Numero 27: Rotte le trattative per il rinnovo del CCNL

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Numero 27: Rotte le trattative per il rinnovo del CCNL
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46/art. 1, comma 1, DCB Roma - Prezzo copia euro 0,20
MENSILE DIRCREDITO
ncontri
I idee&fatti
dicembre 2014
anno IV
27
ENNESIMO COLPO DI MANO DEI BANCHIERI
PER IL RINNOVO DEL CCNL
ROTTE LE TRATTATIVE
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Anno IV - numero 27 - dicembre 2014
Editore: DirCredito
Direttore responsabile: Franz Foti
Vice Direttore: Cristina Attuati
Comitato di direzione: Maurizio Arena, Silvana Paganessi,
Franz Foti, Cristina Attuati
Hanno collaborato a questo numero
Maurizio Arena, Cristina Attuati, Silvio Brocchieri, Dante Columbro,
Riccardo Ferracino, Franz Foti, Gioacchino Garofoli, Elisabetta
Giustiniani, Livio Iacovella, Emilio Meiattini, Claudio Minolfi, Giuseppe
Montinaro, Irene Olenich, Giulio Pomar, Barbara Pungetti, Gaetano
Reale, Dante Sbarbati, Vittorio Verdenelli
Progetto grafico: Claudia Spoletini
Stampa: Orfeo Planet s.r.l. - Roma
Redazione: Via Principe Amedeo 23 - 00185 Roma
Periodico telematico: Reg. Trib. Roma n. 118/2014
Periodico cartaceo: Reg. Trib. Roma n. 441/2005
Iscrizione al ROC n. 13755
chiuso e pubblicato il 19 dicembre 2014
SOMMARIO
IL PUNTO
U.S.A.-CUBA. Prove generali di riavvicinamento
L’EDITORIALE
Ennesimo colpo di mano dei banchieril
INTERNAZIONALE
Brevi dal mondo
SINDACATO
La demolizione professionale: un suicidio strategico
Sistema bancario, cultura d’impresa e contratto
Cronaca di una “irresponsabilità manageriale” annunciata
2014 addio, ma il 2015... ancora ristrutturazioni
Sindircasse chiude dopo 60 anni di storia
LAVORO
Il circolo virtuoso che genera nuova occupazione
Segnali di svolta nella Legge di stabilità
I mutamenti economici e occupazionali e il difficile ciclo della ripresa
SOCIETÀ
Il lato oscuro dello stereotipo femminile
Pubblicità e rappresentazione di genere
“The disruptor”, il perturbatore
Social network & lavoratori
I disabili e gli steccati mentali dei normodotati
LEGALE
Osservatorio sulla giustizia
Il filo d’Arianna
Responsabilità penale ad ampio spettro in Equitalia
PENSIONI
Riforme pensioni di nuovo in campo voci di corridoio ma non troppo
Tetto bloccato per le pensioni d’oro e penalizzazione “zero” per gli under 62
FISCO
Evasione fiscale e tracciabilità integrale dei flussi finanziari
CURIOS@NDO
Contanti addio segnato il destino delle banconote
Maurizio sarri dal posto in banca alla serie A
Penne di lusso protagoniste di firme importanti
L’acqua di Roma è tra le migliori d’Italia
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ENNESIMO COLPO DI MANO
DEI BANCHIERI
ROTTE LE TRATTATIVE
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DEL CCNL
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SPECIALE INSERTO
Disabilità e lavoro
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n I L P U N TO
Il fatto
del mese
U.S.A. - CUBA
PROVE GENERALI DI RIAVVICINAMENTO
Ci sono voluti più di 50 anni e l’intervento di Papa Francesco per aprire un capitolo nuovo nella storia
dei rapporti tra il popolo cubano e quello americano. Gli Stati Uniti, è stato lo stesso Barack Obama ad
annunciarlo, ristabiliranno le relazioni diplomatiche con Cuba e, su proposta dello stesso Presidente,
avvieranno l’iter per cancellare un embargo che, dati alla mano, si è rivelato rovinoso per entrambe le
parti
I rapporti con l’Avana erano stati interrotti nel 1961, a seguito della rivoluzione di Fidel Castro. L’an-
nunciato “disgelo”, oltre a determinare la riapertura dell'ambasciata Usa in tempi stretti, produrrà
effetti sostanziali sull’economia, con facilità per viaggi e turismo, affari e comunicazioni, carte di credito
e Internet, rimesse degli emigrati. Ricadute auspicabili si attendono anche nel campo dei diritti umani,
che sarà più facile sostenere abbattendo il muro dell'isolamento.
Il ragionamento del Presidente USA è stato: "Non si favoriscono i diritti umani cercando di far fallire
gli Stati, ma dialogando". Non a caso Obama nella sua azione di “avvicinamento al vecchio nemico”
metterà in prima linea la liberalizzazione degli investimenti nelle telecomunicazioni. Decisivo per lo
sblocco della situazione è stato l’intervento del Papa “venuto dalla fine del mondo”. Francesco ha infatti
personalmente preso carta e penna scrivendo direttamente a Raúl Castro e a Obama, invitandoli a ri-
solvere “questioni umanitarie d’interesse comune, tra le quali la situazione di alcuni detenuti, al fine di
avviare una nuova fase nei rapporti tra le parti”. Il Vaticano è stato inoltre il territorio neutro dove lo
scorso ottobre le due delegazioni si sono incontrate.
A sottolineare l'importanza della svolta è stato il capo della Casa Bianca che ha chiuso il suo discorso
al Paese con una frase in spagnolo: "Todos somos americanos".
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In cont ri
DirCredito Comunicazione
L’ E D I TO R I A L E
n
ENNESIMO COLPO DI MANO
DEI BANCHIERI
I sindacati rompono le trattative per il rinnovo del CCNL
Ciò rende lo scenario particolarmente
preoccupante, poiché i bancari, oltre al
solito attacco ai salari e all’area contrattuale, sono oggetto di un assalto ben
più grave, che si configura come definitivo, alla propria professionalità.
La situazione che abbiamo descritto
rende quindi necessario un coinvolgimento sempre più deciso e puntuale
dei lavoratori, attraverso forme di mobilitazione e di protesta, anche inusuali,
che pongano l’accento sulla necessità
del mantenimento della contrattazione
nazionale come garanzia minima per
tutti gli addetti del settore, ma anche
sullo sviluppo di un nuovo modello di
banca, più vicino all’utenza, che non
può certo passare attraverso l’ennesima mortificazione dei lavoratori.
Il nostro intento in qualità di sindacato
che rappresenta le fasce professionali
alte e che quindi lavora per costruire
una prospettiva anche per i lavoratori
più giovani è quello di confrontarci a
tutto campo, senza pregiudizi, senza
tuttavia consentire uno snaturamento
del settore che si trova a gestire una
fase delicata di certo non imputabile ai
lavoratori.
Richiamiamo i banchieri a un senso di
responsabilità che sembrano aver
smarrito. Governare il cambiamento significa dimostrare la capacità di saperlo
declinare in prospettiva, gettando le
basi per un rilancio che così come avviene per il Paese non può unicamente
basarsi sul taglio dei costi, ma deve
puntare su investimenti e su una visione quantomeno di medio periodo.
Per questo motivo, sono state organizzate iniziative volte a informare e a
coinvolgere i lavoratori su quanto sta
accadendo, convincendoli del fatto che,
mai come oggi, la loro convinta adesione alla protesta potrà determinare
il loro futuro.
“ ...i bancari, oltre al solito attacco
ai salari e all’area contrattuale,
sono oggetto di un assalto
ben più grave, che si configura
come definitivo,
alla propria professionalità
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“
La rottura delle trattative per il rinnovo
del contratto nazionale e il tentativo da
parte dell’Associazione Bancaria di destrutturare la contrattazione nazionale
sono l’ennesimo colpo di mano, peraltro annunciato, di un management che
punta a trasformare il settore appiattendolo e privandolo di tutte quelle
peculiarità e professionalità che, a nostro parere, sono elemento imprescindibile per fornire alla clientela un
servizio di qualità.
L’unico modo di competere per il nostro Paese è quello di puntare sull’eccellenza, poiché nel tempo il taglio
indiscriminato dei costi e un’automatizzazione portata all’eccesso hanno
prodotto più danni che risultati, sia in
termini di immagine che in termini di
soddisfazione percepita dall’utenza.
Sostituire professionisti con operatori/esecutori significa rendere le banche simili a franchising in cui si vende
di tutto e di più, demolendo quelle
competenze necessarie per una gestione proficua e intelligente del risparmio dei cittadini. L’esasperazione del
risultato che, indipendentemente dalle
esigenze della clientela, va conseguito
a ogni costo, mortifica proprio quei lavoratori che, pur nel rispetto delle indicazioni aziendali, utilizzano le loro
conoscenze e la capacità di discernere
tra situazioni diverse per garantire gli
interessi aziendali senza prevaricare
quelli dei risparmiatori.
Le banche, invece, o ancor meglio, una
certa classe di banchieri, pretendono
tutto e subito, tesi a realizzare risparmi
e risultati nel breve e poco interessati
ad avviare riorganizzazioni che, tenendo conto dei mutati scenari, sappiano comunque porsi un orizzonte un
po’ più lungo dell’immediato.
di Maurizio Arena
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n INTERNAZIONALE
BREVI DAL MONDO
Notizie, fatti e curiosità oltre i confini
BRASILE E URUGUAY
LASCIANO IL DOLLARO
È in vigore dal 1 dicembre un accordo
tra le banche centrali dei due paesi che
stabilisce l'utilizzo delle loro monete, il
real e il peso, per i reciproci scambi commerciali. L'intesa riduce i costi delle transazioni e facilita l'inclusione finanziaria di
piccole e medie imprese. Una commissione dell'Unione sudamericana delle nazioni (Unasur) sta studiando di estendere l'iniziativa ad altri paesi sudamericani.
Oltre ai vantaggi economici anche un profondo significato politico: Uruguay e Brasile avversano l'Alca (Area di libero
scambio delle Americhe) sponsorizzata
dagli USA e sostengono una maggiore integrazione commerciale latino-americana.
RUSSIA
LA MONETA CONTINUA A SCENDERE
La caduta del rublo sembra inarrestabile:
dall'inizio dell'anno ha perso metà del
suo valore rispetto al dollaro. Il calo del
prezzo del petrolio trascina infatti tutte
le economie legate all'oro nero, a partire
dalla Russia, che deve agli idrocarburi la
metà delle entrate fiscali e il 70% dell'export. Il danno provocato dal crollo del
prezzo del greggio si aggira tra i 90 e i
100 mld di dollari l'anno, ha
ammesso
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il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov. Inoltre i timori di un deciso deterioramento dell'economia hanno alimentato una serie di vendite massicce sui
bond russi e la banca centrale, dopo aver
bruciato oltre 70 mld di dollari nel tentativo di sostenere il rublo, ha gettato la
spugna autorizzando la fluttuazione della
valuta. Il rischio stagflazione, con crescita
economica e corsa dell'inflazione previste in direzioni opposte per il 2015, è
molto alto.
EUROPA
IMMIGRAZIONE: CROLLO DEGLI INGRESSI
IN ITALIA. GERMANIA AL PRIMO POSTO
La crisi economica ha avuto un fortissimo impatto sul fenomeno migratorio
nella zona Ocse, con una netta diminuzione tra il 2007 (4,47 mln di ingressi ) e
il 2012 (-15%). Metà di questo calo è imputabile all'Italia, dove il numero è passato da 527 mila a 258 mila, con una
caduta del 55% tra il 2012 e il 2007. L'Italia è passata così dal terzo (dopo Stati
Uniti e Spagna) al quinto posto nella classifica dei paesi Ocse, alle spalle degli USA
(oltre un milione), Germania (400 mila),
Gran Bretagna (285 mila) e Francia (259
mila). Italia in negativo e Germania in positivo rappresentano in maniera chiara le
connessioni tra andamento dell'economia e flussi migratori. La Germania ha registrato
n di ce mbre 2014 -
un aumento del 38% tra il 2012 e il 2011
e del 72% tra il 2012 e il 2007. Quanto agli
stock, l'Italia registrava a fine 2012 4,4 milioni di immigrati permanenti, pari al 7,4%
della popolazione totale e al 10% di quella
attiva. Poco meno di un quarto sono rumeni (951 mila), seguiti da albanesi (437
mila), marocchini (412 mila) e cinesi (213
mila), questi ultimi in forte aumento.
CINA
A SORPRESA TAGLIA I TASSI D’INTERESSE
Attesa da oltre due anni, il taglio dei tassi
di interesse è stata la mossa a sorpresa
del governatore della People's Bank of
China, Zhou Xiaochuan, il che dimostra
quanto l'economia cinese versi in una
congiuntura critica. L'obiettivo immediato è quello di contenere le sofferenze
del settore immobiliare, i prezzi delle
nuove case continuano a scendere del
10% nei primi dieci mesi dell'anno, mentre i crediti incagliati hanno preso l'abbrivio e sembrano non doversi fermare
mai. I tassi sono stati ridotti in un anno
di 40 punti base a 5,6, mettendo nel mirino proprio il sistema dei prestiti bancari. Il taglio è stato inoltre accompagnato da un altro passo verso la liberalizzazione dei depositi. Il tetto entro il
quale le banche possono finanziare i
clienti sui loro depositi è stato infatti elevato al 120% del precedente 110.
STATI UNITI
SUL SEGRETO BANCARIO
Tutto è iniziato nel 2009 quando UBS
(banca svizzera) ammise di aver convinto
un buon numero di americani a nascondere i loro asset nei conti correnti della
Banca. La crisi economica ha spinto Washington a lanciare una campagna in
nome della trasparenza, a caccia delle risorse offshore non dichiarate. A differenza di molti paesi, gli Stati Uniti tassano
i cittadini per tutti i loro redditi, indipendentemente dalla loro origine. Non sorprende quindi che ben 5,5milioni di
statunitensi stiano pensando di rinunciare al proprio passaporto, ma il Dipartimento di Stato, ironia della sorte, per
correre ai ripari, ha aumentato la tassa
per la rinuncia alla cittadinanza.
In cont ri
S I N D A C AT O
n
L A DEMOLIZIONE PROFESSIONALE:
UN SUICIDIO STRATEGICO
Ci sarà presto o tardi un contratto, ma correremo il rischio di perdere per sempre una categoria
Non ci potrebbe essere un epilogo
peggiore per un anno, il 2014, che ha
rappresentato in termini occupazionali
“l’annus horribilis” per il nostro Paese.
Decine, se non centinaia, sono le vertenze aperte, migliaia i lavoratori che,
nella migliore delle ipotesi, aspettano il
rinnovo di un contratto che non arriva
e, nella peggiore, sanno che si affacceranno al 2015 senza un’occupazione
stabile.
Il quadro, non certo confortante, si
completa con la rottura delle trattative
nel settore bancario, un comparto, tipicamente terziario, che di solito si mobilita e scende in piazza solo quando
non vi è più alcun margine di confronto possibile.
Questa volta più di altre si ha la consapevolezza, soprattutto da parte sindacale, che siamo a una svolta epocale,
che si vince oppure a “morire professionalmente” sarà l’intera categoria.
Tutti, il sindacato per primo, sono consci della necessità di cambiare, tuttavia
abissali sono le differenze rispetto al
tipo di cambiamento che si vorrebbe
vedere.
L’ABI, infatti, ripete ossessivamente il
“mantra” dell’abbattimento del costo
del lavoro come unica soluzione possibile per evitare il disastro che, per
molte aziende, è più imputabile alla
mala gestione del management che ai
salari dei lavoratori.
Molti sono i disinformati che quando
pensano ai bancari immaginano una
categoria di privilegiati con retribuzioni
lorde annue a sei cifre, una casta insomma che, come tutte le altre, va sfoltita per il bene del Paese.
Molto diversa è la realtà degli addetti
di un settore che negli ultimi 20 anni
hanno perso non dei privilegi, ma dei
diritti guadagnati in anni di lotte e, soprattutto, giustificati dalla delicatezza e
dalla tipicità dell’attività che svolgevano.
Sembra scontato, ma non è così. Infatti
è sotto gli occhi di tutti come le banche, a forza di innovare, tanto per farlo,
abbiano in fondo perso la loro anima,
tradendo quel compito, affidatogli
anche dalla costituzione repubblicana,
di essere il motore economico del
Paese.
Trasformare abili professionisti che gestivano brillantemente i risparmi delle
famiglie, reimpiegandoli nelle attività
dell’impresa in meri esecutori, magari
budgettati e privi di qualsiasi discrezionalità, non è stata un’idea brillante, soprattutto se la si guarda dal lato della
qualità del servizio offerto all’utenza.
Demolire professionalmente una categoria con la scusa che costava troppo,
puntando a un’omologazione al ribasso, ha rappresentato un suicidio
strategico i cui risultati, se non si ha il
coraggio di cambiare rotta, diventeranno sempre più visibili con il passare
degli anni. L’appiattimento degli inqua-
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- di cembre 2 014 n
dramenti, la sterilizzazione di qualsiasi
prospettiva di crescita, la trasformazione della professionalità in un concorso a premi sono tutte figlie di un
mono-pensiero, targato McKinsey, che
più che aiutare le banche a uscire dal
tunnel le ha spinte in un vicolo cieco.
Possibile che nessuno comprenda l’obsolescenza di strategie nate più di 20
anni fa che, pur essendo cambiato il
mondo che le circondava continuano
ottusamente a considerarsi all’avanguardia, così come i banchieri profeti
che le propugnano, e che l’unico trend
di crescita che centrano è quello delle
proprie retribuzioni?
Difficile è rimanere sereni, perché il
tempo incombe e perché se oggi, ora,
non si dà prova di poter fare uno
scatto in avanti molto probabilmente
ci sarà presto o tardi un contratto, ma
correremo il rischio di perdere per
sempre una categoria.
Cristina Attuati
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n S I N D A C AT O
SISTEMA BANCARIO,
CULTURA D’IMPRESA E CONTRATTO
La regressione contrattuale è l’espressione della masima debolezza dei banchieri
Le cinque debolezze. Ormai sappiamo tutti quanti che di fronte alla nostra prospettiva ci sono cinque pesanti
“debolezze” che andranno corrette
tempestivamente per definire nuove
strategie, strumenti e livelli di responsabilità per fronteggiare il presente istituzionale, economico e sociale, pericolosamente in declino e l’incertezza del
futuro.
La prima debolezza che registriamo è
quella di “sistema”, intendendo con ciò
l’insieme delle regole che il potere esecutivo e legislativo – politica e partiti –
mettono in campo per regolare i rapporti sociali e produttivi utilizzando la
micidiale macchina della burocrazia.
La seconda debolezza riguarda il comparto industriale e dei servizi – banche
comprese – che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 e con il declino della grande impresa, non ha
saputo essere soggetto autonomo e
progettuale nella realtà della globalizzazione e dell’esaltazione del “piccolo
“ Il contratto dovrebbe tracciare
nuovi processi formativi
e innescare forti motivazioni
verso la produttività del lavoro
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“
e la crescita professionale
è bello” e non ha ben interpretato la
nuova articolazione dei bisogni produttivi e sociali.
