comportamento imitativo e disconnessione interemisferica

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comportamento imitativo e disconnessione interemisferica
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Scuola di Dottorato della Facoltà di Medicina
10° ciclo, n.s. Anno 2009
Curriculum Neuroscienze
Tesi di Dottorato
COMPORTAMENTO IMITATIVO E
DISCONNESSIONE INTEREMISFERICA
Coordinatore:
Chiar.mo Prof. Fiorenzo CONTI
Tutor:
Chiar.ma Prof.ssa Mara FABRI
Dottoranda:
Dott.ssa Chiara PIERPAOLI
Triennio 2009-2011
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COMPORTAMENTO IMITATIVO
E
DISCONNESSIONE INTEREMISFERICA
PARTE 1. L’imitazione …………………………………………………………..3
1.1. Cenni introduttivi al comportamento imitativo ………………………………3
1.2. Le teorie dell’imitazione ………………………………………………..........9
1.3. I meccanismi neurali dell’imitazione: il Sistema dei Neuroni Specchio …...16
1.4. La Teoria della Mente ……………………………………………………....26
1.4.1. Assunzione di prospettiva ………………………………………... 30
1.4.2. Rotazione mentale ………………………………………………...34
1.5. Sviluppo cerebrale e corpo calloso ……………………………………........36
PARTE 2. Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica …...........40
2.1. Presupposti ed obiettivi dello studio sperimentale ……………………….....40
2.2. Partecipanti ………………………………………………………………….43
2.3. Stimoli …………………………………………………………………........46
2.4. Protocollo comportamentale …………………………………………..........49
2.5. Analisi statistica ……………………………………………………….........51
2.5.1. Analisi statistica per il gruppo di soggetti di controllo …………...52
2.5.2. Analisi statistica per il gruppo di pazienti callosotomizzati ………55
2.6. Discussione dei risultati dello studio sperimentale …………………………59
PARTE 3. Conclusioni e prospettive future ………………………………..........63
Bibliografia ………………………………………………………………….......73
Ringraziamenti …………………………………………………………………..82
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PARTE 1.
L’imitazione
1.1. Cenni introduttivi al comportamento imitativo
Il fenomeno dell’imitazione è oggetto di studio di innumerevoli discipline,
quali la psicologia sociale, la psicologia cognitiva, la psicologia dello sviluppo,
così come le neuroscienze cognitive, l’etologia, la primatologia e la robotica
(Hayes, 2001).
Imitare è copiare in modo spontaneo o su istruzione ciò che viene
osservato compiere da un altro individuo (Mühlau et al. 2005), o parafrasando
Meltzoff e Moore (1997), è riprodurre il comportamento di un altro individuo che
funge da modello. Un atto di imitazione contempla la presenza di almeno 2
variabili: un soggetto che imita, ed un oggetto-target di imitazione. Queste due
variabili possono correlarsi in vari modi; basti pensare a colui che si appresta a
riprodurre i movimenti di un insegnante di danza (caso 1). In questo specifico
caso, il “soggetto che imita” è un soggetto che osserva un “oggetto-target di
imitazione” (un insegnante), compiendo un atto di apprendimento, alla luce di un
atto di volontà. Si è quindi consapevoli di imitare qualcuno, perché motivati ad
apprendere.
Diversi, a mio avviso, sono i casi in cui:
 (caso 2) un neonato, di fronte ad un adulto che compie movimenti facciali,
ne riproduce le espressioni;
 (caso 3) un bambino, con l’attività del gioco, ripropone eventi di vita
vissuti in famiglia (giocando il ruolo del padre o della madre, ad esempio).
Nel caso dell’allievo che si appresta a riprodurre i movimenti
dell’insegnante di danza, il fenomeno dell’imitazione è strettamente correlato
all’apprendimento. Ciò che distingue questo aspetto (caso 1) del comportamento
imitativo da quello dei successivi esempi sopra esposti (caso 2 e 3), consiste nella
consapevolezza dell’atto stesso dell’imitazione. Il caso 2 è ben interpretabile alla
luce della teoria sull’imitazione così come esposta da Meltzoff e Moore (1977).
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Gli autori ritengono che la capacità apparentemente innata dei neonati di imitare
le espressioni facciali degli adulti sia in realtà conseguente alla loro abilità nel
rappresentarsi contemporaneamente visivamente ed in modalità propriocettiva le
informazioni ambientali, grazie ad un sistema comune di elaborazione delle
informazioni. Il bambino, quindi, grazie ad un meccanismo di matching, di
elaborazione in parallelo tra l’informazione in entrata (visiva) e l’informazione in
uscita (motoria), sarebbe originariamente dotato della capacità di eseguire atti di
imitazione.
Il caso 2 si distingue dal caso 1 perché nell’atto di imitare le espressioni
facciali dell’adulto che ha di fronte, il neonato, a differenza dell’allievo che
apprende a danzare, non è consapevole di ciò che sta facendo, e non viene
contemplato l’intento di apprendere.
Nel caso 3, infine, la spiegazione teorica è riconducibile al fenomeno
dell’apprendimento osservativo, così come esposto da Bandura (1963):
Research on imitation demostrates that, unlike the
relatively slow process of instrumental training, when a model
is provided, patterns of behavior are rapidly acquired in large
segments or their entirety.
(Bandura, 1963, p. 208)
Un esempio riferibile al caso 3 è quello relativo al gioco del bambino.
Attraverso il gioco il bambino riproduce ciò che vede compiere dagli adulti con
cui quotidianamente interagisce, dando dimostrazione di apprendere determinati
comportamenti senza averne consapevolezza né mostrando intenzionalità. Posto
di fronte ad un modello umano (es. un genitore) che esegue atti e verbalizza
osservazioni, il bambino, involontariamente, da esso apprende.
[...] children’s play in which they frequently reproduce
the entire parental role-behavior including the appropriate
mannerisms, voice inflections and attitudes [...].
(Bandura, 1963, p. 206)
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In base a quanto appena esposto, affrontare la questione del
comportamento imitativo rende necessario distinguere tra una forma di imitazione
con finalità di apprendimento, ed una spontanea, o come la definisce Vittorio
Gallese (2005), simulazione incarnata (embodied simulation).
Un apprendimento è una modificazione relativamente stabile del
comportamento che si basa sull’esperienza e che dura nel tempo. Esso non va
confuso con il concetto di maturazione, seppure i due eventi siano strettamente
correlati. L’apprendimento è un processo esperienza-dipendente, in cui i vissuti
dell’individuo possono arrivare ad influenzare le connessioni neurali e le strutture
cerebrali. È funzione dell’adattamento, ovvero un processo attivo di acquisizione
di comportamenti stabili.
