Carità e missione - Diocesi di Assisi

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Carità e missione - Diocesi di Assisi
DIOCESI DI ASSISI – NOCERA UMBRA – GUALDO TADINO
SINODO DIOCESANO
Commissione F
Il Segretario Generale
IV AREA : CA RITÀ E MISSIONE
1. “Annuncio del Vangelo e opzione preferenziale per i poveri”
a) Quanto i poveri sono presenti nel cuore delle nostre comunità?
Si constata nella diocesi generalmente una buona sensibilità e solidarietà materiale verso i poveri. Parroci,
religiosi e fedeli, sia per semplice umanità, sia forti dello stile di Gesù che utilizza quale via privilegiata la Carità, si
fanno carico di situazioni di indigenza personalmente, sia con la condivisione dei beni, sia dando il proprio tempo
(cfr. volontariato), mediante le strutture della Caritas Diocesana e parrocchiali (concentrano la loro opera di
sostegno su famiglie extracomunitarie, con aiuti soprattutto alimentari, e su famiglie o pensionati italiani, con il
pagamento di libri scolastici, bollette o affitti), mediante istituti (cfr. Casoria, Serafico,…) e numerose associazioni
(cfr. Centro di volontariato sociale, Comunità Papa Giovanni XXIII, La Cordata, Misericordia, Unitalsi, Croce
Rossa, Aucc, Pro vita, Con noi, Genitori per sempre,…), infine sollecitando i comuni di appartenenza (l’intervento
dei servizi sociali riguarda essenzialmente il pagamento di affitti e bollette). I poveri ancora bussano alla porta delle
nostre parrocchie, delle case religiose e dei santuari, segno di una accoglienza della parola di Gesù mai tradita: «Voi
stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). Dunque, per quanto riguarda l’impegno concreto (“sporcarci le mani”),
unito a quello più profondo della vita stessa del discepolo che è chiamato ad una sequela di Cristo facendosi lui
stesso pane per la vita dell’umanità, possiamo dire che i poveri sono presenti nel cuore delle nostre comunità.
Dall’esperienza narrataci dai Vangeli e dalle sollecitazioni del magistero della Chiesa si evince però che i poveri
sono anche “soggetti di evangelizzazione”: Gesù non soltanto si rivolge ai poveri in via preferenziale
nell’annunciare la buona notizia, ma evangelizza “con i poveri”. Da questa prospettiva è più difficile dire che i
poveri siano al centro della diocesi come delle singole comunità nel piano di evangelizzazione.
b) Quanto sono accoglienti le nostre comunità verso i poveri?
Il tema dell’accoglienza rimanda ad una cultura della dignità della persona in quanto tale, al di là dei suoi bisogni.
Da questo punto di vista le nostre comunità “scontano” un deficit storico di educazione alla carità, intesa proprio
come via maestra all’evangelizzazione, e all’affermazione del valore della vita e della dignità della persona
sempre. L’impegno in questa linea è presente, ma le stesse strutture principali diocesane - quali il Centro di prima
accoglienza ed il Serafico - faticano a diventare un faro per le comunità, quest’ultime più portate alla delega che
all’assunzione di uno stile di vita. Solo ripartendo dal Vangelo ascoltato e vissuto in comunità e nelle famiglie, si
può sperare di sognare in comunità cristiane accoglienti.
c) Come passare dall’elemosina alla condivisione e alla carità?
Oggi sono tante le iniziative di collette, raccolte, fondi di solidarietà: sono importanti perché permettono di far
fronte ad emergenze e ai bisogni dei poveri. Purtroppo però l’elemosina non è carità se non è legata ad uno stile di
vita. Papa Francesco ne ha indicati alcuni: sobrietà di vita, ascolto delle persone, accoglienza delle diversità,
dialogo con fedi diverse, opere di misericordia corporale e spirituale 1.
1
Una breve riflessione sui documenti biblici e del Magistero, offerti dall'Instrumentum Laboris del Sinodo, può
suggerire altri atteggiamenti da assumere: At 4,32-35: Condivisione dei beni e comunione spirituale; Lc 10, 29-37:
compassione e opere concrete di bene; Mc16,15-18 e 1Cor 9,16: missione ed evangelizzazione come priorità della Chiesa
senza le quali essa stessa viene meno allo scopo per cui è stata fondata; Gv 13, 34-35: amore gratuito del Padre per noi, senza il
quale non potremmo svolgere il nostro servizio verso i fratelli, soprattutto verso i fratelli che non lo meritano; DCE n°31°:
«Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in
modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all'altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi
sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e
soprattutto, la ‘formazione del cuore’: occorre condurli a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il
loro animo all'altro…»; EG nn. 20-51: «…tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e
avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo.» ... «La Chiesa “in uscita” è la
comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e
festeggiano»; cfr. EG nn. 198-201 per l’opzione preferenziale per i poveri.
