spinge l‟imprenditore che non la adotta a: uscire dal mercato; riconvertirsi alla nuova tecnologia. Altri studiosi hanno ipotizzato che l‟imprenditore il quale mantiene la vecchia tecnologia, segue comunque i passi della nuova → effetto sailing ship: nel settore in cui opera la nuova tecnologia non risulta conveniente (= geografia produttiva). Ancora vi è da aggiungere che la tecnologia matura, prima di divenire obsoleta, produce ancora un certo margine di investimento, ossia l‟impresa riesce a gestire per un certo periodo di tempo la sua presenza sul mercato, in cui valuta se uscire dal mercato perché non può fronteggiare l‟utilizzo della nuova tecnologia, o se adottarla. Comunque occorre vedere se vi è spazio al fine di inserirsi nell‟innovazione. Un ruolo importante è giocato dalle innovazioni tecnologiche e in particolare dall‟istruzione necessaria per intraprenderle: in particolare la ricerca può essere: esterna: praticata da università e centri di ricerca specializzati; interna: praticata all‟interno dell‟azienda nella divisione ricerca e sviluppo, soprattutto dalle grandi imprese. Nei contesti geografici in cui si sono sviluppate in prevalenza piccole/medie imprese, lo Stato ha il compito di supportare queste per quanto riguarda il campo della ricerca e dello sviluppo. La divisione ricerca e sviluppo è fondamentale all‟interno di imprese che puntano sul lancio di un nuovo prodotto interessante → effetto paradossale: a volte trascorre molto tempo dal momento della scoperta a quello della commercializzazione; in realtà si tende ad accelerare l‟introduzione dell‟innovazione, senza soffermarsi troppo a verificarne l‟efficienza. Spesso essa nasce da un tentativo precedentemente fallito → spingere a innovare di continuo non deriva da un intenzione aziendale, ma da un‟imposizione esterna, dettata dalla concorrenza. Infatti se l‟impresa non innova, a lungo termine risulta perdente, tendenzialmente ritrovandosi in difficoltà: per questo motivo risulta così importante per la stessa di ritagliarsi un piccolo spazio in tali termini al fine di sopravvivere nel mercato; al contrario si ritroverebbe a dover uscire dal mercato. Le innovazioni, comunque, sono caratterizzate da: importanza al fine di entrare nel mercato; proposta di un prodotto di qualità a un buon prezzo; ossessione, nel senso che non se ne può fare a meno: l‟impresa in generale punta tutto su di essa. Distribuzione commerciale → storia del marketing I fattori che possono determinare il successo/l‟insuccesso nel mercato e nei confronti dei concorrenti sono spesso dettati da politiche di marketing. Ciò è risultato molto interessante per gli studiosi di storia, ma poco interessante per gli economisti. Ad es. la concorrenza perfetta è quel modello teorico secondo il quale l‟impresa opera in regime di monopolio (una sola impresa presente sul mercato), che non ha alcun interesse a pubblicizzare la propria attività. Situazione diversa quella dell‟oligopolio, per il quale poche imprese sono presenti sul mercato. Per fortuna non tutti gli economisti snobbano la storia d‟impresa, e più nel dettaglio la storia del marketing: Alfred Marshall ne è un esempio. Egli è un economista che valuta e riconosce il ruolo dell‟imprenditore, il quale appunto ha un ruolo attivo nel costruirsi un mercato e sarà sempre alla ricerca di nuovi sbocchi. Tale studioso è in contrasto con il principio di Jean-Baptiste Say, per il quale basta la produzione di un singolo bene al fine di creare il mercato. Marhall, al contrario, sostiene che se l‟imprenditore riesce a influenzare il mercato, allora può orientare la produzione ottenendo un ruolo di rilievo niente affatto neutro. Marketing = insieme di aspetti: distribuzione commerciale, ricerche di mercato, politiche di vendite, pubblicità, marche, analisi di comportamento del consumatore, ecc. Oggi la definizione di marketing è un concetto molto esteso e sviluppato. In passato, non era così: dalla seconda metà dell‟800 in poi ha guadagnato sempre più rilievo all‟interno delle imprese. Evoluzione del marketing Due periodi in particolari vengono presi in considerazione per spiegare come il marketing è nato, e come si è evoluto → due punti di vista differenti, i quali hanno dei punti in comune, ma che sono in disaccordo: 1. history of marketing thought:storia del pensiero del marketing che serve a capire quanto è nato e i quale momento ha cambiato struttura. Sono 4 le ere individuate nella storia del marketing: a) 1900-1920 circa: era di fondazione del marketing, nascita del marketing → all‟interno della business school americana venivano proposti corsi in tale materia e si comincia a riflettere sempre di più in merito alle sue tematiche. In questa prima fase il marketing si occupa prevalentemente di distribuzione commerciale; b) 1920-1950 circa: si assiste a un consolidamento formale del marketing (= il marketing è a tutti gli effetti una didattica riconosciuta a livello universitario, nei quali vengono istituiti specifici dipartimenti; inoltre vengono pubblicate le prime riviste specializzate, e contestualmente nascono le prime figure professionali come manager ad hoc o all‟interno delle imprese e professionisti). Ci si occupa soprattutto di strategie delle imprese e problemi di posizione dell’impresa nel mercato; c) 1950-1980 circa: cambiano i paradigmi tradizionali del marketing, si manifestano due tendenze diverse in un contesto in cui esplode il mercato di massa, si sviluppa la concorrenza e le spese inerenti al marketing aumentano. Da un lato alcuni ritengono fondamentale effettuare stime/analisi in ambito matematico-statistico al fine di ricavare delle approssimazioni in merito alle indagini di mercato. Dall‟altro lato vi è l‟esigenza di analizzare in maniera dettagliata il mercato per comprendere i flussi/le tendenze dei consumatori, mediante un approccio più antropologico, servendosi di un‟opportuna analisi qualitativa (e non più quantitativa), nella quale non si giunge a un numero, ma vengono utilizzate altre categorie analitiche. Sempre all‟interno di questo contesto nasce il marketing mix,per il quale vengono individuate le 4 leve del marketing su cui si fa riferimento: prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione; d) dopo il 1980: fase di frammentazione del pensiero dominante del marketing → mainstream. La crisi del fordismo determina anche la crisi delle logiche a esso applicate. Tale periodo è caratterizzato, infatti, dalla globalizzazione, la quale fa cambiare il contesto internazionale, ma in termini di marketing continuano a sussistere le due variabili caratterizzante il periodo precedente (quantitative e qualitative); 2. viene anche analizzato un altro approccio da parte di uno studioso americano, il quale considera come punto di partenza il lavoro delle grandi imprese (sempre in termini di marketing): Richard Tedlow, studioso di business history che lavora a Harvard. Egli individua una vera e propria periodizzazione, suddivisa in 3 fasi principali, alle quali successivamente ne è stata aggiunta una quarta: a) dalla II metà dell‟800 fino al 1880: fase in cui non vi è un‟attività di marketing, in un ben definito modello, poiché il mercato americano di quel periodo è un mercato frammentato, non integrato in cui vi è una concorrenza ridottissima; b) 1880-1950: si sta completando la costruzione delle ferrovie, la quale è una delle condizioni fondamentali perché il mercato si sviluppi a livello nazionale (in precedenza i costi di trasporto erano proibitivi). Negli USA, il mercato a scala nazionale si sviluppa in modo graduale dopo la I guerra mondiale. In realtà vi sono già delle produzioni di massa grazie a un tenore di vita piuttosto alto e un alto livello di innovazione tecnologica. Con la nascita e l‟espansione del mercato di massa emerge anche l‟importanza della marca, la quale ha la funzione di essere il segno distintivo di un determinato prodotto, che rende riconoscibile il medesimo al consumatore tra gli altri commercializzati (i quali sono simili). A volte essa si identifica con il produttore e/o con il distributore. Per ridurre i costi e per favorire lo sviluppo del mercato di massa le imprese hanno adottato le politiche di marketing in diversi contesti offrendo beni di largo consumo facilmente standardizzabili. Alla nascita della marca l‟America è in procinto di mutare i processi di distribuzione a livello nazionale (nascita del supermercato): i prodotti vengono acquistati dai fornitori di materie prime in grandi quantità, i quali vengono smistati dall‟azienda in base alle esigenze del consumatore → distribuzione al dettaglio presente capillarmente nel territorio mediante piccole unità. Conseguenze:le quantità sono personalizzate al cliente, l‟assortimento è ridotto, la fiducia tra venditore e consumatore è elevata, i fornitori sono vicini → il marketing, in tale contesto, non può avere rilievo. In ambito nazionale queste imprese devono adottare politiche di comunicazione, quali la pubblicità, che si evolve nel tempo: giornali, locandine, utilizzo di colori, formati, imballaggi, ecc.. Le strategie cambiano con l‟arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione; divengono importanti così spot radiofonici e televisivi dedicati a prodotti e/o sponsor di trasmissioni radio/TV intrapresi dalle imprese per pubblicizzarsi (dedicandosi soprattutto alle massaie). All‟inizio le campagne promozionali erano