L’infanzia è una fase di intenso sviluppo di processi di apprendimento e di
acquisizione di nuove competenze. Per conoscere il mondo, il bambino si avvale
di una tecnica molto semplice, che consiste nell’apprendimento “per prove ed
errori”.
L’apprendimento per prove ed errori è stato studiato da Thorndike (18741949), che utilizzava una gabbia dalla quale dei gatti avevano il “compito” di
uscire. Inizialmente, essi compivano dei movimenti alla “cieca”, fornendo
casualmente risposte giuste e sbagliate. L’animale metteva in atto azioni diverse
(mordere, graffiare parti della gabbia, e premere una leva), senza conoscere a
priori quale fosse quella giusta, ovvero premere la leva. Thorndike notò che le
risposte errate, che non conducevano alla fuga dalla gabbia, venivano pian piano
abbandonate, mentre quelle corrette tendevano ad essere ripetute (legge
dell’effetto e dell’esercizio).
Un modo altrettanto economico per apprendere consiste nel fenomeno a
cui Bandura fa riferimento, cioè osservare ciò che un’altra persona fa e riprodurre
quanto osservato. Fenomeno definito apprendimento per osservazione (o
apprendimento osservativo). L’apprendimento per osservazione è un processo
attraverso cui gli individui imitano azioni, movimenti e comportamenti altrui ai
fini (inconsapevoli) dell’apprendimento di nuove competenze.
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Il bambino acquisisce abilità, valori, schemi comportamentali e una buona
dose di competenza sociale attraverso l’esercizio e quindi l’apprendimento, per il
tramite (consapevole o inconsapevole) dell’adulto che “istruisce” ed insegna.
Quando l’apprendimento è esente dalla sfera della consapevolezza e
dell’intenzionalità, acquistano un’importanza rilevante i modelli, i quali fungono
da rinforzi vicari (vicario in quanto non direttamente esperito dall’osservatore);
comportarsi come il modello, e quindi ottenere i risultati da questi ottenuti diventa
la ricompensa che spinge all’apprendimento del comportamento osservato e alla
sua ripetizione. La natura vicariale del rinforzo è resa possibile dalla cognizione
(Bandura, 1986; 1995; 2002), poiché gli individui possono formarsi un’aspettativa
in base ai propri e altrui comportamenti. Un’aspettativa è la convinzione che
appartiene ad un individuo, e che stabilisce che una determinata conseguenza
seguirà un determinato atto. In altre parole, l’apprendimento osservazionale si
verifica quando, in chi osserva, si manifesta un comportamento dopo aver
osservato quello degli altri. Questo tipo di apprendimento avviene senza alcun
particolare addestramento.
Albert Bandura, personaggio di spicco del Social Learning, introdusse per
primo il concetto di imitazione sotto forma di apprendimento osservativo.
Scrive Bandura, nel 1963:
Although a certain amount of socialization of a child
takes place through [...] direct training, personality patterns
are primarily acquired through the child’s active imitation of
parental attitudes and behavior.
(Bandura, 1963, p. 206)
Nella versione di Bandura, “apprendere” significa osservare un
comportamento altrui e riprodurlo in virtù delle conseguenze che il medesimo
produce.
Differente è il caso 2, meglio argomentabile nell’ottica dell’impostazione
teorica di Meltzoff e Moore ed in quella della Simulazione incarnata (embodied
simulation theory). Tralasciando l’argomentazione di Meltzoff e Moore, che sarà
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trattata nel paragrafo 1.2., il concetto di embodied simulation risponde alla
domanda “in che modo il nostro cervello plasma il nostro agire?”.
Scrive Gallese (2003):
Molto di ciò che accade nel corso dei nostri rapporti
interpersonali sarebbe il risultato della capacità di creare uno
spazio “noi-centrico” condiviso con gli altri. La creazione di
questo spazio condiviso sarebbe il risultato dell’attività di
“simulazione incarnata” (“embodied simulation”), definita a
sua volta in termini sub-personali dell’attività di neuroni che
permettono di mappare sullo stesso substrato nervoso azioni
eseguite ed osservate, sensazioni ed emozioni esperite
personalmente ed osservate negli altri. […]. In altri termini,
l’osservazione di un’azione implica la simulazione della stessa.
(Gallese, 2003, p. 24)
La Teoria della Simulazione incarnata postula l’esistenza di una
“riproduzione automatica, non consapevole e pre-riflessiva, degli stati mentali
dell’altro […]. Le intenzioni dell’altro sono insomma direttamente comprese
perché sono condivise a livello neurale […]. La simulazione incarnata permette
di afferrare immediatamente il senso delle azioni e delle emozioni altrui.”
(Gallese et al., 2006).
Il termine di “simulazione” utilizzato da Gallese nel tentativo di spiegare il
funzionamento del meccanismo che permetterebbe un’immediata ed inevitabile
coincidenza tra Sé e l’Altro, potrebbe indurre in errore se lo si interpretasse
disgiungendolo da uno dei suoi prodotti più prossimi, ovvero l’imitazione.
Occorre a questo punto fare una distinzione tra i concetti di imitazione,
simulazione ed emulazione. Imitare significa riprodurre, nella maniera più fedele
possibile, quanto osservato compiere da un modello. Simulare significa fingere
qualcosa che non esiste nella realtà, riprodurre un fenomeno in modo che sembri
vero. Nel campo scientifico simulare vuol dire manipolare un modello per scopi
conoscitivi. È questo un modo efficace per avvicinarsi alla complessità di un
fenomeno senza produrre conseguenze reali, e quindi, senza che vi sia realmente il
rischio di cadere in errore. L’emulazione, infine, consiste nell’apprendimento di
proprietà ambientali, definite “affordance”. L’affordance, concetto coniato da
Gibson, nel 1977, riguarda il potenziale di utilizzo di uno strumento.
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Nella definizione fornita da Acerbi e colleghi (Acerbi et al., 2011), che
descrivono le differenze tra il comportamento di emulazione e quello di
imitazione, l’emulazione viene definita come la copia dei risultati, degli esiti
ambientali (environmental outcomes) e dei prodotti di un comportamento. Ciò che
accomuna questi tre diversi fenomeni è la presenza di un modello a cui ispirarsi
per produrre un atto, che sarà quindi simile a quello osservato. Si imitano azioni
eseguite con e su oggetti, si imitano gesti, posture del corpo, espressioni facciali, e
sequenze semplici o complesse di movimenti. Quando si osserva qualcuno
eseguire un movimento, un’azione, un atto o un gesto, il cervello umano “simula”
l’azione osservata (Jeannerod, 1994). Questa simulazione starebbe alla base di
sofisticate funzioni cognitive quali la comunicazione (Rizzolatti e Arbit, 1998),
l’apprendimento attraverso
l’osservazione
(Berger
et
al.
