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ZONA DEL MONTASIO
NOTIZIE STORICHE
Allo scoppio delle ostilità con l’Italia, l’esercito austriaco, che era quasi totalmente impegnato sul
fronte russo e disponeva in questa zona di truppe formate principalmente da pochi reparti Schutzen
di volontari carinziani, di gendarmi e di finanza, i quali, data la loro esiguità, si schierarono a difesa
del confine e delle possibili vie di penetrazione. Gli italiani, sfruttando il vantaggio della sorpresa
riuscirono ad impossessarsi di quasi tutta la catena a sud della Val Canale, compreso lo Jof di
Montasio sul quale venne organizzato un eccellente osservatorio da dove si potevano controllare
persino i movimenti ferroviari della Valle del Gail..
Le linee italiane, quindi, dopo l’iniziale successo in questa zona di combattimento, partivano dallo
Jof di Miezegnot, per scendere nella Val Saisera al di sotto della Sella di Somdogna dalla quale
risalivano lungo il Jof di Somdogna per proseguire fino al massiccio del Montasio. Continuavano
passando sulla Cima Verde, sul Foron raggiungendo il Cregnedul scendendo verso la Val Rio
del Lago raggiungendo infine il monte Robon. Quelle austriache partivano dal Meziegnot Piccolo
e attraverso il Monte Nero scendevano nella Val Saisera. Dal Piccolo Nabois e attraverso la
forcella omonima proseguivano verso il Jof Fuart, Forcella Mosè raggiungendo le Cime Castrein.
Da qui il fronte attraversava la Val Rio del Lago e si portava al “Pulpito Austriaco” fino alla Cima
Mogenza Piccola.
Analogamente a quanto fatto dagli Austriaci nel gruppo del Jof Fuart, gli alpini fortificarono
adeguatamente tutte le posizioni della Catena del Montasio. Una comoda mulattiera dalle Casere
Parte di Mezzo risaliva fino alle pendici meridionali della Cima di Terra Rossa, crocevia dei vari
sentieri di arroccamento alle vicine cime Gabon ed all’ampia Forca de lis Sieris ( notevoli i resti di
baraccamenti e di altre opere militari adibiti al ricovero delle truppe). Un altro difficoltoso sentiero
collegava, attraversando la Forca di Lis Sieris, il versante meridionale del Buinz e, per la Forca de
la Val, le pendici della Cresta Puartate.
Il Percorso di salita al Jof di Montasio dalla Forca Distesi venne attrezzato con funi metalliche ed
con una scala in ferro di circa settanta metri (quella che oggi è denominata Scala Pipan). Sulle
balze più alte del monte e sulla cima del Vert Montasio, che dominavano il vallone della Spranga,
vennero costruiti numerosi piccoli ricoveri. Per tutta la durata della guerra a presidio della cima del
Montasio rimase accampato un piccolo gruppo di alpini, agli ordini del tenente Giuseppe Garrone.
Collegati telefonicamente ai comandi, dirigevano dal quel dominante osservatorio, i tiri delle
batterie d’artiglieria e segnalavano i movimenti delle truppe avversarie.
I due avversari a questo punto si limitarono ad occupare e tenere le proprie posizioni poiché
entrambi, per conquistare le cime contrapposte, sarebbero dovuti scendere in piena vista del nemico
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per poi scalare scoscese pareti: imprese così impossibili ed assurde che li fecero desistere dal
portare assalti alle vette più elevate. Gli italiani comunque, per impedire eventuali puntate offensive
nemiche nella Spragna verso il Lavinal dell’Orso, nell’agosto del 1915, occuparono il pianoro della
Palina, ai piedi delle pareti settentrionali
della catena del Montasio. La linea avanzata fu
ulteriormente spinta fino alla Gelbe Wand, sotto la Torre Genziana (questa posizione
temporaneamente abbandonata durante il periodo invernale, venne successivamente ripresa al
nemico che vi si era
immediatamente insediato).
Nel 1916, questa linea del fronte, venne
adeguatamente fortificata e più efficacemente collegata alle difesa di Sella Canizza e del Jof di
Somdogna.
In questa parte del fronte, la guerra svolta in alta montagna assunse un volto del tutto particolare.
Per comandanti e truppa comportò difficoltà ed enormi problemi soprattutto di carattere logistico
per allestire baraccamenti e rifugi per la maggioranza scavati nella roccia.
Per la soluzione delle problematiche che la guerra d’alta montagna comportava i due eserciti fecero
largo impiego di guide alpine e rocciatori che, mentre in tempo di pace erano stati amici e
compagni di cordata nelle scalate, durante la guerra si ritrovarono nemici gli uni di fronte agli altri.