semplici e non mirate a specifici segmenti di clientela: si promuove un prodotto di unico formato dedicato al numero più alto possibile di potenziali acquirenti; c) dopo il 1950: cambia radicalmente la società. Esplode la radio, e soprattutto la TV; l‟offerta di prodotti è aumentata di parecchio e la concorrenza è maggiore. Al fine di ritagliarsi una quota di mercato si comincia a segmentare il mercato per età, condizione sociale, condizione culturale, decidendo così a quale target di clientela indirizzarsi. Le generazioni più giovani risultano meno sensibili al prezzo, ma piuttosto lo sono a questioni simboliche legate allo status. Per questi motivi vengono ridisegnate le strategie aziendali, estendendo il proprio assortimento mediante ricerche di mercato sempre più evolute e contemporaneamente le campagne promozionali creano mercati relativi a un prodotto nuovo; d) fase aggiunta di ipersegmentazione, mediante lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche telematiche/informatiche. Anche il consumatore cambia, diventa più reattivo alle campagne pubblicitarie/promozionali (grazie alla possibilità di feedback, rispetto chi ha già usufruito di un prodotto/servizio). Nell‟ipersegmentazione si parcellizza la clientela allo scopo di vendere al singolo cliente ciò che esattamente si aspetta (→ personalizzazione). Il modello di Tedlow è stato criticato, soprattutto per la seconda e la terza fase: le critiche riguardano il fatto che egli identifichi la distinzione generazionale solo dopo il 1950. Infatti nel settore automobilistico tale distinzione generazionale si presenta già dagli anni ‟30, ma per Tedlow l‟industria dell‟automobile rappresenta solo un‟eccezione. Resto del mondo Per molto tempo in Europa e in Italia sono state trascurate le logiche del marketing, le quali giungono nel continente solo dopo la II guerra mondiale (intorno al 1950) grazie ai seguenti motivi: le imprese americane si sono associate a quelle europee; alcune delle multinazionali americane hanno sede anche in Europa. Nei periodi precedenti il marketing esisteva, ma risultava notevolmente frammentato: le imprese per far conoscere i prodotti, prima della II guerra mondiale, si affidavano a degli agenti. Ancora le strategie di marketing utilizzate erano quelle inerenti la sponsorizzazione di varie iniziative, tra le quali eventi per attirare la curiosità dei potenziali clienti, e quelle di fidelizzazione del cliente (anche in Italia). In generale comunque le attività di marketing compaiono solo dopo la II guerra mondiale, come già in precedenza detto, infatti nel periodo precedente, per molti prodotti non esisteva ancora un mercato di massa a livello nazionale. Distribuzione commerciale: premessa Le considerazioni finora fatte hanno riguardato in prevalenza la vendita del prodotto finale; infatti il materiale a disposizione per quanto concerne i passaggi intermedi non è di certo di portata consistente. Le tematiche di marketing, comunque, hanno preso spunto e sono nate negli USA. Nella prima metà dell‟800 l‟America è caratterizzata da economie ineguali, il nord è più sviluppato, mentre il sud comprende un‟economia rurale basata sullo schiavismo. Nel 1860 Lyncoln abolisce la schiavitù, ma il Sud Carolina non è d‟accordo, così scoppia la guerra di seccessione con conseguente sconfitta del sud. Le maggiori trasformazioni avvengono nel nord, ma le prime imprese intermediarie sorgono al sud, in particolare: l‟agente commissionario, che fa tramite alle economie basate sulle piantagioni e il mercato. Da un lato si occupa di piazzare il prodotto sul mercato (in uscita) e dall‟altro si occupa di procurarsi le materie prime per produrlo (in entrata); il grossista indipendente, intermediario che di fatto non giunge direttamente al consumatore finale, ma compra beni che sono importati negli USA, in grandi quantità, trasferendole successivamente ai consumatori finali. Egli, in pratica, fa da tramite tra il compratore e il dettagliante. La figura dell‟agente commissionario decade dal 1865 in avanti, con la guerra di seccessione, mentre il grossista diventa sempre più rilevante dalla metà dell‟800 fino al 1880. In seguito anche questa figura che occupa la scena americana viene soppiantata da nuove forme di intermediazione. Nascono così i department stores alla vigilia della guerra di seccessione, in alcune grandi città dell‟est. Questi hanno successo (nel 1860) perché in un unico luogo viene venduta una ampia varietà di beni (una sorta di grandi magazzini in cui vengono venduti sia beni alimentari che non alimentari → di sovente si specializzano nell‟abbigliamento). Sempre negli USA, si afferma la vendita per corrispondenza, secondo la quale viene consegnata la merce a domicilio, anche grazie a uno sviluppo efficiente dei trasporti (logica diversa: il venditore si reca dall‟acquirente, e non il contrario). Le caratteristiche dei department stores e della vendita per corrispondenza sono le seguenti: le scorte girano più velocemente; i profitti conseguiti sono più consistenti. Tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900 nascono le catene dei negozi, facilmente riconoscibili e che sono specializzate nella vendita di particolari prodotti (ad es.: drogheria e/o prodotti non facilmente reperibili e non stoccabili, ma trasportati semplicemente). Particolarità: nascono le cosiddette vendite a prezzo unico (ad es. “Tutto a 1$”): sistemi dei profitti effettuati sulla quantità venduta. I prodotti venduti da tali sistemi, però, sono spesso non di qualità e riferiti a una clientela medio-bassa. Tali punti vendita nascono nelle grandi città, e poi si diffondono anche nei centri urbani medi. Queste distribuzioni coinvolgono imprese specializzate: vi è una netta separazione tra aziende produttrici e distributrici; alcuni produttori cominciano a specializzarsi anche nella distribuzione. Ancora esse operano in settori particolari; le cause a fronte dell‟offerta di un prodotto caratterizzato da una natura particolare sono: bene dalle caratteristiche particolari, ad es. deperibile; bene che necessita una determinata procedura per il trasporto, come nel caso delle pellicole fotografiche. Per evitare che tale prodotto non arrivi in buone condizioni al consumatore finale, a causa del distributore, il produttore si specializza anche nella distribuzione, in caso di: beni strumentali per i quali necessita una fase d‟installazione e/o servizio post-vendita come nel caso di macchinari; beni per cui il produttore preferisca un‟interfaccia diretta con il cliente. Negli anni ‟20-‟30 nell‟America caratterizzata da uno sviluppato mercato di massa, nascono i primi self service, intesi nel senso di supermercato alimentare. Il primo sorge nel 1916 a Memphis, ma il vero e proprio successo avviene solo a partire dagli anni ‟30, nonostante la crisi internazionale in corso. Alla fine degli anni ‟40 negli USA i self service sono ancora pochi, ma con un ingente giro d‟affari. La novità introdotta dal supermercato self service è quella del mutamento della logica rispetto al punto vendita. Infatti il supermercato è caratterizzato da: ambiente invitante e accogliente; atmosfera che stimola l‟acquisto; atmosfera piacevole, la quale è studiata da far vivere un‟esperienza coinvolgente a i propri visitatori, che saranno così disposti a spendere più dello stretto necessario, aumentando così il giro di affari dei consumi. L‟importanza del vendere un‟elevata quantità di prodotti sta nel fatto che: profitto elevati SOLO SE alti volumi di acquisti Tutto all‟interno di tali punti vendita è studiato da comportamentisti specializzati nelle materie di marketing. In Europa e in particolare in Italia Queste nuove forme di vendita non si affermano tutte sul continente, e nemmeno con le stesse caratteristiche per i seguenti motivi: l‟Europa è più densamente popolata rispetto agli USA; la formula prevalente è quella della vendita al dettaglio; questa è profondamente radicata nella mentalità collettiva, atta a rivolgersi a piccoli esercizi commerciali di vario genere. Dopo la II guerra mondiale vi è un‟influenza sempre più marcata del modello americano, soprattutto a partire dagli anni ‟70 in poi il mercato si diffonde anche in Italia, peraltro non senza ostilità, per lo più si tratta di: imprese straniere; imprese italiane, le quali avevano sì una maggiore conoscenza del mercato italiano, ma anche caratterizzato da una forte resistenza, da parte dei dettaglianti, nei confronti di tali tipologie d‟impresa. La mentalità collettiva è indirizzata verso acquisti effettuati in base alla fiducia nel venditore, fatto totalmente sostenuto dai trasporti non ancora efficienti. Infatti nei piccoli centri non vi era la possibilità di ricevere i prodotti necessari, così erano diffusi due tipi di distribuzioni, atti a ottemperare a tali carenze: dal 1880 ci si affidava al commerciante girovago, il quale vendeva prodotti non abitualmente smerciati dai piccoli esercizi commerciali presenti nel territorio circostante. Molto sviluppata era la vendita porta a porta al fine di fornire i consumatori direttamente a domicilio; fiere di paese con la funzione di avvicinare determinate produzioni di eccedenze agricole e/o di particolari prodotti irreperibili nel paese di riferimento a causa di un bacino d‟utenza troppo basso. Le fiere sono tuttora esistenti a titolo di tradizione culturale, perdendo così la loro originale funzione. Oggi