1979)
ed
il
comportamento sociale (Gallese e Goldman, 1998).
Il fenomeno dell’imitazione produce un importante interrogativo, meglio
noto come problema della corrispondenza (correspondence problem; Brass e
Heyes, 2005; Pineda, 2008), ovvero un quesito relativo a come si possa utilizzare
l’informazione visiva in modo tale da generare un output motorio il più fedele
possibile allo stimolo-target oggetto dell’osservazione.
[…] how does the imitator know what patter of motor
activation will make their action look like that of the model?
[...] When we observe another person moving we do not
see the muscle activation underlying their movement but rather
the external consequences of that activation. So how does the
observer’s motor system ‘know’ which muscle activations will
lead to the observed movement?
(Brass e Heyes, 2005, p. 489)
Il
meccanismo cerebrale ritenuto responsabile
della
risposta al
correspondence problem prende il nome di Sistema dei Neuroni Specchio (Mirror
Neuron System), una circuiteria neurale che comprende la corteccia premotoria,
alcune aree parietali ed il solco temporale superiore (STS, Superior Temporal
Sulcus), la cui attivazione produrrebbe una corrispondenza tra input visuo-motorio
e output motorio.
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Il contesto all’interno del quale si situa il comportamento imitativo è
quello delle interazioni. Attraverso il comportamento imitativo l’individuo fin dai
primi giorni di vita entra a far parte del complesso delle interazioni umane.
Fin dalla nascita il neonato mostra una chiara tendenza alla socialità,
dimostrandosi responsivo nei confronti dell’agire dell’adulto che si prende cura di
lui. Già nelle prime settimane di vita, il neonato sembra in grado di esibire una
chiara propensione ad interagire con chi si prende cura di lui in modo simile ad
una conversazione, e questo accade in una fase di sviluppo definibile protodialogica, in cui il comportamento imitativo apparterrebbe ad uno stadio di
sviluppo precedente alla genesi dello strumento linguistico. Ed è esattamente sulla
scia della più “spontanea” propensione dell’essere umano a riprodurre eventi
osservati compiere da altri, che fonda le proprie radici la presente indagine. Essa,
che porta il titolo di “Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica”,
si è posta l’obiettivo di indagare il fenomeno per cui un soggetto può scegliere di
riprodurre gesti osservati compiere da altri, ponendosi in una prospettiva di tipo
speculare o di tipo anatomico.
1.2. Le teorie dell’imitazione
Le teorie dell’imitazione offrono due tipi di soluzioni: soluzioni definite
generalist e soluzioni specialist.
Le teorie generalist suggeriscono che l’imitazione sia un fenomeno
mediato da meccanismi generali di apprendimento e da meccanismi di controllo
motorio, mentre le specialist, pur non negando l’importanza dell’apprendimento,
suggeriscono invece che l’imitazione sia una capacità innata (Tab. 1).
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Tabella 1. Teorie dell’imitazione.
Imitation Theories
Generalist Theories
Ideomotor Theory
(IM)
Specialist Theories
Associative Sequence
Learning Theory (ASL)
Active Intermodal
Matching Theory
(AIM)
Tra le impostazioni teoriche generalist, la Teoria Ideomotoria (Ideomotor
Theory) assume un comune bacino rappresentazionale per percezione (input) e
risposta motoria (output). In base a questa impostazione, l’azione non sarebbe la
conseguenza/risposta di/a una stimolazione sensoriale, ma la rappresentazione
dell’obiettivo che il soggetto agente intende perseguire compiendo l’azione. In
base alla Teoria Ideomotoria, quando osservo le conseguenze delle azioni altrui
mobilito le rappresentazioni in mio possesso di quelle azioni che producono i
medesimi risultati. Questo significa che gli obiettivi delle azioni hanno maggior
importanza rispetto ai movimenti eseguiti per produrle. Un esempio per rendere
ragione di questa teoria può essere tratto da uno studio condotto da Bekkering e
colleghi (2000) su un campione di bambini.
Lo sperimentatore ed il bambino sono vis à vis, seduti ai lati opposti di una
scrivania. Nel primo blocco di trial lo sperimentatore posizionava la propria mano
sinistra a sinistra della scrivania (left ipsilateral movement) o a destra della
medesima (left controlateral movement). Nel secondo blocco, posizionava la
propria mano destra a destra della scrivania (right ipsilateral movement) o a
sinistra della medesima (right controlateral movement). Ai bambini veniva
chiesto di fare esattamente quello che faceva lo sperimentatore (“Do what I do”),
ed in entrambi i gruppi di trial i bambini eseguirono bene il compito. Nel secondo
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blocco di trial, veniva introdotta una variazione delle condizioni sperimentali: a
destra e a sinistra del piano della scrivania venivano posizionati dei bollini rossi.
Lo sperimentatore eseguiva i medesimi movimenti previsti nel setting
precedente, ma questa volta, la mano che si muoveva andava a terminare sopra il
bollino. Ai bambini veniva nuovamente chiesto di imitare esattamente quanto lo
sperimentatore eseguiva. In questa condizione, i partecipanti imitarono con
successo i movimenti ipsilaterali, ma compivano errori nell’imitazione dei
movimenti controlaterali, a differenza di quanto avveniva nel precedente blocco di
trial. La presenza del bollino rosso era l’unica differenza che poteva rendere
ragione delle dissimilitudini osservate tra le performance dei bambini al primo e al
secondo blocco di stimolazione. Mentre in assenza del bollino l’azione in sé era
l’obiettivo dell’atto da imitare, nel secondo blocco di stimolazione, era il
raggiungimento di uno specifico target (bollino rosso di destra o di sinistra),
indipendentemente dall’arto usato per raggiungerlo, l’obiettivo dell’atto imitativo.
Con questo esperimento, gli autori ipotizzarono che fosse l’obiettivo di un’azione
all’origine del comportamento imitativo.
