Factoring e cessione crediti

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Factoring e cessione crediti
Factoring e cessione crediti
15/08/2004
Sono circa 20 mila le imprese che affidano a terzi il servizio di riscossione. Lo
strumento in dettaglio. Italia al 2° posto nel mondo per la gestione esterna dei
crediti
Factoring da 120 miliardi di euro
Crediti d'impresa in outsourcing per 120 miliardi di euro.
Questo il volume d'affari annuale del factoring in Italia che con circa 20 mila
aziende utilizzatrici del servizio si configura, per volumi, come il secondo
mercato al mondo dopo la Gran Bretagna (dati Assifact, associazione italiana
delle società di factoring).
Il factoring è un servizio destinato a soddisfare le esigenze di finanziamento e
di gestione dei crediti commerciali da parte delle imprese.
Consiste in un rapporto contrattuale continuativo tra due soggetti (il cedente e
la società di factoring) in cui il primo cede al secondo i propri crediti
commerciali, affinché quest'ultimo si occupi della riscossione.
Nella normalità dei casi la società di factoring, prima della scadenza e della
riscossione, anticipa le somme relative ai crediti ceduti, percependo, oltre alla
commissione del factoring, gli interessi relativi all'anticipo: in questi casi il
factoring è con accredito anticipato e assume la funzione anche di
finanziamento.
In alcuni casi accade che l'anticipazione delle somme da parte della società di
factoring non avviene e le somme vengono accreditate dopo la scadenza (il
cosiddetto factoring con accredito a scadenza): in questi casi il contratto di
factoring assume solo la funzione di gestione dei crediti.
Il contratto di factoring
I requisiti che devono avere le cessioni di credito cui si applica la legge sul
factoring - la n. 52/1991 - sono i seguenti:
a) il cedente deve essere un imprenditore;
b) i crediti ceduti devono sorgere da contratti stipulati dal cedente
nell'esercizio dell'impresa;
c) il cessionario deve essere una banca o un intermediario finanziario
disciplinato dal Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui
oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti d'impresa.
I crediti possono essere ceduti anche in massa e quantunque non ancora
esistenti. Tuttavia, i contratti dai quali sorgeranno i crediti futuri dovranno
essere stipulati in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi.
Ai fini della determinatezza dell'oggetto del contratto, è necessario che venga
indicato il nome del debitore ceduto.
La società di factoring deve, da parte sua, gestire e incassare i crediti ceduti e
liquidare il relativo importo secondo le modalità pattuite, nonché tenere
informato il creditore-cedente della gestione dei crediti.
Inoltre, la società di factoring deve assumere, per i crediti approvati, il rischio
d'insolvenza del debitore-ceduto accreditando al fornitore-cedente il relativo
importo entro 150-210 giorni dalla data della scadenza. L'approvazione dei
crediti viene data dal cessionario per iscritto controfirmando l'apposita richiesta
redatta dal fornitore-cedente.
Potrà essere data per singoli crediti o sino alla concorrenza di un determinato
ammontare e potrà essere revocata dal cessionario in qualsiasi momento
dandone comunicazione scritta al fornitore.
Factoring pro soluto
La cessione dei crediti può avvenire pro soluto (factoring in senso proprio),
mediante cui la società di factoring acquista i crediti dal cedente senza diritto
di rivalsa nei confronti di quest'ultimo in caso di insolvenza dei debitori. In
questo caso, il contratto di factoring acquista la funzione ulteriore di
assicurazione dei crediti che si cumula con quella di gestione dei crediti e può
aggiungersi a quella di finanziamento.
La cessione dei crediti pro soluto realizza, di norma, una perdita fiscalmente
deducibile costituita dal cosiddetto sconto, che è pari alla differenza tra il
valore nominale del credito ceduto e il corrispettivo della cessione.
La Corte di cassazione è intervenuta recentemente, con ripetute pronunce,
sulla (in)deducibilità delle perdite su crediti, sancendo che la cessione pro
soluto dei crediti ritenuti inesigibili, non comporta comunque la deducibilità
degli stessi, allorché non siano presenti dati di riferimenti precisi, o procedure
concorsuali comprovatamente in atto, secondo la previsione dell'art. 101,
comma 5, Tuir.
