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Quando la
mano di un
uomo tocca la
mano di una
donna,
entrambi
toccano il cuore
dell’eternità.
Kahlil Gibran
ETERNITÀ
un racconto di Lorenzo Bosisio
I.
Il sole sta sparendo dietro il profilo delle colline e le
ombre si allungano sulla strada.
Alberto è fermo sul bordo della rotonda che collega
la via Aurelia all’accesso dell’autostrada. I capelli
castani, ormai punteggiati da fili argentei, si agitano
intorno al volto duro e spigoloso. Gli occhi, di un
azzurro chiaro come il ghiaccio, osservano il
paesaggio: la provinciale scende verso il mare
attraverso un piccolo gruppo di costruzioni segnate
dal tempo. Il cartello sul ciglio della strada, una
lastra bianca di metallo consumata dalla ruggine,
riporta la scritta: PIAZZA, Frazione di Deiva Marina.
Controlla distrattamente il navigatore satellitare e si
chiede perchè si trovi lì.
Aveva scelto le Cinque Terre perchè la natura ha una
sua espressione particolare, un misto unico di
colori, odori e sapori. Era arrivato due giorni prima a
Monterosso, pianificando di viaggiare verso sudest
in direzione di Porto Venere.
La prima sera, mentre cenava in un ristorantino nel
porto vecchio, aveva sentito un gruppo di anziani
parlare della Dama della Torre. Incuriosito, si era
unito a loro offrendo una bottiglia di vino e aveva
ascoltato con interesse il racconto di una giovane
donna, di nobili origini, gettatasi in mare per amore
dalla torre d’osservazione che oggi si trova sulla
marina di Deiva. Il discorso era poi proseguito con la
leggenda nata da quel tragico evento: ogni anno,
nell’anniversario della scomparsa, un lamento
straziante si alza dalle rovine della torre e sembra
che a volte si possa intravedere lo spirito della
ragazza aggirarsi fra quelle pietre consumate dal
tempo.
Alberto non aveva saputo resistere perchè la sua più
grande passione sono i misteri. Non perchè ci creda,
ma
perchè
ama
trovarne
una
spiegazione
scientifica. E così si era trovato a viaggiare verso
nord, percorrendo la provinciale fino a Levanto e
poi oltre, attratto da quel racconto come una falena
verso la luce.
Si incammina lungo la strada che serpeggia fra la
vegetazione. Man mano che si avvicina all’abitato la
sensazione di desolazione si fa sempre più
insistente. L’architettura degli anni ’50, le ringhiere
arrugginite e le facciate cadenti gli lasciano in bocca
il sapore di speranze perdute. Arriva finalmente al
paese e percorrendo la via principale che
fiancheggia il torrente, scende fino alla marina.
Quella che una volta doveva essere la passeggiata
sul
lungomare,
ora
è
un
cantiere.
Stanno
costruendo una serie di box sotterranei, a ridosso
della spiaggia. D’altronde, pensa amaramente
Alberto, chi non vorrebbe parcheggiare l’auto in riva
al mare. Anche se è quasi buio e il freddo comincia
a farsi sentire, lo spettacolo lo rinfranca. Il mare si
abbatte con regolarità sugli scogli, accompagnato
dalle grida rauche dei gabbiani. La spiaggia deserta
è il posto ideale per piantare la tenda, così Alberto
raggiunge la scala di metallo inchiodata al fianco
della murata, ma quando si volta per scendere
scorge un rudere che si innalza sul promontorio, i
resti di una torre. Un brivido di anticipazione gli
percorre la schiena.
Dopo essersi accampato a ridosso della parete di
pietra, per proteggersi dal vento, cena alla luce della
luna e si gode la tranquillità della notte. Quando
rientra nella tenda, intirizzito dal freddo, è quasi
mezzanotte e la stanchezza inizia a farsi sentire.
II.