Carenza d’investimenti e ricerca, di
processo e di prodotto, hanno poi
fatto il resto. Questa debolezza potremmo definirla eufemisticamente
“scarsa lungimiranza”, “carenza intellettuale”, “deficit d’immaginazione”. Brutalmente potremmo invece tradurla
come spiccato senso della mediocrità.
La terza debolezza è rappresentata dal
degrado morale sempre più cinico ed
“egotico” (occuparsi di sé infischiandosene degli interessi altrui). Parliamo di
degrado istituzionale, etico e d’impresa,
delle forme del consumo, della funzione della finanza, dell’uso del mercato
cui potremmo aggiungere il degrado
provocato dall’uso distorto e strumentale dell’informazione e del web.
La quarta debolezza è quella sindacale.
Il sindacato con la caduta della grande
impresa, la frammentazione produttiva
e sociale e il tramonto della “classe in
sé”, concepita come progetto generale
di società, della società perfetta e libera
dal lavoro, ormai sostituita dal concetto
di “classe per sé”, ripiegata sugli interessi di settore e di azienda, perde
peso e influenza politica.
Ora siamo entrati nell’ottica della società che si libera con e nel lavoro e
non più dal lavoro. Viene ad affermarsi
sempre più l’idea che si possa cambiare
il lavoro nel lavoro e che senza di esso
si cade nella barbarie.
Le sofferenze derivano dalla mancanza di lavoro e non dalla presenza di
lavoro. Ci si trova nel paradosso che “la
minaccia” diventa progetto di sopravvivenza. L’impresa da una parte, che
minaccia solo tagli, diffusione tecnologica come differenziale professionale e
occupazionale, licenziamenti, esternalizzazione di attività per demansionare
In cont ri
e ridurre costi di produzione reintroducendo il nuovo e brutale concetto
padronale della “sottomissione” targata
3.0. Dall’altra parte il sindacato, che
deve obbligatoriamente mobilitare, difendere, occupare spazi di visibilità e
contrasto per evitare la disumanizzazione del lavoro, intesa come spoliazione della dignità della persona che
rappresenta la condizione primaria
della civiltà.
La quinta debolezza è raffigurata dalla
cultura d’impresa. Nel settore bancario
la vera cultura d’impresa in questi ultimi anni ha faticato a rendersi visibile.
Si è manifestata piuttosto una cultura
o meglio un’incultura della managerialità con la quale si è identificato il sistema bancario nel suo insieme. In
sostanza c’è stata solo una cultura della
leadership e dei relativi stratosferici
compensi e una corsa sfrenata a coprire i buchi che questi manager di settore hanno contribuito a creare.
Le strategie attuali e le visioni del futuro bancario sono ancora ferme alle
prossime emissioni di moneta di provenienza europea – BCE – per completare il processo di risanamento dei
bilanci.
Definire la cultura d’impresa oggi, soprattutto nel sistema bancario è come
guidare a fari spenti in pieno buio. La
cultura d’impresa è quella condizione
che riesce a coniugare usi e costumi, libertà soggettiva e collettiva nel lavoro,
intelligenza innovativa e ricerca, creatività, intreccio di bisogni esistenziali e lavorativi, interazione e integrazione fra
direzione e popolazione d’impresa
(comunicazione e ascolto). È facilitazione della motivazione, alimentazione
della passione, diffusione di valori improntati alla trasparenza e all’onestà, legame con i bisogni del territorio e del
Paese, capacità di sviluppo produttivo,
stimolazione e valorizzazione continua
delle risorse umane. Ho tralasciato
per ultimo un elemento importante
come la fiducia che costituisce il fattore
decisivo per la reputazione di un istituto di credito.
Il contratto di lavoro. Dunque c’è
una fragilità estrema del sistema Paese,
delle imprese, delle istituzioni, della politica e dei partiti aggravati da pratiche
corruttive pesanti e c’è una crisi economica e produttiva perdurante, che
toglie il respiro. Il contratto di lavoro
andrebbe inteso, in questo contesto,
come uno strumento di rinnovamento
culturale, mediazione fra bisogni economico sociali e necessità esistenziali,
come gestione intelligente della transizione verso sistemi innovativi che riposizionino il valore della persona ancor
prima di quello di lavoratore.
Incon tri
- di cembre 2 014 n
S I N D A C AT O
n
Il contratto dovrebbe tracciare nuovi
processi formativi e innescare forti
motivazioni verso la produttività del lavoro e la crescita professionale per essere più prossimi ai bisogni territoriali
delle imprese, dei singoli cittadini e
della collettività, servizio per la ripresa
del Paese.
Il contratto dovrebbe ricostituire linguaggi, relazioni interne e cultura d’impresa per affrontare le difficoltà del
futuro con spirito cooperativo. Il contratto dovrebbe concepire la riduzione
dei dipendenti a disoccupati o a demansionati come una forma di deprecazione morale in presenza di politiche
imprenditoriali responsabili di spreco
del denaro accumulato nel sistema
bancario proprio da quei soggetti e da
quelle famiglie che ora si vuole andare
a colpire, coprendo ancora una volta il
vuoto strategico che pervade i banchieri nostrani e non solo loro.
Il contratto dovrebbe rappresentare il
“legante” fra vecchie e nuove generazioni, accompagnando i cambi di clima
con l’intelligenza che serve e con il consenso sociale che i tempi richiedono.
Il contratto dovrebbe fungere da rigeneratore di coscienza civile e di passioni sia nel versante dei lavoratori sia
in quello degli imprenditori.
Il contratto è una forma educativa alla
conoscenza che consente di essere
protagonisti attivi del cambiamento e
della vita attiva lavorativa e contribuisce a ritessere il filo spezzato dalla crisi
e dalla sua virulenza rinegoziando e riposizionando le relazioni interne – il rispetto del lavoro e della persona –
come una forma di welfare aziendale
a costo zero sotto il profilo psichico,
economico e sociale, valore aggiuntivo
fisico e mentale.
La negoziazione sindacale paritaria,
simmetrica, fondata sul principio della
reciprocità solidale, consentirà di riscoprire l’importanza che i valori personali
e collettivi rappresentano per la direzione d’impresa.
Il contratto, al contrario, concepito
come “Minaccia”, è un puro e semplice
atto di violenza civile unidirezionale, di
carenza culturale, un segnale di debolezza, una manifesta condizione di primitivismo aziendalista.
Franz Foti
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n S I N D A C AT O
CRONACA DI UNA “IRRESPONSABILITÀ
MANAGERIALE” ANNUNCIATA
Contratto: inaccettabili le pregiudiziali dei banchieri... È rottura!
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contrattuale, innovativa rispetto al passato, che viene presentata alla controparte. Arriviamo alla fine dell’estate,
piovosa come non mai, con la speranza
che le nuvole inizino a diradarsi.
Il segnale potrebbe essere individuato
nell’incontro del 6 ottobre. CASL – la
delegazione trattante dell’Associazione
Bancaria – e Sindacati raggiungono finalmente l’intesa: tabellizzazione dell’EDR – decorrenza 1/1/15 – “indipendentemente da ogni eventuale disdetta
di ABI”; impegno a erogare, a gennaio
2015, una indennità una-tantum omnicomprensiva a copertura del periodo
di mancata tabellizzazione; “saldatura”
tra il vecchio e il nuovo contratto e
l’impegno a rinnovare il CCNL entro
fine anno. “Si tratta di un fatto particolarmente positivo – così commenta
Maurizio Arena – che ci consente finalmente di rompere gli indugi e di aprire
velocemente il confronto per dare alla
categoria un nuovo contratto”. Si comincia a entrare nel vivo della trattativa, le distanze fra le parti si dilatano e
gli incontri che si susseguono ne sono
una riprova.
Nell’incontro del 20 ottobre, le Organizzazioni sindacali respingono l’ipotesi
di determinare un unico livello di confronto contrattuale, riaffermando la
centralità del CCNL quale cardine
della contrattazione aziendale. Confermano, inoltre, che difendere l’occupazione nel settore significa difendere la
tenuta dell’area contrattuale in quanto
si riconosce direttamente nel modello
di banca che è stato condiviso nelle
Assemblee.
Al termine dell’incontro, Arena dichiara: “Chiediamo ai banchieri di dimostrare coraggio, facendo a loro volta
quel salto culturale che hanno chiesto
e ottenuto dai lavoratori, cessando
cioè di utilizzare strumentalmente la
“ La storia si ripete.
Nel settembre dello scorso anno
l’Associazione Bancaria Italiana
disdetta unilateralmente
i Contratti di lavoro...
“
Il noto filosofo napoletano Giambattista Vico, vissuto a cavallo fra il XVII e il
XVIII secolo, elaborò una teoria sulla
storia umana assai singolare. Era convinto che la storia fosse caratterizzata
dal continuo e incessante ripetersi di
tre cicli distinti: l’età primitiva e divina,
l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di
questi cicli non avveniva per caso, ma
era predeterminato e regolamentato.
In pratica,Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di
tanto tempo e ciò avveniva non per
puro caso, ma in base a un preciso disegno stilato dalla “divina provvidenza”.
Era la “teoria dei corsi e ricorsi storici”.
Quale sia il ciclo e il disegno che oggi
risiede nella fantasia dei nostri vecchi e
nuovi manager ancora non è dato di
sapere, o forse sì. Questo ciclo si configura come un ritorno all’età primitiva,
ovvero destrutturare e svuotare di
ogni contenuto il Contratto Collettivo
Nazionale, rimandando tutta la “contrattazione” ad accordi aziendali o di
gruppo, cercando di riportare i lavoratori a quello stato primordiale in cui
sopravvivevano solo i più scaltri.
La storia si ripete. Nel settembre dello
scorso anno l’Associazione Bancaria
Italiana disdetta unilateralmente i Contratti di lavoro, riportando di fatto i
bancari “in piazza” dopo 13 anni dall’ultima astensione dal lavoro. La categoria
si mobilita, ABI fa un passo indietro e,
nel successivo mese di dicembre, con
la firma dell’accordo per l’adeguamento del Fondo di Solidarietà alle disposizione della L. 92/2012 – cosiddetta Legge Fornero – la scadenza del
contratto viene prorogata al 30 settembre di quest’anno.
In primavera, i lavoratori riuniti in assemblee approvano la piattaforma
Il 25 novembre giungiamo all’epilogo.
È rottura!
n novemb re 2014 -
In cont ri
congiuntura negativa al solo fine di tagliare ulteriormente e indiscriminatamente il costo del lavoro”. Ancora nel
mese di ottobre Il confronto prosegue
nei giorni 27 e 29 e le posizioni tendono ad allontanarsi sempre più.
Queste sono le tesi espresse dall’ ABI:
in merito a Perimetri e Area contrattuale, allargamento dei rimandi alla
contrattazione di secondo livello, tra i
quali l’organizzazione del lavoro, gli
orari, l’area contrattuale stessa, le previsioni degli inquadramenti nonché
l’utilizzo di forme di lavoro autonomo
nella attività di Rete; su Occupazione e
Parte economica, riconoscimento di
un incremento dell’1,85% (6,05% la richiesta), interventi strutturali sul TFR,
oltre all’abolizione degli scatti di anzianità. Le rappresentanze sindacali, alla
luce di queste proposte, ritengono assolutamente impercorribile qualunque
forma di destrutturazione o svuotamento del Contratto Nazionale.
DirCredito, in una nota, evidenzia inoltre come sia considerevolmente peggiorativa, rispetto alle richieste sindacali, anche la proposta di un sistema di
inquadramenti basato solo su 6 livelli a
fungibilità piena.
I tre incontri che si susseguono nel
mese di novembre sono contraddistinti dall’incomunicabilità tra le parti: i
banchieri pongono delle pregiudiziali
che, unitariamente, le Organizzazioni
sindacali ritengono inaccettabili e fuori
da ogni contesto di trattativa.
Il 5 novembre, l’ABI presenta un documento che, in sintesi, riassume il tentativo di destrutturare il CCNL. Il
documento persevera nell’attacco all’area contrattuale, non prevede alcun
riconoscimento che tuteli il recupero
del reale potere d’acquisto insistendo
nell’intervenire anche strutturalmente
su elementi retributivi come gli scatti
di anzianità.
Il 13 novembre, Profumo, Presidente
del CASL, insiste sulle proprie posizioni
e, nel corso dell’incontro, dichiara con
nettezza che non intende affrontare
nel dettaglio i temi del rinnovo senza
prima aver verificato la disponibilità sindacale a un intervento strutturale sulle
voci del salario.
“Se si dovesse per assurdo accettare
l’impostazione dell’Associazione Bancaria sulla parte economica, si arriverebbe al paradosso che i lavoratori
incasserebbero meno di quanto perderebbero per effetto del blocco degli
scatti e del calcolo del TFR”. Questo è
quanto evidenziano in una nota sindacale congiunta le Segreterie Nazionali.
Il 25 novembre giungiamo all’epilogo. I
banchieri con il loro management, nonostante le Organizzazioni sindacali
siano pronte a ricercare una soluzione,
difficile ma condivisa, ribadiscono,
senza lasciar spazio ad alcuna trattativa, quanto già espresso nei precedenti incontri.
“Non abbiamo intenzione di assistere
passivi allo smantellamento del Contratto Nazionale da parte di un’Associazione Bancaria che sta tentando di
superare la contrattazione nazionale,
spostando sul livello aziendale le dinamiche salariali e, di fatto,
esasperando i rapporti di
competitività delle aziende,
che si sfideranno più sul
costo del lavoro che sulla
qualità dei servizi” afferma,
in un comunicato stampa, il
Segretario Generale DirCredito, Maurizio Arena.
L’indebolimento dell’area
contrattuale riflette la volontà della controparte di
intraprendere la direzione
opposta rispetto a quanto
stabilito tra le parti nel contratto precedente, ricorrendo di fatto a una massiccia esternalizzazione di attività strategiche con gravissime conseguenze sulla tenuta occupazionale.
“Il blocco degli scatti, degli automatismi
e gli interventi sul TFR che i banchieri
considerano elementi imprescindibili
per l’avvio della trattativa sono inaccettabili, poiché si figurano come interventi strutturali volti a un’ulteriore
sterilizzazione del salario. Infine – conclude Arena – la compressione dei livelli inquadramentali è un chiaro
tentativo di eliminare ogni dinamica di
crescita professionale all’interno della
categoria”.
I ncontri
- novembre 2 014 n
S I N D A C AT O
n
Il recupero del solo potere di acquisto
attraverso indici di inflazione rettificati
in base ai risultati di settore; il blocco
strutturale del TFR e degli scatti di anzianità; lo smantellamento dell’area
contrattuale e la revisione degli inquadramenti sono, in sintesi, le “pregiudiziali” poste da ABI per consentire la
prosecuzione del confronto.
Le Organizzazioni Sindacali, verificata
l’indisponibilità della Delegazione aziendale trattante a rimuovere le pregiudiziali avanzate, non sussistendo le
condizioni per continuare la trattativa,
hanno ritenuto inderogabile il ricorso
alla consultazione dei lavoratori e alla
mobilitazione della categoria.
È rottura…!!! Il “ciclo” si è concluso e riavviato. È ritornato all’inizio, ma forse non
siamo neppure al punto di partenza.
Silvio Brocchieri
11
n L AV O RO
IL CIRCOLO VIRTUOSO
CHE GENERA NUOVA OCCUPAZIONE
Diffondere una nuova cultura economica per costruire un futuro che valorizzi il lavoro
Una delle caratteristiche strutturali
dell’economia europea è connessa ai
bassi tassi di occupazione (rapporto
tra occupazione e popolazione) rispetto alle altre grandi aree mondiali.
Questa caratteristica è, inoltre, aggravata nei paesi del Sud Europa, ove i
tassi di occupazione sono ancora
molto più bassi della media europea.
Questa caratteristica determina altri
elementi strutturali dell’economia europea che tendono ulteriormente a
indebolirla.
Nel processo economico la domanda
di lavoro da par te delle imprese (e,
quindi, le opportunità di occupazione
per i lavoratori potenziali) è generata
dall’aumento della domanda di beni
12
L’aumento di domanda di lavoro
genera, di conseguenza,
aumento dei redditi
e della domanda di beni e servizi
per i consumatori
e di beni di investimento
e questa, a sua volta, genererà
un successivo aumento
della domanda di lavoro
e dell’occupazione
n di ce mbre 2014 -
“
“
e servizi o dall’anticipazione di aumenti di produzione da par te delle
imprese in previsione di futuri aumenti di domanda.
L’aumento di domanda di lavoro genera, di conseguenza, aumento dei redditi e della domanda aggregata (di beni
e servizi per i consumatori e di beni di
investimento) e questa, a sua volta, genererà un successivo aumento della
domanda di lavoro e dell’occupazione.
Entriamo, pertanto, in un circolo virtuoso che determina in sequenza aumento della produzione (del PIL),
aumento dei redditi distribuiti, aumento della domanda di beni, aumento della domanda di lavoro e
dell’occupazione.
Tutto ciò può essere evidenziato con
due modalità tratte dall’esperienza
concreta: i differenti livelli di occupazione (dei tassi di occupazione) tra
aree ricche e aree relativamente povere sono prodotti da diverse dinamiche e opportunità economiche nel
circuito produzione-domanda di lavoro-produzione e distribuzione dei
redditi-spesa privata e pubblica che a
sua volta può generare aumento di domanda di lavoro.
Le aree ricche garantiscono tassi di
occupazione più elevati ma, a loro
volta, i sistemi economici a più alta occupazione generano una più alta e
crescente domanda di beni e servizi,
richiesti in gran par te dagli stessi
lavoratori.
Più persone sono al lavoro e più alta
sarà la creazione di posti di lavoro per
il crescente fabbisogno di beni e servizi
da parte dei lavoratori stessi (domanda di trasporto, beni per il vestiario
e gli accessori, servizi di ristorazione,
servizi di comunicazione, servizi di cura
per bambini e anziani, servizi pubblici
necessari in misura crescente a seguito
dell’aumento di occupazione).
In cont ri
In altri termini, crescita di occupazione
ed elevati tassi di occupazione richiedono occupazione aggiuntiva.
Non è assolutamente vero che mandando in pensione un numero crescente di persone possa aumentare la
domanda di lavoro e possa, quindi, diminuire la disoccupazione.
Ovviamente i processi economici possono innescare connessioni ed effetti
moltiplicativi determinati dalle aspettative, sia nella direzione ascendente (circolo virtuoso) quando la dinamica e le
aspettative sono positive e favorevoli,
sia nella direzione discendente (circolo
vizioso) quando si entra in fasi recessive e gli operatori perdono la fiducia
nella capacità di invertire le tendenze
del circuito economico.
Queste considerazioni aprono due
altre questioni rilevanti, specie nelle fasi
economicamente recessive. La prima
riguarda le modalità di utilizzo della fiscalità nei paesi europei.