come allora hanno cadenza regolare e rappresentano un appuntamento fisso per i residenti i quali vogliono acquistare un particolare tipo di bene. L‟affermazione dei grandi magazzini in Europa è contestuale, se non addirittura precedente, a quella americana. Il primo grande magazzino nasce a Parigi ed è denominato Bon Marché, destinato ad acquisti a prezzi ragionevoli. Sempre a Parigi nasce Le Printemps e La Samaritane anch‟essi rivolti a clienti interessati a prodotti a buon mercato. Per andare incontro anche a clienti più esigenti, pronti a spendere qualcosa in più nasce anche Le Louvre. La nascita di questi sistemi di punti vendita, soprattutto in campo dell‟abbigliamento non più sartoriale ma confezionato, si diffonde ovunque in Europa, e quindi anche in Italia. Qui infatti il primo grande magazzino sorge a Milano ed è denominato Aux villes d’Italie nel 1877 da una famiglia di imprenditori milanesi: i fratelli Ferdinando e Luigi Bocconi, i quali si occupavano già da tempo di abbigliamento confezionato. Il punto vendita ha un successo veloce e si diffonde soprattutto nel centro-nord. Con la morte dei proprietari però comincia a soffrire qualche problema, così viene rilevato da altri imprenditori e rilanciato con un nuovo marchio, creato da Gabriele D‟Annunzio: La Rinascente. Successivamente nascono altri grandi marchi. Dopo la crisi del ‟29, infatti, nasce l‟UPIM (= Unico Prezzo Italia Moda), ispirandosi al modello americano, che propone a prezzi definiti capi d‟abbigliamento economici, e nel 1939 vi sono 57 punti vendita dislocati su tutta la penisola. Nei primi anni ‟30, un ex manager della UPIM fonda la Standa, la quale nel 1939 conta circa 40 punti vendita sul territorio italiano. Diversa è la storia della Coin, creata da V.Coin, il quale nel 1916 possedeva la licenza da mercante ambulante legata a tessuti e abbigliamento confezionati. Nel 1926 Coin in compagnia dei figli apre il primo punto vendita, in seguito ne aprono altri concentrati soprattutto nella provincia di Venezia, della quale la famiglia di imprenditori è originaria. L‟offerta di tali negozi riguarda prodotti di qualità, ma non di lusso. Dopo la II guerra mondiale il numero di punti vendita aumenta prepotentemente e nel 1968 la Coin dà vita a un‟altra catena, appartenente al medesimo gruppo, l‟Oviesse (= Organizzazione Vendita Specializzata) al fine di piazzare e vendere i prodotti invenduti da Coin sul mercato. In seguito altri grandi magazzini nascono, quasi tenendo il passo con la nascita di quelli americani: situazione nettamente differente nel caso dei supermercati, essi non decollano mai come accade in America. PR (= relazioni pubbliche) Le relazioni pubbliche sono intese come una vera e propria necessità di interfacciarsi con il mondo esterno e sul mercato. Hanno origine negli USA perché: sono strettamente collegate alla nascita della grande impresa; vi è una marcata esigenza da parte della grande impresa di proporre all‟esterno un‟immagine positiva di sé. All‟inizio si faceva riferimento soprattutto alla figura dell‟addetto stampa,il quale aveva la funzione di far uscire le notizie (spesso manipolate ad hoc) in maniera tale da rispondere a malumori venuti fuori nel pubblico o più semplicemente per prepararlo a un cambiamento non facilmente digeribile da esso (come ad es. fatti che penalizzano l‟utile a scapito dei risparmiatori e/o scelte che riguardano i lavoratori). Solo successivamente l‟attività di PR diviene più strutturata e svolta secondo cadenze periodiche, al fine di meglio interfacciarsi nei confronti della società civile. Logica resasi necessaria già negli anni ‟30, ma che si è estremamente sviluppata solo dopo la II guerra mondiale, le pubbliche relazioni, cioè, diventano sempre meno trascurabili. Infatti molte imprese sono meno tollerate, soprattutto le multinazionali sono vittime di diffidenza. Le funzioni di tali attività riguardano: l‟ampliamento del consenso pubblico; l‟aumento esponenziale della propria clientela. La prima iniziativa viene intrapresa da ATT, compagnia telefonica americana, la quale nella sua campagna sottolinea il fatto che comunicare telefonicamente sia uno strumento: di avvicinamento dei centri urbani alle città; che sia divenuto indispensabile. Infatti in America la rivoluzione dei trasporti ha comportato anche la rivoluzione della comunicazione, con l‟introduzione di due importanti innovazioni, quali il telegrafo e successivamente il telefono. Già a fine dell‟800 vi sono molti abbonati, ma sono perlopiù circoscritti alle grandi città, infatti il numero di abbonamenti nei piccoli centri è decisamente basso, se non in qualche caso addirittura inesistente. L‟attività di pubbliche relazione intrapresa da ATT si rivolge proprie a questi piccoli paesi, comunicando a essi che grazie al telefono possono facilmente sentirsi più vicini alle grandi metropoli, annullando così la distanza geografica e unendo la nazione. Grazie a tale campagna, quindi, non si vende semplicemente un servizio, ma si comunica una vera e propria funzione sociale la quale, ovviamente, va ben oltre la stretta necessità, rendendo così la comunicazione più convincente. Nascita, evoluzione, ridefinizione della contabilità La contabilità si è evoluta seguendo, a livello indicativo, 3 fasi: 1. nascita generale della contabilità ordinata; 2. nascita ed evoluzione del bilancio; 3. aspetti legati alla funzione della contabilità come strumento interno. Nascita generale della contabilità ordinata La contabilità nasce contestualmente all‟esigenza di annotare delle informazioni relative all‟impresa: in questi termini essa è sempre esistita, dacché esistono le attività commerciale in tutte le loro forme (prescindendo da qualunque vincolo legislativo) → esigenza irrinunciabile. Irrinunciabile perché essa viene utilizzata da sempre al fine di tenere memoria in riguardo ad alcuni eventi dell‟azienda. Gli strumenti contabili esistenti attualmente sono filtrati da disposizioni legislative, le quali si sono venute a creare man mano nel corso del tempo. Gli imprenditori hanno acquisito la consapevolezza che l‟azienda sia un soggetto diverso dall‟imprenditore ai fini contabili: in passato tale distinzione concettuale non era prevista, e solo ai tempi della comparsa delle prime società si è diffuso il concetto di diversità, individuando definizioni quali capitale e utile. In pratica: beni dell‟imprenditore ≠ beni dell‟azienda. I passaggi fondamentali sono i seguenti: nasce l‟esigenza di tenere i conti fin dall‟antichità (vi sono delle testimonianze addirittura in epoca romana); l‟azienda si rapporta con i debitori, i quali le devono dare dei soldi, così nasce l‟esigenza di annotarsi i crediti. Solo successivamente ci si annoterà anche l‟ammontare dei propri debiti nei confronti dei creditori aziendali (l‟azienda deve dei soldi a un altro soggetto). In questa fase si fa riferimento a note tenute nei modi più svariati utilizzando criteri individuali, specialmente i crediti e i debiti non sono ancora collegati tra di loro, e non vengono relazionati alle operazioni aziendali. I primi salti di qualità avvengono nelle imprese commerciali medievali in cui: numero di merci in magazzino; costo della partita di merci acquistata → movimento delle merci in entrata/in uscita e relativamente ai loro prezzi di acquisto, considerando anche i prezzi di carico, proprio per capire se il prezzo di acquisto risulta conveniente o meno; movimento di denaro: entrate/uscite di cassa per verificare eventuali errori; immobilizzazioni che servono per lo svolgimento dell‟attività d‟impresa; sono importanti perché oggi vanno spalmati in più esercizi, ma in epoca pre-industriale ciò non veniva considerato naturale per i seguenti motivi: non esisteva normativa fiscale; tali immobilizzazioni venivano rimpiazzate nel tempo, ma in periodi lunghissimi (oggi a causa della tecnologia la sostituzione degli stessi è precoce). La contabilità di masserizie è diversa dalla contabilità che mette in correlazione le voci tra di loro. Quando tale correlazione avviene → nascita della contabilità moderna: somma algebrica delle voci = patrimonio d’esercizio In conseguenza della nascita della partita doppia, i conti di segno opposto sono atti a monitorare la variazione del patrimonio di esercizio. Si sviluppa in Italia, ma non vi è una precisa collocazione temporale a causa di un disaccordo tra studiosi → compare nelle aziende mercantili italiane già alla fine del 1200 in Toscana (a Firenze, a Lucca, a Siena, a Pisa). Questa usanza però fuori dall‟ambito toscano non è così sparsa, ma era diffusa una contabilità scarsa e insufficiente. Allora la partita doppia raggiunge il suo primato nel 1341, usato nella pubblica amministrazione, in particolare il Comune di Genova. Si trattava di una contabilità particolarmente dettagliata, presumibilmente non utilizzata per la prima volta: ciò non può essere dimostrato visto che gli archivi precedenti sono andati irrimedialmente perduti. In pratica veniva controllato l‟intero operato di chi occupava una carica pubblica, nel momento della sua uscita → esigenza di tenere la contabilità in modo razionale e sistematico. La partita doppia funziona rilevando fatti esterni dell‟impresa facendo emergere operazioni finanziarie, le quali scaturiscono operazioni di segno opposto (come accade oggi). La logica è quella secondo cui: totale dare = totale avere Per fare emergere eventuali errori (di calcolo), importanti per capire cosa accade a livello dell‟impresa. Evoluzione della contabilità Uno studioso italiano (toscano), Melis ha scritto nel 1950 “La storia della ragioneria”, testo nel quale sono individuate 4 fasi: 1. dall‟antichità fino al 1202: viene alla luce un testo manoscritto da Fibonacci denominato “Libera baci”: è il primo tentativo di far utilizzare in Europa, ma soprattutto in Italia, i numeri arabi. Infatti prima di questo periodo in contabilità venivano usati i numeri romani. In realtà i numeri arabi sono più funzionali perché sono incolonnabili (= metodo posizionale), ma vi è una resistenza rispetto alla loro adozione perché: i numeri arabi sono più facilmente falsificabili, così alcune regole mercantili vietano il loro utilizzo (tra cui la Repubblica di Genova); il testo di Fibonacci è scritto in latino, i tempi di diffusione sono lenti; in tale manoscritto è sottolineato il fatto che non dovrebbero esservi delle regole che vietino l‟uso dei numeri arabi; 2. 