L`arbitrato societario nel diritto tedesco. Una comparazione con il

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L`arbitrato societario nel diritto tedesco. Una comparazione con il
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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
Arbitrato societario
L’arbitrato societario nel diritto
tedesco. Una comparazione
con il diritto italiano
BUNDESGERICHTSHOF (Corte di cassazione federale tedesca) 19 luglio 2004
Arbitrato societario - Società di capitali - Società a responsabilità limitata - Obbligo di effettuare i conferimenti - Arbitrabilità della relativa controversia
(§ 1030, codice procedura civile, Zivilprozessordnung; § 19, legge sulle società a responsabilità limitata, Gesetz
betreffend die Gesellschaften mit beschränkter Haftung)
I. Le controversie relative all’obbligo dei quotisti di una società a responsabilità limitata (Gesellschaft
mit beschränkter Haftung) di effettuare i conferimenti sono arbitrabili.
La Corte (omissis).
IL COMMENTO
di Valerio Sangiovanni
Nel diritto tedesco, diversamente da quello italiano,
non esiste una disciplina espressa dell’arbitrato societario. Nondimeno anche in Germania vengono spesso
previste clausole compromissorie negli statuti, con la
conseguenza che le controversie che ne derivano vengono decise da arbitri invece che dal giudice statale.
Prendendo spunto da una recente decisione della Corte
di cassazione federale tedesca, si esamina la disciplina
tedesca dell’arbitrato societario quale risultante dall’applicazione giurisprudenziale e dai contributi dottrinali. La regolamentazione germanica viene comparata
con il sistema italiano.
Introduzione
I. La sentenza in commento, di cui si riporta - per
semplicità - solo la breve massima (ma poco sotto si
esporrà la situazione di fatto che ha condotto a questa
decisione) (1), ha riconosciuto in Germania l’arbitrabilità delle controversie tra la società e il quotista di
GmbH (2) relative all’obbligo di questo ultimo di effettuare i conferimenti (3).
Note:
(1) BGH 19 luglio 2004, in NZG, 2004, 905 ss. L’importanza della sentenza che qui si commenta è confermata dal fatto che essa è stata pubblicata in numerose riviste tedesche. La decisione è riprodotta, per esempio,
anche in ZIP, 2004, 1616 ss. Il provvedimento può inoltre essere letto in
SchiedsVZ, 2004, 259 ss., con nota di Habersack, e in GmbHR, 2004,
1214 ss., con nota di Papmehl.
(2) Per facilitare la lettura si riporta il significato delle abbreviazioni tedesche utilizzate nel testo: AG: Aktiengesellschaft (società per azioni); AktG:
Aktiengesetz (legge sulle azioni); BB: Betriebs-Berater [rivista]; BGH: Bundesgerichtshof (Corte di cassazione federale); DZWir: Deutsche Zeitschrift für
Wirtschafts- und Insolvenzrecht [rivista]; GmbH: Gesellschaft mit beschränkter
Haftung (società a responsabilità limitata); GmbHG: Gesetz betreffend die
Gesellschaften mit beschränkter Haftung (legge sulle società a responsabilità
limitata); GmbHR: GmbH-Rundschau [rivista]; JZ: Juristenzeitung [rivista];
MDR: Monatsschrift für Deutsches Recht [rivista]; NZG: Neue Zeitschrift für
Gesellschaftsrecht [rivista]; OLG: Oberlandesgericht [corte d’appello]; RIW:
Recht der Internationalen Wirtschaft [rivista]; Rn.: Randnummer (numero a
margine della pagina); SchiedsVZ: Zeitschrift für Schiedsverfahren [rivista];
TranspR: Transportrecht [rivista]; ZGR: Zeitschrift für Unternehmens- und
Gesellschaftsrecht [rivista]; ZIP: Zeitschrift für Wirtschaftsrecht [rivista]; ZPO:
Zivilprozessordnung (codice di procedura civile).
(3) Sulla disciplina della GmbH tedesca cfr., tra gli articoli apparsi in lingua italiana, Angelici, La novella tedesca sulle società a responsabilità limitata,
in Riv. dir. comm., 1981, I, 185 ss.; Colombo, La «GmbH-Novelle» del
1980, in Riv. soc., 1981, 673 ss.; Ducouloux-Favard, La sarl francese e la
GmbH tedesca: profili di comparazione, in Contratto e impresa/Europa, 2000,
720 ss.; Ibba, S.r.l. unipersonale e responsabilità del fondatore: dalla giurisprudenza tedesca alla legge italiana, in Giur. comm., 1996, I, 611 ss.; Sangiovanni, Finanziamenti dei quotisti di s.r.l. tedesca (GmbH) alla società e insolvenza della società, in www.judicium.it; Sangiovanni, I limiti statutari alla circolazione di quote di s.r.l. tedesca (GmbH), in questa Rivista, 2006, 381 ss.;
Id., La cessione di quota di s.r.l. e il ruolo del notaio nel diritto tedesco, in Notariato, 2006, 82 ss.; Id., Responsabilità degli amministratori di s.r.l tedesca
(GmbH) nei confronti della società, in questa Rivista, 2005, 1571 ss.; Id., Il
diritto delle minoranze di convocare l’assemblea e d’inserire punti all’ordine del
giorno nella GmbH tedesca, in Riv. dir. comm., 2002, I, 813 ss.; Id., La società a responsabilità limitata tra avvocati nel diritto tedesco, in Riv. soc., 1999,
(segue)
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Prendendo lo spunto da questo provvedimento giudiziario si esaminerà la disciplina tedesca dell’arbitrato
societario (4). Occorre segnalare subito che in Germania non esiste una disciplina espressa dei procedimenti
arbitrali che riguardano le società. Sotto questo profilo
la situazione regolamentare tedesca appare arretrata rispetto a quella italiana. Nel nostro ordinamento difatti,
come è noto, con gli artt. 34-37 D.Lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003, ci si è dotati di una disciplina espressa - e relativamente compiuta - dell’arbitrato societario (5). Partendo dalla sentenza tedesca in commento si effettuerà
una comparazione tra la situazione germanica, quale risultante dall’applicazione giurisprudenziale e dai contributi dottrinali, e la regolamentazione italiana, quale risultante dal diritto positivo vigente. Si tratta dunque di
una comparazione giuridica particolare che non confronta due assetti di disposizioni legislative (legge tedesca contro legge italiana), bensı̀ un’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale da un lato (Germania) e norme di
legge dall’altro (Italia). Si avverte subito il lettore che,
pur essendoci questa radicale differenza, molte delle soluzioni cui si giunge nei due ordinamenti sono identiche o simili. Rimangono tuttavia alcune significative
differenze, una delle quali concerne proprio i limiti dell’arbitrabilità delle controversie concernenti l’obbligo di
effettuare i conferimenti.
Un’osservazione preliminare. Molti autori si sono occupati di delineare le funzioni che svolge l’arbitrato rispetto al processo statale. Qualsiasi opera di carattere generale sull’arbitrato illustra le ragioni per cui questo particolare modo di soluzione delle controversie è preferibiNote:
(segue nota 3)
914 ss.; Santosuosso, Le società non quotate in Germania dalla GmbH
(s.r.l.) alla AG (s.p.a.) «flessibile» (appunti su alcune prospettive di riforma),
in Riv. soc., 1999, 516 ss.; Somma, Una novità tedesca: la società tra avvocati a responsabilità limitata, in Riv. dir. priv., 1999, 337 ss.
(4) Sul diritto tedesco dell’arbitrato cfr., in lingua italiana, D’Alessandro,
Il giudizio di annullamento del lodo arbitrale nell’ordinamento tedesco dopo la riforma del 1998, in Riv. arb., 2001, 563 ss.; Habscheid, Il nuovo diritto dell’arbitrato in Germania, ivi, 1998, 175 ss. (trad. di Briguglio); Maglio, La
nuova disciplina dell’arbitrato in Germania, in Contratto e impresa/Europa,
1998, 999 ss.; Sangiovanni, La compromettibilità in arbitri nel diritto tedesco,
in corso di pubblicazione in Riv. arb., 2006; Id., L’applicazione in Germania
della Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, 41 ss.; Id., Il rapporto contrattuale tra gli arbitri e le parti nel diritto tedesco, in I Contratti, 2005, 827 ss.;
Id., Il lodo arbitrale nel diritto tedesco, in Riv. dir. proc., 2004, 437 ss.; Id., Le
fasi iniziali del procedimento arbitrale tedesco, in Riv. trim dir. proc. civ., 2004,
533 ss.; Id., La forma della convenzione arbitrale nel diritto tedesco, in Riv.
arb., 2002, 591 ss.; Id., La costituzione del tribunale arbitrale nel diritto tedesco,
ivi, 2001, 581 ss.; Walter, La nuova disciplina dell’arbitrato in Germania (una
comparazione Germania-Svizzera-Italia), in Riv. dir. proc., 1999, 670 ss.
Una traduzione in inglese, con testo originale a fianco, delle disposizioni
del codice di procedura civile tedesco in materia di arbitrato può essere
letta in Bernardini, L’arbitrato commerciale internazionale, Milano, 2000,
342 ss.