Vi sono diversi paesi nei quali la fiscalità
colpisce fortemente i redditi da lavoro
(probabilmente a seguito di un ritardo
nella capacità di introdurre adeguate
misure di calcolo e controllo degli altri
redditi o, forse, come effetto della pigrizia intellettuale dei dirigenti e dei
“policy maker” che si occupano di tali
questioni) con la conseguenza che le
politiche fiscali diventano punitive nei
confronti dell’occupazione e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Credo che una breve riflessione, da
parte dei lettori, sulle influenze perverse dell’Irap e di modalità di pressione fiscale elevata (che tassano
ripetutamente i redditi e le spese per
l’erogazione di salari e stipendi), sia
molto semplice e non sia necessario
procedere oltre.
In altri termini, vi sono paesi che hanno
introdotto meccanismi di fiscalità che
disincentivano la creazione di posti di
lavoro.
La seconda considerazione riguarda la
cattiva cultura economica che sta invadendo i paesi europei e che sta spingendo a ragionare sui principi contabili
e statici dei sistemi economici anziché
sui meccanismi, sulle interdipendenze
tra settori, imprese e organizzazioni e
sul circuito economico.
I sistemi economici (e sociali) sono si-
stemi viventi che necessitano di alimentarsi e riprodursi e che non possono essere “bloccati” in rigide assunzioni contabili.
Se tornassimo alle questioni precedentemente discusse, potremmo immediatamente comprendere che decisioni
che portano al taglio delle spese per
salari e stipendi non potranno che generare – per il sistema di moltiplicazione degli effetti induttivi – ulteriori
tagli occupazionali nelle imprese fornitrici e delle imprese che vendono a lavoratori-consumatori.
Il taglio delle spese per lavoro (oltre
che per ricerca e sviluppo) rappresenta l’anticamera del declino (e della
futura morte) dell’impresa che perde
progressivamente non solo fiducia ma
anche capacità di visione sui potenziali
eventi futuri.
Ma analogamente avviene nella sfera
pubblica perché la riduzione di occupazione (tra l’altro, da tempo verificatasi anche in settori precedentemente
in espansione) porterà a riduzione
della quantità e della qualità di servizi
e, quindi, a un minor benessere per l’intera collettività a livello locale, regionale
e nazionale.
Occorre dunque iniziare a diffondere
una cultura economica diversa, una
cultura che consenta una visione e una
costruzione del futuro che non potrà
che partire dalla valorizzazione del lavoro e delle competenze professionali
Incon tri
L AV O RO n
e dalla capacità di organizzare dal
basso progetti imprenditoriali e di sviluppo che sappiano rispondere ai problemi della società.
L’introduzione di innovazione è molto
spesso la conseguenza della capacità di
trovare soluzioni a problemi esistenti.
L’avvio di progetti di investimento e
dell’occupazione collegata non potrà
che far ripartire i meccanismi economici e sociali, risolvendo i problemi dei
cittadini e creando nuove opportunità
di lavoro e ristabilendo un clima di fiducia e attenzione alla visione dei cambiamenti futuri e al nostro ruolo per
conseguirli se ritenuti opportuni.
Su questa linea dovranno muoversi sia
le organizzazioni private che le organizzazioni collettive e pubbliche che
dovranno smettere di ragionare in termini di riduzione della spesa ma pensare piuttosto a lavorare per risolvere
i problemi esistenti e far aumentare il
benessere collettivo.
- di cembre 2 014 n
Gioacchino Garofoli
Professore Ordinario di Politica economica
all’Università dell’Insubria
13
n L AV O RO
SEGNALI DI SVOLTA
NELLA LEGGE DI STABILITÀ
Jobs Act: ecco cosa cambia per contratti, articolo 18 e ammortizzatori sociali
Il Parlamento ha affidato al Governo
cinque deleghe per definire le norme
concrete con cui la riforma prenderà
vita dal primo gennaio 2015.
Roma, 4.12.2014
Rivoluzione dei contratti, addio all'articolo 18, riforma degli ammortizzatori sociali e pioggia di novità per le
politiche attive sul fronte del collocamento.
Con 166 voti favorevoli e 122 contrari, ieri sera l’Aula del Senato ha
dato il via libera finale al Jobs Act.
Anche la minoranza del Partito democratico, pur contraria alle modifiche dell’articolo 18, ha votato a
favore della fiducia al Governo “per
senso di responsabilità”.
Il disco verde di Palazzo Madama arriva in tempo per consentire l'entrata
in vigore delle nuove regole dal
primo gennaio, ammesso che entro
fine anno l’Esecutivo vari i primi decreti delegati.
Con il Jobs Act, infatti, il Parlamento
ha affidato al Governo cinque deleghe per definire le norme concrete
con cui la riforma prenderà vita.
“Il nostro impegno sarà ora quello di
procedere speditamente alla stesura
dei decreti di attuazione, a partire dal
contratto a tutele crescenti”, ha assicurato ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Con 166 voti favorevoli e 122 contrari,
l’Aula del Senato ha dato il via libera
14
finale al Jobs Act
n di ce mbre 2014 -
“
“
“È un giorno storico per il Paese – ha
commentato ieri su La7 il premier
Matteo Renzi. L’approvazione del
Jobs Act segnerà la storia dei prossimi anni”.
Ecco le principali misure contenute
nel provvedimento
n Nasce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio.
L’obiettivo è fare in modo che sia
questa la tipologia contrattuale più
diffusa per le nuove assunzioni.
n Riordino dei contratti. Le oltre 40
forme contrattuali oggi in vigore diventeranno 4-5.
Oltre al contratto a tempo indeterminato (che per i neoassunti sarà a
tutele crescenti) dovrebbero rimanere i contratti a termine, quelli di
apprendistato e i part-time.
n Modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
In caso di licenziamento economico,
anche senza causa o giustificato motivo, il lavoratore non potrà più ricorrere al giudice per ottenere il
reintegro.
Gli spetterà invece “un indennizzo
economico certo e crescente con
l'anzianità di servizio”.
Il reintegro rimane invece per i licenziamenti nulli e discriminatori e
per “specifiche fattispecie” di licenziamenti disciplinari ingiustificati che
saranno definite nel decreto delegato, insieme a “termini certi per
l’impugnazione”.
n Modifiche all’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori.
In cont ri
“In caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuata sulla base di parametri
oggettivi”, il passaggio del lavoratore
da una mansione all'altra diventa più
semplice, con la possibilità anche del
demansionamento.
C’è però una condizione: devono essere tutelate condizioni economiche
e di vita dei lavoratori.
Il che potrebbe voler dire, ma per saperlo con certezza occorre attendere i decreti delegati, che il
demansionamento sarà consentito
solo a parità di stipendio.
n Riforma della Cig.
Sarà impossibile autorizzare la cassa
integrazione in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale.
Prevista anche una differente partecipazione contributiva per delle
aziende a seconda dell’effettivo utilizzo della Cig: chi non ne farà uso pagherà meno. Scompare la Cig in
deroga.
Riforma dell’Aspi (assicurazione
sociale per l’impiego).
n
Sarà estesa ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, fino al
superamento di questa forma contrattuale (che procederà a esaurimento).
In generale, la durata del trattamento
di disoccupazione dovrà essere rapportata alla “pregressa storia contributiva” del lavoratore, con l'incremento della durata massima per
quelli con le carriere contributive più
rilevanti.
n Politiche attive.
Nasce l’Agenzia nazionale per l'impiego, partecipata da Stato, Regioni e
Province autonome.
Avrà competenze su politiche attive,
servizi per l’impiego e Aspi.
La vigilanza sul nuovo organismo è
affidata il ministero del Lavoro.
ll beneficiario di un ammortizzatore
sociale (cig o sussidio di disoccupazione) dovrà dare la sua disponibilità
a seguire corsi di qualificazione ed
eventualmente anche «allo svolgimento di attività a beneficio delle comunità locali», senza però che
questo – come è accaduto in passato
con i lavori socialmente utili – ali-
Incon tri
L AV O RO n
menti aspettative di assunzione nel
pubblico.
Chi si rifiuta rischia di perdere il
sussidio.
Nella ricerca di un nuovo lavoro il disoccupato potrà scegliere di affidarsi
a un’agenzia per l’impiego privata che
per il servizio riceverà un incentivo
regionale, ma solo a risultato ottenuto, e comunque “proporzionato
alla difficoltà di collocamento” del
soggetto.
- di cembre 2 014 n
Rivista la disciplina dei controlli a
distanza con la possibilità di controllare impianti e strumenti di lavoro.
n
n Viene semplificato il campo di applicazione dei contratti di solidarietà.
n Il ricorso al voucher viene esteso
ma con il tetto dei 5mila euro.
Arrivano le cosiddette “ferie solidali”, ovvero la possibilità per il lavoratore di cedere un surplus di ferie ai
colleghi in caso di necessità.
n
Fonte: www.francoabruzzo.it
15
n SOCIETÀ
IL LATO OSCURO
DELLO STEREOTIPO FEMMINILE
I patriarca dominano come sempre la scena degli universi di genere
Che gli stereotipi derivino da luoghi comuni creati per descrivere dei fenomeni
è vero. Che gli stereotipi siano difficili da
superare perché si formano dopo molti
anni e sopravvivono al passare del
tempo è ancora più vero. Ma le “rappresentazioni” del genere femminile risalgono alla prima metà del secolo scorso
e si rivolgevano proprio alle nostre
mamme! E allora ci si chiede: oggi, nel
XXI secolo questi stereotipi sulla donna
resistono ancora?
Le nostre mamme ci diranno
che è stata fatta
tantissima strada
e che la condizione della donna in questi
sessant’anni è migliorata notevolmente. Quando
sono nate le nostre mamme la
donna non aveva
ancora il diritto
di voto. Da queste considerazioni allora ci
rendiamo conto
che di strada ne
è stata fatta
tanta. Le nostre
mamme ci diranno che ora le
donne possono
svolgere molte
professioni come
il magistrato o il
medico e possono intraprendere qualunque percorso di carriera.
Certo, devono poi continuare a occuparsi della famiglia e dei lavori domestici
che pesano sulle donne/madri/mogli/lavoratrici magari anche in carriera. Beh,
qui si intuisce che di strada non ne abbiamo poi fatta tanta. Le nostre mamme
ci diranno che ora abbiamo il diritto di
divorziare, che la riforma della famiglia
degli anni settanta ci ha ridato la libertà
16
di scelta salvo trovarci ammazzate perché abbiamo esercitato questo diritto faticosamente acquisito e abbiamo osato
separarci da quei fidanzati/mariti che pretendono di avere il completo controllo
su di noi. Ed è qui che si capisce che le
condizioni della donna oggi sono anche
peggiori di quelle delle nostre mamme.
Le leggi permettono alle donne di avere
gli stessi diritti degli uomini e molte
donne, soprattutto le giovani donne, non
si sentono svantaggiate nella vita privata
né in quella pubblica.
Ma culturalmente e
socialmente la percezione che si ha della
donna è ancora legata ai vecchi schemi
della società patriarcale che ha dominato
n di ce mbre 2014 -
per oltre cinquemila anni. La donna deve
pagare ancora oggi molto spesso il peso
dei ruoli antichi e fa il doppio della fatica
rispetto a un uomo. La competizione tra
due parti si dice equa solo se i partecipanti si misurano ad armi pari. Sembra
anche banale ma non lo è.
La donna combatte con il doppio del
peso sulle spalle e le statistiche lo confermano; maggior numero di donne laureate e con voti mediamente più alti
degli uomini e poi, dove finiscono tutte
queste meravigliose e talentuose donne?
È oramai evidente e dimostrato che lasciare in secondo piano le donne fa perdere importanti opportunità di crescita
e questo vale per ogni ambito, sia economico che politico, (anche sindacale...).
È facilmente dimostrabile che se il talento è distribuito in maniera equilibrata
e uguale tra uomini e donne, qualora
vengano scelti in prevalenza uomini, allora si perde la metà dei talenti.
Importanti economisti e anche la stessa
McKinsey hanno dimostrato che i team
misti danno risultati di performance migliori. Ma i dati sono ancora sconfortanti
e il famoso soffitto di cristallo visto dal
basso sembra appena incrinato. Le
donne ai posti di comando sono ancora
poche, molto poche, troppo poche.
Irene Olenich – Barbara Pungetti
In cont ri
SOCIETÀ n
PUBBLICITÀ
E RAPPRESENTAZIONE DI GENERE
Valorizzare di più il modello dei fuori forma, uomini e donne
Le due ragazze nella foto sono state
riprese l'una da un settimanale di
moda femminile e l'altra da un giornale per uomini e, mentre la prima
pubblicizza un prodotto, la seconda
rappresenta solo se stessa.
Questa e diverse tante altre immagini sono servite
all'Art Directors
Club Italiano a
classificare 12
“tipi” di donna
rappresentati
nella pubblicità
italiana,
partendo però da
una domanda
fondamentale:
quando la pubblicità italiana
rappresenta la donna e l'uomo, lo fa
in modo paritario?
L'indagine, presentata da Massimo
Guastini alla Camera dei Deputati all'interno del report “Rosa shocking.
Violenza stereotipi... e altre questioni
di genere”, ha preso in considerazione e catalogato quasi 20 mila campagne, valorizzando per un unico
mese (dicembre 2013) anche gli investimenti pubblicitari.
Secondo questa ricerca il 37,5% delle
donne sono descritte come modelle,
il 19% come grechine (nel senso di
puramente ornamentali), il 14% sono
professioniste, il 12,5% disponibili sessualmente, il 7% madri, il 3,6% interrotte (ovvero inquadrate solo a
pezzi), e con percentuali minori troviamo le emotive, i manichini, le
mogli, le sportive e le innamorate.
Gli uomini invece sono al 66% professionisti, per il 14% modelli, per il
7% sportivi, il 5,6% padri, il 3,3% gre-
chini, l',1% mariti, l'1,3 interrotti, lo
0,96% sessualmente disponibili.
Secondo questa rilevazione non esistono uomini emotivi.
In Italia si racconta una realtà immaginaria: addirittura, valutando il tasso
di occupazione che emerge dalla
rappresentazione pubblicitaria, mentre gli
uomini lavorano
un po' di più rispetto ai dati
Istat (66,1% contro il 64,7% Istat
agosto 2014), le
donne, che già
lavorano poco
(46,5% Istat agosto 2014), per la
pubblicità sono soltanto il 14%.
Se dovessimo prendere per vero
quanto viene
raccontato, allora le donne,
oltre a essere
madri, innamorate, sportive,
professioniste, e
fino a qui ci potrebbero stare,
dovrebbero anche passeggiare
giulive in bicicletta dopo aver
accompagnato i bambini a scuola,
perché “le mamme non si fermano
mai” e dovrebbero gioire esageratamente per l'acquisto dell'ultimo modello di frigorifero ed essere disponibili sessualmente mentre assaggiano un piatto di pasta o acquistano una borsa.
Gli uomini, invece, impegnati e spor-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
tivi, dovrebbero ogni tanto andare al
supermercato, o per gestirlo, salvando le casalinghe dalla crisi con un
carrello di prodotti a prezzi bloccati,
o per fare la spesa, ponendosi interrogativi esistenziali sui costi di tenuta
di un conto corrente.
“Le grandi domande sono cambiate”,
e qui la pubblicità ha ragione: gli stereotipi fanno vendere, ma a chi e
come?
Con una realtà in continua metamorfosi, non sarebbe più produttivo e utile investire anche per quel
pubblico, maggioritario, fatto di
donne e uomini normali, forse un
po' fuori forma, ma magari ricchi di
talento?
E invece di spendere 65,7mln in un
mese (come rivela l'indagine Ipsos)
per rappresentare donne seduttive,
non sarebbe più sostenibile e inno-
vativo destinare una parte di queste
risorse alle Onlus che spendono in
un anno 16 mln per contrastare la
violenza sulle donne?
Oltretutto le donazioni si scaricano
fiscalmente e hanno un notevole ritorno in immagine.
17
Elisabetta Giustiniani
n LEGALE
OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA
a cura di Claudio Minolfi
n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro
Sentenza n° 8006 del 4 aprile 2014
“
... la Corte di Cassazione
non esclude per nulla
che il lavoratore
possa essere ristorato
di ogni ulteriore danno
“
ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE:
OLTRE AL RISARCIMENTO PER LE MANCATE RETRIBUZIONI È POSSIBILE
ANCHE IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER DISCREDITO PROFESSIONALE
La Corte d’Appello di Roma, parzialmente riformando una precedente decisione del
Tribunale, confermava l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore dipendente,
con obbligo di reintegro nel posto di lavoro e risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, nella misura di tre annualità dalla cessazione
del rapporto.
Tale commisurazione del danno così come ormai secondo un consolidato filone giurisprudenziale che considera l’arco temporale del triennio sufficientemente ampio
per una possibile ricollocazione lavorativa, veniva concessa modificando la decisione
del Tribunale che aveva ravvisato l’impossibilità di determinare l’effettivo ammontare
del danno se non in via equitativa.
Pur ritenendolo valido come principio, i Giudici della Suprema Corte hanno, però,
rilevato che in sede d’Appello, quasi assumendo come limite assoluto per la liquidazione del danno il triennio dalla cessazione del rapporto, è stata pretermessa ogni
decisione in ordine al risarcimento degli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali
rivenienti dallo screditamento professionale.
Concludendo che sia possibile una predeterminazione legale del danno risarcibile al
lavoratore, anche rapportandolo alla retribuzione dal giorno del licenziamento a
quello dell’eventuale reintegro, la Corte di Cassazione non esclude per nulla, come
nel caso in esame, che il lavoratore possa essere ristorato di ogni ulteriore danno
derivatogli dall’illegittimo licenziamento.
derivatogli dall’illegittimo
licenziamento
n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro
Sentenza n° 22280 del 21 ottobre 2014
18
n di ce mbre 2014 -
“
In cont ri
La normativa invocata
pone l’obbligo di garantire
la sicurezza dei lavoratori
in tutti gli aspetti
connessi al lavoro
“
NESSUN RISARCIMENTO AL DIPENDENTE CHE SCIVOLA
SU UNA MATITA NON POTENDOSI CONFIGURARE RESPONSABILITÀ
DEL DATORE DI LAVORO IN TEMA DI SICUREZZA
Reclamato da una lavoratrice dipendente il risarcimento dei gravi danni subìti, per
essere sul luogo di lavoro scivolata su una matita, la Corte di Cassazione con sentenza
del 21 ottobre 2014 ha confermato le decisioni dei precedenti gradi di giudizio con
cui tale indennizzo era stato negato.
Già la Suprema Corte in altro giudizio, instaurato per il medesimo caso, aveva ritenuto
ben valutate, sia dai Giudici di prima istanza che da quelli del merito, tutte le circostanze che ebbero a caratterizzare la vicenda, escludendo che l’infortunio fosse indennizzabile perché il rischio non era diverso da quello di ogni altro individuo che si
sposti a piedi non per ragioni di ufficio.
Era stato, quindi, radicato dalla lavoratrice il nuovo giudizio, adducendo l’inottemperanza dell’Ente da cui dipendeva alle prescrizioni sancite dalla Direttiva CEE
(n. 331/89) sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
La normativa invocata pone l’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori in tutti gli
aspetti connessi al lavoro, senza però precludere la facoltà degli Stati membri di prevedere esclusioni di responsabilità per circostanze eccezionali o imprevedibili, comunque inevitabili.