1202-1494: vi è il primo esempio di contabilità in partita doppia, ed essa viene gradualmente usata in città come Genova e Venezia. Nel 1494 viene stampato il primo trattato periodico sulla partita doppia a Venezia, il quale è scritto in volgare e ha un capitolo interamente dedicato a essa. Si moltiplicano così i trattati sulla stessa; 3. 1494-1840: comparsa e aumento di trattati sulla contabilità in generale e sulla partita doppia in particolare; 4. dal 1840 in avanti: la contabilità viene studiata a livello scientifico e diventa oggetto di didattica (soprattutto tra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900). In particolare il trattato di Luca Pacciale, frate che in passato era stato un mercante a Venezia, nella sua seconda edizione (nel 1323), il quale dà il via a una serie di altri testi: nel 1586 Pietra, monaco benedettino di origine ligure, è tra i primi a tener conto del patrimonio; nel 1636: Flori, monaco d‟origine siciliano che propone un metodo uniforme a tutte le imprese. Il motivo per cui spesso chi si occupa di contabilità sono ecclesiastici: la contabilità tiene conto della gestione di una qualunque attività, la quale prevede moralità; infatti la religione cattolica detiene una forte influenza sulla moralità → credere nei santi, in Dio, facendo in modo che la contabilità vada a buon fine come se fosse un intervento divino; la Chiesa, da sempre, gestisce grandi patrimoni immobiliari e fondiari → necessità di fare andare a buon fine gli affari, spingendosi verso un sistema uniforme di contabilità, la quale viene sottoposta a controlli. Caratteristica: di testi, di trattati è quella di definire (o almeno provare a definire) le logiche che stanno dietro la rilevazione contabile (senza riuscirci), riproducendo intere contabilità, come una sorta di prontuario. L‟aspetto che viene maggiormente esplicato è il senso del prospetto dare/avere del conto come soggetto (ad es. si pensa non al credito, ma al soggetto al quale questo è in capo, il creditore): dare avere Tale è la logica secondo la quale ancora oggi si fonda la partita doppia. Dopo il 1840, con la nascita della ragioneria scientifica, la contabilità tradizionale non è più sufficiente perché non dà tutte le risposte (nel periodo a cavallo tra le due rivoluzioni industriali). L‟Italia a partire dal „600 perde il passo rispetto agli altri paesi, infatti fino a questo periodo il cosiddetto metodo italiano (= quello basato sulla partita doppia) era il più diffuso all‟estero. Dopo tale data comincia a non esportare più i propri metodi contabili all‟estero, ma comincia a importare, in particolare dagli USA, i metodi di contabilità più avanzati. I trattati per imparare il corretto metodo di contabilità non basta più: essi non aiutavano a capire la logica che sta dietro ai calcoli. Ciò cambia profondamente con l‟introduzione della ragioneria scientifica. Molto importante risulta il ruolo giocato da: ordini religiosi, imprese mercantili e/o individuali ed enti pubblici. Le società cominciano ad adottare una contabilità più articolata poiché bisogna dare conto ad altri soggetti i quali sono orientati a un profitto → vengono monitorati di più alcuni aspetti della gestione, e di qui matura l‟esigenza del bilancio. Tutti i trattati di contabilità che si succedono dal 1494 all‟inizio dell‟800 non contengono dati basati sulle imprese industriali, ma solo su quelle commerciali. Infatti nella contabilità industriale si tende a semplificare parecchio perché: le imprese sono di piccole dimensioni; vi sono minori restrizioni legislative; i prodotti venduti sono pochi. Quindi il contesto non spinge all‟utilizzo di una contabilità dettagliata. Comunque la partita doppia è utilizzata da tali imprese industriali, perché essa riguarda i fatti esterni alla stessa azienda, ma non vi è alcuna traccia di conti riguardanti i processi interni, inerenti la produzione. Nel XV e nel XVI secolo la contabilità comincia ad avere valore probatorio → prove precostituite. Così cominciano piano piano a emergere principi di natura formale, tra i quali: regole secondo le quali i numeri devono essere ordinati progressivamente; criteri di tenuta della contabilità (fine dell‟800 e inizio del „900), prima a livello nazionale e poi a livello internazionale. Ciò non porta a un unico criterio omogeneo → non è semplice, infatti, raffrontare due situazioni diverse. Bilancio d‟esercizio Il bilancio d’esercizio è inteso come qualcosa che viene comunicato al pubblico mediante delle pubblicazioni depositate nei vari modi previsti. L‟esigenza di redigere il bilancio è piuttosto recente perché per moltissimi anni il concetto di azienda non era chiaro. Attualmente l‟azienda è definita come l‟insieme di beni i quali sono combinati dall‟imprenditore per gestire la propria attività d‟impresa. In passato, però, tali beni non erano individuati in modo preciso, e così l‟azienda era tradizionalmente intesa in modo un po‟ confuso, senza separare il patrimonio dell‟impresa da quello dell‟imprenditore. Tale separazione non è nemmeno percepita da chi condivide degli affari con l‟imprenditore. Questo modo di operare si riflette sulla gestione → fine: ottenere un reddito che consente la sussistenza dell‟imprenditore e della sua famiglia. In pratica questa è l‟ottica della gestione dell‟impresa familiare odierna, la quale in più mira ad assicurare la durata della propria azienda nel tempo, anche per le future generazioni. A quel periodo non vi è un costante monitoraggio delle attività imprenditoriali → Sombart definisce la partita doppia come base del capitalismo. La mancata esigenza di raccogliere dati contabili non comporta le imprese a non fare nulla in merito, ma esse in realtà si occupano dell‟affare a livello singolo, senza vedere come sta andando la gestione a livello complessivo. Non vi sono né leggi e non esiste alcuna esigenza di comunicare la propria situazione contabile a qualcuno → nessuna spinta a compilare il bilancio. Tale esigenza non compare nemmeno all‟occasione di comparsa dei primi soci, anche perché essi solitamente vengono ricercati all‟interno della parentela. Però quando la famiglia non riesce più a fornire le risorse necessarie, e quindi queste devono essere ricercate all‟esterno → nascono i primi bilanci, non annuali e/o periodici, ma solo finali relativi alla chiusura della società, o per richiesta dei soci. Come oggi era vietato il patto leonino (= escludere alcuni soci da utili/perdite) e vi era la possibilità di remunerare di più gli amministratori. Dopo il 1494 compaiono i primi trattati, in cui si parla anche del bilancio, ma esso non è come quello attuale, ma si tratta di un bilancio di verifica, di correttezza formale, in cui è contenuta la somma di tutte le attività e le passività, se tali importi sono i medesimi allora la contabilità è corretta. Non vi è ancora un criterio comune e alcuna idea di redigerlo in maniera sistematica: per fare ciò il processo è molto più lento. Nel „600 il bilancio viene redatto ma occorre considerare che non è ancora regolato. Attualmente si calcolano le scritture di assestamento, le quali sono precedenti alla redazione del bilancio, e sono fatte seguendo il principio di cassa, ai fini fiscali, ma aggiustando alcune voci per motivi gestionali. All‟epoca il criterio era il non-criterio: tutti facevano come pareva loro giusto fare, senza una redazione comune: normalmente non si calcolava l‟ammortamento, anche se questo non era un concetto ignoto agli imprenditori. Infatti, a tal riguardo, alcuni inventari dimostrano tale conoscenza, anche all‟epoca, ma non avvertono l‟esigenza di tenerlo in considerazione calcolandolo, nonostante sapessero del deprezzamento dei beni. I beni strumentali nell‟attivo patrimoniale rappresentano una quota minima e l‟imprenditore non si preoccupa nemmeno di rivalutare il valore degli immobili → si rafforza il patrimonio dell‟impresa, motivo per cui non si applicano regolarmente gli ammortamenti. L‟unica voce inerente le immobilizzazioni è quella utilizzata in caso di manutenzioni straordinarie. Il magazzino era calcolato senza aggiornare il valore dei beni in magazzino, ma semplicemente il valore si calcolano le rimanenze finali per il costo storico; ciò è giustificato dall‟assenza di norme tributarie. Per i crediti sorge un problema, soprattutto per quanto riguarda i creditori poco solvibili: in passato si faceva fatica a