(5) Sulla disciplina italiana dell’arbitrato societario cfr., oltre agli autori citati in altro passaggio di questo scritto, Auletta, La nullità della clausola
compromissoria a norma dell’art. 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5: a proposito
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di recenti (dis-)orientamenti del notariato, in Riv. arb., 2004, 361 ss.; Biavati,
Il procedimento nell’arbitrato societario, ivi, 2003, 27 ss.; Bove, L’arbitrato nelle
controversie societarie, in Giust. civ., 2003, II, 473 ss.; Boggio, Le clausole
compromissorie statutarie alla luce dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5 del 17
gennaio 2003, in Riv. arb., 2005, 199 ss.; Briguglio, Gruppi societari e arbitrato, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, 2004, 725 ss.; Carpi, Profili
dell’arbitrato in materia di società, in Riv. arb., 2003, 411 ss.; Chiarloni, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 123 ss.; Corsini, L’arbitrato nella riforma
del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1285 ss.; Crisi, Considerazioni sull’arbitrato in materia societaria tra ritualità e irritualità nel quadro della riforma del
processo societario di cui al d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003, in Riv. dir.
comm., 2005, I, 139 ss.; Danovi, L’arbitrato nella riforma del diritto processuale societario, in Dir. giur., 2004, 561 ss.; Della Pietra, Alcune considerazioni sulle nuove domande nell’arbitrato comune e in quello societario, in Giust.
civ., 2004, I, 1558 ss.; De Nova, Controversie societarie: arbitrato societario o
arbitrato di diritto comune?, in I Contratti, 2004, 847 ss.; Fazzalari, L’arbitrato
nella riforma del diritto societario, in Riv. arb., 2002, 443 ss.; Ferrari, Impugnazione di delibera assembleare e compromesso arbitrale, in questa Rivista,
2004 714 ss.; Fiecconi, Il nuovo procedimento arbitrale societario, in Corr.
giur., 2003, 971 ss.; Gabrielli, Clausole compromissorie e statuti sociali, in
Riv. dir. civ., 2004, I, 85 ss.; Galletto, L’arbitrato del diritto societario: cosa
cambia con la riforma, in Foro pad., 2003, II, 39 ss.; Giardina, L’ambito di
applicazione della nuova disciplina dell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003,
233 ss.; Guidotti, L’arbitrato di diritto comune dopo la riforma del diritto societario, in Notariato, 2005, 258 ss.; Lombardini, L’arbitrato societario alla luce
della recente riforma, in Studium iuris, 2003, 825 ss.; Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 705 ss.; Maffuccini, Provvedimenti
cautelari ed arbitrato: appunti sull’art. 35, comma 5, D.Lgs. 17 febbraio
2003, n. 5, in Giur. it., 2004, 2215 ss.; Manuli, Il nuovo arbitrato societario
e altre riflessioni in materia societaria, in Riv. not., 2005, 608 ss.; Merone, Le
due forme di arbitrato e la materia societaria: un rapporto da ricostruire in termini di alternatività, in Giur. mer., 2005, 1790 ss.; Morellini, Diritto transitorio e validità della clausola compromissoria, in questa Rivista, 2005, 899 ss.;
Id., Le parti e l’oggetto dell’arbitrato societario: spunti di riflessione, ivi, 2005,
79 ss.; Id., Artt. 34 ss. D.Lgs. n. 5/2003: ambito di applicazione e nullità della
clausola compromissoria, ivi, 2004, 998 ss.; Nela, Cenni sull’ambito di applicazione del nuovo arbitrato endosocietario, in Giur. it., 2005, 117 ss.; Pedrelli,
Osservazioni in merito alla clausola compromissoria «binaria» preesistente al
nuovo arbitrato societario, in Giur. mer., 2004, I, 1704 ss.; Picaroni, L’arbitrato nella riforma societaria, in questa Rivista, 2005, 495 ss.; Pozzebon, Nuovo arbitrato societario: la sorte delle «vecchie» clausole compromissorie statutarie,
ivi, 2005, 1179 ss.; Recchioni, L’arbitrato in materia societaria fra clausola
compromissoria statutaria e ius superveniens, in Riv. arb., 2004, 771 ss.; Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 517 ss.; Rubino-Sammartano, Diritto speciale dell’arbitrato societario, in Foro pad.,
2004, II, 1 ss.; Ruffini, Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2004, 495 ss.; Id., La riforma dell’arbitrato societario, in
Corr. giur., 2003, 1524 ss.; Id., Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge
delega per la riforma del diritto societario, in Riv. dir. proc., 2002, 133 ss.; Salafia, Il nuovo arbitrato societario e altre questioni, in questa Rivista, 2005, 97
ss.; Id., Alcune questioni di interpretazione del nuovo arbitrato societario, ivi,
2004, 1457 ss.; Sali, L’arbitrato per le nuove società. Dodici (piccoli) nodi applicativi e qualche proposta, in Giur. it., 2005, 442 ss.; Salvaneschi, L’oggetto
del nuovo arbitrato societario, in Studi di diritto processuale civile in onore di
Giuseppe Tarzia, III, Milano, 2005, 2207 ss.; Sangiovanni, Le clausole compromissorie statutarie nel nuovo diritto societario italiano, in Foro pad., 2005,
II, 1 ss.; Id., Numero e modo di nomina degli arbitri tra arbitrato ordinario e arbitrato societario, in Corr. giur., 2005, 1133 ss.; Santonastaso, L’arbitrato nelle società, in Cons. Stato, 2004, I, 709 ss.; Id., L’arbitrato nelle società, in Enti pubblici, 2004, 195 ss.; Santoni, Le clausole compromissorie nella riforma
del diritto societario, in Studium iuris, 2005, 51 ss.; Serra, Considerazioni in tema di arbitrato societario, in Riv. giur. sarda, 2004, I, 887 ss.; Soldati, Clausole compromissorie statutarie e questioni di diritto transitorio, in questa Rivista,
2005, 781 ss.; Id., Ambito di applicazione dell’arbitrato societario ex art. 34
del D.Lgs. n. 5/2003 e disciplina transitoria, in Nuovo diritto, 2005, 276 ss.;
Id., Clausola arbitrale societaria e nomina del liquidatore, in questa Rivista,
2004, 1271 ss.; Id., Inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. per la sospensione dell’assemblea dei soci in presenza di clausola arbitrale statutaria, in Nuovo diritto, 2004, 388 ss.; Tarzia, L’intervento di terzi nell’arbitrato societario, in
Riv. dir. proc., 2004, 349 ss.; Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 929 ss.
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le rispetto all’ordinario processo civile. Non è questa la
sede per riferire in dettaglio dei vantaggi che il ricorso
al procedimento arbitrale presenta nei confronti dei giudizi resi dall’autorità giudiziaria. Sono invece pochi gli
autori che si sono soffermati, più specificamente, sulle
funzioni dell’arbitrato societario. La devoluzione ad arbitri delle controversie «tra i soci ovvero tra i soci e la società» (per riprendere il tenore letterale dell’art. 34,
comma 1, D.Lgs. n. 5/2003) mira, in particolare, a migliorare l’efficienza del funzionamento dell’impresa (6).
Le controversie costano denaro, ma - soprattutto - richiedono un lungo tempo per essere risolte. La durata
dei processi statali può avere conseguenze gravose sul
buon funzionamento dell’impresa. La funzione perseguita dal legislatore italiano, nel regolare espressamente
l’arbitrato societario, vuole allora essere quella di fornire
uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie che presenta vantaggi che il processo statale non
è di fatto in grado di offrire. Primo fra tutti: la celerità
della soluzione della lite. Se l’arbitrato societario funziona bene, le controversie vengono risolte prima e di ciò
beneficia, innanzitutto, la società interessata. In ultima
istanza di un buon sistema di soluzione delle liti beneficia l’intera economia.
Sotto questo profilo è criticabile l’esclusione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio
dall’ambito di applicazione del nuovo arbitrato societario italiano (art. 2325 bis, comma 1, c.c.). Ai sensi di
questa disposizione «sono società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in
misura rilevante». Si tratta di compagini sociali rappresentate da una miriade di azionisti, la maggior parte dei
quali detengono una parte assolutamente minoritaria
del capitale. Il potere contrattuale di questi soci è estremamente piccolo. Essi non hanno alcuna reale possibilità d’influenzare il contenuto degli strumenti statutari,
con particolare riferimento alla previsione di una clausola compromissoria. Inoltre, nel caso sorga una controversia, gli azionisti si vedono opposti alla società, vale a
dire a un soggetto dotato di grande potere (7). L’idea,
non espressa dal legislatore ma sottesa a questo sistema,
è che il procedimento arbitrale offrirebbe meno garanzie
del processo statale. La legge non accetta, allora, che la
controversia tra azionista e società possa essere devoluta
ad arbitrato. Questi elementi possono - forse - giustificare una particolare tutela del piccolo socio, anche se andrebbe dimostrato in modo convincente che il procedimento arbitrale offre meno tutele di quello statale. Occorrerebbe dunque - per rendere questa dimostrazione un confronto analitico e serrato tra tutti i vantaggi e
tutti gli svantaggi che l’arbitrato offre rispetto al processo statale, raffronto che non è possibile operare in questa sede. E tuttavia non si può fare a meno di rilevare
che il fatto di sottrarre a tutte le società a larga compagine sociale il rimedio dell’arbitrato societario potrebbe
rivelarsi un boomerang in termini di efficienza del funzionamento dell’impresa.
Brevi osservazioni sull’arbitrabilità
Al fine di comprendere il significato della sentenza
della Corte di cassazione federale tedesca è necessario
fare alcune osservazioni introduttive sull’arbitrabilità. Se
l’oggetto della lite non può essere rimesso alla decisione
di un tribunale arbitrale, l’accordo delle parti è privo di
effetti. Il tema dell’arbitrabilità è quindi preliminare a
qualsiasi discussione su come è poi concretamente regolato l’arbitrato. Prima di tutto occorre difatti chiedersi
se una certa controversia può essere decisa per via arbitrale. Solo in un secondo momento si pone il problema
di quali regole disciplinano il procedimento e il lodo
che ne costituisce l’esito.
La legge tedesca affronta il tema dell’arbitrabilità in
modo diverso a seconda che si tratti di pretese di carattere «patrimoniale» oppure «non patrimoniale». L’attuale normativa tedesca stabilisce che qualsiasi pretesa
di carattere patrimoniale può essere oggetto di una convenzione arbitrale (§ 1030, comma 1, ZPO). Le pretese
che non hanno contenuto patrimoniale sono invece arbitrabili nella misura in cui le parti possono disporre
dell’oggetto della controversia a mezzo di transazione.