La
Teoria
dell’Apprendimento Associativo (Associative
Sequence
Learning Theory; ASL), invece, postula che percezione (input in entrata) ed
azione (input in uscita) abbiano differenti format di rappresentazione. Le
rappresentazioni visive dell’azione si legano alle rappresentazioni motorie
attraverso l’apprendimento. Ogni rappresentazione di un’azione è il risultato, a
sua volta, di due tipi di rappresentazioni: l’uno che codifica per l’informazione
visiva e l’altro che contiene informazioni sensoriali e comandi motori. I due
componenti rappresentazionali si legano per il tramite dell’apprendimento, pur
essendo all’origine disgiunti. In base a questa teoria, come una persona imita
dipende dall’esperienza che ha relativamente all’azione da eseguire. In altre
parole, il modello imitativo proposto dalla Teoria dell’Apprendimento
Associativo suggerisce che l’imitazione sia il risultato di nessi associativi tra
rappresentazioni visive e rappresentazioni motorie, la maggior parte delle quali
sorte per il tramite dell’esperienza e di comuni situazioni ambientali, e solo in
minima parte presenti fin dalla nascita. L’assunto di base di questa impostazione
rifiuta la presenza di un meccanismo funzionale (di ordine neurale) a spiegazione
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del fenomeno dell’imitazione. Sono l’ambiente e l’esperienza a forgiare il
comportamento imitativo, creando associazioni tra rappresentazione visiva e
rappresentazione motoria.
In definitiva, mentre il modello della Teoria dell’Apprendimento
Associativo assume che la rappresentazione visiva sia separata da quella motoria,
ma che insieme vengano a collegarsi per mezzo dell’esperienza, il modello
Ideomotorio suggerisce che i meccanismi funzionali di elaborazione delle
informazioni sensoriali e di quelle motorie seguano un medesimo meccanismo di
processamento.
Delle teorie specialist quella di maggior rilievo è la Teoria del Matching
Attivo Intermodale (Active Intermodal Matching, AIM). In base a questa
impostazione, quando si osserva un movimento con l’intento di imitarlo, la
rappresentazione visiva del movimento viene convertita in una rappresentazione
“sovramodale” che contiene informazioni relativamente alle relazioni tra organi.
Tale meccanismo sarebbe presente sin dalla nascita. Le evidenze relative al fatto
che i neonati siano in grado, fin da poche ore dalla nascita, di imitare alcune
espressioni facciali degli adulti (Meltzoff e Moore, 1983) forniscono supporto al
fatto che il comportamento imitativo non sia il prodotto di un apprendimento, ma
sia di origine innata. A partire dalla fine degli anni Settanta, Meltzoff e Moore
pubblicarono una serie di studi che suggerivano che i neonati fossero in grado di
imitare alcune espressioni facciali (es. protrusione della lingua, delle labbra e
apertura della bocca) fin da poche ore di vita. La teoria proposta da Meltzoff e
Moore (1997), definita Active Intermodal Matching (AIM) suppone quindi che:
The key claim is that imitation is a matching-to-target
process. The active nature of the matching process is captured
by proprioceptive feedback loop. The loop allows infants’motor
performance to be evaluated against the seen target and serves
as a basis for correction. [...] the perceived and produced
human acts are coded within a common (supramodal)
framework which enables infants to detect equivalences
between their own acts and ones they see.
(Meltzoff e Moore, 1997, p.180)
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L’imitazione
ha
un
ruolo
centrale
nello
sviluppo
umano,
nell’apprendimento motorio, nella competenza comunicativa e nell’acquisizione
delle abilità sociali. È un fenomeno complesso, multiforme e non unitario, nonché
di rilevanza sociale e di adattamento dell’organismo all’ambiente.
Il
comportamento imitativo fonda le proprie radici in epoche precoci dello sviluppo
umano. Attraverso l’atto dell’imitazione, il bambino entra in contatto con
l’ambiente esterno, abitato prevalentemente dalle figure di attaccamento
(parentali), riproducendone alcuni fenomeni (Wapner e Cirillo, 1968; Meltzoff e
Moore, 1977, 1983, 1997; Press et al., 2009) in assenza di condizionamento, in
assenza di feedback e di un atto di consapevolezza. Questa iniziale ed originaria
forma di interazione si configura come manifestazione spontanea della tendenza
pro-sociale dell’essere umano.
Meltzoff e Moore sono i massimi rappresentanti di un approccio al
fenomeno dell’imitazione che chiama in causa il concetto di “competenza innata”.
Secondo questi autori, sin dalla nascita, il piccolo di uomo sarebbe in grado di
riprodurre, seppur non del tutto fedelmente, alcuni atti compiuti dagli adulti. In
uno studio composto da due esperimenti, pubblicato nel 1977, Meltzoff e Moore
osservarono che bambini tra i 12 e i 21 giorni di vita erano in grado di imitare
alcune espressioni del viso (Fig. 1) e movimenti delle mani, mostrati loro da un
adulto.
1
2
Figura 1. Fotogrammi dei filmati video che mostrano i gesti di protrusione della lingua (a),
apertura della bocca (b) e protrusione delle labbra (c) mostrati dallo sperimentatore al bambino (1)
e riprodotti dal bambino di 2-3 settimane di vita (2). (Immagine tratta da Meltzoff e Moore, 1977).
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Nel primo protocollo sperimentale, su 6 bambini di età compresa tra i 12 e
i 17 giorni di vita, la prova si apriva con lo sperimentatore che mostrava un viso
passivo, senza espressione alcuna, per la durata di 90 secondi. Dopo questo
periodo definito baseline exposure, gli stimoli successivi, somministrati in ordine
casuale, consistevano nella protrusione delle labbra, l’apertura della bocca, la
protrusione della lingua e movimenti delle dita (aprire e chiudere la mano,
muovendo in maniera sequenziale le dita). Ogni gesto-target veniva presentato 4
volte, per la durata di 15 secondi, e seguito da un periodo di 20 minuti nel quale si
attendeva che il bambino producesse una risposta.
Nel secondo protocollo sperimentale, a 12 bambini di età compresa tra i 16
e i 21 giorni di vita venivano mostrati due dei gesti-target presentati
nell’esperimento precedente: l’apertura della bocca e la protrusione della lingua. Il
protocollo si apriva con lo sperimentatore che permetteva al bambino di tenere in
bocca il succhiotto per i primi 30 secondi; contemporaneamente, lo
sperimentatore mostrava un viso passivo. Il succhiotto veniva quindi rimosso
dalla bocca del bambino per i successivi 150 secondi (baseline period). Dopo
questo lasso di tempo, il succhiotto veniva di nuovo inserito nella bocca del
bambino e nel contempo mostrato il primo gesto della durata di 15 secondi. A
seguire, lo sperimentatore riassumeva l’espressione di viso passivo e toglieva il
succhiotto al bambino. Dopo 150 secondi al bambino veniva ridato il succhiotto e
lo sperimentatore mostrava il secondo gesto. I medesimi eventi venivano prodotti
per ogni stimolo-target. In entrambi gli esperimenti, i bambini tendevano a
riprodurre (imitare) i gesti-target mostrati dall’adulto.