svalutare i crediti → i contenziosi si tramandavano di padre in figlio. Al massimo essi vengono inseriti in conti particolari, i quali sono i crediti di poca speranza. I ratei/risconti non compaiono perché ancora non viene utilizzato il criterio di competenza, ma un più semplice criterio di cassa. Così il bilancio è così caratterizzato: da un insieme non omogeneo di voci; da un insieme eterogeneo basato su operazioni per nulla ordinate. Ancora in quel periodo l‟impresa è influenzata dal contesto culturale, istituzionale in cui opera. Con la I rivoluzione industriale, e l‟avvento della grande impresa, le cose cominciano a cambiare, e il bilancio, gradualmente, diviene uno strumento fondamentale, anche se per molto tempo la struttura è molto diversa, specie nei settori differenti. In Italia Per molto tempo, al fine di costruire una SPA, era necessaria un‟autorizzazione governativa, per la responsabilità limitata (all‟inizio del Nuovo Regno). Con il codice di commercio (1882) viene prevista la costituzione mediante atto pubblico, e per la prima volta si parla di bilancio: ogni anno esso viene compilato per dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte, ma non viene fornita nessuna regola al fine di valutare i cespiti di bilancio. Così si aprono due visioni opposte: 1. concezione giuridica: individuare comunque un minimo di contenuto e dire qualcosa sui criteri di valutazione da applicare, principi-guida validi e applicabili alle imprese; 2. concezione economica: tende a negare la possibilità di definire in maniera stringente i criteri, i quali, secondo tale ottica, non possono essere definiti collettivamente validi, anzi le stesse imprese possono redigere più bilanci a diversi scopi → non vi è un criterio fisso, ma il bilancio può avere contenuto differente a seconda dell‟uso. Prevale la concezione economica. Oggi, o per lo meno in periodi più recenti, i bilanci vengono pubblicati e in essi si evidenziano utili/perdite su cui si pagano i tributi. L‟imprenditore Gaslini, ad esempio, oleario genovese, oltre la contabilità ufficiale, deteneva anche dei bilanci effettivi, i quali dimostrano un utile nettamente superiore a quello dichiarato, il quale è stato rappresentato più basso per evadere fiscalmente → questo per dire quanto i bilanci, nel caso di molte imprese, siano approssimativi in quel periodo, e ciò non era per niente considerato disdicevole, anzi era normale. In altri casi addirittura venivano gonfiati i bilanci così poteva essere distribuito più utile di quello reale. Ma nel 1942 viene emanato il codice civile, infatti lo Stato si era reso conto davvero di ciò che accadeva nel mondo economico, e quindi detta regola più precise. Infatti gli amministratori devono redigere: il bilancio (allora raffigurato solo dallo S/P); il conto profitti e perdite (= C/E); la relazione esplicativa a cura degli stessi amministratori, per evidenziare in modo corretto il risultato economico. Si stabiliscono così i criteri da adottare per la compilazione del bilancio, i quali: non si possono compensare le voci di segno opposto; si crea un conto unico nel libro mastro per i c/c bancari così da avere una visione d‟insieme degli stessi. Le regole, però, riguardano solo lo S/P. I contenuti del C/E vengono stabiliti solo nel 1974 mediante l‟emanazione di una legge relativa alle società quotate in borsa → obblighi di contenuti minimi estesi anche alle altre società. Comunque il codice civile si sforza di stabilire una forma di bilancio uniforme a tutte le imprese (mentre nel codice di commercio tale forma poteva essere scelta dagli amministratori, e ancora si evidenziano gli utili o le perdite non è chiaro: la struttura è ambigua, non si capisce la situazione dell‟azienda). Contabilità dei costi I primi esempi di contabilità analitica,nella partita doppia riguardano alcuni studiosi, i quali hanno riscontrato esempi di contabilità industriale già nel „300-„400. Altri invece sostengono, che tale contabilità sia sorta dopo l‟avvento delle grandi imprese, soprattutto quelle ferroviarie. Vi è ancora un filone di studi diverso: con le grandi imprese ferroviarie e le conglomerate nasce l‟esigenza di sviluppare un sistema organico di gerarchia manageriale, ma è impensabile che prima non esistesse alcuna forma di contabilità, anche se ciò non è testimoniato da testi. Quindi gli studiosi hanno cercato di capire se ci sono costi legati all‟azienda manifatturiera → in realtà non vi sono trattati sui costi, ma ciò non significa che in azienda non si fossero sviluppate procedure, le quali probabilmente non sono state codificate, perché la prassi dell‟utilizzo precede il repertorio. La contabilità dei costi si sviluppa in questo modo: ognuno utilizzava il metodo a lui più gradito, senza alcuna esigenza di descriverlo per tramandarlo. Per quanto riguarda la contabilità delle imprese, si tiene soprattutto conto delle stesse quando entrano in relazione con il mondo esterno, senza comprendere i costi delle operazioni a monte. Quindi in epoca preindustriale: i costi fissi erano moderni; non importa guardare ai costi perché vi è comunque il guadagno → non vi è alcun modello di monitoraggio dei costi. Le imprese faticano a distinguere tra: costi fissi e costi variabili; costi diretti e costi indiretti; costi specifici a un prodotto o comuni (che sono ricaricati sulle diverse produzioni). Nonostante funzionino molto bene, le imprese mercantili sono caratterizzate dal fatto che tutte le operazioni prevedano l‟interfaccia col mercato e si sia a conoscenza dei prezzi: categoria merceologica costi ricavi E l‟imprenditore manifatturiero (tessile)? Compra sul mercato le materie prime, su di esse effettua un‟operazione di trasformazione, e poi le vende: materie prime → operazione esterna regolata con il mercato costo del lavoro costo totale costo a cottimo, commisurato all‟unità prodotta, relazione: costo del lavoro ↔ prezzo di vendita; costo a tempo, quanta parte di esso bisogna imputare all‟unità prodotta → cambia la retribuzione dei lavoratori. Problemi: riguardanti l‟incidenza sul costo totale. Dove vi è maggiore concorrenza, vi è a più esigenza di monitorare i costi; già nel „600-„700 l‟impresa non solo paga i lavoratori a tempo, e attribuisce loro la capacità di produzione, ma anche effettua analisi approfondite su altri tipi di costi predisponendo una contabilità degli stessi in modo sistematico. Melis recepisce un testo di Moschetti a Venezia nel 1610, che parlava di contabilità industriale da parte di un‟impresa produttrice di zucchero, la quale giungeva all‟utile solo considerando i costi diretti, tralasciando gli altri. In epoca preindustriale, non esiste un modello unico applicato da tutti i settori, ma al massimo delle iniziative individuali di imprenditori che volevano comprendere il processo produttivo: si trattava di un metodo non esportabile ad altri contesti, perché era piuttosto personalizzato. In epoca industriale, quello della grande impresa, in particolare ferroviaria, nasce il primo esempio di adozione di una politica dei costi mediante una contabilità: sistematica; integrata; collegata alla contabilità generale. Durante la I rivoluzione industriale, le tecniche contabili dei costi erano abbastanza rozze, perché ancora mancano le strutture complesse e le conoscenze sul metodo. Con l‟avvento del big business negli USA, le imprese hanno a che fare con: una produzione complessa; una dimensione più ampia, senza alcun controllo sulle singole unità produttive; dei mercati complessi ad alta concorrenzialità, o anche monopoli e oligopoli → spinta a capire il funzionamento dei costi. Dal 1880 al 1890 vi sono i primi tentativi di produrre testi sulla contabilità industriale negli USA: alcune modalità di contabilità possono essere comuni a più settori, mentre altre sono più adatte a un singolo settore produttivo. Grazie alle organizzazioni imprenditoriali, vi è la spinta a individuare i criteri per aiutare le imprese a migliorare le proprie performance → contabilità dei costi. Sempre più importanti rappresentano le diverse esigenze derivanti da settori differenti (adottando il sistema di rilevazione più mirato). In Italia L‟Italia è caratterizzata da una lentezza nonostante il precoce sviluppo sulla ricerca della questione contabile, ma la scuola si sforza di trovare una soluzione comune a tutti i settori, quindi ci si muove ancora sul piano teorico con scarsa applicabilità nella pratica. I testi sono scritti da ingegneri, i quali si sono posti il problema di provare a trasmettere il proprio sapere. Negli USA Si lavora sulla formazione di esperti contabili per la produzione di testi direttamente sulle esigenze delle imprese e sull‟evoluzione della tecnica contabile. All‟inizio del „900 ci si collega all‟organizzazione scientifica del lavoro (= taylorismo), ossia l‟evoluzione contabile procede con questa di pari passo, così definendo: le mansioni del lavoratore; la quantità che il lavoratore deve produrre; il rapporto con il processo produttivo; il costo standard dell‟organizzazione del lavoro, il quale deve essere di un livello ottimale. → Finalità: aumentare la produttività dei lavoratori e ridurre i costi. Analisi del bilancio: analisi scientifica del bilancio; si procede a calcolare alcuni indicatori che sintetizzano situazioni particolari; a essi viene assegnata una funzione particolare ben delineata e con uno scopo predittivo (previsioni sul