Tutti (sacerdoti, religiosi e laici) abbiamo uno stile di vita non sempre scelto con cura. L’avere le idee chiare su di
sé e sulla propria vita, sull’ideale della carità cristiana, sul proprio posto nella missione caritativa della Chiesa
permette di implementare uno stile di vita conseguente all’ideale. Scelto lo stile di vita, allora sarà necessario
avviare un bel lavoro di pulizia, del proprio io, un bel lavoro di adeguamento ai valori stessi. Da questo lavoro
tenace emergerà un nuovo stile di vita delle nostre comunità con i tratti indicati da Papa Francesco. In questo gioca
un ruolo importante anche la Caritas diocesana, chiamata prima di tutto ad inventare e fornire alle parrocchie
percorsi e mezzi di conoscenza della carità cristiana.
d) Che ruolo possono giocare le “piccole comunità di base” in questo movimento?
Le Comunità di base / Famiglie del Vangelo possono diventare esempio di “chiesa in uscita” e “chiesa povera per
i poveri” 2 invocata da Papa Francesco, e luogo di formazione dello stile di vita caritativo nascosto e senza
compromessi, quella carità che trova il suo tesoro proprio nel sapere che non ha niente da guadagnare nel compiere
quell’atto di amore (es. farsi carico di una situazione di indigenza di chi non entrerebbe mai all’interno della
comunità, perché lontano fisicamente o spiritualmente, o perché straniero o di altra confessione religiosa).
PROPOSIZIONE N. 1
Si favorisca “l’opzione preferenziale per i poveri nell’annuncio del Vangelo”, stabilendo un progetto
pastorale diocesano della Carità da offrire a tutte le comunità parrocchiali, aggregazioni, gruppi,
associazioni e movimenti ecclesiali, che metta al centro l’evangelizzazione per i poveri e con i poveri, ben
definito, attuato con fedeltà ed adeguatamente verificato.
PROPOSIZIONE N. 2
Si istituisca un corso di Teologia e pastorale della Carità e Missione in collaborazione con l’Istituto superiore
di Scienze religiose di Assisi (ISSRA) e l’Istituto teologico di Assisi (ITA) obbligatorio per i seminaristi ed
aperto anche ai religiosi e religiose, ai diaconi e accoliti, ai ministri dell’Eucaristia e ai laici impegnati
nell’animazione della Carità nelle parrocchie, nei gruppi, nelle aggregazioni e nei movimenti ecclesiali.
ALCUNI ELEMENTI ESPLICATIVI
Il progetto pastorale diocesano della Carità e la formazione alla Carità e alla Missione devono favorire:
- l’assunzione del progetto da parte dei parroci in collaborazione con un responsabile diocesano e con un’equipe di laici
impegnati;
- l’inserimento dei seminaristi nel progetto;
- la riscoperta della povertà personale e comunitaria, intesa prima di tutto nel suo bisogno fondamentale di essere
costantemente evangelizzati, bisognosi della luce del Vangelo e dell’aiuto di Dio;
- un cammino di conoscenza di sé e della propria vita alla luce del Vangelo, e di elezione del proprio posto nella missione
caritativa della Chiesa;
- la formazione cristiana dei propri membri circa la carità cristiana per assumere uno stile di vita conseguente, facendo nella
propria vita spazio ai poveri a partire dai membri della propria famiglia, della comunità locale e fino ai lontani: sobrietà di vita,
ascolto delle persone, accoglienza delle diversità, dialogo con fedi diverse, opere di misericordia corporale e spirituale;
- la formazione e l’impegno delle piccole comunità Maria Famiglie del Vangelo, come delle altre comunità e gruppi presenti in
diocesi, ad essere esempio di “chiesa in uscita” e “chiesa povera per i poveri” invocata da Papa Francesco;
- esperienze concrete di educazione attraverso i poveri (colletta alimentare, collette in denaro, lavori e servizi verso i poveri) e
di promozione con i poveri di una vera e propria cultura della carità nei diversi ambiti di vita cristiana ed in particolare negli
oratori.