Cammina lungo una strada polverosa che costeggia
la spiaggia. Davanti a lui sorge un piccolo borgo e
sulla destra, nell’entroterra, se ne intravede un
altro, che ospita un castello. È una calda giornata
primaverile, ma Indossa l’armatura e sta portando a
mano il suo cavallo. La guerra è alle porte e il suo
signore, il marchese Da Passano, gli ha chiesto di
unirsi alle truppe della Repubblica di Genova per
difendere la patria dall’invasione spagnola. Non
vorrebbe partire, ora che ha trovato l’amore, ma
non ha scelta. Inoltre ottenere una vittoria in
battaglia potrebbe garantirgli la benevolenza del
marchese, padre della sua amata. È con il cuore
pieno di buone intenzioni che si sta recando alla
vecchia torre d’osservazione, il luogo d’incontro
segreto fra lui e Marissa.
Arriva e trova un altro cavallo nella stalla. Lega il
destriero rapidamente e lo copre con un manto, per
nascondere le insegne a occhi indiscreti. La
massiccia porta scivola in silenzio sotto la sua spinta
e lui sale correndo la rampa di scale che conduce al
tetto.
Lei lo sta aspettando. I riccioli castani le cadono
ribelli sul volto rotondo, mettendo in risalto gli
splendidi occhi verdi e il rosa tenue della pelle.
Indossa un lungo vestito azzurro che mette in risalto
le sue forme e sulle spalle porta un prezioso scialle
di seta bianca. Appena lo nota, un dolce sorriso le si
apre sul viso. Gli corre incontro e lo abbraccia,
baciandolo con passione.
D’improvviso è il tramonto e il sorriso di Marissa è
spento, sostituito da un’espressione triste e
disperata.“Non partire – gli chiede, - rifiuta”.
“Non posso – risponde lui, stringendole le mani, tuo padre non lo accetterebbe mai”.
“Non mi importa – le lacrime le rigano il volto. – Se
partirai, non tornerai più. La morte ti prenderà, lo
sento!”
La abbraccia, accarezzandole i capelli con tenerezza.
“Non temere – le sussurra, - io sarò sempre con te”.
III.
Alberto apre gli occhi di colpo e per alcuni istanti
rivede lo sguardo colmo di tristezza di quella donna.
Sbatte le palpebre e si accorge che l’alba è già
passata da un pezzo. La giornata è luminosa, il sole
sembra più caldo del giorno precedente e al
momento non c’è un filo di vento. La spiagga è
deserta, ad esclusione di un pescatore sugli scogli e
di una coppia anziani che portano a passeggio il
cane. Osserva il mare calmo cercando di scacciare il
sogno, così vivido da sembrare reale, ma ogni volta
che cerca di pensare ad altro, quel volto riappare.
Sbuffa e si scrolla di dosso la sonnolenza residua,
smonta il campo e si guarda in giro in cerca di un
bar dove fare colazione. Ha una fame da lupi.
Appena sopra la murata intravede l’insegna di un
hotel che dovrebbe anche avere la caffetteria.
All’interno, una signora di mezza età lo invita a
sedere e gli prepara un caffè corredato di brioches
sfornate da poco. Mangia con gusto e approfitta per
chiedere informazioni.
“Signora – le chiede, - saprebbe indicarmi una
biblioteca o un archivio dove sia possibile studiare i
documenti storici di Deiva?”
“Potrebbe chiedere in municipio – risponde la
donna, dopo una breve riflessione, - credo che
conservino il materiale storico in un archivio. Se non
sono
indiscreta,
posso
chiederle
a
cosa
è
interessato?”
“Sto facendo ricerche sulla Dama della Torre –
spiega Alberto, - sulla leggenda e i fatti storici a essa
collegati”.
“Ah – esclama lei, - allora potrebbe anche trovare
utile la visita al Castello di Passano, è stato
recentemente ristrutturato e credo sia aperto al
pubblico”.
“Grazie, signora – la saluta lasciando dieci euro sul
tavolo. – È stata molto gentile”.
Lei gli sorride calorosamente. “Torni pure quando
vuole”.
L’ingresso del municipio è in linea con il resto del
paese, anche se la sensazione di amarcord è meno
marcata che altrove. Dietro alla scrivania della
reception, poco più di una lastra di formica su
gambe metalliche, siede una donna di mezza età
vestita con un abito sgualcito e liso dal tempo.
