Untitled - La Repubblica
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NOIR NELLA STORIA 3 MORTE IN MACSHERA Jean-François Parot Titolo originale: L’enigme des Blancs-Manteaux Traduzione di Maurizio Ferrara © 2000 éditions Jean-Claude Lattès © 2003 Passigli Editori © 2013 Edizione speciale per il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. Pubblicato su licenza di Passigli Editori Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. Via C. Colombo 98 - 00147 Roma la Repubblica Direttore Responsabile: Ezio Mauro Reg. Trib. Roma n. 16064 del 13/10/1975 L’Espresso Direttore Responsabile: Bruno Manfellotto Reg. Trib. Roma n. 4822 del 16/09/1955 Design di copertina: Marco Sauro per Cromografica Roma s.r.l. Impaginazione: Cromografica Roma s.r.l. LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA-L’ESPRESSO ELENCO DEI PERSONAGGI NICOLAS LE FLOCH: incaricato di un’indagine dal luogotenente generale di polizia di Parigi CANONICO FRANÇOIS LE FLOCH: tutore di Nicolas Le Floch JOSÉPHINE (FINE) PELVEN: governante del canonico Le Floch MARCHESE LOUIS DE RANREUIL: padrino di Nicolas Le Floch ISABELLE DE RANREUIL: figlia del marchese CONTE GABRIEL DE SARTINE: luogotenente generale di polizia di Parigi BENJAMIN DE LA BORDE: primo cameriere del re GAUTHIER LARDIN: commissario di polizia PIERRE BOURDEAU: ispettore di polizia LOUISE LARDIN: moglie in seconde nozze del commissario Lardin MARIE LARDIN: figlia di primo letto del commissario Lardin CATHERINE GAUSS: ex vivandiera, cuoca dei Lardin HENRI DESCART: dottore in medicina GUILLAUME SEMACGUS: chirurgo della marina SAINT-LOUIS: ex schiavo negro, domestico di Semacgus AWA: compagna di Saint-Louis, cuoca di Semacgus PIERRE PIGNEAU: seminarista AIMÉ DE NOBLECOURT: ex procuratore del Parlamento MARION: governante di Noblecourt 3 POITEVIN: domestico di Noblecourt PADRE GRÉGOIRE: speziale del convento dei carmelitani scalzi LA PAULET: tenutaria di una casa di piacere LA SATIN: prostituta BRICARD: ex soldato RAPACE: ex macellaio LA VECCHIA ÉMILIE: ex prostituta, venditrice di minestra MASTRO VACHON: sarto COMMISSARIO CAMUSOT: capo del dipartimento dei giochi MAUVAL: anima dannata del commissario Camusot PAPÀ MARIE: usciere dello Châtelet CHARLES-HENRI SANSON: boia TIREPOT: informatore della polizia RABOUINE: informatore della polizia 4 PROLOGO Prudens futuri temporis exitum Caliginosa nocte premit Deus... Un Dio prudente nasconde gli eventi del futuro sotto una notte tenebrosa... ORAZIO Nella notte del venerdì 2 febbraio 1761, una vettura procedeva a fatica sulla strada che conduce dalla Courtille alla Villette. Il giorno era stato cupo e, sul far della sera, pesanti nuvole erano scoppiate in pioggia e in tormenta. Chiunque avesse avuto l’idea improbabile di sorvegliare quella strada avrebbe notato il carretto tirato da un cavallo scheletrico. Sul sedile, due uomini, avvolti in mantelli le cui falde nere erano rischiarate dal bagliore di una lampada, fissavano l’oscurità. Il cavallo scivolava sul terreno inzuppato e si fermava ogni dieci tese. Sbilanciate dalle scosse dei solchi, due botti cozzavano sordamente. Le ultime case dei sobborghi scomparvero e, con esse, le rare luci. La pioggia finì e la luna si mostrò fra due nuvole, gettando un chiarore vivido sulla campagna invasa dalle masse incerte della nebbia. Ora, da una parte e dall’altra del sentiero, si ergevano colline coperte da cespugli di rovi. Già da un po’ di tempo il cavallo scuoteva la testa e strattonava nervosamente le redini. Nell’aria fredda della 5 notte fluttuava un odore tenace, la cui insistenza dolciastra fece posto ben presto a un puzzo spaventoso. Le due ombre avevano calato