Sulla scorta di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha quindi inteso ulteriormente confermare, non rilevandosi tra le norme invocate specifiche disposizioni,
di non potersi ravvisare inadempienze da parte del datore di lavoro.
S I N D A C AT O n
2014 ADDIO, MA IL 2015...
ANCORA RISTRUTTURAZIONI
Chiusi importanti accordi nel Gruppo UBI, altrove prosegue il confronto e si aprono nuovi tavoli
Il 2014 sta finendo, così come era iniziato. Le trattative per il rinnovo del
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro sono interrotte e non per volontà delle Organizzazioni sindacali
come “qualcuno” vorrebbe far credere.
Gli unici Accordi che vengono sottoscritti sono quelli relativi a esodi, ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali. Insomma, niente di nuovo.
In questo difficilissimo contesto, unicamente le Parti Sociali dimostrano la responsabilità di non lasciare soli i
lavoratori come invece auspicherebbero coloro che intendono esclusivamente ridurne i diritti, acquisiti e
conquistati nel tempo, a fronte di
enormi sacrifici.
Nonostante lo scenario economico
congiunturale particolarmente compromesso, nel Gruppo Unione di Banche Italiane (UBI) si è pervenuti alla
firma di una serie di importanti Accordi a tutela e garanzia di tutto il Personale dipendente.
Il Progetto di riorganizzazione – artt. 18,
20 e 21 CCNL 19/1/2012 “Tensioni occupazionali e Assetto distributivo” –
presentato dall’Azienda prevedeva
1.277 esuberi, di cui 500 da gestire tramite il Fondo Esuberi e 777 FTE (Full
Time Equivalent), la chiusura di 116 tra
sportelli e mini-sportelli, nonché il superamento di alcuni istituti di secondo livello come, per esempio, la rivisitazione
al ribasso dei rimborsi chilometrici.
La procedura si è conclusa con l’adozione di un piano di esodi anticipati e
volontari per 500 dipendenti; l’assunzione di 150 nuove risorse e la stabilizzazione di ulteriori 130 lavoratori
precari; la possibilità di usufruire di periodi di congedo/aspettativa parzialmente retribuiti (40% con riconoscimento della contribuzione obbligatoria) da utilizzare sia a “giornate” sia a
“mesi” – max 11; l’impegno ad acco-
gliere favorevolmente le richieste di
part-time – durata 4 anni – e la proroga automatica di 48 mesi per i contratti già in essere aventi scadenza
entro il 31/12/19, salvo diversa richiesta del lavoratore, oltre alla salvaguardia del percorso inquadramentale per
i colleghi interessati dalle modifiche del
nuovo modello distributivo.
Per quanto riguarda l’adesione al piano
esodi anticipati, per coloro che matureranno il diritto alla pensione non
oltre l’1/1/16 è prevista una incentivazione da 6 a 15 mensilità in funzione
dell’età anagrafica; per i lavoratori che
matureranno il diritto successivamente
all’1/1/16 ed entro l’1/4/20, il Protocollo prevede l’accesso al Fondo di Solidarietà con un trattamento economico netto pari all’85% dell’ultima retribuzione mensile. A tutti coloro che
aderiranno saranno garantite le condizioni bancarie, la copertura sanitaria e
le polizze assicurative attualmente vigenti per i dipendenti in attività. Nessuna forzatura sugli Accordi di secondo
livello in essere e sulla contrattazione
aziendale, prorogati per 18 mesi.
Sempre in tema di “ristrutturazioni” –
il solo argomento che sembri interes-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
sare il management – sono avviati tavoli di confronto, alcuni di recente apertura, anche nel Gruppo Veneto Banca,
che dichiara circa 80 risorse in eccedenza; nel Gruppo Bper (Banca Popolare Emilia Romagna), dove il numero
degli esuberi è quantificato in circa 100
unità e in Dexia Crediop, con 61 i lavoratori coinvolti in questa fase, dove continua il run-off deciso dalla Commissione Europea su proposta dei governi
belga, francese e lussemburghese.
Purtroppo, nonostante lo sforzo di
tutti i lavoratori e delle Organizzazioni
sindacali, le prospettive per l’anno a venire non sono migliori rispetto alla situazione attuale.
Sarebbe utile e necessario, ora, quel famoso salto di qualità che i nostri manager non riescono o non vogliono
fare.
L’auspicio, da “vecchio bancario”, è che
i banchieri tornino a fare il loro mestiere di “veri banchieri”. Riconsiderino,
come sempre hanno fatto in passato,
di valorizzare i propri dipendenti, tralasciando quelle costose e inefficienti
“consulenze manageriali” che hanno
portato a questa complicata situazione.
S.B.
19
n S I N D A C AT O
SINDIRCASSE CHIUDE
DOPO 60 ANNI DI STORIA
Si conclude una pagina importante del credito di “prossimità” alla piccole e medie imprese
Il 16 settembre 2014 a Riccione si è
consumato l’ultimo e definitivo atto
che ha sancito la fine del glorioso Sindircasse. Si tratta di un istituto nato 60
anni fa e che il 1° gennaio 2004 decise
di unirsi ai vari sindacati che rappresentavano, in settori diversi, il Personale
Direttivo bancario.
La scelta fu determinata dalla rivoluzione che aveva individuato nelle
grandi aggregazioni di banche, seguendo la dottrina anglosassone, la migliore tutela per l’economia nazionale,
ponendo quest’ultima al riparo da probabili e pericolosi default che sarebbero stati catastrofici per il mondo
produttivo.
Se dovessi esprimermi secondo il
luogo comune per il quale “grande è
bello e sicuro”, direi, in questo caso,
che la realtà si è rivelata totalmente
inadeguata alle aspettative, tranne il
fatto che qualcuno, o meglio i soliti
noti, hanno tratto da questa operazione guadagni inimmaginabili.
Peccato che tutto questo sia andato a
discapito del finanziamento dell’economia territoriale con contraccolpi drammatici sul nostro sistema produttivo
che notoriamente si basa per l’85/90%
su PMI (Piccole Medie Imprese) che
hanno essenzialmente sede nel territorio nel quale hanno preso l’avvio.
La funzione primaria di una banca che
si alimenta con denaro della collettività,
è quello di sostenere progetti economici validi, finanziandoli. Ma come può
un grande gruppo guidato da persone
raziocinanti, nelle sedi di Milano o
Roma, adempiere al suo scopo principale – che è quello di finanziare l’economia territoriale – se di quest’ultima
non sa nulla e, per di più, lascia alle periferie una agibilità limitatissima?
Bene, le Casse di Risparmio sparse su
tutto il territorio, adempivano corret-
20
tamente e puntualmente alla loro missione anche per la diretta conoscenza
delle aziende e dell’economia del territorio. Il Sindircasse aveva la possibilità
di essere vicino al Personale Direttivo
collaborando spesso per il bene e del
Personale stesso e della Cassa per non
dimenticare gli Operatori Economici
del territorio.
Si è voluto spazzare via le Casse e le
piccole Banche incorporandole in
grandi gruppi, facendo perdere loro le
caratterizzazioni che le distinguevano
e snaturando il rapporto tra banche ed
esigenze del territorio. E, con questa
sciagurata operazione, non si è tenuto
conto che la nostra economia, come
tutti sanno, è distribuita in maniera
frammentata nelle realtà locali e che
questa frammentazione è difficilmente
gestibile dal grande gruppo.
C’è da chiedersi come mai in Germania, Francia e altrove in Europa permangono numerosissime Casse di
Risparmio. E la risposta è molto semplice: in questi Paesi si è capita la loro
grande funzione a supporto dell’economia territoriale. In questi luoghi il legame con i bisogni locali è molto forte.
In Italia abbiamo deciso per la loro “in-
n di ce mbre 2014 -
corporazione” seguendo modelli che
non appartengono alla nostra cultura
filosofica, sociale ed economica.
Si tratta di distorte chiavi interpretative
del nostro contesto socio-economico
che stanno alla base della nostra decisione di unirci alle altre componenti
sindacali per tutelare tutto il Personale
Bancario che ormai è teso a uniformarsi ai modelli di tipo anglosassone.
Il 16 settembre 2014 si è disattivata
una parte della nostra cultura. Un caloroso abbraccio a tutti coloro che, in
50 anni di attività del Sindircasse,
hanno condiviso, con me e prima di
me, una filosofia vincente della “prossimità del credito” anche se non è stato
possibile svilupparla secondo le nostre
aspettative.
In cont ri
Emilio Meiattini
Ultimo Presidente di Sindircasse
ncontri
I idee&fatti
DISABILITÀ
E
LAVORO
cosa prevede la legge
n S P E C I A L E I N S E RTO
27
dicembre 2014
anno IV
n S P E C I A L E I N S E RTO
DISABILITÀ E LAVORO
cosa prevede la legge
3
LEGGE 104/1992
5
CONGEDI PER CAUSE PARTICOLARI E GRAVI MOTIVI FAMILIARI
7
PERMESSI PER CURE MEDICHE PER INVALIDI SUPERIORI AL
MALATTIE ONCOLOGICHE
50%
“Disabilità e lavoro” è una guida contenente i principali aspetti legislativi che riguardano la materia
della disabilità nel mondo del lavoro e vuole rappresentare un utile strumento a supporto del lavoratore il quale si trova, durante la propria vita lavorativa, a dover prestare assistenza a un familiare con disabilità o a esserne egli stesso affetto.
Questo breve compendio illustra le tutele di legge, grazie alle quali è possibile conciliare, nel delicato
universo dell’inabilità, la sfera personale del lavoratore con la vita professionale.
II
Testi a cura di
DirCredito -Segreteria interprovinciale ,
Parma, Piacenza, Reggio Emilia
n di c em bre 2014 -
In cont ri
D ISABILITÀ
E
L AVORO
cosa prevede la legge
DISABILITÀ E LAVORO
cosa prevede la legge
LEGGE 104/1992
(aggiornata alla Legge 4 novembre 2010 n.183)
La Legge 104/1992 è la Legge-quadro per l'assistenza,
l'integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici
di handicap.
Per persone portatrici di handicap si intendono coloro
che hanno minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali che
generano problemi di apprendimento, relazionali e di integrazione sociale e lavorativa che possono provocare
anche emarginazione.
Ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/92, l’handicap
è grave quando la menomazione rende indispensabile
l’assistenza permanente avendo ridotto la capacità di autonomia personale del soggetto.
n
Permessi retribuiti
La legge 104 prevede la fruizione di permessi retribuiti
per i lavoratori dipendenti del settore privato e pubblico,
in questi casi e con le modalità indicate:
m Lavoratori dipendenti cui è stata accertata la disabilità
grave: 2 ore al giorno o 3 giorni al mese frazionabili in
ore;
m Lavoratori dipendenti con figli affetti da disabilità grave
al di sotto dei 3 anni di età: prolungamento del congedo
parentale retribuito (30% della retribuzione) per un periodo massimo complessivo di tre anni, fruibile in maniera continuativa o frazionata, a patto che il bambino
non sia ricoverato a tempo pieno e salvo che tale ricovero sia presso istituti specializzati e sia richiesta la presenza del genitore; o in alternativa 2 ore al giorno
oppure 3 giorni al mese frazionabili anche in ore;
m Lavoratori dipendenti che sono coniugi, parenti o affini
entro il 2° di persone affette da disabilità grave: 3 giorni
al mese anche frazionabili in ore.
Se il coniuge o i genitori della persona affetta da disabilità
grave abbiano compiuto 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da disabilità o deceduti, il diritto di fruizione
In c on tr i -
può essere esteso ai parenti o affini di 3°di persone affette da disabilità grave.
I 3 giorni di permesso al mese possono essere fruiti dai
genitori di minori di 3 anni con disabilità grave.
Ai sensi del Msg 15995/07 se i permessi giornalieri sono
utilizzati frazionandoli in ore, c’è un limite orario mensile,
che è uguale all'orario normale di lavoro settimanale diviso il numero dei giorni lavorativi settimanali per 3
(msg 16866/2007).
1° esempio
orario settimanale 37,5 ore/5 giorni lavorativi = 7,5 x 3
= ore mensili fruibili 22,5;
2° esempio
orario settimanale 36 ore/6 giorni lavorativi = 6 x 3 =
ore mensili fruibili 18.
In caso di part time verticale, il monte ore va riproporzionato, così come, nell’eventualità di assistenza per periodo inferiore al mese intero, le 3 giornate sono
riconosciute in 1/3 (una ogni 10 gg. di assistenza – circ.
Inps n. 128/2003).
di cemb re 2 01 4 n
III
n S P E C I A L E I N S E RTO
1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale
e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso
le unità sanitarie locali…). A decorrere dal 1. 1.2010 tali
commissioni sono integrate da un medico dell’Inps (Circ.
162/93, punto 1, Circ. 80/95, punto 1, circ. 32/2006, circ.
131/2009).
m Non ricovero a tempo pieno della persona in situazione di disabilità grave, ad eccezione dei seguenti casi:
q interruzione del ricovero a tempo pieno per esigenza
del disabile di uscire dalla struttura che lo ospita per sottoporsi a visite/cure certificate;
q ricovero a tempo pieno di disabile in stato vegetativo
persistente e/o terminale;
q ricovero a tempo pieno di minore con disabilità in situazione di gravità per il quale risulti certificato dalla
struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di
un genitore o di un familiare, ipotesi già prevista per i
bambini fino a tre anni di età.
n
Si ricorda che la fruizione dei permessi spetta ad un solo
beneficiario con l’unica eccezione per i genitori di figli cui
è riconosciuta la disabilità grave che possono fruire dei
permessi alternativamente con il limite dei tre giorni al
mese.
Requisiti ai sensi di legge
I requisiti per diventare titolari dei permessi ex legge 104
sono i seguenti:
m essere lavoratori dipendenti (anche se con rapporto
di lavoro part time);
m la persona che chiede o per la quale si chiedono i permessi abbia un handicap grave ai sensi dell’art. 3 comma
3 della legge 104/92 (...”Qualora la minorazione, singola
o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata
all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera
individuale o in quella di relazione, la situazione assume
connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”…) riconosciuta dalla
commissione della ASL (ex art. 4, comma 1 L. 104/92…”
4. Accertamento dell'handicap. - 1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità
complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3, sono
effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 15 ottobre
IV
Per usufruire dei permessi retribuiti ex legge 104/1992
ai fini dell’assistenza di un familiare con disabilità grave
residente in un comune distante più di 150 km rispetto
al comune di residenza del dipendente, quest’ultimo
dovrà tutte le volte documentare l’assistenza prestata a
tale familiare consegnando al datore di lavoro il titolo di
viaggio o altro documento idoneo.
n
Quanto spetta
I permessi presi a giorni saranno indennizzati sulla base
della retribuzione effettivamente corrisposta;
m
m I permessi a ore saranno indennizzati sulla base della
retribuzione effettivamente corrisposta;
m Il prolungamento dell’astensione facoltativa fino al 3°
anno di vita del bambino sarà indennizzato al 30% della
retribuzione effettivamente corrisposta.
Permessi retribuiti e assegni nucleo familiare
Durante la fruizione dei permessi retribuiti si ha diritto
anche all'assegno per il nucleo familiare.
n
n di c em bre 2014 -
In cont ri
D ISABILITÀ
E
n Congedo straordinario per assistenza
di familiare con disabilità grave
Il dipendente con familiare affetto da disabilità grave ex
legge 104/1992 ha diritto, entro sessanta giorni dalla richiesta, a fruire del congedo retribuito, continuativo o
frazionato, ai fini della sua assistenza per la durata massima di due anni (nell’arco della vita lavorativa), purché il
familiare stesso non sia ricoverato a tempo pieno, oppure lo sia ma i suoi medici richiedano la presenza di chi
lo assiste.
Il congedo può essere fruito con la seguente priorità da:
a) coniuge convivente della persona gravemente disabile;
Per mancanza, o decesso, o in presenza di patologie invalidanti (patologie aventi il carattere della permanenza
e definite nell’art. 2, comma 1 lettera d) numeri 1,2,e 3
del DM n. 278/00) del coniuge convivente ha diritto al
congedo:
b) il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, del portatore di handicap grave.
Il congedo è riconosciuto al genitore richiedente:
- anche se l'altro genitore non ne abbia diritto (ad es. è
casalingo/a, non svolge attività lavorativa, è lavoratore autonomo);
- anche se l’altro genitore, nello stesso periodo, fruisce
del congedo di maternità/paternità -anche per adozioneo del congedo parentale -anche per adozione per il medesimo figlio.
Qualora ci sia mancanza o decesso, o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente e di entrambi
i genitori ha diritto a fruire del congedo:
c) un figlio convivente con la persona affetta da disabilità
grave.
In caso di mancanza, o decesso, o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, di entrambi i genitori e dei figli conviventi ha diritto al congedo:
d) un fratello o una sorella convivente con il portatore
di handicap grave.
L AVORO
cosa prevede la legge
CONGEDI PER CAUSE
PARTICOLARI E GRAVI
MOTIVI FAMILIARI
(Legge 53/2000)
La Legge 8 marzo 2000, n. 53 prevede, all'articolo 4, la
concessione di congedi per cause particolari.
Il Decreto 278 del 21 luglio 2000 emanato dal Ministero
della Solidarietà, ha indicato le modalità di accesso e fruizione di questi congedi.
Esistono due forme di flessibilità: i permessi retribuiti per
il decesso o grave infermità di un familiare; i congedi non
retribuiti per gravi motivi familiari.
I tre giorni di permesso retribuito all'anno sono concessi
per decesso o grave infermità del coniuge, anche se legalmente separato, del parente entro il secondo grado,
anche non convivente. Sono altresì previsti nel caso in
cui il decesso riguardi un componente della famiglia anagrafica, quindi anche nell'ipotesi della famiglia di fatto.
Nei giorni di permesso non sono considerati i giorni festivi o non lavorativi e sono cumulabili con quelli concessi
ai sensi dell'articolo 33 della Legge 104/1992 (lavoratori
disabili e familiari di persone con handicap grave).
L'interessato comunica previamente al datore di lavoro
l'evento che dà titolo al permesso e i giorni nei quali
esso sarà utilizzato. I giorni di permesso devono essere
utilizzati entro sette giorni dal decesso o dall'accertamento dell'insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi
terapeutici.
In caso di mancanza, o decesso, o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, di entrambi i genitori, dei figli conviventi e dei fratelli o delle sorelle
conviventi ha diritto a fruire del congedo:
e) un parente o un affine entro il 3° grado convivente
con il soggetto portatore di handicap grave.
Quanto spetta
Il congedo di cui sopra sarà indennizzato sulla base dell’ultima retribuzione, la contribuzione è figurativa.
n
In c on tr i -
di cemb re 2 01 4 n
V
n S P E C I A L E I N S E RTO
È possibile concordare con il datore di lavoro la fruizione
dei tre giorni di permesso in modo continuato o frazionato e, in alternativa alla fruizione continua dei tre giorni,
concordare una riduzione dell'orario lavorativo.
