danno morale - Ordine degli avvocati di Brescia
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danno morale - Ordine degli avvocati di Brescia
(In attesa di pubblicazione su Responsabilità civile e previdenza) Il danno morale, così come il danno non patrimoniale in genere, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen. e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato qualora sia ravvisata la ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito. Irrilevante, appare, dunque, in presenza dei presupposti previsti, il formarsi di un eventuale giudicato di assoluzione che non è idoneo a produrre effetti preclusivi nel giudizio civile risarcitorio. Vengono evidenziate le incongruenze tra il principio ormai consolidato, oltre che dalla Cassazione, anche dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 233/2003 relativa alla interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. e il diverso orientamento della Suprema Corte che ancora richiede, ai fini del riconoscimento del danno morale, l’accertamento, da parte del giudice civile, che il fatto illecito sia astrattamente previsto come reato e sia, pertanto, idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale. Risarcimento del danno morale: presupposti, prova e criteri risarcitori Sommario: 1) Presupposti di risarcibilità del danno morale 2) Prova del danno morale e criteri risarcitori 1) Presupposti di risarcibilità del danno morale Il danno morale soggettivo è la più antica voce di danno non patrimoniale derivante dalla tradizione romanistica, ed è la voce di più facile individuazione ricomprendente il c.d. “pretium doloris”, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima e, in casi specifici, anche il danno conseguente alla perdita di dignità della persona in fattispecie particolarmente gravi quali la violenza carnale, il genocidio, etc.1 Il danno morale va distinto dal danno esistenziale: il primo attiene alla sfera interna personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa. Occorre, nell’ambito della distinzione delle varie voci di danno non patrimoniale, evitare il c.d. accorpamento delle voci di danno all’interno di uno di essi, in quanto genera confusione concettuale sul contenuto delle singole voci e costituisce un rimedio confuso e ontologicamente scorretto alla possibile duplicazione delle voci di danno, contribuendo, anzi, ad accrescere tale incertezza, dovendosi distinguere le singole voci di danno, individuandone il contenuto e liquidando le compromissioni areddittuali per ciascuna posta risarcitoria, avendo presente il danno complessivo subito dalla vittima, senza ricorrere ad automatici meccanismi semplificativi. 1 Nell’attuale assetto ordinamentale assume posizione preminente la Costituzione, che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, con la conseguenza che il "danno non patrimoniale", di cui all'art. 2059 cod. civ., non può più essere identificato (secondo la tradizionale, restrittiva lettura dell'art. 2059 stesso, in relazione all'art. 185 cod. pen.) soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato, ma va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica, Cass. civ., 19.08.2003, n. 12124, in Resp. civ. prev., 2004, 233, con nota di SCARPELLO. Solamente per le lesioni di modesta entità (c.d. micropermanenti) si ritiene possibile una unitaria liquidazione del danno non patrimoniale che tenga complessivamente conto di tutte le ripercussioni areddittuali subite dal danneggiato. Va segnalato un contrasto tra la seconda e la terza sezione della Corte di Cassazione, in ordine la riconoscimento del danno morale in quanto ancora si richiede, da parte della seconda sezione, l’accertamento da parte del giudice civile dell’accertamento del fatto reato,anche se autonomo rispetto a quello del giudice penale,2 mentre la terza sezione afferma, con orientamento consolidato che il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen. e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, ben evidenziandosi che il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale. 3 L’orientamento della seconda sezione ritiene che il giudicato penale di assoluzione (“perché il fatto non costituisce reato”), non necessariamente preclude l’azione civile di richiesta di danno morale nei confronti di chi era imputato di reato colposo (nella fattispecie omicidio) spettando al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale, ritenendosi, implicitamente, necessario, l’accertamento, sia pure in via autonoma, da parte del giudice civile dei profili di illiceità del fatto, idonei alla imputazione di responsabilità civile, in quanto l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” non esclude che possa configurare illecito civile.4 Effettuata tale valutazione, ove si tratti di interesse costituzionalmente garantito, si ritiene che nessun altra valutazione debba effettuare il giudice di merito ai fini della risarcibilità del danno morale. Mentre la terza sezione della Corte di Cassazione è orientata in tal senso, la seconda sezione, pur ritenendo che la risarcibilità del danno non patrimoniale non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, ritiene, tuttavia che occorra pur sempre che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale; sicché, 2 Ritengono i giudici della Seconda sezione che il giudicato di assoluzione è idoneo a produrre effetti preclusivi quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso - nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo, specifico e concreto accertamento circa l'insussistenza del fatto o l'impossibilità di attribuire questo all'imputato, non quindi quando è solo escluso l'elemento soggettivo.L'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata "perché il fatto non costituisce reato" non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale, Cass. civ., 7.12.2007, n. 25646; cfr anche Cass. civ., 14.02.2006, n. 3193 3 4 Cass. civ., 6.8.2007, n. 17180; Cass. civ.,14.06.2007, n. 13953 Cass. civ., 24.04.2007, n. 9861 Il decreto di impromuovibilità dell'azione penale (adottato ai sensi dell'art. 408 e segg. cod. proc. pen.) non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, stante il principio dell'indipendenza delle azioni penale e civile introdotto con la riforma del rito penale, poiché, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata, Cass. civ., 21.10.2005, n. 20355 ai fini del risarcimento di detto danno, l'inesistenza di una pronunzia del giudice penale non costituisce impedimento all'accertamento da parte del giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del reato. 5 Tale impostazione, pur ritenendo superato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale il giudicato penale di assoluzione neutralizza ogni azione civile di richiesta di danno morale nei confronti di chi era imputato di omicidio colposo sposta dal giudice penale al giudice civile l’accertamento degli elementi costitutivi del reato, asseritamene ancora necessari per il riconoscimento del danno morale e del danno non patrimoniale in genere. Tale orientamento riecheggia il precedente emerso dal trittico di sentenze della Suprema Corte (n. 7281-7282-7283 del 12 maggio 2003) che riconoscono il danno non patrimoniale anche in caso di “colpa civilisticamente presunta”, se il fatto, ove la colpa sia provata, possa qualificarsi, anche in astratto, come reato.6 Ritengono i giudici di Piazza Cavour che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile e, quindi la non superata presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicché il fatto senz'altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di reato.7 Tuttavia la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. operata dalla terza sezione della Cassazione rende ultroneo qualsiasi altro accertamento di fattispecie astratta o concreta di reato, 5 Cass. civ., 19.10.2007, n. 22020 6 Alla risarcibilità del danno non patrimoniale "ex" artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2051 cod. civ., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato, Cass. civ., 12.05.2003, n. 7281 con nota di NAVARRETTA, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente, in Foro it., 2003, I, 2274; per il commento alle sentenze della Cassazione, n. 7282.03 e n. 7283.03, affermanti il medesimo principio, si citano per la prima, ex plurimis, ZIVIZ, E poi non rimase nessuno, in Questa Rivista, 2003,703 e per la seconda, PONZANELLI, Danno non patrimoniale: responsabilità presunta e nuova posizione del giudice civile, in Danno resp., 2003, 713 7 Vengono qui in considerazione, evidentemente, soltanto gli effetti civili della condotta dell'autore del danno e non anche le conseguenze penali, ovviamente connesse all'effettivo positivo accertamento della colpa, essendo sconosciuto al sistema penale il meccanismo, esclusivamente proprio del diritto civile, di una presunzione legale circa la sussistenza di un elemento del fatto (tra l'altro collegata all'inversione dell'onere della prova, inconcepibile al di fuori del sistema civile). Ma proprio per la insopprimibile diversità degli ambiti, sembra del tutto improprio frustrare gli scopi di una disposizione, qual è l'art. 2059, che non mira a punire il responsabile ma a consentire il risarcimento del danneggiato dal fatto illecito anche se leso in interessi non economici, operandone un'interpretazione del tutto antinomica rispetto all'esigenza alla quale il sistema in cui è inserita palesemente si ispira: quella, appunto, di rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie ad una presunzione legale (artt. 2050.2054 c.c.). Del resto la presunzione, legale o non che sia, in altro non si risolve che nella prova del fatto ignoto. Dunque, se il fatto ignoto da provare è l'elemento soggettivo dell'illecito, in esito al ricorso alla presunzione quell'elemento è provato. E se, nella ricorrenza dell'elemento soggettivo, il fatto costituisce reato, risulta provato il reato. Certo solo sul piano delle conseguenze civili; ma su tale piano sarebbe arbitraria la diversificazione, quanto agli effetti della prova, delle modalità attraverso le quali essa è raggiunta, Cass. civ., 12.05.2003, n. 7283, cit ; in senso contrario, si era ritenuto che presupposto necessario per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno morale, ai sensi degli artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen., è l'accertamento del fatto come reato, il cui elemento soggettivo è lo stato psicologico dell'autore di esso, da accertare in concreto e non in base ad una presunzione legale di responsabilità, Cass. civ.,14.03.2002, n. 3728 ove sia riscontata la lesioni di valori costituzionali inerenti la persona giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale. 8 la giurisprudenza della S.C. è giunta alla conclusione che il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale (cfr, in proposito le fondamentali Cass. civ. nn. 8827 e 8828 del 2003.9 Non è, quindi, necessario, distinguere, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, nel caso in cui vi sia stata assoluzione in sede penale, la causale (perché “il fatto non costituisce reato”, perché “l’imputato non lo ha commesso”, perché “il fatto non sussiste”, etc), né ricercare in sede civile, anche in mancanza di processo penale, una astratta fattispecie di reato, essendo sufficiente due diversi requisiti: 1) il fatto illecito; 2) la lesione di valori costituzionali inerenti la persona. L’esistenza