Nell’esercito austriaco, oltre alle guide alpine e rocciatori, era stata creta la figura del “referente
alpino (alpinen referenten)”, che, quale conoscitore della zona a cui era assegnato, rimaneva a
disposizione del comandante per tutte le informazioni e i consigli necessari per risolvere i problemi
legati a quello specifico settore di montagna. Il “referente alpino” più famoso, oltre a Gustav
Renken, fu Julius Kugy.
Anche le stagioni condizionarono le varie azioni militari dei due eserciti in quel teatro di
operazioni . Durante l’inverno (che spesso in quei luoghi iniziava gia nel mese di settembre ottobre) le avverse condizioni atmosferiche, le abbondanti nevicate, le temperature polari ed il
rischio di valanghe fecero si che i due contendenti interrompessero i combattimenti cercando
solamente di sopravvivere. In quel periodo dell’anno i soldati dei due eserciti furono sottoposti a
immani e disumani sacrifici. Le abbondanti nevicate avevano comportato la distruzione delle linee
telefoniche, delle teleferiche e dei sentieri d’accesso alle postazioni di vetta: così per intere
settimane non veniva effettuato il rifornimento di viveri e combustibile alle postazioni in quota. I
casi di morte per assideramento, febbri e malattie aumentavano ogni giorno in maniera veramente
preoccupante.
L’arrivo della primavera e lo sciogliersi delle nevi provocarono le valanghe, che furono causa di
altre sciagure (la morte bianca).
La guerra non si poteva però fermare: bisognava riparare
velocemente i danni provocati dall’inverno prima dell’inizio delle ostilità. Si riattivavano quindi le
linee telefoniche, si miglioravano le difese delle postazioni e soprattutto si accumulavano viveri e
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combustibile per affrontare nel migliore dei modi l’inverno seguente. In caso di buone condizioni
atmosferiche
i due belligeranti si affrontavano in piccoli
ma violenti scontri soprattutto fra
pattuglie.
Con il sopraggiungere dell’estate si poteva tentare qualche azione di una certa consistenza per
strappare al nemico qualche caposaldo d’alta quota. La zona nel periodo estivo però era soggetta a
frequenti temporali, anche di forte intensità, con grandine e fulmini e quindi per le azioni, che gli
strateghi militari definiscono ad ampio respiro, restava un tempo ristretto ad alcune settimane,
sicuramente poche per compere operazioni di un certo valore strategico.
In definitiva i due eserciti rimasero invischiati in un’estenuante guerra di posizione, interrotta da
episodiche azioni per la conquista di qualche vetta o forcella.
Quando l’azione militare riusciva, i vincitori, provati dai combattimenti e spesso feriti, erano
subito bombardati dall’artiglieria avversaria e dovevano subire il contrattacco del nemico che
sfociava sempre in un tremendo combattimento corpo a corpo dove nella mischia furibonda erano
adoperati pugnali, baionette, il calcio del fucile (gli austriaci utilizzavano come scure anche la
vanghetta da trincea) o addirittura le mani nude per strozzare l’avversario. I feriti gravi morivano
sul posto o durante il trasporto ai posti di medicazione.
Di notte, eludendo la vigilanza nemica, ambedue le parti mandavano pattuglie in esplorazione oltre
le proprie linee con lo scopo di fare qualche prigioniero o per annientare qualche presidio isolato.
Talvolta erano le pattuglie in avanscoperta a cadere in un’imboscata ed i loro corpi abbandonati
nella terra di nessuno venivano
trovati
dai propri
camerati
successivamente usciti
in
perlustrazione.
In questo contesto bellico si inserisce un esempio classico delle imprese delle pattuglie e del modo
in cui si faceva la guerra sul fronte Giulio compiuto sul versante occidentale del Montasio per
individuare le postazioni nella Val Dogna, che era il centro logistico più importante degli italiani
della zona, dal quale partivano i rifornimenti per i capisaldi posti sui monti, tra cui anche lo Jof di
Montasio. A Dogna erano posizionati anche i due obici pesanti calibro 305 mm., i quali sparavano
sul Forte Hensel presso Malborghetto e sulle altre località del settore austriaco causando gravi
danni non solo al forte ma anche a tutti i paesi vicini. A Tarvisio, nel settembre 1915, gli obici
italiani distrussero una dozzina di case e ne danneggiarono gravemente numerose altre.
Per controbatterli furono trasferiti in Val Canale e sul passo Pramollo i celebri mortai Skoda dello
stesso grosso calibro 305 mm. ma risultava molto difficile effettuare un puntamento preciso sugli
obiettivi poiché gli osservatori non erano in grado di individuare esattamente l’ubicazione dei
cannoni e dei centri logistici di Dogna, non disponendo di nessun punto di osservazione da cui essi
fossero visibili.