2
Cf. FRANCESCO, Veglia di Pentecoste con i Movimenti, le nuove Comunità, le Associazioni, le Aggregazioni laicali
(Roma, 18 maggio 2013), in AAS 105 (2013), 450-452: «la povertà è una categoria teologale perché il Figlio di Dio si è
abbassato per camminare per le strade. […] Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo.
Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire […] che cosa sia questa povertà».
2. “Povertà antiche e nuove”
a) Quali povertà antiche e nuove si possono riconoscere sul nostro territorio?3
Nel territorio diocesano ci sono diverse fasce di poveri.
- I cosiddetti poveri cronici, cioè coloro che chiedono da molti anni e che fanno il giro dei conventi per ottenere
cibo o soldi (alcuni di essi hanno la casa popolare o un'abitazione di proprietà di religiosi, con affitti molto bassi,
ma comunque non ce la fanno: in parte per la crisi, in parte perché si sono adagiati in una situazione di disagio);
- I nuovi poveri. Di questa categoria fanno parte per lo più le famiglie separate i cui coniugi si sono uniti con altri
coniugi separati, a loro volta con figli: pur avendo uno stipendio non riescono ad arrivare a fine mese a causa del
pagamento degli alimenti e della nuova famiglia allargata. Questi casi sono sempre più numerosi e sono diffusi
soprattutto tra gli italiani. Generalmente gli stranieri se la cavano meglio o scelgono di ritornare nei loro paesi di
origine.
- Ci sono inoltre le famiglie che hanno contratto un mutuo in tempi non critici, e che si ritrovano ora con un solo
stipendio, a motivo della perdita di lavoro di uno dei coniugi, non riuscendo pertanto a far fronte alle rate da
pagare. Tali casi sono distribuiti a metà tra italiani e stranieri. Una zona particolarmente colpita da questo fenomeno
è quella di Nocera Umbra e Gualdo Tadino, sede della Merloni.
- Una realtà di grande disagio attuale, in costante aumento, è quella degli anziani rimasti soli o con figli che però
vivono lontani.
- Ci sono poi i giovani che vivono un momento di grande disagio 4. E’ in aumento il numero dei minori che fanno
uso di cocaina insieme all’alcool con grossi danni al cervello, aumento di ansia, angoscia, attacchi di panico,
depressione, ecc. Alcuni, soprattutto stranieri, vivono conflitti culturali con le loro famiglie 5. Molti sono figli di
separati che convivono con altre persone, precocemente “adultizzati” dovendo prendersi cura anche dei propri
genitori (alcolizzati, tossicodipendenti,...). Altri sono figli di genitori collusivi, protettivi, che non vengono lasciati
crescere, ai quali non si fa mai prendere coscienza delle proprie responsabilità. Altri adolescenti presentano disturbi
alimentari, sono oggetto di bullismo o di maltrattamenti in famiglia. Tutti i ragazzi sono accomunati da una grande
paura nei confronti del futuro che percepiscono come una minaccia. Sono estremamente fragili e disorientati.
Mancano loro guide, adulti di riferimento che sappiano anche porre dei limiti. Hanno un grande bisogno di essere
ascoltati, di non sentirsi giudicati, ma neppure collusi 6.
- Tra le povertà emergenti vengono segnalati le “povertà al femminile” (donne sole, maltrattate, abusate...) ed i casi
crescenti di ludopatie.