Tale riduzione dell'orario di lavoro deve avere inizio
entro sette giorni dall'accertamento dell'insorgenza della
grave infermità o della necessità di provvedere agli interventi terapeutici ed è necessario presentare la documentazione relativa alla grave infermità rilasciata da un
medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o
convenzionato, dal medico di medicina generale oppure
dal pediatra di libera scelta; la documentazione va presentata entro cinque giorni dalla ripresa del lavoro.
Per il decesso, va presentata la relativa certificazione oppure una dichiarazione sostitutiva.
I tre giorni l'anno sono relativi al lavoratore e non ai familiari cui si riferisce il permesso. Se nel corso dello
stesso anno un lavoratore si imbatte in due situazioni di
grave infermità di due diversi parenti, avrà comunque diritto a tre sole giornate di permesso.
Potrà comunque ricorrere, in modo frazionato, al congedo non retribuito per gravi motivi familiari.
Tale congedo è pari a due anni nell'arco della vita lavorativa e può essere utilizzato anche in modo frazionato.
I gravi motivi devono riguardare i soggetti di cui all'articolo 433 del Codice Civile (coniuge, figli legittimi, legittimati, adottivi, genitori, generi e nuore, suoceri, fratelli e
sorelle) anche non conviventi, nonché i portatori di handicap parenti o affini entro il terzo grado. Il congedo può
essere richiesto anche per i componenti della famiglia
anagrafica indipendentemente dal grado di parentela,
ammettendo quindi anche la famiglia di fatto.
Il Decreto Ministeriale 278/2000 elenca le necessità familiari derivanti dalle seguenti cause:
a) necessità derivanti dal decesso di un familiare;
b) situazioni che comportano un impegno particolare
del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell'assistenza di familiari;
c) situazioni di grave disagio personale, ad esclusione
della malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo.
Sono considerate "gravi motivi" le seguenti patologie, che
non colpiscano direttamente il lavoratore richiedente:
1. patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia
personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica,
post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o
soggette a riacutizzazioni periodiche;
2. patologie acute o croniche che richiedono assistenza
continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici
e strumentali;
3. patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario;
4. patologie dell'infanzia e dell'età evolutiva per le quali
il programma terapeutico e riabilitativo richieda il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la
potestà.
Il congedo (anche frazionato) può essere richiesto anche
per il decesso di un familiare nel caso in cui il lavoratore
per esempio perché ha già usufruito dei tre giorni di permesso l’anno.
La documentazione relativa alle patologie viene rilasciata
da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale
o convenzionato, dal medico di medicina generale (medico di famiglia) oppure dal pediatra di libera scelta. La
documentazione va presentata contestualmente alla richiesta di congedo.
Entro 10 giorni dalla richiesta del congedo, il datore di
lavoro è tenuto ad esprimersi sulla stessa e a comunicarne l'esito al dipendente.
Il diniego, o il rinvio a un periodo successivo o la concessione parziale del congedo, devono essere motivati
in base alle condizioni previste dal Decreto Ministeriale
278/2000 e da ragioni organizzative e produttive.
VI
Su richiesta del dipendente, la domanda deve essere riesaminata nei successivi 20 giorni.
n di c em bre 2014 -
In cont ri
D ISABILITÀ
n
E
Cumulabilità dei congedi
il congedo straordinario ex legge 104/1992 è cumulabile con permessi orari o giornalieri per l’assistenza del
familiare portatore di handicap, a condizione che il lavoratore che ne fruisca sia l’unico beneficiario del congedo
e dei permessi e l’utilizzo del congedo avvenga in giorni
diversi da quelli in cui si utilizzano tali permessi, ad eccezione dei genitori che assistono lo stesso figlio con handicap grave, laddove congedo e permessi possono
essere fruiti alternativamente tra i genitori, anche adottivi
o affidatari, solo se nello stesso giorno in cui uno dei genitori fruisca del congedo l’altro non fruisca dei permessi;
m
m il congedo straordinario è cumulabile con il congedo
per gravi motivi, di cui all’art. 4, comma 2, della L. n. 53/00,
nel limite massimo complessivo, tra le due tipologie di
congedo, di 2 anni durante tutta la vita lavorativa del dipendente che dà assistenza al portatore di handicap. Riportando come esempio quello di un genitore che
utilizza 6 mesi di congedo straordinario per assistere un
figlio portatore di handicap, potrà fruire di 1 anno e 6
mesi di “congedo per gravi motivi”. Tenendo presente
che il portatore di handicap ha diritto ad essere assistito
per congedo straordinario per 2 anni al massimo, in questo caso (genitore che ha fruito di 1 anno e 6 mesi di
congedo per gravi motivi e i rimanenti 6 mesi di congedo
straordinario) il periodo residuo al raggiungimento dei
2 anni potrà essere fruito dall’altro genitore (purché questi non abbia mai fruito di congedo per motivi familiari
o ne abbia beneficiato per non oltre 6 mesi).
In c on tr i -
L AVORO
cosa prevede la legge
PERMESSI PER CURE
MEDICHE PER INVALIDI
SUPERIORI AL 50%
Alla luce del combinato disposto dell'art. 26 della legge
118/71 e dell'art. 10 del d.lgs. 509/88, attualmente i lavoratori mutilati ed invalidi civili ai quali sia riconosciuta
una riduzione dell'attitudine lavorativa superiore al 50%
possono fruire ogni anno di un congedo straordinario
non superiore a trenta giorni per le cure connesse alla
loro infermità, riconosciuta dalle competenti strutture
mediche. Ogni anno va fatta richiesta al datore di lavoro
dell’apertura del relativo plafond di ore e dopo l’utilizzo
va presentata idonea documentazione delle avvenute
cure da parte della struttura sanitaria presso cui sono
state svolte.
MALATTIE ONCOLOGICHE
Per i soggetti con patologie oncologiche la legge
80/2006, art. 6, ha introdotto un iter accelerato di accertamento da parte della commissione medica dell’Asl appositamente adibita.
In questi casi l’accertamento deve avvenire entro 15
giorni dalla data di presentazione della domanda da
parte dell’interessato e gli esiti dell’accertamento hanno
un’efficacia immediata.
Le Commissioni Mediche di Verifica Provinciali, istituite
presso l’Inps per la verifica dei verbali di riconoscimento
emanati dalle Asl, dovranno concludere l’iter entro 30
giorni dalla consegna degli stessi dalle Asl.
Il criterio medico di valutazione della patologia oncologica dovrà considerare la prognosi, con la distinzione di
due ipotesi: prognosi favorevole e prognosi infausta o
probabilmente sfavorevole.
Nell’ipotesi di prognosi favorevole, la percentuale potrà
variare dall’11% al 70%; nella seconda ipotesi, l’invalidità
è attribuita al 100%. Se il grado di invalidità riconosciuto
è superiore al 74%, il portatore di patologia oncologica,
potrà beneficiare della pensione di invalidità civile; la prestazione è di carattere assistenziale, prescinde da eventuale contribuzione versata e viene concessa solo in
presenza di determinati requisiti reddituali.
Anche l’accertamento dell’handicap grave ai sensi della
legge 104/92 deve avvenire entro i termini disposti dalla
legge 80/2006.
Anche per le patologie oncologiche si fa necessariamente riferimento alla legge 104/92.
di cemb re 2 01 4 n
VII
n S P E C I A L E I N S E RTO
n
Indennità di accompagnamento
Le persone affette da patologie oncologiche e debilitate
dalla chemioterapia o radioterapia possono ottenere l’indennità di accompagnamento (Corte di Cassazione, sentenza 10212/2004).
Il malato può beneficiarne se, debilitato dal trattamento,
non è in grado autonomamente di raggiungere l’ospedale e necessita di un accompagnatore; per poter beneficiare di tale indennità quindi, oltre a essere sottoposti
al trattamento di chemioterapia occorre contestualmente l’impossibilità di deambulare autonomamente.
Amministratore di sostegno
Per le persone affette da patologie oncologiche, soprattutto nella fase terminale della malattia, potrebbe essere
necessario ricorrere ad una forma di tutela nei confronti
di quei soggetti che presentino una limitata autonomia
d’agire.
n
tempo pieno a tempo parziale, ha il diritto di precedenza
nelle assunzioni a tempo pieno per l'espletamento di
mansioni analoghe o equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.
I familiari del malato di tumore hanno la priorità rispetto agli altri lavoratori nel chiedere il passaggio dal
tempo pieno al tempo parziale per prendersi cura del
congiunto.
Permessi per cure mediche per invalidi superiori al 50% (malattia oncologica)
n
Anche Il lavoratore malato di cancro cui sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 50%, ha diritto a
30 giorni all'anno (anche non continuativi) di congedo
retribuito per cure mediche connesse con lo stato di
invalidità.
L’amministrazione di sostegno ex legge 6/2004, non priva
completamente il soggetto della capacità d’agire.
Il giudice tutelare nomina un amministratore di sostegno
(che può anche essere designato dalla stesso interessato)
per assicurare alla persona una migliore tutela dei propri
interessi ed interverrà solo nelle situazioni che potrebbero maggiormente compromettere l’integrità del patrimonio coinvolto.
n
Part-time
Il malato di cancro dipendente a tempo pieno con ridotta capacità lavorativa (anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita) gode di specifica tutela,
giacché gli è riconosciuto il diritto di chiedere e ottenere dal datore di lavoro il passaggio dal tempo pieno
al tempo parziale, mantenendo il posto, fino a quando
il miglioramento delle condizioni di salute non gli consentirà di riprendere il normale orario di lavoro
(art.12bis del Dlgs 61/2000 come modificato dall’art.46
D.Lgs 276/2003).
Quindi può richiedere il passaggio al tempo parziale, con
riduzione proporzionale dello stipendio, conservando il
diritto al posto di lavoro e a ritornare a orario e stipendio pieni quando avrà recuperato la capacità lavorativa.
Inoltre, una volta trasformato il rapporto di lavoro da
VIII
n di c em bre 2014 -
In cont ri
LEGALE
n
IL FILO D’ARIANNA
Suggerimenti per districarsi nel labirinto della vita quotidiana
SE IL "GRATTINO" PER IL PARCHEGGIO ORARIO È SCADUTO,
NON È VALIDA LA MULTA PER DIVIETO DI SOSTA
Come del resto confermato dal parere del Ministero dei Trasporti, la multa irrogata
perché il grattino, pagato per la sosta nelle strisce blu, è scaduto, non è regolare. Al
contrario di quanto accade allorché la sosta sia vietata in senso assoluto, circostanza
per la quale la sanzione è specificatamente prevista, se la possibilità di parcheggiare
l'auto è consentita a tempo illimitato o a ore pagando un corrispettivo, sarà legittima
la contravvenzione unicamente se risultasse del tutto impagato il dovuto ticket.
Qualora invece il permesso orario fosse scaduto, sarebbe dovuta solo la differenza
sulla tariffa non corrisposta per il periodo tra l'orario indicato sul ticket e il momento
del rilievo, oltre a un'eventuale penale se prevista dal regolamento del gestore del
parcheggio, e ciò non per un'infrazione alle norme sulla circolazione, ma in virtù di
un nascente diritto di credito di natura, quindi, privatistica.
Si tratterebbe, in definitiva, di una sorta d'inadempienza contrattuale e non già di una
violazione al Codice della Strada, come abitualmente sanzionata.
Come però già in altri casi suggerito, considerato che la sanzione può variare dai
25,00 ai 99,00 euro e i diritti fissi da versare per opporsi giudizialmente ammontano a 43,00 euro, bisognerà attentamente valutare la convenienza economica
della procedura da seguire per proporre la propria resistenza alla contravvenzione
comminata.
I NUOVI CRITERI PER LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE PER L'ASCENSORE
CONDOMINIALE
La nuova versione dell'articolo 1124 del Codice Civile, come varata dalla Riforma
del Condominio entrata in vigore nel mese di giugno 2013, ha sensibilmente modificato la disciplina sulla ripartizione delle spese di manutenzione delle scale, estesa
anche a quelle riguardanti l’ascensore.
Mentre prima, infatti, queste ultime mutuavano la loro disciplina da quella prevista
per le scale, l'indicata Riforma ha esplicitamente legato le due tipologie d'intervento,
sancendo che “…le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari
delle unità immobiliari a cui servono… La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà
in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente
in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo".
Viene quindi con le nuove norme introdotto il principio della partecipazione alle
spese, non solo di manutenzione degli ascensori, ma anche di quelle per la loro sostituzione, da parte di tutti i Proprietari, inclusi quelli degli appartamenti del piano
terra, per metà del valore in proporzione ai millesimi di loro pertinenza, per l'ulteriore
metà secondo l'uso che potenzialmente da essi ne viene fatto.
Potrà poi, pertanto, incidere su tali divisioni proprio l’uso che, magari sulla scorta dei
regolamenti condominiali, sarà diversamente individuabile per ogni condomino.
Diversa disciplina sarà poi applicabile nel caso di creazione di un nuovo impianto
dove non esisteva l'ascensore, trattandosi in tal caso di un vero e proprio intervento
di tipo innovativo.
Così come anche differente sarà il modus operandi nel caso di ascensore non condominiale, ma in comproprietà solo tra alcuni dei condomini.
Claudio Minolfi
Incon tri
- di cembre 2 014 n
21
n PENSIONI
RIFORME PENSIONI DI NUOVO IN CAMPO
VOCI DI CORRIDOIO MA NON TROPPO
Sotto tiro ci sarebbe la riforma Fornero e parte la sindrome da peggioramento
IL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO
Da decenni ormai è entrato a far parte
di diritto nel raggruppamento dei massimi sistemi, intorno ai quali si continua
a discutere e a cambiare, senza però,
mai pervenire a una conclusione certa
e definitiva.
A voler quantificare il numero delle riforme pensionistiche del passato, mini
o max che siano state, sarebbe difficile
pervenire a un risultato sicuro perché
quasi tutti i governi, anche quelli cosiddetti balneari per la breve durata,
hanno cercato di lasciare qualche
segno, anche se, nella maggior parte
dei casi, poco significativo.
“ Ipotesi delle più fantasiose
ma, per attuarle,
bisognerà fare i conti,
quelli veri e insindacabili, con l'oste...
la Ragioneria Generale dello Stato,
la quale chiederà da quali
fonti finanziarie provengano
della legge Fornero.
22
n di ce mbre 2014 -
“
le coperture agli eventuali strappi
LE VERE RIFORME
In questo marasma generale, probabilmente, le uniche "vere" riforme che
hanno finito coll'incidere in concreto
sul sistema sono state quelle di Dini nel
1995 e della Fornero nel 2011.
La prima, per certi versi aveva rivoluzionato il sistema, fissando il calcolo
della pensione in base ai contributi effettivamente versati e non più in base
alla retribuzione percepita, basando,
inoltre, il tutto su due "pilastri": la previdenza obbligatoria (Inps e altri enti
pubblici) e quella complementare che,
attraverso la volontarietà, avrebbe offerto la possibilità di integrare la prima
con una ulteriore pensione aggiuntiva.
FORNERO, LACRIME E SANGUE
La seconda riforma, più recente e più
tristemente nota come riforma Fornero, risale a fine 2011 e ha comportato, anch'essa, importanti mutamenti,
fra cui, l'abolizione delle pensioni d'anzianità, l'aumento dell'età a 66 anni per
quelle di vecchiaia, l'estensione del calcolo contributivo, pro rata, a tutti i lavoratori. Questo sistema previdenziale,
lanciato con intenti innovativi, per la sua
articolata attuazione, si è rivelato destabilizzante per migliaia di lavoratori, appiedati alla vigilia del pensionamento.
Certo, il risparmio previsto per il primi
dieci anni, dal 2012 al 2021, quantificato intorno agli 80 miliardi di euro, era
di quelli assai incidenti nelle voci del bilancio dello Stato ma a scapito di chi
lo si è ben visto.
E l'etica? Risanare le casse pubbliche,
creando difficoltà ai soliti, inermi, cittadini, eticamente, per un paese civile,
non sarebbe mai la soluzione più appropriata, perché genererebbe solo
malumori e, soprattutto, iniquità. Ma, in
Italia, tutto ciò è diventato realtà, prassi
costante.
In cont ri
I GRANDI RISCHI DEL 2015
Così, a distanza, ormai, di tre anni di
concreta sperimentazione, ecco ripresentarsi la necessità di mettere le mani
alla riforma Fornero e, da affidabili voci
di corridoi parlamentari e governativi,
si apprende di chiacchierate, soprattutto, intorno all'introduzione di qualche elemento di flessibilità sull'età
pensionabile, congiuntamente alla necessaria riforma dell'Inps, come istituto,
ponendo, così, fine al suo commissariamento deliberato dopo la gestione
Mastrapasqua.
Di queste eventualità, nei mesi scorsi,
ne hanno parlato anche il precedente
Commissario straordinario Conti e
quello attuale Treu, nonché il Ministro
del Lavoro Poletti, ossia personaggi fra
i più titolati a trattare l'argomento.
UN REFERENDUM
Intanto la Lega promuove un referendum. C'é, però una mina vagante, della
quale poco si parla: il referendum proposto dalla Lega per l'abolizione totale
della legge Fornero sconta l’imminenza
del pronunciamento da parte della
Corte Costituzionale.
Qualora fosse riconosciuta l'ammissibilità di questo referendum, il Governo,
per scongiurare una paurosa voragine
nei conti pubblici conseguente alla cancellazione della riforma Fornero, non
potrebbe non correre ai ripari con appropriati aggiustamenti risolutivi.
Di conseguenza, a inizio 2015, se non
una vera e propria riforma pensionistica, è, comunque, scontato più di un
rattoppo al settore previdenziale per
gettare acqua sul fuoco e calmare le
ire popolari, per tanti versi più che
giustificate.
ESODATI PREGRESSI E FUTURI
L’altro argomento dolente è quello
degli Esodati. I sei decreti di salvaguardia applicati finora hanno consentito a
circa 170.000 lavoratori di andare
ugualmente in pensione con le regole
vigenti prima dell'arrivo della Fornero.
Tuttavia ne resterebbero da sistemare,
secondo le stime dei vari comitati degli
esodati, almeno altri 50.000.
Ma non finisce qui, perché esiste sem-
PENSIONI
pre il problema, ancora irrisolto, di
quella massa di lavoratori anziani che
resterebbero privi di coperture sociali
nel periodo intercorrente dalla perdita
del lavoro al raggiungimento dei requisiti pensionistici.
A questo proposito si vocifera di una
"mini pensione" da anticipare nelle
more della maturazione dei requisiti, o
di uscite anticipate di qualche anno con
penalizzazioni sull'assegno mensile.
I CONTI SENZA L'OSTE
Ipotesi delle più fantasiose ma, per attuarle, bisognerà fare i conti, quelli veri
e insindacabili, con l'oste, rappresentato nella fattispecie dalla Ragioneria
Generale dello Stato, la quale chiederà
da quali fonti finanziarie provengano le
coperture agli eventuali strappi della
legge Fornero e allora qualche problema potrebbe sorgere perché i nostri politici sono tanto fervidi alle
invenzioni "accontentatutti", quanto incapaci nella ricerca dei relativi fondi
che, comunque, sembrerebbero non
esserci.