In un articolo dei medesimi autori, del 1983, intitolato Newborn Infants
Imitate Adults Facial Gestures, 40 neonati (dalle 7 alle 71 ore di vita) venivano
valutati nella loro capacità di imitare il movimento di apertura della bocca e quello
di protrusione della lingua. I risultati confermarono l’ipotesi precedente: la
capacità di imitare è disponibile fin dalla nascita e non richiede particolari
esperienze di interazione sociale per manifestarsi. Meltzoff osservò, inoltre, che
alcuni neonati erano capaci di imitare movimenti di rotazione della testa in senso
orario in una situazione faccia-a-faccia, invertendo perciò la direzione reale. E’
chiaro che questo processo è possibile solo se i due partecipanti si trovano l’uno di
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fronte all’altro. Questo tipo di interazione tra Sé e l’altro è tipica nella nostra
cultura, e si manifesta non solo nell’infanzia, ma anche nel dialogo tra adulti.
A differenza di Meltzoff e Moore, l’impostazione di Jean Piaget, padre
dell’epistemologia genetica, ovvero lo studio sperimentale delle strutture e dei
processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello
sviluppo, vuole alla base della costruzione dell’intelligenza nell’uomo la nascita
delle rappresentazioni mentali. In questa prospettiva, il comportamento imitativo
si manifesterebbe solo dopo il primo anno di vita, a seguito di mesi di esperienza
senso-motoria. Fin tanto che non si creano rappresentazioni (immagini) mentali,
non può esserci imitazione. Secondo Piaget, la presenza della capacità di creare
rappresentazioni mentali è inferibile sulla base di un criterio specifico: il carattere
differito della reazione. Deve esserci un intervallo temporale tra il comportamento
che prova l’esistenza di una rappresentazione mentale e l’evento con il quale il
comportamento è stato messo in relazione, perché vi sia imitazione. Una
rappresentazione mentale è “qualcosa che sta per qualcos’altro”, non è
un’immagine fedele di quanto rappresenta, ma una versione economica e stilizzata
dell’ambiente. Attraverso la rappresentazione mentale si evoca qualcosa che non è
presente, una realtà assente.
Piaget definisce l’immagine mentale una “imitazione interiorizzata”,
rinvenendovi una componente motoria e una dimensione simbolica. L’immagine è
simbolo, e resta sempre vincolata alla propria natura simil-sensibile. L’attività
rappresentativa si manifesta a partire dai 18-24 mesi di vita, attraverso una serie di
comportamenti: l’imitazione differita (il bambino conserva una rappresentazione
interna del modello che non è più percettivamente presente), la permanenza
dell’oggetto (il bambino conserva una rappresentazione interna dell’oggetto che
non è più percettivamente presente), il gioco simbolico (il bambino attribuisce
all’oggetto presente le caratteristiche di un oggetto evocato mentalmente) ed il
linguaggio verbale (il bambino usa etichette linguistiche per riferirsi a cose
assenti, rappresentate mentalmente).
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A ben vedere, numerose sono le impostazioni teoriche che riguardano il
fenomeno dell’imitazione. Quella di cui è oggetto il presente lavoro esula dal
campo dell’apprendimento, e non si propone nelle vesti di teoria alternativa o
aggiuntiva, ma nei termini di indagine di un aspetto particolare del “fare”
imitativo: la prospettiva di imitazione.
Se imitare significa osservare il comportamento di un altro, codificare ed
elaborare questa osservazione, ed usare i risultati di questa elaborazione per
produrre una sequenza di comportamenti simili a quella prodotta dal modello,
nell’ordine corretto ed in maniera più fedele possibile, l’aspetto di interesse della
presente indagine si specchia in questa esatta definizione, in cui cenno alcuno
viene fatto in riferimento alle “abilità” di apprendere. Ciò a cui il presente studio
vuole dare rilievo è l’aspetto più immediato del fenomeno dell’imitazione;
registrare le reazioni di soggetti umani a fronte di compiti di imitazione di gesti,
eludendo il coinvolgimento di ulteriori meccanismi, quali la memoria e
l’apprendimento.
1.3. I meccanismi neurali dell’imitazione: il Sistema dei Neuroni Specchio
Gli esseri umani sono costantemente coinvolti in interazioni complesse di
varia natura: cooperano e competono tra di loro, comunicano per scambiarsi
informazioni, acquisiscono nuove competenze osservando e imitando gli altri. Un
contesto sociale di appartenenza, quello dell’essere umano, che richiede una
costante ed accurata interpretazione della realtà e delle azioni altrui.
Un’idea emergente nell’ambito delle neuroscienze
cognitive è che per gestire in modo adeguato questa
complessità gli esseri umani hanno evoluto meccanismi
neurocognitivi specificamente deputati. Solo grazie al corretto
funzionamento di questi meccanismi è possibile andare oltre la
superficie costituita dai comportamenti altrui e risalire agli
stati mentali che li determinano.
(Adenzato e Enrici, 2005, p.15)
When we watch someone performing an action, our
brains may simulate performance of the action we observe.
(Calvo-Merino, et al. 2005, p. 1243)
16
Il Sistema dei Neuroni Specchio (Mirror Neuron System; Stephan et al.,
1995; Lotze et al., 1999; Johnson et al., 2002; Ehrsson et al., 2003; Hanakawa et
al., 2003; Nair et al., 2003; Rizzolatti e Craighero, 2004; Rizzolatti e Sinigaglia,
2006, 2010; Oberman, et al., 2007) è il substrato cerebrale chiamato in causa
nell’atto di imitare. Questo particolare sistema corticale è stato scoperto negli anni
Ottanta nella corteccia premotoria (area F5) del cervello del macaco (Fig. 2).
Figura 2. Cervello del macaco.
L’area F5 (evidenziata da un cerchio giallo) è l’area del cervello del macaco che scarica sia
quando l’animale segue un’azione, sia quando osserva lo sperimentatore compiere delle azioni (es.
afferrare del cibo da un contenitore). (Immagine tratta da Iacoboni, 2009).
Negli anni '80 e '90 un gruppo di ricercatori dell'Università di
Parma coordinato
da Giacomo
Rizzolatti e
composto
da
Luciano
Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino si stava
dedicando allo studio della corteccia premotoria. Essi avevano collocato degli
elettrodi
nella
corteccia
frontale
inferiore
di
un macaco per
studiare
i neuroni specializzati nel controllo dei movimenti della mano, come il raccogliere
o il maneggiare oggetti. Durante ogni esperimento veniva registrato il
comportamento dei singoli neuroni mentre si permetteva alla scimmia di accedere
a frammenti di cibo, così da misurare la risposta neuronale a specifici movimenti.
