Anno XLII Numero 10

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Anno XLII Numero 10
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ANNO XI-Il N. 10
OTTOBRE 1994
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA D1 COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunita europea federale
Federalisti onorari
Pensiero e azione
di Umberto Serafini
I soliti saccenti diranno che il titolo di questo editoriale è scontato oppure datato (data
antica): e con ciò? Vorrei, in questo momento
in cui si decidono le sorti (attuali? eterne? a
lungo termine? ora vediamo) dell'Europa e
delllItalia con essa. mettere in guardia da due
errori di metodo o' di prospettTva. Questa rivista. I'AICCRE. il CCRE si battono da auasi mezzo secolo per la Federazione europea e,
più in generale, per il federalismo sovranazionaie (planetario: la pace) e infranazionale (le
libertà locali e delle Dersone nella loro vita
quotidiana): questa è la premessa, con la quale mi sembra utile. anzi necessario essere
d'accordo senza appello. I1 federalismo parte
da un valore, circa il quale non possono ammettersi compromessi: cioè che non ha alternative razionali e morali per noi accettabili.
Contro altre filosofie esso vuole creare un sistema che bandisca la legittimazione della
guerra - e determini le istituzioni che la rendano impossibile e comunque e sempre impraticabile -, un sistema che oltretutto permetta, a tutti i livelli, a uomini «diversi» di
vivere sotto una legge comune. La democrazia dell'interdipendenza planetaria, secondo
una felice espressione che usava Gorbacev.
Ricordo, nella mia gioventù degli anni trenta,
di essermi battuto contro Spengler, ma nei
miei anni maturi ritengo ancora più sconfortante Hegel (su cui continuo a consigliare, soprattutto ai non addetti ai lavori, il recente libretto di Giuseppe Bedeschi su «I1 pensiero
.
all'origine del fepolitico di H e g e l ~ )Dunque
deralismo c'è un valore, che consideriamo irrinunciabile e che non può essere difeso soltanto in funzione della ~robabilitào meno
del suo successo. Crisi delle teorie ottimistiche sul progresso, considerazioni sul post moderno e quante altre mai sono senz'altro interessanti., Der rendersi conto di come ~ r o c e d e
- O smette di procedere - la barca: ma non
possono intaccare minimamente il nostro approccio, federalista, alla vita umana - noi e
gli altri -, che è il nostro «imperativo categorico~.Ce la ridiamo di quei pusillanimi,
spesso snob e in fondo iettatori, degli euroscettici. Come dimenticare quanto ci si sentiva soli ma fermi sotto la dittatura (o tirannide) nella seconda metà degli anni trenta, alA
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i
i
I genitori e la sorellina del piccolo Nicholas Green.
«...Il federalismo è una serie, coerente, di proposte, che potremmo definire tecniche, partendo
da un complesso di convinzioni etico-politiche e anche, se vogliamo, filosofiche; insomma un
quadro di civiltà, che avanza per tutto il mondo, con le sue conseguenze in Europa e particolar% mente in Italia, dove viviamo.. .»
lorché non si sapeva dove e come sarebbe finita l'Europa - tra fascismo, nazismo e appeasement -, mentre tuttavia si sentiva insomma, qualcuno di noi sentiva - a prescindere dal futuro, prossimo o lontano, che
si doveva ascoltare la voce della coscienza e
basta. Certo, quanti futuri antifascisti quelli che sono andati poi in soccorso del vincitore - sconsigliavano allora di rincorrere
l'«utopia» e pensavano a compromessi col tiranno - «onesti e ragionevoli compromessi,
per carità» -.
Dunque sul federalismo come complesso di
regole, che ubbidiscono a un valore morale,
non c'è da arzigogolare. Ma da questa sacrosanta convinzione nasce spesso un errore.
Abituati a scoprire e rimbeccare le deviazioni
dal e le contraffazioni del federalismo - tioici coloro che vogliono l'unità europea ma non
federale (cos'è?) -, si rimane poi esitanti o
inattivi, se si deve integrare o rimodellare il
federalismo di fronte a oroblemi che le nuove
realtà e il dibattito culturale più generale ci
impongono: il che non vuol dire affatto che
si tratta di problemi, che hanno soluzione autonoma a prescindere dal federalismo, e quindi possiamo disinteressarcene, nè che ci si
possa nascondere, temendo di essere coinvolti in qualcosa più grande di noi, che finirebbe
per indurci a un federalismo annacquato e a
un oiù o meno larvato confederalismo - cioè
allaLnegazionedel federalismo e della sostanza del principio di sussidiarietà -. Sulla sussidiarietà non ci vogliamo soffermare ancora
una volta., se. non oer ribadire che di illimitata
«sovranità» non ci può essere che la persona
umana, libera di agire secondo coscienza, simultaneamente permettendo che tutti gli uomini possano fare altrettanto: ed ecco la necessità oratica di creare un ordine olanetario
articolato in cui ogni livello istituzionale abbia le competenze che, nella materia in oggetto, esso dovrebbe affrontare nelle condizioni
ottimali e nell'interesse 'generale.
Fermo ri,
manendo - ed ecco quanto la teoria anarchica ci induce a meditare - che tutto deve tendere a non sottrarre all'individuo, alla persona umana, nulla più dello strettamente necessario e quindi a valorizzare al massimo istituzioni e strutture politiche il più possibile vicine all'uomo e alla sua vita quotidiana, materiale e spirituale.
Orbene. 1'AICCRE e la nostra rivista si sono ripetutamente occupate di due problemi,
essenziali per il federalismo e per l'autonomia
territoriale, che è un momento fisiologico del
federalismo - due problemi «nuovi» o ridiu
(segue a pag 191
som
ma
rio
Tra regionalismo e federalismo
L'articolo dal titolo «La Regione di uno Stato
federale)) («Comuni d'Europa», giugno 1994)
offre degli interessanti spunti di riflessione anche in riferimento all'attuale situazione del regionalismo in Italia.
Basta infatti confrontarsi con quelli che vengono indicati come punti cardine dello stato federale per capire quanto la nostra realtà regionale - pur considerata in senso dinamico - sia
distante da questo obiettivo. Se, anche in Italia,
si parla molto di federalismo, pure non sono visibili, a tutt'oggi, passi in avanti in direzione
della creazione di un «Senato delle Regioni))che
possa rappresentare le autonomie e coordinarle
a livello unitario, né rispetto al federalismo fiscale, cioé all'attribuzione alle Regioni dell'autonomia impositiva.
Per quanto riguarda poi il modello di Regione
che si può configurare, è condivisibile la preoccupazione che essa diventi un «piccolo stato)),
sostituendo la propria supremazia a quella dello
Stato centrale, magari soffocando le autonomie
territoriali subordinate. Questo rischio può essere evitato solo facendo ricorso ad una coerente applicazione del principio di sussidiarietà;
esigendo sì dallo Stato il trasferimento delle
competenze che non richiedano - per la loro
natura o per un patto - una gestione centralizzata ma, al contempo, attribuendo alle articolazioni più vicine ai cittadini (Province e Comuni) quelle competenze che tali enti sono in grado di esercitare efficacemente.
I1 secondo modello proposto presenta la Regione come ente-chiave nel sistema delle autonomie territoriali con l'attribuzione del ruolo
fondamentale della pianificazione territoriale e
di regolatore dello sviluppo economico. Queste
attribuzioni risponderebbero certamente da
una parte all'esigenza di garantire la qualità della vita attraverso la conciliazione delle esigenze
del lavoro e dell'ambiente (non solo fisico, ma
anche sociale) e, dall'altra, a stimolare la base
sociale e territoriale a farsi promotrice di iniziative di sviluppo.
Un discorso a parte merita poi l'osservazione
sul possibile carattere mono-etnico delle Regioni. L'esperienza di questi ultimi anni ha evidenziato in modo drammatico quali barbarie possano scaturire dalla volontà di far coincidere, in
modo esclusivo, territorio ed etnia.' I1 rispetto
delle diverse culture, che sta alla base del vero
federalismo, non può certo portare a ghettizzazione etniche, magari nobilmente motivate, ma
deve promuovere la convivenza e la valorizzazione delle diversità. Da questo punto di vista
l'esperienza della nostra Regione - il TrentinoAlto Adige - costituisce un modello riuscito di
convivenza interetnica e di difesa dinamica delle identità culturali delle popolazioni residenti
(italiani, tedeschi e latini).
Fatte queste considerazioni vorrei accennare
alla proposta, punto qualificante dell'accordo di
programma per l'attuale legislatura regionale, di
una «Regione europea)) da costituire tra le Province di Trento e Bolzano ed il Land austriaco
del Tirolo. Questa proposta si inserisce nell'orientamento di fondo, a livello nazionale ed europeo, verso la valorizzazione di entità
geografico-istituzionali di medie dimensioni,
sulle quali costituire un nuovo senso di appartenenza e di cittadinanza, capace di contrastare
tendenze centrifughe e rinascite di nazionalismi. I1 processo per la creazione di questa «Euregio)) prende avvio dalla situazione esistente,
nella ricerca di una forma di graduale integrazione tra le Province di Trento e Bolzano e il
Land Tirolo, a partire da quei settori che, già
oggi, presentano le maggiori potenzialità di collaborazione (ad es. pianificazione territoriale,
tutela dell'ambiente, sistema trasporti e
turismo).
Questa collaborazione porterebbe ad una Regione europea «di fatto)), che potrebbe poi trovare una sua configurazione giuridica anche
grazie alle opportunità offerte dall'ticcordoquadro sulla collaborazione transfrontaliera firmato a Vienna da Italia e Austria il 27 gennaio
1993, sulla base dell'Accordo di Madrid.
Una proposta di questo tipo costituisce indubbiamente un approccio diverso, sia rispetto
al regionalismo che al federalismo; essa, però
potrebbe costituire una possibilità di superare,
da un lato, i confini nazionali senza porre in discussione le prerogative statali e, dall'altro, di
sperimentare nuove forme di convivenza e collaborazione tra Regioni legate da vincoli
storico-culturali, geografici ed economici.
Tarcisio Grandi
Presidente della Regione
Trentino Alto Adige
3 - La risposta coerente degli Enti locali e regionali
5 - Come contribuire alla realizzazione del Libro bianco, di Marjorie Jouen
5 - Un rapporto in evoluzione, di Fabio Pellegrini
8 - I1 ruolo fondamentale della Regione, di Carlo Proietti
9 - I1 nodo di istruzione e formazione,-di Patrizia Dini
10 - La centralità della risorsa lavoro, di Cesare San Mauro
11 - Sviluppo e ambiente: dal conflitto alla integrazione, di Lorenzo Fazio
13 - La coesione pilastro della costruzione europea, di Vannino Chiti
13 - Misure strutturali contro la disoccupazione, di Jozef Chabert
15 - Lo sviluppo endogeno risorsa per le aree deboli, di Vincenzo Del Colle
17 - In vista della revisione del Trattato di Maastricht
18 - L'Italia e il nucleo federale
INSERTO: Conferenza euro-araba delle Città
COMUNI D'EUROPA
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
il documento della Segreteria del CCRE
La risposta coerente degli Enti locali e regionali
I. Introduzione
I1 Libro bianco è attualmente il documento
politico della Commissione che riveste la più
grande importanza. E' fondamentale che gli
Enti locali e regionali diano una risposta appropriata alle idee in esso esposte per non
sminuire il suo impatto.
È ovvio che, nel dibattito sul Libro bianco,
i governi degli Stati membri sono i protagonisti nella misura in cui controllano i principali
strumenti della politica macro-economica,
tuttavia è evidente che la strategia della
Commissione non può essere portata a buon
fine senza una partecipazione attiva degli Enti locali e regionali.
I1 Libro bianco non è un documento vincolante. Non è un programma legislativo a livello comunitario e ancora meno un appello che
tende ad ampliare le responsabilità della Comunità. I n effetti la Commissione stabilisce
una netta distinzione tra le azioni da intraprendere a livello comunitario e quelle a livello nazionale. Tuttavia il Libro bianco incoraggia una azione concertata degli Stati membri, insistendo sul fatto che essi non possono
risolvere i problemi legati alla disoccupazione
agendo ognuno per conto proprio. Come punto di partenza il Libro bianco propone una
analisi dettagliata della situazione recente
dell'economia europea e propone una serie di
opzioni politiche.
I poteri, le competenze e l'autonomia finanziaria degli Enti locali e regionali si differenziano molto da uno stato membro all'altro. E' quindi indispensabile approfondire il
dibattito in seno all'unione per delimitare il
ruolo che possono avere le amministrazioni
locali per raggiungere gli obiettivi fissati dal
Libro bianco.
I1 Libro bianco interessa gli Enti locali e
regionali, in quattro campi specifici:
e 11 quadro macro-economico considerato
dal Libro bianco ha delle implicazioni decisive per le finanze degli Enti locali e regionali.
e Le reti transeuropee (trasporti, energia e
informazione).
e Gli Enti locali e regionali possono avere
un ruolo fondamentale per raggiungere gli
obiettivi per la creazione di posti di lavoro
stabiliti dal Libro bianco sia nella loro qualità
di datori di lavoro che di agenti di sviluppo
economico.
È proposto un nuovo modello di sviluppo per l'Europa.
2. Quadro macro-economico
Il Libro bianco insiste ancora e soprattutto
sul quadro macro-economico stabilito per la
fase I1 delllUnione Monetaria Europea. Esso
chiede una riduzione progressiva dei deficit
pubblici che devono, in seguito, stabilizzarsi
OTTOBRE 1994
intorno ad un obiettivo comune. Nella misura in cui le spese degli Enti locali e regionali
sono integrate nei deficit di bilancio degli
Stati membri, tale riduzione potrebbe dunque avere serie conseguenze per le finanze
delle amministrazioni locali e regionali.
Inoltre, il Libro bianco reclama un riequilibrio delle spese pubbliche, a scapito delle spese di gestione e a favore delle risorse pubbliche destinate all'investimento. Ma ciò rientra
nelle competenze dei diversi livelli degli Enti
locali e regionali. Gli Enti, le cui spese sono
soprattutto spese di gestione, ne subiranno
maggiormente le conseguenze. Ad ogni modo, si deve tener seriamente conto di tale riequilibrio.
3 . Infrastrutture
Sono sottolineate tre priorità: lo sviluppo
dell'energia transeuropea e delle reti di trasporto, le reti e autostrade di informazione,
nuovi progetti nel campo della protezione
dell'ambiente.
Mentre i progetti infrastrutturali di grande
portata interessano indubbiamente più particolarmente gli Enti regionali che non gli Enti
locali, il concetto di una società dell'informazione così come viene definito nel Libro bianco contiene delle implicazioni fondamentali
per la modernizzazione delle strutture dell'amministrazione pubblica a tutti i livelli.
I1 Libro bianco considera tale rinnovamento infrastrutturale non come un mezzo di rilancio dell'economia europea, quindi come
un sistema di creazione di posti di lavoro, ma
come un elemento cruciale per accrescere la
competitività europea. La Commissione stima che occorrerà un programma d'investimenti di 2 0 miliardi di ECU all'anno per il
periodo 1994-1999.
La Commissione afferma che nessun aumento delle risorse proprie sarà necessario
per finanziare tali investimenti. Essa non
prevede neanche un aumento dei deficit pubblici degli Stati membri. I n alternativa l+
Commissione propone una serie di opzioni di
finanziamento, compreso anche un nuovo
meccanismo finanziario - delle obbligazioni
dell'unione - che permetterebbe all'unione
di approfittare della sua importante solvibilità per ottenere dei crediti sul mercato mondiale dei capitali.
Tuttavia, anche se i problemi finanziari sono risolti, i problemi giuridici permangono.
Vengono generalmente richiesti trattati internazionali prima di poter intraprendere degli investimenti infrastrutturali transnazionali. Per questa ragione, la Commissione potrebbe accogliere favorevolmente delle idee
riguardanti lo sviluppo di strumenti giuridici
più agili per facilitare tali spese transfrontaliere.
4. Occupazione
I1 Libro bianco parte dal principio che anche se la crescita economica è necessaria, non
è di per sé una soluzione alla disoccupazione.
Un'azione energica si rende necessaria per
creare un contesto di crescita intensiva d'occupazione.
I1 Libro bianco respinge k strategie a breve periodo basate unicamente sulla competitività tra i salari. Raccomanda, in alternativa,
politiche strutturali di lungo periodo mirate
alla creazione di lavoro piuttosto che alla
semplice diminuzione della disoccupazione.
Numerosi Stati membri hanno perseguito
delle politiche basate sulla dereguhtion del
mercato del lavoro e sulla pressione al ribasso
dei contratti salariali. Secondo il Libro bianco la flessibilità del mercato del lavoro deve
essere aumentata, sia in seno alle imprese che
sul mercato del lavoro in generale. Afferma
anche che i guadagni di produttività devono
tradursi in nuovi posti di lavoro piuttosto che
in aumenti eccessivi di salario.
I1 Libro bianco consiglia delle politiche attive relative al mercato del lavoro e una completa revisione degli «scenari nazionali in materia di occupazione», vale a dire dei sistemi
di educazione nazionali, delle leggi in materia
di lavoro, dei contratti di lavoro, dei sistemi
di negoziazione dei contratti e dei sistemi di
sicurezza sociale.
Esso presenta alcuni suggerimenti specifici, fra cui:
e l'investimento
nella formazione
continua;
e un rafforzamento dei servizi pubblici in
materia di occupazione, in modo che ogni
persona senza lavoro possa essere seguita personalmente dallo stesso consigliere in materia
di occupazione;
e una riduzione nei costi della mano d'opera non qualificata riducendo il peso dei
contributi della sicurezza sociale, in modo da
favorire l'occupazione;
e una maggiore flessibilità del mercato del
lavoro, sia in seno alle imprese che in seno al
mercato del lavoro considerato nel suo
insieme;
e delle spese pubbliche imperniate su coloro che sono senza lavoro non disponendo di
un reddito minimo di inserimento, su delle
misure attive destinate al reinserimento nel
mercato del lavoro.
I sussidi di disoccupazione contribuiscono
naturalmente agli elevati deficit pubblici degli Stati membri. D'altra parte misure attive
destinate al reinserimento nel mercato del lavoro si rivelano ancora più costose. I n termini strettamente economici, è meno costoso
mantenere dei disoccupati, versando sussidi,
che trovare loro un lavoro.
Il Libro bianco, tuttavia, evidenzia i costi
COMUNI D'EUROPA
sociali complessivi della disoccupazione, in
termine di salute precaria, di aumento della
criminalità, ecc.. Questo approccio può interessare gli Enti locali e regionali che sono particolarmente coscienti delle conseguenze sociali delle decisioni prese in materia di politica economica.
5. Creazione di lavoro nei servizi locali
I1 Libro bianco fa anche il collegamento fra
coloro che vorrebbero lavorare e il gran numero d i bisogni sociali da soddisfare, come
asili nidi e assistenza per le persone anziane.
Molti di questi bisogni risultano dai cambiamenti nella società, come le modifiche nelle
tendenze demografiche e una presenza maggiore delle donne nel mercato del lavoro.
I1 Libro bianco ritiene che tre milioni di
nuovi posti di lavoro potrebbero essere creati
in seno all'unione nei servizi locali, miglioramento della qualità della vita e protezione
dell'ambiente. Gli Enti locali e regionali hanno un interesse diretto in questi diversi settori, nei quali essi possono ugualmente essere
direttamente implicati nelle attività di sostegno a tali industrie.
Tali attività sono a volte estese, per considerazioni d i ordine politico proprie degli Enti
locali. Tali considerazioni non si basano necessariamente sulla creazione di posti di lavoro. Ad esempio, gli Enti locali e regionali potrebbero aumentare la quota di bilancio destinata agli asili nido nel quadro della politica
di uguaglianza di opportunità.
Tuttavia, il Libro bianco afferma che tali
posti non sono creati in ragione dei problemi
legati alla creazione di un mercato. La Commissione pensa che, dal lato della domanda,
si pone il problema del prezzo, già menzionat o a proposito dei costi di lavoro, e che dal lato dell'offerta si manifesta una «reticenza ad
impegnarsi nei lavori considerati a torto come degradanti, poiché spesso sinonimi di lavori domestici e poco qualificati».
I1 Libro bianco suggerisce un nuovo modo
di procedere mirato a stimolare sia la domanda che l'offerta per creare un «continuum» di
possibilità tra l'offerta protetta da sovvenzioni pubbliche e l'offerta concorrenziale.
I1 Libro bianco afferma che questo approccio darebbe luogo ad una nuova «economia
sociale» e che, dal lato della domanda, trarrebbe benefici, come la deducibilità fiscale e
l'emissione locale di buoni per i servizi sociali. Dal lato dell'offerta, si pensa di utilizzare
sovvenzioni tradizionali, che potrebbero essere aumentate nel caso in cui «il datore di lavoro sociale* s'impegni ad assumere delle
persone disoccupate.
I nuovi posti di lavoro così creati non dovrebbero essere di basso livello o non qualificati. L'obiettivo è di migliorare l'immagine
del lavoro in questi settori, e aumentare i livelli di competenza delle persone. Una formazione specifica sarebbe, ad esempio, assicurata per sviluppare le competenze necessarie allo svolgimento delle nuove professioni.
La Commissione non fa nessuna specifica
proposta per quanto riguarda il finanziamento di queste proposte. Sarà chiaramente diffiCOMUNI D'EUROPA
cile per Enti locali e regionali accettare nuovi
compiti e responsabilità se le risorse necessarie non saranno disponibili. Se l'autonomia
locale deve essere mantenuta, sono forse preferibili nuove competenze attribuite agli Enti
locali e regionali in materia di imposizione a
un aumento dei trasferimenti d a parte dei governi centrali.
È forse poco probabile pensare che tre milioni di posti di lavoro possano essere creati
nel settore pubblico. Anche se gli Enti locali
e regionali di alcuni Stati membri saranno in
grado di fornire un gran numero di nuovi posti di lavoro, è probabile che in altri Stati
membri i «datori di lavoro sociali» menzionati verranno sovvenzionati dal settore privato.
È tuttavia consigliato che gli Enti locali e
regionali possano avere un ruolo importante
nell'identificare bisogni non soddisfatti, che
possano diventare fonte di lavoro, realizzando degli audit su tali necessità a livello locale.
6. Un nuovo modello di sviluppo per
l'Europa
I1 Libro bianco afferma che l'Unione europea fa abuso delle sue risorse naturali, sottoutilizzando nel contempo le sue risorse di lavoro. La Commissione suggerisce quindi che la
struttura di partenza data agli agenti economici venga modificata per incoraggiare una
svolta per un utilizzo più razionale delle
risorse.
L'attuale alto livello dei costi non salariali
del lavoro, che incoraggia la sostituzione del
capitale al lavoro, verrebbe ridotto mentre
verrebbero introdotte nuove tasse ambientali.
Si pone anche la questione di sapere come
gli Enti locali e regionali possono fare coincidere al meglio le loro azioni nel campo dell'ambiente alle richieste della comunità locale. Per esempio, un ente locale può concentrare la sua azione sulla riparazione dei marciapiedi, ma gli abitanti della località avrebbero preferito che il vicino fiume fosse risanato.
È desiderabile anche integrare degli obiettivi ambientali specifici nel Libro bianco.
Tutto ciò ~ o t r e b b emaggiormente essere legato agli obiettivi definiti nel quadro dell' Agenda 21 delle Città.
7. Quale risposta conviene?
Numerose risposte al Libro bianco, ed in
modo particolare quelle dei partners sociali,
sono state troppo istituzionali e difendevano
interessi particolari. I1 CGRE può fornire
una risposta più adeguata, poiché non rappresenta un gruppo di interesse monolitico, ma
un livello di amministrazione eletta, che raggruppa diversi punti di vista politici.
I1 parere del CCRE dovrebbe essere altrettanto rigoroso e centrato del Libro bianco
stesso: dovrebbe incoraggiare la risposta a
delle domande specifiche come:
come può l'utilizzo dei Fondi comunitari, e segnatamente del FSE, essere legato ai
risultati del Libro bianco?
quale ruolo possono svolgere gli Enti locali e regionali dei diversi Stati membri nella
creazione di nuovi posti di lavoro?
come possono costituirsi dei partenariati
tra gli Enti locali e regionali, il settore privato e le O N G ?
dovrebbero le scelte politiche essere guidate a livello locale e regionale prima di tutto
d a considerazioni inerenti l'occupazione?
quale tipo di quadro giuridico occorre
adottare per facilitare l'investimento infrastrutturale transfrontaliero?
quali sono le implicazioni delle nuove
tecnologie dell'informazione per le amministrazioni del settore pubblico? Possono queste tecnologie contribuire al decentramento
istituzionale delle decisioni e della maggiore
partecipazione dei cittadini?
come possono essere utilizzate le nuove
tecnologie per migliorare l'offerta di servizi?
Come possono essere applicate per risolvere i
problemi a livello locale, soprattutto grazie a
dei sistemi di gestione della circolazione?
come possono essere sviluppate delle
metodologie affinché i costi sociali della disoccupazione, come i problemi di salute e della mancanza di sicurezza, vengano inclusi nei
modelli econometrici?
quali strumenti fiscali sono necessari per
scoraggiare l'utilizzo abusivo delle risorse
ambientali? Come possono essere introdotti
ed applicati nella maniera più efficace?
perchè il Libro bianco pone così poco
l'accento sulla riduzione delle disparità regionali, malgrado l'accento sulla solidarietà?
8. Da quale parte dovrà venire la risposta?
Al Consiglio di Bruxelles nel giugno 1993,
in occasione della presentazione del Libro
bianco, i capi di governo avevano deciso di
procedere ogni anno a una valutazione dei
progressi realizzati nella sua applicazione.
Una prima valutazione verrà fatta al Vertice
di Essen nel dicembre 1994, nel quadro della
Presidenza tedesca.
Tuttavia al Vertice di Corfù di giugno
1994 è stato presentato un rapporto provvisorio, riportando in parte i risultati del giro
delle capitali degli Stati membri effettuato di
recente dal Commissario Flynn. Nelle conclusioni del Vertice gli Stati membri hanno
sostenuto fermamente l'accento posto dalla
Commissione sullo sviluppo cconomico
locale.
In seno alla Commissione, sono state istituite diverse strutture per mantenere lo slancio politico che è all'origine del Libro bianco.
La risposta del CCRE dovrebbe forse inserirsi nelle seguenti strutture:
I. Gruppo cellule interne
Costituito dai Direttori Generali delle diverse Direzioni G e n e r a l i coinvolte
(V,XI,XII, ecc.) è presieduto dal Segretario
Generale della Commissione, Sig. David
Williamson.
(segue a
pag. 16)
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
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il Seminario del CCRE
Come contribuire alla realizzazione del Libro bianco
di Marjorie Jonen*
Il 5 e 6 settembre si è svolto a Roma, presso la sede della Commissione europea, un seminario organizzato dal CARE e dallJAICCREsull'attuazione del Libro bianco dellJUnionesulla crescita, la competitiuità e L'occupazione e sul modo in cui gli enti locali regionali vi possano contribuire.
Molto ampia e qualificata la presenza europea, proveniente da paesi del nord e del sud del nostro
continente: segnaliamo tra gli altri, in particolare, oltre agli autori degli intewenti riportati in queste
pagine, Leady Anson, Councillor Wauerly District Council, membro del Comitato delle Regioni, Jacques Rey, vice sindaco di Vitoria, Jon Jordan, Convention of Scottish Authorities, Bemard Bermils,
segretario comunale aggiunto di Charleroi, Henning Jensen, Sindaco di Naestved, Ewol Stoove, direttore per l'assistenza sociale della Città di Haarlem, e naturalmente la Segreteria generale del CCRE
Elisabeth Gateau.
Mohi i temi trattati: dagli aspetti ambientali alle forze endogene per lo sviluppo locale, dalle reti
transeuropee alla lotta contro l'emarginazione sociale.
Nelle pagine seguenti riportiamo, iniziando dalla relazione generale al seminario, le trascrizioni degli intewenti che riteniamo più interessanti per i nostri lettori.
Credo che questo sia il momento buono per
riflettere insieme sulle logiche locali, regionali e la realizzazione del Libro Bianco. Le conclusioni del Vertice di Corfù, del giugno scorso, hanno richiamato in modo preciso l'importanza dei legami tra lavoro e dinamica locale e l'appuntamento del Consiglio di Essen,
a dicembre prossimo, sarà particolarmente
importante per fare il punto sullo stato di
avanzamento dell'applicazione del Libro
Bianco e per decidere il seguito che gli verrà
dato, nel 1995 e oltre.
Vorrei anche precisare cos'è la Cellula di
Prospettiva di cui sono membro. I n effetti, la
Cellula di Prospettiva è una piccola Direzione generale composta da una quindicina di
Un rapporto in evoluzione
Il Seminario sul «Libro bianco)) della Commissione (Progetto Delors), promosso dal CCRE,
tenutosi a Roma il 5-6 settembre, ha consentito
un confronto assai stimolante ed utile tra amministratori locali e regionali dei diversi Paesi
membri del1'U.E. e dirigenti della Commissione
esecutiva di Bruxelles.
I temi del Seminario si sono concentrati sui
tre punti proposti da Delors (competitività, sviluppo ed occupazione) in rapporto a ciò che possono fare in modo concreto gli enti locali e le
regioni europee per raggiungere gli obiettivi del
«Libro bianco)). I primi contraccolpi della crisi
economica e l'esplosione della disoccupazione
hanno avuto il primo impatto con i comuni, le
province e le regioni. Su di loro sono cadute le
prime ripercussioni dei disagi che hanno colpito
milioni di persone all'intemo delllU.E.. A loro
è toccato l'onere di dare le prime risposte di ordine economico e sociale per lenire i disagi dei
singoli e delle famiglie colpite dalla disoccupazione. È chiaro, quindi, perchè gli amministratori locali e regionali europei sono molto interessati (forse i più interessati fino a questo momento) al Libro bianco di Delors.
Le esperienze fatte ed i risultati delle azioni
svolte nelle città e nelle regioni dei diversi paesi
dell'unione sono stati messi a disposizione degli
Amministratori presenti al Seminario. Assai ricco e variegato è apparso il panorama delle esperienze fatte; sotprendenti sono apparse la fantasia e creatività nella scelta delle azioni concrete
messe in atto per risolvere i molti problemi conseguenti alla crisi.
Da queste esperienze è emersa una certa lacuOTTOBRE 1994
na del «Libro bianco» rispetto al ruolo da far
svolgere ai Comuni, agli Enti intermedi e alle
Regioni, per combattere la disoccupazione e riprendere la strada di un nuovo sviluppo economico. Sviluppo economico e sociale che dovrà
basarsi su nuovi parametri e nuovi indirizzi: salvaguardia dell'ambiente, contenendo l'uso delle
materie prime; agevolare pu occupazione sia attraverso una politica fiscale che fornisca il lavoro umano, sia attraverso l'innovazione tecnologica e la formazione professionale permanente.
In questa direzione molto possono fare le piccole e medie imprese e su di esse si deve puntare
per avere uno sviluppo consolidato e una ripresa
sensibile dell'occupazione.
Tutto ciò sarà possibile e il Piano Delors può
evitare la sorte dei «libri dei sogni))a due condizioni: che vengano fatte le grandi scelte sfrategiche economiche infrastrutturali e dell'innovazione da parte dell'unione europea e che siano
messe a disposizione le risorse finanziarie necessarie.
Ciò richiede un quadro giuridico e un quadro
finanziario che oggi sono messi in discussione da
unJUnione intergovernativa nella quale l'atteggiamento di molti governi, compreso quello italiano, rischiano di vanificare le buone intuizioni e proposte di Delors. Per la prima volta la dimensione dei problemi economici e sociali si incontra con quella politico-istituzionale ed appare più evidente come le soluzioni dei grossi problemi che abbiamo di fronte sono strettamente
legate allo sviluppo politico dellJUnioneeuropea verso una effettiva federazione sovranazionale.
Fabio Pellegrini
persone, venute da ogni orizzonte di disciplina e nazionale, che s'impegna a dare una riflessione di medio-lungo termine ai principali
responsabili della Commissione. Noi abbiamo soprattutto una funzione di consigliere e
non la responsabilità dell'attuazione e della
gestione di azioni comunitarie che, invece,
sono affidate ad altre Direzioni generali.
Proverò dunque, nella mia relazione a rispondere alla domanda «Come possono gli
enti locali e regionali contribuire alla realizzazione del Libro Bianco?». E per questo, procederò in tre tempi, prima ricordando alcuni
elementi del Libro Bianco, la sua analisi e le
sue innovazioni; poi parlando forse in modo
più particolare della dimensione territoriale e
dell'intervento delle città; infine, per terminare, precisando il dispositivo del seguito, lo
stato attuale dell'attuazione del Libro Bianco, e specialmente su un soggetto che mi è
particolarmente a cuore, quello dei nuovi impieghi. Si tratta di un campo dove creazione
di nuovi posti di lavoro e dimensione locale
sono nettamente legati. Ciò mi permetterà di
spiegare il punto in cui siamo e di dare una
concreta illustrazione di ciò che fa attualmente la Commissione.