i cappucci dei mantelli sui volti. Il cavallo si fermò, emise un nitrito strozzato, aprì per bene le froge, cercando d’identificare l’ondata disgustosa. Flagellato dai colpi di frusta, rifiutò di muoversi. «Mi sa tanto che il ronzino ci mollerà!», proruppe l’uomo chiamato Rapace. «È sicuro che sente la carne. Scendi, Bricard, prendilo per il morso e tiraci via da qui!». «L’ho già visto a Bassignano nel 1745, quando servivo nel Reale Delfino agli ordini di Chevert. Le bestie che trainavano i cannoni si rifiutavano di avanzare davanti ai cadaveri. Era settembre, faceva caldo e le mosche...». «Smettila, le conosco le tue guerre. Storci il muso della bestia e sbrigati. Vedi come recalcitra!», esclamò con un paio di frustate sulla groppa scarna. Bricard brontolò e saltò giù dal carretto. Toccando il suolo vi sprofondò e dovette aiutarsi con le mani per cavar fuori del fango il pezzo di legno con cui finiva la sua gamba destra. Si avvicinò all’animale atterrito, che cercò un’ultima volta di mostrare il suo rifiuto. Bricard afferrò il morso, ma l’animale disperato scosse la testa che colpì l’uomo alla spalla. Il vecchio soldato cadde lungo disteso, snocciolando una sfilza di tremende bestemmie. «Non va più avanti», disse Rapace. «Dovremo scaricare qui. Non deve essere troppo lontano». «Non posso aiutarti con questo fango, la mia fottuta gamba cede». «Tiro giù le botti e le faremo rotolare fino alle fosse», disse ancora Rapace. «In due volte, sarà fatta. Tieni il cavallo, vado in ricognizione». «Non lasciarmi», gemette Bricard, «non mi piace il posto. È vero che qui impiccavano i morti?». Si massaggiava la gamba ferita. «E bravo, il veterano delle battaglie! Parlerai quando avremo finito. Andremo alla bettola di Marthe. Ti pagherò un buon vinello e anche una femmina, se ne avrai voglia. Tuo nonno non era ancora nato quando qui avevano già 6 smesso d’impiccare. Ora, è il bestiame morto in città o altrove. Lo squartamento delle carcasse si faceva a Javel, e ora si fa qui, a Montfaucon. Non senti il tanfo? D’estate, quando si mette a temporale, ti pizzica il naso anche a Parigi, e fino alle Tuileries!». «È vero che puzza e sento come delle presenze», mormorò Bricard. «Chiudi il becco! Le tue presenze sono topi, corvi e mastini, grassi da far paura. Tutta questa cagnara si contende le carcasse. E persino la feccia dei morti di fame viene qui a ricavarsi qualcosa da ficcare in pentola. Dove hai messo la brocca? Ah eccola!». Rapace bevve lunghi sorsi prima di porgerla a Bricard, che la vuotò avidamente. Riecheggiò uno squittio acuto. «Sentili un po’, i topi! Ma basta con le chiacchiere, prendi la lampada e rimani con me, mi farai luce. Io mi tengo l’ascia e la frusta, si possono fare brutti incontri, senza contare che ci sarà il finimondo...». I due uomini si diressero con cautela verso alcune costruzioni che erano spuntate nel fascio luminoso della lampada. «Quant’è vero che mi chiamo Rapace, ecco il deposito dove squartano le carcasse e i pozzi di sego. Le fosse di calce sono più avanti. Sono come muri di marciume per tese e tese, puoi credermi». A qualche passo da lì, accovacciata dietro una carcassa, un’ombra aveva interrotto l’occupazione in cui era impegnata quando il nitrito del cavallo, le bestemmie dei due uomini e la luce della lampada l’avevano messa in allarme. Aveva tremato, credendo in un primo tempo che fossero gli uomini del corpo di guardia. Erano sempre più spesso di pattuglia per scovare, su ordine del re e del luogotenente generale di polizia, i poveracci che, attanagliati dalla fame, venivano a contendere agli animali qualche brandello del loro banchetto. Quel fantasma acquattato era una