La pretesa è patrimoniale quando ha per oggetto una
somma di denaro o è comunque quantificabile in denaro.
Nel diritto tedesco dunque, purché la pretesa abbia
carattere patrimoniale, possono essere oggetto di arbitrato anche controversie per le quali è esclusa la possibilità
di concludere una transazione. L’attuale diritto germanico ha un ambito di applicazione più ampio di quanto
non avvenisse prima della novella del 1997, quando
l’arbitrabilità era legata alla transigibilità della lite. Prima della «legge di riforma del procedimento arbitrale»
(Schiedsverfahrens-Neuregelungsgesetz) del 22 dicembre
1997, entrata in vigore il 18 gennaio 1998, la questione
dell’arbitrabilità era regolata dal § 1025 ZPO (8). Questa norma legava l’arbitrabilità al fatto che la pretesa potesse essere oggetto di transazione. Il legislatore tedesco
Note:
(6) Lo sottolinea Zoppini, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» nel
nuovo arbitrato societario, in Riv. soc., 2004, 1174.
(7) Cfr. sul punto Sali, Arbitrato e riforma societaria: la nuova clausola arbitrale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 114 ss.
(8) Sulla grande riforma tedesca dell’arbitrato del 1997 v. Berger, Das
neue deutsche Schiedsverfahrensrecht, in DZWir, 1998, 45 ss.; Habscheid,
Das neue Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in JZ, 1998, 445 ss.; Kronke, Internationales Schiedsverfahren nach der Reform, in RIW, 1998, 257 ss.; Labes/
Lörcher, Das neue deutsche Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in MDR, 1997,
420 ss.; Moller, Schiedsverfahrensnovelle und Europäisches Übereinkommen
über die internationale Handelsschiedsgerichtsbarkeit, in NZG, 2000, 58 ss.;
Osterthun, Das neue deutsche Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in TranspR,
1998, 177 ss.; Trittmann, Die Auswirkungen des Schiedsverfahrens-Neuregelungsgesetzes auf gesellschaftsrechtliche Streitigkeiten, in ZGR, 1999, 343 ss.;
Winkler/Weinand, Deutsches internationales Schiedsverfahrensrecht, in BB,
1998, 597 ss.
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del 1997 ha invece slegato la «arbitrabilità» dalla «transigibilità», per quanto riguarda le controversie di carattere patrimoniale. Ora l’arbitrabilità è automatica, nel
senso che prescinde dalla transigibilità, per tutte le pretese di carattere patrimoniale. La natura patrimoniale
del diritto fatto valere è l’unico parametro rilevante.
Con la riforma del 1997 si è cosı̀ esteso l’ambito di applicazione dell’arbitrato. Più ampio è il campo delle
controversie arbitrabili, maggiori sono le opportunità di
fare validamente ricorso all’arbitrato.
La sentenza della Corte di cassazione federale
tedesca
La sentenza di cui si è riportata sopra la massima nasce dalla seguente vicenda. Un investitore rileva per
381 milioni di marchi tedeschi una catena di 55 puntivendita di mobili distribuiti in tutta la Germania. L’acquirente riorganizza l’attività strutturando ciascun punto-vendita nella forma societaria di una GmbH, autonoma e indipendente dalle altre. Sopravvengono difficoltà
finanziarie e le società cadono in insolvenza. Il curatore
cerca di recuperare i versamenti dovuti dai quotisti sul
capitale. Nonostante nel contratto di società fosse prevista una clausola compromissoria, il curatore agisce in
giudizio dinanzi ai giudici statali. La difesa dei quotisti si
basa, tra le altre cose, sul fatto che la giurisdizione statale non sussiste e che la controversia deve essere conseguentemente rimessa ad arbitri. Il curatore controbatte
che la specifica questione oggetto di lite non è comunque arbitrabile e, dunque, la giurisdizione deve rimanere
ferma presso la magistratura ordinaria.
La disputa giudiziaria termina con la sentenza della
Corte di cassazione federale in commento. La Corte
conclude nel senso che la lite tra società e quotista relativa al dovere dei soci di effettuare i versamenti sulla
quota rappresenti materia arbitrabile. Nel giungere a
questa conclusione il BGH non attribuisce rilievo decisivo al § 19, comma 2, GmbHG. Secondo questa disposizione i quotisti non possono essere dispensati dall’obbligo di effettuare i conferimenti. Si tratta di una norma
posta a tutela dei creditori della società: essa consente
di assicurare quel capitale che costituisce garanzia per i
terzi che entrano in rapporti d’affari con la GmbH. Dal
momento che la società risponde nei confronti dei creditori sociali solo con il proprio patrimonio (§ 13, comma 2, GmbHG), se i quotisti potessero essere dispensati
dall’obbligo di effettuare i conferimenti la tutela dei terzi
verrebbe intaccata. La disposizione è cogente perché se
i soci fossero dispensati dall’obbligo dei conferimenti la
società potrebbe più facilmente risultare incapace di
soddisfare le obbligazioni contratte nei confronti di soggetti esterni. La Corte ritiene che il carattere imperativo
del § 19, comma 2, GmbHG non osti alla soluzione
della controversia per via arbitrale. Anzi il BGH afferma, più in generale, che l’imperatività di una disposizione di legge non è di per sé ostacolo alla possibilità che
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le liti che sorgono relativamente alla sua applicazione
siano devolute ad arbitrato.
(segue): la soluzione sarebbe stata diversa
nel diritto italiano
Occorre ora chiedersi come sarebbe stata risolta da
un giudice italiano questa stessa controversia. Si immagini cioè che il quotista di una s.r.l. di diritto italiano si
rifiuti di effettuare i versamenti dovuti sui conferimenti
e che vi sia una clausola compromissoria statutaria che
devolve le controversie tra società e socio ad arbitrato (9). Sarebbe valida una previsione statutaria del genere? La controversia è «arbitrabile» (10)? Ai sensi dell’art. 2464, comma 4, c.c., «alla sottoscrizione dell’atto
costitutivo deve essere versato presso una banca almeno
il venticinque per cento dei conferimenti in denaro».
Non è dunque necessario versare l’intero capitale al momento della costituzione della società. Tuttavia gli amministratori possono sempre richiedere successivamente
il versamento delle somme ancora dovute sui conferimenti. Tanto è vero che «se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta
giorni» (art. 2466, comma 1, c.c.). «Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione la quota del socio moroso» (art. 2466, comma 2, c.c.). Se gli amministratori
intendono promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti in presenza di una clausola compromissoria statutaria, si pone la questione se la relativa controversia sia arbitrabile.
Per rispondere a questa domanda occorre verificare
se sussistono i presupposti che la legge italiana richiede
affinché si possa attivare l’arbitrato societario. Innanzitutto occorre che vi sia scelta in favore dell’arbitrato societario negli strumenti statutari della società (l’art. 34,
comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 stabilisce: «gli atti costitutivi ... possono», non devono). Si supponga, come nel caso tedesco in commento, che ciò sia avvenuto. Deve
inoltre trattarsi di una delle società cui si applica la nuova normativa italiana sull’arbitrato societario. La nostra
legge esclude difatti le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325 bis
c.c. Per il resto l’ambito di applicazione del nuovo arbitrato societario è ampio. L’art. 34, comma 1, D.Lgs. n.
5/2003 fa riferimento a «società» senza ulteriori specifiNote:
(9) Sulla nuova disciplina italiana della s.r.l. cfr., per tutti, Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 58
ss.
(10) Ci si avvale del termine «arbitrabile», da preferirsi al termine compromettibile. Del resto si tratta della terminologia di cui fa uso il nuovo
legislatore italiano nella rubrica dell’art. 806 c.p.c.: «controversie arbitrabili».
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cazioni. Vi rientrano senz’altro le società di capitali. Nel
caso tedesco oggetto della sentenza in commento si trattava di una GmbH, che corrisponde a una s.r.l. italiana.
In questo tipo societario «le partecipazioni dei soci non
possono essere rappresentate da azioni» (art. 2468, comma 1, c.c.). Ne consegue che la s.r.l. non può essere
una delle forme societarie che fa ricorso al mercato del
capitale di rischio ai sensi dell’art. 2325 bis c.c. La s.r.l.
è dunque uno dei tipi societari per i quali la legge italiana consente la previsione di clausole compromissorie
statutarie. Il diritto italiano prevede inoltre che l’arbitrato societario deve concernere una controversia tra i soci
e la società. Nel caso di specie questo requisito ricorre
senz’altro perché la lite intercorre tra la società, che
vuole che siano versate le somme promesse a titolo di
conferimento, e un quotista. Il requisito però di cui è
più difficile accertare se ricorre nell’ipotesi in esame è
quello relativo alla disponibilità del diritto. La legge italiana richiede difatti che la controversia deve avere ad
oggetto diritti «disponibili relativi al rapporto sociale».
Qui non è in discussione che si tratti di un diritto relativo al rapporto sociale. L’obbligo di effettuare i versamenti promessi sui conferimenti è addirittura un elemento centrale del rapporto tra quotista e società. È tuttavia dubbio che il diritto della s.r.l. a ottenere i pagamenti sia disponibile.
Procedendo nell’analisi si tratta, allora, di stabilire
cosa si intenda per diritto «disponibile» nel diritto italiano. Al riguardo il D.Lgs. n. 5/2003 è di scarso aiuto.
Non si rinviene difatti una definizione di disponibilità.