Le sfide che il tessuto sociale della nostra diocesi ci lancia sono dunque quelle del disagio giovanile e della
3
Per rispondere a questa domanda sono stati contattati alcuni funzionari della Asl di Bastia, delle Caritas diocesana e
parrocchiali, e il dirigente dei servizi sociali presso il Comune di Assisi, signora Gatto. La dottoressa Anna Maria Gentili,
responsabile del Centro di Salute di Bastia, elenca i diversi servizi erogati: il SERT (tossicodipendenze), con la dottoressa
Paola Passeri (Asl di S. Maria degli Angeli); il GOAT (alcolisti), curato dal dott. Bondi (Asl di Bastia); il CSM (ex CIM),
diretto dal dott. Massucci (Asl di Bastia). In particolare in questo settore opera una psicologa che mensilmente va negli istituti
superiori per parlare con i ragazzi. L'iniziativa del servizio “Sportello d'ascolto”, attivo da 15 anni, è partita dal Centro di salute
mentale; inizialmente era rivolta agli studenti dell'Istituto alberghiero di Assisi. Le numerose richieste da parte degli altri
istituti hanno portato ad un ampliamento dell'offerta, grazie al contributo economico dell'Ambito Territoriale 3, che ha
permesso la costituzione di un'altra équipe, formata da uno psicologo e un infermiere. Gli incontri sono quindicinali e
consistono in un massimo di 3 appuntamenti con ciascun studente: si tratta di brevi consultazioni e non di prese in carico da
parte dei servizi. Qualora si presentino situazioni che meritano maggiore attenzione, queste vengono convogliate verso i
servizi territoriali di appartenenza del ragazzo. Nello scorso anno scolastico sono state erogate un totale di 66 giornate di
ascolto, in cui sono stati incontrati 161 ragazzi, ma anche famiglie e insegnanti. Lo scopo è l'individuazione precoce delle
problematiche che per la maggior parte sono legate alle difficoltà di relazione a scuola, con i familiari, gli amici.
4
In passato lo stereotipo dei giovani era l’uso di eroina, invece oggi è l’uso di cocaina. Il vero problema sociale di oggi
è la sottovalutazione degli effetti di queste droghe, soprattutto da parte degli adulti-genitori che di fronte all’evidenza dell’uso
di droghe dei loro figli, li giustificano dicendo: “Tutti una volta nella vita abbiamo fumato uno spinello…”. Oggi però il
semplice spinello è 10 volte più potente… L’uso di cocaina è diffusissimo, vuoi per il basso costo che è alla portata di tutti,
vuoi per la sottovalutazione degli effetti, come si diceva sopra. Anche se il fenomeno è trasversale: dal professionista al
frequentatore di night al cosiddetto “bravo ragazzo”, nell’ultimo anno si è registrato un aumento del numero dei minori che
fanno uso di cocaina insieme all’alcool.
5
Il 15% e soprattutto ragazze.
6
L'iniziativa del servizio “Sportello d'ascolto” ha trovato una grande risposta da parte dei ragazzi: si sentono accolti
perché c'è qualcuno che li ascolta e li aiuta a scoprire le proprie potenzialità, ma li guida anche a mettersi nei panni degli altri.
Certo è che bisogna andare a cercarli là dove sono: a scuola, ma anche al bar, al pub.... perché, se si riesce ad agganciarli, poi
“ci sono”.
fragilità delle famiglie (“normali” e “separate”): i due ambiti sono fortemente collegati tra loro da un nesso di causa
effetto. Le “periferie” della nostra diocesi sono proprio loro, i nostri giovani così apparentemente sicuri, ma così
profondamente fragili e spaventati del futuro, e le famiglie così apparentemente normali, ma così profondamente
ferite.
b) Cosa si può fare? Come essere accanto alle povertà antiche e nuove della nostra diocesi?
Resta centrale il ruolo dei parroci nella conoscenza delle povertà nel proprio territorio, fondamentale per muoversi
in modo sinergico, in rete, ed evitare altresì di spendere risorse per chi in realtà non ha una vera necessità.
Necessario l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà, vicini e lontani alla Chiesa, uniti dalla stessa sensibilità
verso le diverse povertà. Per questo sarà importante insistere sulla necessità dei rapporti umani che noi cristiani
abbiamo il dovere di sviluppare con tutti. Il progetto delle Comunità di base / Famiglie del Vangelo, va proprio in
questa direzione di sostegno alla famiglia.
Su questa linea è importante cercare una maggiore collaborazione tra strutture diocesane e istituzioni sociali
presenti sul territorio (come ad esempio tra parrocchie e società sportive, poiché un ragazzo che fa sport sta lontano
da droga e alcool).
Occorre lavorare su più fronti: quello della sensibilizzazione delle persone (a cominciare dai parroci, catechisti,
operatori dei gruppi Caritas che possono farsi promotori di carità) e quello operativo che deve avere un duplice
carattere: uno di tipo economico-materiale e uno sul piano umano perché, come dice Benedetto XVI al n° 31
dell'Enciclica Deus caritas est, «l'attività caritativa della Chiesa deve mantenere tutto il suo splendore e non
dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante....».