vecchia stracciona. Aveva conosciuto tempi migliori e, nel fiore degli anni, aveva frequentato i festini della Reggenza. Poi la giovinezza se n’era andata e la bella Émilie era caduta nella 7 più bassa prostituzione, quella dei lungosenna e delle porte della città, e anche questo non era durato a lungo. Malata, deturpata, ormai vendeva, in una marmitta a rotelle, una minestra infame a foggia di Arlecchino, il cui contenuto era essenzialmente composto da pezzi rubati a Montfaucon, a rischio di avvelenare i suoi clienti e d’infettare la città e i sobborghi. Vide i due uomini che scaricavano le botti e le facevano rotolare prima di versarne il contenuto al suolo. Soffocando il batticuore, che non le consentiva di udire le parole scambiate nel luogo in cui proseguiva un lavoro di cui lei non osava capire il significato, la vecchia Émilie sgranava gli occhi per scrutare le due forme scure – rosse, le sembrava – che si trovavano in quel momento accanto all’edificio dei pozzi del sego. Purtroppo la luce della lampada era fievole e le ventate della tormenta facevano vacillare la fiamma. Senza sapere quello che vedeva, e del resto non volendo immaginare nulla, paralizzata da una paura senza nome, la vecchia era però assillata da una curiosità accresciuta dall’incomprensione di uno spettacolo che intuiva ignobile. Ora, uno degli uomini posava a terra quanto somigliava a vestiti. Batté l’acciarino e sgorgò una luce, breve e sfolgorante. Poi si fece udire uno scricchiolio secco. La vecchia si rannicchiò di più contro la carogna di cui non sentiva nemmeno più l’acre fetore. Non respirava più, con il fiato mozzato, oppressa da un terrore ignoto. Si sentì gelare il sangue, vide una luce che diventava più grande e si lasciò scivolare al suolo perdendo conoscenza. Il silenzio tornò nei luoghi dell’antico patibolo. Il carretto ormai si allontanava, portando con sé l’eco soffocata delle parole. Di nuovo la notte regnò da sola e il vento si tramutò in tempesta. Ciò che era stato abbandonato al suolo si animò a poco a poco di una vita indipendente, qualcosa che sembrava ondulare e divorarsi dall’interno. Si udirono piccoli gridi e cominciarono lotte confuse. Prima dell’alba, i grandi corvi risvegliati si avvicinarono, precedendo di poco un branco di cani... 8 I I DUE VIAGGI Parigi è piena di avventurieri e scapoli che passano la vita a correre di casa in casa e gli uomini sembrano, come le specie, moltiplicarsi grazie alla circolazione. J.-J. ROUSSEAU Domenica 21 gennaio 1761 La chiatta scivolava sul fiume grigio. Coltri di nebbia salivano dall’acqua e seppellivano gli argini, resistendo alla pallida luce del giorno. L’ancora, levata un’ora prima dell’alba, come esigeva il regolamento, aveva dovuto dar fondo di nuovo, tanto impenetrabile era il buio. Già Orléans si allontanava e le correnti della Loira in piena trascinavano rapidamente la pesante imbarcazione. Nonostante le raffiche che spazzavano il ponte, a bordo aleggiava un odore pungente di pesce e di sale. Oltre a qualche fusto di vino di Ancenis, veniva trasportato un grosso carico di merluzzo salato. A prua si delineavano due figure. La prima era quella di un membro dell’equipaggio che scrutava, con la faccia contratta dall’attenzione, la superficie torbida dell’acqua. Teneva nella mano sinistra un corno come quello usato 9 dai postiglioni; in caso di pericolo, avrebbe dato l’allarme al padrone che teneva la barra a poppa. L’altra figura era quella di un giovanotto in abito nero, con gli stivali e il tricorno in mano. Nonostante la giovinezza, c’era in lui qualcosa di religioso e di militare. La testa ben sollevata, i capelli bruni gettati all’indietro, la sua