Dunque, inizierei dallanalisi e la strategia
che sono proposte nel Libro Bianco. All'inizio,
il Libro Bianco si è appoggiato in modo evidente sull'analisi dell'evoluzione della società. Certo, il fatto di parlare sia del nuovo modello di sviluppo e delle disfunzioni registrati
in seno alla società costituisce già di per sé
un'innovazione ma, al di là, i servizi della
Commissione insistono abitualmente su dieci
novità, di cui le ultime tre mettono in causa
e fanno intervenire più particolarmente la dimensione locale:
- L'analisi delle cause della disoccupazione, poiché il Libro Bianco ne presenta tre.
Alle due disoccupazioni tradizionali, vale a
dire la disoccupazione strutturale e la disoccupazione congiunturale, si aggiunge la disoccupazione tecnologica.
- Il posto dato alla politica del lavoro,
poiché il Libro Bianco vuole sostituire la politica dell'occupazione in seno ad una strategia
economica d'insieme.
- La nozione di politica attiva dell'occupazione. I1 Libro Bianco propone di rompere
con, da una parte, un'approccio più «maltusiano» che sarebbe quello della divisione pura
e semplice dell'occupazione e, d'altra parte,
con una politica spesso utilizzata, piuttosto
palliativa, d'indennizzo della disoccupazione
che è evidentemente necessaria ma che non è
sufficiente.
- L'approccio sistemico all'occupazione
e al mercato del lavoro. Mentre le politiche
dell'occupazione o le politiche economiche
* Forward Studies Unit, Commissione europea. Relazione generale al Seminario
COMUNI D'EUROPA
hanno privilegiato alcuni aspetti, il Libro
Bianco mostra che occorre far giocare insieme diversi elementi (formazione, livello salariale, protezione sociale, ecc..) e insiste soprattutto sull'importanza dell'interferenza
tra risorse umane e occupazione.
- Un allargamento del campo e del cerchio del dialogo sociale. I1 Libro Bianco parla
di flessibilità interna, che è una novità, e propone ugualmente di fare intervenire nel quadro del dialogo sociale i disoccupati che fino
adesso erano tenuti al di fuori. Tenendo conto della loro importanza numerica, i disoccupati dovrebbero ugualmente avere voce in capitolo e il diritto di esprimersi su tutto ciò
che riguarda il lavoro.
- Nel Libro bianco è proposto un nuovo
patto sociale basato sulla nozione di solidarietà attiva. I1 Libro Bianco richiama la solidarietà fra le Regioni, ma anche la solidarietà
fra coloro che hanno un lavoro e coloro che
non ne hanno, e la solidarietà tra coloro che
partecipano attivamente alla società e coloro
che ne sono esclusi.
- Gli investimenti umani e immateriali
sono considerati nel Libro Bianco come i motori del nuovo modello di sviluppo.
Ma io vorrei insistere più a lungo su le tre
novità, fra le dieci, che riguardano in modo
particolare gli enti territoriali, locali e regionali:
- Un nuovo concetto dell'azione pubblica e del ruolo delle amministrazioni. I1 Libro
Bianco considera in effetti che il partenariato
e la cooperazione costituiscono degli elementi
maggiori dello sviluppo economico europeo.
Fino ad ora, sono stati dei punti sui quali non
si è sufficientemente insistito. Per affermarlo, il Libro Bianco è partito dall'esperienza
che è già stata sviluppata in seno all'unione
europea in materia di partenariato, di cooperazione, di decentralizzazione. La sua analisi
implica un ruolo nuovo dell'amministrazione
sia nazionale europea che locale, di stimolo
del partenariato pubblico e privato e di organizzazione dell'interazione tra i diversi livelli
di autorità. Questi nuovi ruoli influiscono sul
livello del lavoro ma anche sulla situazione
economica.
- Una nuova visione della competitività.
I n effetti, si aveva tendenza a guardare la
competitività economica essenzialmente dal
punto di vista di ciò che succedeva all'interno
delle imprese. Ora, il Libro Bianco pone l'attenzione sulla nozione di competitività globale, che include due elementi supplementari,
da una parte la valorizzazione delle risorse
umane, la gestione del capitale umano (anche
se il termine di capitale è talvolta un po' ambiguo per parlare degli individui), l'importanza della responsabilizzazione dei lavoratori,
e, d'altra parte, il legame con il territorio. In
effetti, la competitività delle imprese è strettamente dipendente dal loro ambiente territoriale che è fatto sia di investimenti pubblici, di infrastrutture, di buon funzionamento
dei servizi pubblici, che dalle reti di collegamento immateriali come è il caso delle nuove
tecnologie. Questi elementi sia umani che
territoriali sono del tutto fondamentali per la
competitività europea.
- Una riconsiderazione delle richieste e
COMUNI D'EUROPA
dei bisogni della società europea. I n un certo
modo si tratta di una rottura con i ragionamenti che sono stati largamente sviluppati
negli anni '80, epoca in cui si è avuta troppo
la tendenza a privilegiare l'offerta e la produzione. Questa riconsiderazione dei bisogni e
della domanda trova la sua illustrazione nella
società dell'informazione, ma anche i giacimenti dei posti di lavoro, il rafforzamento
della ricerca più orientata verso le innovazioni dei prodotti che verso le innovazioni di
procedure, e infine la risposta a dei bisogni in
materia di ambiente. Dunque, ho tendenza a
considerare che attraverso questi ultimi tre
punti, che sono una nuova concezione dell'azione pubblica, una nuova visione della competitività globale e una riconsiderazione della
nozione di domanda e di richieste, il Libro
Bianco prenda in conto l'importanza della dimensione territoriale.
Al di là, il Libro Bianco propone una strate-
gia «multi-attori»e insiste su undici priorità di
azioni. Le ricordo brevemente:
trarre profitto del grande mercato,
incoraggiare lo sviluppo e l'adattamento delle PMI,
- proseguire il dialogo sociale,
- sviluppare le reti di infrastrutture,
- preparare la società dell'informazione,
- assicurare un diritto alla formazione
durante tutto il corso della vita,
- integrare in materia di occupazione la
nozione di flessibilità interna e non soltanto
la flessibilità esterna,
- ridurre il costo indiretto del lavoro sui
lavori non qualificati,
- investire nell'occupazione e l'inserimento dei disoccupati,
- dare una prima opportunità ai giovani
per permettere loro di integrare il mercato
del lavoro,
- promuovere i nuovi posti di lavoro.
Per attuare queste priorità d'azione, deve
intervenire tutta una serie di protagonisti:
l'Unione europea ma anche i governi, le Regioni e le città, gli alleati sociali, le imprese e
le associazioni, la società civile, vale a dire gli
individui. Per due di queste priorità d'azione, le città e le Regioni hanno un ruolo princi-
pale a giocare d'iniziativa, di coordinamento e
di animazione, investendo nell'occupazione e
nell'inserimento dei disoccupati e, secondo
punto, assicurando la promozione di nuovi
posti di lavoro. A loro tocca ugualmente un
ruolo di alleanza e di cooperazione - esse intervengono allora piuttosto in secondo piano
- nella messa in opera del diritto alla formazione durante tutta la vita e in materia di valorizzazione delle risorse umane. Esse hanno
ugualmente un ruolo importante quale alleato
per lo sviluppo delle infrastrutture paneuropee, così come le infrastrutture materiali e
immateriali (la società dell'informazione).
Vengo al secondo punto della mia esposizione: la dimensione terrìtoriale e il ruolo delle
città nel Libro Bianco. Come ha ricordato recentemente il Presidente Delors, le città, la
problematica urbana, sono la sintesi di numerosi problemi ai quali è confrontata la società
europea: problemi di gestione del tempo, problemi di risposta alle richieste insoddisfatte
della società, problemi di esclusione sociale,
problemi di differenze e di evoluzione nel
modo di vivere, problemi di protezione dell'ambiente e di gestione dello spazio. È probabilmente per l'insieme dell'unione europea, presa nella sua accezione geografica e societaria e non solamente istituzionale, per la
Commissione ma anche per gli Stati membri,
gli alleati sociali, le imprese, il soggetto il più
difficile.
Certo, sul Libro Bianco, la dimensione territoriale e le città stesse sono poco presenti
esplicitamente nel testo. E fatta menzione
della diversità locale come una carta importante per l'Europa in confronto con altri continenti e altri modelli, il modello americano o
asiatico. I1 Libro Bianco insiste anche sul fatto che la decentralizzazione e il funzionamento delle reti locali costituiscono un imperativo e un punto forte per rispondere a numerose sfide economiche e sociali. Infine, la dimensione territoriale è menzionata come un
dato da prendere in considerazione nell'organizzazione del lavoro e della vita sociale, sia
in zone rurali che in numerosi quartieri
urbani.
Perché le città e i territori sono esplicitamente così poco presenti? L'interpretazione
personale che posso dare viene prima di tutto
dal fatto che non esiste politica urbana comunitaria come tale. Se anche ci sono numerosi
interventi della Comunità europea in materia
urbana e ugualmente numerose politiche che
interferiscono su ciò che accade nelle città,
non c'è politica urbana. Tra l'altro, io credo
che attualmente, a dispetto di numerosi programmi di cooperazione, di scambi comunitari, i1 legame occupazione-città è ancora estremamente debole e poco esplicito. Benché ci
sia un consenso generale per riconoscere che
la dimensione territoriale è molto importante
in materia di occupazione, si dispone di pochi
esempi di bilanci iniziati dalle Regioni o dalle
città stesse, di dati in cifre che danno l'adesione e che permettono d'impostare un ragionamento senza contestazione. Tra l'altro, insistendo sulle politiche dell'occupazione, il
Libro Bianco ci rimanda ai sistemi nazionali
d'occupazione. Che si tratti della fiscalità,
dei contratti di lavoro o dei sistemi di formazione, le città e le Regioni sono generalmente
degli alleati e intervengono raramente come
iniziatori in queste materie.
L'analisi che ho appena accennato mi sembra chiamare uno sforzo congiunto da parte
della Commissione e da parte delle città e delle
Regioni per meglio stabilire questa relazione tra
occupazione, sviluppo economico e Regionicittà. L'Unione europea, che interviene abbastanza largamente per impegnare le città e le
Regioni nella via della cooperazione, prova
progressivamente a spingerle ad attuare delle
strategie globali di sviluppo. Per il momento,
numerose città si sono lanciate nelle strategie
di competizione internazionale per rispondere alle esigenze della globalizzazione, ma assai poche hanno veramente stabilito delle
strategie globali, vale a dire delle strategie
che fanno intervenire sia la dimensione eco- nomica, la dimensione sociale e la dimensione
ambientale; attraverso la dimensione sociale,
io penso alle misure prese per il migliorament o delle condizioni di vita, di trasporto, di alOTTOBRE 1994
loggia. Per esempio, il programma di iniziativa comunitaria URBAN ha principalmente il
fine di incitare le città a sviluppare delle strategie globali di sviluppo.
Da parte delle città e delle Regioni, credo
che un'istanza come il CCRE potrebbe portare delle cifre e degli esempi per mostrare
che effettivamente gli enti locali e regionali
hanno un ruolo da svolgere, non soltanto come datori di lavoro, ma anche per sviluppare
delle alleanze per creare posti di lavoro. Occorrerebbe che gli enti locali e regionali riflettano forse a delle strategie di sviluppo economico diverse, a fare altro che semplicemente
degli investimenti materiali e delle zone industriali per inserirsi nella competizione internazionale, per migliorare l'ambiente immateriale delle imprese, per esplorare e sfruttare i
potenziali endogeni di sviluppo.
La sfida attuale mi sembra essere la capacità di un incontro tra gli enti locali e regionali
e l'Unione europea, su questa questione dell'occupazione e della dimensione territoriale,
che potrebbe portare all'organizzazione di
una sussidiarietà positiva: andando nel senso
di una più grande responsabilità e di una più
grande autonomia delle città, ma iigiialmente
di una migliore articolazione con gli altri due
livelli superiori di responsabilità, nazionale e
europeo.
L'ultimo punto della mia relazione sarà dedicato al seguito del Libro Bianco. Penso che
sappiate tutti che, al termine del Consiglio di
Bruxelles, sono stati lanciati per il 1994 tre
cantieri: uno della società dell'informazione,
uno di reti transeuropee d'infrastrutture e un
terzo relativo alla politica dell'occupazione.
Al Vertice di Corfù sono stati presentati i
due rapporti riguardanti la società dell'informazione e le reti transeuropee. Per quanto riguarda la politica dell'occupazione, le conclusioni di Corfù invitano, da una parte ad una
esplorazione della dimensione più societaria
della società dell'informazione, e dall'altra
parte alla presa d'atto della nozione di sviliippo locale e d'iniziative locali nella creazione
i posti di lavoro. Questo sarà integrato in uno
dei rapporti sull'occupazione che sarà presentato al Consiglio di Essen.
Per quanto riguarda il rapporto sui nuovi
posti di lavoro che la Cellula di Prospettiva è
stata incaricata di preparare, potrei darvi alcuni elementi sullo stato attuale del dossier e
sulle conclusioni provvisorie alle quali siamo
arrivati. La nozione d i nuovi posti di lavoro
è dunque presentata nella fine della parte A
del Libro bianco, dove si spiega che esiste un
potenziale importante di creazione di posti di
lavoro valutato molto schematicamente a 3
milioni di posti di lavoro. Questi potenziali
di posti di lavoro si articolerebbero in quattro
campi: i servizi d i prossimità, il miglioramento del quadro della vita, i servizi legati al tempo libero - cioè l'arte, il turismo, il cinema
- e la protezione dell'ambiente. T1 Libro
bianco spiega anche che se, per il momento,
questo potenziale non si è trasformato in
creazione di posti di lavoro, è dovuto in gran
parte ai problemi legati all'offerta e al siio riscontro con la richiesta; molto spesso vengono proposti dei servizi troppo cari o dei servizi inesistenti.
OTTOBRE 1994
Ma se si guarda ciò che succede concretamente in Europa, ci si accorge anche che esistono numerose iniziative di individui, di
gruppi o di collettività locali che traggono
delle logiche un po' originali da un punto di
vista giuridico ma anche da un punto di vista
finanziario, associando finanziamenti pubblici e finanziamenti privati. I1 loro scopo è di
soddisfare i fabbisogni della popolazione e, in
definitiva, essi creano nuovi lavori.
Per preparare questo rapporto, ci occorreva anzitutto verificare se l'analisi del Libro
bianco fatta partendo da esempi presi un po'
a caso nell'unione europea corrispondeva alla
realtà. Così un censimento di numerosi esempi
è stato lanciato, a cominciare dai numerosi
programmi finanziati con il sostegno della
Comunità. Per rispondere a una domanda
formulata in uno dei rapporti del CCRE, il
criterio del sostegno della Comunità era piuttosto dettato dal suo lato pratico: per noi, era
molto più semplice accedervi. Ma se esistono
altri esempi interessanti, sono altrettanto degni di figurare in questo censimento.
Inoltre, il rapporto ha per scopo di provare
a quantificare in modo più preciso questo potenziale, di verificare le cifre di 3 milioni di
posti di lavoro e identificare gli ostacoli a
questi posti di lavoro. Ciò permetterà di proporre per il Consiglio di Essen un certo numero di azioni. Gli ostacoli sono maggiormente ostacoli finanziari come ci si poteva
aspettare, ma il problema viene probabilmente meno delle somme finanziarie in gioco che
del modo in cui sono utilizzate. Sono anche
ostacoli giuridici, poiché in numerosi paesi
non esistono strutture giuridiche adatte intermedie tra settore pubblico e settore privato. Vi sono anche degli ostacoli legati alle
competenze, alle lacune delle formazioni per
alcuni tipi di lavoro, o all'assenza di controllo
e di norme di qualità per il servizio reso. Gli
ultimi tre ostacoli sono quelli della visibilità,
della legittimità e della durata. I n effetti, c'è
molta gente nelle nostre Regioni e città che
ha voglia di lanciare dei progetti ma si sente
isolata, o che non ha una buona conoscenza
dei meccanismi molto complessi attualmente
in vigore. C'è anche un problema di ricono-
scimento di queste operazioni, poiché abbiamo forse considerato in passato solo l'apertura verso l'esterno, anche per le PMI. La soddisfazione diretta della popolazione merita
altrettanto interesse, è un pegno di competitività globale. Occorre probabilmente riabilitare queste iniziative dirette verso la soddisfazione dei fabbisogni locali come degli elementi di sviluppo economico. Infine, I'impegno comune dei poteri pubblici e degli altri
soggetti rappresenta un elemento importante
per diversi anni: troppo spesso le norme giuridiche e finanziarie cambiano di colpo e sono troppo complesse. Se esistono degli ostacoli, ci sono anche dei mezzi per superarli: in
occasione di questa ricerca, l'alleanza e l'utilizzazione del potenziale locale sono apparsi
come dei metodi molto determinanti.
Le proposte del rapporto sui nuovi posti di lavoro tenderanno dunque a introdurre delle
misure suscettibili di togliere tali ostacoli, di
favorire la creazione di posti di lavoro che rispondano ai fabbisogni della società sia nel
settore privato che nel settore intermedio tra
privato e pubblico, il settore associativo.
Queste proposte saranno articolate secondo i
tre livelli principali dell'intervento pubblico:
locale, nazionale, europeo, e preciseranno il
ruolo che avrà ognuno dei soggetti: associazioni, abitanti, imprese, servizi pubblici,
agenzie di collocamento, ecc.
Per concludere, sono persuasa che il contributo degli enti locali e regionali sarà determinante nell'attuazione del Libro bianco. La
sfida che si offre sia all'unione europea che
agli enti locali è quella dell'organizzazione di
una sussidiarietà positiva. Essa presuppone
concretamente l'incontro degli interessi locali e europei sulla base di cooperazioni ma anche di scambi di informazioni. A mio avviso,
gli enti locali e le città saranno sulla buona via
di un miglioramento della situazione economica e sociale del loro territorio quando esse
riusciranno a dimostrare che locale e decentralizzazione vanno d'accordo. Così, il nuovo
modello di sviluppo non sarà più un concetto
astratto ma anche una realtà vissuta quotidianamente.
m
I1 segretario generale del CCRE Elisabeth Gateau mentre presiede i lavori della giornata conclusiva del Seminario. Alla sua destra il membro del Comitato delle Regioni e degli Enti locali e
ministro delle finanze e del bilancio della Regione Bruxelles - Capitale, Jozef Chabert
COMUNI D'EUROPA
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
il Seminario del CCRE
Ii ruolo fondamentale della Regione
di Carlo Proietti*
I1 «Libro bianco» elaborato dalla Commissione europea assume una importanza rilevante
in quanto affronta il tema dell'occupazione,
tra i più sentiti dai Paesi europei.
Per raggiungere risultati ottimali in questo
campo è necessaria una politica concertata tra
i vari Paesi della Comunità assegnando alle
Regioni un ruolo non secondario. La Comunità europea nel passato ha commesso degli
errori di politica economica che la fanno trovare in ritardo rispetto ai due colossi dell'economia: Giappone e Stati Uniti. I1 Giappone
ha un Pil positivo e meno disoccupazione anche se possiede un modello di sviluppo diverso per cultura e formazione.
Anche gli Stati Uniti sono in vantaggio rispetto a noi. A mio avviso, credo che abbiano
fatto una politica di mercato più intelligente
della Comunità europea, nel senso che sono
continuamente impegnati alla conquista di
nuovi mercati, sono più dinamici rispetto all'Europa.
Faccio un esempio. A Shangai (ho ricevuto
non più di un mese fa alla Regione il suo Sindaco), che ha avuto l'autonomia amministrativa ed economica dalla Cina, si registrano investimenti da parte americana che equivalgono al bilancio dell'intera Europa. Ciò vuol dire che gli USA sono attenti ai movimenti economici dei vari mercati, e che sono pronti a
spostare l'asse degli investimenti da una parte o dall'altra del mondo.
La Comunità europea, immobile rispetto al
sistema degli investimenti, non è riuscita a
fare questo. È giusto, in questo contesto, che
ci sia un piano Delors (il «Libro bianco») che
rilanci in qualche modo le prospettive della
Comunità europea; si tratta di vedere ora come questo non debba limitarsi ad una enunciazione di principi ma diventi una base reale
sulla quale discutere.
Debbo dire che alcuni punti del «Libro
bianco» sono senz'altro condivisibili, ma ci
sono alcune critiche da muovere. La prima è
quella di una mancata integrazione reale fra
gli Stati membri e gli Enti locali. È inutile fare una battaglia degli Enti locali contro il potere centrale o viceversa se non c'è una politica concordata quotidianamente, efficace nei
metodi e nei tempi. È indispensabile uno studio attento dei tempi, snellimento delle procedure, accordo serio fra i poteri centrali e
quelli periferici: Comuni, Province e
Regioni.
I tempi sono importanti quanto i fondi. I1
piano prevede crescita, competitività e occupazione. La crescita ci è consentita se ci mettiamo al pari degli altri. La crescita la decide
il mercato mondiale con tutti i problemi che
ha: finanziari, crescita democratica, servizi;
ed è possibile se gli Stati sono in ottima salu* Presidente della Regione Lazio. Trascrizione dell'intervento al Seminario
te, con possibilità di investimenti da fare, ma
non è così. Abbiamo il problema della crescita proprio nel momento in cui si evidenziano
crisi dell'economia e dell'occupazione.
Una condizione per uscirne è che si muovano di più i capitali privati con soluzioni comparate: investimenti pubblici, investimenti
privati e una diversa politica bancaria.
Per quanto concerne la competitività, abbiamo visto dai primi dati che l'abbiamo perduta, assumendone la responsabilità alla scarsa incidenza sui mercati internazionali; questa competitività la si può superare esclusivamente con la ricerca, investendo di più nel
settore delle ricerche e delle tecnologie.
Se non è in grado di farlo lo Stato da solo,
bisogna che intervengano anche le imprese.
Una impresa italiana investe, rispetto ad una
giapponese o una dell'Europa del nord (la
Svezia ad esempio) circa un trentesimo di
quello che investono gli altri. Certo che non
si può essere competitivi senza ricerca, quindi è necessario porre questa tra gli obiettivi
primari modificando anche la mentalità e la
cultura.
Per quanto riguarda l'occupazione, bisogna discutere a livello comunitario che tipo di
formazione professionale intraprendere e
quali nuove figure professionali occorrono. Si
stanno ancora formando elettricisti o meccanici con la formazione professionale fatta con
i fondi europei: credo che non serva più. Bisogna modificare questa situazione studiando
meglio il mercato del lavoro e cercando quindi di scoprire le nuove professioni.
Per quanto riguarda la questione ambientale è vero che in Europa abbiamo avuto uno
sviluppo economico considerevole, ma a tutto danno dell'ambiente. La Regione Lazio ha
molti protocolli d'intesa con stati limitrofi, e
ha potuto constatare specialmente nei Paesi
dell'ex Unione Sovietica concretamente il
danno ambientale che è stato fatto e quello
che c'è da recuperare. In questo settore secondo me vanno investiti in maniera intelligente e non finalizzati solo ad un recupero,
ma a nuove occupazioni, la maggior parte dei
capitali di cui l'Europa dispone.
Sono stato recentemente in Romania a parlare con il ministro dell'ambiente e mi ha dato dei dati allarmanti che poi trasferirò alla
Conferenza Stato-Regioni: i paesi europei
hanno approfittato anche della povertà di altri paesi per scaricare scorie, rifiuti, fanghi
radioattivi e industriali, residùi chimici. Un
po' di responsabilità ce l'abbiamo tutti. Se
dobbiamo agire sul serio nel settore ambientale abbiamo bisogno di grandi investimenti,
non più di logiche territoriali o nazionali, ma
tenendo ben presente che va risanata 1'Europa geografica, non soltanto l'Europa comunitaria.
Questo porterebbe a due vantaggi: riequilibrare un po' le economie dell'oriente verso i
paesi occidentali, e fare del problema ambientale un problema serio. Non credo sia facile aumentare i posti di lavoro nel pieno rispetto dell'ambiente: la tecnologia attuale
non lo consente, anche se con questa non possiamo illuderci di soddisfare le urgenze ambientali.
Bisogna fare politiche più intelligenti, abbandonare gradualmente i prodotti chimici,
risanare sul serio l'ambiente investendo migliaia di miliardi per risanare le acque. Un'altra emergenza che voglio sottolineare è quella
delle acque che vanno trattate e risanate. Ci
accingiamo ad approvare - in tutte le Regioni d'Italia - la legge Galli. Noi la applicheremo fra poco, e tutti dovrebbero porre la massima attenzione su questa risorsa che non è
infinita ed è già una rarità: fra poco l'acqua
sarà un emergenza, non tanto nell'Europa
centrale, quanto nei paesi limitrofi; su questo
problema sono stati fatti grandi investimenti:
risanamento dei fiumi, delle acque, delle sorgenti. Ecco perchè dico che occorre la mobilitazione dei capitali privati, una diversa politica della Banca europea, una diversa politica
della Banca mondiale, integrazione vera con
il resto d'Europa, un risanamento globale e
questo sì può prevedere migliaia o milioni di
posti di lavoro.
Mi sono occupato di agricoltura e dalla mia
esperienza ho dedotto che il risanamento dei
terreni prevede investimenti e politiche di
lungo termine e di largo respiro: un fatto
giornaliero per loro ma noi non ce ne siamo
accorti o non abbiamo registrato; questo
comporta inquinamenti che, per essere rimossi, abbisognano di grandi investimenti.
Quindi, a mio avviso, il Comitato delle Regioni e degli Enti locali farebbe bene a puntualizzare sul documento l'importanza che gli
Enti locali devono avere per spingere verso
questo tipo di mentalità. E allora si potrebbe
dire che se non c'è integrazione e piena assonanza degli Enti locali con i governi centrali
e con la Comunità europea tutti questi obiettivi non saranno raggiungibili e che nel settore ambientale non è pensabile che si facciano
politiche diverse. Non si possono fare fra Stati membri, figuriamoci fra Regioni e fra Enti
locali.
I problemi ambientali prevedono l'accordo
globale, comunitario, anche al di là delle possibilità comunitarie. E allora nuove piste di
lavoro, secondo me, vanno ricercate in questi
settori. Ora vorrei affrontare il problema dei
rifiuti. Ci sentiamo molto civili, ma siamo all'anno zero, in quasi tutta Europa: è inutile
nascondercelo. Ci sono paesi più avanzati che
sono arrivati alla combustione. In Albania i
rifiuti non vengono neanche ritirati e ciò
comporta un danno ambientale che riguarda
tutti e non soltanto perché noi siamo a settanta chilometri da questo paese, ci vogliono
(segue a pag. 12)
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
il Seminario del CCRE
11 nodo di istruzione e formazione
di Patrizia Dini*
Non abbiamo mai ritenuto nella tradizione
del governo della Regione Toscana che fosse
possibile distinguere una politica a favore
dell'individuo e quindi dei problemi collegati
all'emarginazione sociale, da quella della formazione di base e da quella di una formazione continua nell'arco della vita lavorativa.
Noi non abbiamo mai disgiunto consapevolmente questi due aspetti, seguendo una
nostra tradizione antica che abbiamo ribadito
anche recentemente con scelte di politica di
programmazione regionale di carattere generale confrontata con quella dell'unione europea. Voglio esprimere in modo esplicito che
nell'ultima fase alla politica della Regione Toscana non è seguita quella dello Stato
italiano.
Questa affermazione è necessaria perché
proprio in questo mese il governo del nostro
paese presenterà un documento di programmazione e bilancio dello Stato che impostano
una politica sociale notevolmente distante da
quella che non solo i governi centrali hanno
seguito fino a pochi mesi fa, ma che è in contrasto netto con la scelta che la Regione Toscana, e altre Regioni del nostro paese, hanno
fatto nel collegamento tra la politica sociale e
la politica del lavoro.
Non voglio accentuare ulteriormente la
mia affermazione, voglio solo specificare concretamente in cosa è consistita in Toscana la
politica di assistenza sociale collegata alla politica del lavoro, con particolare riferimento
all'uso che abbiamo fatto dello strumento
della formazione professionale come strumento di politica attiva del lavoro. È necessario quindi che io specifichi i limiti costituzionali entro i quali ci siamo mossi entro gli ultimi ventitrè anni poiché le competenze che sono attribuite agli Enti locali e alle Regioni
non sono le stesse ovunque: per comprendere
il valore della descrizione che io vi farò sono
costretta a delineare i limiti essenziali entro
i quali abbiamo dovuto muoverci, nostro
malgrado.
Primo punto: in Italia le Regioni non hanno mai amministrato il sistema di istruzione,
di formazione di base, poiché è uno strumento centrale, il Ministro della Pubblica istruzione, che gestisce la fase di programmazione
della gestione, verifica del risultato del sistema di formazione di base, o di istruzione, come si vuol chiamare.
Secondo punto: da ventitrè anni le Regioni
italiane, per decisione costituzionale, gestiscono invece il sistema di formazione professionale, che non è direttamente collegato al
sistema produttivo poiché, come molti sapranno anche i Ministeri dell'Industria, del
Turismo, del Commercio e dell'Agricoltura
hanno nel nostro paese un grande potere co-
* Assessore della Regione Toscana. Trascrizione dell'intervento al Seminario
OTTOBRE 1994
stituzionale ancora attivo, e non si è realizzata quindi quella previsione di riforma regionalista che avrebbe consentito alle Regioni di
collegare il sistema di formazione professionale al sistema dello sviluppo delle forze produttive attraverso l'uso di tutti gli strumenti
della programmazione e del governo delle
forze economiche.
Terzo punto: questa questione istituzionale sta diventando rilevante poiché una parte
delle forze che oggi governano il nostro paese
sostiene che è necessario affermare una linea
di federalismo interno. Noi vogliamo prendere sul serio questa affermazione poiché è anche la nostra grande aspirazione quella di
giungere alla realizzazione di una piena regionalizzazione del nostro paese, così come prevede la Costituzione Repubblicana, fino a
raggiungere forme di federalismo.
Dunque, le forze sono in movimento e il
quadro che io descriverò deve misurarsi con
questa fase che muove dall'esigenza di utilizzare tutti gli strumenti esistenti, ma anche di
mutare alcune delle regole di base sulle quali
questo sistema funziona. I n Toscana il sistema di formazione professionale non ha dovuto soffrire di quel «ciclone distruttivo», che
purtroppo ha travolto in altre Regioni il sistema amministrativo attraverso cui la formazione professionale spesso si è realizzata. Parlo del ciclone di «Tangentopoli» e delle difficoltà nelle quali molti amministratori e molti
governi regionali si sono venuti a trovare per
l'intrecciarsi tra le iniziative della magistratura, molto spesso fondate, e il sistema di formazione che veniva a contatto con le imprese, con i singoli soggetti della vita economica
e produttiva e che quindi poneva in forte tensione il sistema nel suo complesso.
Abbiamo potuto utilizzare la nostra esperienza pienamente: l'ultima occasione che abbiamo avuto per verificare il nostro lavoro è
stata una ispezione importante di alcuni commissari della Comunità europea che si sono
congratulati con noi per lo ~vol~imentolnella
Regione del sistema di formazione che si è
misurato con i Fondi finanziari che erano stati messi a disposizione dalla Comunità e gli
strumenti della programmazione che avevamo a disposizione.
Dunque devo chiarire il punto di quali
strumenti di programmazione abbiamo usato
per far funzionare il sistema della formazione
professionale.
Abbiamo fatto in modo che le forze produttive avessero un rapporto continuo e programmato con le Istituzioni responsabili del
sistema di formazione professionale. Per fare
questo abbiamo usato uno strumento legislativo generale: quello della politica delle procedure della programmazione economica e
dello sviluppo, così come nel «Libro bianco»
si specifica che deve essere fatto, e abbiamo
avuto una previsione di carattere settoriale
riferita solo alla formazione professionale per
quanto riguarda il rapporto tra la formazione
e l'aggiornamento professionale e il mondo
dell'economia e del lavoro.
Proprio di recente, alla fine di luglio, abbiamo approvato una legge di riforma del sistema delle procedure per la previsione della
programmazione per la formazione professionale che si basa su due capisaldi. Il primo: per
programmare la formazione professionale in
Toscana si parte dalla utilizzazione della progettazione di soggetti pubblici e privati in
una programmazione unica che viene esaminata dal Consiglio regionale e che il Consiglio
regionale approva in forma triennale con uno
strumento di programmazione che è collegato
al piano regionale di sviluppo.
Credo quindi che il collegamento tra la politica del lavoro e la politica economica possa
essere assicurato efficacemente da questo
strumento di programmazione generale, vi è
quindi un collegamento concreto tra lo sviluppo del sistema produttivo e lo sviluppo
delle risorse umane che in quel momento devono essere ulteriormente incrementate nella
loro capacità di arricchirsi di nuova professionalità per consentire l'innovazione necessaria. Questa possibilità offre ai singoli imprenditori o alle associazioni degli imprenditori,
agli enti pubblici, a partire dalla università
per esempio, nella loro autonomia, di offrire
al Consiglio regionale dei progetti di carattere formativo che entrino in un sistema di formazione professionale integrato dove i diversi soggetti della programmazione economica e
sociale cerchino di evitare errori di valutazione o parzialità e unilateralità di giudizio nella
definizione delle priorità di intervento che
avvengono nel sistema formativo generale.