L’art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 5/2003 prevede che «per
quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili». L’arbitrabilità, a seguito della recentissima riforma, è ora regolata nell’art. 806
c.p.c., secondo cui «le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano
per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di
legge» (11). Anche il codice di procedura civile fa dunque riferimento al carattere di indisponibilità senza definirlo. Cosa significa che un diritto è «indisponibile»,
come indica il nuovo art. 806, comma 1, c.p.c.? A me
pare che si debba ritenere che un diritto è indisponibile
quando le parti non possono derogarvi perché esso è
posto nell’interesse di terzi. Anche la giurisprudenza si è
orientata in questo senso (12). La Corte di cassazione
ha, per esempio, stabilito - peraltro prima della riforma
del 2003 - che le controversie in materia societaria possono in linea generale formare oggetto di compromesso,
con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi
della società o che concernono violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi (13). In ambito societario la tematica della disponibilità dei diritti è legata al problema dei limiti all’autonomia statutaria. Sino a che punto i soci, che sono le parti
del contratto di società, si possono spingere ad alterare
il tipo societario s.r.l. quale risultante dal testo della leg-
ge? In dottrina si è sottolineato come nella nuova s.r.l.
il ruolo dell’autonomia statutaria debba essere ampio,
anche in considerazione del fatto che la legge delega ha
raccomandato un intervento del legislatore delegato
che si fondi sul principio della rilevanza centrale dei
rapporti contrattuali tra i soci (14).
Se la s.r.l. rinunciasse, nei confronti del quotista, al
versamento di quanto dovuto, la società rimarrebbe senza una parte del capitale. Ma il capitale è prescritto dalla legge non tanto per gli interessi dei soci quanto piuttosto per l’interesse dei terzi che contrattano con la s.r.l.
La legge si premura di stabilire non solo che se la vendita della quota «non può aver luogo per mancanza di
Note:
(11) Sull’arbitrabilità nel diritto italiano cfr., innanzitutto, il contributo
monografico di Berlinguer, La compromettibilità per arbitri, Torino, 1999.
Tra i principali lavori apparsi in riviste si segnalano: Amadei, In favore della compromettibilità in arbitri della controversia sulla esclusione reciproca dei soci
di una società di due persone, in Riv. arb., 2002, 560 ss.; Amendola, Compromettibilità in arbitri delle controversie in materia societaria, in Nuovo diritto,
1999, 893 ss.; Bastianon, L’arbitrabilità delle controversie antitrust tra diritto
nazionale e diritto comunitario, in Foro it., 1999, IV, 471 ss.; Bernardini, Accertamento giudiziale della validità e portata della clausola compromissoria, in
Riv. arb., 2003, 487 ss.; Bertolotti, Revoca di amministratore, tutela cautelare, compromettibilità in arbitri: osservazioni sul tema, in Giur. it., 2001, 979
s.; Consolo, Sul «campo» dissodato della compromettibilità in arbitri, in Riv.
arb., 2003, 241 ss.; Di Martino, Arbitrato e pubblica amministrazione: brevi
cenni sulla problematica inerente la compromettibilità delle controversie in cui è
parte una pubblica amministrazione, in Riv. trim. appalti, 2001, 99 ss.; Fratini,
Compromettibilità in arbitri delle controversie in materia di locazione di immobili
e affitto di aziende, in Riv. arb., 2000, 552 ss.; Goisis, Compromettibilità in
arbitrato irrituale delle controversie di cui sia parte la pubblica amministrazione e
art. 6 della l. n. 205 del 2000, in Dir. proc. amm., 2005, I, 249 ss.; Guerinoni, Compromettibilità della controversia relativa all’esclusione del socio, in
questa Rivista, 1999, 201 ss.; Majo, In tema di arbitrabilità dell’esclusione del
socio, alla luce della riforma della disciplina delle società di capitali, in Riv. arb.,
2002, 760 ss.; Maniàci, L’arbitrabilità delle controversie in materia locatizia, in
I Contratti, 2000, 155 ss.; Marongiu Buonaiuti, L’arbitrabilità delle controversie nella riforma del diritto societario, tra arbitrato interno e arbitrato internazionale, in Riv. arb., 2003, 51 ss.; Paolucci, La compromettibilità delle controversie in materia di cooperative e consorzi, in questa Rivista, 2000, 1427 ss.; Piotto, Osservazioni in tema di controversie compromettibili, in Dir. mar., 2003,
525 ss; Platania, Sull’applicabilità di clausola compromissoria alle delibere di approvazione del bilancio, in questa Rivista, 2002, 740 ss.; Rubino-Sammartano, Contratto in violazione di norme inderogabili e compromettibilità della controversia, in Foro pad., 2000, I, 355 s.; Zito, La compromettibilità per arbitri
con la pubblica amministrazione dopo la l. n. 205/00: problemi e prospettive,
in Dir. amm., 2002, 343 ss.
(12) Per una ricostruzione della giurisprudenza in materia di arbitrabilità
delle controversie societarie cfr. Zucconi Galli Fonseca, La compromettibilità delle impugnative di delibere assembleari dopo la riforma, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2005, 458 ss.
(13) Cass. 18 febbraio 1988, n. 1739.
(14) Il riferimento è a Zanarone, op. cit., 84 ss., il quale studia con un
certo dettaglio i limiti entro i quali si può estrinsecare l’autonomia privata
dei soci di s.r.l., distinguendo tra un possibile modello statutario «personalistico» e un possibile modello statutario «capitalistico». In altre parole
l’autonomia privata può spingersi in due direzioni completamente opposte: avvicinare il tipo s.r.l. alla s.n.c. oppure avvicinarlo alla s.p.a., secondo
quelle che sono le concrete esigenze dei soci. Il tutto nel rispetto di quelle
disposizioni di legge inderogabili che sono al di fuori, appunto, della «disponibilità» delle parti. Principio ricavabile, osserva Zanarone, già dalla
regola di carattere generale sull’autonomia privata di cui all’art. 1322,
comma 1, c.c., secondo cui «le parti possono liberamente determinare il
contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge».
LE SOCIETA’ N. 6/2006
775
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse», ma, soprattutto, che - in
questo caso - «il capitale deve essere ridotto in misura
corrispondente» (art. 2466, comma 3, c.c.). Un accordo
tra la società e il quotista in virtù del quale la prima rinuncia a promuovere l’azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti sarebbe invalido perché esso avrebbe l’effetto di aggirare disposizioni di legge imperative. In altre
parole la s.r.l. agirebbe in combutta con il socio al fine
di far venire meno quella garanzia fondamentale per i
terzi che è data dal capitale sociale. Essendo l’obbligo di
effettuare realmente i conferimenti posto nell’interesse
dei terzi, società e quotista non vi possono derogare. Il
diritto della s.r.l. a ottenere i conferimenti non è disponibile. Ne consegue che, nel diritto italiano, la controversia tra società e quotista relativa all’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti non è arbitrabile (15).
Si deve dunque concludere nel senso che la controversia tra società e quotista relativa all’obbligo di effettuare i conferimenti è arbitrabile nel diritto tedesco,
mentre non è arbitrabile nel diritto italiano. La previsione nell’ordinamento italiano di disposizioni espresse
sull’arbitrato societario non ha per conseguenza che
questo istituto trovi applicazione più ampia di quanto
avvenga in altri ordinamenti. Anzi, nel caso in esame
lo stesso tipo di controversia risulta arbitrabile solamente in quell’ordinamento, la Germania, che non regola
espressamente l’arbitrato societario.
L’arbitrato societario
La devoluzione ad arbitri di una certa lite presuppone la volontà delle parti che trova espressione nella
convenzione arbitrale. Questo principio vale sia nel diritto tedesco sia nel diritto italiano. Nell’ordinamento
germanico la disposizione di riferimento à il § 1029
ZPO secondo il quale l’accordo arbitrale è l’accordo delle parti di assoggettare alla decisione di un tribunale arbitrale tutte o alcune delle controversie che sono sorte
o che sorgeranno in futuro tra di esse in relazione a un
determinato rapporto giuridico di carattere contrattuale
o extracontrattuale. Il diritto italiano distingue tra compromesso (art. 807 c.p.c.) e clausola compromissoria
(art. 808 c.p.c.).
Nel caso dell’arbitrato societario, l’accordo arbitrale è
contenuto nel contratto di società. Ci si deve tuttavia
chiedere se sia sempre consentito inserire negli statuti di
società una clausola compromissoria. Nel diritto tedesco
la risposta al quesito non può essere la stessa per tutte le
forme societarie. In Germania l’autonomia statutaria è
maggiore o minore a seconda del tipo societario interessato. Per limitarsi alle società di capitali, la AG e la
GmbH non possono essere poste sullo stesso piano.
Con riferimento alla AG è previsto che lo statuto possa
derogare alle disposizioni della legge sulle azioni solo
quando ciò è espressamente consentito (§ 23, comma
5, AktG) (16). Ne consegue che l’arbitrabilità è limitata
alle controversie relative a pretese per le quali la legge
776
LE SOCIETA’ N. 6/2006
n
consente espressamente allo statuto di derogare alla legge. Nella AG vi sono quindi questioni arbitrabili e questioni non compromettibili a seconda della derogabilità
statutaria. Nelle GmbH non si rinviene la stessa rigidità
statutaria delle AG. Nelle GmbH lo statuto può derogare alla legge anche laddove la legge non lo consente
espressamente (17). Le opportunità d’inserire legittimamente clausole compromissorie statutarie sono dunque
maggiori nel tipo societario GmbH.
Anche il diritto italiano dell’arbitrato societario opera una differenziazione a seconda delle società interessate. La distinzione non è però tra tipi societari, ma secondo un criterio diverso. Gli artt. 34 ss. D.Lgs. n. 5/
2003 non si applicano alle società «che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325
bis del codice civile» (art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/
2003). Le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante non
possono dunque avvalersi dello strumento dell’arbitrato
societario.