e l’esito del processo penale non assumono più alcun valore, rispetto alla diversa impostazione ante 2003, ove in presenza di un giudicato penale di assoluzione, era precluso al giudice civile il risarcimento del danno non patrimoniale agli eredi della vittima. Quindi, il principio innovatore è costituito dal risarcimento del danno morale, in favore del soggetto danneggiato per lesione del valore della persona umana costituzionalmente garantito, che prescinde dall'accertamento di un reato in suo danno. Ciò comporta che, a seguito di tale lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., il risarcimento del danno morale subiettivo conseguente alla lesione del bene salute, tutelato dall'art. 32 Cost., non è limitato ai soli casi in cui sussista un'ipotesi di reato.10 8 Il danno non patrimoniale, alla luce dell'articolo 2 cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, non può più essere identificato, secondo la tradizionale restrittiva lettura dell'articolo 2059 cod. civ. in relazione all'articolo 185 cod. pen., soltanto con il danno morale soggettivo, sicché, nell'ambito del danno non patrimoniale rientra, oltre al danno morale subiettivo nei casi previsti dalla legge (la sofferenza contingente ed il turbamento dell'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata principalmente all'articolo 185 cod. pen. Cass. civ., 24.04.2007, n. 9861 . 9 Tale indirizzo è stato già affermato dalla Cassazione che ha rilevato, in linea con la sentenza in commento, che Il danno non patrimoniale, conseguente all'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito, non è soggetto (come già statuito fin dalle sentenze n. 8827 e n. 8828 del 2003), ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen. e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, in tema di diritti inviolabili relativi alla persona non aventi natura economica. Cass. civ.,14.06.2007, n. 13953 10 Cass. civ., 20.10.2005, n. 20323, in Arch. giur. circ. sin. 2006,14 Ne consegue che, in tema di causa attinente all'accertamento della responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, spetta al giudice civile stabilire, con piena libertà di giudizio, se nei fatti emersi, e legittimamente ricostruiti in modo difforme dall'avviso del giudice penale, siano ravvisabili gli estremi di delitti colposi, anche ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, tutelato dall'art. 2059 cod. civ., fermo restando in ogni caso che il danno non patrimoniale (riconducibile al danno morale soggettivo implicante il patema d'animo o la sofferenza contingente), che consegua all'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato. 11 Appare, quindi, necessario un revirement della seconda sezione della Suprema Corte su tale questione apparendo superflua la remissione alle Sezioni Unite della Cassazione di tale, più apparente che sostanziale, contrasto, stante ormai la consolidata linea evolutiva della giurisprudenza di legittimità. Appare anacronistico ed antistorico l’art. 2059 cod. civ., non essendo più legato alla funzione punitiva penale che ne aveva giustificato e legittimato l’applicazione, essendo venuta meno la funzione repressiva originariamente collegata al danno non patrimoniale che tende sempre più ad assumere la funzione di danno “neutro” collegato ai valori inerenti alla persona, esteso a svariate situazioni in cui non si ravvisa alcuna violazione di norma penale, come nel caso di mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo (l. 24.3.201, n. 89, art. 2), ingiusta privazione della libertà personale a seguito dell’esercizio di funzioni giudiziarie (l. 13.4.1988, n. 117, art 2), adozione di atti discriminatori per motivi etnici o razziali (D. Lgs. 25.7.1998, n. 286, art. 2), impiego di modalità illecite nella raccolta dei dati personali (l. 31.12.1996, n. 675, art. 29, comma 9). Come già evidenziato il processo di costituzionalizzazione del codice civile, anche in mancanza di fatto reato consente, di interpretare le relative norme alla luce dei principi fondamentali della stessa Carta Costituzionale che devono trovare, comunque, applicazione nel nostro ordinamento giuridico, verificandosi, altrimenti, la mancata applicazione della Carta costituzionale. Nel caso del danno morale può validamente invocarsi l’art. 32 della Costituzione che “tutela la salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” La stessa Corte di Cassazione che ha indicato una chiave di lettura costituzionale dell’art. 2059 c.c. (Cass. civ.,n. 8827 e 8828 del 31.5.2003), ribadita dalla corte Costituzionale che ha ritenuto (“per relationem”) corretta l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.. Il precetto costituzionale, anche per il danno morale, così come per il danno biologico, consente di fondare un sistema completo di garanzia del principio generale del “neminem laedere”, inteso quale tutela integrale della violazione di un diritto fondamentale dell’individuo, tutelabile, senza limitazioni risarcitorie, ex art 2059 c.c.. che, interpretato ed applicato, per il danno morale, alla luce dell’art. 32 della Costituzione, va esteso fino a ricomprendere la risarcibilità anche di tutti i danni connessi alla violazione della norma costituzionale. Diverso è il fondamento del danno non patrimoniale nel caso di inadempimento contrattuale che trova il proprio fondamento normativo nell’art. 1174 c.c. che prevede che la prestazione che forma oggetto della obbligazione …”deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale,del creditore, ammettendone, implicitamente, il risarcimento, indipendentemente dalla sussistenza di un reato e, quindi, il danneggiato da un inadempimento contrattuale potrà sempre richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale contrattuale, indipendentemente dalla sua entità; l’ eventuale antieconomicità di un’azione recuperatoria fungerà da filtro dissuasivo, inducendo il danneggiato a non promuovere giudizi risarcitori se il danno non raggiunge una soglia minima, ma, in termini generali ed astratti, qualunque danno, a seguito di violazione contrattuale, sia patrimoniale che non patrimoniale, ove provato dovrà essere risarcito. Costituisce,ad esempio, danno risarcibile, anche con la class action,introdotta dalla legge finanziaria del 2008, per un 11 Cass. civ., 21.10.2005, n. 20355 pendolare, il continuo ritardo dei treni, le soppressioni di corse, le carrozze eccessivamente affollate, la sporcizia dei treni, trattandosi di lesione di contenuto contrattuale del viaggiatore che, avendo stipulato un contratto di trasporto, ha diritto da parte delle Ferrovie al rispetto dell’orario ed a viaggiare in condizioni di “normalità”. Produce un effetto antisociale ed antieducativo negare ogni pretesa risarcitoria, lasciando a carico del danneggiato e non del danneggiante il danno subito, ancorché di non rilevante valore economico, in quanto disincentiva quest’ultimo dal porre in essere le opportune misure riparatrici al proprio comportamento illecito. 2) Prova del danno morale e criteri risarcitori Connessa al riconoscimento del danno morale è la tematica relativa alla sua prova e al criterio di liquidazione, dovendosi accertare se, trattandosi di danno “evento”, conseguente alla accertata lesione di un diritto fondamentale dell’individuo, ne vada riconosciuta “la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale” (cfr in tema di danno biologico, Corte Cost., 14.7.1986, n. 184), oppure se occorra comunque, fornire la prova di tale danno. Si ritiene che anche il pregiudizio di natura morale deve essere quantomeno allegato e solo previa puntuale indicazione potrà essere ritenuto sussistente anche in forza di presunzione. Il riconoscimento del danno non patrimoniale anche in mancanza di fatto reato non significa che tale danno vada liquidato automaticamente, occorrendo la prova del pregiudizio areddittuale richiesto. Prescindendosi dalla prova delle altre voci di danno non patrimoniale (biologico ed esistenziale), anche il danno morale necessità, ai fini della liquidazione, della prova del relativo pregiudizio, potendo pur sempre il giudice far ricorso alla prova presuntiva, soprattutto in caso di lesioni fisiche, da cui trarre le conseguenza in ordine alle sofferenze subite dal danneggiato; pertanto potranno ritenersi presuntivamente le alterazioni, quale diretta conseguenza dell’illecito, rientranti nella sfera morale del danneggiato, solo in presenza di puntuali allegazioni.12 La prova per presunzione è, infatti, “mezzo di prova non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella cerchia delle prove, cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva”.13 Va anche considerato che “la Costituzione europea colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art.II-61), dotata di inviolabilità e di garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art.II-107)“ ricollegando “la tutela del danno morale alla integrità morale della persona”.14 Naturalmente in fatto di danno morale occorrerà fare puntuale applicazione da parte del giudice del principio di ragionevolezza e ritenere, ad esempio provate, anche in base alla comune esperienza, oltre che a presunzioni, circostanze che non siano adeguatamente contrastate da altre prove contrarie.15 Trattandosi di un danno di natura interiore, areddituale, evidenti sono le difficoltà di prova di un pregiudizio di difficile esteriorizzazione anche a fini risarcitori. Diverso è il caso ove il danno morale venga richiesto in mancanza ed a prescindere da lesioni fisiche, come nel caso di alterazioni psichiche o fatti di valenza pregnante quale illecito civile o penale, come, ad esempio, nella diffamazione. 12 È stata ritenuta sufficiente, ai fini della liquidazione del danno morale la prospettazione del turbamento psichico nei soggetti coinvolti nella diffusione di sostanze tossiche, in relazione alla notorietà di determinati eventi quali concorrenti nell'integrazione della prova dell'esistenza del danno morale, il quale può essere risarcito anche in assenza di un danno biologico o di un altro evento produttivo di danno patrimoniale. CACACE, Seveso e 5000 euro di paura (commento a Trib. Milano. I 9 .6.2003), in Danno resp., 2004, fasc. 75. 13 Cass. civ., S.U., 24.3.2006, n. 6572, CASS. CIV.,, 12.6.2006, n. 13546. 14 Cass. civ., 12.7.2006, n. 15760, Cass. civ.,, S. U., 26.1.2004, n. 1338, Cass. civ., 12.12. 2003, n. 19057. 15 Cass. civ., 30.10.2007,n. 22884 Il criterio risarcitorio fin adesso adottato ha considerato il danno morale, quale pregiudizio pseudopermanente, mentre tale categoria del danno morale va rimeditata in quanto solitamente, soprattutto nelle lesioni di non rilevante entità (c.d. micropermannete), non solo non si ravvisa alcuna diminuzione dell’efficienza fisica duratura, ma anche le altre compromissioni non patrimoniali, compreso il danno morale, svaniscono in un arco temporale abbastanza breve. Tale è il motivo per cui la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 233/07, ha definito tale danno “transeunte”. Il significato di tale termine, non usuale nel nostro lessico, è “transitorio, fugace, passeggero, effimero, provvisorio, precario, temporaneo”, mentre il suo opposto è “permanente, immanente, stabile, fisso, perpetuo, eterno”. Il danno morale, va, quindi, risarcito, quale pregiudizio transitorio, per l’arco temporale, variabile, anche ampio, in cui si manifesta, senza alcuna altra “aggiunta”.16 Diverso è il caso in cui le ripercussioni di natura morale siano