Per offrire questo strumento di programmazione e formazione abbiamo proceduto a definire «tavoli di concertazione», cioè momenti nei quali le forze produttive siglano, con i
rappresentanti dell'ente pubblico che programma, il sistema formativo degli accordi
che ci impegniamo a seguire insieme e sui cui
obiettivi generali verifichiamo nel tempo la
validità e l'efficacia degli interventi che derivano dai momenti comunitari di sostegno
economico.
La seconda parte della valutazione che volevo fare riguarda più specificatamente la legislazione a sostegno di alcuni soggetti particolari che devono essere formati, e che non
fanno parte del sistema di formazione professionale specifico o definito come sistema di
formazione professionale in formazione per il
lavoro dipendente. Si tratta qui di interventi
più qualificati, riferiti essenzialmente al mondo dell'imprenditoria e alla capacità di presenza dell'imprenditoria nel momento in cui
è necessario, come nella fase attuale, intervenire nella ripresa economica con un maggiore
dinamismo e una maggiore capacità di preCOMUNI D'EUROPA
senza. Sono essenzialmente tre gli strumenti
che abbiamo utilizzato negli ultimi cinque
anni.
I1 primo: una legge a sostegno d i coloro che
vogliono creare nuove imprese, in particolare
in favore dei giovani imprenditori. La Regione Toscana ha preceduto la legislazione nazionale in questo settore e sta programmando
il 5% dei propri interventi in campo economico dal punto di vista del bilancio annuale
per offrire ai nuovi imprenditori la possibilità
di ottenere un sostegno nei primi anni della
loro attività; un sostegno finalizzato alla creazione d i nuove imprese e alla possibilità d i
formazione durante il periodo della creazione
della nuova impresa stessa.
I1 secondo strumento è stato quello della
utilizzazione della legge generale sui lavori
socialmente utili, per fare in Toscana una
operazione di accordo tra i diversi livelli di
governo locale: comuni, province, regioni,
per programmare assieme la utilizzazione dei
lavoratori che collocati in attesa d a un vecchio lavoro (e quindi in fase di disoccupazione) a un nuovo lavoro hanno un sostegno finanziario dallo Stato, non ottengono tutto il
reddito di cui godevano fino alla fase precedente e avrebbero una difficoltà di carattere
economico a sostenere efficacemente la propria famiglia e il proprio reddito. Per questi
lavoratori la Regione Toscana ha previsto la
possibilità di essere utilizzati per lavori che
abbiano una utilità sociale nel campo dell'ambiente, dei beni culturali, dei servizi sociali,
permettendo loro un incremento economico
che permetta loro di raggiungere il 100% del
salario originario.
Questa esperienza è in corso ed ha un buon
successo grazie alla programmazione operata
da parte delle amministrazioni comunali, o
dei servizi denominati «unità sanitarie locali»
che facendo la previsione nel settore sanitario
e sociale, vengono programmati nelle dieci
amministrazioni provinciali in cui si articola
il territorio della Regione Toscana, sono decisi con finanziamento regionale a incremento
del reddito che deriva dall'assistenza per questi lavoratori che viene direttamente dallo
Stato.
I1 terzo strumento d i azione positiva nei
confronti dei lavoratori è finalizzato al raggiungimento delle pari opportunità nel settore della formazione e del lavoro. A tal fine il
Consiglio regionale negli ultimi tre anni ha
approvato due provvedimenti specifici: uno
che riguarda i propri dipendenti ed è la legge
sulle azioni positive (riguarda in particolare la
manodopera femminile) in applicazione della
legislazione nazionale e anticipando provvedimenti nazionali venuti in seguito, e una politica sulle pari opportunità che passa attraverso un piano di indirizzo del piano regionale d i sviluppo che opera in modo orizzontale
in tutti i settori della politica di intervento
economico della Regione Toscana.
Per finire, un provvedimento di carattere
generale d i sostegno finanziario a queste
azioni è derivato d a una legge che abbiamo
deciso di finanziare come provvedimento
straordinario e urgente per la ripresa economica e che risponde a quell'esigenza che deriva dai fatti. C'è una discussione un po' accaCOMUNI D'EUROPA
demica: se in Europa vi sia una sola possibilità d i sviluppo, se vi sia un solo tempo e vi siano modalità uniformi dello sviluppo. Io credo
che i fatti ci dicano che così non è, e che la
discussione quindi sia un po' accademica perché i fatti ci dicono che in questo momento
sono almeno due le velocità che veicolano le
forze nazionali e produttive in questa Europa. Ma forse possono essere anche più di due.
I1 punto d a sottolineare non è questo, è invece su come convogliare nell'unione europea alcune opzioni concordate per promuovere insieme una possibilità d i aggancio delle
realtà economiche che sono più in difficoltà
o emarginate dallo sviluppo e in questo modo
definiamo la priorità che collega la questione
sociale a quella economica e a quella dello sviluppo generale per fronteggiare uno sviluppo
planetario.
Dunque un provvedimento di carattere
straordinario quello che abbiamo assunto,
che è un provvedimento che si finanzia con
i fondi di bilancio della Regione Toscana.
Io credo che vi sarebbero ancora molte al-
tre valutazioni da fare, ma voglio chiudere
con questa affermazione, che del resto conferma il modo come il «Libro bianco» ha collegato tra loro i termini che ci sono stati proposti: competitività, sviluppo, occupazione,
innovazione. H a un senso oggi proporcelo come amministratori locali? Noi diciamo: certamente sì. Nella misura in cui però questi termini diventano politiche percorribili nella capacità del governo locale e non nella difficoltà dello scontro dal punto di vista istituzionale che vi può essere tra le politiche locali e le
politiche nazionali. Dunque vi è un grande
campo su cui confrontarci ed è quello della
possibilità dei poteri locali d i ottenere una legittimazione a stare in campo in quanto soggetti, in una Unione europea che valorizzi i
poteri locali e regionali come governi del territorio che insieme ai Comuni e agli altri Enti
intermedi consentano una effettiva ripresa
della politica di programmazione per lo sviluppo e per il governo democratico dell'economia in Europa.
W
La centralità della risorsa lavoro
In modo particolare a me sembra di dover rimarcare il rilievo del Libro bianco presentato dalla Commissione Delors alla fine dell'anno scorso sui temi della crescita, dello sviluppo e dell'occupazione nell'unione europea, sul tema dei costi sociali ed economici della
disoccupazione, e sulla centralità della risorsa lavoro.
Sono trascorsi nove mesi dalla pubblicazione dei lavori della Commissione e la situazione occupazionale in Europa tende al peggio e particolarmente in Italia molte delle speranze che avevamo di una ripresa occupazionalefinora si sono dimostrate vane. Ecco allora
che un documento che pone al centro le cosiddette risorse immateriali, che sottolinea con
rilievo che sul tema dell'occupazione e sul tema della tutela ambientale devono essere fatti
maggiori sforzi da parte dei governi nazionali, mi sembra sia da porre in grande evidenza.
Altrettanto importante è il tema della formazione professionale e il ruolo che gli enti
locali possono svolgervi. Pizì volte nel Libro bianco si accenna al ruolo della piccola e
media impresa, dei livelli intermedi della produzione industriale, del decentramento economico, e con altrettanta chiarezza il Libro bianco assegna un ruolo fondamentale in questo campo agli enti locali.
L'Europa non può quindi costituirsi solo attraverso l'accordofra gli Stati, ma passa attraverso un coinvolgimento più forte delle Regioni e degli enti locali. I livelli locali sono
infatti quelli che meglio di altri possono e debbono assicurare quelle infrastrutturenecessarie al rilancio dell'occupazione: infrastrutture di tipo immateriale, se vogliamo chiamarle
così, come ad esempio avevamo ricordato la formazione professionale, ma infrastrutture
anche di carattere reale: pensate all'importanza che gli enti locali hanno nella pianificazione territoriale, nella adozione di reti di trasporto e di reti informatiche, così necessarie per
lo sviluppo economico globale.
Un ultimo breve flash riguarda i rischi di unJEuropaa due velocità: è questo il punto
centrale dell'attenzione dellattualità politica di questi ultimi giorni. Io desidero su questo
ricordare il pensiero dei grandi padri fondatori dell'Europa, da Konrad Adenauer a Schuman, a De Gasperi, nessuno ha mai pensato che si potesse costituire un'Europa di ricchi
e un'Europa di poveri, che procedessero in modo diverso e disomogeneo; la costruzione
di unJEuropa dei cittadini nasce proprio dalla capacità della Unione di omogeneizzare
realtà spesso molto difficili da omogeneizzare. È con questa consapevolezza che desidero
porgere il caloroso benvenuto nella città di Roma, anche da parte del suo Sindaco, sperando che dal dibattito emergano degli elementi importanti, che consentano di rilanciare il
valore di un Libro, di un documento di politica economica, che forse nell'ultimo anno
è stato uno dei più significativi sul tema della centralità dell'occupazione.
Cesare San Mauro
presidente delle commissioni
consiliari bilancio e questioni
istituzionali del Comune di Roma
OTTOBRE 1994
Lonterenza euro-araba
delle Città
Valentia, 15-17 settembre 1994
OTTOBRE 1994
COMUNI D'EUROPA
som
ma
rio
COMUNI D'EUROPA
67 - Rilanciato il dialogo tra due mondi, di Gianfranco Martini
68 - Un momento di dibattito e scambio di idee, di Pasqua1 Maragall
70 - L'esperienza straordiiatia del Mediterraneo, di Fabio Pellegrini
71 - Una rivoluzione per il Sud, di Enzo Bianco
72 - Cultura, accoglienza, cooperazione, di José Méndez Espino
75 - Federazione europea e rivoluzione culturale, di Umberto Serafini
79 - La Dichiarazione finale di Valencia
OTTOBRE 1994
si muove il fronte delle Città
Rilanciato il dialogo tra due mondi
di Gianfranco Martini
Straordinaria Conferenza quella che ha
riunito a Valencia nei giorni 15-16-17 settembre un buon numero di sindaci di Città arabe
e di rappresentanti della realtà locale dell'Unione europea, nel secondo incontro euroarabo delle città. «Straordinaria» nel senso
etimologico, cioè fuori della prassi ordinaria
che vede il CCRE impegnato normalmente in
iniziative riguardanti gli enti territoriali e,
più in generale, i problemi dell'unione europea, dell'Europa occidentale e di quella
centro-orientale. La Conferenza di Valencia,
invece, ha coinvolto non solo le città dell'Europa più direttamente interessate alle prospettive della convivenza intorno al bacino
mediterraneo e a quella che si potrebbe chiamare la Sud-politik dell'unione europea, ma
anche quelle appartenenti al mondo arabo,
quello gravitante geograficamente intorno al
bacino mediterraneo o nel Medio-Oriente.
La Conferenza è nata dalla collaborazione
del Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa (CCRE) e dall'organizzazione delle Città arabe (OCA) dall'altro, collaborazione che aveva già al suo attivo, alcuni anni fa,
la prima Conferenza di questo tipo svoltasi a
Marrakech con indubbio successo. La dichiarazione finale della Conferenza di Valcncia si
richiama a questo precedente e ne sviluppa le
possibilità sia ricordando che essa ha gettato
i presupposti di una cooperazione solida e durevole tra le città europee e quelle del mondo
arabo sia mettendo in particolare evidenza
l'importanza di detta cooperazione e cioè della creazione di una area di contatti e scambi
intensi e diversificati nel campo economico,
sociale, culturale e politico.
I n questa direzione il CCRE si trova perfettamente in linea con la volontà, anche recentemente espressa dall'unione europea in
occasione del Vertice di Corfù (dicembre
1993), di rilanciare il dialogo tra i due mondi.
Auspicio fatto proprio più volte dal Parlamento europeo e dalla stessa Lega araba. I n
particolare, già nella risoluzione del 12 luglio
1991 il Parlamento europeo aveva sottolineat o che la stabilità politica, sociale ed economica dell'«intera» Europa era condizionata in
larga misura, dalla pace al sud del Mediterraneo e dallo sviluppo progressivo e armonioso
dei paesi appartenenti a questa regione: stabilità alla quale era necessario il concorso di
una cooperazione con l'Europa fondata sul
dialogo e sul rispetto d i tutti i popoli che ivi
risiedono.
Dalla Conferenza di Valencia è emersa la
conferma che l'universo attuale non si compone più della sola Europa e che la storia dell'Europa non costituisce più oggi, da sola, la
storia del mondo perchè altri popoli, che vivono su altri continenti, incidono sulla scena
dell'attualità internazionale. Questa constaOTTOBRE 1994
tazione può apparire ormai banale, ma forse
meno di quanto si possa pensare, perchè ancor oggi molti europei continuano a rievocare
il passato sotto forma di un «mappamondo»
medioevale eurocentrico e di un'Europa le
cui sorgenti spirituali, la Grecia e Roma e la
concezione giudaica cristiana occupano ancora un posto di assoliito privilegio. Altri popoli
in realtà, altri continenti fanno sempre più
sentire la loro voce e il loro peso, rivendicand o un posto ben meritato, non solamente nella storia universale ma «anche nella nostra
storia occidentale». Sempre più è necessario
quindi conoscere meglio, prestare attenzione,
dialogare, cooperare con un popolo che ha
profondamente segnato il corso degli avvenimenti mondiali, un popolo verso il quale
l'occidente, e con esso l'umanità intera, sono
assai debitori. Ancor oggi per moltissimi studenti occidentali lo studio della storia del
mondo - quella della letteratura, dell'arte e
delle scienze - inizia con un esame non molto approfondito di ciò che furono l'Egitto antico e Babilonia per soffermarsi poi a lungo
sulla Grecia e Roma: successivamente, dopo
un veloce colpo d'occhio su Bisanzio, si passa
rapidamente al Medioevo cristiano e da lì ai
tempi moderni. L'Europa pre-medioevale
non attira sufficientemente l'attenzione, come del resto avviene per gli eventi extraeuropei contemporanei al Medioevo. Quanti
percepiscono adeguatamente che in quel periodo, alle porte stesse dell'Europa, gli arabi
hanno tenuto nelle loro mani, durante tre
quarti di un millennio, la fiaccola di una grand e civiltà, che essi hanno conosciuto un periodo di splendore due volte più lungo di
quello dei greci e che essi hanno influenzato
l'occidente, certamente in modo diverso da
questi ultimi, ma in misura altrettanto determinante? Agli arabi spesso accordiamo ancor
oggi una certa importanza solo in funzione
del ruolo da essi svolto nei confronti della
cultura greca in quanto trasmettitori all'Occidente del tesoro degli antichi, come se essj
fossero dei semplici intermediari. Oggi non si
tratta soltanto di allargare il nostro orizzonte
storico e culturale ma anche, in un tempo in
cui cerchiamo nel nemico di ieri l'amico di
domani, di superare le vecchie barriere create
dai credi religiosi, di far prova di una maggiore tolleranza e propi:io al di là delle convinzioni più intime di portare la nostra attenzione sugli esseri umani.
Questo nuovo atteggiamento degli europei
verso il mondo arabo che matura lentamente
e spesso con fatica, trova tre scacchiere sulle
quali operare. La prima è quella delle grandi
organizzazioni internazionali, a cominciarc
dall'ONU, sempre più coinvolte nei problemi
del Mediterraneo e del Medio Oricntc. La seconda è costituita dalle tradizionali relazioni
bilaterali o multilaterali tra i singoli Stati,
nelle quali si manifesta ancora il conflitto di
forti interessi politici ed economici e la tradizione di ben collaudate diplomazie nazionali.
La terza è quella della società, delle sue articolazioni, delle suc componenti, tra le quali
una posizione di spicco hanno certamente gli
enti territoriali, locali e regionali appartenenti a paesi diversi, a paesi e ad aree culturali
C politiche diverse. Su quest'ultimo tavolo si
giocano importanti aspetti del rapporto e del
dialogo tra Europa e Mondo arabo ed è appunto quello che ha costituito il presupposto
e il quadro di riferimento della Conferenza di
Valencia.
Non si è trattato quindi di una specie di
«microdialogo», eccessivamente frazionato,
legato alle piccole cose, posto quasi al riparo
delle grandi questioni che pure non si possono assolutamente ignorare nel rapporto fra
europei ed arabi. Piuttosto la Conferenza di
Valencia ha costituito la conferma del significato complesso e della portata aperta di tutto
ciò che coinvolge le città e, più in generale,
gli enti locali. La città, specie se di adeguate
dimensioni, costituisce un microcosmo capace di prospettive assai ampie e racchiude i
principali aspetti del vivere in comunità, delle sue aspirazioni e dei suoi conflitti, della ricerca di una migliore qualità dell'esistenza e
della convinzione dei legami sempre più fitti
che caratterizzano quello che, con formula
ormai passata nel linguaggio comune, si usa
definire come un «villaggio globale». Per questo motivo anche i grandi problemi politici
del Medio-Oriente, i rapporti tra Israele e i
palestinesi, di cui più volte si è parlato a Valencia, sono apparsi filtrati, ma non ignorati,
nelle relazioni e nel dibattito. La sfaccettata
realtà del mondo arabo è emersa in varie occasioni negli interventi dei rappresentanti
delle città situate nelle varie componenti del
mondo arabo.
I problemi dello sviluppo, del progresso sociale, dei servizi pubblici, della crescita demografica e delle conseguenti spinte all'emigrazione verso l'Europa non potevano essere
certo ignorate nella Conferenza. Ma ci sembra di poter dire che è sostanzialmente prevalso, senza trionfalismi superficiali, l'intenzione di mantenere aperti sia pur nella consapevolezza di innegabili differenze dei canali
di colloquio e di reciproco confronto. Se fosse stato presente a Valencia il vecchio sindaco di Lione degli anni '50, Edouard Herriot,
avrebbe potuto applicare a questa Conferenza, senza particolari forzature, la sua nota e
fortunata formula: «Tutto divide gli Stati,
tutto unisce i Comuni». Non intendiamo soffermarci sui numerosi interventi che pure
hanno arricchito il contenuto dei lavori e che
(segue a pag.
COMUNI D'EUROPA
69)
la conferma di antichi vincoli
Un momento di dibattito e scambio di idee
di Pasqua1 Maragall*
Abbiamo percorso un lungo cammino dalla
celebrazione a Marrakech, nel 1988, della nostra prima Conferenza.
Ricorderete nella Dichiarazione finale tre
dei temi principali che come CCRE ed O C A
ci proponiamo di stimolare:
1. l'appoggio a tutti gli sforzi che potrebbero portare all'instaurazione di una pace
globale, duratura e giusta. Sebbene, in questo
periodo, le tensioni, compresa la guerra, hanno colpito alcune zone del mondo arabo, è
anche certo che si sono verificati progressi significativi, soprattutto tra i paesi arabi ed
Israele.
2. la promozione del dialogo euro-arabo
tra città. In effetti questo dialogo si è sviluppato ed approfondito. I1 CCRE e la O C A
hanno incrementato le loro relazioni in maniera significativa. Questa conferenza che oggi ci riunisce è prova evidente di ciò e gli
scambi tra le nostre città si sono andati moltiplicando attraverso le numerose reti di cooperazione che si vanno consolidando.
3. la domanda della creazione di strumenti
tecnici di cooperazione.
Fra questi, l'esistenza e lo sviluppo dei programmi MED-URBS, promossi dalla Commissione Europea, hanno comportato un importante incremento della cooperazione nel
Mediterraneo. Questi programmi, che dal
CCRE valutiamo preminenti, perché presuppongono il riconoscimento d a parte della
Commissione dei poteri locali come attori
della cooperazione decentralizzata, sono trattati congiuntamente dalla nostra organizzazione e dalla Agenzia d i Sviluppo delle Città
Unite, presieduta dal nostro caro amico Jorge
Sampaio, Sindaco di Lisbona.
Così dunque, possiamo assicurare che la situazione generale ha sperimentato una evoluzione positiva dal nostro primo incontro. Ma
le nostre preoccupazioni, come Sindaci e rappresentanti locali, ci tengono inquieti.
Per questo motivo ci incontriamo qui oggi,
in questa seconda Conferenza Euro-Araba di
città, che deve costituire un importante momento d i dibattito e scambio di idee.
Come Presidente del CCRE, ma anche come Sindaco di una città del Mediterraneo mi
piacerebbe mantenere un atteggiamento deciso e coraggioso nei nostri obiettivi e anche
nella scelta dei mezzi per portarli a compimento.
Le città sono storicamente i nuclei naturali
di creazione culturale e di convivenza e quindi sono i poteri nella posizione migliore per
stimolare il dialogo.
Dialogo e cooperazione d i vari ordini:
*
Presidente del CCRE
COMUNI D'EUROPA
1.
2.
3.
4.
Cooperazione tecnica
Formazione
Pianificazione strategica
Ambiente
Le nostre responsabilità si trovano all'incrocio delle grandi provocazioni della civilizzazione. Le popolazioni cittadine sono esposte a sopportare gravi problemi di coesione,
tra gli altri. Se non li affrontiamo con decisione, giustizia e umanità, la realtà ci verrà imposta in maniera brutale e senza pietà. Non
vorrei ripercorrere compiutamente i vincoli
ancestrali che sono esistiti ed esistono tra le
città europee e quelle arabe. Nonostante ciò
voglio ricordare un estratto della Risoluzione
che abbiamo approvato a Marrakech:
«La città, centro intellettuale, ha sempre
avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo
culturale delle due regioni. Questo fu il caso,
soprattutto nel mondo arabo, durante i primi
secoli di espansione dell'Islam. Le città del
Maghreb (comprese Cordova e Granada) e altre città come I1 Cairo, Damasco o Baghdad,
non hanno in questa epoca confronti in Europa. I1 prestigio della loro architettura e i loro
centri intellettuali (Università, Biblioteche.. .) giungeva fino al nostro continente. Fu
con l'impulso economico e politico delle città
italiane che in Europa le città riuscirono ad
imporsi come i centri principali di sviluppo
scientifico e culturale.
Le città sono state il luogo dove si sono
prodotte le principali relazioni culturali tra
l'Europa e il mondo arabo. Non dobbiamo
dimenticare che la scienza degli arabi penetrò
in Europa attraverso Cordova, Siviglia e
Granada, le città italiane e qualche altra città
del sud.»
Ma parliamo del presente, della necessità
di approfondire la nostra cooperazione. È nostro dovere favorire lo sviluppo della conoscenza reciproca e la tolleranza, in questi
tempi di incomprensione e di rifiuto. L'ignoranza reciproca è il grosso ostacolo che nasconde la grande interdipendenza delle nostre culture.
Viviamo in un mondo sempre più cglobalizzato» e le nostre città sono i principali laboratori di convivenza e «multiculturalità».
Esse devono guidare la costruzione del tessuto di base affinché gli stati possano garantire
la pace e l'intesa tra i popoli. Da qui la grande
importanza di:
Lo scambio di idee e il dibattito. La Conferenza delle Regioni Mediterranee celebrata
nel 1993 a Taormina, questa seconda conferenza Euro-Araba e il prossimo incontro delle
Città Mediterranee che celebreremo a Barcellona nel marzo del prossimo anno, alla
quale sono tutti invitati, sono occasioni privilegiate per esprimerci e comunicare le nostre
opinioni sulle maggiori minacce alle nostre
popolazioni: l'equilibrio demografico ed economico, la convivenza pacifica e civile e l'accettazione della «diversità» come fonte d i ricchezza.
Questa riflessione comune potrebbe centrarsi sull'analisi di:
-
Come favorire la coabitazione ed inte-
Il niolo degii enti W nel dialogo necxsi%~
tra l'Europa e i popoti deiì'area &temesl
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Europa federata e Mediter~%UIeo
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A sinistra l'articolo di «Comuni d'Europa» dedicato alla prima Conferenza euro-araba, a destra
il numero monografico dedicato ai rapporti tra i popoli mediterranei
OTTOBRE 1994
grazione delle comunità arabe in qualche città europea,
- il dialogo religioso,
- la democrazia e l'autonomia locale.
D'altra parte é imprescindibile il consolidamento e la messa in moto di strumenti di
cooperazione. Questo é un momento fondamentale per le relazioni euro-arabe. L'Unione
Europea nel suo recente vertice di Capi di
Stato e di Governo, celebrato il passato mese
di giugno a Corfù, fissò come una delle sue
priorità, per quanto si riferisce alla politica
estera, il rafforzamento dei suoi vincoli con i
Paesi del Bacino Mediterraneo, realizzando
un salto qualitativo e quantitativo ali'altezza
delle sfide politiche, economiche e sociali.
I n questo senso l'Unione Europea ha fissato cinque obiettivi:
- garantire una migliore comprensione
delle politiche comunitarie verso i paesi mediterranei, soprattutto per quanto si riferisce
alla cooperazione decentralizzata che é una
cooperazione vicina ai cittadini e di connotazione umana;
- promuovere lo sviluppo economico dei
soci comunitari e aiutare lo sviluppo del tessuto economico;
- ampliare la cooperazione regionale nell'ambito della comunicazione;
- stimolare il dialogo interculturale per
una migliore conoscenza reciproca;
- diffondere i diritti e valori fondamentali universalmente riconosciuti.
Vorrei, in quanto Presidente della maggiore organizzazione municipalista europea,
esprimere il desiderio che questa cooperazione fra il CCRE e la OCA vada crescendo e
si rafforzi, favorendo i contatti bilaterali e
multilaterali tra le nostre città, attraverso la
via di «fraternizzazione», di accordi di cooperazione e la creazione di piccole reti per sviluppare temi specifici, come quelli che propone MED-URBS.
Ma possiamo avere altri obiettivi ambiziosi
di livello mondiale. Voglio incoraggiarvi a
partecipare attivamente al riconoscimento
del ruolo delle città nel contesto internazio-
nale. Nell'ambito europeo si sono ottenuti
progressi molto significativi sebbene non sufficienti, grazie all'unità di azione dei poteri
locali. L'evidenza di una nuova situazione
politica nel mondo, scomparsi i blocchi, ha
catalizzato il protagonismo dei poteri più vicini ai cittadini. L'azione congiunta delle organizzazioni mondiali di città attraverso il
gruppo dei 4 (IULA, FMCU, Metropolis e
Summit) inizia ad essere una realtà.
Voglio invitare personalmente le città arabe a lavorare con noi per la preparazione della Assemblea Mondiale di Città, che si celebrerà ad Istanbul nel giugno del 1996, parallelamente e strettamente legata alla Conferenza Habitat I1 delle Nazioni Unite.
Per terminare voglio manifestarvi il fermo
appoggio del CCRE alle città dei territori autonomi palestinesi e garantirvi che stiamo lavorando per ottenere il finanziamento per
sviluppare diversi progetti nella zona.
Sono convinto della grande importanza di
questo incontro e, da questo stesso momento,
dobbiamo pensare alla celebrazione della 111
Conferenza. I dibattiti sui vari aspetti della
cooperazione tra città europee e città arabe
devono essere uno strumento in più per il
contributo delle città nel processo di pacificazione nel mondo e nel rispetto per la diversità. Questo rispetto non nascerà da imposizioni di nessuna classe nè può sorgere soltanto
attraverso patti. I1 rispetto per la diversità
che immaginiamo può solamente scaturire come frutto di una conoscenza profonda tra culture e riconoscimento dei valori essenziali
che dividono i nostri popoli.
Questo intervento del Presidente Maragall è
stato preceduto dal saluto alle molte autorità
rappresentative del CCRE, delllOCA (Organizzazione delle città arabe) e dell'unione europea
intervenute alla Conferenza e dall'affennazione
di condividere in pieno e di approvare la intensa
relazione conclusiva del vicepresidente Serafini:
"... Vi troverete un sentimento di grande calore
ed una completa esperienza storica. Senza esperienza, senza sentimenti, senza rispetto, il dialogo tra le nostre città ed i nostri cittadini difficilmente progredirà".
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dal 15 gennaio 1993 viene inviata, sperimentalmente,
gratis a tutti i Soci, nella convinzione che
gli Enti medi e grandi appoggeranno
questo grande impegno finanziario dell'AICCRE
abbonandosi (ora per il 1995).
Rilanciato il dialogo
[segue dd
pag. 671
sono in parte riportati per esteso in questo
stesso numero di «Comuni d'Europa»: ci limitiamo a ricordare i due contributi più organici svolti dai colleghi italiani, quello del sindaco di Catania Enzo Bianco e quello del presidente dell'AICCRE Umberto Serafini. Altri membri della delegazione italiana hanno
portato il loro apporto al dibattito, dal sindaco di Messina, Franco Provvidenti, a quello
di Potenza, Rocco Sampogna, dall'assessore
provinciale di Imperia, Lorenzo Viale, al segretario generale e segretario generale aggiunto dell'AICCRE, Martini e Pejlegrini.
Particolare importanza e lungimiranza assume la parte finale della dichiarazione di Valencia, che contiene l'indicazione delle linee
di sviluppo della Conferenza e che pone le
basi anche operative per la prosecuzione del
dialogo. Si è deciso di creare dei meccanismi
permanenti di cooperazione in materia di gestione municipale e di sviluppo locale e di incoraggiare e promuovere la cooperazione tecnica, economica e culturale tra le città europee ed arabe, sia direttamente sia tramite le
loro organizzazioni rappresentative (CCRE e
OCA). Un'attenzione particolare è stata rivolta allo scambio e al confronto delle esperienze nella gestione delle città, agli squilibri
urbani, alla protezione dell'ambiente, allo
sviluppo dei servizi pubblici, alla valorizzazione e conservazione del patrimonio architettonico e culturale. L'intensificazione di gemellaggi euro-arabi, il rafforzamento e ampliamento del programma Meds-Urbs sono
stati espressamente considerati come strumenti importanti del dialogo tra città europee
e arabe e in questo campo vanno potenziati il
ruolo e la sensibilità degli organi dell'unione
europea, Commissione e Parlamento europeo. 11 drammatico problema dell'immigrazione di origine araba nelle città europee sarà
quanto prima ripreso e approfondito per la
innegabile incidenza che esso può avere sulla
conoscenza e sulla comprensione reciproca di
due mondi così diversi, oltre che sulla situazione sociale degli interessati. La Conferenza
- e non poteva fare diversamente - è stata
centrata soprattutto sulla politica di integrazione all'interno delle città, ma la dichiarazione finale ha giustamente ricordato che solo un nuovo equilibrio economico e monetario mondiale sarà capace di rimediare durevolmente alle ingiustizie e agli squilibri delle
relazioni nord-sud e che il mondo mediterraneo deve continuare a svilupparsi verso un sistema di solidarietà e di democrazia in grado
di superare i limiti della «pace diplomatica»
per costruire un'autentica democrazia dell'interdipendenza.
L'interdipendenza tra Europa e Mondo
arabo esiste già nei fatti: ciò che manca ancora è la capacità degli uomini e delle istituzioni
d i governarla democraticamente nell'interesse comune; i successivi sviluppi della Conferenza di Valencia dovranno dedicare ogni attenzione ed ogni sforzo in questa irrinunciabile direzione.
-
OTTOBRE 1994
COMUNI D'EUROPA
contro ogni nuova barriera
L'esperienza straordinaria del Mediterraneo
di Fabio Pellegrini
Innanzitutto un'osservazione e una considerazione sullo scopo della Conferenza.
L'Unione eurooea sostiene auesta iniziativa
per far conoscere le politiche comunitarie per il
Mediterraneo. Malgrado una evoluzione in senso positivo avvenuta negli ultimi anni, soprattutto per lo stimolo del Parlamento europeo, la
politica mediterranea della Comunità europea è
sempre stata uno dei suoi punti deboli e più criticabili. Senza entrare troppo nei particolari, intendo dire che la CEE non ha mai avuto con i
Paesi Terzi Mediterranei (P.T.M.) un approccio globale, per esempio, del tipo Convenzione
di Lomè con i Paesi ACP. Mentre con gli accordi di Lomé, infatti, la CEE supera quello
((scambio ineguale»
con i Paesi associati,. aprire
il mercato sia ai prodotti agricoli che industriali, nei riguardi dei Paesi Mediterranei, compresi
quelli del Maghreb, agisce come verso un mercato allargato dei prodotti agricoli, magari in
funzione concorrenziale oer i bassi costi di oroduzione con prodotti agricoli mediterranei dell'Italia, e rifiuta di aprirsi ai prodotti manifatturieri, soprattutto tessili.
I paesi industrializzati. con il controllo dei
mercati internazionali, sono riusciti a rafforzare
il loro potere di scambio con l'indebitamento
dei PVS, sia attraverso i prestiti, ma soprattutto facendo pagare a costi crescenti i loro prodotti, e spingendo al ribasso i prezzi delle materie
prime importate. Con lo «Stabex» la Comunità
europea accettava un meccanismo di stabilità e
di garanzia dei prezzi a favore dei Paesi ACP associati, compiendo uno degli atti politici più innovativi nei rapporti di scambio tra Nord e
Sud, un vero atto di «democratizzazione» degli
scambi internazionali.