L'OPZIONE DONNA
In base a una vecchia legge (n. 203) del
2004, esiste la possibilità per le donne
lavoratrici con 57 anni di età e 35 di
contributi di andare in pensione con
l'assegno calcolato interamente col sistema contributivo.
Questa possibilità, con chiusura della finestra dei requisiti al 2014, per la presentazione delle domande scadrebbe
a fine 2015, ma l'Inps vorrebbe conti-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
n
nuare ad accogliere le richieste anche
per coloro che maturano i requisiti il
prossimo anno, con ulteriore aggravio
di costi rispetto alle previsioni iniziali.
Sull’argomento qualcuno ipotizza di
elevare l'età oltre il limite attualmente
previsto dei 57 anni mentre si sta discutendo sul da farsi per la mancata
rivalutazione dei contributi versati
che, quest'anno, è risultata addirittura
negativa nel contesto recessivo dell'economia.
PEREQUAZIONE
Ma nel mondo pensionistico non possono essere dimenticati i pensionati
"veri", quelli che già percepiscono la
pensione e continuano a essere penalizzati, da anni, per le mancate rivalutazioni perequative, annullate dai
sistematici blocchi governativi.
Nel corso del 2015 la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi, e stavolta speriamo in maniera chiara e
definitiva, su questo annoso problema
al quale anche il nostro Sindacato ha
cercato di ovviare intentando tre specifiche cause.
L'argomento pensioni, dunque, dopo
le feste natalizie, con tutta questa carne
al fuoco, sicuramente tornerà a essere
d'attualità cosicché anche il governo
Renzi, come peraltro tutti i precedenti,
potrà metterci il suo marchio, si spera
con esiti positivi sia per i pensionati che
per i pensionandi, esodati compresi.
23
Dante Columbro
n PENSIONI
TETTO BLOCCATO PER LE PENSIONI D’ORO
E PENALIZZAZIONE “ZERO” PER GLI UNDER 62
Pur se molto inferiori alle attese – soprattutto per gli esodati per cui non si
spende una parola – alcuni interventi
inseriti nell’ultima legge di Stabilità
sembrano almeno indicare concreti segnali volti a limitare alcune delle tante
anomalie prodotte tre anni fa dalla riforma Fornero.
La prima tra esse attiene a un aspetto
particolarmente anomalo, da noi peraltro segnalato già da molto tempo da
queste pagine: l’incredibile effetto migliorativo sull’assegno pensionistico che
si era introdotto in favore di coloro
(compreso il citato Ministro) cui era
data la possibilità (o l’obbligo) di continuare a lavorare oltre il limite dei 40
anni di contribuzione.
Per effetto di ciò a questi lavoratori
le maggiori quote calcolate a partire
dal 2012 con il sistema contributivo
venivano infatti a sommarsi (senza limite) a quelle già regolate dal sistema
retributivo.
Con l’introduzione del cosiddetto
tetto sulle “pensioni d’oro” (si pensi
ad esempio ai docenti universitari e
ai magistrati, dalla vita lavorativa particolarmente lunga), questo effetto
sarà adesso scongiurato, dato che
nessuno potrà più percepire un assegno pensionistico superiore a quello
che sarebbe spettato secondo il precedente sistema retributivo (di fatto
quindi non più dell’80% dell’ultimo stipendio incassato).
La seconda attiene invece ai lavoratori
al di sotto dei 62 anni nella quale, in
caso di raggiungimento della contribuzione massima introdotta dalla citata riforma previdenziale (in atto 42 anni e
6 mesi) la pensione non potrà essere
più “penalizzata” in dipendenza del requisito anagrafico.
Come recita infatti l’emendamento introdotto a iniziativa degli Onorevoli
Gnecchi e Damiano, particolarmente
attivi e competenti in materia, per loro
“le riduzioni percentuali dei trattamenti
pensionistici (1% per ogni anno di anticipo) non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il
previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017”.
E ciò anche, è inoltre da precisare, se
l’anzianità contributiva sia determinata
da contributi da riscatto o figurativi
e non solo da prestazione effettiva di
lavoro.
Non molto come si accennava, ma almeno questa volta fatti e non solo promesse che inducono a fanno sperare
in ulteriori interventi correttivi da
molte parti ritenuti indispensabili oltre
che indifferibili.
Giulio Pomar
24
n di ce mbre 2014 -
In cont ri
LEGALE n
RESPONSABILITÀ PENALE
AD AMPIO SPETTRO IN EQUITALIA
Consigli utili dalla Corte di Cassazione sulle funzioni di pubblico ufficiale
Le norme si applicano ma, per gli amici,
ricorda un vecchio adagio, si interpretano. Si tratta, ovviamente, di una malignità dialettica che non trova giustificazione se non nei più inveterati atteggiamenti di diffidenza, tipici della italica
cultura dello Stato. Chi gode di protezioni, si afferma, ha certo meno da temere degli altri, i non garantiti.
E allora, ben venga la recentissima Sentenza 43820, pubblicata il 21 ottobre
scorso dalla Sezione VI penale della
Corte di Cassazione, che propone alcuni interessanti chiarimenti in merito
all’ampiezza della qualifica di Pubblico
Ufficiale dei dipendenti Equitalia e alle
correlate figure di reato applicabili ai
medesimi. In sintesi, la filosofia è sempre la stessa: “uomo (o donna) avvisato
è mezzo salvato”!
Vi si afferma, preliminarmente, che: “…
l'avvenuta soppressione, per legge, del
precedente sistema di affidamento in
concessione del servizio non altera né
influisce in alcun modo sulla qualità di
pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio degli operatori della
nuova s.p.a. di concessione”; con ciò ritenendo ininfluente la forma privatistica assunta dalla società per azioni,
bensì valutando come preminente la
natura dell’attività svolta: “… per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p. (contenenti la nozione di pubblico ufficiale
e di incaricato di pubblico servizio), la
pubblica funzione o il pubblico servizio
prescindono da un rapporto di impiego con lo Stato o l'ente pubblico,
occorrendo privilegiare la verifica della
reale attività esercitata e degli scopi
perseguiti, per stabilire se l'attività dell'agente sia imputabile al soggetto
pubblico”.
Interessante la descrizione del concetto di Pubblico Ufficiale: “va considerato pubblico ufficiale non solo colui
che con la sua attività concorre a for-
mare quella dello Stato o di altri enti
pubblici, ma anche chi svolge attività
accessorie o sussidiarie ai fini istituzionali di tali enti, in quanto in questi casi
si verifica, attraverso l'attività svolta, una
partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà
della pubblica amministrazione”.
Ed inoltre: “agli effetti della qualifica di
pubblico ufficiale, non è richiesto lo
svolgimento di un'attività che abbia efficacia diretta nei confronti di terzi, giacché ogni atto preparatorio, propedeutico o accessorio, che si esplichi nell'ambito del procedimento di riscossione, i suoi effetti certificativi, valutativi
o autoritativi, seppure destinato a fini
interni alla p.a., comporta l'attuazione
completa e connaturale dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato all'interno dell'intero contesto
delle funzioni pubbliche”.
Da qui discende una descrizione particolarmente ampia della qualifica medesima, che giunge sino a comprendere attività che non parevano, in una
prima analisi, poter esservi comprese,
quali il monitoraggio. Si legge infatti:
”Da ciò la conferma della qualità di
pubblico ufficiale di X, in concorso con
altri pubblici ufficiali non identificati, essendo "il monitoraggio" l'unico efficace
sistema per alimentare le condotte illecite, determinando esso le scansioni
temporali, sensibili alle utili interferenze
in favore degli imprenditori, al fine del
pagamento delle cartelle esattoriali e
degli avvisi di pagamento”.
Particolarmente pregnante la complessiva descrizione della configurazione
dell’attività considerata reato compiuto
da Pubblico Ufficiale: “Va in proposito
sottolineato, come risulta agli atti, che
l'attività di monitoraggio della posizione debitoria degli Enti interessati era
essenziale per l'individuazione della
"giusta tempistica dei versamenti", ido-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
nea, di volta in volta, ad agevolare l'accoglimento da parte di Equitalia delle
istanze di dilazione, relative a debiti
erariali maturati, determinando, come
precisato dal G.I.P., l'inerzia antecedente la cancellazione e la mancata
presentazione delle istanze di fallimento entro l'anno, nonché, in altri
casi, ritardando la revoca del beneficio
delle rispettive rateizzazioni, in quest'ultimo caso coinvolgendo altri pubblici ufficiali "dipendenti Equitalia"
addetti alla specifica mansione di riscossione, mediante ruolo, dei tributi
medesimi”.
Al di là delle particolare vicenda affrontata, in merito alla quale, a tempo debito, sapranno pronunciarsi i Giudici di
merito, questi orientamenti sono certamente in grado di fornire utili elementi di allerta per i colleghi impegnati
quotidianamente in attività valutative di
complessità sempre crescenti. E tutto
questo in un quadro normativo che
non assicura certezze nei comportamenti, soprattutto in presenza di situazioni fuori standard, ove l’interpretazione di concetti giuridici lungi dall’essere consolidati apre spazi di discrezionalità, seppur tecnica, potenzialmente
accidentati.
Riccardo Ferracino
25
n SOCIETÀ
“THE DISRUPTOR”, IL PERTURBATORE
Le trasformazioni radicali in mano a persone capaci d’influenzare i cambiamenti
Se avete necessità di portare scompiglio
per rigenerare all’interno di un’azienda
o in un settore modi di fare, di agire e
di pensare, si può fare ricorso alla figura del “disruptor”, cioè colui che ha
la capacità di introdurre modificazioni
radicali in tutta la struttura o solamente in parti di essa.
IL PROFILO DEL “DISRUPTOR”
In genere si tratta di un soggetto che
ha un’età al di sotto dei 50 anni, nutrito
di una forte motivazione, non allevato
in incubatori di talento perché non
segue particolari percorsi formativi e
non si limita ad avere esperienza in un
solo campo.
Spazia in maniera fluida e intelligente
nel suo campo di competenza, ma è
pronto a saltare sul carro di qualsiasi
altro settore che lo stimola. Il “disrup-
“ Alla base dell’agire risiede
fra i “disruptor” una robusta fascia
di coraggio perché realizzano
idee e visioni coraggiose
e, con altrettanto coraggio,
26
necessari al successo
n di ce mbre 2014 -
“
assumono gli impegni
tor” può essere raffigurato da un imprenditore, da un leader del pensiero
(thought leader) oppure da un semplice provocatore o da un soggetto
bravo risolutore di problemi (problem
solver) che svolge lavori manuali o di
concetto, talvolta indipendentemente
dal titolo di studio in suo possesso.
Il “disruptor” può agire da solo, ma,
solitamente, si accompagna a un apposito team dove ciascuno realizza il
suo appor to interagendo con altri
“disruptor”.
QUAL È IL SUO COMPITO
Per influenzare i cambiamenti radicali
che vengono richiesti mette in comune
le sue competenze in un processo collettivo in quanto le trasformazioni improntate alla radicalità non sono
realizzabili singolarmente.
Agisce attraverso gli strumenti della
comunicazione, le idee e talvolta si assume il compito di reperire risorse per
realizzare un determinato progetto
coinvolgendo anche altri professionisti
muniti di caratteristiche particolari, “disruptor” e non.
COME AGISCE
Il “disruptor” può essere di due tipi:
soggetto d’azione, che agisce immediatamente dopo aver individuato la
chiave del cambiamento radicale indicando contemporaneamente le cose
concrete necessarie al cambiamento
medesimo; soggetto concettuale, vale
a dire persona che pensa, spinto da
una motivazione meno forte del primo
e che agisce in tempi meno rapidi pur
nell’ottica dell’agire, ma dopo aver effettuato ragionamenti accurati.
È evidente che un “disruptor” può possedere ambedue le caratteristiche, nel
qual caso aumenta il suo valore.
IL PROCESSO DI CAMBIAMENTO
I mutamenti radicali incrociano molto
spesso ostilità e segnali di negatività im-
In cont ri
SOCIETÀ n
prontate a competizione, permalosità,
culture arrugginite, rischi di depotenziamento altrui, inadeguatezza professionale, conflitti di competenze, scarsa
cultura della cooperazione, incapacità
della struttura a cogliere la valenza del
cambiamento, paura dell’incerto che è
più rassicurante delle cose certe.
Di fronte a questi ostacoli, il “disruptor” non si piega e tira dritto per la sua
strada senza farsi condizionare da
chicchessia.
I processi di cambiamento il più delle
volte non seguono un percorso di linearità e quelli di successo non sempre
fanno intendere la quantità e la qualità
che i “disruptor” hanno prodotto.
Alla base dell’agire risiede fra i “dsruptor” una robusta fascia di coraggio perché realizzano idee e visioni coraggiose
e, con altrettanto coraggio, assumono
gli impegni necessari al successo dell’azione sapendo di portare spesso
scompiglio nelle file aziendali, turbamento degli equilibri, sovvertendo talvolta anche il peso delle gerarchie.
I QUATTRO TIPI DI “DISRUPTOR”
Il leader della sperimentazione: lavora
in team; assume impegni coraggiosi; è
un abile ricercatore di risorse adatte ai
suoi progetti; è molto orientato all’azione; agisce con immediatezza superando anche ostacoli burocratici.
Il provocatore: è concentrato maggiormente sulle idee che sull’azione assumendo spesso le funzioni di critico
esperto; lavora parecchio sugli aspetti
critici; spinge la soluzione con coraggio
fin oltre i limiti; comprende tutti i risvolti teorici di un’idea “disruptive”;
deve essere controbilanciato per essere riportato dentro i concetti del
team.
Il leader del pensiero: è portatore di
progetti e idee di alto profilo che devono essere collocate nei livelli della
realtà in cui si dovranno realizzare; è
concentrato molto sulle idee “disruptive” in una visione più ampia, tesa a
cambiare il mondo in quanto realizzabile in più partizioni, sia pure di natura
diversa fra loro.
Il Problem solver: è un “disruptor” capace di individuare e intuire modalità
applicative e realizzative di proposte
talvolta molto coraggiose e innovative.
Ha la caratteristica di essere molto caparbio e motivato.
Trattasi comunque di figure professionali di talento, caratterizzate da alcune
sfaccettature particolari a partire dalla
capacità d’immaginazione e di concretezza, sempre finalizzate alla natura radicale del cambiamento.
Ma si caratterizzano anche per la vocazione all’ottimismo, la passione, la sicurezza di sé.
I “disruptor” si presentano come soggetti di ampie vedute, sospinti alla loro
attività dal desiderio di potere, di affermazione professionale di alto status,
portati ad agire orientati verso il
cliente.
Muniti di ampia creatività e conoscenza
tecnica. Mirano a conquistare il presti-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
gio sempre più alto lanciandosi nella
sfida al cambiamento e misurandosi
nella contesa verso i competitor.
Hanno la capacità di capire con immediatezza le cose che funzionano e quali
no e al tempo stesso devono sentire
la passione che li spinge verso l’impegno totale al cambiamento radicale
che dovranno progettare e realizzare
insieme ad altri loro colleghi, in un
team in cui ciascuno è portatore di
una propria idea, di altre visioni del
mondo, altri punti di vista, per confluire
in una forte “capacità di disruption”
collettiva su cui puntare.
Il “disruptor” agisce in un ambiente lavorativo in cui confluiscono diversi
ruoli e ciascuno dei “disruptor” può essere interprete di soluzioni in più ambiti, sempre con spirito interattivo,
avulso da qualsiasi vizio di proprietà intellettuale della sua opera, aperto a
tutte le soluzioni.
Con questa mentalità, all’insegna della
valorizzazione delle differenze, in un
ambiente teso alla creatività, nascono
nuovi prodotti, nuovi servizi, potenzialità più alte di collaborazione professionale, relazioni interpersonali e collettive
più intense, capacità di ridurre il carico
burocratico delle procedure di ogni genere e si introduce una diversa mentalità dell’agire, del pensare, del
progettare valori d’impresa, nel generare contatti, network, nuovi modelli di
business.
E da questa concezione dell’uso intelligente delle risorse umane, soprattutto
interne, potrà scaturire la rigenerazione
dell’ambiente antropico, della produttività individuale e collettiva, una nuova
dimensione manageriale, più partecipata, più orizzontale, meno verticistica
e, forse, meno arrogante e più orientata verso obiettivi credibili e di prospettiva, soprattutto a favore dell’utenza
e del sistema Paese.
Si tratta di ricercare un nuovo baricentro aziendale, culturale, manageriale, di
democrazia gestionale delle risorse
umane, di mentalità progettuale e operativa, fatto d’intelligenza e cooperazione, di cui il sistema bancario sembra
averne un urgente bisogno. Basterebbe
una buona dose di coraggio.
27
Franz Foti
n L AV O RO
I MUTAMENTI ECONOMICI E OCCUPAZIONALI
E IL DIFFICILE CICLO DELLA RIPRESA
Giustizia, merito, burocrazia e delirio fiscale bloccano il rilancio del Paese
Il declino occupazionale nel credito
Correvano gli anni ’80 e l’occupazione
nel settore del credito era in costante
crescita, insieme all’intero terziario. Era
un'evoluzione che proseguiva ininterrotta da decenni, con un'accelerazione
decisa dagli anni '60 in poi, e che sembrava non dover mai finire.
Poi, lentamente, qualcosa è cambiato.
Dal 1994 i dipendenti delle banche in
Italia cominciano a diminuire e se ne
accorgono anche i politici: è infatti del
1996 la legge n. 662 che, tra l'altro, regola i processi di ristrutturazione aziendale e le situazioni di crisi di "erogatori
di servizi di pubblica utilità", sprovvisti
(tuttora) di ammortizzatori sociali.
La stessa legge prevede la costituzione
di fondi di solidarietà di settore che in-
28
n di ce mbre 2014 -
tervengano, senza utilizzo di denaro
pubblico, ad attenuare gli effetti di crisi
aziendali.
Per il settore credito il Fondo di Solidarietà è costituito nell'aprile 2000,
con il Decreto del Ministero del Lavoro n. 158, e da allora ha espletato la
sua funzione erogando, tra l'altro, qualcosa come 47.000 (dato riferito al
2013) assegni di sostegno al reddito,
accompagnando alla pensione altrettanti esodati.
A questi si aggiungono i dipendenti ai
quali è stato chiesto di interrompere
l'attività lavorativa al raggiungimento
della prima "finestra" pensionistica.
Il risultato è che si è passati dagli oltre
335.000 bancari del 1993 ai ca.
289.000 del 2012.
In cont ri
Le cause
Possiamo parlare delle normative internazionali, che hanno
indotto le banche a rafforzare i
bilanci con le fusioni, per l'occasione agevolate fiscalmente
(Basilea 1 e legge Amato, entrambe del 1990), e dell'utilizzo
sempre più ampio di sistemi informatici evoluti e di internet,
con sempre più operazioni effettuate on-line.