“Buongiorno – la saluta, - è possibile avere accesso
all’archivio storico di Deiva?”
La signora alza gli occhi e lo squadra da dietro le
lenti spesse come fondi di bottiglia.
“E lei sarebbe?”
“Mi chiamo Alberto Malindri – risponde lui, - e sono
un appassionato di storie e leggende. Sono
interessato ad alcuni racconti di folclore locale”.
“L’archivio è al piano di sotto – gli indica una porta
alla sua sinistra. – I documenti sono organizzati per
anno e quelli più vecchi del 1900 sono negli armadi
in fondo alla sala”.
“Grazie”. La camera nel seminterrato è grande e ben
illuminata, ma l’aria è stantia e c’è odore di vecchio.
Ci sono decine di armadi pieni di documenti, ma li
ignora e si dedica ai due indicati dalla funzionaria.
Passa lì qualche ora, ma non trova alcun riferimento
alla Repubblica di Genova, ai marchesi Da Passano o
alla Dama della Torre.
Quando esce, la donna lo guarda a malapena e lo
saluta con un cenno, per poi tornare al suo lavoro.
La frizzante aria primaverile del primo pomeriggio
gli rinfresca le idee e gli stimola l’appetito. Scende
verso la marina e si ferma all’unica pizzeria da
asporto aperta.
Mentre consuma il pasto, seduto su un’anonima
panchina, si ricorda della conversazione avuta a
colazione e viene colto da un senso d’urgenza. Si
alza e butta la bottiglia di birra e gli avanzi nel
cestino dell’immondizia, poi prende dalla tasca il
cellulare e cerca le indicazioni su Google Maps. Il
castello di Passano non è molto lontano, ma deve
sbrigarsi se non vuole fare un viaggio a vuoto.
Si mette in marcia a passo sostenuto e in meno di
un’ora è arrivato. La fortezza è stata recentemente
ristrutturata ed è davvero in buono stato. Attraversa
il giardino e raggiunge la torre principale, che ospita
una mostra di reperti storici risalenti al periodo
tardo medievale.
Le teche al pian terreno contengono per lo più
documenti in latino e alcuni cimeli delle guerre di
quel periodo, mentre al secondo piano trova una
piccola pinacoteca, al cui centro domina un quadro
raffigurante una donna. Appena lo vede, rimane
folgorato. Non può dimenticare quegli occhi. Con la
pelle d’oca, si avvicina al dipinto per leggere la
didascalia, ma è già sicuro di cosa troverà.
Quando vede il nome, Marissa Da Passano, le
immagini del sogno lo colpiscono come un maglio.
Barcolla e deve sedersi per non cadere svenuto sul
pavimento.
Respira profondamente per alcuni minuti, inebetito,
finchè non riesce a riprendere il controllo.
L’attrazione verso questo luogo, il discorso ascoltato
a Monterosso, il periodo scelto per la vacanza,
devono essere coincidenze, si ripete. È certo che la
suggestione lo stia influenzando, ma non vuole
tirarsi indietro, non adesso.
IV.
Come il giorno precedente, il sole scende presto
dietro l’orizzonte, lasciando il posto a una serata
buia e fosca. La luna è velata e ai piedi della torre, la
visibilità è davvero ridotta.
Alberto è tornato da Passano quasi di corsa, spinto
dalla voglia di affrontare la paura che lo tortura ma,
ora che si trova sotto il rudere, è bloccato. Vorrebbe
negare l’attrazione per quel luogo, ma sa che l’unico
modo per liberarsene è entrare fra quelle pietre.
Non è facile muoversi fra le macerie e Alberto
inciampa più volte, prima di riuscire a trovare uno
spazio dove accamparsi. Della costruzione originale
non rimane molto dopo il crollo parziale del tetto e
del primo piano, solo la parete semicircolare che dà
sul mare e un tratto di scala che sale fino a circa
quattro metri d’altezza, dove si apre sui resti di una
piattaforma. Il muro sembra solido, ma Alberto
sceglie di montare la tenda fra le macerie, al centro
del pavimento.
