Gli anni `50: dalla Hollywood sul Tevere alla sala Bianca

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Gli anni `50: dalla Hollywood sul Tevere alla sala Bianca
17 GENNAIO 2015• Auditorium del MAXXI
Gli anni ’50: dalla Hollywood sul Tevere alla sala Bianca
con Sofia Gnoli
Nel clima di emergenza provocato dalla Seconda Guerra mondiale, la creatività italiana,
unita a un’antica tradizione di alto artigianato, formò un cocktail esplosivo che avrebbe dato
i suoi frutti all’indomani del conflitto. Allora, sullo sfondo dell’European Recovery Program,
noto anche come piano Marshall dal nome del Segretario di Stato americano che lo
annunciò, l’Italia si trasformò in una sorta di colonia statunitense.
Era l’epoca in cui Roma, con la sua atmosfera fatata, fatta di tramonti, di rovine, di
basiliche, si impose nell’immaginario collettivo come la terra di sogni impossibili. Si pensi al
film Roman Holiday (Vacanze Romane, 1953) di William Wyler, dove l’esile Audrey Hepburn,
principessa in visita ufficiale, stordita dal fascino della Città Eterna, dimentica
completamente ogni dovere abbandonandosi tra le braccia del fascinoso giornalista
Gregory Peck. Con le sue bellezze mozzafiato Roma divenne il palcoscenico ideale di
matrimoni hollywoodiani, come quello celebrato il 27 gennaio 1949 nella basilica di Santa
Francesca Romana tra Tyrone Power e la bellissima ma non altrettanto nota attrice Linda
Christian. In virtù della notorietà dello sposo, il vestito della Christian firmato dalle Sorelle
Fontana rimbalzò su riviste e cinegiornali facendo il giro del mondo e rendendo famose le
sue artefici.
Lo stile italiano si stava affermando con caratteristiche del tutto peculiari quali il legame
con l’America e quello con il cinema di Hollywood. Nel secondo dopoguerra infatti diverse
produzioni hollywoodiane realizzarono film negli economici studi di Cinecittà, storico
stabilimento creato nel 1937 in via Tuscolana. Stava nascendo la Hollywood sul Tevere.
Belle e famose, le star di Hollywood approdavano nella Città Eterna per interpretare schiave
e regine, ancelle e imperatrici. E, nelle pause di lavorazione, presero a frequentare i nuovi
atelier della capitale che, accanto a quello delle Sorelle Fontana, portavano i nomi di
Fernanda Gattinoni, di Emilio Federico Schuberth, di Carosa, di Antonelli, di Simonetta
Visconti e di Roberto Capucci.
Allora Anna Magnani e Ingrid Bergman divennero fedeli clienti di Fernanda Gattinoni
Esther Williams, insuperata “bellezza al bagno”, frequentava l’atelier di Roberto Capucci.
L’enfant prodige della moda italiana creò per lei il famoso abito Nove gonne.
Dalle proporzioni scultoree che sarebbero sempre rimaste la cifra distintiva del lavoro di
Capucci quel vestito, ispirato ai cerchi concentrici prodotti un sasso lanciato in acqua, si è
in breve trasformato in un classico tanto da venire scelto per la pubblicità della Cadillac e
da essere immortalato, indossato da Marilyn Monroe, in un celebre fumetto del The Dallas
Morning News (1957).
Lauren Bacall e Merle Oberon preferivano le creazioni ‘silenziose’ di Donna Simonetta
Colonna di Cesarò che, insieme a Carosa e a Galitzine, faceva parte della schiera delle
cosiddette “nobildonne della moda italiana”.
Maggiorate come Sophia Loren e Gina Lollobrigida avevano invece un debole per lo stile
esuberante e fastoso di Emilio Schuberth il sarto napoletano che contava tra le sue
ammiratrici anche Soraya, per cui realizzò interi guardaroba.
Bibliografia di riferimento
Capalbo, C., Storia della moda a Roma. Sarti, culture e stili di una capitale dal 1871 a oggi , Roma, Donzelli Editore,
2012.
Giordani Aragno (a cura), 1998, Moda romana dal 1945 al 1965, Roma, De Luca.
Gnoli S., Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Roma, Carocci, 2012.