futuro dell‟azienda). I primi esempi di intervento in tale ambito riguardano la separazione tra proprietà e controllo nel contesto della grande impresa americana con una crescente necessità di ottenere del capitale di rischio e del capitale di finanziamento. Col tempo utilizzare tali indicatori non ha solo una valenza esterna di comunicazione, ma anche interna di riflessione per la comprensione della produzione. Innanzitutto è importante reperire capitale, e ciò veniva fatto rivolgendosi a banche, senza che venisse richiesto alcun merito, ma a fine „800 le cose cambiano, e le stesse chiedono il bilancio, sebbene esso non sia del tutto attendibile. La banca guarda soprattutto la correlazione temporale tra le fonti e gli impieghi (per non mettere a rischio la stabilità finanziaria) per fornire alle imprese soprattutto debiti commerciali a breve termine. In particolare al fine di fornire tali crediti la banca guarda all‟interno del bilancio: passività correnti – attivo circolante > 0 liquidità – debiti a breve termine > 0 Fondamentale è il calcolo di indicatori con fattori che si trovano tra le voci di bilancio, così da comprendere se l‟impresa è in grado di remunerare il finanziamento richiesto → esigenza esterna, proveniente dal settore creditizio. Alcune grandi imprese ferroviarie calcolano tali indici sistematicamente per rilevare lo stato di salute dell‟impresa a breve termine. Solo con l‟inizio del „900 si valuta la possibilità di calcolare altri indicatori, con valore interno all‟impresa, al fine di controllare e fornire meglio spiegazioni alle dinamiche reddituali. Nell‟impresa americana Du Pont ha inventato il ROI (= indice di ritorno del capitale investito): ROI = reddito capitale investito Precedentemente l‟analisi era più orientate ai singoli azionisti, ma essa non permetteva di far capire all‟impresa la situazione sulla propria redditività. In seguito il ROI si pone in relazione con altre variabili, in particolare con il fatturato, considerando che: reddito ≠ fatturato Per scomporre il tasso di rotazione del capitale investito, dopo la I guerra mondiale, grazie alla Du Pont (e più precisamente a un suo contabile): dato preso dal C/E reddito capitale investito = fatturato capitale investito = reddito fatturato dati presi dallo S/P Tale formula è strettamente legata alle vendite (→ fatturato, preso dal C/E). Quindi: ROI → tasso di remunerazione del capitale investito; ROE → tasso di remunerazione del capitale proprio. In pratica occorre considerare quanto si paga per il capitale di prestito per comprendere se l‟indebitamento è stato un fatto positivo (portando la propria redditività a livelli maggiori rispetto al fatto di non averne usufruito) o meno, funzionando da leva. Le voci di bilancio (S/P e C/E) sono correlate da relazioni complesse, le quali servono ad adottare decisioni consapevoli, evitando, in tal modo, eventuali criticità. Con il tempo il ROI, si calcola non solo a livello complessivo, ma anche a livello divisionale (divisione ≈ imprese come struttura) per vedere quale divisione contribuisce in maggiore misura alla produzione del risultato economico per puntare di più su di essa, magari tralasciando quelle poco remunerative. Alcune aziende, come quelle europee, non applicano questi indicatori in modo ristretto. Si affermano in Europa e in Italia dopo la II guerra mondiale e poi si diffondono ampiamente e diventano strumenti di uso comune. Quindi per quanto concerne la contabilità, l‟Italia non ha più un ruolo di primo piano, ma ha importato un sistema contabile da oltre oceano, visto che proprio in America vi era il contesto ideale per la proliferazione di tali tecniche grazie a un determinato ambiente economico-culturale. Stato imprenditore Lo Stato imprenditore può avere un ruolo inesistente, lieve, rilevante, presente, ecc. Le attività svolte dallo Stato sono le attività economiche che non sempre sono in forma d‟impresa e agiscono su: area normativa: la legislazione può influenzare le attività economiche private; produzione di beni/servizi: (in quanto consumatori, i soggetti pubblici sono uguali a quelli privati) la produzione avviene all‟interno di due grandi categorie (in qualità di): amministrazioni pubbliche: i beni prodotti in questo ambito non sono destinati al mercato perché sono di interesse generale, e quindi si tratta di servizi destinati alla collettività; beni/servizi a cui si applica un prezzo non pieno, ma che rappresenta una compartecipazione (ad es. l‟università, il servizio sanitario, il trasporto pubblico) → servizi pubblici erogati da imprese pubbliche o private ma convenzionate con lo Stato. La presenza dell‟ente pubblico è dettata da: la caratteristica del servizio (ad es. acquedotto); si riteneva che il privato potesse offrire lo stesso servizio a prezzi troppo alti. Vi sono casi in cui lo Stato detiene o la totalità o parte di un pacchetto azionario di un‟impresa che opera sul mercato per ricavare profitti, che si confrontano con una concorrenza internazionale. Cosa ha spinto lo Stato entrato nell‟economia: gli economisti classici tendono a dare un ruolo minimale allo Stato → Adam Smith sosteneva che lo Stato si fosse limitato a fornire solo alcuni servizi essenziali: questo è un modello teorico difficilmente riscontrabile nella realtà. Nella pratica l‟intervento si è verificato in modo differente a causa delle diverse posizioni ideologiche: a fine del „500, ad esempio in Gran Bretagna vengono emanati leggi sui poveri, obbligati a registrarsi nella parrocchia per l‟assistenza, in cambio potevano dedicarsi ai lavori forzati. Dopo la I rivoluzione industriale la logica marxista prevedeva uno Stato in cui si sfruttava la popolazione in termini lavorativi e interveniva per: aumentare il capitale dell‟imprenditore capitalista; mantenere una sorta di pace sociale per contenere eventuali rivoluzioni; farsi carico di attività non particolarmente profittevoli per i capitalisti. Nel „900 vi è l‟avvento dello Stato sociale, che deve garantire un sistema di servizi essenziali, perché il cittadino ha diritto a tali servizi: servizi sanitari, istruzione, sussidi familiari, risorse culturali come biblioteche e musei, spazi/impianti per il tempo libero, pensioni (il sistema retributivo era proiettato nell‟ottica dello Stato sociale, molto diverso dal sistema contributivo, che prevede un ruolo presente dello Stato). Dagli anni ‟90 in poi lo scenario nel tempo è cambiato, e il peso dello Stato torna a diminuire. In particolare il welfare state, prevede 3 modelli: 1. regione liberale: welfare residuale; lo Stato fa il minimo indispensabile con servizi erogati a persone che versano in stato di bisogno, solo dimostrando tale necessità lo Stato interviene. E‟ un regime che privilegia la privatizzazione (caso dell‟America); 2. modello conservativo: il diritto a ricevere una prestazione particolare spetta all‟appartenenza professionale, ad esempio l‟assistenza sanitaria legata a contributi specifici; 3. welfare universalistico o socialdemocratico: nei paesi scandinavi si lega alla cittadinanza la prestazione di servizi determinati. Ad esempio nel 1948 la Svezia introduce la pensione popolare, garantita dalla nascita → anche qui alcune logiche sono state messe in discussione per via delle risorse necessarie. Attività mediante le quali lo Stato può giocare un ruolo nel campo della redistribuzione del reddito Si tratta di interventi volti a dare la possibilità a chi non parte da una posizione favorevole. Lo strumento principe per dirigere, in tal senso, è rappresentato dalla tassa di successione. Lo Stato in maniera più o meno incisiva può giocare un ruolo fondamentale. Imprese pubbliche Il contesto chiaramente ha delle ricadute sull‟impresa pubblica. Oggi non ha una concezione positiva, spesso è collegata a: inefficienza; spreco di risorse. Soprattutto ciò vale nell‟amministrazione pubblica, soprattutto per quanto riguarda l‟esubero di personale: piuttosto che mantenere una persona mediante un sussidio di disoccupazione, è meglio impiegarlo nel settore pubblico (evitando il lavoro nero); il pubblico era visto come un serbatoio di voti, quindi si veniva assunti preventivamente in cambio del voto politico. Quando le imprese pubbliche si sono affermate nel corso del „900, mediante un‟accelerazione del fenomeno tra la I e la II guerra mondiale. Si è affermata non solo nei regimi comunisti (in cui si è preclusa l‟iniziativa privata), ma anche in regimi autoritari dirigisti in Europa, come il fascismo, il nazismo e il franchismo, i quali condizionavano l‟intera economia. Tuttavia anche nei regimi democratici, l‟impresa pubblica, per una serie di motivazioni, è cresciuta, soprattutto durante le guerre, per fare in modo di controllare le imprese strategiche in periodi di crisi economica. L‟impresa pubblica è vista per fronteggiare il fallimento del mercato, del non funzionamento dei modelli teorici → azioni in campo economico per ovviare a situazioni di difficoltà. Nei regimi sovietici (= marxisti) l‟intervento statale è forte, ma no totalitario, e l‟economia è formata da un mix di investimenti pubblici e privati. Intorno agli anni ‟70 iniziano, così, una serie di privatizzazioni per via dello shock petrolifero → la crisi spinge lo Stato a rivedere alcune logiche, rimettendo anche in discussione principi scontati, ma a volte l‟ideologia preme su taluni principi, giusti o sbagliati che siano. Nell‟ottica più