Fenomeno quest'ultimo del
resto registrato in molti altri
settori, basti pensare ai caselli
autostradali senza più casellanti,
oppure alla nuova Metro C di
Roma, percorsa da treni privi di
conducente.
I cambiamenti
Ma dobbiamo rilevare che i
mutamenti intervenuti nella nostra società fanno parte di un
processo evolutivo italiano, ma
comune ai Paesi avanzati, ben
messo in luce dai dati statistici.
Consideriamo infatti l'evoluzione del
mercato del lavoro in Italia:
dalla costituzione del Regno d'Italia è
evidente la trasformazione da Paese
agricolo (nel 1861 il 70% della popolazione attiva era impiegata in agricoltura) a Paese industriale (negli anni '60
il settore con maggior numero di addetti) e infine a Paese post-industriale,
con netta prevalenza del settore dei
servizi.
I tre settori
Analizziamo meglio i 3 settori, più esattamente denominati Primario, Secondario e Terziario:
– il settore Primario riguarda la produzione di materie prime e quindi i prodotti dell’agricoltura, ma anche
l’allevamento, la pesca, l’estrazione di
minerali, ecc.;
– il settore Secondario riguarda l'attività di trasformazione delle materie
prime e quindi l’attività industriale
(meccanica, chimica, tessile, elettronica,
alimentare, farmaceutica, costruzioni,
ecc.), ma anche quella artigianale (elettricisti, carrozzieri, idraulici, ecc.);
– il settore Terziario riguarda l’attività
di distribuzione di beni e servizi, e
quindi trasporti, commercio, credito,
assicurazioni, consulenze contabili e legali, attività alberghiera, intrattenimento, ecc. ma anche la Pubblica
Amministrazione, che comprende la
struttura dello Stato, l’amministrazione
della giustizia, le scuole, la sanità, le
forze armate, ecc.
Il Terziario è il settore più complesso e
in continua trasformazione, comprendendo attività tradizionali e attività
avanzate, queste ultime caratterizzate
da alta tecnologia, quali comunicazioni,
informatica, marketing, ricerca, progettazione, collaudi, produzione di energia
“pulita”, ecc.
Il Terziario avanzato viene a volte denominato settore Quaternario.
Il credito
L’attività creditizia negli ultimi decenni,
con l’evoluzione del Paese, è diventata
un’attività matura, non più parte del
Terziario avanzato, come era stata nei
periodi precedenti.
L AV O RO n
A partire dagli ultimi anni ’90 ogni
piano industriale di gruppo bancario
prevede tagli dei costi, da raggiungere
soprattutto con una riduzione del personale. Ne risultano pertanto lavoratori in esubero per i quali viene
concordata una collocazione, in un
modo o nell’altro, a riposo, sostituiti da
un numero sempre più esiguo di
nuove assunzioni.
del proprio operato.
La burocrazia
Semplificare le procedure burocratiche. Un esempio, per tutte: l’applicazione delle ritenuta d’acconto sulle
fatture. Se un soggetto titolare di partita IVA si avvale dei servizi di un fornitore, riceverà da quest’ultimo la relativa
fattura. In un Paese normale l’acquirente pagherebbe la fattura e tutto sarebbe finito lì. In Italia, invece,
l’acquirente deve dedurre dal pagamento al fornitore una ritenuta d’acconto da versare direttamente al fisco.
Ma si aggiungono ben altre complicazioni, infatti:
L’occupazione
Come risolvere allora il problema occupazionale, probabilmente il maggior
problema attuale del nostro Paese,
quando anche il classico lavoro in
banca diventa incerto? La risposta è
nello sviluppo del Terziario avanzato,
che appare l’unico in grado di assorbire
forza lavoro, qualificata, non più richiesta negli altri settori.
Ma la creazione di nuovi posti di lavoro
comporta, come sempre, investimenti
per i quali occorre quindi creare le
condizioni per attrarli. Il nostro Governo cosa fa in proposito? È in corso
da alcuni mesi un dibattito sulla riforma
del lavoro, che sembra sostanziarsi
nella libertà o meno di licenziamento,
il discusso articolo 18. È realistico attendersi da una tale riforma un aumento dell’occupazione? Non sarebbe
molto più efficace rimuovere alcuni
grossi ostacoli all’imprenditorialità?
La giustizia
Far funzionare l’amministrazione della
giustizia. Citiamo un caso di mutuo
erogato per l’acquisto di un appartamento per il quale non era stata pagata
neppure la prima rata di ammortamento. Il procedimento legale dalla
messa in mora del debitore alla vendita
all’asta dell’appartamento ha impiegato
10 anni!
Il merito
Fare in modo che il merito conti più
della raccomandazione, cosa che eviterebbe anche la “fuga dei cervelli” (i
giovani più qualificati) all’estero, molto
dannosa per il nostro Paese. La selezione basata su criteri di relazioni e
scambi di favore è diventata una deleteria consuetudine in quanto molto
spesso i responsabili godono di una sostanziale impunità, non rispondendo
Incon tri
1) il pagamento della ritenuta d’acconto non può essere fatta insieme al
pagamento della fattura, ma nel mese
di calendario successivo e solo dal 1°
al 16° giorno;
2) l’aliquota della ritenuta d’acconto
varia a seconda del tipo di prestazione;
3) il pagamento va fatto con modello
F24 indicando codici tributo diversi a
seconda della tipologia del fornitore
(ditta, società o professionista);
4) se la fattura riguarda un intervento
di ristrutturazione edilizia la ritenuta
d’acconto viene effettuata dalla banca
che riceve il bonifico;
5) l’anno successivo l’acquirente deve
inviare al fisco il Mod. 770 che riassume
la ritenute di acconto effettuate nell’anno precedente.
Le varie situazioni descritte non sembrano proprio incoraggiare gli investitori, specie se stranieri, anzi!
Terminiamo con un suggerimento per
le banche che volessero sostenere la
crescita del Paese: potrebbero offrire
un servizio di venture capital (raccolta
di capitale di rischio) rivolto al finanziamento di giovani imprenditori muniti
di idee innovative e promettenti (selezionate da esperti), ma carenti di capitali. Sarebbe un passo nella giusta
direzione.
Vittorio Verdenelli
- di cembre 2 014 n
29
n FISCO
EVASIONE FISCALE E TRACCIABILITÀ
INTEGRALE DEI FLUSSI FINANZIARI
Una super banca dati dell’Agenzia delle entrate per stanare gli evasori
Il legislatore, facendo uso della delega
fiscale recentemente approvata, intende introdurre, attraverso il braccio
armato della Agenzia delle Entrate,
provvedimenti idonei a ostacolare
l’evasione fiscale utilizzando in modo
massiccio banche dati e facendo ricorso alla fatturazione elettronica di
tutte le transazioni.
L’obiettivo, infatti, è quello di utilizzare
le ovvie sinergie delle risorse tecnologiche che già sono presenti, ma non
vengono sfruttate come potrebbero.
Esempio evidente le banche dati dell’Anagrafe tributaria: l’idea è quella di
concentrare tutte le informazioni in un
“formato” unico facilmente consultabile e renderle accessibili anche al contribuente attraverso procedure sem-
“
L'obiettivo dei tre procedimenti
in tre diversi tribunali
non è quello di pervenire
a sentenze di primo grado
bensì quello di consentire
al giudice ordinario,
30
di dichiarare la sua incompetenza
n di ce mbre 2014 -
“
almeno per uno dei tre,
plificate. Questo comporterà una ulteriore “dematerializzazione” dei mezzi
di pagamento e quindi maggiore tracciabilità.
La concretizzazione di questo programma non si presenta facile, in
quanto, mentre si progettano nuovi
strumenti e procedure, si ha ben presente che il riequilibrio dei conti pubblici e il finanziamento delle misure
riguardanti la crescita dovrà arrivare,
oltre che dalla revisione della spesa,
proprio dalla differenza esistente fra la
base imponibile e il gettito effettivo.
Il nuovo progetto dovrebbe essere
accompagnato da un’opera di radicale
semplificazione in base a quanto già impostato nella Legge Delega e, per quanto
a conoscenza, nelle disposizioni che
saranno inserite nella Legge di Stabilità.
Di fatto si tratta, in molti casi, di estendere, condividere e potenziare risorse
tecnologiche che già esistono – Anagrafe tributaria – le quali già dialogano
con quelle di altri enti pubblici, ma non
in via interattiva.
Il cantiere più interessante denominato
“Vista Unica del Contribuente” prevede
di concentrare tutte le informazioni sul
contribuente e renderle accessibili con
procedure dirette e dialoganti.
L’aspetto ulteriormente innovativo è di
metterle a disposizione dello stesso interessato che potrà consultarle con
modalità semplificate.
In pratica i contribuenti avranno la possibilità di prendere visione di tutto
quello che il fisco sa di loro. Quindi non
solo i redditi ma, anche i passaggi di
proprietà, le utenze, i mutui, i rapporti
bancari e “le spese sostenute aggregate
per tipologia di bene”. Tutte informazioni che in gran parte affluiscono in
varie banche dati, ma non vengono
consultate in modo univoco in quanto
gli archivi per la maggior parte non colloquiano fra loro.
In cont ri
Consultando questi dati il contribuente
sarà in grado di verificare anche i rischi
cui potrà andare incontro ed eventualmente regolarsi di conseguenza. Un
approccio si può definire morbido che
però non esclude l’effettivo avvio di
controlli sempre più stretti e mirati
grazie proprio ai dati ora disponibili.
L’altro grande tema riguarda la fatturazione elettronica che potrebbe essere
usata anche per i rapporti tra imprese
rendendo effettiva la completa tracciabilità dei flussi evitando così i gravosi
controlli fiscali attuali. Questo programma riguarda anche il commercio
con l’estensione delle procedure telematiche della trasmissione dei corrispettivi.
In pratica i registratori di cassa diverranno strumenti in grado non solo di
registrare le transazioni ma di inviarle
in tempo reale al fisco: gli scontrini diventeranno quindi elettronici. Il sistema
è già a un buono stato di realizzazione
per quanto riguarda le farmacie che
dovranno trasmettere in tempo reale
all’Agenzia delle Entrate le spese del
contribuente per inserirle direttamente nel modello 730 precompilato
dall’Agenzia delle Entrate.
Ora la partita è aperta .Infatti se il legislatore intenderà dare un ulteriore
impulso anche all’eliminazione delle
transazioni in contanti sarà necessario
comprendere i termini dell’intervento.
Probabilmente sarà necessario verificare in che modo le nuove misure si
coordineranno con le limitazioni già in
vigore riguardanti la disciplina dell’antiriciclaggio. Allo stato attuale non sembra ipotizzabile una ulteriore riduzione
della soglia esistente (sotto i 1.000
euro) rischiando di penalizzare i consumi in un periodo in cui lo spettro
della deflazione preoccupa i governi e
gli economisti.
La previsione dei nuovi adempimenti
renderà necessario l’adeguamento
delle strutture: il computer dovrà essere sufficientemente adeguato, il software dovrà essere periodicamente
aggiornato e l’operazione dovrà essere
affidata a persone competenti che saranno sottratte inevitabilmente alle
mansioni correnti. La soluzione sarà
quindi di rivolgersi agli intermediari –
banche e professionisti – che a diverso
titolo saranno costretti ad assolvere
FISCO n
funzioni che ora gravano esclusivamente sullo Stato.
Anche Equitalia avrà la capacità di disporre e operare tempestivamente
con dati sempre più attualizzati e sarà
in grado di produrre benefici sia per gli
enti creditori che per i contribuenti.
Per queste ragioni Equitalia ha da
tempo avviato una pluralità di interventi tesi ad aumentare la qualità delle
informazioni trattate, agendo sulla tempestività della rilevazione e trasmissione con le banche dati di riferimento,
anche per garantire l’adeguatezza dei
controlli di qualità introdotti.
L’obiettivo consiste, infatti, nell’introdurre
i contribuenti alla futura ottemperanza
degli obblighi fiscali, rafforzan- do al contempo gli strumenti per il contrasto dell’evasione, oltre che di individuare nuove
risorse per la finanza pubblica, garantendo un maggior livello di trasparenza e
di collaborazione tra l’Amministrazione
finanziaria e i contribuenti.
Inoltre, il Garante della Privacy ha dato
il via libera al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate riguardante l’introduzione della Super
Anagrafe dei conti correnti. L’obiettivo
è quello di potenziare la lotta all'evasione fiscale tramite un database che,
sarà accessibile a Gdf e Fisco, non solo
durante le indagini, ma anche per elaborare, con procedure centralizzate,
liste selettive di contribuenti a maggior
rischio di evasione da sottoporre a ulteriori verifiche.
Banche, Poste, Sim, Sgr, fiduciarie e assicurazioni dovranno spedire all'ana-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
grafe tributaria i dati "sensibili" dei conti
correnti (saldo iniziale e finale, importi
totali degli accrediti e degli addebiti) e
di molti altri rapporti, dalla frequenza
di accessi alle cassette di sicurezza alle
gestioni patrimoniali, dalle carte di credito ai certificati di deposito.
L’utilizzo dei dati contenuti nella Super
Anagrafe dei conti correnti non servirà
più solo a elaborare liste selettive di
contribuenti a maggior rischio di evasione ma potrà essere utilizzata a più
ampio raggio per le “analisi del rischio
evasione” e determinare alcune voci
della Dichiarazioni ISEE dei contribuenti ai fini delle prestazioni di Welfare. L’obiettivo finale consiste, infatti,
nell’introdurre i contribuenti alla futura
ottemperanza degli obblighi fiscali.
Un programma conforme alle indicazioni dell’OCSE in quanto finalizzato
alla futura compliance dei contribuenti
e inserito nel quadro di una più incisiva
lotta ai fenomeni di rilevante evasione
fiscale.
A questa finalità si aggiunge l’ulteriore
coerente iniziativa normativa di carattere penale che consistente nell’introduzione nel nostro ordinamento del
reato di autoriciclaggio che pone l’Amministrazione finanziaria in un’ottica
operativa aperta e impegnata a raccogliere l’importante sfida per un cambiamento di rotta verso un nuovo
modello di cooperazione con i contribuenti in linea con analoghe esperienze già avviate in altri Paesi.
31
Dante Sbarbati
n SOCIETÀ
SOCIAL NETWORK & LAVORATORI
Uso consapevole del web per evitare sanzioni e spiacevoli inconvenienti di relazione
32
Quasi tutte le Banche dotano i dipendenti di caselle e-mail sul dominio
aziendale e molte consentono l’accesso a internet dall’ufficio, sempre,
però, precisando che si tratta di strumenti di lavoro, che non possono essere usati per fini privati. E, anche se lo
Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970 art.
4) vieta qualsiasi controllo sull’uso che
i dipendenti possono farne, come ogni
controllo a distanza, ciò vale salvo che
la policy aziendale notificata/accettata
da OO.SS. e lavoratori non ne disciplini
tempi/modi (per non dire dei software
di controllo sulla navigazione web del
personale, che producono report di
dati aggregati e anonimi senza incorrere nel detto divieto statutario).
Quindi, anche se in pochi facciamo attenzione alle comunicazioni sulla policy
dell’Azienda, questa leggerezza ci
espone al rischio di sanzioni disciplinari,
soprattutto a causa dell’accesso ai social network, in primis Facebook. D’altronde, negli USA, già nel 2011 l’8%
delle aziende aveva licenziato e ben il
17% irrogato sanzioni disciplinari per
colpa di FB (su cui era già attivo il
gruppo dei licenziati a causa del social,
i fired by facebook!).
Oggi, questi rischi valgono anche per i
lavoratori italiani. Moltiplicandosi le
iscrizioni ai social e diffondendosi la
tecnologia low cost, infatti,
molti hanno ormai l’abitudine alla connessione continua, che può diventare
assuefazione e addirittura
dipendenza, forse per la
dopamina rilasciata a ogni
“mi piace”. Uno studio della
Boston University trova le
basi del successo di FB nei
bisogni di appartenenza e
auto-rappresentazione, ma
è forse la possibilità di restare in contatto con chiunque ovunque sia la causa
n di ce mbre 2014 -
del crescente appeal di FB tra gli over,
più esposti alle insidie della rete perché
non nativi digitali (sui 26 milioni di italiani attivi su FB, la quota degli over 56
è quella che cresce più rapidamente e
gli over 35 sono oltre metà degli
iscritti).
Si profilano quindi almeno 3 ordini di
problemi: l’uso non autorizzato per fini
personali di beni aziendali, l’assenteismo virtuale (se la navigazione occasionale è tollerata, non è ammissibile,
ed è sanzionabile, trascorrere la propria giornata lavorativa in rete) e il contenuto dei post. Questi, salvo impostare
particolari livelli di privacy, sono leggibili
a tutti o almeno “agli amici degli amici”,
cioè una moltitudine sostanzialmente
indeterminabile, il che limita la tutela
del garante della privacy, essendo noi
stessi che, pubblicando qualcosa, la rendiamo virtualmente accessibile a tutti
(datore di lavoro incluso). Quindi, se i
post sono lesivi dell’immagine aziendale, è ravvisabile una violazione degli
obblighi di fedeltà e riservatezza ex art.
2105 c.c., per non parlare del dipendente in malattia che posti foto/commenti da cui si evinca la non veridicità
dello stato dichiarato.
Ecco quindi il perché dell’invocata istallazione di firewall di content filtering
che blocchino internet dalle reti aziendali: ma, a parte che il lavoratore può
navigare dal suo smartphone, tale soluzione non risolve il problema della
posta elettronica e della messaggistica
aziendale (raccomandata per il tutoring
e fonte di risparmio, limitando i viaggi
di lavoro). La via appare invece la formazione a un uso consapevole del web,
ricordando che, se post e mail sono la
variante 2.0 delle chiacchiere della
pausa caffè, non restano fra pochi intimi
e nemmeno volano, come si dice delle
parole: piuttosto, sono suscettibili di link
e tag, a nostra insaputa e ovunque.
Giuseppe Montinaro
In cont ri
SOCIETÀ n
I DISABILI E GLI STECCATI MENTALI
DEI NORMODOTATI
Educare i “normali” per abbattere barriere fisiche, economiche e sociali
Una volta tanto vorrei essere positivo,
dire che la situazione sta migliorando,
che i disabili sono più tutelati, e che il
3 dicembre, Giornata Internazionale
delle persone con disabilità, è stata
l'occasione per festeggiare e ringraziare
tutti, soprattutto le Istituzioni per l'attenzione e la sensibilità che riservano a
noi, un po' meno abili dei normodotati.
Poi capita che al concerto di Cesare
Cremonini all'Unipol Arena di Bologna,
una ragazza non vedente, munita di regolare biglietto per il parterre, insieme
ad un amico anch'esso non vedente e
un accompagnatore con vista di lince,
siano avvicinati dal Personale di sicurezza che a “forza” li costringono ad
andare “nel settore disabili”.
Esiste infatti, in ogni evento pubblico
importante, uno spazio apposito per i
disabili, per “gestire” più facilmente i
casi di emergenza.