PROPOSIZIONE N. 3
“L’opzione preferenziale per i poveri nell’annuncio del Vangelo” assuma la sfida di intercettare i giovani nel
loro disagio e le famiglie nelle loro fragilità. A tal scopo la Pastorale Giovanile Diocesana e la Pastorale
Familiare Diocesana rafforzino alcuni strumenti, quali il Consultorio Familiare e l’Oratorio, accanto ad
altri, quali il Centro di Ascolto dei bisogni.
PROPOSIZIONE N. 4
Per sostenere le fragilità familiari si continuino le varie forme di raccolta di viveri e denaro, per andare
incontro alle crescenti necessità materiali (domeniche della carità, tombole, mercatini, collette ai funerali,...),
ma si investa soprattutto in “percorsi di umanità” (momenti di convivialità, pranzi comunitari, incontri
intergenerazionali con l’aiuto dei ragazzi del dopo-cresima,…), affinché sentano di essere in ogni situazione
pietre vive e scelte della comunità.
ALCUNI ELEMENTI ESPLICATIVI
Per raggiungere le due “macro periferie” individuate, i giovani e le famiglie, separate e non, sarà necessario:
- coinvolgere maggiormente i laici e curare la formazione di quelli impegnati, affinché affinino la loro sensibilità cristiana che
si manifesta anzitutto in rapporti umani di qualità;
- il centro di Pastorale Giovanile Diocesano elabori un sito adeguato per incontrare i giovani nei loro viaggi mediatici;
- il centro di Pastorale Giovanile Diocesano organizzi “missioni popolari” o altre iniziative parrocchiali per andare a cercare i
giovani là dove sono: nei bar, nei pub, ...nei loro luoghi di ritrovo;
- si incrementi l’esperienza degli Oratori con una più impegnata collaborazione dei genitori coinvolgendo i giovani in attività
concrete di “sensibilità ed attenzione umana” (raccolta delle olive o dei viveri nei supermercati,…);
- l’Oratorio preveda anche un Centro di Ascolto Giovani, con la presenza di persone competenti circa il disagio giovanile (un
educatore, un psicologo,…).
3. “La Dottrina sociale della Chiesa”
a) La carità deve essere anche “politica” per andare alla radice dei problemi.
La politica, prima di essere azione o programma di promozione o assistenza, “è innanzi tutto un’attenzione di
amore rivolta verso l’altro, considerandolo come unica cosa con se stesso” (Evangelii gaudium 199).
Quest’attenzione è l’inizio di una vera preoccupazione per il povero che porta al desiderio di cercare effettivamente
il suo bene. La carità politica è un servizio continuo ed incessante alla realizzazione del bene comune.
b) Qual è nella nostra comunità diocesana la conoscenza e la pratica della Dottrina Sociale della Chiesa?
Da qualche anno la diocesi sta favorendo la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa. Nell’anno 2012, con la
collaborazione congiunta dell’Ufficio Catechistico Diocesano e della Commissione per i problemi sociali e del
lavoro, nasceva un Progetto di promozione della Dottrina Sociale della Chiesa “La parola genera la polis”. Si
trattò di un ciclo di incontri seminariali su diversi temi di attualità approfonditi alla luce del Magistero della
Chiesa. Nel 2013 nasceva la Scuola di formazione socio–politica “Giuseppe Toniolo”. La Scuola veniva intitolata
al beato Toniolo con l’intento di divulgare l’esempio di vita di un laico, economista, docente universitario, padre di
sette figli, che scriveva: “Noi credenti sentiamo, nel fondo dell’anima, che chi definitivamente recherà salvamento
alla società presente, non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi, una società di santi”. Nel
corso delle prime due edizioni della Scuola sono state approfondite le varie encicliche sociali e sono state
esaminate varie tematiche di attualità. L’affluenza agli incontri formativi è aumentata nel corso del tempo.
Nell’anno 2014 erano iscritte alla Scuola 60 persone.
La conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa è tuttavia ancora scarsa. Prevale l’idea, anche nella stessa
comunità ecclesiale, che la formazione socio-politica appartenga ad un'èlite e sia una componente del tutto
secondaria nell’ambito della carità. E’ ancora lontana la consapevolezza che il magistero sociale sia la bussola che
aiuta a ritrovare il senso della quotidianità, mostrando come sia decisivo il rapporto tra fede e vita quotidiana.