Si prepara il tè e con la tazza fumante fra le mani
finalmente riesce a rilassarsi. Si sente stupido per
aver ceduto alla suggestione e comincia a dubitare
di quello che ha visto: la donna del dipinto non
assomigliava poi così tanto alla protagonista del suo
sogno.
V.
Si trova su una bassa collina, al limitare di un pendio
erboso. Al suo fianco sono schierati migliaia di
soldati e in fondo alla discesa si trova l’esercito
nemico. Sono in posizione favorevole, ma gli
spagnoli li sovrastano numericamente e sono
meglio armati. Le possibilità di vincere sono scarse,
ma ormai lo scontro è inevitabile.
Le trombe avversarie suonano la carica e lui ripensa
a Marissa e al loro ultimo saluto. Rammenta le sue
parole, foriere di un destino nefasto, e si trova a
piangere. Quando riceve il comando del suo
superiore, si getta nella mischia con tutto il coraggio
che ha. Combatte a lungo, eroicamente difende la
posizione fino a quando il fronte cede e viene
schiacciato dall’avanzata avversaria. Viene trafitto
da una lancia al petto e il buio lo avvolge.
Marissa è nella sua camera in quel momento e il
suo cuore perde un battito. Una fitta le lacera il
petto e lei si accascia sul letto. La dama di
compagnia accorre subito in suo aiuto, preoccupata,
ma lei la rassicura.
“Non ti preccupare – la sicurezza nella voce è in
contrasto con la disperazione che traspare dagli
occhi, - ho solo avuto un capogiro”.
“Signora – le chiede premurosa l’altra, - vuole che le
porti qualcosa da bere?”
“No, grazie. Accompagnami nella sala delle udienze,
perchè presto avremo visite”.
La dama la guarda perplessa, ma la aiuta ad alzarsi e
la sorregge, mentre attraversano i corridoi silenziosi
del maniero.
Non appena Marissa si siede sul suo scranno, la
porta si apre e una guardia accompagna un soldato
ferito al suo cospetto.
Le lacrime iniziano a scorrerle lungo le guance,
ancora prima che l’uomo inizi a parlare.
“Signora – le dice cercando di mantenere un
contegno decoroso, - vi porto infauste notizie”.
Tira un lungo e tremante respiro, poi riprende.
“Le nostre truppe sono state sconfitte. L’esercito
spagnolo ora marcia su Genova”.
“Che notizie ci sono – chiede lei con la voce ridotta
a un sussurro, - dei nostri soldati?”
“Non c’è nessun superstite, Signora, il nemico non
ha fatto prigionieri”.
Marissa si accascia con un lamento straziante e
inizia a singhiozzare incontrollabilmente. La dama di
compagnia le è subito accanto per consolarla, ben
consapevole del suo amante segreto.
La notte giunge fin troppo presto e la perdita è così
profonda che la mente di Marissa è completamente
distrutta. L’amore della sua vita non c’è più e la sua
vita non ha più senso.
Lascia il castello prima dell’alba e scende alla torre
di osservazione, sale la scale fino alla terrazza dove
per l’ultima volta l’aveva visto, si affaccia alla
balaustra e guarda il mare nero sotto di lei,
ascoltando il lento ritmo della risacca.
Un sorriso si dipinge sul suo volto quando
l’immagine del suo amato compare davanti ai suoi
occhi.
“Ti aspetterò fino alla fine dei giorni”.
E si getta di sotto.
VI.
Apre gli occhi e si trova a fissare il cielo azzurro. Il
sogno è stato molto intenso e la tristezza che prova
è davvero profonda. Ancora una volta il suo cervello
gli ha giocato un brutto scherzo, ma non si lascerà
influenzare. Eppure qualcosa gli dice che non può
essere solo una coincidenza.