Di conseguenza, la deducibilità della perdita su crediti si realizza solo quando
sussistono entrambe le seguenti condizioni:
- il debitore non paga volontariamente; e
- il credito non risulta attuabile coattivamente, attraverso gli strumenti che
l'ordinamento mette a disposizione del creditore.
Per contro, se il creditore resta inerte nella titolarità del suo credito, non
esistono elementi ´certi' per configurare una perdita fiscalmente rilevante.
Infatti, il fatto costitutivo del diritto alla deducibilità della perdita riguarda sia
l'an (il verificarsi della perdita dovuta alla inesigibilità del credito), e sia il
quantum (l'entità della perdita).
Così, il contribuente dovrà dimostrare:
- in primo luogo, come e perché si è verificata una perdita, ´non potendosi
accettare l'idea che si può parlare di perdita a fini fiscali nelle ipotesi in cui il
creditore nulla abbia fatto, nelle forme previste dalla legge, per esercitare il
suo diritto di credito, e abbia nella sostanza tenuto un comportamento
remissivo o liberale';
- in secondo luogo, che la perdita è divenuta definitiva in quella tale misura.
In altre parole, la cessione pro soluto dimostrerebbe unicamente il quantum
della perdita (ie, l'entità), mentre l'an della perdita dovrebbe comunque essere
dimostrato tramite l'esperimento delle procedure concorsuale o ogni mezzo di
prova utilizzabile nel processo tributario.
Factoring pro solvendo
In alternativa, la cessione dei crediti può avvenire pro solvendo (factoring in
senso improprio), mediante cui il cessionario acquista i crediti dal cedente con
diritto di rivalsa nei confronti di quest'ultimo in caso di insolvenza dei debitori.
La cessione pro solvendo dei crediti non realizza una perdita su crediti
fiscalmente deducibile, in quanto i crediti non sono mai definitivamente usciti
dalla sfera giuridico-patrimoniale del cedente, con la conseguenza che non si
sono verificati gli elementi certi e precisi che devono caratterizzare le perdite
su crediti.
La Cassazione ha affermato, tuttavia, che i crediti ceduti pro solvendo
rientrano nella base su cui calcolare l'accantonamento al fondo rischi su crediti
nella misura dello 0,50%, in quanto l'impresa può essere escussa in via di
regresso nel caso di insolvenza del debitore ceduto. Nel dettaglio:
1) nel caso di cessione pro solvendo, il cedente è soggetto alla retrocessione
del credito in caso di mancato pagamento da parte del debitore ceduto;
2) un doppio accantonamento deve ritenersi legittimo: la società cedente e la
società cessionaria sopportano un autonomo rischio lo stesso credito;
3) l'iscrizione del rischio di regresso nei conti d'ordine corrisponde all'iscrizione
del credito in bilancio, essendo i conti d'ordine un elemento integrante dello
stato patrimoniale in calce al quale vanno indicati (art. 2424, ultimo comma,
c.c.).
Secondo la Cassazione è aderente alla ratio della norma fiscale dare rilievo ´al
rischio che è inerente all'operazione di sconto', anziché ´al fatto formale della
titolarità del credito'. Infatti, secondo la Cassazione, in caso di cessione pro
soluto, nessun problema di accantonamento per rischi su crediti si pone,
ritenendosi in tal caso il cessionario soddisfatto con la cessione; mentre a
diverse conclusioni si perviene nell'ipotesi di cessione pro solvendo, nella quale
il cedente è soggetto alla retrocessione del credito in caso di mancato
pagamento da parte del debitore ceduto.
Così, ´deve ritenersi legittimo l'accantonamento per rischi su crediti non solo
da parte del loro titolare (su cui grava il rischio d'insolvenza del debitore
ceduto e del cedente), ma anche da parte di chi creditore può diventarlo'. Si
tratta in sostanza di un doppio accantonamento che è giustificato dall'esigenza
di coprire i rischi sopportati da più soggetti per un solo credito.
ItaliaOggi Sette
Luca Dezzani
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