ritenute permanenti in relazione alla entità e gravità dell’illecito. La lesione di un diritto costituzionale non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno, anche senza necessità di prova specifica, poiché la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, essendo ritenersi necessaria la prova ulteriore del verificarsi del danno. Anche per il c.d. danno parentale (cioè il danno subito dai parenti della vittima), la generale enunciazione di cui all’art. 2697 cod. civ., in materia di onere della prova del danno presupponre che, ancorché il diritto sia riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, il pregiudizio vada riconosciuto quando risultino, quantomeno, allegate le alterazioni specifiche dell’aspetto interiore della persona lesa quale conseguenza del fatto illecito altrui, da cui il giudice può desumerne, in base al suo prudente apprezzamento, elementi di prova anche in via presuntiva. L’orientamento ritenente che la prova della lesione di un diritto costituzionale sia anche prova del danno, deve ritenersi ormai superato nel senso che la lesione non è mai “in re ipsa, in quanto la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, essendo necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno; anche la violazione di un diritto fondamentale attinente alla persona non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno, senza necessità di prova. Non si richiede, né potrebbe ipotizzarsi, una prova rigorosa di un pregiudizio interiore ma la specificazione delle alterazioni di natura morale, di cui si chiede il ristoro e la prova, soprattutto quando si tratta di conseguenza normali della tipologia di eventi, può essere agevolata facendo ricorso alle presunzioni semplici, ai “fatti notori”, alle massime di “comune esperienza”. In precedenza, una volta accertata la lesione fisica, il risarcimento del danno morale conseguiva quasi automaticamente, mentre oggi, anche per non creare disparità in ordine alla prova del danno non patrimoniale, i principi elaborati al riguardo dalla Corte di cassazione per il danno esistenziale e biologico, vanno estesi anche al danno morale, trattandosi, in tutti i predetti casi, di danno non reddituale. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sull’onere della prova del danno esistenziale chiariscono che tale pregiudizio “essendo legato indissolubilmente alla persona e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la uniformità dei criteri medico-legali applicabili in 16 La lesione di valori della persona umana protetti dalla Costituzione, o da leggi speciali, o da norme imperative sui diritti umani, conseguente a fatto illecito, costituisce danno diretto non patrimoniale, risarcibile a norma dell'art. 2059 cod. civ. con valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 cod. civ.), perché il rinvio recettizio di detta norma "ai casi determinati dalla legge" non concerne soltanto l'ipotesi del danno morale soggettivo derivato dal reato, Cass. civ., 7.11.2003, n 16716, Arch. giur. circ.sin., 2004, 260. relazione alla lesione dell’integrità psico-fisica, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita”. 17 È necessaria l’allegazione puntuale “sull’oggetto e sul modo di operare dell’asserito pregiudizio, non potendo (il giudice) sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell’atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta” e solo in presenza di tali puntuali indicazioni, il giudice può ritenere presuntivamente le alterazioni rientranti nella sfera del danno esistenziale quale diretta conseguenza dell’illecito nella sfera 18 personale del danneggiato. Le medesime argomentazione vanno trasmodate anche alla prova del danno morale, valutando che il principio dell'onere della prova non implica che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte dal danneggiato, ben potendosi utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo. 19 Nel vigente ordinamento processuale vige, infatti, il principio di acquisizione secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro e, quindi, senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte.20 Occorrerà, naturalmente, prestare attenzione alle prove, soprattutto testimoniali, richieste in tema di prova del danno morale, soprattutto quando i testi a riprova delle alterazioni morali, sono familiari e amici, mentre il danneggiante, nella stragrande maggioranza dei casi, non è in grado di indicare testi a prova contraria, pur dovendosi considerare che sono proprio gli amici e i familiari le persone in grado di riferire delle ripercussioni dell’illecito nella sfera interiore del danneggiato. L’utilizzo delle presunzioni semplici, sempre che siano allegate le compromissini subite, appaiono lo strumento di prova più idoneo alla individuazione del pregiudizio morale, soprattutto nel caso di lesioni fisiche da cui individuare, quale logica conseguenza, quelle morali, in quanto le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione. 21 Valutata l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuati i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, il giudizio dell’organo giudicante si risolve in un apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo.22 Il danno morale, può essere riconosciuto in forza di presunzione semplice, “iuris tantum”, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del danneggiante che deve provare la 17 Cass. civ., S.U., 24.3.2006, n. 6572. Il criterio presuntivo per il risarcimento del danno psichico, applicabile anche al danno esistenziale, viene prospettato da MONATERI, Risarcimento e danno presunto verso una teoria del “general damages,in Quadrimestre, 1990, 4. 19 Cass. civ., 11.5.2007, n. 10847. 