moderna il settore pubblico viene vissuto come inefficiente, quindi si manifesta l‟avvio della privatizzazione che parte dalla Gran Bretagna, e si estende dapprima in Europa, in seguito anche nei paesi sovietici. Fasi storiche della formazione dell‟impresa pubblica Le fasi sono le seguenti: età preindustriale: vi è qualche esempio circoscritto in Francia (per le manifatture reali), in Russia e in Spagna. Inoltre vi è la presenza dello Stato nelle produzioni strategiche, quali le attività minerarie e il campo militare; „800: con l‟avvio dell‟industrializzazione ogni Stato ha un ruolo diverso. In Gran Bretagna, negli USA lo Stato è poco presente e agisce essenzialmente come regolatore (intervenendo con leggi e l‟istituzione di enti garanti). In Europa è caratteristica una maggiore tradizione riguardo alla presenza dello Stato a causa delle scuole di pensiero per le quali si pensa che non tutti i problemi possano essere soddisfatti dal privato; nel corso del „900, anni ‟30: in corso alla crisi economica si tende a una nazionalizzazione delle imprese, e questa esigenza cresce dopo la II guerra mondiale; dagli anni ‟70 in poi: decresce gradualmente la presenza dello Stato a causa dell‟innovazione tecnologica o istituzionale la quale consente all‟apertura verso il capitalista privato, così da allargare la concorrenza, facendo venire meno, in molti casi la presenza dei cosiddetti monopoli naturali. Processo di nazionalizzazione Le motivazioni che fanno decidere lo Stato di nazionalizzare sono: 1. fattori di tipo politico-ideologico; 2. fattori sociali; 3. fattori economici. Non vi è un ordine di priorità, ma ciascuna dei 3 componenti è presente. Per quanto riguarda i fattori di tipo politico-ideologico si può dire che essi sono stati rilevanti nei regimi politici socialisti (come l‟Europa dell‟est, e l‟ex URSS) in cui si estendeva il controllo pubblico sull‟impresa per far perdere peso al capitalismo, dando più potere al lavoratore (il manager dell‟impresa pubblica risponde delle sue responsabilità alla collettività, senza avere come obiettivo primario quello del profitto). Subito dopo la II guerra mondiale, in Gran Bretagna avviene la prima ondata di nazionalizzazione, infatti, in tal caso, la componente politico-ideologica ha importanza, come accade anche nei governi caratterizzati da regimi autoritari: Germania, Italia e Spagna. Tali regimi controllano direttamente le imprese strategiche. Dal punto di vista dei fattori sociali è importante mantenere l‟occupazione a livelli elevati, in ottica di non utilizzare risorse in sussidi di disoccupazione e di offrire migliori condizioni di lavoro (= certezza e stabilità dell‟impiego). In tale caso entra in gioco la corrente sindacale, la quale si propone diversi obiettivi come la massima retribuzione e/o la massima occupazione. Altre volte lo Stato agisce direttamente come imprenditore per investire in settori o paesi, in cui vi è carenza di iniziative private (ad esempio cassa del mezzogiorno) al fine di stimolare l‟imprenditoria privata. Infine i fattori economici prendono in considerazione il caso del fallimento del mercato, in cui il privato non ha alcuna convenienza a investire. Il caso del monopolio naturale è tipico, infatti è più economico per un‟impresa monopolista pubblico offrire condizioni migliori ai consumatori. Ancora, utilizzato al fine di agire quale fattore di sviluppo in aree/settori più arretrati perché l‟imprenditore privato è orientato al profitto e deve avere reale convenienza economica a produrre, mentre il pubblico ha un‟ottica più di lungo periodo, per vedere se effettivamente l‟attività risulta produttiva. Lo Stato interviene anche per istituire attività dedite in settori strategici di ricerca, di approvvigionamento di materie prime energetiche, nelle infrastrutture, come quelle autostradali, ecc.. Inoltre esso interviene per effettuare salvataggi di imprese private in difficoltà: queste sono di solito grandi imprese in cui il business sia ritenuto strategico a livello nazionale, ponendo particolare attenzione sul livello occupazionale. Importante anche l‟intervento statale per la redistribuzione del reddito, comprando l‟attività da privati, i quali, mediante la somma ottenuta, investono in altri settori. Lo Stato, possedendo l‟impresa, può fissare i prezzi al consumo come desidera → laddove sono presenti molte imprese pubbliche o pubbliche amministrazioni lo Stato ha un ruolo anticiclico, ossia nei momenti di crescita si cresce meno, ma nei momenti di crisi si subisce anche meno. Prima della I guerra mondiale vi sono già episodi di nazionalizzazione. Nel 1905 nascono le Ferrovie dello Stato, liquidando i concessionari al fine di rilevare la proprietà delle infrastrutture. Così tali concessionari investono in attività elettriche. Nel 1962 lo Stato nazionalizza anche il settore dell‟elettricità, chiamando l‟impresa ENEL, e la società concessionaria Edison si fonde con l‟impresa chimica Montecatini, divenendo la Montedison. Questo per comprendere che ciclicamente lo Stato nazionalizza diversi settori, provocando dei cambiamenti continui nell‟equilibrio. Nel 1912 viene fondato l‟INA (= istituto nazionale assicurazioni), nazionalizzato perché il settore delle assicurazioni è considerato strategico. Nel 1926 nasce l‟AGIP (= agenzia generale italiana petroli) per occuparsi della ricerca di idrocarburi; rappresenta la prima campagna petrolifera che costituisce le prime stazioni di rifornimento carburante in modo capillare, cosicché viene favorito il trasporto su gomma. Mentre per quanto concerne i più famosi salvataggi da parte dello Stato, uno dei più famosi riguarda quello dell‟Ansaldo: essa si occupava della fornitura di armi, e ha problemi di riconversione dopo la I guerra mondiale, così la banca di sua proprietà (banca mista → banca italiana di sconto) non riesce a garantirle la liquidità. A tal punto l‟impresa tenta la scalata di un‟altra banca, che però fallisce. Nel 1924 così, viene salvata dallo Stato per mezzo della Banca d’Italia, ma nel 1925 diviene di nuovo di proprietà privata. Nel 1929, con la crisi mondiale, che comunque in Europa si sente dal 1931 in poi, le banche miste hanno un ruolo importante al fine di favorire lo sviluppo industriale per fornire capitale di rischio e capitale di credito (soprattutto in Italia e in Germania), ma la medesima crisi porta a delle difficoltà, infatti le banche e le imprese sono partecipate le une nelle altre a vicenda (→ fratellanza siamese), così non sono in grado di operare le une senza le altre. Lo Stato si rende conto dell‟effetto domino disastroso che sta per colpire le imprese e le banche così: 1. crea l‟IMI (= istituto immobiliare italiano) per aiutare le banche in difficoltà e immettere maggiore liquidità nel sistema; 2. nel 1932, però la crisi si fa più violenta, e nel 1933 nasce l‟IRI (= istituto per la ricostruzione industriale), nato per: la sezione finanziamenti, per fornire crediti alle piccole-medie imprese che si trovano in difficoltà a causa della crisi. Tale sezione viene soppressa nel 1937 che viene passata all‟IMI; la sezione smobilizzi, al fine di aiutare le banche miste, rilevando i pacchetti azionari delle imprese industriali e facendosi carico delle imprese in difficoltà: ma la logica doveva essere temporanea solo per il momento di difficoltà. Ma nel 1937 l‟IRI diventa da temporanea a permanente, controllando così circa il 43% delle SPA italiane, in particolare nei settori: industria alimentare; telecomunicazioni; energia elettrica; industria siderurgica; cantieristica navale. Nel 1936 lo Stato vara una legge bancaria per l‟IRI, la quale impone la fine della banca universale (la quale rientra in gioco nel 1993), e di conseguenza: la fine delle partecipazioni nelle imprese; la separazione tra credito a breve termine e credito a medio/lungo termine. Lo Stato, inoltre, si appropria di alcune banche di interesse nazionale, come la banca dei commercianti italiani, il banco di Roma e il credito italiano,acquisite mediante l‟IRI. Alla vigilia della II guerra mondiale l‟IRI conta 200.000 dipendenti (che nel 1980 diventano più di 500.000 → quota rilevante di forza-lavoro). Dopo la II guerra mondiale si diffonde l‟ideologia dello Stato sociale, e quindi non si cambia direzione in senso pubblicistico (come più o meno accade negli altri paesi europei), e comunque vi è la coesistenza tra soggetti pubblici e privati. In Gran Bretagna, dopo la II guerra mondiale vi è la nazionalizzazione delle public utilities, dei trasporti e delle industrie minerarie con forti ragioni sociali. Un'altra nazionalizzazione importante è quella della rolls royce al fine di evitare la scomparsa dell‟impresa-simbolo britannica. In Francia vengono nazionalizzate in prevalenza le public utilities. In Italia, nel 1953 nasce l‟ENI (= ente nazionale idrocarburi) guidato da Enrico Mattei, il quale inizialmente viene messo alla guida dell‟AGIP al fine di smantellarla, invece la potenzia (appunto mediante la nascita dell‟ENI), bypassando le compagnie petrolifere straniere monopoliste (intermediarie) e rivolgendosi direttamente ai produttori, così facendo ostacola il mercato petrolifero nazionale. Nel 1956 nasce il ministero delle partecipazioni statali, che nel 1976 controlla il 12% del PIL nazionale delle partecipazioni statali, quindi è legato fortemente alle imprese pubbliche. Il processo di nazionalizzazione nei paesi