La proposta formativa socio-politica deve porsi come obiettivo, tra gli altri, il coinvolgimento di una platea sempre
più rappresentativa di tutta la comunità. Si auspica che la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa possa non
solo illuminare le azioni quotidiane dei singoli cittadini, ma essere guida illuminante anche nella gestione delle
Opere, delle parrocchie, degli enti ecclesiastici, oltre che delle istituzioni civili.
c) Quale ruolo può svolgere in tal senso la Scuola di formazione sociale e politica “Giuseppe Toniolo” da alcuni
anni operante presso l’Istituto Serafico?
L’esistenza stessa della Scuola svolge un ruolo di evangelizzazione. Certamente la Scuola socio-politica ha un ruolo
centrale nella divulgazione della Dottrina Sociale della Chiesa, ma perché il Magistero venga attuato, è necessario
che la formazione non sia mai proposta come “una materia da imparare” staccata dalla vita. Andranno dunque
sempre incluse tematiche di attualità come la legalità, l’ambiente, l’economia, il welfare, il lavoro, la famiglia.
La stessa formazione potrà essere condotta non solo attraverso “maestri”, quindi persone con competenze da
offrire, ma anche con “testimoni” che possano narrare ciò che hanno realizzato al servizio del bene comune. Si
ritiene necessario, inoltre, che la Scuola esca dai confini degli iscritti, generando gesti tangibili costituiti da piccole
iniziative, opere, progetti che abbiano lo scopo di consentire a tutta la comunità di sperimentare ciò su cui si è
riflettuto in ambito formativo.
d) Siamo capaci di svolgere un ruolo di credibile coscienza critica della politica e della società?
Nei tempi attuali si assiste sempre di più ad una grande difficoltà ad esprimersi rispetto alla politica e alla società.
La difficoltà a svolgere un ruolo di credibile coscienza critica è a volte dovuto al silenzio della coscienza stessa.
L’esercizio della coscienza richiede il discernimento che può fondarsi solo sulla parola di Dio e il Magistero.
PROPOSIZIONE N.5
Per la formazione di una generazione di uomini e donne responsabili e capaci di promuovere non tanto
interessi individuali, ma il bene comune si rafforzi l’esperienza della Scuola politica diocesana “G. Toniolo”
in collaborazione con l’Istituto superiore di Scienze religiose di Assisi (ISSRA) e l’Istituto teologico di Assisi
(ITA) in modo che sia punto di riferimento sistematico per la formazione della classe politica del futura.
PROPOSIZIONE N.6
Per la divulgazione capillare della Dottrina Sociale della Chiesa si organizzino corsi di educazione alla
politica e al bene comune anche negli Oratori, nelle Parrocchie e in collaborazione con l’Azione Cattolica e i
movimenti giovanili.
ALCUNI ELEMENTI ESPLICATIVI
Sarà necessario:
- realizzare una scuola itinerante, per raggiungere anche le periferie della Diocesi e rendere così adulti, sul piano della dottrina
sociale, il maggior numero possibile di persone, con l'obiettivo di portare la cultura cristiana nella politica;
- indirizzare tale formazione soprattutto per gli imprenditori: la collaborazione e il rispetto eviterebbero gli scontri sociali;
- si preveda la partecipazione alla scuola di almeno un membro di ogni parrocchia o vicariato il quale si faccia poi portavoce di
quanto appreso nella propria realtà particolare;
- dato che i giovani non manifestano alcun interesse per la politica si sollecitino gli insegnanti di religione a farsi promotori di
questo tipo di formazione.
4. “I centri caritativi della Diocesi”
a) Abbiamo alcuni istituti di particolare impegno di carità: quanto vengono sentiti dall'intera comunità
diocesana?
La loro conoscenza risulta limitata a quanti li accostano e non sembrano avere un particolare peso nella vita della
diocesi, nonostante gli sforzi che si stanno facendo in questa linea. Si ritiene necessario far conoscere le nostre
realtà esistenti, e ormai da tempo ben strutturate, in ogni ambito della diocesi, non solo sul versante assisano, con il
sostegno dei parroci.
b) Che cosa si può fare per sostenerli e soprattutto per condividere la loro opera, evitando una delega che non
corrisponderebbe al senso vero della “caritas”?