Con il tempo si è prodotta qualche distorsione negli orientamenti produttivi di quei Paesi,
in auanto la sicurezza di mercato e di reddito ha
indotto a privilegiare le produzioni garantite a
scapito di una certa differenziazione produttiva. Ma ciò è da imputare caso mai proprio ai
meccanismi di -garanzia e non ad imposizioni
vessatorie della CEE. Verso i «paesi mediterranei» la Comunità. almeno fino al 1990. non ha
mai concesso nulla di simile.
Negli ultimi anni il CCRE si era impegnato
a far introdurre nei programmi comunitari il
concetto di cooperazione interregionale esterna, allargata anche ai Paesi Terzi Mediterranei,
non considerando i1 mare uno spazio indefinito
e insormontabile, ma un confine contiguo.
- Negli ultimi programmi questa possibilità di cooperazione è stata ridotta a valutazioni di casistiche specifiche con la motivazione della insufficienza di mezzi finanziari.
Per noi, invece, è semplicemente la conferma
di una miopia irresponsabile e dannosa dei capi
di Stato e di governo dei Paesi membri dell'Unione eurooea.
Un'altra considerazione è quella concernente
la Ja Conferenza euro-araba delle Città, per la
quale c'è da augurarsi di non dover attendere 6
anni. come è avvenuto tra la l a e auesta 2" e
colgo l'occasione per proporre Gerusalemme come sede della orossima Conferenza. Si è avviato
un difficile, travagliato processo di pace nel
Medio Oriente e Gerusalemme dev'essere presa
-
-
8
COMUNI D'EUROPA
a simbolo di città di riconciliazione e di pace.
I1 Mediterraneo rappresenta nella storia della
civilizzazione umana un'esoerienza straordinaria. Un crogiuolo di tradizioni, patrimoni storici e culturali irripetibili, che si sono incontrati,
si sono influenzati per osmosi, raggiungendo livelli di civilizzazione altissimi our tra vicissitudini alterne di scontri e di incontri. Oggi dobbiamo lottare per impedire che sorgano nuove
barriere ed abbattere le vecchie. Devono essere
combattute tutte le forme di fondamentalismo,
di ogni matrice o motivazione, sia nell'espressione religiosa sia in quella del nazionalismo,
del -razzismo e della xenofobia.
Dobbiamo partire da una domanda semplice,
ma fondamentale: perchè il Mediterraneo. che
possiede grandi risorse umane, culturali ed economiche, non è un centro motore della storia
contemporanea, come potrebbe e dovrebbe essere nelle condizioni favorevoli nelle quali si
trova?
Al contrario, dalla nostra regione si alzano
solo nubi di preoccupazione per il mondo intero. Rappresentiamo un punto cruciale solo per
le contraddizioni esplosive e dirompenti presenti nel nostro bacino mediterraneo. Da Cipro al
Libano, da una pace tutt'altro che realizzata e
stabilizzata tra Israele ed il popolo palestinese
fino al Sahara occidentale e le sorti del popolo
Saharawi.
Si fanno sempre più strette le strade dello sviluppo economico e incerte le prospettive per
milioni e milioni di uomini e di donne. Di fronte a tante contraddizioni le preoccupazioni crescono, gli effetti e le conseguenze negative si intravedono ben al di là della nostra area geografica, ma sono inesistenti o comunque incerti ed
insufficienti i tentativi di avviarsi verso nuovi
percorsi politici, nei rapporti economici e di
cooperazione.
I1 Mediterraneo rappresenta una cerniera
preziosa rispetto all'Europa ed il grande continente Africa. Abbiamo un insostituibile ruolo
da coprire e ne dobbiamo sentire tutta la responsabilità. Un ruolo importante possono avere, debbono avere le nostre città. Esse debbono
rappresentare i pilastri di 100, 1000 ponti da
costruire tra i popoli delle due sponde. Dobbiamo uscire dai lavori di questa Conferenza con
delle decisioni che possono facilitare i contatti
e la cooperazione tra le città arabe e quelle
europee.
P. S.: Intervenendo successivamente nella discussione sulla dichiarazione finale. Fabio Pellegrini è tornato sulla proposta di tenere la J a
Conferenza a Gerusalemme, mettendo all'ordine del giorno la valutazione sul processo di cooperazione tra le città europee e arabe e in articolare i risultati del programma Med-Urbs, nell'ambito della oolitica mediterranea dell'unione europea. Questo ed altri punti dovrebbero
essere preparati con altrettanti gruppi di lavoro
CCRE/OCA.
«La proposta di titolare il documento conclusivo "Dichiarazione di Valencia", non può trovare ostacoli né crea difficoltà alcuna. Solo che
un documento non passa alla storia per il suo titolo, ma per i contenuti, in particolare se innovatori. Questo che ci viene sottoposto all'approvazione risulta un documento troppo diplomatizzato e attenuato dalle mediazioni politiche e si avverte, almeno per un europeo che
. proviene dalla tradizione storica dei liberi comuni, un'influenza marcata delle posizioni governative. Un documento che, mi spiace per la
Alcaldesa di Valencia, non passerà probabilmente alla storia».
-
Frente a su casa, m e invadio trrnura
por
q i i i ~ > aili
i
v i v i 6 , no por 10s muroa:
que, Jr srntir pirdad poi. doride mora
quien amo. la sintirva por mi pec8io.
Ibn Al-Zaqquaq (XII secolo d.c.) ed Emilio Garcia Gomez, entrambi figli di Spagna, trovano
le comuni radici culturali nell'esperienza del Mediterraneo
OTTOBRE 1994
restauro e manutenzione
Una rivoluzione per il Sud
di Enzo Bianco*
Certo, uno scrittore dei nostri giorni che
volesse ripetere le entusiasmanti e raffinate
esperienze dei grandi viaggiatori del '700,
troverebbe subito, ed esalterebbe, le peculiarità delle mille città del Mediterraneo. E metterebbe in risalto i diversi colori, le linee, gli
odori, le culture e le fisionomie proprie, i
contrastanti degradi e le violenze, i progetti,
i sentieri e i livelli differenti della ripresa.
Certo mille città; mille volti; mille storie.
E però credo che questo redivivo viaggiatore non esiterebbe a cogliere il segno comune che, alle soglie del duemila, rende indistintamente comune l'aspetto delle città del Mediterraneo: Napoli e Alessandria, Valencia ed
Atene, Palermo e Marsiglia sembrano visi di
donne di antica e diversa bellezza, in cui il segno di mille rughe consegna un presente che
le rende indistinte.
Gli anni sessanta e settanta hanno rappresentato, certo in modi e con intensità anche
molto diversificati, il momento in cui queste
rughe hanno modificato il volto di molte nostre città.
Le conseguenze della forte accelerazione
demografica postbellica hanno raddoppiato,
talvolta triplicato, in pochi anni la popolazione delle grandi città. Assai spesso la mancanza di progettualità, la debolezza delle istituzioni locali, l'aggressività degli speculatori e
dei costruttori, hanno fatto si che questa crescita delle città non fosse né guidata né regolata da un'idea e da una «legge».
E la fisionomia delle nostre città, in molti
casi e con poche eccezioni, è stata rapidamente stravolta. Periferie sempre più grandi hanno già quasi soffocato i centri storici: le sembianze di questi enormi quartieri sono sempre più uguali. La periferia di Catania ha perduto il tratto distintivo della città siciliana
con il colore dominante nero dell'Etna; questi quartieri potrebbero essere sorti a Rabat
o a Parigi quasi senza differenza.
I centri storici delle città hanno frequentemente conosciuto un accentuato degrado, fisico ed economico. Palazzi non restaurati,
esodo di popolazione, permanere nel centro
di attività terziarie, spesso solo pubbliche,
obsolescenza dei mestieri artigianali e
piccolo-commerciali localizzati nella vecchia
città. Rispetto a questi grandi flussi le istituzioni locali, per ragioni assai diverse, hanno
nel complesso palesato una evidente debolezza nel «governare» questi, certo enormi e
complessi, problemi.
L'occasione di un incontro tra gli amministratori di città e paesi diversi per storia e tradizione, come quella che oggi ci è offerta, può
aiutarci a conoscere meglio e più direttamen-
* Sindaco di Catania
OTTOBRE 1994
te i metodi, gli approcci, i progetti con cui
stiamo affrontando questi problemi.
Nel mio Paese, in Italia, solo da qualche
tempo si è risvegliata una adeguata consapevolezza della questione «governo delle città)).
Ci si è resi conto peraltro che, con un massiccio trasferimento dalle campagne nei quarant'anni dalla fine della guerra al 1985, i due
terzi della popolazione italiana oggi vive nelle
città. Nel 1990 e nel 1993 due significative
riforme in materia di governo delle città sono
state introdotte.
L'ultima di queste, che si spera possa essere completata con la inderogabile riforma della pubblica amministrazione, anche locale, ha
introdotto nel nostro Paese l'elezione diretta
del Sindaco. A partire dal giugno dello scorso
anno in quasi tutte le grandi città italiane, e
con esse molti medi e piccoli comuni, milioni
di cittadini hanno scelto direttamente i loro
sindaci.
Tre mi sembrano essere le più importanti
conseguenze di questa riforma.
La prima. L'elezione diretta conferisce ai
Sindaci una rappresentatività indiscutibilmente assai più riconosciuta di quella che essi
avevano quando erano eletti dai Consigli Comunali. Oggi il Sindaco diventa ogni giorno
di più non solo il Capo dell'Amministrazione
municipale, ma il responsabile di una collettività, della città. Con questa maggiore rappresentatività cresce anche la capacità di condizionare gli interventi sul territorio urbano
che prima erano di sostanziale competenza di
altri enti (Stato, Regione per esempio). Crescono anche, ovviamente, la responsabilità e
le attese dei cittadini.
La seconda. I1 mandato di quattro anni
conferito al nuovo Sindaco dà all'Amministrazione il tempo necessario per impostare
un «progetto» di governo della città che non
sia limitato alle emergenze. La durata media
delle amministrazioni in Italia non era superiore ai dodici mesi. Ed io credo che in tut;e
le nostre città la mancanza di stabilità abbia
comportato quella carenza di progettualità
senza la quale non si governano problemi
complessi come quelli delle aree urbane. Assai efficacemente l'urbanista italiano Pierluigi Cervellati, che ho chiamato come consulente per la redazione del nuovo Piano Regolatore-~eneraledi Catania, ha così definito la
condizione delle nostre città: «La nostra epoca
ha assistito alla scomparsa della città, sostituita
da un aggregato urbano in continzra espansione,
che divora il territorio, distvuggendo i caratteri
specifici del centro storico e della campagna, per
ridurre tutto ad una sterminata periferia*. Certo la mancanza di p r ~ ~ e t t u a l i tl'affanno
à,
dell'emergenza, *le pratiche di un mercenario
connubio tra politica e affari, la debolezza
delle Istituzioni di governo, la precarietà de-
gli amministratori hanno contribuito a pro
durre la realtà delle nostre città.
La terza. I1 sistema di affidare al Sindaco e
al1 giunta municipale ampi poteri amministrativi, ed ai Consigli comunali poteri prevalentemente di indirizzo e di controllo può favorire la crescita del canone di efficienza nel governo delle città. In un decennio in cui le risorse finanziarie saranno e sono inevitabilmente contratte, l'efficienza diventa non solo
un canone ordinatorio ma un valore in sè; e
questa connotazione gli deriva dalla necessità
assoluta di non sprecare risorse.
Sono stato eletto Sindaco di Catania nel
giugno dello scorso anno; Catania è la seconda città della Sicilia, sorge ai piedi dell'Etna
e con il vulcano divide la sua storia, fin dalla
fondazione nell'ottavo secolo a.C. È sede di
antica Università, ha una buona tradizione
culturale ed una accentuata vocazione commerciale. Esistono insediamenti industriali
anche in settori innovativi (elettronica, farmaceutica, agroindustria). A metà degli anni
sessanta è esploso, con sempre maggiore violenza, un radicamento mafioso che nei primi
otto mesi di quest'anno ha già causato ottanta omicidi. I1 tasso d i disoccupazione è del
27%, contro una media nazionale del 12;
quello giovanile supera il 40%.
Vorrei offrire alla vostra attenzione le linee guida attraverso cui stiamo operando per
invertire la tendenza e determinare una occasione di rilancio della città. A Catania entro
i confini comunali, vivono 350.000 abitanti;
circa il doppio risiedono nell'area metropolitana (la vera Catania); si segnalano nella città
presenze giornaliere e domande di servizi
non inferiori al milione d i unità.
Lo sviluppo al quale pensiamo è uno sviluppo qualitativo. Le nostre città non devono
più crescere dal punto di vista quantitativo:
si è superato troppo spesso il limite d i guardia. Con il progetto di Piano Regolatore, il
primo dopo esattamente trent'anni dal precedente, che abbiamo presentato, la crescita
quantitativa si riduce ai livelli fisiologici.
Puntiamo alla valorizzazione della città,
della sua storia, dei suoi luoghi deputati, delle sue vocazioni, dei suoi colori, del suo carattere, insomma del nostro cgenus loci». Puntiamo al recupero della capacità abitativa del
centro storico: oggi vi abitano 35.000 residenti, mentre, secondo gli standard europei
accettati, potrebbero risiedervi 120.000 cittadini. Puntiamo su una grande operazione di
restauro e di vivibilità. Già, con iniziative effimere, quest'estate la città si è riappropriata
del suo centro. Migliaia di giovani la sera
hanno rianimato il centro che è diventato
luogo di spettacolo, di iniziative, d i incontri,
di attività. Ed è scomparso quella specie di
COMUNI O'EUROPA
il «che fare)) dell'amministratore
cultura, accogiienza, cooperazione
di José Méndez Espino*
I. Le differenze culturali come forme distinte di intendere il modelio di vita
Le nazioni occidentali hanno sviluppato un
modello di vita e comportamento economico
che si sta prendendo in linee generali come
punto di riferimento da parte di tutti i paesi
arabi. Questo modelio è il frutto di una evoluzione continua di fatti ed avvenimenti, accaduti nel corso d i più di un secolo, che sorgono con la comparsa della rivoluzione industriale, confornìando le basi per un mondo
economico basato sullo sviluppo tecnologico
e la ricerca scientifica applicata. I n questo
mondo sempre più tecnicjzzato, in contrapposizione al quale si pongono le diverse filosofie occidentali, l'uomo sta occupando un
posto sempre più marginale, non già come
elemento del sistema produttivo, bensì come
elemento base della società umana.
I1 carattere umano delle nostre società occidentali si sta perdendo sebbene i progressi
nei vari sistemi sociali siano stati grandi negli
ultimi tempi. L'attenzione sanitaria verso la
popolazione è molto alta, la mortalità infantile si è ridotta a limiti praticamente minimi, la
speranza di vita è in continuo aumento, l'incidenza di un elevato numero d i malattie è diminuito in maniera considerevole, il sistema
educativo raggiunge sempre più persone e
con maggiore intensità, ecc, ecc. Eppure, nello stesso tempo in cui questo accade, ci sentiamo in molti casi incapaci di risolvere nuovi
problemi (vecchi problemi). La società si va
facendo sempre più egoista, la educazione si
orienta verso la preparazione per la produzione e non verso la formazione piena dell'individuo all'interno di un grande complesso che
deve funzionare in maniera efficiente, i valori sociali si incamminano soltanto verso il
trionfo sociale e il possesso di beni, la promozione di vendite si orienta in gran misura verso il prestigio d i possederli o verso stereotipi
artificiali e sorgono nuove malattie, generalmente di tipo neurologico o psicologico, che
pongono in evidenza che il tipo d i vita occidentale ne elimina alcune ma ne crea altre,
che in molti casi sono d i più difficile soluzione e cura.
Questo modello, basato sull'efficienza e la
produzione, la competitività e il progresso
tecnologico, le strategie di produzione e la
massimizzazione del beneficio imprenditoriale, può essere tuttavia non eccessivamente
desiderabile per la sua introduzione in paesi
in via di sviluppo. I n effetti, i paesi arabi si
trovano in qualche modo di fronte alla possibilità d i instaurare questo modello con qualche alternativa che lo renda più attuabile, dal
punto di vista umano e sociale, senza che per
questo si perda il carattere di efficienza economica che devono raggiungere. È chiaro che
* Sindaco di Murcia
COMUNI D'EUROPA
il mondo nella sua globalità continua a svilupparsi lungo una linea, che sarà quella che tracciano i paesi con maggior livello di sviluppo
tecnologico, ed è anche chiaro che il resto dei
paesi tenderanno ad adattarsi alle loro forme
di funzionamento se vogliono competere all'interno del commercio mondiale. Ma è anche certo che gran parte delle risorse naturali
si trova nei paesi in sviluppo e che la maggior
parte della popolazione si concentra in quelli,
ciò che dà la possibilità di stabilire strategie
globali di attuazione che agiscano come freno
all'impostazione generale di sviluppo economico mondiale.
Lo scontro culturale che suppone questo
modello, provoca cambiamenti e problemi irreversibili nella popolazione. In un mondo
dove l'informazione si muove praticamente
alla velocità della luce, e dove raggiunge ogni
angolo del pianeta, è abbastanza chiaro che la
forma in cui si presenta il modello di vita occidentale, per esempio attraverso la televisione, può essere molto attraente per molti giovani che non trovano questo tipo d i vita intorno a loro, e questo provoca tensioni di
molte classi. Tensioni che possono andare
dalla propria insoddisfazione personale di
fronte a mete irraggiungibili e che possono
degenerare in problemi sociali tanto di un
estremo come di un altro, fino a provocare intense domande e processi di emigrazione nell'attesa d i incontrare opportunità di impiego
e di livello di vita. Tuttavia quest'ultima è in
questi momenti una alternativa che si potrebbe qualificare difficile da molti punti di vista.
Da una parte per la difficoltà che comporta
l'integrazione di un mondo culturalmente diverso, fatto che non è in assoluto da disprezzare, soprattutto dalla prospettiva della unione ed integrazione delle unità familiari di immigranti. D'altra parte, il mondo occidentale
e in primo luogo l'Europa, si trova d i fronte
ad una delle crisi d i impiego più alta della sua
storia. I n relazione alla disoccupazione, sebbene il suo tasso nei vari paesi europei è molt o diverso, si può parlare dell'esistenza di un
problema comune che riguarda i paesi della
UE. La soluzione a questo problema non solo
è difficile ma sembra perfino impossibile, dato che solamente si desidera, nei prossimi anni, ridurre il livello di disoccupazione a livelli
che si potrebbero definire sopportabili, ma in
nessun caso si sono stabilite politiche che la
possano eliminare. Di fronte a questo insieme
di questioni, che è necessario citare solamente come appunto e idee per la riflessione, pensiamo che il ruolo che possono esercitare le
città può essere d i particolare interesse. È
chiaro che i grandi problemi ed idee che abbiamo appuntato devono essere affrontati necessariamente da una prospettiva globale,
non solo a livello nazionale o d i paese bensì
a livello d i aree geografiche e d i organismi internazionali. Tuttavia, consideriamo che le
città in questo aspetto possono agire come
promotrici di idee ed attività, di fatti e situazioni che servano di riflesso e apportino il necessario effetto dimostrazione che molte volte è necessario per convincere della bontà di
un procedimento. I n questa linea pensiamo
che possano muoversi le nostre azioni e per
quello la cooperazione tra città deve inquadrarsi in questo contesto.
Logicamente la cooperazione può rivestire
molti ordini e aspetti, ma concretamente in
quelli corrispondenti a cooperazione economica e tecnica si potrebbero sviluppare diverse esperienze.
Il. La città ambito di accoglienza
dell'immigrante
Nonostante un remoto passato comune, il
Mediterraneo appare oggi come un'area disuguale, non solo nell'ambito culturale e religioso; ma anche in quello economico e demografico esiste una chiara differenza tra le sponde
Nord e Sud.
L'Europa mediterranea ha raggiunto un alto grado di sviluppo economico e presenta un
fenomeno di ristagno del tasso di Crescita della popolazione. L'aumento dei livelli di rendita dei suoi cittadini, insieme ai sistemi di protezione sociale, cosi come l'invecchiamento
della popolazione, sta dando luogo alla esistenza di sicura offerta di impiego che appena
si copre con la domanda autoctona.
Allo stesso tempo, nei paesi arabi, se si
mantengono alcuni tassi demografici elevati,
le piramidi della popolazione sono complementari a quelle europee e i livelli di attività
e rendita si trovano a grandezze molto lontane dai loro vicini del Nord. D i conseguenza
esiste una forte tendenza migratoria in senso
sud-nord che fino ad ora non ha potuto contrastare, in alcun modo, il flusso d i capitali
nord-sud. Così, l'emigrante magrebino è parte del paesaggio umano, tanto urbano come
rurale delle nostre terre.
Questo emigrante giovane, di scarsa formazione professionale, con difficoltà di comunicazione per ragioni di lingua e culturali,
non soffre solamente l'emarginazione oggettiva che comporta la sua occupazione in lavori rifiutati dagli europei, ma può inoltre soffrire il rifiuto da parte della società che lo accoglie che lo può trasformare in capro espiatorio dei suoi propri problemi: la disoccupazione e in qualche caso la delinquenza.
Questi problemi che possono mancare di
base reale, insieme alla necessità d i una integrazione lavorativa piena, la soddisfacente
soluzione dell'habitat o la totale e piena integrazione sociale possono stabilirsi nell'amministrazione più vicina al cittadino, e nel suo
oggetto di interesse, la città.
Deve essere un ambito d i accoglienza dell'immigrante e dotarsi d i strutture adeguate e
servizi di aiuto.
OTTOBRE 1994
Durante gli ultimi anni, la Spagna è passata
ad essere un paese «esportatore» di emigranti
a ricevente di immigranti. Le nostre città, tra
cui Murcia, assistono all'arrivo di uomini (a
volte intere famiglie) che provengono principalmente dal Magreb arabo, come l'Algeria e
il Marocco.
La lingua araba, come nel passato, torna ad
essere familiare nelle nostre strade e campagne. Ma ora ritorna a quella che un giorno f u
la sua patria in cerca della sopravvivenza. Ciò
porta ai comuni una serie di problemi che bisogna cercare di risolvere con efficacia e generosità, con uno spirito solidale e tollerante.
Tra le altre cose per la nostra tranquillità futura, dato che chiudere gli occhi alla difficile
situazione che si vive oggi in questi paesi può
risultare drammatico nel futuro per gli stessi
spagnoli, obbligati a convivere con i nostri vicini del sud.
Ma finiamo di fare riferimento all'arrivo di
immigranti magrebini alle nostre città tra cui
quella di Murcia. E come segnalammo al
Principio del nostro intervento, giungono
non già come conquistatori né come rappresentanti di una cultura di prestigio o in
espansione, bensì in ricerca di ciò che è più
elementare: il pane dell'esistenza. Sono portatori di drammi personali e si vedono forzati
al più triste degli esili: quello economico.
Per questo, senza dimenticare il nostro
splendido passato comune, conviene che questo passato non ci faccia dimenticare la realtà
presente. A me, come Sindaco di una città
che ha ereditato dalla sua storia lo spirito generoso e tollerante, mi piacerebbe commentare e proporre qui una serie di misure concrete
che potremmo portare a termine, insieme con
quelle che già stiamo mettendo in pratica, per
coprire per quanto possibile la lacerazione e
lo sradicamento culturale che sopportano gli
immigranti, i problemi di lavoro, d i educazione o di razzismo. I cittadini hanno visto con
una certa <(sorpresa»come, negli ultimi anni,
hanno nuovi vicini: gli immigranti magrebini.
La sorpresa iniziale si è trasformata, nonostante l'aperto e affabile carattere mediterraneo, in una certa «diffidenza» posteriore, basata - senza alcun dubbio - sul disconoscimento dell'altra cultura.
I1 ruolo che i Comuni devono svolgere in
questa nuova congiuntura sociale è tanto importante come logico. Gli arabi collaborano
alla creazione di ricchezza nei nostri popoli
attraverso il loro lavoro, pagano le loro imposte e contribuiscono alla Sicurezza sociale, sono clienti di avvocati e notai, ccnsumano i
nostri prodotti.. . Noi risponderemo trattandoli come cittadini di pieno diritto.
Due tipi di azioni si vanno sviluppando dai
comuni mediterranei per correggere e trasformare la diffidenza in convivenza solidale: da
un lato le campagne di «sensibilizzazione»;
dall'altro quelle di «accoglienza».
Le campagne di sensibilizzazione sono dirette tanto ai cittadini, come ai rappresentanti municipali nei quartieri, e perfino ai rappresentanti dell'ordine pubblico.
Per i primi si sono realizzat'e a livello statale e anche a livello locale. Ricordiamo quelle
che avevano come slogan: «Anche loro sono
di casa», «Democrazia è uguaglianza», «Verso
OTTOBRE 1994
l'immigrante apri le braccia, non chiudere gli
occhi», o quella del «Passaporto contro il razzismo». Un altro tipo di campagne di sensibilizzazione - a Murcia - sono quelle realizzate direttamente in collettivi diversi (associazioni, studenti...), attraverso la «Piattaforma per la solidarietà con gli immigranti>>,
composta dalle Organizzazioni Non Governative, che riceve l'appoggio municipale.
Altre campagne di sensibilizzazione si portano a termine con i Presidenti delle Giunte
Municipali, a Murcia. Alcuni mesi fa a Murcia, attraverso la Piattaforma e il Consiglio
citati in precedenza, si sono riuniti i rappresentanti della popolazione di 59 quartieri in
una «Giornata sull'immigrazione magrebina», dalla quale sono emerse proposte concrete di attività rivolte a favorire l'integrazione
degli immigranti.
Ai responsabili dell'ordine pubblico, e ai
funzionari in genere, dovranno essere dirette
campagne di sensibilizzazione, basate soprattutto sull'informazione e la conoscenza della
cultura araba.
Le altre attuazioni che dal governo municipale si portano a termine, quelle che chiamiamo di «accoglienza», devono continuare fino
alla totale integrazione degli immigranti in
questa società. Alcune si realizzeranno puntualmente, ma il lavoro di accoglienza è un lavoro continuo, il cui fine è facilitare l'accesso
della popolazione immigrante agli stessi servizi municipali dei quali fruisce il resto dei
cittadini.
Fra queste si include l'appoggio a prograxnmi educativi di adulti proposto dalle Organizzazioni Non Governative, che dispongono di
volontariato efficace e altruista. (Per i bambini il Ministero delllEducazione e Scienza ha
il suo Programma di Educazione Interculturale).
A Murcia, inoltre, il Consiglio Municipale
dei Servizi Sociali patrocina, insieme al Governo Regionale, un programma radio giornaliero, trasmesso in spagnolo ed arabo in emittente pubblica. Questo spazio radiofonico,
«Riunione tra fratelli», pretende di facilitare
l'integrazione dei magrebini, attraverso l'informazione e la cultura. Notizie, classi di spagnolo, interviste, temi culturali, così come informazione costante di qualunque argomento
di loro interesse (permessi di residenza, scadenze, Sicurezza sociale, cambio della patente di guida, ricongiungimento familiare.. .),
hanno fatto di questo programma uno strumento realmente utile, poiché è seguito dalla
grande maggioranza degli immigranti magrebini. È inoltre, un punto di riferimento per
tutti quegli spagnoli interessati alla cultura
araba.
L'accesso alla cultura, allo sport (al quale
bisogna prestare particolare attenzione, e che
rappresenta un «luogo d'incontro» che facilita l'amicizia, il rispetto e la convivenza tra i
giovani), alla sanità o ai servizi sociali municipali, sarà per gli immigranti così facile come
lo è per gli altri cittadini. Le Organizzazioni
Non Governative diventano imprescindibili
in questo punto, dunque, per godere di un diritto, l'immigrante deve essere informato del
fatto che può farlo.
Dal Comune, attraverso sovvenzioni, si dà
appoggio alle associazioni d'immigranti - e
miste - che lo richiedono, dato che è ovvio
che essere parte di un gruppo associato ha
vantaggi che facilitano l'integrazione nella
società.
Per quanto riguarda le attuazioni puntuali,
concrete, potremmo parlare dalla concessione
di un locale per riunioni, fino alla preparazione nel cimitero di un posto di sepoltura specifico per gli arabi, facilitando - se è richiesto
- uno spazio che possa essere utilizzato come moschea.
Ma ciò che ora è più urgente, ciò che ci
preoccupa, sono le difficoltà che incontrano
gli immigranti nel trovare un'abitazione da
affittare. Molti di loro hanno già sollecitato
il ricongiungimefito familiare e hanno bisogno di dimostrare di disporre di una casa degna. Finché la popolazione spagnola accetta
totalmente la presenza degli arabi, i poteri
municipali hanno l'obbligo «morale» di aiutarli. Nella «Giornata sull'immigrazione magrebina» citata anteriormente, si suggerì la
possibilità che i Comuni avallino i contratti
di affitto, affinché sia impossibile qualsiasi
reticenza da parte dei proprietari. Questa
esperienza, che già si è portata a termine in
qualche popolazione, si potrebbe integrare se fosse necessario - con un'assicurazione su
mobili ed arredi che firmerebbe direttamente
il Comune attraverso il suo programma di
servizi sociali.
111. Cooperazione educativa
Nell'ambito educativo, le esperienze di
cooperazione potrebbero essere ampie, comprendendo quelle propriamente in relazione
al sistema educativo e soprattutto quelle corrispondenti a formazione professionale ed
universitaria, fino a quelle più specifiche relazionate con aspetti culturali, ambientali, linguistico, urbanistico o turistici.
Stabilire e promuovere accordi di collaborazione in questo ambito può essere del maggior interesse, per il conseguimento di due
obiettivi, in primo luogo promuovere la reciproca conoscenza dallo scambio di persone
che aiutino a divulgare forme di vita differenti. I n secondo luogo, contribuire a migliorare
la formazione dei giovani, soprattutto quella
d i coloro che vivono nei paesi arabi. Così,
possiamo realizzare e promuovere corsi specifici di formazione, nell'ambito educativo, in
tutti gli ordini. I n concreto, pensiamo che in
molte delle nostre città esistono importanti
centri universitari. Mediante questi si possono realizzare accordi multicittà e multicentro, grazie ai quali si realizzi una adeguata
pianificazione di corsi ed attività nell'ambito
universitario, specializzando ogni città ed
università in un tipo di corso.
Come dalla prospettiva universitaria si può
stabilire questa collaborazione, probabilmente con maggior semplicità, dato il carattere
più dinamico ed aperto di questi centri, sarebbe anche desiderabile promuoverli da altre prospettive. L'insegnamento professionale è senza ombra di dubbio l'asse e colonna
vertebrale per ottenere una adeguata manodopera qualificata. I n questo aspetto, si posCOMLINI D'EUROPA
sono stabilire ugualmente iniziative di collaborazione in scambi d i alunni, professori,
coordinatori d i centri d'insegnamento,
ecc ...che aiutino a migliorare le condizioni ed
i metodi che si impartiscono.
I n questa linea di cooperazione educativa,
non c'è dubbio che I'istituzionalizzazione
della cooperazione può avere una maggiore
introduzione se si stabiliscono centri permanenti di collaborazione. Sarebbe il caso di
istituzioni del tipo di centri di studio e formazione, che potrebbero tenere attività aperiodiche e temporali, mentre in altre occasioni potrebbero agire come meccanismi conduttori di iniziative ed esperienze in quest'ambit o (promuovere riunioni e congressi, promuovere corsi di esperti, attrarre risorse comunitarie per realizzare studi ed esperienze, ecc.).
IV. Cooperazione tecnica
La specializzazione economica e produttiva d i molti paesi arabi si incammina verso lo
sviluppo di attività produttive basate sull'elaborazione di prodotti agroalimentari. Su questa linea, lo sviluppo di industrie agroalimentari di ogni tipo è senza dubbio un obiettivo
preferenziale di molti paesi arabi. I n questo
caso, l'esperienza di diversi paesi europei e
concretamente il caso della Spagna, può essere particolarmente utilizzabile. La collaborazione e cooperazione in questo senso verrebbe offerta dalla messa in moto d i linee ed iniziative che, attraverso il concetto di città,
metterebbero in collaborazione imprese ed
imprenditori di settori affini per raggiungere
questo obiettivo.
Mentre l'industria agroalimentare spagnola (europea in generale), si trova in fase di riconversione per ottenere prodotti più competitivi, basati sul trinomio qualità, prezzo e design, l'industria agroalimentare dei paesi arabi deve vivere in primo luogo la fase di capacità ed efficienza per il rifornimento e le domande della sua popolazione. Per ciò, sono
due aspetti complementari di uno stesso settore produttivo che in qualche modo gli evita
di entrare in competizione diretta. Questo
suppone che le prospettive di collaborazione
qui sono molto elevate e che, inoltre, la tecnologia produttiva con cui sta lavorando in
questi momenti nel nostro paese può essere
esportabile verso i paesi arabi, sebbene lì possano esistere insufficienze di tipo infrastrutturale importanti (come sarebbe il caso della
energia elettrica industriale adeguata, il personale qualificato, rifornimenti complementari o questioni di tipo sanitario ed amministrativo).