immobilità tesa facevano di lui come la polena, impaziente e nobile, del battello. Il suo sguardo senza espressione fissava, sulla riva sinistra, la massa di Notre-Dame-de-Cléry, il cui rostro grigio fendeva le nubi bianche degli argini e sembrava voler raggiungere la Loira. Quel giovanotto, il cui atteggiamento volitivo avrebbe impressionato un testimone diverso dal marinaio, si chiamava Nicolas Le Floch. Nicolas era intento a riflettere. Circa un anno e mezzo prima, percorreva lo stesso cammino in senso contrario, verso Parigi. Come tutto si era svolto in fretta! Ora, mentre si dirigeva verso la Bretagna, ripensò agli eventi degli ultimi due giorni. Aveva preso la diligenza postale a Orléans, dove contava d’imbarcarsi su una chiatta. Fino alla Loira, il viaggio non era stato costellato da nessuno di quegli incidenti pittoreschi che in genere distraggono il viaggiatore dalla noia. I suoi compagni di viaggio, un prete e due coppie anziane, non avevano smesso di scrutarlo in silenzio. Nicolas, abituato all’aria aperta, non sopportava la promiscuità e gli odori mischiati della vettura. Avendo tentato di abbassare un finestrino, era stato subito dissuaso da cinque sguardi di rimprovero. Il prete si era addirittura fatto il segno della croce, scambiando forse quel desiderio di libertà per una possibile manifestazione del Maligno. Il giovanotto aveva dovuto rinunciare, si era ritirato in un cantuccio, spinto a poco a poco dalla monotonia della strada a prendere la via del sogno. Ora, la stessa fantasticheria lo pervadeva sulla chiatta e, di nuovo, non vedeva e non sentiva più niente. Era vero che tutto si era svolto troppo in fretta. Praticante notaio a Rennes, dopo aver studiato le lingue classiche dai gesuiti di Vannes, un anno e mezzo prima era stato 10 bruscamente richiamato a Guérande dal suo tutore, il canonico Le Floch. Senza spiegazioni superflue, aveva ricevuto del vestiario, un paio di stivali, un po’ di luigi, e un mucchio di consigli e benedizioni. Si era congedato dal padrino, il marchese di Ranreuil, che gli aveva consegnato una lettera di raccomandazione per il conte di Sartine, un suo amico, magistrato a Parigi. A Nicolas il marchese era apparso commosso e insieme imbarazzato, e il giovanotto non aveva potuto salutare la figlia del padrino, Isabelle, sua amica d’infanzia, che era appena partita per Nantes a casa di una zia. Aveva un nodo alla gola mentre varcava le vecchie mura di Guérande con un sentimento di abbandono e di strazio, aumentato poi dall’emozione visibile del suo tutore e dalle grida angosciose di Fine, la governante del canonico. E aveva compiuto in uno stato di trance il lungo periplo, per acqua e per terra, verso il suo nuovo destino. Solo all’approssimarsi di Parigi aveva ripreso coscienza di sé. Il cuore gli si stringeva ancora al ricordo dello spavento provato al suo arrivo nella capitale del regno. Fino a quel momento, per lui Parigi era solo un punto sulla carta della Francia appesa al muro dell’aula del collegio di Vannes. Stordito dal rumore e dal movimento che si manifestavano fin dai sobborghi, si era sentito disorientato e vagamente inquieto davanti a una vasta pianura coperta d’innumerevoli mulini a vento dalle pale agitate, che gli avevano dato l’impressione di una schiera di giganti impennacchiati, usciti direttamente dal romanzo di Cervantes, che aveva letto più volte. L’incessante andirivieni della folla di straccioni alle porte della città lo aveva colpito. Ancora oggi, riviveva il suo ingresso nella grande capitale: vie strette, case prodigiosamente alte, una carreggiata sudicia, fangosa, tanti e tanti cavalieri e vetture, grida e odori innominabili... 11