Si constata che le persone sanno che c’è la Caritas, ma solo per portare i vestiti usati, mentre l’elemento chiave di
ogni azione pastorale dovrebbe essere la “carità”. Se le famiglie fossero sensibilizzate al vero valore della carità,
non ci sarebbe bisogno di “Caritas” istituzionalizzate. Occorre superare il concetto di “solidarietà” per arrivare al
concetto di “fraternità”, dove al centro non ci sono solo azioni materiali, ma la persona non solo come oggetto di
dono, ma soggetto di relazione 7. Lo stesso Papa Francesco ci sollecita a pensare percorsi di evangelizzazione per i
poveri e con i poveri 8. Occorre mettere i poveri dentro una rete di fraternità: quanto il povero dice alle nostre
relazioni fraterne e quanto le nostre relazioni fraterne dicono al povero?
I centri diocesani potrebbero essere il motore di un processo vivo e permanente di attenzione e relazione con le
persone che vivono disagi particolari su tutto il territorio diocesano. Un lavoro in tal senso di questi centri,
congiunto e pianificato, coadiuvati da un'équipe di esperti al fine di vagliare i bisogni per una sempre più necessaria
personalizzazione delle soluzioni 9, potrebbe invertire la tendenza alla delega e all’emarginazione, mantenendo alto
l’ideale della carità cristiana, restituendo con una calda relazione umana, la dignità a ogni persona.
PROPOSIZIONE N.7
L’Ufficio diocesano di pastorale della Carità, all’interno del Progetto di pastorale diocesana della Carità,
coinvolga i centri caritativi della Diocesi, le associazioni, le fondazioni e i gruppi di carità operanti in diocesi,
in collaborazione con i parroci ed i loro consigli, al fine di implementare percorsi di sensibilizzazione di tutti
i fedeli, raggiungendoli nelle singole parrocchie. Provveda per questo:
- ad una mappatura delle realtà caritative presenti (cristiane e non, quelle riconosciute e quelle al “limite”)
- ad una confederazione delle realtà caritative in vista di un maggiore coordinamento.
PROPOSIZIONE N.8
Si dia vita al “Progetto diocesano di fraternità” nello spirito di S. Francesco: la disponibilità da parte delle
comunità religiose, movimenti, associazioni, parrocchie, famiglie a far entrare nella propria rete fraterna
una famiglia povera, prendendosi cura non solo dei bisogni materiali, ma di uno sviluppo umano e
relazionale.
PROPOSIZIONE N.9
Si promuova un “convegno dei poveri”, un momento di incontro, racconto, ascolto, condivisione e
celebrazione del Vangelo “beati voi poveri!”: una finestra aperta sul mondo dei poveri per lasciarsi
provocare, evangelizzare e guidare verso nuovi percorsi di vita fraterna.
5. “La Missione”
a) Oggi la missione è in mezzo a noi
Più che mai, perché gli “idoli” dei soldi, del successo, del potere, delle “cose”, che portano all’indifferenza e alla
solitudine, sono molto venerati. Far passare i valori del Vangelo è molto più difficile ed arduo qui che nelle terre
dove vivono uomini in condizione di povertà e miseria. Le “periferie” e le varie forme di “povertà” tra di noi sono
meno evidenti, ma ben riconoscibili se solo si presta attenzione.
b) La nostra Diocesi vive una situazione privilegiata rispetto alle missioni in terre lontane
Le case e gli istituti religiosi presenti, soprattutto ad Assisi, hanno una gloriosa e meritoria tradizione (gestita in
genere in autonomia). La nostra Diocesi, attraverso il Centro Missionario Diocesano (CMD), oltre a cooperare con
Missio Nazionale per le giornate imperate e l’adozione di seminaristi nelle loro terre d’origine, ha gestito impegni
di aiuto in diverse missioni, ultimamente col “Progetto Javarì” in Amazzonia. Diverse parrocchie aiutano anche
altre realtà missionarie in terre lontane. Il Centro Missionario Diocesano ha cercato di proporre un’animazione nel
mese di ottobre, mettendo a disposizione alcuni “testimoni”: due parrocchie ne hanno fruito. Il Centro Missionario
Diocesano ha accolto e sostenuto il progetto dei Ragazzi Missionari (Ra.Mi.) “Giovani per Javarì”, che ha visto la
partecipazione di centinaia di giovani, soprattutto studenti (anche di altre religioni). Il CMD col Vescovo, d’intesa
coi Ra.Mi. e i Frati Minori Cappuccini, ha organizzato un viaggio in Amazzonia: proficuo per la conoscenza diretta
dei problemi e delle situazioni e per la promozione di una più attenta sensibilità. Il Cmd, in giugno, ha convocato
istituti e case religiose con impegno missionario ad un incontro per conoscersi e far nascere forme di possibili
7
Cfr. FRANCESCO, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2014): Fraternità, fondamento e via per
la pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 5: «La fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale
è un essere relazionale […] chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali […] condividendo le proprie ricchezze, riesce
così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è fondamento per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani.