20 Cass. civ., 11.5.2007, n. 10847; Cass. civ., 25.9.1998, n. 9592; Cass. civ., 16.6.1998, n. 5980; Cass. civ., 24.6.1995, n. 7201. 21 Cass. civ., 11.5.2007, n. 10847. 22 Trattasi di elaborazione della S.C. con riferimento al danno esistenziale, applicabile anche al danno morale, sussistendone la eadem ratio Cass. civ., 11.5.2007, n. 10847; Cass. civ., 16.10.2005, n. 23079; Cass. civ., 21.10.2003, n. 15737. 18 inesistenza del pregiudizio lamentato in quanto, ad esempio, la perdita del congiunto (coniuge o genitore) può “non determinare conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva laddove rimangano garantite quelle economiche..., fornendo la dimostrazione di rapporti deteriorati, convivenza “forzata” “separati in casa”. 23 Non è previsto nel nostro ordinamento alcun danno di natura oggettiva, risarcibile indipendentemente dalla sua prova, né alcuna presunzione di danno e la tutela accordata alla lesione di valori costituzionali non può legittimare l’esclusione della prova del danno. Occorre, quindi, fornire la prova del danno morale che, ancorché riconducibile, come il danno esistenziale, alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, va riconosciuto quando risultino, quantomeno, puntualmente allegate le alterazioni specifiche dell’aspetto morale interiore della persona lesa quale conseguenza del fatto illecito altrui. Tre sono, in estrema sintesi, le considerazioni che inducono a ritenere necessaria la prova del danno morale:1) evitare disparità trattamento con gli altri danni non patrimoniali areddittuali, conseguenti a violazioni di diritti costituzionalmente garantiti; 2) tutela del diritto al contraddittorio da parte del danneggiante che deve essere in grado di conoscere le richieste risarcitorie del danneggiato per potersi difendere in giudizio da pretese giudicate infondate o eccessive; 3) possibili diverse conseguenze in relazione a pregiudizi di valenza simile. Va, infatti, considerato che ciascun individuo ha una propria personalità, diversa da ogni altro soggetto e, quindi, anche le conseguenze collegate a fatti illeciti di valenza simile potrebbero essere diverse, sotto il profilo della concreta incidenza nella sfera morale del soggetto leso. Non può infatti, escludersi che il fatto illecito possa non provocare, per ragioni peculiari o contingenti legati alla sfera soggettiva del soggetto leso o alle particolari situazioni ambientali, alcun danno concreto nella sfera morale del danneggiato, facendo riferimento anche allo “stato 24 preesistente” del soggetto, in riferimento alla sua struttura psichica. Lo svuotamento di contenuto dell’art. 2059 cod. civ. è la principale critica mossa alla sentenza della Consulta n 233/03, evidenziandosi una illegittima interpretazione abrogans dello norma, che, in concreto, non troverebbe mai applicazione riconducendosi sempre le lesioni fisiche subite da un soggetto sub art 32 Cost. e quelle esistenziali, sub art. 2 Cost. Non essendo evidentemente possibile tuttavia una interpretazione abrogans che svuoti completamente di contenuto l’art. 2059 cod civ., negandone l’applicazione e abrogandolo di fatto, vano individuati i limiti di applicazione di tale norma non essendo incondizionata la risarcibilità del danno non patrimoniale in mancanza di reato ma ancorata al principio cardine della sussistenza della lesione di un diritto tutelato dalla Costituzione, occorrendo individuare la lesione di un diritto costituzionalmente garantito, senza che rilevi che tale diritto sia fondamentale o meno, in quanto tale doppia categoria ha la funzione di privilegiare, in caso di contrasto tra diritti, entrambi previsti dalla nostra Carta costituzionale, quello ritenuto fondamentale, senza per questo delegittimare gli altri diritti, soprattutto nel caso in cui non vengano in rilievo più violazioni di diritti Costituzionalmente garantiti.25 Il danno alla salute non può essere definito “bagatellare” e, quindi, ne va assicurata la tutela, anche costituzionale, ogni qual volta viene leso tale diritto fondamentale, con esclusione delle situazioni di 23 Cfr Cass. civ.,, 12.6.2006, n. 13546, cit.; Cass. civ., S.U., 24.3.2006, n. 6572. Occorra sempre accertare la personalità di base del soggetto leso anteriore all’evento traumatico, TOPPETTI, Il danno psichico nell’ordinamento italiano e nell’esperienza dei paesi di Common law, in questa Rivista., 1999, 1597. 24 25 In senso contrario si sostiene che “il danno non patrimoniale si identifica necessariamente col danno alla persona, onde esso si pone necessariamente in relazione con interessi indisponibili, quegli interessi che l’art. 2 Cost. richiama,senza però individuarli e senza dare alcun criterio di individuazione, tale non essendo l’espressione <<diritti inviolabili>>, GAZZONI, L’art. 2059 c.c. e la Corte Costituzionale:la maledizione colpisce ancora, in questa Rivista, cit., 1292. valenza minima, in cui la compromissione della salute è da ritenersi insignificante e non rilevante sotto il profilo del valore dell’uomo, sociale ed economico. 