L’arbitrato societario nel diritto tedesco, data l’assenza di qualsiasi regolamentazione specifica, è materia particolarmente complessa. Qui si può solo accennare ad
alcuni dei problemi che si pongono. Una questione problematica è costituita dal fatto che il contratto di società è stato stipulato dai soci originari, mentre quelli che
hanno acquistato successivamente le partecipazioni non
lo hanno sottoscritto. Come si può essere vincolati da
uno strumento contrattuale che non si è concorso a
predisporre? Questo problema è tuttavia superabile se si
riflette che - con l’acquisto della partecipazione - il nuovo socio entra a far parte della compagine sociale, cosı̀
dimostrando di accettare l’intero assetto preesistente,
che risulta dagli strumenti statutari (e quindi anche la
clausola compromissoria). Anche nel diritto italiano
non si dice espressamente se la clausola compromissoria
statutaria sia vincolante anche per chi, non essendo socio fondatore, non ha partecipato alla costituzione della
Note:
(15) I primi commentatori dell’art. 2466 c.c., quale risultante a seguito
della riforma del diritto societario, non si occupano della questione se l’azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti sia arbitrabile. Non ne trattano, per esempio, né Bertolotti, Commento all’art. 2466, in Cottino/Bonfante/Cagnasso/Montalenti (a cura di), Il nuovo diritto societario, Bologna,
2004, 1780 ss., né Masi, Commento all’art. 2466, in Niccolini/Stagno
d’Alcontres (a cura di), Società di capitali, Napoli, 2004, 1443 ss.
(16) Cfr. Habersack, Die Personengesellschaft und ihre Mitglieder in der
Schiedsgerichtspraxis, in SchiedsVZ, 2003, 244.
(17) Osserva correttamente Zanarone, op. cit., 85, come nella GmbH tedesca valga il principio esattamente opposto a quello che vige nella AG.
Nel primo tipo societario la disposizione di riferimento è il § 45, comma
1, GmbHG secondo cui i diritti dei soci si determinano secondo il contratto di società, salvo che vi si oppongano disposizioni di legge. In altre
parole: nella AG l’autonomia statutaria necessita ogni volta di un’espressa
legittimazione legislativa (§ 23, comma 5, AktG). Nella GmbH, di contro, l’autonomia statutaria è automatica, per cosı̀ dire «immanente», e trova un limite solo in un espresso divieto di legge. Una differenza più radicale tra questi due tipi societari non vi potrebbe essere.
n
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
società. Invero un elemento interpretativo è ricavabile
dall’art. 34, comma 3, D.Lgs. n. 5/2003 secondo cui «la
clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia». È probabile che il legislatore qui, con l’utilizzo dell’espressione «tutti i soci», si riferisca sia ai soci
originari sia a quelli che sono subentrati avendo acquistato la partecipazione sociale in un momento successivo. Se questa interpretazione è corretta, non sussistono
- sotto questo profilo - differenze fra il diritto tedesco e
quello italiano. In entrambi gli ordinamenti chi entra a
far parte della compagine sociale accetta l’intero assetto
statutario, compresa la clausola compromissoria.
Un altro profilo problematico che si pone nel contesto dell’arbitrato societario tedesco è che la controversia
può riguardare soggetti diversi dai detentori delle partecipazioni. Il caso tipico è quello dell’amministratore citato per danni dalla società. Il gestore, se non è socio,
non è parte della convenzione arbitrale e potrebbe
obiettare che questa non lo vincola. Sotto questo profilo il diritto italiano appare più avanzato di quello tedesco, perché il nostro ordinamento regola espressamente
questa fattispecie. La legge stabilisce che «gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori
e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa,
a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per
costoro» (art. 34, comma 4, D.Lgs. n. 5/2003). La disposizione non dice tuttavia cosa succede quando l’atto
costitutivo non contiene un’apposita clausola.
È oggi opinione diffusa nella dottrina tedesca, confortata da interventi giurisprudenziali, che le controversie che sorgono in ambito societario siano generalmente
arbitrabili. Le liti che sorgono in campo societario sono
difatti generalmente di natura patrimoniale. Nella sentenza in commento, per esempio, la Corte di cassazione
federale ha affermato l’arbitrabilità della disputa tra la
società e il quotista relativa al pagamento dei versamenti ancora dovuti sulle quote. Ma si possono fare altri
esempi di controversie in ambito societario che possono
essere rimesse a decisione arbitrale. In materia societaria
vengono ritenute arbitrabili, per esempio, le controversie relative al diritto d’informazione e d’ispezione dei
quotisti (§§ 51a e 51b GmbHG) (18). Gli amministratori devono dare a ciascun socio che ne faccia richiesta
informazioni sulle vicende della società e consentire l’ispezione dei libri sociali e della documentazione. Le
controversie che sorgono nell’esercizio di questo diritto
possono essere decise in via arbitrale. Anche se il diritto
d’informazione e d’ispezione dei quotisti è cogente (nel
senso che il contratto di società non può eliminarlo: §
51a, comma 3, GmbHG), questa circostanza non osta
all’arbitrabilità.
Le particolarità delle impugnazioni
di deliberazioni assembleari
In Germania si discute se le controversie relative alla
validità delle deliberazioni assembleari possano essere
oggetto di procedimento arbitrale.
In Italia la questione dell’arbitrabilità delle controversie sulla validità delle deliberazioni (19) assembleari
è risolta espressamente dal legislatore, il quale prevede
che «se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la
validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile,
la sospensione dell’efficacia della delibera» (art. 35,
comma 5, D.Lgs. n. 5/2003) (20). Nel diritto italiano
dunque le liti concernenti la validità delle deliberazioni
dell’assemblea possono essere conosciute da arbitri.
Condizione necessaria a tal fine, dice la legge, è che
una scelta in questo senso sia stata effettuata dalla clausola compromissoria. Sennonché già qui si pone un primo problema interpretativo. Occorre che la clausola
compromissoria faccia riferimento espressamente alle
impugnative di deliberazioni assembleari? A me pare
che la risposta a questo quesito debba essere negativa.
Una clausola compromissoria del seguente tenore: «le
controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la
società sono devolute ad arbitrato ai sensi dell’art. 34 ss.
D.Lgs. n. 5/2003» deve ritenersi valida e dovrebbe comprendere anche le liti sulla validità delle deliberazioni
assembleari. Ciò non significa che qualsiasi argomento
di cui si discuta una volta che è stata impugnata la delibera di assemblea sia arbitrabile. Occorre valutare se la
controversia ha ad oggetto diritti disponibili, e questo è
esattamente il nucleo del problema.
Tornando al diritto tedesco, occorre rilevare come il
problema dell’arbitrabilità delle controversie sulle deliberazioni assembleari sia particolarmente sentito in riferimento alle società di capitali e in particolare alle forme societarie «società per azioni» (Aktiengesellschaft,
AG) e «società a responsabilità limitata» (Gesellschaft
mit beschränkter Haftung, GmbH). Nella AG la deliberazione può risultare nulla (§§ 241-242 AktG) oppure anNote:
(18) Albers, in Baumbach/Lauterbach/Albers/Hartmann (a cura di), Zivilprozessordnung, LXII ed., München, 2004, § 1030 Rn. 2; Bayer, Schiedsfähigkeit von GmbH-Streitigkeiten, in ZIP, 2003, 884; Lachmann, Handbuch
für die Schiedsgerichtspraxis, II ed., Köln, 2002, 76; Lutter/Hommelhoff, in
Lutter/Hommelhoff (a cura di), GmbH-Gesetz, XVI ed., Köln, 2004, §
51b Rn. 2; Voit, in Musielak (a cura di), Kommentar zur Zivilprozessordnung, III ed., München, 2002, § 1030 Rn. 2.
(19) Nella giurisprudenza e nella dottrina italiane si utilizza il termine
«deliberazione» come sinonimo di «delibera». Il termine tecnico utilizzato
dal legislatore del codice civile per la s.p.a. è «deliberazione», come risulta, tra l’altro, dalla rubrica dell’art. 2375 c.c. («verbale delle deliberazioni
dell’assemblea»), dell’art. 2377 («annullabilità delle deliberazioni») e dell’art. 2379 c.c. («nullità delle deliberazioni»). Nella disciplina dell’arbitrato
societario spunta invece il diverso termine «delibera», come risulta dall’art. 35, comma 5, D.Lgs. n. 5/2003 e dall’art. 36, comma 1, D.Lgs. n. 5/
2003. In questo articolo ci si avvarrà di entrambi tali termini.
(20) Sull’arbitrabilità delle controversie relative alla validità delle deliberazioni assembleari cfr., per tutti, Zucconi Galli Fonseca, La compromettibilità, cit., 453 ss.
LE SOCIETA’ N. 6/2006
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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
nullabile (§ 243 ss. AktG). Per l’impugnazione è prevista la competenza esclusiva di un giudice statale: si tratta del tribunale del circondario in cui ha sede la società
(§ 246, comma 3, AktG). Queste disposizioni, previste
per la AG, si applicano analogicamente alla GmbH.
Anche nel diritto italiano viene operata una distinzione tra «annullabilità» (art. 2377 c.c.) delle deliberazioni, per cui è previsto un apposito procedimento d’impugnazione (art. 2378 c.c.), e «nullità» delle deliberazioni (art. 2379 c.c.). In questa sede non si può approfondire la distinzione tra questi due rimedi. Ci si limita
a indicare per sommi capi le ragioni che legittimano a
chiedere, rispettivamente, l’annullamento o la nullità.
«Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori,
dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale»
(art. 2377, comma 2, c.c.). «Nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e di
impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può
essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro
tre anni ... Possono essere impugnate senza limiti di
tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale
prevedendo attività illecite o impossibili» (art. 2379,
comma 1, c.c.). L’art. 2479 ter c.c. prevede una disciplina speciale per le invalidità delle decisioni dei soci di
s.r.l.