E’ il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di povertà, ma anche di tante famiglie e tanti cittadini
responsabili, che credono fermamente che sia la relazione fraterna con il prossimo a costituire il bene più prezioso».
8
Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24.11.2013), Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2013, n. 201: a conclusione del tema sull’opzione per i poveri Papa Francesco afferma: «vi chiedo di cercare
comunitariamente nuove strade per accogliere questa rinnovata proposta».
9
Aumentano le persone “borderline”, estremamente fragili e difficili da seguire, e che chiedono interventi idonei e
diversificati.
cooperazioni.
Nella Diocesi dunque c’è una ricchezza di risorse, di generosità e di impegno a vari livelli, un vero potenziale che,
attraverso un migliore coordinamento diocesano, potrebbe incidere maggiormente nella formazione dei fedeli e
manifestare il volto della comunione fraterna.
c) Come dare slancio a questa sensibilità missionaria e caritativa oltre confine? Come promuovere un
coordinamento delle molte realtà missionarie presenti in diocesi?
La sensibilizzazione alla missionarietà deve essere una necessità per tutta la diocesi e per ogni singola parrocchia (o
unità pastorale), affinché ogni cristiano prenda coscienza che ciò che si fa a favore degli altri popoli non è carità,
ma giustizia: è restituire ciò che è stato loro tolto. Questa azione di sensibilizzazione è necessaria soprattutto per i
giovani (avere l'opportunità di fare esperienza diretta nelle terre di missione, per una presa di coscienza piena della
realtà) e deve poter crescere verso delle forme di formazione alla vita. Risultano a tale scopo importantissimi i
momenti di incontro con missionari diretti testimoni del loro operato, la partecipazione alle varie iniziative sia
promosse dalla diocesi, sia gestite in autonomia dalle parrocchie e dagli istituti religiosi: possono servire a
sensibilizzare le coscienze e a fare chiarezza su come vengano impiegati i beni e i denari offerti dalle persone.
PROPOSIZIONE N.10
Si potenzi il Centro Missionario Diocesano perché vengano adottate forme di comunione che favoriscano una
positiva osmosi tra le varie realtà e la formazione dei fedeli allo spirito missionario.
PROPOSIZIONE N.11
Si promuova la formazione di “gruppi missionari” nelle varie parrocchie; dove non è possibile ci sia almeno
nel Consiglio pastorale un membro con delega per le missioni.
ALCUNI ELEMENTI ESPLICATIVI
Sarà necessario:
- il CMD, anche sulla scorta della positiva collaborazione coi Ra.Mi. nel progetto “Giovani per il Javarì” che ha visto il
coinvolgimento di parecchie centinaia di giovani, deve cooperare, oltre che con la Caritas, anche con gli uffici diocesani per la
scuola, la catechesi e la liturgia, al fine di promuovere iniziative “missionarie” di animazione e di preghiera;
- almeno uno degli appuntamenti mensili dei “ritiri del clero” sia dedicato al tema delle missioni con relatore un missionario in
terre lontane o su un missionario in terre lontane;
- per l’ottobre missionario venga istituita una veglia di preghiera nelle parrocchie o a livello vicariale o almeno diocesano;
- stimolare i Vicariati e/o le Unità pastorali a promuovere nelle loro sedi incontri diretti con i missionari inviati in Italia e/o
all’estero;
- nelle attività catechistiche va promossa una sensibilità missionaria;
- vanno promossi i “viaggi missionari”: le singole realtà che operano in autonomia, facciano conoscere le iniziative alle quali
possono partecipare persone della Diocesi;
- la Diocesi organizzi, almeno una volta l’anno, un viaggio missionario (meglio se in collaborazione con altri istituti, case e
gruppi);
- va “coltivato” il progetto “Giovani per il Javarì”, con aperture anche verso altre realtà;
- si utilizzino le nuove strade mediatiche per far conoscere tali realtà (es. facebook o altri social network).