extraeuropei, come India, America Latina è ancora più sviluppato rispetto a quello italiano. Mentre negli USA lo Stato risulta sempre sostanzialmente estraneo a questo processo. In altri paesi lo Stato non interviene direttamente nazionalizzando le imprese, ma ha un ruolo forte per spingere verso lo sviluppo della ricchezza. Tipici esempi sono la Germania e il Giappone. Processo di privatizzazione Tale processo comincia a diventare rilevante a partire dagli anni ‟70. La componente economica ha giocato un ruolo forte (in cui vi sono delle crisi e un contesto economico di stagflazione), l‟economia non cresce e i prezzi si impennano → il ruolo dell‟impresa pubblica viene messo in discussione, perché non procede bene, e dal punto di vista del mercato del lavoro costituisce delle rigidità (viene considerato il posto fisso per eccellenza), infatti non è possibile ridurre il personale. Così l‟economia dei paesi deve essere modernizzata: tra i propugnatori di quest‟ondata di pensiero vi è la Gran Bretagna della Thatcher, in contrapposizione ai governi laburisti (infatti la Thatcher faceva parte del governo conservatore), al fine di mostrare una discontinuità rispetto ai governi che l‟avevano preceduta. I motivi per cui le imprese pubbliche sono considerate come cattive risorse gestionali sono i seguenti: perseguono obiettivi sociali e non economici, ad esempio assumendo di più del necessario; replicano il modello tipico dell‟impresa privata, ma a causa della burocrazia si appesantisce la gestione dell‟impresa; le classi politiche controllano la gestione, soprattutto il sistema dualistico tra manager e impresa, curando così solo interessi individuali e non quelli della collettività; l‟inefficienza diventa massima, se opera in regimi monopolistici; situazione contingente legata alla finanza pubblica: se si privatizza, si diminuisce il debito pubblico. In caso di fallimento dell‟impresa pubblica il manager della stessa si comporta in modo superficiale, perché comunque non ci rimette nulla, ma al massimo a rimetterci è lo Stato. A tal punto viene meno la funzione sociale dell‟impresa pubblica, ma si afferma una forte centralità di quella privata: in Gran Bretagna, in Francia e in Grecia. In Italia la più ampia parte di privatizzazioni viene effettuata da governi di centro-sinistra o da governi tecnici. In Gran Bretagna I governi conservatori hanno l‟obiettivo di sorpassare i sindacati operai (= laburisti, cioè del partito opposto). La Gran Bretagna aveva bisogno di ridurre il peso dello Stato sull‟economia, favorendo così di più l‟iniziativa privata e la libera concorrenza. Tale fenomeno riguarda soprattutto quello dei settori tipici, specie con l‟avvento delle nuove tecnologie. Come avviene la privatizzazione Vi deve essere qualcuno disposto a comprare, mediante un contesto istituzionale favorevole e ideologico, quindi deve trattarsi di un mercato finanziario in cui vi è una forte propensione dei piccoli risparmiatori ad acquistare azioni. Vi sono due modalità perché essa avvenga: l‟offerta pubblica di vendita: caratterizzato, come già detto, dalla forte propensione del piccolo risparmiatore ad acquistare delle azioni; la trattativa privata: occorre avere degli investitori interessati ad acquistare l‟ex impresa pubblica. Tale modalità viene usata soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Nell‟offerta pubblica di vendita le azioni di solito sono concesse a un prezzo di favore mediante promozioni che creano delle aspettative di profitto nel risparmiatore, magari invogliando gli stessi dipendenti a investire sulla loro impresa offrendo le quote a prezzi speciali. In molti casi si tratta di imprese strategiche, e lo Stato al fine di tutelare comunque la collettività può: non vendere tutte le azioni; tenersi la cosiddetta golden share, così da esprimere il proprio parere nei confronti di alcuni atti gestori. La privatizzazione può avere successo o può determinare un fallimento in base ai seguenti fattori: il contesto economico e la libera iniziativa privata; regole per cui gli azionisti sono protetti, e in riferimento alle azioni, le quali possono essere scambiate liberamente. Tali condizioni, all‟inizio della privatizzazione, però, sono spesso assenti, quindi si cerca di: creare le condizioni contestualmente alla privatizzazione; facendo precedere alla privatizzazione un contesto istituzionale adeguato. Vi è da dire che spesso la privatizzazione non ha successo a causa delle forti resistenze popolari e da parte dei sindacati. Ancora potrebbero esservi dei settori difficili: in tal caso lo Stato prova a privatizzarli solo dopo gli altri settori. Dal 1970 a fine degli anni ‟90 due importanti eventi accadono: la caduta dei regimi sovietici; la forte spinta dei paesi europei verso una libera concorrenza → privatizzazioni. I settori di attività più privatizzati sono: le telecomunicazioni; le public utilities; i trasporti; le attività manifatturiere; le attività bancarie; la distribuzione di energia. Spagna e Gran Bretagna hanno privatizzato di più nei settori strategici, altri paesi hanno preferito detenere comunque un pacchetto di controllo azionario, in modo da supervisionari gli atti gestori. In Italia La prima privatizzazione risale al 1992, in particolare la Banca di Credito Italiano. Gli italiani, ai tempi, erano abituati a investire nei titoli di Stato perché erano sicuri del fatto che fossero convenienti. Mentre i titoli azionari privati avevano dei limiti come l‟obbligo di dichiarazione dei redditi, ora, fortunatamente, non più previsto, adempimenti tributari e fiscali vari e ancora il tasso d‟interesse variabile, che non dava alcuna certezza sui rendimenti. Nei paesi sovietici Le persone non avevano la liquidità necessaria per acquistare, così venivano a essi consegnati alcuni voucher gratuitamente, o adottate strategie di management by out, in cui i manager della stessa impresa acquisiscono pacchetti di maggioranza in modo da trasferire le imprese pubbliche in mani private (in merito ai proventi realizzati dalla privatizzazioni il primo paese è la Gran Bretagna, il secondo l‟Italia, e via via il primo paese dell‟est è la Polonia, ottavo nella medesima classifica). Conseguenze Diverse sono le conseguenze portate dalla privatizzazione: il peso delle imprese pubbliche è progressivamente diminuito (in termini di PIL); ciò è avvenuto soprattutto nei paesi occidentali, a scapito di quelli orientali (pur essendo stati anch‟essi caratterizzati da diverse privatizzazioni); sono state risolte le inefficienze; sono state gestite meglio le imprese e messe in condizione di produrre utili; in alcuni paesi più sviluppati, in cui si è privatizzato meno, anche il risultato delle imprese pubbliche è nettamente migliorato in termini di performance, orientando le stesse al profitto, ma in modo tale da mantenere il controllo dei settori strategici, evitando quantomeno di sottovalutare l‟interesse della collettività. Nei paesi in via di sviluppo tali imprese puntano a massimizzare l‟interesse collettivo (≠ da massimizzare il profitto) → ruolo protagonista dello Stato, le imprese pubbliche devono reggere il confronto con quelle private; in alcuni casi la privatizzazione è consentita/favorita grazie al miglioramento dell‟efficienza dell‟impresa quando è ancora in mani pubbliche (così evitando di cedere imprese in perdita, e soprattutto evitando il taglio dei posti di lavoro). Però: durante il passaggio da un‟economia pianificata caratterizzata da un benessere non diffuso, a un contesto che dispone di un benessere più diffuso e più elevato, può accadere che le politiche gestionali utilizzate siano poco corrette e i costi sociali molto elevati con relativo aumento della disoccupazione e crescita dei prezzi. Le imprese, infatti, potrebbero essere svendute ad altre straniere o a persone che hanno l‟interesse di vedere la propria attività esclusivamente come profittevole; nei paesi sovietici la situazione non è cambiata; in particolare in Polonia le imprese pubbliche erano già migliorate prima della loro cessione, avvenuta a fine degli anni ‟90; in Italia la disoccupazione è aumentata non di molto, ma nel tempo è aumentato considerevolmente il debito pubblico (motivo della crisi odierna), quindi, in pratica, non vi è una situazione ottimale nel lungo periodo; in America Latina, soprattutto in Argentina, l‟occupazione è calata del 20% e le performance delle imprese non sono migliorate più di tanto. Per questi motivi vi è una concezione negativa della privatizzazione, ma nonostante tutto le imprese private, piano piano, vanno avanti. A far la differenza in tale politica è il contesto: la struttura del mercato; la relazione con i mercati finanziari; le scelte imprenditoriali; la componente culturale, secondo la quale tutti devono perseguire l‟interesse aziendale, sperando che l‟impresa funzioni bene nel panorama economico, approccio diverso, nella realtà, di tutti coloro che hanno a che fare con l‟impresa → problema: riuscire a farlo in tempi brevi. Nei paesi nordici (Finlandia, Svezia), come già detto in precedenza, più che a privatizzare, lo Stato si è preoccupato di mettere a confronto le imprese pubbliche con quelle private all‟interno del medesimo settore, grazie all‟accurato controllo di agenzie indipendenti, così da porre direttamente in concorrenza i due soggetti, ponendo finalmente l‟impresa pubblica in condizioni di essere efficiente. - FINE -