Non voglio esagerare, ma tutte le volte
che mi trovo davanti al cartello “settore disabili”, oltre a sentirmi un po' a
disagio e a fare finta di vedere benissimo (sono cieco ad un occhio e l'altro
non sta tanto meglio), mi tornano in
mente le leggi razziali che hanno consentito nel passato l'affissione di cartelli
con scritto “vietato l'ingresso ai cani e
agli ebrei” oppure anche “ai negri” e in
Svizzera, ahimè, anche agli italiani.
Pensate che sfiga, nella Germania nazista, essere nello stesso tempo ebreo,
negro, cieco e con cane d'accompagnamento... tutto verboten, una tragedia!
Fortunatamente tutto ciò appartiene
al passato, oggi le discriminazioni
sono sanzionate per legge e le politiche per la disabilità non sono politiche indirizzate a fasce minoritarie
della società, ma riguardano tutti,
sono politiche generali.
La disabilità è obiettiva, non predilige
una parte della popolazione a discapito di un'altra, basti pensare a un inci-
dente d'auto, a una malattia, all'età, con
conseguenze limitanti per la propria
autonomia.
I disabili rappresentano il 15% della popolazione mondiale e l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sottolinea che nell'arco di una vita tutte le
persone vivranno esperienze di disabilità, perché bambini, perché anziani, perché “incidentati”, perché malati.
Per l'edizione 2014 della “Giornata internazionale della disabilità”, l'Onu ha
scelto come tema la tecnologia, “per
contribuire a realizzare la piena ed
equa partecipazione delle persone con
disabilità nella società... una società in
cui – i disabili – devono affrontare non
solo le barriere fisiche, ma anche sociali, economiche e comportamentali”.
Ma non tutte le persone possono beneficiare dei progressi tecnologici,
anche perché molte non possono per-
Incon tri
- di cembre 2 014 n
metterseli, e qui dovrebbero subentrare le politiche sociali degli Stati, che
invece stanno tagliando proprio sul
Welfare.b Per quanto riguarda il nostro
Paese, la Legge di stabilità in discussione prevede, tra l'altro, la riduzione
delle Risorse destinate al Fondo per la
non autosufficienza.
Non sottovalutiamo i problemi economici, ne siamo tutti consapevoli, ma alcuni atteggiamenti suonano, soprattutto per chi soffre, come autentiche prese in giro.
Una doccia gelata in piena estate per
solidarietà con i malati di SLA insieme
alla promessa “politica” di non toccare
i fondi per i non autosufficienti, è servita a rinfrescare chi l'ha fatta e a raggelare chi ha visto sfumare un futuro
meno doloroso e più solidale. Occhio:
siamo disabili, non sprovveduti!
Gaetano Reale
33
n CURIOS@NDO
CONTANTI ADDIO
SEGNATO IL DESTINO DELLE BANCONOTE
A breve anche in Italia spariranno gli spiccioli metallici sino a cinque centesimi
Il destino delle banconote sembra segnato: spariranno presto. Secondo i
dati del World Payment Report, infatti,
nel 2014 le transazioni elettroniche
hanno raggiunto circa il 10% delle transazioni totali, superando quota 400 miliardi di dollari. Si stima che nel 2015 la
percentuale salirà al 15% grazie anche
al forte impulso offerto dai nuovi strumenti tecnologici di pagamento.
I primi contanti a sparire saranno le
piccole monete, gli “spicci”, cioè 1, 2 e
5 centesimi. In Finlandia e Olanda li
hanno già aboliti e anche in Italia la Camera ha approvato una mozione per
chiedere al Governo di intraprendere
misure concrete per sospenderne il
conio visto che produrle costa più del
loro valore.
La vera e propria rivoluzione arriverà
però con lo smartphone. I maggiori
operatori della telefonia mobile stanno
accelerando per permettere di effettuare pagamenti direttamente con il
telefono. Una volta registrati i dati della
propria carta di credito l'utente avvicina il cellulare al lettore Pos dell'esercente per avviare il pagamento.Per
34
importi inferiori ai 25 euro non sarà
nemmeno necessario digitare il pin.
C’è poi la rete con i Bitcoin, la moneta
virtuale per eccellenza e Facebook che
sta studiando un nuovo servizio di pagamento che potrebbe trasformare la
piattaforma in una sorta di banca. Ogni
utente avrà un vero e proprio borsellino virtuale con cui pagare piccole
somme ad altri intestatari di account
Facebook.
Apple sta lavorando, invece, a un proprio sistema di pagamenti in grado di
competere con il già collaudato PayPal.
Insomma, per il contante la strada sembra segnata in nome di un'economia
sempre più virtuale. E in questo scenario globale anche le carte di credito e
i bancomat sembrano superati. Google, Mastercard e Maestro stanno tentando di imporre ognuno il proprio
standard.
Le banche sono felici perché pensano
che il pagamento con il cellulare rappresenterà un modo per intercettare i
micropagamenti. A questo proposito
quasi tutte hanno avviato progetti pilota da Mediobanca a Unicredit, Intesa
n di ce mbre 2014 -
Sanpaolo, Bnl, Ubi, Banco Popolare, Cariparma e Mediolanum.
Quanto ai maggiori gestori telefonici,
Vodafone e Telecom presidiano il
campo rispettivamente con le offerte
Smartpass e Tim wallet, entrambe basate su carte prepagate.
Ma la fantasia, soprattutto la tecnologia,
non ha limiti: negli Stati Uniti ha già debuttato Apple Pay che poggia su un accordo con oltre 500 banche e numerose catene di negozi. Per pagare
l'utente non dovrà far altro che passare
il dito sul lettore d’impronte digitali del
proprio iPhone e iPad Air. Analogamente, Samsung ha integrato un sistema di pagamento sul suo smartphone Galaxy S5 grazie a un accordo
con il colosso PayPal.
I francesi della banca Bpce saranno invece i primi a trasferire denaro con un
tweet, che consentirà di inviare, senza
bisogno di conoscere il numero di
conto del destinatario.
La frontiera più innovativa è proposta
dalla finlandese Uniqul che annuncia
come prossima la tecnologia di pagamento attraverso un sistema che permette di pagare tramite riconoscimento facciale.
Anche l'Italia corre veloce verso il futuro. Il Tar ha dichiarato legittima la
norma che obbliga i professionisti a
dotarsi di Pos per i pagamenti superiori
a 30 euro. L'obiettivo dichiarato è contrastare il più possibile l'elusione e
l’evasione.
C’è anche intenzione di rendere obbligatorio il pagamento per via elettronica delle pensioni. Ma tanti pensionati
non hanno un conto corrente e soprattutto nessuno di loro è disposto a
pagare commissioni alle banche, soprattutto se obbligati per legge ad
aprire il conto corrente. Con le pensioni d’oggigiorno non c’è da stare allegri dovendo sostenere ulteriori costi.
L. I.
In cont ri
CURIOS@NDO n
MAURIZIO SARRI
DAL POSTO IN BANCA ALLA SERIE A
L’allenatore dell’Empoli era un bancario promettente con il cuore nel pallone
Lui farebbe di tutto per cancellare il
suo passato da bancario ma i giornali,
invece, glielo ricordano con ostinazione
dopo ogni partita, raccontando la sua
bella storia di successo. Non ci sta
Maurizio Sarri, oggi come oggi uno dei
più apprezzati allenatori di serie A, a
passare per un dopolavorista, ex dipendente del Monte dei Paschi. Ma
tant’è. Sarri è allenatore dell’Empoli che
viaggia in assoluta posizione di tranquillità rispetto ai brividi della zona retrocessione e alle emozioni della vetta
della classifica.
E’ vero, Maurizio Sarri ha un passato un
po’ ingombrante per un tecnico che,
come lui, interpreta il gioco del calcio
con le qualità di allenatore di valore assoluto. Il fatto di aver lavorato in banca
lo fa sentire come un allenatore dilettante, quasi un intruso in un mondo
come quello del calcio, legato a carriere costruite sui calci al pallone o
sulle panchine di squadre giovanili di
club molto importanti.
Sarri è nato a Napoli, in conseguenza
del girovagare del padre per lavoro, ma
è toscano doc di Figline. Proprio alle
porte di Firenze, Sarri ha iniziato prima
a giocare e poi ad allenare. E’ dunque
un uomo di provincia emerso in questi
anni grazie, soprattutto, alla sua capacità di preparare tatticamente le partite. In serie A è divenuto anche icona
del calcio possibile, che gode di poche
risorse economiche ma tante idee.
Sarri ha allenato la squadra di Alessandria, quella di Sorrento e poi l’Empoli
ma in passato ci sono state anche il Verona e il Perugia.
La vita di Sarri è costruita attorno al
calcio, per il calcio. Prima, ovviamente,
da calciatore poi da allenatore come
passione unita a un solido impiego in
banca. Un bel giorno la grande sfida:
abbandonare il posto fisso da dirigente
per tentare di realizzare il sogno di una
vita. Dopo aver portato il Sansovino in
serie C2 Maurizio Sarri è approdato
alla Sangiovannese prendendo l’aspettativa al Montepaschi. Quindi c’è stato
il passaggio in B col Pescara che ha significato l’addio al lavoro sicuro.
L’obiettivo e il sogno di Sarri erano
chiarissimi: fare di una passione la sua
fonte di reddito. E dopo tanta gavetta
eccolo approdato quest’anno in serie
A con l’Empoli che da due stagioni dà
spettacolo: prima in B, ora nell’olimpo
italiano del calcio.
Maurizio Sarri ha da poco rinnovato il
contratto e in mano ha di fatto un accordo triennale. L’Empoli fa di tutto per
non farsi sfuggire il tecnico che, anche
in serie A, si presenta alle interviste in
tuta, fa giocare le sue squadre a memoria e sa valorizzare i giovani in un
contesto generale di risorse minime.
Pur mettendo insieme tutti gli ingaggi
dei calciatori dell’Empoli, infatti, non si
raggiungerebbe neanche il 10% del
monte salari della Juventus, aggiungendoci anche lo stipendio del tecnico di
Figline. A Empoli, si lotta per la salvezza
con neanche 10 milioni di stipendi. E
guardando la classifica il miracolo empolese va oltre il semplice calcio di
provincia. Empoli è una città che non
raggiunge 50mila residenti, ma grazie
alla passione di Maurizio Sarri e a
quella della società, sta lottando alla
Incon tri
- di cembre 2 014 n
pari con Milano, Roma,Torino e Napoli.
Quella di Maurizio Sarri è dunque una
bella storia che si ripete: Spalletti, Baldini, Cagni e ora il tecnico dell’Empoli
con i suoi schemi. Già, gli schemi, così
perfetti ed efficaci in campo; così lontani dal sistema fuori da quel mondo.
Lui ne è e ne rimarrà fuori. Da buon
ex dirigente bancario.
Livio Iacovella
LE SQUADRE ALLENATE
MAURIZIO SARRI
DA
1990-1991
1991-1993
1993-1996
1996-1998
1998-1999
1999-2000
2000-2003
2003-2005
2005-2006
2006-2007
2007
2008
2008-2009
2010
2010-2011
2011
2012
STIA
FAELLESE
CAVRIGLIA
ANTELLA
VALDEMA
TEGOLETO
SANSOVINO
SANGIOVANNESE
PESCARA
AREZZO
AVELLINO
VERONA
PERUGIA
GROSSETO
ALESSANDRIA
SORRENTO
EMPOLI
35
n CURIOS@NDO
PENNE DI LUSSO PROTAGONISTE
DI FIRME IMPORTANTI
Tra Mont Blanc, Faber-Castell e Richemont spunta il made in Italy Montegrappa
Anche in un’epoca caratterizzata dalla
tecnologia, le penne di lusso rimangono un simbolo mondiale di bellezza
ed emblema di stile ed eleganza. Le
marche più prestigiose sono diventate
esse stesse nomi simbolo di un oggetto che rimane uno strumento utile
e di grande classe.
Firmare un contratto o un accordo
commerciale, apporre la firma su un
documento importante come il passaggio di proprietà, scrivere a mano un
biglietto che sia autentico e personale
sono tutte circostanze che richiedono
l’uso di una penna di lusso. Per dare importanza, anche simbolica, al momento
ed essere sempre perfetti.
Un cerimoniale, come quello della
firma del Primo Ministro e dell’Esecutivo davanti al Capo dello Stato o in
occasione dei trattati internazionali di
pace, esige l’uso di una penna di gran
classe.
Che si tratti di penne a sfera o
stilografiche
gli strumenti di scrittura aiutano, infatti,
a creare grandi emozioni.
Il nome che per eccellenza è il simbolo
di penne di lusso è Mont Blanc, casa
fondata ad Amburgo nel 1906.
Oltre cento anni di storia, dunque, per
questa azienda che ha spesso prodotto penne in edizioni limitate e dedicate a famosi personaggi del mondo
letterario.
Anche il made in Italy vanta prodotti di
assoluta eccellenza come le penne
Montegrappa, storica casa fondata nel
1912 a Bassano del Grappa, che si dedica alla realizzazione di strumenti per
la scrittura utilizzando anche oro, argento e pietre preziose che danno
vita a collezioni esclusive.
Storia e modernità si uniscono
invece nelle creazioni di FaberCastell, casa che
La Montegrappa contende ad Aurora e Tibaldi il primato di primo produttore italiano di penne stilografiche.
Benché l'azienda sia la più antica delle tre, la Montegrapppa nasce come
produttrice di pennini per stilografiche, la cui produzione invece risale
solo all'inizio degli anni '20. L'azienda è, insieme ad Aurora, uno dei più
longevi produttori italiani, rimasto sempre in attività. Nel 2000 l'azienda
fu acquistata dal gruppo Richemont (lo stesso proprietario di Mont Blanc)
per essere riacquisita a fine 2009 dalla famiglia Aquila.
I modelli più noti
Montegrappa the Dragon a Montegrappa Aphrodite
Montegrappa Luxor
Montegrappa Nero Uno collection
36
n di ce mbre 2014 -
vanta origini nella fabbricazione di
matite e approdata nel 1838 alla
produzione di penne e strumenti di
scrittura.
La storia racconta che le origini della
penna a serbatoio risalgono al X secolo
e all’Egitto.
Fu poi Leonardo da Vinci, chi altro
sennò, a inventare una penna a serbatoio di inchiostro.
La storia moderna della penna inizia alla
fine del ‘700 quando venne sviluppato
un prototipo in bronzo e corno.
Ma fu solo nel 1809 che in Francia fu
brevettato un prototipo di quello che
in futuro evolverà nella penna a sfera
grazie all'invenzione
da parte di
uno studente rumeno.
Poi, a partire dal 1850, c’è stato un costante aumento sia dei brevetti di
penne stilografiche sia della produzione di penne stesse.
Nonostante l'esistenza di vari precursori, è molto comune sentir dire che la
data di nascita della penna stilografica
moderna sia da porsi all'incirca nel
1883, quando Lewis Edson Waterman
iniziò lo sviluppo di quello che viene
considerato a tutti gli effetti il primo
modello funzionante e affidabile di
penna stilografica.
L. I.
In cont ri
CURIOS@NDO
n
L’ACQUA DI ROMA
È TRA LE MIGLIORI D’ITALIA
La Capitale stupisce ancora con il ritrovamento del più grande bacino idrico mai scoperto
Roma antica non smette di stupire.
Grazie agli interminabili lavori per la
metro C, infatti, lo scorso mese di dicembre è sta fatta una scoperta eccezionale. Durante gli scavi per realizzare
la fermata di San Giovanni è stato portato alla luce "il più grande bacino
idrico mai ritrovato.
Il bacino si trova all'interno di
un'azienda agricola della Roma imperiale, la più vicina al centro di Roma che
sia mai stata ritrovata". Lo ha annunciato Rossella Rea, responsabile scientifico degli scavi archeologici nel
cantiere. “La vasca è di così grande dimensione da superare il perimetro del
cantiere e non è stato ancora possibile
scoprirla interamente". Gli archeologi
intervenuti sul posto hanno scoperto
che la vasca era foderata di coccio
pesto idraulico e poteva conservare
più di 4 milioni di litri d'acqua. Il bacino
misurava infatti circa 35 metri per 70.
Sembra probabile che la sua funzione
principale fosse quella di riserva d'acqua a servizio delle coltivazioni e vasca
di compensazione per far fronte alle
piene del vicino fiume.
Quella dell’acqua, o per meglio dire
degli acquedotti, è una chiave di lettura
forse inusuale ma molto suggestiva di
conoscenza dell’antica Roma.
La tantissime fontane presenti in centro città testimoniano di un passato in
cui l’acqua ha avuto una funzione
molto importante per la tenuta dell’Impero e per il controllo della popolazione romana. Molti imperatori
hanno sviluppato acquedotti, terme,
bagni pubblici, fontane e fontanelle che
hanno consentito alla città di crescere
sempre più. Fin dall’antichità, dunque,
Roma ha avuto sempre grande abbondanza d’acqua. Si calcola, infatti, che la
disponibilità continua fosse di oltre un
milione di litri d’acqua.
Gli undici acquedotti di epoca romana
che dal 312 a.C. vennero costruiti portarono alla città una disponibilità d'acqua pro capite pari a circa il doppio di
quella attuale. Acqua distribuita tra le
case private, le fontane pubbliche , le
fontane monumentali, le piscine e le
terme pubbliche, nonché i bacini utilizzati per gli spettacoli e i laghi artificiali.
a storia antica di Roma rivela che fu
Agrippa, intorno al 30 a.C., a organizzare un apposito servizio di manutenzione, poi perfezionato e istituzionalizzato da Augusto, che si occupò dell’approvvigionamento idrico cittadino
e quindi del controllo e manutenzione
di tutti gli acquedotti.
Furono gli Ostrogoti, nell’assedio del
Incon tri
- di cembre 2 014 n
537, a decretare la fine della storia degli
acquedotti antichi. I barbari tagliarono
gli acquedotti per impedire l’approvvigionamento della città, e d’altra parte
anche Belisario, il generale difensore di
Roma, ne chiuse gli sbocchi per evitare
che gli invasori li usassero come via di
accesso. Qualcuno di quegli acquedotti
fu poi rimesso parzialmente in funzione, ma dal IX secolo il crollo demografico e la penuria di risorse tecniche
ed economiche fecero sì che nessuno
si occupasse più della manutenzione. I
condotti non furono più utilizzabili e i
romani tornarono ad attingere acqua
dal fiume, dai pozzi e dalle sorgenti,
come alle origini.
Ma l’acqua di Roma è buona da bere?
Il giudizio complessivo è ottimo, l’acqua
di rubinetto è buona ed è sicura ed è
una delle migliori d’Italia. A dirlo è stato
Altroconsumo che ha condotto una ricerca sulle acque potabili e casalinghe
italiane.
Secondo la ricerca, che ha coinvolto 35
città, l'acqua di Roma ha qualità e varietà di sorgenti e secondo i parametri
qualitativi: qualità dell'acqua (presenza
di calcio, durezza, fluoruri, solfati), inquinanti e presenza dei metalli risulta essere una delle migliori italiane.
Livio Iacovella
37
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