La storia racconta che, mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un
cesto di frutta preparato per degli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che
osservava la scena avevano reagito. Come poteva essere accaduto? In un primo
momento gli sperimentatori pensarono si trattasse di un difetto nelle misure o un
17
guasto nella strumentazione, ma tutto risultò a posto e le reazioni si ripeterono non
appena fu compiuta di nuovo l'azione di afferrare.
La corteccia premotoria del cervello della scimmia è un’area corticale
importante per la pianificazione, la preparazione e la selezione dei movimenti e di
coordinamento delle azioni, e non è un’area omogenea. Essa si compone di diversi
campi citoarchitettonici aventi differenti proprietà fisiologiche. Il settore ventrale
della corteccia premotoria è composta da due principali aree: l’area F4 e l’area F5.
L’area F5 (vedi Fig. 2) possiede proprietà neurali rilevanti a livello del controllo
della bocca e dei movimenti della mano (in particolare, dell’azione di prensione).
Questa area è correlata in maniera peculiare all’esecuzione dei movimenti distali
dell’arto superiore, e studi anatomici mostrano che F5 è connessa con la zona di
rappresentazione della mano che si trova nell’area 4 di Broadmann (o F1; vedi
Fig. 2), presso la corteccia motoria primaria. Nella regione dorsale di F5 della
corteccia dei macachi, i neuroni si attivano a seguito di movimenti della mano,
mentre nella regione ventrale di F5, si attivano per i movimenti della bocca. In F5
esistono sottopopolazioni di neuroni che codificano anche differenti atti motori:
alcuni neuroni codificano il tipo di azione (afferramento, tenuta, raggiungimento,
avvicinamento), mentre altri partecipano alle diverse fasi temporali del
movimento.
Gli stimoli visivi influenzano e interagiscono con quanto contenuto in F5.
Il 50% dei neuroni in F5 presentano risposte visive, e la loro attivazione è legata
all’osservazione di determinati atti motori che comportano un’interazione
effettore-oggetto.
La scoperta inaspettata e fondamentale dell’indagine del gruppo di Parma
è stata quella di identificare in F5 l’esistenza di neuroni che scaricavano non
soltanto quando la scimmia eseguiva azioni finalizzate (goal-directed actions; es.
afferrare un oggetto, manipolare un oggetto, portare un oggetto alla bocca), ma
anche quando la scimmia, senza muoversi, vedeva qualcuno (nel caso specifico, lo
sperimentatore) eseguire le medesime azioni. In ragione di questa duplice
proprietà, questa porzione di neuroni è stata denominata mirror system (o Sistema
dei Neuroni Specchio) (di Pellegrino et al., 1992, Gallese et al., 1996).
18
L’ipotesi iniziale relativamente al funzionamento dei neuroni specchio si
basava sul riconoscimento dell’azione osservata. In altre parole, i messaggi inviati
dai neuroni visuo-motori di F5 sono gli stessi di quando la scimmia interagisce
con un determinato oggetto e di quando ne osserva l’utilizzo, solo che in questo
secondo caso, anziché tradursi in azione, l’atto rimane solo potenziale. In realtà,
solo un terzo dei neuroni specchio scaricano in concomitanza all’esecuzione e alla
osservazione di un’azione. I restanti due terzi scaricano in concomitanza alla
osservazione e alla esecuzione di azioni che non sono identiche ma raggiungono
lo stesso obiettivo o sono logicamente correlate (di Pellegrino et al., 1992, Gallese
et al., 1996, Rizzolatti e Craighero, 2004), ovvero sono step della sequenza di un
evento comportamentale (es. osservare qualcuno che mette del cibo su un tavolo
ed eseguire l’atto di prensione del cibo per condurlo alla bocca).
La scoperta di questa seconda categoria di neuroni specchio fornisce una
visione piuttosto flessibile del comportamento imitativo, e questo spiegherebbe
perché il soggetto non imita per tutto il tempo i suoi simili.
Una serie di esperimenti più recenti hanno inoltre dimostrato l’esistenza di
altre complesse caratteristiche dei neuroni specchio. Ne è un esempio il fatto che
un individuo sia in grado di riconoscere un’azione e di riprodurla, anche se questa
non è interamente visibile a lui (condizione di hidden actions). Umiltà e colleghi
(2001) hanno osservato, infatti, che i neuroni specchio della scimmia si attivavano
anche quando la porzione finale del movimento dello sperimentatore (la mano che
entra in contatto con lo stimolo da afferrare; Fig. 3) veniva esclusa alla vista
dell’animale.
19
Figura 3. Esempio di Neurone Specchio che risponde all’osservazione di un’azione nella
condizione full vision ed in quella hidden.
Questo neurone risponde all’osservazione dell’atto di prensione e di mantenimento nella
condizione full vision (A) e in quella hidden (B). In (C) e in (D) questi neuroni non scaricano. (C)
e (D) mostrano lo stesso neurone che scarica nell’imitazione in condizione full vision e in
condizione hidden, rispettivamente. (Immagine tratta da Gallese et al., 2004).
L’85% dei neuroni che risponde alla vista di atti come afferrare cibo con la
bocca, masticarlo o succhiarlo (neuroni ingestivi), dal punto di vista funzionale
sono simili ai neuroni specchio collegati alla mano, infatti scaricano se c’è
interazione effettore-oggetto, ma la maggior parte di essi è selettiva per un solo
atto.
In generale, gli input sensoriali provengono dalla parte anteriore del solco
temporale superiore (STS) della scimmia, dove sono localizzati neuroni che
rispondono selettivamente all’osservazione di molti atti motori; si tratta di neuroni
esclusivamente visivi, che non si attivano durante movimenti compiuti
dall’animale (non sono, per l’appunto, neuroni visuo-motori).
20
L’informazione dal STS non proietta direttamente su F5 ma al lobo
parietale inferiore (aree PF-PFG di von Economo corrispondenti all’area 39 e 40
di Brodmann; Fig. 4), e meno selettivamente a settori del lobo prefrontale.
Figura 4. Superficie laterale del cervello.
Aree 39 e 40 di Brodmann, aree del lobo parietale inferiore (aree PF-PFG di von Economo).
(Immagine tratta da http://en.wikipedia.org/wiki/Brodmann_area).
Nel 1995, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo
Rizzolatti dimostrano per la prima volta l'esistenza nell'uomo di un sistema simile
a quello trovato nella scimmia (Fig. 5).
Figura 5. Aree del Mirror Neuron System nelle scimmie (A) e nell’uomo (B). (Immagine tratta da
Rizzolatti e Arbit, 1998).
21
Nell’uomo, le aree implicate nel matching tra input visuo-motorio e output
motorio, reso possibile dall’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio, sono la
porzione rostrale anteriore del lobo parietale inferiore (Area 40 di Brodmann; in
giallo nella Fig. 6), il settore inferiore del giro precentrale, e il settore posteriore
del giro frontale inferiore (Area 44 di Brodmann; in giallo nella Fig. 6).