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Il comando austriaco allora si decise di eliminare il problema mediante un’impresa che rappresentò
forse la perlustrazione più ardita su tutto il fronte della zona e che permise di ottenere le
informazioni necessarie per individuare e bombardare con i mortai Skoda i depositi e le batterie di
Dogna.
La pianificazione dell’impresa fu curata nel luglio del 1915 dal noto alpinista dott. Julius Kugy,
dall’ingegnere ferroviario stiriano Ferdinand Horn di Knittelfeld, eccellente rocciatore che aveva
già compiuto ascensioni sulle Alpi Giulie già prima del 1914. Kugy e Horn ebbero l’idea di
aggirare le posizioni italiane del Montasio scalando la montagna lungo la sua difficile via per poi
calarsi sul versante ovest e, sgusciando fra la rete delle linee nemiche, giungere in vista di Dogna.
Alla fine di luglio Horn, che fu l’autore materiale dell’impresa, unitamente a tre camerati, fra cui la
guida alpina Noisternig di Malniz, dopo aver superato gli avamposti italiani dell’alta Val Saisera,
scelse un passaggio in roccia che s’infilava fra le pattuglie in basso e le vedette in alto sui fianchi
del Montasio. Mentre i quattro stavano salendo lungo la parete scorsero sotto di loro una pattuglia
di alpini che però non si accorsero di nulla. Horn, accortosi che i suoi compagni di cordata dopo lo
scampato pericolo risultavano paralizzati dalla paura, decise di continuare da solo nell’impresa e
centimetro dopo centimetro riuscì a raggiunse ad un punto da cui lo sguardo si apriva sul paese di
Dogna. Il piano a quel punto prevedeva di comunicare la posizione delle batterie italiane, facendo
segnali convenuti con un fazzoletto al presidio della Sella Nabois che avrebbero a loro volta
trasmesso per telefono ai serventi
dei mortai Skoda. I suoi segnali però non furono ricevuti.
Constatato che le sue segnalazioni non ottenevano alcuna risposta, Horn tornò indietro e, una volta
recuperato i sui accompagnatori, attraversò nuovamente indenne le linee italiane.
La spericolata impresa fu ripetuta il 21 luglio 1915: Horn nell’occasione fu accompagnato da un
noto rocciatore dell’epoca, l’Alfiere Mayer, artigliere ed esperto di segnalazioni, e stavolta le
comunicazioni col fazzoletto funzionarono perfettamente. Poco dopo i primi colpi dei mortai Skoda,
non più sparati alla cieca, colpirono gli obiettivi a Dogna.
L’operazione alpinistica e militare fu compiuta per la terza volta nell’agosto del 1915, con la
partecipazione oltre che dell’Alfiere Mayer anche della famosa guida alpina ampezzana Angelo
Dibona. La pattuglia consentì alla propria artiglieria l’aggiustamento del tiro sulle batterie di Dogna
che furono inesorabilmente colpite.
Questa azione militare non fu più ripetuta dopo che gli alpini, avendo scoperto durante una
minuziosa perlustrazione il ben attrezzato posto d’osservazione (sul luogo furono trovati scorte di
viveri e birra), collocarono un avamposto direttamente sotto l’attacco alla via d’ascensione seguita
dagli austriaci.
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Le ostilità in questo teatro operativo, nel quale i reparti dei due eserciti si affrontarono in accanita e
disumana lotta per un periodo di quasi due anni e mezzo, cessarono solamente dopo rottura del
fronte di Caporetto il 24 ottobre 1917, con la conseguente ritirata italiana sul Piave. Finalmente il
silenzio ritornò a regnare sovrano su queste splendide valli e montagne.
BIBLIOGRAFIA:
Per approfondire l’argomento, si segnalano i seguenti testi:
-
WALTHER SCHAUMAN, Le nostre montagne
- Teatro di Guerra III b – Alpi
Carniche Orientali, Val Canale – Alpi Giulie Occidentali, Ghedina Tassotti editori,
1976, Bassano del Grappa;
-
HEINZ VON LICHEM, La Guerra in montagna 1915 -1918 Vol. 3 - Alpi Carniche
Giulie, Isonzo, Piave, monte Grappa , Athesia editricee, 1995, Bolzano;
-
INGOMAR PUST, 1915 -1918 Il Fronte di Pietra - La Guerra sulle Alpi Giulie e dal
Carso al Grappa , Mursia Editore, 1987, Milano;
-
SOCIETA’ ALPINA DELLE GIULIE, La grande guerra sulle Alpi Giulie, S.A.G. 1968.
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