La ricerca di settori industriali nei quali
questa cooperazione possa andare avanti è un
obiettivo da conseguire e per quello possono
costituirsi gruppi di lavoro che elaborino un
catalogo di settori aperti alla collaborazione,
catalogo che deve essere elaborato dalla prospettiva dell'esistenza di imprese ed imprenditori aperti a questa impostazione e che
comprende non solo questa questione ma anche la possibilità di realizzare investimenti ed
acquisizione di risorse.
La complementarità di molti settori sta
COMUNI D'EUROPA
dando luogo al fatto che si stanno realizzando
già molte esperienze di divisione internazionale del lavoro, all'interno di una stessa impresa o gruppo d i imprese. Questo si sta verificando in settori come quello agroalimentare
già menzionato, ma anche in altri che sono
particolarmente intensivi di manodopera, come è il caso della industria tessile, prodotti
chimici semilavorati, calzature, concia, alimentazione animale, ecc.. . I n questi casi, è
abituale la creazione d i centri d i produzione
basica nei paesi arabi, in quanto la distribuzione e commercializzazione finale si effettua
dai centri europei. Sebbene sia evidente che
questa è una politica imprenditoriale non sostenibile a lungo termine, non è meno evidente che contribuisce efficacemente a conseguire nei paesi arabi due obiettivi essenziali:
creazione d i impiego ed effetto-apprendistato. Con questa prospettiva, le città possono fare molto, dalla loro vicinanza al mondo
imprenditoriale reale, per canalizzare l'offerta e domanda d i investimenti in settori e localizzazioni concrete.
Nell'ambito tecnologico, non solo è necessario parlare delle tecniche di produzione, ma
anche dei mezzi e della gestione. I n molti
paesi e città esistono già Scuole di Affari, che
tengono corsi di formazione manageriale e
gestione di imprese. I n questo senso, è necessario ammettere che il progresso economico si
deve stabilire nella creazione e proliferazione
di piccole imprese che costituiscano un'intelaiatura produttiva adeguata. Per questo, si
determinano non solo iniziative imprenditoriali ma anche di gestione di piccole imprese.
Per questo, promuovere corsi e soprattutto
far giungere al mondo arabo esperienze concrete di funzionamento di piccole imprese potrebbe servire all'interno di questo quadro
generale di cooperazione.
Con tutto ciò, tutte le questioni che stiamo
commentando mancano di senso se non si conosce previamente il funzionamento amministrativo, fiscale, lavorativo e normativo in generale in ciascuno dei paesi interessati. I n
molti casi le idee imprenditoriali possono essere buone, ma non possono essere attuate in
pratica per problemi di altro tipo (mancanza
di personale adeguato, mancanza d i infrastrutture, problemi amministrativi di difficile
soluzione, ecc.). Per questo, in tutti i casi che
stiamo commentando, di possibili esperienze
di collaborazione, non c'è dubbio che un fatto essenziale è quello della conoscenza del
contesto economico, sociale e amministrativo
nel quale si devono sviluppare gli investimenti, la qual cosa costituisce un'informazione
essenziale della quale si dovrà disporre.
I1 commercio internazionale è senza dubbio l'obiettivo d i un gran numero di imprese.
Le iniziative e la conoscenza dei mercati esteri, normative ed esperienze, possono essere
di grande utilità per sviluppare imprese capaci e competitive. I n questo senso, città come
Murcia, dove si concentra una grande capacità di esportazione spagnola, orientata verso i
mercati europei, possono aiutare a promuovere scambi di questa natura. Nel nostro caso si
stanno sviluppando di continuo corsi di formazione in commercio estero, che senza alcun dubbio potrebbero essere allo stesso tem-
po iniziative di interesse futuro.
Lo scambio di esperienze di tipo amministrativo e di gestione municipale (depuratori,
pompieri, sanità, ispezione di consumo, normativa ambientale, funzionamento dei servizi, licenza di apertura, polizia municipale,
ecc...).
Proposta sul paragrafo di «Le città ' palestinesi di fronte ai cambiamenti».
-
Trattandosi d i un tema così specifico, e in
continua evoluzione, senza che esistano tuttavia interlocutori definiti, e che allo stesso
tempo porta con sé alcuni problemi praticamente «di Stato», credo che il tema oltrepassi
la capacità municipale. Per questo, la mia
proposta sarebbe la creazione a partire da
questo Congresso Euro-arabo di Città di un
gruppo di lavoro intermunicipale (canalizzato
attraverso il Consiglio d i Comuni e Regioni
d'Europa) che stabilisca contatti con rappresentanti dell'attuale autogoverno palestinese
e i rappresentanti locali israeliani.
Da questi contatti nasceranno proposte
concrete di collaborazione da parte degli stessi palestinesi, affinché l'aiuto delle città europee risponda a necessità reali, evitando così la
duplicazione di azioni e facilitando al massimo qualsiasi proposta umanitaria, educativa
o tecnologica.
Un esempio di questa cooperazione potrebbe essere la formazione professionale in campi come l'agricoltura, i servizi, e in generale
uffici diversi (impianti idraulici, elettricità,
elettronica, informatica.. .).
Negli anni di esilio, il popolo palestinese
ha cercato di formare nel campo della medicina, ingegneria, avvocatura, ecc.. .molti dei
suoi giovani, per quanto sarebbe forse più interessante incidere nel campo della formazione professionale.
I comuni potrebbero assumere in modo
speciale (al margine di altri aiuti umanitari
puntuali), la formazione di archeologi ed
esperti nella conservazione del patrimonio
storico. Potrebbe anche collaborare con l'insegnamento delle nuove tecniche applicate alla agricoltura mediterranea di terreno arido.
Non vorrei dimenticare il problema economico di dotare di tesoreria il Governo palestinese per le spese iniziali d i dotazione della
sua amministrazione e quelle di funzionamento. Credo che attraverso il I.C.M.A. del
Ministero degli Affari Esteri spagnolo potrebbero autorizzare con contributi municipali il totale di denaro che necessitano per
iniziare il loro funzionamento.
m
Un dovere
Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è un dovere
individuale per tutti gli amici e i colleghi. Per
gli Enti è un dovere abbonare tutti i loro consiglieri eletti.
Da questi impegni, in realtà, si verifica la
coerenza dell'impegno europeo e federalista:
questo impegno «Comuni d'Europa», che si
stampa col '94 da 42 anni, lo merita. Lo meritano la sua capacità di informare, la spregiudicatezza dei suoi giudizi, la cultura dei suoi collaboratori, la sua coerenza federalista.
'
OTTOBRE 1994
un Mediterraneo lago di pace
Federazione europea e rivoluzione culturale
di Umberto Serafini
Questa «relazione» è stata distribuita all'inizio
della Conferenza a tutti i delegati, nelle lingue
inglese, fvancese, spagnola ed italiana, ed è stata
esposta in sintesi nell'intervento orale che Serafini ha tenuto nella seduta conclusiva per conto
del CCRE.
.
*
4.
Una mattina di mezzo settembre di cinquantanove anni fa arrivai a Valencia. Ero
sbarcato da una nave da carico a E1 Grao,
avevo diciannove anni e, venendo da un Paese fascista, anzi dalla patria del fascismo, ero
felice di respirare per la prima volta l'aria di
una città libera di un Paese democratico. Dall'antifascismo generico mi ero convertito da
non molto al federalismo sovranazionale, la
cui premessa per l'Europa implicava I'incontro di Paesi democratici: quindi la caduta del
fascismo e del nazismo. In quell'anno 1935 - il Governo inglese firmò il patto navale con Hitler.
Frattanto il governo italiano preparava la
guerra etiopica, contro la quale mi ero già scagliato come studente, guerra che fu condotta
nel modo criminoso che tutti sanno. Conquistato il cosiddetto «Impero», Mussolini, d'accordo con Hitler, aiutò un generale coloniale
spagnolo ad attaccare e distruggere la giovane
Repubblica nata nel 1931. Mentre fascisti e
nazisti intervenivano accanto al generale
Franco, i governanti della Francia nazionaldemocratica rimasero fedeli, con palese viltà,
alla politica del «non intervento». La storia
successiva, relativa al secondo conflitto mondiale, è nota, anche se è meno noto il federalismo della parte più autonoma della Resistenza europea al fascismo e al nazismo: lo storico
più completo di questo spontaneo, imponente
movimento federalista è il tedesco Lipgens,
mentre l'episodio più commovente, che può
risultare emblematico per noi tutti, è quello
dei ragazzi della Weisse Rose, che volevano
pace e federazione europea e furono tutti decapitati da Hitler.
Naturalmente l'obiettività storica richiede
l'espressione di gratitudine di tutti gli uomini
liberi per la valorosa difesa dell'isola, dopo la
rotta di Dunkerque, da parte del Regno Unito, e la morte di otto milioni di soldati sovietici: senza ciò, il delirio nazi-fascista non sarebbe stato bloccato e senza la libertà l'ipotesi federalista sarebbe stata rinviata a tempi
futuri, anche lontani. Ma il Regno Unito, dopo che, su suggerimento di Jean Monnet,
Churchill propose ma vide respingersi da parte della Francia, che stava soccombendo, l'offerta di unione federale binazionale, si preoccupò piuttosto di una alleanza atlantica, senza prospettive federaliste, mentre l'URSS,
che già con Lenin - fin dalla prima guerra
mondiale e malgrado Trotsky - aveva respinto la parola d'ordine degli Stati Uniti
d'Europa, era prigioniera ormai del bonapartismo rosso di Stalin.
OTTOBRE 1994
Ma prima di continuare questa storia della
proposta federalista e dell'opposizione, ora
a p e r t a o r a subdola, della nazionaldemocrazia, lasciatemi fare ancora un passo
indietro. La nave da carico, che mi aveva portato a Valencia, mi portò in quattro porti dell'Africa settentrionale, Tunisi, Algeri, Orano, Casablanca. Visione troppo rapida per
una comprensione di un rapporto euro-arabo
(nella fattispecie franco-arabo), ma sufficiente a indurre il giovane neofita federalista a
una prima riflessione: sotto un regime all'apparenza bonario era chiara l'alterigia etnica
europea rispetto a una popolazione, depressa
quanto volete, ma appartenente a una grande, storica civiltà e prevalentemente seguace
di una grande religione dell'umanità. Si aveva la sensazione che, per ottenere il rango di
uomini interamente liberi e rispettati, non rimaneva - e per pochi privilegiati - che lasciarsi interamente assimilare. I n fondo mi si
confermarono i sentimenti di quando ero un
ragazzo e parteggiavo con tutto il cuore col
patriota («ribelle», per gli europei) del Rif,
Abd el-Krim, che tenne lungamente in scacco
spagnoli e francesi: avevo nove-dieci anni,
avevo letto la storia di libertà del Risorgimento italiano e dovetti litigare con mio zio
fascista (l'omertà tra'europei, solidali nelle
cattive azioni, era abituale, nazional-fascisti
o nazional-democratici che fossero).
Ma questa esperienza non fu la più pesante. Poco più di quattro anni dopo, feci la
scuola-ufficiali di complemento in Cirenaica
e il campo d'armi nel nodo carovaniero di Soluch, nel sud bengasino. Qui appresi - da
arabi e da italiani residenti - il comportamento delle truppe italiane e del generale
Graziani nella cosiddetta «riconquista del gebel cirenaico» agli inizi degli anni trenta: cose
che anche gli italiani attuali non vogliono sapere o ricordare. A Soluch fu impiccato
Omar al-Muktar, il pio musulmano ed eroico
capo della Resistenza senussa: ma (queste statistiche sono sempre approssimative, più
spesso per difetto) nella «riconquista» furono
uccisi o morirono di stenti nei campi di concentramento sessantamila (donne e bambini
compresi) su duecentomila cirenaici. Non basta: chi fuggiva da un campo di concentramento e veniva ripreso, era sovente cosparso
di benzina e bruciato vivo al cospetto della
sua cabila. C'è dell'altro: non di rado, i cirenaici catturati e indirizzati ai campi di concentramento venivano uccisi prima di arrivare all'obiettivo, poiché ci si divertiva a buttarli da aerei a bassa quota e a vederli spiaccicare al suolo.
Estendiamo il discorso, per trarne lumi sui
rapporti euro-arabi di oggi. Torno - l'ho già
fatto a Taormina l'anno scorso, alla terza
Conferenza delle Regioni mediterranee - a
citare un grande studioso del mondo arabo,
Francesco Gabrieli (liberale, per chi volesse
saperlo). Gabrieli ha scritto: «Tra la fine dell'ottocento e i primi del Novecento, gli Arabi impararono.. . alla scuola d'Europa l'amor
di patria germogliante dal senso moderno della nazionalità, e insieme la sua esasperazione
nel nazionalismo; l'ideale della indipendenza
dallo straniero, congiunto mazzinianamente
in un primo tempo con quello della interna libertà e della democrazia, si andò poi facendo
più povero, aspro ed esclusivo, nella durezza
della lotta, per effetto della involuzione che
quell'ideale subì poi nell'Europa stessa. I primi apostoli del nazionalismo arabo.. . svilupparono i loro ideali su linee prettamente ottocentesche, di libertà indipendenza democrazia saldamente intrecciate. Ma quando 1'Europa dette l'esempio dello sciogliersi di una
tale associazione, gli Arabi ancora a mezza
strada nella loro battaglia per l'indipendenza
sacrificarono anch'essi a quell'unico scopo
ogni altra istanza, e ammirarono e scimmiottarono i totalitarismi dell'avanzato Novecento.. ..» Gabrieli incalza: «Come l'occidente,
nella prima grande guerra, sfruttò ipocritamente a vantaggio del proprio imperialismo
l'anelito d i libertà e indipendenza degli Arabi, così nelle crisi di questo dopoguerra ha
cercato di accaparrarsi le simpatie e i favori
(non ultimo, la sfacciata ricchezza del petrolio), in funzione non già di libertà e giustizia
per tutti, ma delle proprie rivalità e debolezze ....» Lasciatemi aggiungere che gli europei
guardarono in questo dopoguerra alla crescita
di Israele come a uno scarico della propria coscienza dopo l'Olocausto, ma non ne garentirono, semplicemente e seriamente, l'esistenza, il che avrebbe permesso di chiedere senza
esitazioni in pari tempo la formazione di uno
Stato palestinese e di evitare il terrorismo,
che ha trovato i suoi militi nei déracinés. I n
sostanza Arabi ed Ebrei, vittime entrambi
degli Europei, e talvolta loro strumento per
operazioni legate ai propri contraddittorii interessi, si sarebbero dovuti - e non è un paradosso - rivolgere uniti agli Europei e chiedere loro le garanzie per un nuovo e giusto ordine del Mediterraneo e del Vicino Oriente:
ma l'Europa integovernativa - somma o
compromesso fra interessi nazionali, legati alla ragion di Stato e spesso contrastanti non poteva, come non può tuttora, partecipare coerentemente e credibilmente alla costruzione di questo nuovo ordine. Comunque le
parole di Gabrieli vanno approfondite, anche
in funzione di quella parte di colonialismo diretto - a cui mi sono riferito poco fa - che
ha dato luogo successivamente a una decolonizzazione senza prospettive, senza un riferimento a un ordine internazionale accettabile
per tutti: ciò emerge ancora più chiaramente
dopo la caduta del muro di Berlino e in un
anarchico assetto internazionale multipolare.
Ritorniamo all'Europa, cioé ad uno dei due
soggetti di un qualsiasi dialogo euroarabo,
COMUNI D'EUROPA
'
nella speranza - che è un'esigenza - di poter contribuire a costruire insieme un nuovo
ordine planetario. Conclusa la guerra in Europa - quella in Estremo Oriente si concluse
, un mondo stremato,
poco dopo, ~ o n e n d oin
il terribile problema della bomba atomica e
dell'«ultima spiaggia» - l'America di Roosevelt (Franklin Delano era morto nel 1945) abbandonò definitivamente la dottrina di Monroe, ribadendo una responsabilità internazionale che aveva già assunto, sia pure con alti
e bassi, almeno con il primo conflitto mondiale. 11 5 giugno 1947 George Marshall affermava nel famoso discorso alla Harward:
«È logico che gli Stati Uniti facciano tutto
quanto è in loro potere per favorire la instaurazione di sane relazioni economiche nel
mondo, senza le quali non vi può essere né
stabilità politica, né pace sicura»; e rivolgendosi all'Europa: «Una cosa è chiara già ora:
prima che gli Stati Uniti continuino i loro
sforzi per il miglioramento della situazione e
possano contribuire al processo di risanamento del mondo europeo, i paesi d'Europa debbono raggiungere un'unione fra di loro.» Le
proposte unitarie degli USA trovarono il sabotaggio di sedici governi europei interessati,
talché ne venne poi fuori soltanto l'aborto
dell'OECE: al movimento federalista della
Resistenza europea replicarono i rappresentanti ufficiali di una vecchia Europa - quella
del colonialismo eccetera -, che non voleva
rinnovarsi ed era succube di burocrazie nazionali indistruttibili, di interessi costituiti
contrari all'autentico interesse generale - di
ciascuno e dell'Europa -, di partiti tradizionali incapaci d i pensare il presente. Lo slancio federalista tuttavia non morì: alcuni statisti sganciati dalla mediocre voutine del potere
cucinato in casa - Robert Schuman, De Gasperi, Adenauer, Spaak .... - e alcuni loro
grandi suggeritori - Jean Monnet, Altiero
Spinelli.... - avviarono comunque un processo unitario, aiutando e aiutandosi coi movimenti federalisti: fra questi il più importante, il più diffuso, l'unico capace di agire concretamente alla base della società europea, fu
il CCRE, promosso nel 1950, nato nel 1951.
Qui senza dubbio i colleghi inglesi mi ricorderanno un loro grande storico, il Seeley uno dei padri ottocenteschi del federalismo
-, che polemizzando a metà del secolo coi
pacifisti criticava la loro posizione generica,
voleva istituzioni federali, cioé comuni, rispettose dell'autonomia delle parti ma garanti di una solidarietà reale e capaci di operare
una sintesi sovranazionale. Ma - aggiungeva
- i governi nazionali non saranno mai capaci
di realizzare il federalismo, se una forza popolare e organizzata non li costringerà. Qui si
vede la responsabilità enorme del CCRE, che
mai come in questo momento ha avuto la missione di denunciare l'ambiguità dei nostri governi, il ricatto dei partiti tradizionali nei riguardi delle elezioni europee, il fatto che
l'Europa - e con essa i suoi Stati - è ogni
giorno meno credibile: e di questo, sono certo, sono persuasi gli amici Arabi, preoccupati
come noi del ritardo nel dar mano a un nuovo
ordine planetario, assolutamente più giusto,
economico, sociale, politico. Si renda conto il
CCRE che ha il compito preliminare di dar
COMUNI D'EUROPA
vita a un «fronte democratico europeo» (come si intuì agli Stati generali di Roma del
1964), ma altresì di condurre ogni sua azione,
anche settoriale, nella prospettiva della Federazione sovranazionale. Gli amici impegnati
nel Comitato delle Regioni e dei Poteri locali
faranno bene a tener presente il pensiero di
un grande urbanista e regionalista scozzese,
Patrik Geddes, l'autore del classico «City development»: di lui ha scritto un fedele commentatore che «his regionalism had wider
connotations than the narrow separatist
ideal. Scotland, for Geddes, was an entity
made up of different regional units and set
within a British and European framework.
Nationalism without internationalism was
unthinkable ....» I n poche parole c'è tutto: dal
principio di sussidiarietà - da ricordare ai
fautori della «sovranità regionale illimitata»
- alla prospettiva europea e sovranazionale:
il Comitato è stato inventato dal CCRE come
un elemento della battaglia federalista.
H o citato a questo punto gli amici Arabi,
perché volevo arrivare a una strategia comune, nella quale l'avvenire della città ha un
ruolo determinante. Gorbacev - uomo di
grandi meriti non sempre riconosciuti - ha
avuto una felice espressione: «occorre la democrazia dell'interdipendenza planetaria».
I n parole povere la violenza non paga, per religiosi e per laici, e la semplice diplomazia
non serve molto. Con la dissoluzione del1'URSS siamo passati dall'equilibrio del terrore al terrore senza equilibrio. Gli europei
poi, con incredibile faccia tosta, hanno il terrore del fondamentalismo islamico, senza a
loro volta rinnovarsi e battersi il petto per il
terrore e l'orrore che hanno disseminato nel
mondo: l'inesistenza di una Unione europea
effettiva - cioé federale - non pare preoccupare prioritariamente i nostri governi, come non pare che sentano la vergogna di essere stati la concausa della tragedia iugoslava,
dove hanno agito ancora una volta separati
interessi nazionali. Guardano inebetiti alla
Bosnia, ai suoi musulmani come a tutti coloro
che sono stati trascinati - fossero croati o
serbi - in un ennesimo caos balcanico, da tiranni d'occasione, spesso ex stalinisti o ex nazisti: scordano che una grande scommessa dei
nostri nonni all'inizio del secolo e anche prima era l'unione democratica e pacifica (federale?) degli Slavi del Sud: e slavi sono anche
i musulmani della Bosnia. Gli Europei si contentano di vendere armi, apertamente o sottobanco, armi che servono a uccidere tutti i
deboli della Terra. In questa situazione mi ha
colpito l'intervista rilasciata recentemente da
uno dei leaders dei «Fratelli Musulmani», Ahmed Fif-e1 Islam Hassan el-Banna. A parte alcune sue affermazioni, che sono interessanti
a proposito della Conferenza del Cairo sulle
«politiche della popolazione e la cooperazione
allo sviluppo» (il diritto tradizionale islamico
è storicamente tollerante sulla contraccezione, ma - dice l'intervistato - «c'è una grand e differenza tra il controllo delle nascite prima del concepimento e dopo. Noi sappiamo
- aggiunge - che 120 giorni dopo il concepimento l'anima scende nel feto: lo spirito è
arrivato, strapparlo da quel corpo è assolutamente proibito .... Si può giustificare l'aborto
solo per salvare la vita della madre»), questo
leader integralista sostiene: «Piuttosto che venirci a ~ a r l a r edi ~ianificazionefamiliare e di
sistemi di sviluppo studiati a tavolino chissà
dove, perché i Paesi occidentali non smettono di ostacolare la nostra rinascita? Perché ci
trascinano nelle loro guerre.. .., perché non
cancellano i debiti che ci hanno imposto con
le loro politiche neo-colonialiste?» E continua: «Tutti qui in Egitto dicono che c'è il disegno di imporre un'unica civiltà a tutto il
mondo. E1 Sharawi, grande interprete del
Corano, ha invitato i musulmani e gli egiziani
a proteggere la loro diversità e superiorità».
La questione degli anticoncezionali l'ho riportata incidentalmente, perché una importante, forse decisiva regolazione delle nascite
scaturirà da una sincera redistribuzione delle
fonti di ricchezza e di lavoro nel mondo, depredato d a una minoranza di Paesi agiati, che
vogliono dispensare regole «morali» ai poveri
- su questo verremo tra un attimo -: spero
di non essere considerato un cinico, se rammento che la povertà fa figli (e anche - come
osservava con spirito di comprensione Jawaharlal Nehru - matrimoni sontuosi, che
creano una catena di debiti, ma dànno una
tantum una consolazione). Comunque il grave
problema della «bomba demografica» non
può essere sottovalutato ad arte, spinti dalle
preoccupazioni etiche - senz'altro da rispettare - circa il modo di risolverlo. Ma veniamo al resto dell'intervista.
I1 fondamentalismo non è una caratteristica inevitabile dell'islamismo, ma oggi è un rifugio disperato di popolazioni «umiliate e offese» di fronte non tanto a minacce religiose
in senso stretto da parte dell'occidente, ma
ad una schiacciante egemonia economicosociale e anche a conseguenze «di costume»,
che sono respinte dalla cultura islamica, per
non parlare del tradimento o della debolezza
d i Stati arabi (o comunque islamici) ricchi di
fronte a seducenti proposte occidentali, nel
senso chiaritoci da Gabrieli; nonché di fronte
a errori o a colpe di regimi interni di capi di
formazione «occidentale» (per esempio l'Algeria), quando - come vedremo - Occidente e Oriente hanno bisogno - in questo
mondo multipolare - di una autentica «rivoluzione culturale». Ma prima di toccare quest'ultima, diamo - per cominciare - una risposta al nostro «fratello musulmano».
L'Europa dice di voler «cooperare» allo
sviluppo del Mediterraneo e del Vicino
Oriente: e per «cooperare» pensiamo che non
si tratti di trovare una nuova formula di neocolonialismo. Ebbene, che senso ha questa
cooperazione nell'àmbito di una politica
mondiale, in cui i grandi potentati economici
- quelle Nazioni che consumano la parte più
cospicua delle ricchezze del mondo e che si
sono incontrate recentemente a Napoli --decidono anzitutto dei loro interessi e lasciano
alla «cooperazione» ciò che con questi possa
armonizzarsi? che guidano a modo loro (litigando e poi concordando) un Uruguay Round
e la riforma del G A T T (GenevalAgreement on
Taviffs and Tvade), e progettano una Wovld
Tvade Ovganisation - embrione di governo di
diversi settori essenziali dell'economia mondiale - con nessuna garanzia di democrazia
OTTOBRE 1994
planetaria, tanto da far pensare a quello
scambio ineguale, che era un elemento portante dell'imperialismo? Che dire poi della
Conferenza delle Nazioni Unite a Rio, sulle
esigenze ambientali dell'intero Pianeta, sostanzialmente fallita per i veti dei soliti interessi delle grandi potenze economiche (questa
volta particolarmente degli USA)? L'annuale
seminario d i «saggi» a Erice (in Sicilia), svoltosi subito dopo Rio e con la partecipazione
di ottanta scienziati dell'ovest, dell'est, del
sud del mondo, fu assai severo circa la Conferenza di Rio: fra l'altro sottolineò l'esigenza
- a proposito della fabbricazione e circolazione delle armi, che non sono solo quelle
atomiche - di un aglobal monitoring of the
planet», che evidentemente non deve essere
esercitato solo dai Paesi del Club dei «potenti» e dovrebbe sorvegliare ovunque la vendita
delle armi e di tutto il materiale atto a fabbricarle. Ci fermiamo qui per osservare che, in
questo quadro, l'Europa non svolge il ruolo,
che potrebbe svolgere se fosse realmente unita e con la missione di costruire la pace cioé federale, secondo l'ammonizione di Seeley -, ma funziona come un coacervo di nazionalismi e induce giustamente le Regioni
del Mediterraneo e del Vicino Oriente a sospettare di subire il «doppio giuoco» europeo.
Veniamo allora alla rivoluzione culturale, a
cui la Federazione europea dovrebbe dare il
suo apporto decisivo, anche per aprire un dialogo autentico e costruttivo coi Paesi arabi e
islamici - o a prevalenza islamica -. Fallito
il socialismo reale, è ora di moda un mercato
economico senza regole e un capitalismo avventuroso - a proposito del quale si fanno
spesso i nomi della Signora Thatcher e del
Presidente Reagan, ma che ha adepti in tutta
Europa e nell'occidente -. Lo stesso Adam
Smith, che oltre «La ricchezza delle Nazioni»
ha scritto la «Teoria dei sentimenti morali»,
sarebbe inorridito: Smith non voleva lo Stato
gestore dell'economia e predicava l'automatismo del mercato, ma quest'ultimo con le sue
regole, che spettavano ovviamente alle istituzioni politiche. I tedeschi hanno inventato
una espressione felice, «economia sociale di
mercato» (che mi pare spetti al Cancelliere
Ehrard), alla quale peraltro bisogna dare una
realizzazione adeguata, in un mondo - ripetiamolo - multipolare. I n un mercato, che
adempia ai suoi fini sociali, occorre offrire
anzitutto - dalla parte della domanda una informazione democratica, di cui oggi
non c'è traccia e che può essere anche «dissuasiva», mentre dalla parte dell'offerta occorre riflettere sulla ironica affermazione del
liberal americano Galbraith («The Economics
and public Purpose»), che rilevava come I'offerta, a dispetto - stavo per dire - del Progetto Delors (Libro Bianco), è interamente in
mano alle giant corporations, a tutto danno diciamo noi - dei consumi spirituali e delle
piccole iniziative anche locali e, esprimiamoci
così, popolari. L'obiettivo dovrebbe essere
non la quantità della produzione, al servizio
del capitale e degli interessi costituiti, ma la
qualità al servizio degli uomini. Ma un vincolo, poi, è irrinunciabile: quello della pianificazione del territorio (aménagement du territoire), che è determinante per la qualità della viOTTOBRE 1994
ta. Per utilizzare un3 terminologia kantiana,
occorre una sintesi a priori di sviluppo
economico-sociale e di pianificazione del territorio: questa sintesi, amici del CCRE, dovrebbe spettare alle Regioni, e dovrebbe essere accompagnata da una severissima legislazione sul governo dei suoli. Nella fattispecie
della nostra Conferenza, soprattutto in conseguenza di regimi ex-coloniali ma non solo,
hanno subito la selvaggia dereguhtzon molte
città arabe, e non da oggi, che hanno imitato,
in peggio, molte città occidentali, delle quali
diceva polemicamente Mumford, un allievo
americano di Geddes, che le metropoli si avviano a diventare delle necropoli. Questa nefasta influenza della cosiddetta «civiltà» occidentale e la corruzione che ne deriva sono
state e sono una comprensibile spinta al fondamentalismo islamico. Quando nell'Europa
feudale era praticamente scomparsa la città
- la descrizione più lucida di questa situazione è nelle belle pagine inglesi della «Nascita dell'Europa» di Dawson, e bisogna aspettare la stagione dei Comuni allorchè la città
«fà libero» il servo della gleba (Stadtluft macht
frei: 1'aria.di città rende libero) -, era già nata l'esemplare città islamica: per merito del
Profeta Maometto e dell'Islam si perviene rapidamente - siamo nel secolo VI1 - «dalla
polverizzazione nomadica alla prima implosione urbana sotto il segno della religione»
(Florindo Fusaro, «La città islamica»): «è proprio la città, centro di giustizia per eccellenza, separata dagli spazi sconfinati senza legge
del deserto, che diviene il luogo di formazione di un canone di equità e di giustizia attraverso le sue istituzioni morali e legali». Non
basta: «il pellegrinaggio alla Mecca in quanto
rituale esteriore del viaggio spirituale verso la
fede è una attestazione di appartenenza alla
nazione islamica e insieme un superamento
delle proprie visioni campanilistiche. E una
forma di conoscenza e esperienza sovranazionale ....» Commenta ancora Fusaro: «Laddove
si sono conservati il senso e la struttura degli
antichi spazi urbani, questi sono ancora la sede di un tessuto sociale vitale.» Questo è un
contributo alla necessaria «rivoluzione culturale», a cui deve partecipare l'Europa, e che
sola sarà ipotizzabile se l'unità federale sarà
avviata e non troverà l'ostacolo degli interessi costituiti. Se io fossi danese - e parlo della
patria del mio amato Kirkegaard e di Nils
Bohr, che ha partecipato alla resistenza europea - esiterei a farmi prigioniero di questa
ambigua e decadente Europa intergovernativa: ma non parteciperei forse, sereno, alla
grande scommessa federalista?
Torniamo ancora una volta al nostro «fratello musulmano» e all'intervista. Egli parla
del «disegno di imporre un' unica civiltà a
tutto il mondo»: in realtà addirittura la «Dichiarazione dei diritti dell'uomo» delle Nazioni Unite può dare questa impressione col
suo tono rousseauniano, col suo preambolo filosofico sulla «libertà dell'uomo», che per
ogni buon musulmano è anzitutto «servo di
Dio». L'autentico federalismo ha obiettivi
più precisi e non richiede, come premessa, acquisizioni filosofiche: Rousseau, pensatore
senz'altro affascinante, è a cavallo tra l'illuminismo e un pre-romanticismo - e il ro-
manticismo vive nell'epoca della Restaurazione europea ed è padre del nazionalismo e dell'imperialismo, anche teorici -; a Rousseau,
anche da parte di molti democratici occidentali, si fa l'accusa di essere il padre del totalitarismo moderno. Molto meglio sarebbe rifarsi a Montesquieu, autore fra l'altro delle
ironiche «Lettere persiane», il quale fonda le
leggi su esigenze pratiche chiaramente visibili
nella società. Personalmente oserei dire che il
federalismo è, alllorigine, «il patto Voedus significa infatti patto)» che definisce ogni
«guerra santa» - e questo vale per i musulmani come per i cristiani e per tutti, inclusi
i liberi pensatori - una metafora, dove per
«guerra» s'intende una possibilità politica e
spirituale di combattere, senza ostacoli, per
la diffusione del proprio credo, a prescindere
da ogni violenza e da ogni sopraffazione: questo nell'éra della bomba atomica e della guerra bio-chimica. Giacché ho citato Montesquieu, vorrei osservare soprattutto ai miei
amici occidentali che Gandhi, il paladino della non-violenza, aveva fatto suoi due pensatori occidentali anarchici, il russo Tolstoi e l'americano Thoreau; il federalismo, a sua volta, è interessato agli aspetti ovviamente antitotalitari e spirituali dell'anarchismo. Qui potrei ricordare ai miei amici islamici la grande
elevatezza spirituale e prevalenza data alla
meditazione sull'uso della forza dal sufismo:
ma so che molti di loro guardano con sospetto
il frequente amore degli occidentali per il sufismo. Dicono: «molti occidentali ci spingono
alla meditazione e al misticismo, così loro
possono avere più tranquillamente il monopolio suil'organizzazione pratica del mondo»;
da quel che ho detto fin qui, è esclusa da parte mia questa interpretazione. Piuttosto consiglierei gli amici della C E E a intitolare un
qualche loro nuovo progetto, nell'àmbito della cooperazione mediterranea e coi Paesi islamici, Al-Ghazali: (Abu Hiimid Muhammad
ben Muhammad) e non incautamente Avicenna (Abu' Ali al-Husayn ibn Sinii), considerato tutto sommato un eretico da tutta la
umma.