Fa una colazione abbondante al bar e poi si prepara
per la passeggiata. Ha deciso di recarsi a Levanto,
dove spera di trovare un archivio più fornito. Oggi è
l’anniversario della morte della Dama della Torre e
stanotte vuole essere pronto per scoprire il mistero
che circonda quel rudere.
Il clima primaverile rende il viaggio piacevole anche
se Alberto deve mantenere un passo spedito, per
non rischiare di fare tardi. Arriva a Levanto giusto in
tempo per accedere alla biblioteca pubblica. C’è un
archivio di libri antichi, piccolo ma ben fornito, e la
bibliotecaria gli permette di visitarlo senza troppe
spiegazioni.
Rimane là fino a pomeriggio inoltrato, immerso
nella storia della Repubblica di Genova, finchè non
trova un volume del secolo scorso, con una sezione
dedicata alla famiglia Da Passano. C’è un intero
capitolo che narra la tragica storia di Marissa e del
suo amore segreto per uno dei capitani di suo
padre, morto durante le invasioni spagnole del XVI
secolo. Il racconto termina con il resoconto del
suicidio della donna. Una sua dama di compagnia,
infatti, la seguì in quella triste notte e la vide
gettarsi dalla torre dopo aver pronunciato la frase:
“Ti aspetterò fino alla fine dei giorni”.
L’esclamazione stupita di Alberto strappa uno
sguardo di disapprovazione alla bibliotecaria, ma la
donna non fa in tempo a rimproverarlo, perchè è già
uscito sbattendosi la porta alle spalle.
La sua mente lavora furiosamente per trovare una
spiegazione per quello che ha appena letto, per i
sogni e tutta la vicenda. Come può il suo cervello
aver elaborato una visione così simile agli eventi
realmente accaduti? Prima di venire qui non sapeva
nulla sull’argomento, eppure è come se lo
conoscesse da sempre.
Quando arriva a Deiva è già sera, ma prima di
tornare alla torre, si concede una cena. Nei pressi
delle rovine, di fronte al lungomare, c’è un
ristorante di cui ha letto la recensione su
TripAdvisor, il Clipper. Il cibo è genuino e l’ambiente
piacevole. Il grande acquario al centro della parete
della sala da pranzo è davvero uno spettacolo,
pieno di pesci colorati e grosse aragoste.
Il conto è salato, d’altronde non ci si può aspettare
niente di diverso da un ristorante ligure, ma quando
Alberto lascia il locale è soddisfatto e sereno.
Ritorna al torrione e prepara la tenda, poi si sdraia
sfinito sul sacco a pelo, pronto a svelare i misteri del
luogo. Non si aspetta niente di più di un riflesso di
luce e del soffio del vento attraverso le pietre.
VII.
Il risveglio è brusco. Non sta sognando, o almeno
non gli sembra. Si trova ancora all’interno della sua
tenda e un lamento straziante riempe l’aria. Non
riesce a distinguere bene i suoni, ma non gli sembra
il rumore del vento. Si alza, scuote la testa per
scacciare il torpore e poi esce all’aperto. Il lamento
sembra giungere dalla sommità delle scale e lo
attira, come se qualcuno lo stesse chiamando.
Sale i gradini con attenzione, mentre un senso di
anticipazione lo invade. Allora comincia a correre e
in un attimo è sulla balconata, a un passo dal
baratro. Si volta verso destra e lei è lì e lo sta
fissando con quegli occhi meravigliosi e il sorriso
dolce dipinto sul viso. Non è vero, si dice, gli spiriti
non esistono, eppure è davanti a lui e non può
essere più reale di così.
Si guardano e Alberto si sorprende a ricordare il loro
ultimo abbraccio, o forse il sogno della notte
precedente, e poi lentamente affiorano altre
memorie, le cavalcate sulle spiaggia, il primo bacio.
In un lampo, tutto diventa chiaro e lui comprende la
verità, profonda e toccante, e con essa realizza che
tutti gli eventi della sua vita sono una mappa, un
percorso diretto a questo luogo e questo momento.
Alza lo sguardo su di lei ancora una volta e sorride.
“Sono tornato. – Le dice. - Ti amo”, poi si getta nel
vuoto.