Nella dottrina tedesca alcuni autori ritengono che la
devoluzione ad arbitrato dell’impugnazione di deliberazioni assembleari non sia possibile, altri invece sono dell’opinione che anche questa materia possa essere conosciuta dagli arbitri. In genere si può affermare che la giurisprudenza si è evoluta da un atteggiamento di sostanziale diffidenza nei confronti dello strumento arbitrale a
un approccio tendenzialmente favorevole all’arbitrabilità. Si è già accennato al fatto che la AG e la GmbH
non possono essere poste sullo stesso piano. La disciplina della AG prevede che lo statuto può derogare alle
disposizioni di legge solo quando ciò è consentito
espressamente (§ 23, comma 5, AktG). Ma per le impugnazioni di deliberazioni assembleari è prevista una
competenza esclusiva del tribunale del circondario in
cui la società ha sede (§ 246, comma 3, AktG). Questa
circostanza porta, secondo l’opinione prevalente, a
escludere l’arbitrabilità delle impugnazioni di deliberazioni assembleari di AG. Una clausola compromissoria
derogherebbe infatti alla competenza dei giudici statali
in assenza di una legittimazione espressa da parte della
legge sulle azioni. Nella GmbH non è invece previsto lo
stesso principio di rigidità statutaria. Lo statuto può derogare alla legge anche laddove la legge tace. Le opportunità d’inserire clausole compromissorie statutarie sono
cosı̀ più ampie nel tipo societario GmbH, per esempio
proprio relativamente alle impugnazioni di deliberazioni
assembleari (21).
Questa differenziazione per tipi societari (AG da un
lato, GmbH dall’altro) non opera nel diritto italiano.
778
LE SOCIETA’ N. 6/2006
n
Nel nostro ordinamento non vi sono distinzioni, per
quanto riguarda l’arbitrabilità, tra le s.p.a. e le s.r.l. L’unica eccezione, ma è di carattere generale e non concerne le sole impugnazioni di deliberazioni assembleari, riguarda le società previste dall’art. 2325 bis c.c., vale a
dire le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misure rilevante. Queste
società sono escluse dall’ambito di applicazione dell’arbitrato societario. Il legislatore ha previsto una disciplina
separata per le impugnazioni di deliberazioni assembleari
di s.p.a. (artt. 2377-2379 ter c.c.) e di s.r.l. (art. 2479 ter
c.c.). Non è possibile condurre in questa sede un esame
analitico dei presupposti che consentono nell’uno e nell’altro tipo societario di chiedere i rimedi dell’annullamento e della nullità. Per i profili che qui rilevano basta
osservare che non vi dovrebbero essere difficoltà ad ammettere che le controversie concernenti la validità
d’impugnazioni assembleari sia di s.p.a. sia di s.r.l. possano essere devolute ad arbitri.
In Germania la giurisprudenza si è espressa nel senso
che non osta all’arbitrabilità delle impugnazioni di deliberazioni assembleari di GmbH il fatto che lo stesso diritto d’impugnazione sia previsto da una disposizione da
considerarsi inderogabile (22). L’imperatività di una
norma non è, in genere, di ostacolo all’arbitrabilità delle
controversie relative alla sua applicazione. Questo principio vale anche nel contesto delle impugnazioni. Ciascun socio ha il diritto d’impugnare le delibere dell’assemblea e di fare verificare se esse siano conformi a legge. Questo diritto è inderogabile: gli strumenti statutari
non possono disporre diversamente, non possono cioè
vietare d’impugnare. Ciò non ha peraltro l’effetto, almeno nella GmbH, d’impedire che l’impugnazione possa
essere fatta valere - invece che dinanzi ai giudici statali
- davanti a un tribunale arbitrale. Nella AG invece il §
23, comma 5, AktG, che prevede il principio della rigidità statutaria, osta alla devoluzione ad arbitri. Questa
situazione regolamentare è oggetto di forti critiche nella
dottrina tedesca (23). In letteratura si è difatti segnalato
come l’arbitrato costituisca la forma privilegiata di soluzione delle controversie in ambito societario internazionale. Ma la rigidità statutaria della AG tedesca impedisce il ricorso al procedimento arbitrale. In questo modo
un importante bisogno economico, di veloce soluzione
delle controversie, non viene soddisfatto. I più ampi
margini di autonomia statutaria di cui gode la forma societaria «GmbH» consentono invece, tramite apposita
clausola compromissoria, di prevedere il ricorso a un
Note:
(21) Afferma l’arbitrabilità delle impugnazioni di deliberazioni assembleari
di s.r.l., per esempio, OLG Düsseldorf 14 novembre 2003, in GmbHR,
2004, 572 ss., con nota di Römermann. Questa decisione è riprodotta anche in ZIP, 2004, 1956 ss.
(22) In questo senso OLG Düsseldorf 14 novembre 2003, cit.
(23) V., per tutti, Raeschke-Kessler, Gesellschaftsrechtliche Schiedsverfahren
und das Recht der EU, in SchiesdVZ, 2003, 145 ss.
n
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
collegio arbitrale anche relativamente alle azioni d’invalidazione delle deliberazioni assembleari. In questo contesto è opportuno rilevare come la previsione dello strumento dell’arbitrato non intacchi il diritto sostanziale di
proporre impugnazione, ma ne alteri solo le modalità di
esercizio. Non si agisce dinanzi a un tribunale statale,
ma a un organo arbitrale, il quale - peraltro - è chiamato a dare applicazione a norme di diritto. Se, quindi, la
deliberazione dell’assemblea risulta affetta da vizi, essa
viene dichiarata invalida dal collegio degli arbitri.
Questi problemi che caratterizzano il diritto tedesco
non si pongono nel diritto italiano, grazie alla disciplina
recentemente introdotta. L’art. 35, comma 5, D.Lgs. n.
5/2003, cui si è già accennato sopra, chiarisce che l’arbitrato societario può riguardare anche la validità di delibere assembleari. Questa disposizione significa che le disposizioni di legge del codice civile che prevedono le
impugnazioni di deliberazioni assembleari sono derogabili a favore di un procedimento arbitrale. L’art. 36,
comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 aggiunge inoltre che gli arbitri debbono decidere secondo diritto quando l’oggetto
del giudizio è costituito dalla validità di delibere assembleari. Questa seconda disposizione chiude il cerchio:
sia per le s.p.a. sia per le s.r.l. le controversie relative alla
validità di deliberazioni assembleari possono essere rimesse ad arbitri, a condizione che il tribunale arbitrale
decida secondo diritto. In altre parole: è libera la scelta
- operata dai soci negli strumenti statutari - del mezzo di
soluzione della controversia (processo statale o arbitrato), a condizione che sia assicurata l’applicazione delle
norme di diritto.
Rimane da concludere nel senso che la differenza essenziale fra il diritto tedesco e quello italiano è che: nel
primo sono arbitrabili solo le impugnazioni di deliberazioni della GmbH (non della AG), mentre nel nostro
ordinamento sono arbitrabili le impugnazioni di delibere
sia di s.r.l. sia di s.p.a.
(segue): la pubblicità della impugnazione
e la riunione delle cause
La giurisprudenza e la dottrina tedesche avvertono
l’esigenza di assicurare che il procedimento arbitrale societario offra ai soci tutele simili a quelle che la legge
appronta per le impugnazioni dinanzi ai giudici statali.
In questo ultimo ambito il legislatore prevede numerose
garanzie di cui non è sempre facile assicurare il rispetto
nel diverso contesto arbitrale. Per esempio: nelle AG
(ma la disposizione è applicabile analogicamente alle
GmbH) il consiglio di gestione ha l’obbligo, mediante
iscrizione nei registri societari, di rendere immediatamente noto il fatto che è stata presentata impugnazione
nonché la data fissata per l’udienza (§ 246, comma 4,
AktG). Con questo adempimento ciascun socio viene
messo in condizioni di essere tempestivamente informato della pendenza dell’azione in giudizio e può dunque,
a sua volta, proporre impugnazione. Il giudice statale dinanzi al quale è proposta l’impugnazione è tenuto a ve-
rificare che gli altri soci siano a conoscenza del fatto
che essa è stata presentata (24). Nelle AG (ma la disposizione è applicabile analogicamente alle GmbH) è
inoltre espressamente previsto che tutte le impugnazioni
proposte contro una deliberazione debbano essere riunite al fine di essere trattate e decise insieme (§ 246, comma 3, AktG). Sono molte le ragioni per cui la legge impone la trattazione e la decisione in comune. Il fatto di
riunire le impugnazioni giova dal punto di vista dell’economia processuale, nel senso che un solo giudice si
trova a studiare, istruire e decidere la questione. A ciò
va aggiunto che, se non viene operata la riunione, non
si può escludere il rischio che due magistrati differenti
decidano la stessa questione in due modi diversi. Ma è
evidentemente inaccettabile che un’unica deliberazione
venga considerata valida da un magistrato e invalida da
un altro, poiché si porrebbero problemi insormontabili
in sede di esecuzione delle decisioni giudiziarie contrastanti: o si segue la pronuncia che fa salva la deliberazione o si dà credito all’altra che ne dichiara l’invalidità.
Dottrina e giurisprudenza tedesche ritengono necessario che sia assicurato anche nel contesto arbitrale che
le eventuali diverse impugnazioni proposte contro la
stessa deliberazione assembleare vengano riunite e decise insieme. L’azione d’impugnazione va proposta nei
confronti della società, la quale è convenuta in giudizio.
È a questo soggetto che va dunque notificata la domanda di arbitrato. Ai sensi del § 1044 ZPO il procedimento arbitrale inizia il giorno in cui il convenuto riceve la
richiesta di sottoporre la controversia a un collegio di
arbitri. La società riceve la domanda di azione in giudizio da parte del primo impugnante. Può darsi che nessun altro sia interessato a questionare la validità della
deliberazione assembleare. In questo caso il processo
continua tra il socio impugnante e la società impugnata.