26 La prova, come già evidenziato, non deve essere particolarmente rigorosa, ove trattasi di conseguenze morali c.d. “normali” in presenza di un determinato evento. Così, ad esempio, in tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima - nella specie, figlio e nipoti conviventi con la donna deceduta a causa di un investimento stradale -, non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzione. La prova del danno morale è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di 27 frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora la vittima era in vita. Il danno morale, così come il danno esistenziale, danno esistenziale può anche essere differente da soggetto a soggetto in ragione della c.d. “risilienza” del danneggiato, cioè della sua capacità di reagire agli stress ed alla situazioni negative in generale.28 In presenza di danni simili anche il danno morale potrà avere incidenza diversa tra danneggiati da eventi simili e potrà essere liquidato un importo diverso, in base alla diversa incidenza dell’illecito in soggetti con struttura psichica differenziata e con tasso di “resilienza” diverso.29 Non tutti i soggetti hanno, infatti, le stesse reazioni e la stessa resistenza di fronte ad avvenimenti psico-stessanti, infatti alcuni individui riescono a sopportare e superare senza traumi permanenti situazioni psichiche anche di intensa sofferenza, mentre altri, di equilibrio instabile, risentono negativamente di tali situazioni, con conseguenze diverse anche sulla alterazione della qualità della vita che può variare da soggetto a soggetto.30 Il risarcimento di tale danno viene determinato col criterio equitativo puro o vincolato discrezionalmente ad una percentuale del danno biologico.31 26 Evidenzia che “ la lieve entità delle compromissioni riportate (siano esse relative alla sfera morale che a quella esistenziale) dispiega i suoi effetti esclusivamente sul piano del quantum: in effetti se la scarsa importanza sul piano quantitativo non ha mai costituito un ostacolo al ristoro delle conseguenze di carattere patrimoniale, non si vede perché una simile selezione debba scattare per i riflessi non patrimoniali, assicurando, così, al patrimonio, una maggiore rilevanza - sul piano aquiliano - di quella garantita alla persona”, ZIVIZ, Brevi riflessioni sull’ingiustizia del danno non patrimoniale (commento a Cass. civ., 19.8.2003, n. 12124, Appello Milano11.11.2003), in Resp. civ. prev., 2004, 1341. 27 Cass. civ., 11.05.2007, n. 10823 28 Per una definizione di “risilienza”, OLIVERIO FERRARIS, La Forza d’animo, Milano, 2003, 20. 29 Gli effetti sconvolgenti di alcune menomazioni giustificano, infatti,un profondo turbamento ed obbligano ad affrontare situazioni nuove in cui le risorse psicologiche individuali sono messe alla prova: gli effetti e le ripercussioni a livello mentale non possono, dunque, in nessun caso, essere generalizzate, PUTTI, il danno psichico nell’ordinamento italiano e nell’esperienza dei paesi del Common Law, in Resp. Civ. prev., 1998, 1593. Si afferma che “colui che ha un alto tasso di risilienza supera più facilmente le avversità, al pari di chi ha un più forte sistema immunitario e supera più facilmente le malattie, avrebbe diritto ad un risarcimento modesto, ma questo è l’inevitabile e perverso esito del ragionare in termini di compensazione rispetto al peggioramento della qualità della vita, parallelamente al peggioramento del patrimonio, in caso di danno patrimoniale”, GAZZONI, cit., 1316. 30 Per un approfondimento di tale concetto, CENDON, Non di sola salute vive l’uomo, cit., 220; ZIVIZ, La tutela risarcitoria della persona. Danno morale e danno esistenziale, Milano, 1999, 32. 31 Venendo in gioco una equità cosiddetta formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, nel giudizio di equità da parte del giudice di pace, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 cod. civ., sia pure nell'interpretazione costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il giudice di pace, nell'ambito del solo giudizio di equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (sia pure attraverso presunzioni, secondo i principi generali) il pregiudizio subito (essendo da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una conseguenza automatica dell'illecito). Il Giudice di pace, per lo stesso principio di non vincolatività della norma ordinaria sostanziale, può ritenere di non liquidare il danno morale soggettivo anche in ipotesi in cui astrattamente lo stesso sia risarcibile a norma dell'art. 2059 cod. civ., se a questa conclusione porta il principio di equità elaborato per la decisione della fattispecie concreta. Resta invece escluso che il giudice di pace, nel giudizio secondo equità, possa ritenere non risarcibile il danno non Anche il danno morale non si sottrae alla valutazione equitativa, ai sensi dell’ art. 1226 cod. civ, per le difficoltà di una sua precisa quantificazione,insita nella natura stessa di tale danno e nella funzione risarcitoria, compensativa di un pregiudizio non economico. È stata, anche, ritenuta legittima l’utilizzazione dei criteri tabellari predisposti per il danno biologico assumendo come parametro il valore medio per punto calcolato sulla media dei precedenti in virtù delle c.d. “tabelle” presso l'ufficio giudiziario, purché il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi "personalizzato", tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, ciò ad evitare che possa giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie.32 Sono, quindi, utilizzabili anche parametri tabellari, rispettando il principio della personalizzazione, tra cui anche quello dell'approssimazione al loro ammontare, anche se le tabelle sono state elaborate per la stima del danno biologico, che consiste nella lesione dell'integrità psicofisica, mentre il danno morale è costituito dalla lesione dell'integrità morale.33 Infatti il danno morale, che attiene alla lesione della integralità morale della persona umana, è ontologicamente autonomo rispetto al danno biologico, e pertanto non può essere considerato come un "minus" rispetto ad esso, con la conseguenza che la quantificazione automatica del danno morale come quota del danno biologico al quale il primo si accompagna è illogica e potenzialmente riduttiva.34 Occorre, quindi adeguare l'importo liquidato alla reale gravità dell'illecito, tenendo conto delle sofferenze effettivamente patite dall'offeso e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto, senza