Comunque, per concludere, nella lunga
storia, che di solito ci racconta i periodi di
tolleranza alternati a quelli di prevaricazione
e di violenza vuoi dei cristiani vuoi dei musulmani - io stesso cito spesso il francese
Gerberto d'Aurillac (che fu uno dei grandi
Papi del medio Evo, Silvestro 11), che, trattenuto da superiori religiosi un pò bigotti, aveva una voglia matta di andare dal Califfo di
Cordova, così liberale ed equanime fautore di
studi ebraici, cristiani e islamici -, in questa
lunga storia si sottovaluta l'enorme contributo dato dall'islamismo alla cultura europea,
cristiana o laica: i miei amici musulmani, che
non amano sempre Averroè: (Muhammad ibn
Amad Muhammad ibn Rushd), non si rendono conto dello straordinario contributo dato
anche al libero pensiero occidentale dall'averroismo latino - quante ore ho passato nella
mia giovinezza affrontando Sigeri di Brabante e successori, fino ad Alessandro Achillini
e ad Agostino Nifo, opposti all'aristotelismo
materialistico di Pietro Pomponazzi (secc.XV
- XVI) -. Qui debbo dire a entrambi - cristiani e musulmani - che la loro tolleranza
COMUNI D'EUROPA
talvolta si è alleata e si allea contro i liberi
pensatori: costoro debbono essere egualmente rispettati, come è ovvio, considerando anche che all'interno delle loro singole persone
si sono svolte sofferte battaglie di pensiero,
in buona e non in malafede, come durissime
battaglie di pensiero si sono svolte all'interno
dell'intero islamismo e del cristianesimo. In
ogni modo venendo all'incomprensione europea, in generale, o addirittura all'avversione
per l'<:intrusione» della cultura islamica, anche a causa di un mediocre nazionalismo, voglio sottolineare un gretto episodio: quando
un grande studioso spagnolo, Miguel Asìn
Palacios, lanciò nel 1919 col famoso libro
«L'escatologia islamica nella Divina Commedia», l'ipotesi di un contributo musulmano alla struttura del poema di Dante Alighieri, suscitò una levata di scudi di una serie di uomini di cultura, per lo più nazionalisti italiani di
professione «dantisti», contro il «bieco» tentativo di oscurare l'originalità di questo grand e protagonista della letteratura italiana ed
europea.
Voglio, infine, richiamare una grande esperienza, a cui va dato atto agli amici inglesi: la
trasformazione di un impero in un Commonwealth britannico, cioé una comunità di Paesi, a regime liberale, di tradizioni, di religioni, di etnie diverse; fra questi da ultimo l'India, non più gestita dalla Compagnia delle Indie ma inserita, a partire dal 1858, nel quadro
della Corona: i viceré dell'India della seconda
metà del secolo XIX, per lo più liberali, dopo
una disputa di studiosi di alto livello tra «occidentalisti» e «orientalisti», realizzarono in
questo territorio una riforma scolastica, che
ancora oggi mi stupisce per la sua saggezza,
mentre un pugno d'inglesi radicali aiutavano
gli indiani a fondare il partito vòlto a combattere l'egemonia inglese. L'esperienza del
Commonwealth è poi fallita - come fallirà
analogamente l'Unione europea - per non
essersi trasformata in una Federazione, come
predicava Lione1 Curtis (un grande scrittore
federalista che ho scoperto nel 1937, quando
COMUNI D'EUROPA
studiavo il Commonwealth) e ~ e r c h éil governo della «madre patria» respinse la proposta,
partita dalla Nuova Zelanda, di creare un
Parlamento del Commonwealth dotato di poteri reali. Non basta: si deve all'inglese Reginald Coupland - nell'àmbito del «Nuffield
Report on the Constitutional problem in India» (Oxford 1942) - di aver proposto agli
indiani il progetto più coricreto di Federazione indiana. Qui, cari amici islamici, pongo alla vostra riflessione il caso indiano.
Sulla via dell'indipendenza e a indipendenza ottenuta, Abul Kalanl Azad, il maulana
Azad, uscito dalla Università teologica di elAzhar, presso il Cairo, e commentatore del
Corano universalmente stimato, si battè contro la divisione delllIndia e la creazione del
Pakistan, e partecipò attivamente al governo
«laico» di Jawaharlal Nehru (al quale, nei periodi di prigionia politica, aveva dato preziosi
consigli, anche sulla storia e su questioni islamiche, per le lettere che Jawaharlal scriveva
dal carcere alla figlia Indira), mentre il miscredente Jinnah, che aveva sposato una parsi
(è la ricca comunità di seguaci di Zoroastro a
Bombay) e non frequentava la moschea, spint o dagli interessi dei proprietari terrieri musulmani - anche comprensibilmente preoccupati della potente finanza indù (non sto
certo a spiegare a voi islamici il perché della
debolezza musulmana in materia) - ridiventò improvvisamente religioso e guidò il secessionismo della Muslim Leagire.
A questo punto non è necessario esaminare
nel dettaglio i singoli aspetti e le singole iniziative della Comunità o Unione europea nella cooperazione mediterranea e nei rapporti
euro-arabi, così come l'avvenire dei rapporti
fra città arabe e città europee. È chiaro, chiarissimo che un contributo alla efficacia dell'azione comunitaria e una collaborazione sincera e strategica fra le nostre rispettive città potrà venire solo da una Federazione europea,
credibile, coerente e che assicuri la continuità: l'attuale coacervo di nazioni europee in
una Unione incapace di agire come Soggetto
politico non potrà che commettere errori o
inganni e sarà incapace di sostenere la rivoluzione culturale, di cui abbiamo parlato.
Già la Comunità europea, priva di una
strategia che guardi a un giusto assetto prefederale del Mondo, ha commesso grossi errori.
Gli accordi di Lomé invece di aiutare armoniose economie locali, in crisi e bisognose di
collaborazione e di sviluppo, le ha spesso distrutte, avviando i relativi popoli alla monocultura e ai disastri conseguenti; cercando poi
di rimediare col consiglio opposto, di sviluppi
guidati e protetti di singoli Paesi invece di favorire accordi e integrazione - fuor degli interessi del capitalismo occidentale selvaggio
- fra Paesi, per esempio, africani.
La seconda Conferenza euro-araba delle
città non può non concludersi con l'impegno
del CCRE di essere coerente con se stesso,
cioé tale da muoversi in ogni caso nella prospettiva federalista e di denunciare quegli
statisti e quelle forze economiche, che credono nelle virtù taumaturgiche del mercato economico privo di governo - nel nostro caso di
un governo democratico europeo -. Guardiamo con sdegno quei governi che vorrebbero addirittura attenuare l'autonomia e i poteri della Commissione esecutiva di Bruxelles,
invece di esigere la sua trasformazione in governo europeo, a tutti gli effetti, responsabile
a un Parlamento sovranazionale, che non sia
composto di deputati, scelti e frenati da partiti nazionali e da potenti forze economiche
corporative. Che può accadere, nella situazione attuale, della cooperazione economica
euro-araba? come può trasformarsi, nella situazione attuale, il Mediterraneo in un lago
di pace, secondo la vecchia parola d'ordine
del CCRE? Frattanto, amici arabi, un obiettivo immediato sovrasta il CCRE: impedire il
sabotaggio della revisione democratica, nel
1996, del Trattato di Maastricht. I1 CCRE è
pronto, anche contro i nostri governi nazionali, a passare all'opposizione europea: tenetelo presente, colleghi delle città arabe.
m
OTTOBRE 1994
la Dichiarazione finale di Valencia
Verso
democrazia dell'interdipendenza?
Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa (CCRE) e l'Organizzazione delle Città Arabe (OCA), convinti che il raffrzamento
della cooperazione tra l'Europa e il Mondo Arabo, sulla base del mutuo rispetto, sia conforme
agli interessi sia dei popoli europei che arabi, e
contribuisce a confortare la pace e la sicurezza
nel mondo;
considerando:
A. L'accordo di Amicizia e di Cooperazione
che hanno firmato nel mese di settembre 1984
a Valencia;
B. Che a seguito di questo accordo una Prima Conferenza Euro- araba delle Città si è svolta a Marrakech (Marocco) nel mese di ottobre
1988, alla quale hanno assistito più di 100 Sindaci arabi ed europei, che ha lanciato le basi per
una solida e durevole cooperazione tra le città
delllEuropa e del Mondo Arabo;
C . Che sono convinti dell'importanza di una
tale cooperazione e della sua durata nel tempo;
Hanno tenuto una Seconda Conferenza
Euro-Araba delle Città a Valencia, dal 15 al 17
settembre 1994, i cui partecipanti, sia arabi che
europei:
1. Hanno riaffermato la solidarietà tra le città delle due rive del Mediterraneo, che costituisce da sempre un'area di cooperazione e di moG
teplici e intensi scambi nel campo economico,
sociale, politico e culturale;
2. Hanno preso atto della volontà delllUnione Europea, espressa al Vertice di Coufu, e della
volontà del Consiglio della Lega Araba, di rilanciare il dialogo e la cooper~zioneeuro-araba
nei campi politici e tecnici;
3. Hanno preso atto dellappoggio dato a
questa cooperazione dal Parlamento Europeo
che, nella sua Risoluzione del 12 luglio 1991,
ha confermato che la stabilità politica, sociale
ed economica dellJEuropa era condizionata, in
larga misura, dalla pace nel Sud del Meditewaneo e dallo sviluppo progressivo e armonioso dei
paesi di questa regione. Perché la stabilità potesse realizzarsi, era necessario che si instaurasse
nella regione una cooperazione fondata sul dialogo e il rispetto di tutti i popoli che vi vivono;
4. Nell'interesse dei popoli del Mediterraneo, hanno riconosciuto che non esiste ideologia che possa giustificare la guerra o una soluzione dei conflitti con la violenza;
5 . Hanno tenuto a manifestare il loro sostegno al processo di pace nel Medio Oriente, iniziato a Madrid nel 1991, e a sottolineare la necessità di raggiungere un regolamento equo, durevole e globale sulla base delle risoluzioni internazionali legittime, in particolare le risoluzioni 242, 328 e 425 del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, altre risoluzioni legate a
questa questione e del principio dei «territori per
la pace»;
6. Hanno affermato che il mondo mediterraneo deve continuare a svilupparsi verso un sistema di solidarietà e di democrazia che supera la
OTTOBRE 1994
pace diplomatica per costruire una vera democrazia dell'interdipendenza;
7 . f a n n o insistito sul fatto che è tempo di
passare da una logica di cooperazione ad una logica di associazione di partners, fondata su strette relazioni tra le città, che sono le strutture più
idonee a permettere un lavoro in comune
concreto.
8. Hanno preso atto del fatto che il Parlamento Europeo, con la sua Risoluzione del 10
marzo 1994, ha riaffermato il suo profondo legame al processo di pace in corso e la sua volontà di contribuire con ogni mezzo al suo compimento, soprattutto con la promozione della
cooperazione regionale e con l'intensificazione
delle relazioni tra tutti i popoli della regione.
9 . Si sono congratulati per l'importanza della loro determinazione comune e per la presenza
dei rappresentanti della Commissione Europea e
della Lega Araba.
10. La seduta di apertura è stata segnata dagli interventi della Signora Rita Barbera Nolla,
Sindaco di Valencia, del Signor Miguel Angel
Pino Menchen, primo Vice-Presidente della Federazione spagnola dei Comuni e Province
(FEMP), del Signor Abdul Aziz A l Adsany, Segretario generale delllOrganizzazione delle Città
Arabe (OCA), del Signor Abdullah AGNuaim,
Presidente del Consiglio di Amministraziofie
dell'lstituto Arabo di Sviluppo Urbano (AUDIOCA), del Signor Liuis Berenguer i Fuster, Consigliere della Generalidad di Valencia incaricato
dell'Amministrazione Pubblica, del Signor
Ramzi Badran, Direttore Generale della Lega
Araba incaricato del Dialogo Euro-Arabo, e del
Signor Pasqual Maragall i Mira, Presidente del
Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa
(CCRE).
11. Sotto l'auspicio del CCRE e delllOCA,
la Conferenza è stata l'occasione, per i suoi partecipanti, di procedere a un largo scambio di vedute dedicate ai ~roblemidi comune interesse
riguardanti lo sviluppo urbano. I partecipanti,
convinti che l'ambiente municipale sia l'ambiente di incontri, di dialogo e di cooperazione
il più adatto a favorire lo scambio di esperienze
e il transfert delle competenze hanno deciso:
e di incoraggiare e di promuovere la cooperazione tecnica, economica e culturale tra i paesi
europei e arabi, rafforzando i legami di cooperazione tra le città europee e arabe, sia direttamente che attraverso le loro Organizzazioni rappresentative e le loro Segreterie Generali.
di mettere a punto dei meccanismi permanenti di cooperazione in materia di gestione municipale e di sviluppo locale.
12. I1 dialogo e la cooperazione delle Città
europee e arabe
Rivolgendosi al CCRE e all'OCA, i partecipanti hanno insistito sulla priorità che costituiva lo sviluppo del dialogo e della cooperazione
tra le città europee e le città arabe, in modo parallelo al processo multi e bilaterale intrapreso
tra gli Stati.
Le città e poteri locali, che sono gli ambienti
più vicini ai cittadini, debbono anche loro prendere delle iniziative adattate nel quadro di strutture permanenti di dialogo e di accordo, dando
la priorità allo sviluppo della comprensione reciproca.
L'immigrazione di origine araba nelle città
europee costituisce, a questo riguardo, uno dei
temi del dialogo e della cooperazione euroaraba delle città, che deve proseguire e rafforzarsi.
Ricordando che solo un nuovo equilibrio
economico e monetario mondiale è capace di rimediare in modo durevole alle ingiustizie e agli
squilibri delle relazioni Nord/Sud (che conducono ai fenomeni di immigrazione), i partecipanti
hanno sottolineato l'importanza delle politiche
di integrazione di queste popolazioni nelle città.
13. Lo scambio di esperienze
Lo scambio e il confronto delle esperienze nel
campo della gestione delle città è stato uno dei
temi principali dei dibattiti. Mplgrado le differenze che esistono tra gli Enti territoriali europei ed arabi, sono sorte delle preoccupazioni comuni soprattutto su:
e il dominio necessario dei fenomeni e squilibri urbani che esistono soprattutto nel Mondo
Arabo;
e l'importanza della protezione dell'ambiente e soprattutto dello sviluppo delle tecniche di
trattamento dei rifiuti;
e lo sviluppo dei servizi pubblici destinati a
coprire le necessità contemporanee dei cittadini;
e la protezione e la valorizzazione del patrimonio architettonico e culturale.
14. Gli strumenti della cooperazione tecnica
Gli eletti sono chiamati a moltiplicare le iniziative tendenti a sviluppare lo scambio di esperienze tecniche tra le città europee e le città arabe, con i gemellaggi, con il programma MEDURBS, con le prospettive della cooperazione decentralizzata, con la ricerca di una politica comune alle due rive del Mediterraneo in materia
di sviluppo urbano.
I partecipanti hanno chiesto alla Commissione Europea di raffrzare e amplificare il programma MED URBS, maggiore strumento di
dialogo tra le città europee ed arabe, e che ha
ottenuto successi esemplari, poiché sono le città
stesse a creare delle reti, ad animarle ottenendo
dei risultati concreti.
Tra l'altro, hanno dato il loro sostegno al
progetto di attuazione di una università euroaraba in Spagna, iniziato nel quadro del dialogo
euro-arabo.
15. A l momento dei dibattiti e degli interCOMUNI D'EIJROPA
venti, e grazie agli scambi di punti di vista che
sono seguiti, sono state presentate delle proposte
concrete di cooperazione, soprattutto nei seguenti campi:
- formazione
ricerca e studi,
perizie,
- cultura,
- turismo,
- gemellaggi,
- programmi di transfert di tecnologie,
-
La loro messa a punto sarà il frutto del coordinamento della Presidenza e delle Segreterie
Generali del CCRE e delllOCA.
16. I partecipanti esprimono la loro soddi$azione per il successo di questa Seconda Conferenza Euro-Araba delle Città. Essi ringraziano
e sono grati alla Commissione Europea, al Governo spagnolo, alla città di Valentia, allJOCA,
al CCRE e alla sua Sezione spagnola, la FEMP,
per la loro accoglienza e la loro ospitalità, per
l'organizzazione minuziosa ed il successo di
questa Seconda Conferenza delle Città europee
ed arabe.
Una rivoluzione..
.
(segue da pag. 71)
«coprifuoco,> notturno che l'aveva avviluppato.
AICCRE
SEZIONE
ITALIANA
DEL
CONSIGLIO
ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE,
00187 ROMA
COMUNI D'EUROPA
i
PIAZZA
cultura della manutenzione.
È proprio questo il tratto distintivo di una
civiltà. Non solo e non tanto la capacità di costruire una grande opera, ma la capacità ed il
gusto di una buona manutenzione. A Napoli,
in occasione del summit dei G 7 , il Sindaco
Bassolino, destinando alla manutenzione i
fondi straordinari del Governo, ha rifatto il
volto di una delle più belle città del Mediterraneo.
E se questo è vero dappertutto è ancora
più vero in quel Sud del mondo che sono le
città mediterranee.
Da noi anche una buona ed ordinaria amministrazione diventa l'elemento fondante di
una rivoluzione; quella dell'efficienza, che
trasforma gli abitanti delle nostre città da
sudditi in cittadini. Poter conoscere entro
tempi certi se si ha il diritto o no ad una concessione; avere un sistema di trasporti e di comunicazioni moderno e uno standard accettabile; godere dell'erogazione dei servizi essenziali in modo adeguato, potrà essere una vera
e propria rivoluzione. Quella che consentirà
alle nostre città, alle mille città del Mediterraneo, di indossare gli abiti eleganti della nostra storia; di riassumere il codice genetico
della nostra tradizione e delle diverse identità; di eliminare quelle rughe che hanno segnato il nostro volto, restituendoci un futuro al
quale anche noi potremo essere fieri di aver
¤
lavorato.
La cultura del restauro ed una grande collaborazione pubblico-privato (un privato attratto dalla valorizzazione degli investimenti
immobiliari e controllato per evitare intenti
speculativi) cominciano a prendere corpo. E
non ho nessuna difficoltà ad ammettere che
la qualità della vita in un centro storico restaurato è normalmente preferibile a quella
dell'immensa ed anonima periferia. E partono anche progetti tendenti ad assicurare il patrimonio immobiliare pubblico ed artistico
dal rischio sismico che nella città è rilevante.
Nelle enormi ed indistinte periferie operiamo, concentrando tutte le risorse finanziarie
pubbliche disponibili, ordinarie e straordinarie, per assicurare condizioni di erogazione di
servizi pubblici dignitosi. I n molti di questi
quartieri mancano in parte le opere di urbanizzazione primaria: strade, fogne, illuminazione non hanno preceduto né seguito la nascita di interi quartieri; e sono carenti anche
le opere di urbanizzazione secondaria. Talchè
in questi quartieri il tasso di criminalità potenziale cresce ed essi divengono il serbatoio
di raccolta della mafia.
Sia gli interventi di restauro nel centro storico, destinati a ridare vita al cuore della città, sia gli interventi di riordino urbano, finanziati con il programma del Comitato per
l'Edilizia Residenziale ed orientati anche a
dare nuova identità alle periferie senza storia, avranno come denominatore comune la
DI TREVI, 86
i
DEI
COMUNI
E
DELLE
REGIONI
D'EUROPA
DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI
TELEFONO (06) 699.40.461 (6 LINEE) - FAX (06) 6793275
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
il Seminario del CCRE
Sviluppo e ambiente: dal conflitto ala integrazione
di Lorenzo Fazio*
La questione ambientale è diventata negli
ultimi due decenni sempre più oggetto di attenzione.
Nei paesi industrializzati, infatti, la necessità di interpretare e d'integrare la componente ambientale con la politica industriale
risulta sempre più evidente.
Questo nasce dalla convinzione che produzione e prodotti puliti siano fattibili e che
possano fornire vantaggi anche in termini di
competitività sul mercato; soprattutto per
settori industriali quali quello chimico, cartario, della raffinazione, conciario, della produzione di ceramiche, della gomma, dell'elettronica, dei materiali avanzati, energetico, dei
trasporti.
Parallelamente a ciò si è sviluppata la tendenza a considerare i rischi che circondano il
ciclo della lavorazione industriale, dalla fase
della produzione a quella dell'uso del prodotto e del suo smaltimento, il che, conseguentemente, amplia le responsabilità dell'industria
a cui compete l'obbligo di occuparsi del successivo smaltimento dei rifiuti. (I rifiuti generati dall'industria sono attualmente stimati in
circa 39,2 milioni di t/anno, di cui 3,2 provenienti da autodemolizioni, 12,3 rifiuti inerti,
19,l rifiuti non tossici e nocivi, 3,2 rifiuti
tossici e nocivi).
Le relazioni che si stabiliscono tra la produzione industriale e le risorse ambientali si
manifestano a vari livelli: macroeconomico,
dove l'industria opera quale fattore chiave di
crescita della società e del progresso tecnologico; aziendale, dove le strategie d'investimento e di mercato risultano sempre più condizionate dalle problematiche ambientali.
A livello di politica industriale pubblica,
dove l'intervento delle amministrazioni è
particolarmente rivolto alla ricerca, all'esportazione, ecc.; infine a livello di risanamento
e protezione dell'ambiente, che vede impegnata l'industria verde.
A queste note positive si oppongono però
elementi negativi ed incerti, derivati dalla
forte crescita dei prodotti a breve vita sul
mercato, che ne rendono, conseguentemente,
di fatto impossibile un controllo sistematico
sia relativamente al loro impatto ambientale
che alla loro natura tossica.
Nelle tradizionali classifiche settoriali,
l'industria dei beni ambientali non è distinta
dagli altri settori, da cui trae sicuramente origine perchè costituita da attività tipiche degli
stessi.
La caratteristica comune delle produzioni
dell'industria ambientale è la destinazione
dei suoi prodotti, che rientrano nelle seguenti
categorie: prodotti ed impianti per interventi
di disinquinamento o dirisanamento a valle
dei processi produttivi (impianti di depura-
* Assessore alla Provincia di Bari. Intervento al Seminario
OTTOBRE 1994
zione delle acque, trattamento dei rifiuti,
ecc.). Componenti di impianti industriali
progettati per conseguire una riduzione dell'impatto ambientale dei cicli produttivi o per
a riduzione di risorse di processo (materie
prime, acqua, energia, ecc.); componenti,
prodotti per la riduzione dell'impatto ambientale di attività umane.
Rientrano nella categoria anche i servizi
connessi agli stessi prodotti, quali il trasporto
dei rifiuti industriali e urbani e la gestione
degli impianti di depurazione. In una accezione più ampia è possibile considerare anche
le tecnologie pulite, intese come impianti e
processi a minore impatto ambientale, e i beni di consumo con caratteristiche naturali.
Questo ha come conseguenza una difformità nelle stime delle dimensioni e del fatturato di questa industria.
Il cuore dell'industria ambientale è costituito dai produttori di impianti di smaltimento dei rifiuti, di depurazione degli effluenti
acquosi, di abbattimento delle emmissioni e
di monitoraggio dell'ambiente. Nel 1990 il
fatturato del settore, che impegna circa 9600
addetti, è stato di circa 2300 miliardi.
Certamente l'industria ambientale, intesa
come quella che si occupa di controllare gli
inquinamenti, prima che questi vengano a
contatto con l'ambiente esterno, costituisce
solo una parte del progressivo passaggio verso
produzioni meno inquinanti.
Gli interventi industriali infatti dovranno
essere progressivamente sostituiti da trasformazioni, il più delle volte radicali, dei processi di produzione, in cui la minimizzazione
dell'impatto esterno diverrà criterio generale
di progettazione industriale, anzichè essere
solo un appendice a valle.
Lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie
e dei prodotti puliti è comunque in corso, anche se il processo è ancora lento e disomogeneo.
La sostituzione delle tecnologie di abbattimento o smaltimento con le tecnologie pulite
è fortemente condizionata da un cambiamento che si deve attuare necessariamente all'interno della cultura progettuale dell'impresa
ed è legato anche ai ritmi naturali di sostituzione degli impianti, che possono essere accelerati, ma non radicalmente sconvolti da fattori di tipo ambientale.
Per questo si prevede che saranno necessari alcuni decenni perchè nel nostro paese si
possa realizzare una progressiva transizione
dalle tecnologie tradizionali a quelle pulite,
dove sicuramente il processo sarà facilitato
dai notevoli apporti esteri.
Le stesse caratteristiche della domanda italiana hanno contribuito a scoraggiare la crescita dimensionale delle imprese. La domanda è, infatti, considerata fortemente imprevedibile e instabile, a causa non solo dei tempi incerti e discontinui di sviluppo della nor-
mativa ambientale, che d'altre parte esistono
anche in altri paesi, ma soprattutto a causa
dei ritardi e delle complicazioni burocratiche
nell'effettiva applicazione delle norme
varate.
Fino ad oggi il maggior sforzo si è indirizzato verso la cosidetta industria verde, ossia
nei confronti di quel settore d'impresa che fa
dell'ambiente la sua attività esclusiva.
L'importanza di questo settore è progressivamente cresciuta nel tempo per arrivare oggi
a realizzare su scala mondiale un fatturato di
200 miliardi di dollari (oltre 300 mila miliardi
di lire); su scala europea 5Omila miliardi di
dollari (più di 75mila miliardi di lire); e su
scala italiana circa 4 miliardi di dollari (oltre
6mila miliardi di lire).
Ma l'ecobusiness costituisce ormai la componente tradizionale del mercato; la dimensione economica nuova e rilevante è quella
della sfida ambientale ed è quella che si sta
muovendo all'interno di ogni azienda di ogni
settore, sia di produzione che di servizi; quella capace di garantire la compatibilità del processo e del prodotto rispetto alle richieste
della società e dell'ambiente.
È quindi un dato di fatto, ormai, che la
componente ambientale sta entrando massicciamente nelle strategie delle imprese, cosicchè queste ultime sono chiamate a rivedere
non solo il rapporto della specifica attività
produttiva sull'ambiente, ma a considerare
tale impatto fin dalle sue prime iniziali fasi di
attività: uso degli input di energia, materie
prime, componenti diverse, progettazione del
ciclo industriale in vista dello smaltimento finale, garanzia della qualità del prodotto presso il consumatore.
Perchè si compia tale passaggio, è indispensabile che si creino anche condizioni preliminari di contesto: la Pubblica Amministrazione deve alimentare nuovi standard di efficienza, affinché le procedure e le normative
siano meno paralizzanti e non ostacolino l'attività produttiva; i movimenti ambientalisti,
che condizionano fortemente l'opinione pubblica, devono riuscire a rapportarsi al mondo
produttivo, divenendo un fattore di promozione di comportamenti eco-compatibili ed
eco-efficienti.
La stampa e i mezzi audiovisi, dal canto loro, devono assumere nuove informazioni, in
senso più che mai positivo, suile questioni
ambientali, nel tenativo di sensibilizzare il
più possibile l'opinione pubblica.
Al fine di promuovere processi industriali
il più possibile rispettosi nei confronti dell'ambiente la Comunità Europea ha varato
un'iniziativa con due linee di indirizzo tecnico, di cui la prima ha portato all'emanazione
di un regolamento per la promozione di prodotti meno inquinanti «Eco-Label»; mentre
la seconda ha proposto un regolamento per la
promozione di processi industriali più rispetCOMUNI D'EUROPA
tosi dell'ambiente, «Eco-Audit».
Si tratta, in entrambi i casi, di strumenti di
politica ambientale a base volontaria, che siano in grado di corrispondere sia ad obiettivi
generali di difesa ambientale, che alle esigenze dell'impresa di individuare un fattore di
posizionamento competitivo nel proprio impegno per l'ambiente.
L'etichetta ecologica consentirà al consumatore di disporre di un criterio in più nella
scelta dei prodotti, offrendo alla sensibilità
ambientale la possibilità di manifestarsi in
comportamenti concreti.
Le imprese avranno modo di accedere al
marchio solo se saranno in grado di offrire
prodotti eco-compatibili, garantendo un limitato impiego di energia e di materie prime
nella fase di produzione e un ridotto impatto
sull'ambiente.
Dal canto suo l'eco-audit offrirà alla pubblica amministrazione l'opportunità di disporre di informazioni sintetiche sull'operato
delle imprese, concentrando i momenti di verifica e di controllo.
Consentirà alle imprese di certificare i propri sforzi di innovazione ambientale aumentando la propria accettabilità sociale. Permetterà inoltre all'opinione pubblica ed ai consumatori di disporre delle informazioni indispensabile per valutare la pericolosità o la innocuità degli impianti previsti sul territorio.
I1 successo dell'operazione deriverà dalla
corretta definizione dei benefici ricavabili
dalle imprese che avranno aderito all'ecoaudit ottenendone la certificazione.
Si può fin d'ora ipotizzare un rapporto preferenziale con gli enti pubblici nella partecipazione a gare d'appalto, o facilitazioni nella
concessione di contributi pubblici.
Le imprese industriali, inoltre, avranno a
disposizione uno strumento di verifica continua delle proprie performance ambientali,
che consentirà loro di monitorare in tempo
reale il livello di innovazione contenuto nei
proprio processi produttivi.
Lo sviluppo di un settore industriale destinato al soddisfacimento della domanda di
prodotti e servizi per la protezione dell'ambiente è quindi la conseguenza del crescente
riconoscimento dell'importanza del problema
ambientale della società moderna.
Testimone di questo è che, secondo una recente indagine internazionale nei prossimi
anni lo sforzo di investimento delle imprese
in campo ambientale è destinato a incidere in
misura fortemente crescente, se pur diversificata da area a area, sul fatturato totale. Su
scala mondiale, in media salirà dal 2,1% al
4 % del fatturato globale; assai di più nella
Cee, dove passerà dal 3,4% al 7,4%, che non
negli Usa (dal 2,8 al 4,6), nel Nord Europa
(dal 2,1 al 3,7) o in Giappone (dall'i,i al
2%).
Non di minore importanza è la spesa che le
imprese destinanto alla ricerca e sviluppo per
la tutela dell'ambiente, che ha superato quella destinata al risparmio energetico. Non si
tratta solo del livello stabilmente basso del
petrolio, ma della crescente attenzione delle
imprese italiane ai temi della salvaguardia
ambientale.
m
COMUNI D'EUROPA
Il ruolo fondamentale della Regione
(segue da pag. 8)
politiche di largo respiro, di lungo termine,
ma anche politiche attraverso gli enti locali di
effetto immediato, sulla velocità, sull'orientamento, e sulla qualità della spesa. Forse dovremo tagliare tante cose anche a livello regionale per fare investimenti intelligenti, direzionati nel settore culturale e nel settore
ambientale. Queste sono le due emergenze
fondamentali che abbiamo di fronte e due
settori che possono dare nuovi posti di lavoro
e nuove figure professionali; il resto è tutto
possibile ma mi sembra pure abbastanza utopistico che si possa intervenire sulla grande
industria.
Quindi rispetto a quello che facciamo e
quello che diciamo ci deve essere pure assonanza altrimenti rischiamo di fare convegni
solo teorici; non ci deve più impressionare il
grande gruppo industriale, bisogna invece indirizzarci su industrie, posti di lavoro, investimenti, con maggiore flessibilità.
Gli americani hanno personale riciclabile,
troppo specializzato, hanno puntato sulla piccole impresa, abbandonando i grandi gruppi,
hanno trovato immediatamente qualche milione di posti di lavoro in più. Noi dovremo
fare le stesse operazioni considerando però
che abbiamo di fronte due colossi che si muovono con trattati altrettanto uguali rispetto ai
nostri. I1 Trattato NAFTA non è ininfluente
sulle politiche che noi ci accingiamo a percorrere, come non sarà ininfluente l'apertura del
mercato cinese, che già in qualche maniera è
occupato dagli Stati Uniti seppure con forte
ritardo, che l'economia si muove su mercati
con possibilità di assorbimento di prodotti.