Può tuttavia succedere che vi sia un altro soggetto che,
in un momento successivo, propone impugnazione della
deliberazione. Se la seconda domanda è avanzata nei
termini previsti, essa è ammissibile e va riunita a quella
precedentemente presentata. Questo principio è statuito
in riferimento al processo statale, ma deve valere anche
nel contesto arbitrale. Non è infatti ragionevole consentire la costituzione di un secondo tribunale arbitrale che
tratti separatamente della seconda impugnazione presentata contro la stessa deliberazione (25). A parte la dispersione economica dovuta al fatto di avere due processi in corso esattamente sulla stessa materia, i giudici
(o gli arbitri) chiamati a dirimere la controversia potrebbero decidere in modo diverso. Allora nessuno più
saprebbe se la deliberazione è da considerarsi valida o
meno. Talvolta la possibilità di giudicati contrastanti è
Note:
(24) In questo senso Bayer, op. cit., 888.
(25) Cfr. Bayer, op. cit., 887.
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esclusa a causa delle particolarità del caso. In una recente sentenza di merito è stato affrontata una fattispecie
in cui non vi erano altri soci che avrebbero potuto presentare una seconda impugnazione di una deliberazione
assembleare di GmbH ad altro tribunale arbitrale (26).
Questo effetto particolare era dovuto alla circostanza
che la società era composta di tre soli soci. Due avevano assunto la deliberazione, e non potevano quindi impugnarla. Il terzo l’aveva impugnata. Non essendoci altri
soci, il rischio che venisse costituito un ulteriore tribunale arbitrale era inesistente. La prima impugnazione
determina la pendenza della controversia. Trova applicazione il § 261, comma 3, n. 1 ZPO secondo il quale
la litispendenza ha per effetto che la materia di cui si
controverte non può essere sottoposta ad altro organo
giudicante. Per evitare che le successive impugnazioni
determinino la costituzione di altri tribunali arbitrali, è
necessario che il primo tribunale avverta tutti i soci del
fatto che è pendente il procedimento (27). Insomma,
nel diritto tedesco l’impugnazione di deliberazione assembleare - venga essa proposta dinanzi a giudice statale
oppure a tribunale arbitrale - presuppone che a tutti i
soci sia data la possibilità di: 1) essere informati sul procedimento; 2) partecipare allo stesso.
I problemi relativi alla pubblicità della domanda di
arbitrato sono affrontati anche dal legislatore italiano:
«la domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo
confronto è depositata presso il registro delle imprese ed
è accessibile ai soci» (art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 5/
2003). Inoltre il legislatore italiano prevede espressamente la possibilità d’intervenire nel procedimento arbitrale societario: «nel procedimento arbitrale promosso a
seguito della clausola compromissoria di cui all’art. 34,
l’intervento di terzi a norma dell’art. 105 del codice di
procedura civile nonché l’intervento di altri soci a norma degli artt. 106 e 107 dello stesso codice è ammesso
fino alla prima udienza di trattazione» (art. 35, comma
2, D.Lgs. n. 5/2003).
(segue): iI problema della nomina degli arbitri
Nel caso dell’arbitrato si ha la particolarità, rispetto
al processo ordinario, che i partecipanti al procedimento sono generalmente chiamati a designare l’organo giudicante. Se si vuole che il giudizio sia reso da un soggetto terzo e neutrale rispetto alle parti, è importante assicurare che tutte le parti coinvolte abbiano l’opportunità
di contribuire in modo uguale alla designazione degli arbitri (28). Nel contesto dell’arbitrato societario è più
frequente che le parti del procedimento arbitrale siano
più di due.
Nel caso dell’impugnazione vi è un impugnante, costituito normalmente da un socio, e un’impugnata, costituita dalla società. Ma anche a tutti i restanti soci deve essere data l’opportunità di partecipare alla nomina
degli arbitri e al procedimento arbitrale. Si possono
quindi avere, sul lato attivo del rapporto processuale,
più soggetti interessati a influenzare l’identità dell’arbitro
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n
che risolverà la controversia. Non appare equo che sia
il solo primo impugnante a determinare chi sarà l’arbitro di parte attrice. Affinché tutti gli interessati partecipino alla nomina è necessario che essi siano tempestivamente informati della impugnazione. A questa esigenza
rispondono gli obblighi informativi cui si è accennato
sopra. Il problema della partecipazione egualitaria alla
designazione degli arbitri non si pone quando alla nomina procede un terzo neutrale. Negli strumenti statutari può essere previsto che alla designazione del tribunale
arbitrale proceda, per esempio, un’autorità giudiziaria
(come il presidente di un tribunale o di una corte d’appello) oppure un’istituzione arbitrale. Affidarsi a un’istituzione d’arbitrato è la soluzione generalmente preferibile perché questa assicura assistenza non solo nel momento della nomina degli arbitri, ma anche nel corso
del successivo procedimento.
Nel diritto italiano sono affrontate espressamente le
questioni derivanti dalla nomina degli arbitri nel particolare contesto dell’arbitrato societario. La scelta del legislatore italiano è radicale, nel senso che «la clausola
deve prevedere il numero e la nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società»
(art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003). Con questa disposizione si ottengono due benefici (29). Il primo vantaggio consiste nell’assicurare la terzietà dell’arbitro.
Questi non può essere nominato dalle parti (e nemmeno da un organo societario, quale il collegio sindacale),
ma deve essere nominato da un soggetto estraneo alla
società. Si tratta di prescrizione prevista a pena di nullità. Il secondo vantaggio derivante da questa norma è
quello di risolvere alla radice il problema derivante dalla
possibile presenza di una pluralità di parti nel procedimento arbitrale, situazione piuttosto frequente nell’arbitrato societario.
La clausola compromissoria statutaria deve conferire
in ogni caso il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società, a pena di nullità. Nullità di
cosa: delle modalità di nomina degli arbitri oppure della
intera clausola compromissoria (e quindi della intera
scelta a favore dell’arbitrato) oppure del contratto di società? Questa ultima ipotesi va subito scartata, atteso
che la nullità della società è possibile solo nei ristretti limiti di cui all’art. 2332 c.c. (ci si limita, per ragioni di
semplicità, al caso della s.p.a.). Tra i casi di nullità della
società previsti dalla legge non rientra quello in esame.
Rimane da decidere sull’alternativa: sono nulle le sole
Note:
(26) OLG Düsseldorf 14 novembre 2003, cit.
(27) Cfr. Geimer, in Zöller (a cura di), Zivilprozessordnung, XIV ed., Köln,
2004, § 1030 Rn. 10a.
(28) Cfr. Bayer, op. cit., 888 ss.; Lutter/Bayer, in Lutter/Hommelhoff, op.
cit., § 3 Rn. 57.
(29) Sali, Arbitrato e riforma societaria, cit., 119.
n
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
modalità di nomina degli arbitri oppure l’intera opzione
arbitrale?
La soluzione è questo quesito non è affatto pacifica.
In una sentenza del tribunale di Catania si è affermato
che la clausola statutaria che devolve le controversie tra
soci e società alla cognizione di un collegio di arbitri
composto di tre membri nominati uno da ciascun contendente e il terzo d’accordo tra le parti o in mancanza
dal presidente del tribunale è nulla e va dichiarata priva
di effetti (30). La clausola va espunta dal contratto sociale. Si tratta di una nullità radicale che priva di qualsivoglia effetto nella sua interezza la originaria scelta
compromissoria.
Questa presa di posizione radicale del tribunale di
Catania sembrerebbe avere posto fine alle discussioni in
merito. Ma ciò non è affatto vero: le posizioni della dottrina su questa questione sono ancora divergenti e sono
state recentemente ricostruite in un pregevole contributo (31). Corsini sostiene che non opera nel caso di specie l’art. 1419, comma 2, c.c. secondo cui «la nullità di
singole clausole non importa la nullità del contratto,
quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da
norme imperative». A tal fine egli adduce diversi argomenti. Sennonché la vera ragione per cui non si può
applicare alla nomina degli arbitri l’art. 1419, comma 2,
c.c. è, ad avviso di chi scrive, diversa da quelle addotte
da Corsini. Il motivo è preliminare e per certi versi più
semplice. L’art. 1419 c.c. concerne la nullità parziale e,
in particolare, il rapporto tra la nullità «di una singola
clausola» e la nullità «dell’intero contratto». Ma la questione della nullità dell’intero contratto, vale a dire del
contratto di società, qui certamente non si pone perché
è l’art. 2332 c.c. a stabilire i ristretti limiti entro cui è
possibile la declaratoria di nullità di una società. Il problema dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 è diverso.
Si tratta di stabilire se la nullità di una parte di una
clausola (sulla nomina degli arbitri) cagiona la nullità di
una clausola (la clausola compromissoria). Di nullità
del contratto qui non si tratta. Se è vero questo assunto,
allora non può trovare applicazione l’art. 1419, comma
2, c.c. Non si tratta cioè di ricercare nell’ordinamento
norme imperative che sostituiscono di diritto clausole
nulle. Il problema è diverso: è quello di separare una
clausola sicuramente nulla (quella relativa alla nomina
degli arbitri), e dunque priva di effetti, da una clausola
sicuramente valida (quella compromissoria in favore
della scelta dell’arbitrato). Mentre è nulla la prima clausola, la seconda è valida: la scelta in favore dell’arbitrato
rimane ferma. Vengono però a mancare le concrete
modalità di nomina degli arbitri. Questo problema non
si risolve ricorrendo all’art. 1419, comma 2, c.c., bensı̀
all’analogia.
Ad avviso di chi scrive la soluzione sta nell’applicazione analogica dell’art. 34, comma 2, frase 2, D.Lgs. n.