ricorrere a meri automatismi. Ne consegue che il ricorso da parte del giudice di merito per la determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno biologico, così come del danno morale, al criterio del punto di invalidità è legittimo solo se il giudice abbia mostrato, per quanto con motivazione sintetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo. 35 La liquidazione del danno morale, “non appartiene all’arbitrio del giudice, ma alla sua prudente discrezionalità che è circostanziata e che considera le condizioni della vittima e la natura permanente del danno, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integralità della famiglia naturale o legittima, ma solidale in senso etico prima che giuridico”; la Corte evidenzia inoltre che “non a caso il criterio generale dell’art. 1226 usa la parola “preciso ammontare” per indicare la tendenza a rendere totale il ristoro satisfattivo, nella valutazione di prudente discrezionalità”.36 patrimoniale da lesione di un valore della persona costituzionalmente protetto, poiché in questo caso sarebbe violata la norma costituzionale di riferimento, al rispetto della quale egli è, in ogni caso, tenuto. Cass. civ., 18.11.2003, n. 17429. in Resp. civ. prev., 2004, 653, con nota di IRTI. 32 Cass. civ., 21.9.2007,n. 19493 ;Cass. civ.,14.06.2007, n. 13953 33 Cass. civ., 12.07.2006, n. 15760 cit.; la S.C. ha cassato la sentenza di appello, rilevando che le tabelle milanesi, essendo quelle statisticamente maggiormente testate, orientano in modo statisticamente più egualitario delle tabelle del tribunale di Messina, indicando un criterio generale di valutazione adottabile per arrivare ad una valutazione dell'"ammontare preciso" del risarcimento; nella fattispecie la Corte d'appello in relazione a un sinistro avvenuto in Taormina aveva riformato la sentenza di primo grado, la quale aveva fatto applicazione delle tabelle del tribunale di Milano, "perché prive di generalità e di certezza” 34 Cass. civ.,,23.05.2003, n. 8169. 35 Cass. civ., 13.01.2006, n. 517, La S.C., in tale ultima sentenza, ha cassato la sentenza di merito che, nel liquidare il danno morale subito dai familiari della vittima di un infortunio aveva fatto automatico riferimento alla somma liquidata dall'ente previdenziale quale costo dell'infortunio stesso, praticando su di essa un abbattimento percentuale senza in alcun modo motivare la rispondenza della somma ottenuta ad una liquidazione "personalizzata" del danno. 36 Cass. civ., 11.7.2006, n. 15760, cit. Il giudice, ai fini della quantificazione del danno morale deve far sempre ricorso alla “prudente discrezionalità” ed al “criterio informatore della personalizzazione”, considerando anche l’entità del danno morale nella scala di valori oscillante tra il “lieve, grave, gravissimo” che giustifichi la traduzione “in un congruo equivalente economico, paragonato a tale entità”.37 Rileva, significativamente, la Corte di Cassazione che “dal punto di vista del danno morale parentale non conta che il figlio sia morto a Taormina...a Gallarate…o a Roma, nel quartiere dei Parioli o alla sua periferia,…conta la morte in sé ed una valutazione equa del danno morale che non discrimina la persona e le vittime primarie o secondarie né per lo stato sociale, né per il luogo occasionale della morte”.38 Il danno morale può essere riconosciuto sia iure hereditatis che iure proprio anche nel caso di grave invalidità della vittima e, in base ai principi generali, va data la relativa prova, anche mediante presunzioni, ma sempre in base alle allegazioni di parte.39 Deve essere integralmente risarcito il danno morale parentale per la morte dei congiunti mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia, naturale o legittima, ma solidale in senso etico.40 In aggiunta al danno morale soggettivo liquidato agli eredi per la morte del proprio congiunto, può essere riconosciuto anche il danno morale parentale, senza che possa ravvisarsi duplicazione di risarcimento, ma il giudice, essendo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, deve considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazioni del risarcimento, e deve assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento.41 Domenico Chindemi 37 Cass. civ., 2.3.2004, n. 4186. Cass. civ., 11.7.2006, n. 15760, in questa Rivista, 2006, 2057, con commento di CHINDEMI, Danno morale tanatologico: estensione del risarcimento ai “nuovi parenti” e riconoscimento del diritto alla vita. 38 39 Si è, tuttavia rilevato che In tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima - nella specie, figlio e nipoti conviventi con la donna deceduta a causa di un investimento stradale -, non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzione. La prova del danno morale è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora la vittima era in vita. Cass. civ., 11.05.2007, n. 10823 40 Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è legittimo, purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo, Cass. civ., 9.11.2006, n. 23918, in questa Rivista, 2007, 284. La S.C., relativamente a una giovane donna danneggiata da inadeguato intervento chirurgico per enucleazione di adenoma mammario, ha confermato la sentenza di merito che aveva liquidato il danno morale nella misura della metà del danno biologico, adottando la frazione più alta contemplata dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma. Evidenzia il disordine con il quale nei diversi Tribunali viene "monetizzato" il punto di danno biologico INTRONA, Ancora un tentativo per rendere omogenea la liquidazione economica del danno biologico (la proposta ISVAP del 1999), in Riv. it. med. Leg. 1999, 1383. 41 Cass. civ.,, 31.05.2003, n. 8828, cit.