Figura 6. Aree parieto-frontali del Mirror Neuron System, nell’uomo.
Le aree gialle si attivano durante l’osservazione e l’esecuzione di azioni con la mano. (Immagine
tratta da Rizzolatti e Fabbri-Destro, 2008).
Iacoboni e colleghi (1999) osservarono inoltre che, durante l’imitazione, il
Sistema dei Neuroni Specchio era maggiormente attivato nel giro frontale sinistro
(IFG), nella regione parietale anteriore destra, nell’opercolo parietale destro e
nella regione STS destra. Questo confermerebbe il ruolo fondamentale dell’area di
Broca nell’imitazione di azioni, soprattutto quando l’azione è diretta ad un
obiettivo. Uno studio successivo di Buccino e colleghi (2001), che prevedeva
l’apprendimento per via imitativa di alcune azioni non note, ha inoltre messo in
luce che i substrati neurali responsabili dell’elaborazione dei nuovi pattern motori
coinciderebbero prevalentemente con i centri del Sistema dei Neuroni Specchio.
È quindi probabile che durante l’esecuzione di nuovi atti motori tramite
l’imitazione, le azioni osservate siano scomposte in singoli atti motori, che
attiverebbero i neuroni specchio (e quindi la rispettiva rappresentazione motoria
dell’atto) nel lobo parietale inferiore e nell’opercolo IFG. A partire dai singoli atti
22
dell’azione, infine, la rappresentazione viene ricombinata a livello dell’Area 46 di
Broadmann (BA 46 di Brodmann), nella corteccia frontale, porzione più rostrale
del giro frontale inferiore (IFG).
Una differenza sostanziale esiste tra il Sistema dei Neuroni Specchio della
scimmia e quello umano. Mentre nella scimmia i neuroni specchio scaricano
esclusivamente in concomitanza ad azioni aventi senso, di tipo transitivo (azione
diretta ad uno scopo, es. afferrare del cibo per mangiare) definite meaningful goaldirected actions, nell’uomo, gli stessi neuroni codificano atti motori transitivi e
intransitivi. Essi sono quindi capaci di elaborare sia il tipo di azione che la
sequenza dei movimenti di cui essa è composta. Nell'uomo non è quindi
necessaria una effettiva interazione con gli oggetti perché il Sistema dei Neuroni
Specchio si attivi.
L’area F5 del cervello della scimmia in cui originariamente è stata
scoperta la classe dei neuroni specchio è l’area omologa all’area di Broca (Area
44 di Broadmann) nell’uomo, un’area avente proprietà inerenti il linguaggio.
Questa corrispondenza anatomica ha condotto ad ipotizzare che i neuroni specchio
possano avere un ruolo fondamentale nella nascita del linguaggio (Rizzolatti e
Arbit, 1998). Il linguaggio, oltre che attraverso la parola scritta e la lettura, si
manifesta attraverso la parola pronunciata e quella udita. In effetti, i neuroni
specchio posseggono anche qualità uditive, tanto che scaricano in conseguenza
dei suoni prodotti dalle azioni.
Nell’uomo esistono due circuiterie di neuroni specchio; la prima,
denominata parietofrontal mirror system (Fig. 7) comprenderebbe il lobo
parietale, la corteccia premotoria e la porzione caudale del giro frontale inferiore
(inferior frontal gyrus, IFG); la seconda, denominata limbic mirror system
sarebbe formata dall’insula e dalla corteccia frontale mesiale anteriore. Mentre la
prima circuiteria di neuroni specchio è coinvolta nel riconoscimento del
comportamento volontario, la seconda sarebbe deputata al riconoscimento del
comportamento emozionale (Cattaneo e Rizzolatti, 2009).
23
2
1
3
Figura 7. Sistema fronto-parietale del Sistema dei Neuroni Specchio (Human Mirror Neuron
System, MNS) e del principale input visivo che vi proietta.
1. Area anteriore con proprietà mirror: essa è localizzata nella corteccia frontale inferiore, che
comprende il giro frontale postero-inferiore (IFG) e l’adiacente corteccia premotoria ventrale
(PMC).
2. Area posteriore con proprietà mirror: essa è situata nella parte rostrale del lobulo parietale
inferiore (IPL) e può essere considerata l’area omologa nell’uomo dell’area PF/PFG della
scimmia.
3. Input visivo che giunge al MNS ed origina nel STS.
Queste tre aree, messe insieme, formano il circuito neurale deputato all’imitazione:
input visivo che da STS passa al MNS.
informazione che può riguardare la descrizione motoria dell’azione o l’obiettivo
dell’azione.
copia afferente del comando motorio imitativo che ritorna all’STS per permettere
l’incontro tra la previsione sensoriale dell’imitazione del progetto motorio e la
descrizione visiva dell’azione osservata.
(Immagine tratta da Iacoboni e Dapretto, 2006).
La corteccia parietale posteriore contiene una molteplicità di aree
coinvolte nell’analisi di informazioni sensoriali necessarie per la programmazione
motoria e per l’esecuzione dei movimenti. Esse possiedono ricche connessioni
con la corteccia motoria frontale, costituita da un mosaico di aree distinte
anatomicamente
e
fisiologicamente,
ognuna
delle
quali
contiene
una
rappresentazione indipendente dei movimenti corporei. Il concetto di circuito
parieto-frontale si basa sul fatto che ogni area parietale presenta connessioni
predominanti con un’area frontale motoria, e connessioni secondarie con altre aree
24
motorie. Le aree parietali e frontali che mostrano connessioni predominanti
mostrano anche proprietà funzionali simili.
Esistono dati a sostegno del fatto che soltanto gli atti motori che sono
presenti nel repertorio motorio di chi osserva si attivano per il tramite del Sistema
dei Neuroni Specchio, e che l’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio
dipende dalla familiarità dell’atto osservato. Questo ultimo punto è stato
chiaramente descritto in uno studio condotto da Calvo-Merino e colleghi (2005) i
quali, utilizzando la risonanza magnetica funzionale, hanno indagato le differenze
di attivazione corticale tra coloro che osservano passi di danza che già conoscono
perché ne hanno avuto esperienza, e coloro che invece di danza non posseggono
nozioni né esperienza. I risultati hanno condotto gli autori a ritenere che
l’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio sia direttamente proporzionale alla
presenza o meno, nel repertorio motorio di chi osserva, dei medesimi atti. Così, la
risposta del cervello alla vista di un movimento è influenzata dalla competenza
motoria di colui che osserva. Questo significava, nel caso dell’esperimento
condotto da Calvo-Merino e colleghi, che le aree del Sistema dei Neuroni
Specchio che presentavano un maggior segnale BOLD, erano le aree cerebrali di
coloro che avevano conoscenza di uno specifico tipo di danza e che ne
osservavano nei filmati i passi. Ovvero, negli ballerini classici esperti il segnale
BOLD a livello dei Sistema dei Neuroni Specchio era maggiore quando i soggetti
osservavano i passi di danza classica rispetto a quello che veniva suscitato
dall’osservazione di passi di capoeira. Questi risultati hanno condotto i ricercatori
a sostenere che l’osservazione di un’azione innesca a livello corticale una sorta di
simulazione motoria di quanto osservato compiere da altri, e che tale simulazione
sia tanto più fedele quanto più familiare l’azione osservata.