5/2003, secondo cui: «ove il soggetto designato non
provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale». Si
può cioè equiparare la nullità delle modalità di nomina
previste nella clausola compromissoria (che, per il resto,
rimane valida) alla mancata designazione del terzo. Il
terzo non ha potuto designare perché non è stato validamente individuato dalle parti del contratto di società
(le quali, si immagini il caso tipico, hanno invece attribuito a sé stesse il potere di nomina degli arbitri; ma i
soci non sono estranei alla società come richiede la legge). I soci hanno individuato, al posto del terzo, un soggetto non estraneo alla società cui viene attribuito il potere di nomina degli arbitri: questa clausola, e solo questa, è nulla e ad essa l’ordinamento non permette di
produrre effetti. Ma ciò che non produce effetti sono solo le modalità di nomina degli arbitri, non la scelta in
favore dell’arbitrato. Cerco di spiegare meglio la tesi ora
esposta con un esempio. Si immagini che la complessiva clausola compromissoria statutaria di componga di
due frasi: «le controversie sociali sono deferite ad arbitri.
Gli arbitri sono nominati dalle parti». La nullità colpisce solo la seconda frase di questa clausola compromissoria perché non devolve a estranei il potere di nomina
degli arbitri. Tutti si è d’accordo che tale previsione
contrattuale è improduttiva di effetti. Cosa rimane, tuttavia, in forza? La prima frase, dalla quale risulta in modo incontrovertibile che le parti vogliono ricorrere ad
arbitrato. I contraenti hanno violato la legge solo per
quanto riguarda le «modalità» di nomina, non la scelta
in favore dell’arbitrato. L’art. 1419, comma 2, c.c. non
trova applicazione in una situazione del genere. La nullità (parziale) elimina la seconda frase, non la prima. La
clausola compromissoria statutaria rimane cosı̀ composta
della sola seguente frase: «le controversie sociali sono
deferite ad arbitri». Si tratta allora d’interpretare questa
clausola e di stabilire come si può nominare il collegio
arbitrale.
Si badi bene che l’interpretazione della clausola
compromissoria è interpretazione del contratto. Si applicano cosı̀ gli artt. 1362-1371 c.c. In particolare va prestata attenzione al principio di conservazione del contratto, secondo cui: «nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono
avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui
non ne avrebbero alcuno» (art. 1367 c.c.). Se i soci
hanno scritto nel contratto di società che «le controversie sociali sono deferite ad arbitri», non pare accettabile un’interpretazione che svuoti di significato questa
precisa scelta. La scelta arbitrale è e rimane valida anche se le modalità di nomina sono contrarie a legge. A
questa operazione di «interpretazione del contratto» si
deve ora affiancare una «interpretazione della legge».
Note:
(30) Trib. Catania 26 novembre 2004, in Corr. giur., 2005, 1131 s., con
nota di Sangiovanni.
(31) Il riferimento è a Corsini, La nullità della clausola compromissoria statutaria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, I,
824 ss.
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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
Le parti hanno scelto l’arbitrato, ma le modalità di nomina sono nulle. Come può l’ordinamento assicurare
che una parte della volontà delle parti (nella parte in
cui merita tutela: scelta a favore dell’arbitrato) produca
effetti nonostante una parte dell’espressione della volontà (potere di nomina attribuito a soggetto intraneo) è
contraria a legge? La risposta a questo quesito va cercata
nelle disposizioni che regolano l’interpretazione della
legge. L’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale
stabilisce che «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materia analoghe».
Non è irragionevole ritenere che, in caso di nullità della
parte della clausola compromissoria statutaria che attribuisce il potere di nomina degli arbitri a soggetto intraneo alla società, si applichi in via analogica l’art. 34,
comma 2, frase 2, D.Lgs. n. 5/2003, secondo cui «ove il
soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta
al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha
la sede legale».
In ogni caso, per evitare dubbi interpretativi, sarebbe
opportuno riformulare l’art. 34, comma 2, frase 2,
D.Lgs. n. 5/2003 nel modo che segue: «Ove il soggetto
designato non sia estraneo alla società oppure non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del
luogo in cui la società ha la sede legale» (32).
(segue): gli effetti del lodo
In Germania si pone il problema dell’efficacia del
provvedimento che decide sulla impugnazione della deliberazione assembleare. La problematica va affrontata
con riferimento a tre diversi profili: effetti della sentenza in generale, effetti della sentenza che decide sulla validità della deliberazione assembleare, effetti del lodo
che decide sulla impugnazione. Normalmente la sentenza emessa all’esito di un processo civile produce effetti solo nei confronti delle parti (§ 325, comma 1,
ZPO). Il § 248, comma 1, AktG prevede tuttavia che,
quando la deliberazione assembleare è dichiarata nulla,
la sentenza opera nei confronti di tutti gli azionisti, dei
membri del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza anche se essi non hanno partecipato al procedimento. Con questa disposizione il legislatore vuole
far sı̀ che l’accertamento relativo alla validità della deliberazione abbia effetto nei confronti di tutti i soggetti
coinvolti nella vita della società: i titolari della partecipazione sociale (gli azionisti), i gestori (gli amministratori) e coloro che svolgono funzioni di controllo (i
membri del consiglio di sorveglianza). Questa estensione della effettività della sentenza assicura certezza del
diritto. Chi non ha partecipato all’impugnazione non
può, successivamente, sindacare la validità della deliberazione. L’accertamento effettuato dal giudice vincola
tutti e si esclude in tal modo la possibilità di una pluralità di decisioni, che porterebbe con sé il rischio di esiti
contrastanti.
Nel diritto italiano la situazione è simile. Per limitar-
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n
si alla s.p.a., l’art. 2377, comma 7, c.c. (in materia di
annullabilità delle deliberazioni) prevede che «l’annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i
soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità». L’art.
2379, comma 4, c.c. (in materia di nullità delle deliberazioni) stabilisce che si applica in quanto compatibile
l’art. 2377, comma 7, c.c., il cui testo è stato appena riprodotto.
Ci si deve ora chiedere se gli effetti che la sentenza
produce nel procedimento d’impugnazione delle deliberazioni assembleari operino anche nel diverso caso del
lodo. Il procedimento arbitrale tedesco termina con una
pronuncia degli arbitri denominato lodo. Questo provvedimento ha tra le parti, in virtù di espressa previsione
legislativa (§ 1055 ZPO), gli effetti di una sentenza passata in giudicato. Si pone qui il problema di capire se il
principio della estensione degli effetti della declaratoria
di nullità della deliberazione assembleare anche a nonparti sia applicabile nel contesto arbitrale. La questione
può assumere rilievo per i soci che, non impugnando la
deliberazione, non partecipano al procedimento. Si immagini che una società sia composta di dieci azionisti e
uno solo di questi impugni la deliberazione assembleare.
Attore è questo socio, convenuta la società. Gli altri
nove azionisti non partecipano al processo. La decisione
del giudice statale opera anche nei confronti degli altri
nove soci (per effetto della previsione del § 248, comma 1, AktG). Avverrebbe lo stesso anche in caso di
procedimento arbitrale? La dottrina tedesca prevalente
ritiene che il lodo abbia effetto non solo nei confronti
di coloro che hanno partecipato al processo, ma anche
di coloro che - pur non avendovi partecipato - sono stati invitati a farlo (33). I soci, comprando la partecipazione sociale, hanno aderito agli strumenti contrattuali
nei quali è contenuta la clausola compromissoria, per
essi dunque vincolante. Nella misura in cui il diritto di
partecipare al procedimento arbitrale è assicurato, non
si vedono particolari ostacoli a ritenere che il lodo possa
produrre effetti nei confronti di tutti i detentori di partecipazioni. In altre parole: se il socio decide liberamente di non partecipare al processo, si tratta di una sua
scelta rispettabile (consistente nel non difendersi), che
non può - però - avere per conseguenza di minare gli
esiti del giudizio nel suo complesso.
Il problema degli effetti del lodo emesso nel contesto
dell’arbitrato societario sono avvertiti anche in Italia.
Un’apposita disposizione di legge stabilisce che «le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società» (art.
35, comma 4, D.Lgs. n. 5/2003).
Note:
(32) Le parole in corsivo indicano la mia proposta di modifica dell’art.
34, comma 2, frase 2, D.Lgs. n. 5/2003 rispetto alla versione vigente.
(33) Cfr. Geimer, op. cit., § 1030 Rn. 10b; Schwab/Walter, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed., München, 2005, 31; Voit, op. cit., § 1030 Rn. 2.
n
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Osservazioni conclusive
La controversia tra una s.r.l. e un quotista relativa all’obbligo di questo ultimo di effettuare i pagamenti ancora dovuti sulla quota sottoscritta sono arbitrabili secondo il diritto tedesco, mentre non sono arbitrabili secondo il diritto italiano. L’arbitrabilità nel diritto tedesco deriva dal fatto che si tratta di una pretesa patrimoniale. La non arbitrabilità nel diritto italiano risulta dal
fatto che, pur trattandosi di una pretesa patrimoniale,
essa concerne un diritto non disponibile.
Riprendo qui, per concludere, il pensiero di Zoppini (34). Questo autore auspica un’interpretazione delle
nuove disposizioni italiane sull’arbitrato societario che
siano ispirate al massimo favore dell’arbitrato. E sottolinea come questo risultato sia raggiungibile se si interpreta in modo lato il concetto di arbitrabilità, che - per
l’arbitrato societario - trova espressione nel dato letterale secondo cui le controversie devono avere «ad oggetto
diritti disponibili relativi al rapporto sociale» (art. 34,
comma 1, D.Lgs. n. 5/2003). L’auspicio di Zoppini non
si può realizzare sempre. Almeno per quanto riguarda il
caso oggetto della sentenza in commento (obbligo di effettuare i conferimenti) risulta paradossalmente più ampio l’ambito delle controversie arbitrabili in un ordinamento che non disciplina espressamente l’arbitrato societario, come quello tedesco, che non in un ordinamento come il nostro, che si è dato una disciplina
espressa in materia.
Nota:
(34) Zoppini, op. cit., 1174 s.
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