Su questo noi dobbiamo fare una politica diversa, integrando sul serio le regioni d'Europa con i paesi che ci sono più vicini.
Un altro elemento che vorrei sottolineare è
che se l'America si sta spostando sull'asse del
Pacifico, la Comunità europea ha il dovere di
allargarsi ai Paesi CSI, altrimenti il largo respiro non ci può essere. Non possiamo continuare a produrre per un mercato che non è
più in grado di assorbire. La Regione Lazio
spende solo per la sanità il 75% del bilancio.
Se ci aggiungiamo i trasporti andiamo al 90%
e questa è la condizione di quasi tutte le regioni: è impossibile quindi chiederci l'ampliamento dei servizi, non abbiamo più le spese
di investimento. Già i servizi assorbono tutto
il bilancio, far gravare ancora i servizi sui cittadini mi sembrerebbe una politica sbagliata,
lo voglio dire con molta chiarezza, e questo è
possibile se innalziamo il reddito, ma stiamo
discutendo di ridurre le forze lavoro, di ridurre il reddito per dividerlo più equamente
fra la popolazione, non possiamo dire solo abbassiamo i servizi; allora questi devono gravare non sui bilanci pubblici. Dobbiamo indirizzarci invece su politiche attraverso nuove
tasse (per esempio la tassa ambientale), che
privilegino l'impresa che rispetta di più l'ambiente. Su questo io non ho dubbi: ma non
attraverso una tassa aggiuntiva sulle altre,
sgravando se possibile quelle imprese che rispettano maggiormente l'ambiente. Fra una
impresa che ha posto la depurazione e chi
non ce l'ha diventa più competitivo ce chi
non ce l'ha, perchè ha meno spese.
E allora se debbo parlare di alta velocità,
di grandi infrastrutture, bisogna vedere chi
investe e come si investe in questi settori. Per
quello che riguarda gli Enti locali, noi tre o
quattro cose siamo in grado di dirle: investimenti ambientali, integrazione delle politiche, competenze chiare fra stati centrali ed
enti locali, responsabilità chiare. Questo è un
argomento che dibattiamo da vent'anni ma
ancora non è chiaro per tutti gli Stati
membri.
Noi abbiamo competenze che ci tolgono
parecchio del nostro impegno: fra lo Stato, i
Comuni, Regioni e Province, perchè ancora
dopo 25 anni di attività non sono chiare siamo ancora in discussione con lo Stato centrale: se un Paese vuol sentirsi veramente civile
e vuole affrontare problemi di questa natura
e di questo spessore, bisogna pure che chiarisca i ruoli di competenza e di responsabilità.
Quindi mi pare di poter dire che gli Enti
locali potranno avere un grande ruolo a condizione che abbiano il coraggio di dire le cose
che non vanno in questo contesto che nella
sua globalità è apprezzabilissimo e ci indica
delle vie quasi obbligatorie da percorrere. Bisogna ritagliarci il nostro ruolo dicendo anche
le cose che condividiamo e dicendolo con
molta chiarezza. Solo a questa condizione potremmo intraprendere un cammino che ci darà a medio termine delle prospettive diverse.
L'integrazione europea ci sarà solo quando
le regioni d'Europa saranno tutte, non dico
alla pari, perchè questo non è possibile, ma
abbiano almeno una integrazione accettabile
e che gli Enti locali siano una cosa seria, una
catena di enti che nell'ambito di sviluppi nazionali siano poi terminali esecutori delle politiche comunitarie altrimenti aumenteranno
i problemi nei prossimi anni. Quindi è bene
essere coraggiosi all'inizio per condizionare le
linee di sviluppo, e integrarle sul serio una
volta per tutte, fra Comunità, Stati membri
ed Enti locali.
m
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1995
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione
i pareri del CdR
La coesione pilastro della costruzione europea
di Vannino Chiti*
La stesura del Libro bianco rappresenta un
momento importante nella fase di europeizzazione delle politiche economiche, specialmente per quanto riguarda gli obiettivi della
creazione di nuovi posti di lavoro e dello stimolo della crescita economica. In precedenza, queste funzioni erano considerate squisitamente di competenza nazionale; cioè, il governo nazionale era vista come l'organismo in
grado di affrontare questi problemi con le sue
politiche economiche, monetarie e sociali.
Con la transizione al Mercato Unico, una se-
rie di funzioni strategiche riguardanti la gestione del mercato interno sono passate al livello europeo. Le 300 direttive che hanno dato vita al Mercato Unico hanno, in effetti,
spostato la «regolamentazione» del mercato
interno (definizione degli standards di produzione, ecc.) dagli Stati membri alla Commissione ed ad altri organismi europei come, ad
esempio, la Corte di Giustizia Europea ed il
Parlamento europeo.
Con il Libro bianco abbiamo un altro salto
qualitativo di europeizzazione di politiche
Misure struthuali contro la disoccupazione
L'Unione europea annovera annualmente 17
milioni di disoccupati, ossia l ' I I % della popolazione attiva. Pressappoco la metà delle persone disoccupate lo sono da più di un anno ed il
tasso di disoccupazione tra i giovani di età inferiore ai 25 anni è del 20%. Oltre allo spreco
economico di un simile potenziale umano, la
disoccupazione costituisce una piaga umana e
sociale, spesso all'origine di una buona parte dei
grandi mali che affliggono la nostra società moderna (criminalità, droga, razzismo). La perdita
netta di 3 milioni di posti di lavoro nel 1992193
sarebbe dovuta alla concorrenza detta sleale dei
paesi del Sud-Est asiatico. I salari molto bassi
dei paesi delllEuropa centrale ed orientale sarebbero anch'essi all'origine di concorrenze sleali, nonché di delocalizzazione di imprese. Per
taluni settori ed in alcuni casi, dette affermazioni sono senz'altro fondate, ma è necessario operare una distinzione tra salari bassi e condizioni
di lavoro inaccettabili.
D'altra parte, va sottolineato il fatto che, all'interno delllUnione europea, le importazioni
provenienti dai paesi del Sud est asiatico summenzionati, rappresentano, nel 1993, solo il
14% delle importazioni totali (12% delle nostre esportazioni) e quelle provenienti dall'Europa centrale ed orientale solo il 4% (5% delle
nostre esportazioni).
Il peso delle importazioni provenienti da paesi con salari bassi non rappresenta che lJ1,5%
del totale delle spese dei beni e servizi dei paesi
dellJOCSE. Inoltre, la Commissione utilizza
pienamente i poteri di cui dispone in caso di
dumping accertato, ossia quando l'esportatore
vende ad un prezzo inferiore al suo costo di produzione. D'altra parte, non va dimenticato che
si tratta di paesi e di nuovi mercati estremamente dinamici di cui l'Unione europea dwe tener
conto in vista delle sue future esportazioni.
Sgomberato il campo da facili analisi, alfine
di lottare contro la disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro, è necessario intraprendere
un'azione di vasta portata, debitamente Sostenuta dalle parti sociali, e far si che questa venga
OTTOBRE 1994
realizzata tanto a livello europeo, come a livello
nazionale, regionale e municipale.
Il Libro bianco di Delors su «Crescita, competitività ed occupazione» indica alcune linee di
sviluppo che ritengo positive.
Innanzi tutto è errato affermare che la disoccupazione è dovuta al fatto che non c'è una domanda sufficiente, dal momento che le necessità
della nostra società sono enormi. L'Europa annovera pressapoco 50 milioni di abitanti, ossia
il 15% della sua popolazione, che vivono in
condizioni precarie, cioè che dispongono di un
reddito reale inferiore del 50% rispetto alle medie nazionali.
Le necessità in materia di edilizia abitativa,
rinnovamento compreso, di trasporti pubblici,
di protezione dell'ambiente (trattamento delle
acque, consmazione delle zone naturali e degli
spazi pubblici, controllo delle n o m e di qualità), nonché in materia di servizi a prossimità
(aiuti a domicilio alle persone anziane, custodia
dei bambini, assistenza ai giovani, sicurezza degli immobili destinati ad abitazione) sono enormi, senza dimenticare beninteso le necessità in
materia di attività ricreative e culturali, con o
senza sostegno audiovisivo. Dette necessità rimangono in gran parte insoddisfatte sia perché
gli ostacoli regolamentari sono troppo numerosi, sia perché non c'è domanda effettiva, in
quanto gli interessati non dispongono di redditi
adeguati o perché il prezzo di mercati di tali servizi è troppo elevato. Lo sforzo principale andrà
concentrato su questo punto.
Per accrescere h competitività e lottare contro la disoccupazione i principali rimedi, indicati nel «Libro bianco», sono: i grandi progetti di
investimento (infrastrutture di trasporto), lo sviluppo delle piccole e medie imprese e miglioramento dell'insegnamento e della formazione
professionale.
Jozef Chabert
Ministro delle finanze e
del bilancio della Regione Bruxelles-Capitale;
membro del Comitato delle Regioni
per lo stimolo del mercato produttivo con l'identificazione di:
- grossi progetti di lavori pubblici (reti di
infrastrutture dei trasporti transeuropei),
- approvvigionamento di energia a costi
bassi (reti di trasporto e compravendita di
energia tra Paesi europei),
- investimenti in nuove tecnologie (reti
di «autostrade elettroniche» basate sui sistemi di telecomunicazione e banda larga diffusi
su tutto il territorio europeo),
- riduzione dei costi di produzione per
l'utilizzo di nuove tecnologie (aumento degli
investimenti per lo sviluppo di R&D europea
e la commercializzazione di nuovi prodotti),
- allentamento degli impedimenti strutturali che sono stati introdotti nel sistema
economico-sociale europeo e che impediscono la creazione di nuovi posti di lavoro,
- ridefinizione della formazione professionale per renderla permanente e collegata
con le esigenze del mercato,
- ristrutturazione del sussidio per la disoccupazione da una concezione di politica
sociale ad un suo inquadramento in una visione di investimento economico nella persona
per renderla competitiva sul mercato del lavoro (questo è il punto su cui mi concentrerò
in questo mio intervento), ed infine
- la valorizzazione, in chiave strategica,
dell'importanza che hanno le PMI nella nuova economia europea e per la capacità di ripresa dell'economia europea in un nuovo
contesto competitivo.
I1 Libro bianco, al contrario di quanto fatto in passato, punta moltissimo sulla competitività dell'impresa europea nel contesto mondiale. La creazione del Mercato Unico ha
molto indebolito la capacità dei governi nazionali di proteggere e sussidiare industrie
nazionali che si considerano svolgere una
funzione strategica per l'economia nazionale.
Di conseguenza, tanti comparti di grande industria - struttura verticalmente come monopoli o oligopoli pubblici o privati - hanno
dovuto per la prima volta affrontare la concorrenza europea e mondiale. Ora, una politica dei posti di lavoro deve essere basata sulla
concorrenzialità delle imprese all'interno ed
all'esterno dell'Europa e non più puntare soltanto sulle grosse imprese.
Per rispondere a questa esigenza, i policy
makers al livello europeo hanno affrontato
l'altro aspetto delio sviluppo economico europeo che si è manifestato durante le ultime
due decadi: cioé, il decentramento produttivo che vede la PMI protagonista per quanto
* Presidente della Regione Toscana. Parere sul Libro
bianco presentato al Comitato delle Regioni e degli
Enti locali nella sessione di settembre 1994
riguarda la competitività, creazione di posti
di lavoro, utilizzo delle nuove tecnologie, sviluppo di nuovi prodotti, e maggiore flessibilità nella produzione.
Le Regioni - ed il loro meccanismo di rappresentanza al livello europeo - devono essere riconosciute ed avere una voce in capitoIo nella scelta dei progetti transeuropei perchè sono loro, in primo luogo, i soggetti politici chiamati di fatto a rispondere alle esigenze di sviluppo socio-economico a livello regionale e locale. Studi fatti sulla diffusione delle
PMI in Italia ed altrove e l'esperienza diretta
della nascita e crescita dei distretti industriali
in Toscana dimostrano che non ci può essere
sviluppo della piccola e media impresa senza:
1. specializzazione di area;
2. economie d i scala all'esterno
l'impresa.
del-
I n questo ambito, il ruolo della regione è
fondamentale nella creazione dell'insieme di
servizi ed attività di supporto alle attività
della piccola e media impresa (ad esempio,
formazione, aiuti all'innovazione, realizzazione di infrastrutture, erogazione di servizi
agli addetti - funzionamento degli asili nido, pianificazione dei trasporti urbani, smaltimento dei rifiuti industriali ed urbani -,
promozione commerciale e dell'export, programmazione delle reti di comunicazione, accesso agevolato al credito, ecc.). Questi servizi sono messi a disposizione attraverso la collaborazione delle regioni e dei suoi enti locali
per rispondere efficamente alle esigenze delle
imprese, imprenditori, e addetti che operano
nell'ambito regionale e locale.
I1 Libro bianco ribadisce l'impegno dell'Unione Europea verso le regioni meno sviluppate e verso l'obiettivo di raggiungere la coesione socioeconomica come un pilastro essenziale della costruzione europea. E questo impegno si può raggiungere solo se l'Unione inserisce nei suoi programmi un ruolo forte per
la partecipazione delle regioni e l'impegno
degli enti locali come erogatori responsabili
dei servizi alle imprese.
Questo tipo di sensibilità circa il ruolo del-
le regioni e degli enti locali noil si manifesta
chiaramente nel Libro bianco e rappresenta
uno dei punti deboli nelle proposte dell'unione riguardanti le telecomunicazioni, i trasporti e l'energia. Tuttavia, il Libro bianco
identifica una serie di settori strategici che
devono essere considerati prioritari nella formulazione di una risposta europea alla crisi
economica ed in questi settori le regioni attualmente già svolgono un ruolo importante
nel dare slancio all'espansione delle PMI. Si
tratta quindi di disegnare meglio l'approccio
pro attivo delle regioni a questo riguardo. Vediamo più da vicino i caratteri della strategia
del Libro bianco.
Per quanto riguarda il primo piano di azione di creazione di reti informatiche, le regioni sono molto favorevoli alla creazione di un
sistema europeo omogeneo che adopera l'ultima generazione tecnologia. Esso aiuterebbe
molto a diminuire lo svantaggio delle regioni
periferiche e di quelle meno sviluppate in
confronto alle regioni del centro Europa dov'è concentrata la maggiore parte della popolazione e dove si trova la più grande concentrazione dei mercati. Con una reta europea a
banda larga che permettesse di scambiare vo-
Nelle due foto i partecipanti al Seminario del CCRE sul «Libro bianco» di cui alle pagine p e c e denti
ce, immagine e dati, lo svantaggio delle regioni periferiche in termini di «distanza» dai
centri decisionali e sviluppo sarebbe molto
diminuito. I n secondo luogo una rete omogenea aiuterebbe la decisione delle imprese di
spostarsi dal centro alla periferia perchè esse
non perderebbero nulla nel rimanere in contatto in tempo reale con i propri mercati e i
sistemi d i commercializzazione. I n terzo luogo la diffusione di una rete a banda larga su
tutto il territorio rappresenterebbe un grosso
vantaggio per le imprese della regione che
possono immettersi in tutte le reti europee
per ottenere scambio di informazione e anche
accordi di cooperazione con altre imprese europee. La piccola e media impresa deve essere
messa in condizione di favorire la sua internazionalizzazione ed aumentare la sua capacità di risposta alle sfide concorrenziali che
vengono sia dall'interno che dall'esterno dell'Europa.
Le regioni devono insistere di potere accedere al sistema di cooperazione tra amministrazioni (programma IDA) che adesso è solo
concepito come una cooperazione fra amministrazioni e uffici dei governi nazionali.
L'inserimento nel programma IDA permetterebbe alle regioni di scambiarsi informazioni
utili sulle politiche per lo sviluppo e dati sulle
proprie condizioni socioeconomiche. Data
l'importanza delle regioni e delle autonomie
locali per una adeguata politica di stimolo per
le piccole e medie imprese, questo tipo di
scambio fra governi regionali è fondamentale.
I1 secondo piano d'azione è concentrato
sulla creazione o completamento di infrastrutture di trasporto e di energia al livello
europeo. I n passato queste reti sono state
concepite secondo un'ottica nazionale, collegando la periferia con il centro e creando in
molti paesi delle reti a raggio che in Europa
hanno una caratteristica di asse nord-sud. I n
questo contesto, le reti a raggio non enfatizzavano la connessione fra periferia (ad esempio, sud-sud). Adesso rimane il problema di
connettare periferie all'intero degli stati e periferie fra stato e stato. L'esempio più lampante è la problematica delle reti est-ovest
lungo la costa mediterranea nel campo dei
(segue u pag. 16)
OTTOBRE 1994
Libro bianco su crescita, competitività, occupazione -
i pareri del CdR
Lo sviluppo endogeno risorsa per le aree deboli
di Vincenzo Del Colle*
I1 Libro bianco della Commissione della Comunità Europee su crescita, competitività e
occupazione, noto come Rapporto Delors,
sottolinea giustamente come l'occupazione
sia diventata ormai il problema più grave dell'Europa. Questa non può permettersi di avere un livello di disoccupazione così elevato,
che fra l'altro comporta un enorme spreco di
risorse dal punto di vista economico. La situazione è inoltre inaccettabile dal punto di
vista etico, politico e sociale.
Occorre quindi svolgere una politica di sviluppo dell'occupazione, che però non deve
essere una politica di tipo assistenziale. Questa del resto, oltre a produrre effetti negativi
nel medio e nel lungo periodo, non sarebbe
sostenibile perchè urterebbe contro il vincolo
dei disavanzi di bilancio, che ancora costituiscono un serio problema per diversi Paesi della Comunità.
I1 Libro bianco analizza a fondo il legame
e le interazioni tra crescita, competitività e
occupazione. Nessuna relazione meccanica
esiste tra tasso di crescita del PIL e occupazione, perché in diversi periodi si sono avuti
ad esempio una crescita rapida del PIL con
aumento dell'occupazione ma anche una crescita rapida con occupazione stagnante. Più
chiara è invece la relazione tra occupazione e
competitività.
Creare occupazione significa far nascere
imprese competitive, che siano in grado di vivere ed operare senza sussidi o oneri per la
collettività. E questo obiettivo può essere ottenuto attraverso indirizzi di politica economica diversi rispetto al passato. In questo
quadro hanno particolare importanza una politica di investimenti in capitale umano, una
politica di sviluppo delle infrastrutture e della tecnologia, una politica di sostegno per le
regioni più deboli, concepita però sempre in
chiave di miglioramento della competitività
di queste aree.
L'investimento a favore del cittadino o del
lavoratore non può essere più finalizzato in
via esclusiva a fornirgli servizi sociali garantiti 0 sussidi nel caso in cui egli resti temporaneamente disoccupato, ma deve essere, almeno in parte, finalizzato a dargli quel tipo di
istruzione e di formazione che gli consenta di
trovare più facilmente occupazione. L'investimento in capitale umano diviene così uno
degli strumenti principali per la creazione di
imprese competitive e lo sviluppo dell'occupazione.
L'altro aspetto importante per il rilancio
della crescita e dell'occupazione è lo sviluppio delle infrastrutture. Questa tesi è ormai
sostenuta da tempo da numerosi studiosi e
istituzioni internazionali e in particolare dal-
* Presidente della Regione Abruzzo. Parere sul Libro
bianco presentato al Comitato delle Regioni e degli
Enti locali nella sessione di settembre 1994
OTTOBRE 1994
la Comunità Europea, che vede nei trasferimenti alle imprese misure distorsive della
concorrenza e nei trasferimenti alle famiglie
provvedimenti spesso solo di carattere assistenziale e ritiene invece che il modo migliore
di favorire gli investimenti e la nascita di imprese competitive, mediante la realizzazione
di infrastrutture che producono economie
esterne.
Nell'ambito dei programmi infrastrutturali
hanno una particolare importanza le reti di
collegamento: le infrastrutture di trasporto
(soprattutto autostrade e ferrovie ad alta velocità), quelle per il trasporto di energia (elettricità e gas), le reti di telecomunicazione. Solo lo sviluppo di tali reti di collegamento può
portare alla realizzazione di un mercato unico
all'interno della Comunità Europea. La realizzazione di queste reti da un lato può generare una vera apertura dei mercati e dall'altro
può dare un importante contributo sia all'occupazione sia alla creazione di un ambiente
favorevole agli investimenti privati. Resta il
problema del finanziamento di tali opere, che
è delicato, visto lo stato dei conti pubblici in
molti Paesi della Comunità, ma non irrisolubile.
Altrettanto importante è l'attuazione di
una politica di ricerca e sviluppo tecnologico,
che crei anche meccanismi efficaci di trasferimento dei risultati.
In questo quadro resta finora in ombra il
problema dei divari regionali, delle politiche
regionali e del ruolo che le Regioni devono
svolgere nella costruzione europea e nella ripresa dello sviluppo e dell'occupazione.
La recessione degli ultimi anni ha colpito
in misura maggiore le regioni più deboli della
Comunità. I1 fenomeno non risulta sempre
evidente dai dati statistici: non si vede infatti
un aumento del divario tra zone ricche e zone
povere in termini di reddito pro capite, ma
non vi è dubbio che in alcune aree il tasso di
disoccupazione ha raggiunto livelli inaccettabili (ad esempio superiori al 20%). Preoccupanti sono le situazioni della Spagna, del
Mezzogiorno d'Italia, ecc. E anche per Paesi
come il Portogallo e la Grecia in cui i dati ufficiali danno bassi tassi di disoccupazione, occorrerebbe fare una riflessione più approfondita.
In ogni caso l'apertura sempre maggiore
dei mercati, se non è accompagnata da politiche di riequilibrio territoriale, può avere effetti negativi ulteriori sia sul livello generale
di occupazione sia sulla sua distribuzione territoriale.
Un altro ben noto documento della Comunità, noto come Rapporto Cecchini, affermava alcuni anni fa che la caduta delle residue
barriere tra gli Stati membri avrebbe determinato un aumento del tasso di sviluppo, la
riduzione della disoccupazione ed altri effetti
benefici come la riduzione dell'inflazione e
l'allentamento sia del vincolo del bilancio
pubblico sia del vincolo esterno. L'abbattimento delle residue barriere, previsto dall'Atto Unico Europeo, stimolerà si diceve, la
concorrenza tra le imprese dei diversi Paesi.
Ciò da un lato determinerà la eliminazione
dal mercato delle imprese meno efficienti e
dall'altro favorirà un processo di concentrazioni e di fusioni, che, attraverso i rendimenti crescenti indotti dalle economie di scala e
il progresso tecnico, genererà un generale abbassamento dei costi e un aumento del tenore
di vita.
In realtà le cose non sono andate così anche per via di fatti imprevedibili come la riunificazione tedesca. Infatti gli squilibri all'interno della Comunità sono aumentati e il sistema monetario europeo sta attraversando
un periodo di grave crisi. Inoltre è aumentata
la dissocupazione in tutta la Comunità e soprattutto nelle aree deboli (o almeno inparte
di queste). In Italia in particolare il dualismo
tra il Nord e il Sud si è aggravato e il Mezzogiorno registra tassi di discossupazione particolarmente alti.
I1 tasso di sviluppo del PIL è fortemente
rallentato negli ultimi anni e nel 1993 è stato
negativo in diversi Paesi della Comunità, tra
cui la Germania e l'Italia. Se ciò è largamente
dovuto alla politica monetaria tedesca di altri
tassi di interesse, però la crescente disoccupazione non si spiega solo con ragioni congiunturali ma ha una forte componente strutturale.
La Comunità deve porsi non solo l'obiettivo dell'occupazione ma anche di una sua distribuzione territoriale equilibrata.
Infatti, se il processo viene lasciato esclusivamente agli automatismi del mercato, dall'ampliamento del mercato trarranno vantaggio soprattutto quelle regioni in cui più diffusa è la presenza di grandi imprese e di settori
in cui più rilevante è il fenomeno delle economie di scala e di concentrazione. Le sperequazioni regionali potranno essere aggravate dall'unificazione del mercato. Ad esempio nel
Mezzogiorno d'Italia si concentra più della
metà della disoccupazione totale del Paese. I1
divario tra la produttività dell'industria meridionale e quella del Centro-Nord non si è attenuato negli ultimi due decenni, e negli anni
'80 è addirittura aumentato. Oggi la produttività dell'industria meridionale è inferiore a
quella registrata nel resto del Paese di circa il
25%. Ciò dipende in larga misura dalla carenza di infrastrutture, che quindi andrebbe
colmata.
Per poter ottenere uno sviluppo equilibrato anche dal punto di vista occupazionale occorre definire un ruolo incisivo delle Regioni
già nel processo di formulazione delle linee
generali di sviluppo e nelle successive fasi decisionali. Occorre dare alle Regioni risorse
adeguate perchè esse possano perseguire
obiettivi di sviluppo e di miglioramento della
competività.
Le Regioni devono sviluppare le loro votazioni naturali. La crescita del reddito consente una produzione differenziata tra le diverse
regioni perchè genera una domanda anche
per beni e servizi di produzione locale. L'unificazione del mercato comporta la fine dei
mercati protetti ma non la scomparsa dei
mercati di beni e servizi locali. Vi sono regioni in cui il turismo, l'artigianato, i prodotti
locali possono avere un ruolo molto importante.
I n questa ottica occorre favorire non lo sviluppo importante dall'esterno ma uno sviluppo endogeno, autopropulsivo anche nelle aree
deboli della Comunità (faccio di nuovo l'esempio del Mezzogiorno d'Italia); e in tale
contesto giocano un ruolo importante le piccole e medie imprese.
La globalizzazione dei mercati richiede investimenti crescenti in reti commerciali e di
assistenza e in pubblicità, che non sempre le
piccole imprese possono permettersi. Le piccole aziende inoltre incontrano più difficoltà
delle grandi nel reperire le informazioni sullo
sviluppo della tecnologia che le riguarda, specialmente su di un mercato così ampio come
quello europeo.
La piccola impresa per sopravvivere e svilupparsi sul nuovo mercato europeo deve necessariamente uscire d a una logica aziendalistico-produttivistica e adottare una logica
orientata la mercato. Da molte indagini risulta la persistente difficoltà che le piccole e medie imprese incontrano nell'inserirsi in processi di internazionalizzazione allargata, quali la realizzazione di attività finalizzate alla
costituzione di unità di vendita all'estero e di
joint-ventures.
L'esigenza d i sostenere le imprese minori
con adeguati supporti di servizi si sposa con
la necessità che l'offerta di servizi reali (formazione, aiuti all'innovazione, promozione
commerciale e dell'export) sia quantitativamente adatta a soddisfare la domanda delle
aziende di minori dimensioni. Naturalmente
l'offerta di una molteplicità di servizi non è
efficace se la piccola impresa non ha maturato la cultura che le consenta di utilizzarli. Per
questo è necessario promuovere una adeguata
cultura terziaria della piccola impresa e trovare un equilibrio tra offerta standardizzata e
offerta personalizzata, difficilmente raggiungibile d a un'offerta casuale e spontanea.
I1 ruolo delle Regioni in questo quadro va
maggiormente valirizzato sia in termini di incentivazione che in termini progettuali.
m
La coesione pilastro
(segue ah pag. 14)
trasporti autostradali, ferroviari ed aerei.
Senza reti adeguate le piccole e medie imprese che si trovano ad operare lungo la costa
nord del Mediterraneo sono in una situazione
di svantaggio rispetto a quelle situate nel
centro-nord d'Europa. Quindi, per stimolare
la crescita e la concorrenzialità delle imprese
COMUNI D'EUROPA
del sud d'Europa, le reti infrastrutturali dovrebbero avere come obiettivo l'abbassamento dei costi di accesso dei prodotti delle periferie ai mercati del centro-nord.
Per realizzare questi fini le regioni devono
essere presenti nella scelta dei progetti prioritari. A Corfù la prima tranche di progetti è
stata approvata; prima di decidere sulla seconda e terza tranche, le regioni devono essere sentite dalla Commissione Christopherson
per partecipare con i rappresentanti della
Commissione e gli Stati membri alla prioritizzazione e alla scelta dei progetti.
Le regioni dovrebbero partecipare altrettanto nei lavori della Commissione Bangemann per stabilire le priorità ed il modo migliore per operazionalizzare gli obiettivi della
informatizzata rimarrebbe uno scopo astratto
se non trovasse l'impegno e la possibilità di
offrire i suoi servizi alle imprese produttive.
Quindi, l'impegno delle regioni è focalizzato
sulla possibilità di trovare la connessione tra
i programmi al livello europeo rivolti alla
creazione di nuovi posti di lavoro ed aumentare la competitività delle imprese europee e
le esigenze delle PMI che operano sul campo
e che per molto tempo non sono state favorite da programmi nazionali ed europei. Le piccole e medie imprese aspettano proposte e
realizzazioni concrete.
La risposta coerente.. .
(segue da pag. 4)
11. Gruppi infrastrutture
Gruppo Bangemann (reti d'informazione e
di comunicazione)
Gruppo Christophersen (reti transeuropee)
111. Gruppo Williamson/Jones
(occupazione)
Una piccola Task Force - la Task Force
Cadre Emploi - è stata istituita all'interno
della D G V per realizzare la parte correlata al
lavoro nel Libro bianco. Questa Task Force
non fa parte della struttura principale della
D G V, ma riferisce direttamente al Direttore
generale. Tutto ciò sta a significare che essa
può lavorare bene con i vari servizi della D G
V, e nel contempo con altri settori della Commissione.
Alcuni gruppi di lavoro interservizi sono
stati attivati nel quadro del gruppo Williamson/Jones, insieme ad una serie di sottogruppi di lavoro. A questi gruppi partecipano rappresentanti della D G V e della D G XVI, la
cellula di prospettiva del Presidente Delors e
la Task Force delle Risorse umane.
Su richiesta dei capi di governo, la Commissione sta preparando un inventario dettagliato di tutte le iniziative a livello locale finanziate dalla Commissione e che hanno permesso la creazione di almeno 5 posti di lavoro. Questo documento tende ad evidenziare
degli esempi di buona pratica, a identificare
le fonti di nuovi posti di lavoro e a stimare i
costi relativi alla creazione di questi posti.
9. Possibili risposte
Nella elaborazione della loro proposta al
Libro bianco gli Enti locali e regionali dovranno scegliere tra due differenti atteggiamenti:
tenere un atteggiamento critico sul Libro bianco, rilevandone gli aspetti accettabili
per gli Enti locali e regionali e quelli che non
sono tali;
accettare i principi indicati nel Libro
bianco ed evidenziare le maniere pratiche per
portare a successo la strategia della Commissione.
I n questo contesto esistono varie risposte
possibili:
a) Una risposta politica di alto livello del
CCRE, anche tramite il Comitato delle Regioni e degli Enti locali
b) Un approccio più informale (legato ai
gruppi di lavoro interservizi su dei temi come
i nuovi posti di lavoro nel settore dell'assistenza)
C) Alcuni elementi di risposta sono già stati dati dalle diverse Commissioni del CCRE.
I testi potrebbero essere elaborati in forma
unitaria per dare una risposta, eventualmente
sotto forma di pubblicazione speciale.
d ) Un nuovo programma di Scambi di
Esperienze specificatamente legato ai temi
contenuti nel Libro bianco.
Un tale programma dovrebbe affrontare lo
sviluppo economico locale, con gli Enti locali
e regionali come protagonisti. Una serie di reti potrebbero essere create a partire dai diversi temi, fra i quali:
- il legame tra la fiscalità locale e l'occupazione,
- la decentralizzazione e il miglioramento dei servizi di orientamento professionale,
- la creazione di nuovi posti di lavoro nei
servizi locali,
la creazione di posti di lavoro e le nuove industrie nel campo dell'ambiente,
- il turismo e i programmi di creazione di
posti di lavoro culturali.
-
IO. I1 Comitato delle Regioni
I1 Comitato delle Regioni ha deciso di dare
nella sessione plenaria di settembre un parere
d'iniziativa sul Libro bianco. La preparazione di questo parere è stato affidato alla Commissione 1 (sviluppo regionale, sviluppo economico, finanza locale e regionale), anche le
altre Commissioni porteranno i loro contributi. I relatori sono già stati nominati, ognuno trattando diversi aspetti del Libro bianco:
crescita e aspetti economici
competitività, infrastrutture
occupazione
Al fine di preparare un testo di qualità in
vista di una discussione al Comitato delle Regioni, sarà necessario mobilitare le risorse di
talento disponibili nelle file degli Enti locali
e regionali.
OTTOBRE 1994
si avvicina la scadenza del 1996
In vista della revisione del Trattato di Maastricht
Il CCRE ha iniziato il dibattito interno sulla revisione del Trattato di Maastricht.
Pubblichiamo a tale proposito la nota inviata
dalllAICCRE, dopo che all'intemo della stessa
AICCRE si è affuontatoil problema nella Direzione del 12 settembre 1994 ed in un successivo
Comitato ad hoc nominato dalla Direzione
stessa.
L'atteggiamento del CCRE di fronte alla
revisione del Trattato di Maastricht non può
non tenere conto prioritariamente del documento o manifesto approvato agli Stati Generali di Strasburgo (ottobre 1993) e ratificato
dagli organi statutari competenti. Dal punto
di vista politico-istituzionale questo documento si può considerare basato su due punti
essenziali: 1 - si nota tuttora la «mancanza
di Europa», cioé l'Europa non è ancora un
autentico e completo Soggetto politico, capace di agire come tale, al suo interno e nel quadro internazionale; 2 - l'Europa «che noi
vogliamo» è «l'Europa dei cittadini)), cioé occorre realizzare interamente e coerentemente
quella «cittadinanza dell'unionen, di cui già
l'attuale redazione del Trattato di Maastricht
pone le basi. Inoltre il documento ribadisce la
fedeltà del CCRE al principio di sussidiarietà
(che è previsto all'articolo 3b del Trattato di
Maastricht), la cui corretta lettura dovrà rifarsi a una Costituzione dell'unione (il principio di sussidiarietà non si deve applicare
soltanto ai rapporti fra l'Unione europea e gli
Stati membri né deve limitare gli spazi di
competenze e di intervento dell'unione europea rispetto ai predetti Stati membri). In particolare il documento chiede che «le condizioni di applicazione del principio di sussidiarietà siano definite in modo da permettere ricorsi legali, anche da parte degli Enti locali e regionali, presso la Corte europea di Giustizia»: con ciò si ribadisce l'unità e la coerenza
del sistema istituzionale dell'unione, I'autonomia della Corte di Giustizia, il carattere
sovranazionale dell'unione, la priorità del diritto comunitario sui diritti nazionali, e in sostanza l'alleanza tra la difesa delle autonomie
territoriali infranazionali e il Soggetto
politico-istituzionale quale deve essere 1'Unione europea. Inoltre, a chiarimento del
Soggetto politico europeo, il documento insiste nel chiedere una moneta unica, politica
estera e di sicurezza comuni. I1 documento
chiede la preparazione di un Governo dell'Unione europea, responsabile di fronte all'Assemblea dei Popoli (il Parlamento Europeo) e
a quella degli Stati (il Consiglio dell'unione):
qui vale ricordare che, già negli Stati Generali di Lisbona, il CCRE, chiedendo la trasformazione del Consiglio dei Ministri comunitario in Senato degli Stati, precisò che quest'ultimo deve rappresentare gli Statiordinamento e non gli Stati-persona.
Circa la procedura per la revisione del
OTTOBRE 1994
Trattato di Maastricht il CCRE ha insistito
affinché il Parlamento Europeo, espressione
diretta di quegli elettori, che sono dotati di
cittadinanza europea, abbia poteri costituenti: il che significa, nella realtà che ci sovrasta,
che nella revisione il Parlamento Europeo sia
dotato, nella prevista Conferenza intergovernativa ad hoc, di «codecisione costituente»,
cioé che partecipi in pieno e con adeguati diritti al processo di revisione. In sostanza la
cittadinanza europea dovrà diventare una
realtà viva.
Nella revisione del Trattato di Maastricht
la configurazione della Conferenza che dovrà
attuarla è ovviamente di importanza essenziale. Date le premesse degli Stati Generali di
Strasburgo è chiaro che il CCRE deve allearsi
in pieno e lealmente col Parlamento Europeo,
espressione dei cittadini europei e quindi necessario protagonista della sintesi sovranazionale rispetto ai particolarismi degli Stati, che
attualmente sono rappresentati dai Governi
nazionali: il CCRE deve quindi realizzare le
esigenze delle autonomie territoriali, locali e
regionali (del sistema delle autonomie, come
noi vogliamo) nel dialogo col P.E., evitando
che l'Europa intergovernativa - da noi
aspramente criticata a Strasburgo - attui fra
noi e il P.E. il classico «divide et impera»,
cercando di non rendere conto, complessivamente e anzitutto, all'istituto che tutti ci rappresenta, appunto l'assemblea popolare europea eletta a suffragio universale e diretto. I1
punto critico sarà quando, prima di convocare la prevista Conferenza intergovernativa
«ad hoc», i governi debbono, come è prescritto, consultare il P.E.: questo dovrà rivendicare, a questo punto, formalmente la sua presenza nella «revisione» (durante la quale esso
rappresenterà l'unica garanzia possibile per le
nostre esigenze, non garantite dagli Stati nazionali). Qui il nostro appoggio «condizionato» al P.E. sarà decisivo (come pure l'atteggiamento dei Parlamenti nazionali, sul quale
si possono e si debbono nutrire preoccupazioni, anche se l'Assise che si svolse a suo tempo
risultò favorevole al ruolo e ai poteri del
P.E.).
Si è suolto a metà settembre, organizzato dalla Casa d'Europa di Cala Corvino - Monopoli,
il seminario sul tema: «La funzione della donna nell'unione europea».
Hanno partecipato folte delegazioni provenienti da: Austria, Germania, Grecia, varie Regioni
d'Italia, Bulgaria, Albania, Cipro e Malta.
Alle articolare relazioni tenute da qualificati esponenti del mondo della cultura, è seguito
sempre un ampio dibattito dal quale è emerso che ancora è necessario operare tra la gente perché
sia raggiunta la piena coscienza delle pari opportunità della persona, poiché spesso alle leggi esistenti non cowisponde un adeguato comportamento.
Il veloce mutamento della società è uno dei fenomeni pi2 vistosi della fine del X X secolo e,
se sul piano 1egisZativo vi sono stati provvedimenti tendenti a realizare l'uguaglianza tra uomo
e donna, sul piano pratico e nel quotidiano, in particolare in alcuni paesi, ancora non si è raggiunta quella parità tanto proclamata.
Eppure si avverte da ogni parte la necessità che le donne esercitino un'influenza sulle decisioni
da cui dipende l'esistenza di tutti.
Nella foto da sinistra: Antonio Muolo, presidente della Casa d'Europa di Monopoli, I'on. Enrico
Sementi, Franco Punzi, presidente della Federazione pugliese del19AICCRE,il sen. Giorgio
Coccioli, la prof.ssa Angela Valentini
I1 Comitato delle Regioni e degli Enti locali, istituito dal Trattato d i Maastricht, pur
rappresentando un indubbio passo in avanti
nel lungo e faticoso processo di riconoscimento istituzionale della partecipazione delle autonomie territoriali nell'ambito dell'unione
europea, dovrà subire alcuni opportuni adeguarnenti che ne precisino la natura, la composizione, le competenze, il peso politico e la
assoluta autonomia dagli altri organi previsti
dalla Carta costituzionale europea. I n particolare i membri del Comitato delle Regioni e
degli Enti locali dopo la revisione del Trattato di Maastricht dovranno avere tutti il requisito di eletti locali o regionali, onde rafforzare la natura politica del Comitato. Inoltre,
come più volte chiesto dal CCRE, esso dovrà
esercitare senza vincoli il suo potere di iniziativa ed essere riconosciuto come interlocutore di una stretta collaborazione anche con il
Parlamento europeo, al quale andranno trasmessi i suoi pareri e le sue prese di posizione.
I n sostanza il CCRE deve operare affinché il
Comitato delle Regioni e degli Enti locali si
trasformi sempre più da organo consultivo in
un soggetto di iniziativa politica. L'esperienza già iniziata nell'ambito del Consiglio
d'Europa e del CPLRE solleva gravi perplessità e preoccupazioni circa l'opportunità di
suddividere il Comitato delle Regioni in due
Camere separate, una composta di Regioni
(ma qual è, in effetti, la realtà istituzionale
regionale in Europa?) e l'altra di Enti locali.
Vi sono certamente distinzioni di potere e di
ruoli tra le Regioni e gli Enti locali e nessuno
pensa di ignorarlo o di sottovalutarlo, ma
molte competenze sono comuni a diversi livelli istituzionali secondo lo specifico ordinamento costituzionale e legislativo dei singoli
stati. La ripartizione dei problemi e quindi
dei rapporti tra la Camera delle Regioni e
quella degli Enti locali solleverebbe quindi
molte questioni che non contribuirebbero a
fornire autorevolezza e unità di iniziative politiche all'intero Comitato delle Regioni e degli Enti locali.
Particolare approfondimento merita il problema, già sollevato dal CCRE con riferimento sia al Comitato delle Regioni sia al CPLRE
del Consiglio d'Europa, della distinzione tra
le Regioni istituzionali propriamente dette
presenti in alcuni Stati membri (ad esempio
in Spagna e in Italia) e gli Stati regionali (i
«Laender») membri di uno Stato federale (ad
esempio in Germania e in Belgio) impropriamente considerati Regioni e a queste ultime
integralmente equiparati, mentre la loro natura, il loro peso poltiico e i loro rapporti con
l'Unione europea sono ulteriormente disciplinati da norme specifiche non estendibili alle
Regioni intese in senso proprio (tradizionale
e limitato).
Pur prendendo atto con soddisfazione del
fatto che le istituzioni comunitarie in questi
ultimi anni hanno riconosciuto l'assoluta necessità di una partecipazione delle autonomie
locali e regionali alla costruzione europea (dal
Progetto Spinelli approvato nel 1984 dal Parlamento Europeo al Progetto Colombo del
1990) rimane l'esigenza che l'Unione europea
dia al principio delle autonomie locali un adeguato e formale fondamento giuridico e poliCOMUNI D'EUROPA
tico. I n altre parole l'esigenza imprescindibile del rispetto e della valorizzazione dell'autonomia territoriale dovrà essere inserito nella Carta costituzionale europea e dovrà anche
riconoscere espressamente che tale principio
è tutelabile attraverso le opportune vie giurisdizionali a garanzia della sua piena osservanza e contro ogni tentativo di violazione. Si
potrà attentamente valutare l'opportunità e
la possibilità che i contenuti della Carta europea delle autonomie locali già adottata dal
Consiglio d'Europa possano essere trasferiti
adeguatamente nella nuova redazione del
Trattato di Maastricht. Qui vale ricordare la
«Carta europea delle libertà locali», approvata agli Stato generali del CCRE a Versailles
nel 1953, la quale chiedeva opportuni mezzi
stabili per permettere al singolo cittadino europeo di esercitare adeguatamente i suoi diritti politici.
Nell'ambito delle riforme, delle precisazio-
ni e delle integrazioni del Trattato di Maastricht un posto particolare dovrà essere riconosciuto ai problemi dell'effettiva coesione
economica e sociale e di reale riequilibrio territoriale nell'ambito dell'unione europea,
obiettivo al quale gli Enti locali e regionali
sono chiamati a dare un irrinunciabile contributo. In questo contesto - che dovrà vedere
l'intima coesione del sistema delle autonomie
territoriali e l'interdipendenza dei suoi livelli
- una particolare attenzione dovrà essere riservata all'armonizzazione fiscale perché essa
coinvolge a sua volta i poteri territoriali, in
quanto essi coinvolgono la disponibilità di risorse finanziarie di loro spettanza nonché ai
problemi dell'accesso degli Enti locali e regionali al credito su scala europea, con riferimento alla libera circolazione di capitali già
in atto nell'ambito dell'unione.
AICCRE, Roma l l ottobre 1994
un documento del MFE
L'Italia e il nucleo federale
La Direzione nazionale del MFE
prende atto
con soddisfazione delle proposte della CDUICSU, in vista della Conferenza intergovernativa del
1996, per la creazione di un nucleo duro tra i paesi della Comunità che intendono costruire una Unione «ispirandosi al modello di uno Stato federale)), conferendo progressivamente al Parlamento europeo
il carattere di organo legislativo a parità di diritti col Consiglio e alla Commissione gli attributi di
un governo europeo;
condivide
con la CDU/CSU la preoccupazione per le drammatiche conseguenze che avrebbe il fallimento del
processo di unificazione europea, che lascerebbe mano libera alle forze nazionalistiche del passato
per riaprire ferite e divisioni tra i popoli europei che i padri fondatori della Comunità si erano proposti
di superare definitivamente mediante istituzioni sufficienti a garantire un comune futuro di pace;
sostiene
che la via del nucleo duro debba essere percorsa senza esitazioni per conciliare il necessario allargamento della Comunità con l'approfondimento, garantendo cosi democraticità, coesione ed efficacia
all'Unione europea;
giudica
del tutto inadeguate le reazioni del Governo e di quasi tutti i partiti italiani, sia della maggioranza
che dell'opposizione, alle proposte di un nucleo federale, perchè nessuno ha risposto alla questione
fondamentale, cioè se, in seno alla Conferenza intergovernativa del 1996, i cui lavori preparatori sono
già iniziati, il Governo italiano debba assumere una posizione favorevole o contraria alla costruzione
della Federazione europea;
fa notare
che le forze della consewazione nazionale - come dimostra anche il recente convegno di Oxford
per l'elaborazione di un reazionario Manifesto untifederalista, a cui ha partecipato un rappresentante
del Governo italiano - si stanno organizzando per sabotare i tentativi di portare al suo compimento
democratico il processo di unificazione europea e che conseguiranno una facile vittoria se le forze
tradizionalmente favorevoli all'Unione federale non avranno il coraggio di scendere in campo aperto
assumendosi le proprie responsabilità nei confronti dei cittadini e dell'opinione pubblica;
annuncia
ilfemo proposito del MFE, fedele all'insegnamento di Spinelli e memore del limpido impegno federalista di Einaudi e di De Gasperi, di avviare una campagna di contro-informazione e di mobilitazione
popolare nei confronti dei partiti e del Governo affinchél'Italia prenda nel più breve tempo possibile
una fema posizione a favore della costruzione di un nucleo federale tra i paesi dellJUnioneeuropea;
invita
tutte le componenti della forza federalista - in particolare il Movimento europeo, I'AICCRE, I'AEDE, il CIFE - ad unire le loro energie a quelle dei militanti del MFE per contribuire al successo
di questa battaglia decisiva per il futuro dell'Unità europea, della democrazia e del federalismo.
Milano. 1 7 settembre 1994
OTTOBRE 1994
Pensiero e azione
(segue da pag. 2)
venuti attuali -. I1 primo è il federalismo nei
suoi rapporti col mercato economico: il problema si è acuito con la conclusione, negativa, del socialismo reale, che per altro non ha
cancellato tutte le esigenze e gli obiettivi che
erano alle sue origini. Come spesso accade, la
prima reazione alla disfatta del socialismo
reale è stata l'attrazione del polo opposto, il
mito di un liberismo che si affida a un mercato «fatato», che tutto risolve e sembra ignorare il ruolo delle istituzioni Dolitiche - salvo
concedere loro, al massimo, di fare il carabiniere -. Intanto molti feticisti. liberisti. del
mercato sembrano trascurare alcune prospettive ~lanetarie.che sono mutate: non si tratta
di piodurre comunque il più possibile e di
venderlo («creando lavoro»).
ma di ~ r o d u r r e
,,
quanto serve (e i cui rifiuti si riescano a smaltire) e di distribuirlo equamente su tutto il
territorio planetario; poi si tratta di bloccare
le prhduzioni dannose e le spese pubbliche
che spesso comportano (le armi!), utilizzando
il risparmio a scopi sociali; c'è a sua volta il
problema fiscale, con autonomia a tutti i livelli. ma inoltre con ~ereauazioniverso le comunità - nazionali e sovranazionali - che
non riescano a «tenere il passo» (è, sempre
crescente, l'esigenza di solidarietà, che è l'anima del federalismo).
. , ecc. ecc.: tutto ciò evitando, qui sta il rebus, il parassitismo e la burocrazia di molti Stati «sociali». I n realtà è
difficile realizzare quel che i tedeschi hanno
chiamato «economia sociale di mercato», a livello sia nazionale che sovranazionale (e si
pensi all'emigrazione in massa, dai Paesi «poveri», per fame e disoccupazione endemica,
che non va risolta nè con misure - del resto
in buona parte impossibili - di polizia, né
con la costruzione «lampo» di una società
multietnica, che ha bisogno di tempo, ma con
una diversa distribuzione olanetaria delle
fonti di ricchezza e con una diversa procedura dell'arricchimento - si'oensi alllOreaniz"
zazione sedicente «mondiale» del commercio
-). Ma i federalisti si dovrebbero preoccupare di analizzare lo stesso meccanismo del mercato e non (o non solo) i suoi correttivi, scendendo più a fondo dell'economia a due settori (privato e pubblico) del Partito d'Azione e
dei cattolici di Camaldoli (per rimanere solo
in Italia). I1 mercato è in qualche modo contro la produzione governata da un «gruppo guida» politico (che è la realtà del socialismo reale) - un referendum tra i consumatori (la domanda) che si confronta con l'offerta
( ~ a ' ~ r o d u z i o nee )in qualche modo dovrebbe
determinarla: ma ha i limiti del referendum e
non ne rispetta neanche le regole. Ha i limiti,
perchè il consumatore può solo scegliere tra
quel che gli viene proposto, e ciò si potrebbe
mitigare - solo mitigare - con una grande
varietà dell'offerta, che tuttavia non è preoccupata in nessun caso dell'utilità spirituale o
comunitaria dei beni offerti; non ne rispetta
le regole, perchè l'informazione della domanda., la «~ersuasione»
del consumatore. è nelle
.
mani, generalmente, dell'offerta ed è più una
spinta a un irrazionale consumismo che alla
soddisfazione strategica delle esigenze, per
altro - aninunto - non solo materiali. del
cittadino consumatore. L'offerta, poi, è in
mano a un circuito. economico-finanziario. di
giant cotporations, come osserva Galbraith,
ed è certo molto lontana dalla filosofia del
«piccolo è bello», che era di moda - solo di
o,
moda - anni fa, d e l l ' a ~ t o ~ e s t i t dell'iniziaL
1
L
OTTOBRE 1994
A
tiva partecipata di base, ecc. Premesso tutto
ciò. rimane il ~ r o b l e m adei «limiti allo sviluDpo», che non sono solo i limiti planetari, denunciati soprattutto a partire dal famoso rapporto del M.I.T., ma altresì i limiti posti nei
diversi territori da un corretto ambientalismo: da questo muove il secondo problema
<(federalista»che stiamo affrontando.
I1 secondo problema - e per esso fermiamoci un momento in Europa - è il problema
del carattere della Regione in una Europa,
piccola o grande, federata. Si favoleggia di
una «Europa delle Regioni»: ma quali Regioni? Finora ci si è ~assivamenteindirizzati a
una esperienza assai notevole, ma da perfezionare: auella della Germania federale. Ora.
i Laender tedeschi hanno troppo il carattere
ripetitivo di Ministati e hanno creato alcune
difficoltà alla stessa comunità tedesca. Noi
proponiamo una diversa Regione (cfr. «La
Regione in uno Stato federale», in «Comuni
d'Europa» del giugno 1994, e in questo numero una interessante nota del Presidente
della Regione Trentino-Alto AdigelTiroler
Etschland]: secondo noi la Regione è - può
essere - l'Ente di base di un rapporto razionale tra il mercato e i limiti allo sviluppo. La
Regione ha - deve avere (salvo eccezioni) almeno una dimensione che comprenda tutti
gli elementi dello sviluppo economico-sociale,
Sviluppo che, in una sintesi a priori, si deve
confrontare con la «pianificazione del territorio»: spetta infatti alla Regione rappresentare
i caratteri fisici, territoriali suoi specifici, su
cui lo sviluppo si deve dispiegare. I n parole
povere con la macrourbanistica deve fare i
conti, nei suoi progetti, lo sviluppo: in fondo
la Regione è in tal modo la principale garante
della «qualità della vita» e, pertanto, essa deve avere i poteri necessari. Altro che la Regione mono-etnica del nostro amico Guy Héraud! La Regione ottimale non deve essere
monoetnica, ma dare tutte le garanzie alle diverse etnie o comunque tradizioni culturali,
che essa contiene.
Non pretendiamo con due esempi sbrigativi di essere andati oltre il tentativo di mostrare come la lotta federalista non implichi soltanto un «dogma» (morale) e un'azione tenace, ma anche molto faticoso pensiero: e qui
sta il fascino della rivoluzione, che proponiamo, molti di noi, da una vita, ma che si presenta a tutti noi - vecchi e giovani - come
non rimandabile oggi, nel momento storico in
cui possono decidersi le sorti dell'Europa e
del mondo - e con esse della oace e della libertà -. Con la premessa, etica, speriamo di
aver chiarito che, anche con la sconfitta, non
saremo mai «all'ultima spiaggia» - le battaglie morali sono eterne -, ma rischieremo di
vivere poi con un grande rimorso di coscienza
e la prospettiva di una lunga fase di buio, di
decenni (o forse di secoli?). Permettete di ricordare quando qualcuno di noi vecchi rifletteva «se vincesse Hitler?».
Ma non basta. Un consapevole militante
federalista deve avere una informata e critica
memoria storica: nel nostro caso attuale, una
memoria della storia d'Europa. Virgilio Dastoli, in un recente saggio che sta uscendo in
una rivista «scientifica» («L'Europa fra magnete tedesco e diluente britannico», in «Mulino/Eurona» n.2).
. , ci ricorda che Victor Hugo, 'pacifiSta e federalista, scriveva nell'agosto 1876 che. di fronte al massacro delle genti
slave della Serbia perpetrato dalle genti mussulmane della Turchia, si mostrava «senza
ombra di dubbio» la necessità «di una nazionalità europea, di un governo uno, un immenL~
~
-
so arbitrato fraterno, la democrazia in pace
con se stessa: in una parola, gli Stati Uniti
d'Europa». Ma già prima Mazzini aveva mostrato il suo interesse per gli Slavi del Sud.
Egli (cfr. Bruno Di Porto, «Come e perchè la
Jugoslavia», in «Comuni d'Europa» settem~ considerò elemento promettenbre 1 9 9 4 ) li
te e dirompente per minare dall'interno e dai
confini l'egemonia asburgica, che bloccava il
Risorgimento italiano, e per rifondare 1'Europa su un concerto di nazionalità. I1 moto slavo avrebbe altresì estromesso dall'Eurooa la
storica oppressione dell'impero ottomano».
In realtà l'emancipazione dall'oppressione ottomana si dovette largamente ai Serbi. Frattanto la Croazia. cattolica e tradizionalmente
fedele agli Asburgo, stanca dei suoi rapporti
particolari e di dipendenza con l'Ungheria, si
avvicinò al movimento irrequieto degli Slavi
del Sud e fra auesti alla Serbia., malerado la
pesante divergenza religiosa (cattolici gli uni,
ortodossi eli altri).
, Ouel
- che successivamente
interessa in tutta la zona è la composizione e
scom~osizionedelle alleanze fra nli Slavi del
Sud, spesso frammisti (croati, serbi, bosniaci,
ecc.) nenli
" stessi territori: ciascuno con mutevoli rapporti con la monarchia asburgica, plurinazionale a sua volta; allontanati da caratterizzazioni etniche non sempre omogenee e
riavvicinati da considerazioni oolitiche. dipendenti dall'emancipazione culturale e democratica e portate spesso avanti attraverso
partiti ideologicamente analoghi: comunque
«fu nei territori degli slavi meridionali che la
Monarchia asburgica incontrò la catastrofe»
(Norman Stone, «Europe Transformed 18781919», London 1983, con una traduzione italiana edita da Laterza: libro utile Der ricostruire la complessità di uno Stato l'Austria-Ungheria - plurinazionale, con
molti aspetti strutturali sovranazionali, che
non è sfociato in una federazione danubiana,
e di uno Stato prima unitario e poi, solo nominalmente - perchè autoritario e antidemocratico -, federale come la Jugoslavia,
che per ora si è sfasciato, con l'aiuto - palese
e no - degli Stati nazionali della cosiddetta
Unione europea). La Jugoslavia, era divenuta
uno Stato alla fine del primo conflitto mondiale; fra le due guerre vide la continua tensione fra i croati, che volevano una federazione, e i Serbi, più forti, che volevano un regime centralizzato: ma oggi sbaglia chi, disorientato dalle atrocità della «pulizia etnica»,
ignora legami anche assai forti, che tuttora
sussistono fra uomini e donne delle diverse
etnie, soffocati da regimi che è dubbio siano
profondamente rappresentativi, e non si domanda come la costruzione della Federazione
europea richieda assolutamente la pace e la
democrazia sovranazionale nei Balcani.
u
u
u
,
La storia non sarà maestra di vita, se no si
rischia di irritare Benedetto Croce nella tomba, ma certamente aiuta a non giudicare I'atteggiamento dei popoli da loro posizioni contingenti quanto piuttosto dalla dialettica con i suoi sì, i suoi no e le prevaricazioni di
minoranze prepotenti - delle loro varie componenti, dispiegate nel tempo, se non dalle
intuizioni intelligenti e controcorrente dei loro uomini più lungimiranti. Che giudizio molti europei hanno spesso dato di venti anni di
fascismo, col razzismo finale, dell'Italia degli
COMUNI D'EUROPA
anni trenta?
S e m ~ r econ auesta avvertenza e senza
schematismi, che pretendono di classificare
nazioni e DO DO^^ con definizioni unilaterali e
restrittive, dobbiamo ora affrontare 1'Austria, la cosidetta Mitteleuropa, la Germania.
Anni fa pubblicammo in «Comuni d'Europa»
un articolo dal titolo «La Germania che noi
amiamo» (marzo 1990): insisteva. anche troDpo, sul positivo e il negativo di varie scuole
filosofiche, ma vorremmo ora limitarci a ricordare un giudizio abituale sulla Prussia e i
prussiani, tutti presunti figliocci di Bismarck,
mentre se ne può fare una storia che va da
Kant a Ernst Wiechert («Discorso alla Gioventù tedesca 1945))). Ecco, prima di parlare
del da farsi nei riguardi della Germania e del
«nucleo duro» - che poi, per tranquillizzare
i compatrioti europei, è diventato un «magnete» (mentre il letterato Mitterrand aveva
a suo tempo parlato, più abilmente, di «ceux
qui voudront))) - sarà bene, più che tirarsi
indietro, entrare, sovranazionalmente, in un
discorso, schietto e anche duro, con i tedeschi che ragionano e apprezzare le buone intenzioni, sottolineando implacabilmente le
pericolose contraddizioni. Poi, o anche subito, il discorso andrà allargato, perchè 1'Austria sta Der entrare nell'unione: e anche aui
occorrerà non trascurare la storia. Per il momento consiglio, oltre il citato libro dello Stone, un volumetto uscito nella sempre utile
collana «que sais-je?» delle Presses Universitaires di France, «La Mitteleuropa)) di Jacques Le Rider, nonchè ovviamente il classico
«L'idea dell'unificazione euroDea dalla rima
alla seconda guerra mondiale)), a cura di Sergio Pistone per la Fondazione Luigi Einaudi
(Torino 1975), soprattutto nei tre capitoli di
Arduino Agnelli («Da Coudenhove-Kalergi al
piano Briand))), di Renato Monteleone («Le
ragioni teoriche del rifiuto della parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa nel rnovirnento comunista internazionale))) e di Walter
Lipgens («L'idea dell'unità europea nella resistenza in Germania e in Francia))).
A
A
Fermiamoci qui. Spero di aver dato una
chiave di lettura dei resoconti, contenuti in
questo numero della nostra rivista, della
grande Conferenza euro-araba delle città,
svoltasi in settembre a Valencia, e del Seminario del CCRE sul Libro Bianco, svoltosi a
Roma precedentemente. La prima ha avuto
una svolta, nella sua preparazione mesi fa,
quando I'AICCRE ha sottolineato ai colleghi
del CCRE l'esigenza di non limitarsi, passi-
vamente, al lato tecnico di aiuti e scambi promossi dalla eurocrazia nei riguardi dell'area
del Mediterraneo e dei Paesi arabi: occorreva
una presa di posizione politica e autonoma.
Un passo è stato fatto in questa direzione: è
sintomatico il passaggio della Dichiarazione
finale di Valencia, che afferma che il mondo
mediterraneo deve continuare a svilupparsi
«verso un sistema di solidarietà e di democrazia che supera la pace diplomatica per costruire una vera democrazia dell'interdi~endenza». I1 Seminario a sua volta pone in rilievo
la problematica complessa, che si apre ormai
all'impegno di tutti i federalisti, non ambigua, a un New Deal europeo, di cui si parla
e si scrive da molte parti («Comuni d'Europa» propose il tema nell'aprile 1983) troppo
vagamente e che suggerisce di affrontare in
modo coordinato le posizioni dei liberisti puri e degli impuri. Si può volere una moneta
unica senza preoccuparsi di un programma
economico «comune»? è vero che «puntare
oggi ad una moneta unica dovrebbe fra l'altro
risultare più facile proprio in assenza di un
governo europeo))? come si concilia «piccolo
è bello» con una macroeconomia europea? è
giusto attaccare la «centralizzazione» economica promossa dagli eurocrati solo per salvare
la centralizzazione economica degli Stati nazionali sovrani? come si concilia Milton
Friedman con l'arrivo di decine e decine di
milioni di emigranti per fame e mancanza di
lavoro nei loro Paesi (Quarto Mondo)? come
separare i problemi economici (e anche specificamente monetari: perchè no?) da quelli politici del disarmo? come stimolare il consumo
di beni culturali, intellettuali, spirituali? come conciliare realmente lo s v i l u ~ con
~ o le esigenze della politica ambientale? e via discorrendo. ..Per il CCRE qui nasce la preoccupazione angosciosa che il Comitato delle Regioni e dei Poteri locali, promosso da una sua
azione ~ i che
ù ventennale. si trasformi in una
baracca corporativa al servizio delllEuropa
internovernativa e contro la visione armonica
dell'intero sistema europeo delle autonomie
territoriali, rispettoso del principio di sussidiarietà.
Ma il lettore di questo numero troverà anche la «Nota della Sezione italiana del CCRE
(AICCRE) sulla revisione(l996) del Trattato
di Maastrichtn: si commenta da sè, ma occorre tener presente che essa concentra il rnassimo dell'impegno politico che incombe al
CCRE. Infatti, se cade la premessa di una
E u r o ~ afederata. cade anche il senso della nostra attività più che quarantennale per le autonomie territoriali. Chiaro? Talora alcuni
colleghi dimenticano che il primo servizio europeo del CCRE ai Soci è quello di dare una
spinta dal basso - e l'abbiamo data più volte
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Questo numero è stato finito di stampare nel mese di novembre 1994
ISSN 0010-4973
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COMUNI D'EUROPA
a tener fede alla via politica federalista: è
un servizio reso ai Soci che coinvolge la stessa
azione dei Soci., i quali sono amministratori
ma prima ancora «cittadini».
Gli amministratori locali - s ~ e c i ei comunali - hanno il vero contatto (o dovrebbero
averlo?) con la gente. Ebbene, è grave e inaccettabile i1 rigurgito nazionalista e razzista,
che serpeggia ovunque e la diminuzione del
consenso per l'unità europea: ma quale è la
causa? L'Europa si presenta, specie ai giovani, come una entità vaga, senza poteri suoi,
somma di interessi conservatori e reazionari
di molti governi. senza voce nel mondo e vile
(la Jugoslavia!): non si presenta più come un
ideale. Lasciamo la triste minoranza dei neofascisti, neo-nazisti, neo-nazionalisti e razzisti: c'è, viceversa, una maggioranza, anche e
proprio dei giovani, piena di ideali, disposta
al volontariato umanitario, ma delusa e nauseata dell'Europa. D i questa Europa o dell'europeismo in generale? Dobbiamo far ritornare la 'gente
dietro le bandiere dell'Euro,
pa federata, soggetto di pace, di libertà e di
giustizia nel mondo. E ' possibile, è un
dovere.
Noi stiamo coi piedi per terra e faremo tutto il possibile affinchè il Parlamento Europeo, finora così timido, abbia un ruolo decisivo nella revisione del Trattato di Maastricht:
oggi agiremo su quegli Stati, quei regimi, quei
gruppi sociali «che vorranno» (esprimiamoci
con Mitterrand) nell'ambito dei Dodici,
agendo tuttavia subito come CCRE secondo
le linee del rapporto Hansch al Parlamento
Europeo (gennaio 1993), cioè ponendo subito
a tutti i membri della grande Europa I'obiettivo strategico di una patria comune (la grande Federazione): federalismo a Nord, a
Ovest, a Est e a Sud. I due obiettivi non sono
contraddittori. se saDremo esigere una coerente onestà: un nucleo federato esemplare
subito, una proposta immediatamente (il magnete dei tedeschi) a tutti. Se la revisione non
~ o r t e r àa una Costituzione euroDea e il Parlamento Europeo - di cui siamo pronti ad appoggiare i membri più coraggiosi - agirà con
una nuova timidezza, diverremo una implacabile minoranza di opposizione europea, ma rilanciando l'idea di un «fronte democratico
europeo)), che andiamo proponendo d a trent'anni e di cui abbiamo mostrato la possibilità
nel dicembre 1990 al Campidoglio di Roma
(Convenzione europea per l'Unione democratica): basterà coordinare gli idealisti delusi,
coloro che agiscono isolati o per gruppi in
azioni umanitarie, tutti coloro che sanno
guardare al di là del proprio campanile. Sono
tanti! e il Risorgimento europeo è nelle nostre mani.
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OTTOBRE 1994