Il funzionamento del Sistema dei Neuroni Specchio fa coincidere l’evento
dell’osservazione di un’azione con quello della sua esecuzione, dal momento che
la sola osservazione di un’azione comporta l’attivazione dello stesso sistema
neurale che è attivo durante l’esecuzione di quella stessa azione. I neuroni
specchio sono lo strumento fondamentale per la comprensione delle azioni nonché
per l'apprendimento attraverso l'imitazione, e c’è chi ritiene che vi sia una stretta
25
connessione tra i neuroni specchio e alcune competenze sociali (es. comprendere
le intenzioni altrui, fenomeno definito Teoria della Mente, o ToM).
Gli individui tendono costantemente, nel corso delle interazioni sociali, ad
“allineare” i propri comportamenti a quelli dei loro interlocutori. In una sorta di
inevitabile propensione a “duplicare” le azioni altrui, l’individuo, posto di fronte
ad un suo simile che compie gesti, atti e movimenti, tenderà ad attivare i
medesimi circuiti neurali (embodied simulation) deputati a produrli. Così come
nell’atto di conversare si tende a “seguire il discorso altrui”, alternando battute,
enfatizzando parole e frasi, e attraverso la mimica facciale, annuendo o
denegando, mostrando interesse o disinteresse con cenni del capo o movimenti
della bocca, così nell’azione si tende a “ricalcare”, per il tramite del Mirror
Neuron System, le attivazioni muscolo-scheletriche (e quindi, ancor prima, le
attivazioni corticali) di colui di cui si osservano le azioni. Tutto ciò avverrebbe in
maniera del tutto inconsapevole; involontariamente, quindi, ci si troverebbe ad
imitare quanto osserviamo compiere da altri individui.
1.4. La Teoria della Mente
Sometimes we meet a stranger and the interaction is
remarkably smooth; rapport builds, we quickly begin to feel
close, to believe that this person can put themselves in our
shoes and understand the way we think and feel. [...] Many
factors contribute to complex interactions of this kind, but one
that has received much recent attention from social
psychologists is imitation [...]. Imitation has been shown to
contribute significantly to the development of positive social
attitudes such as rapport [...] and liking [...] between strangers.
(Santiesteban et al., 2011, p. 228)
La percezione di similarità tra il Sé (del soggetto imitante) e l’Altro (il
modello da imitare) promuove la mutua comprensione tra individui e contribuisce
allo sviluppo di una Teoria della Mente (Theory of Mind, ToM).
La Teoria della Mente è un meccanismo neurocognitivo che oltre a
permettere di interpretare nel presente il comportamento altrui, permette anche di
fare previsioni su come quel comportamento potrebbe evolvere nel futuro.
26
Reasoning about others, and understanding what they
think, what they feel or what they believe involve ‘stepping into
their mental shoes’ and taking their perspective. The ability to
understand other people’s mind and realize that they can have
different perspectives is commonly referred to as having a
“theory of mind”. It requires the ability to distinguish “self”
from “other” and appreciate another’s person intentions,
beliefs or preferences.
(Dosch et al., 2010, p. 842)
Per le neuroscienze sociali e il dominio della cognizione sociale, il Sistema
dei Neuroni Specchio è una sorta di dispositivo di codifica delle azioni altrui, uno
strumento di traduzione dell’altrui comportamento, da cui ha origine una Teoria
della Mente (ToM).
Avere una Teoria della Mente significa comprendere
che gli esseri umani sono entità dotate di stati mentali quali
credenze, desideri e intenzioni, e che questi stati mentali sono
in relazione causale con gli eventi del mondo fisico, ovvero che
ne possono essere sia la causa che l’effetto. Significa inoltre
poter fare riferimento esplicito alla mente propria e altrui per
spiegare e predire il comportamento delle persone.
(Adenzato e Enrici, 2006, p. 18)
Secondo alcuni studiosi (Gallese e Goldman, 1998; Rizzolatti e Craighero,
2004), l’imitazione e il suo correlato neurale (il Sistema dei Neuroni Specchio)
sono alla base di elevate funzioni socio-cognitive, tra cui la Teoria della Mente
(ToM). Le aree responsabili della Tom sono tre distinte aree cerebrali: 1) i solchi
temporali superiori (STS, Superior Temporal Sulcus), 2) i lobi temporali, e 3) la
corteccia mediale prefrontale (Frith e Frith, 2003; Gallagher e Frith, 2003). Una
rete neurale, quella della ToM, che va a coincidere con il Sistema dei Neuroni
Specchio.
L’area STS (Superior Temporal Sulcus) sarebbe responsabile del
riconoscimento e dell’analisi iniziale del movimento biologico altrui (Allison et
al., 2000); le aree temporali, associate ai processi mnestici, fornirebbero il
contesto semantico ed episodico entro cui gli stimoli vengono elaborati; infine, la
corteccia mediale prefrontale sarebbe implicata nelle analisi successive degli
27
stimoli e produrrebbe un’esplicita rappresentazione degli stati mentali propri e
degli altri (Adolphs, 2003). L’esecutivo centrale è una componente della memoria
di lavoro che svolge funzioni esecutive.
Quando si parla di funzioni esecutive ci si riferisce al ruolo svolto
dall’esecutivo centrale (Baddeley, 1986) come sistema della memoria di lavoro
che svolge attività attentive, di controllo e di decisione, e che agisce come anello
fra due sistemi periferici necessari per la processazione di particolari tipologie di
informazione: il primo specializzato nell’elaborazione di materiale linguistico,
definito loop articolatorio e il secondo deputato alla gestione di materiale visuospaziale, definito taccuino visuo-spaziale (Baddeley, 1990). L’esecutivo centrale
consta di un insieme di meccanismi cognitivi responsabili del funzionamento
della cognizione sociale, un processo che permette agli individui di pensare e dare
senso a se stessi, agli altri e alle situazioni sociali.
Quando si è in presenza di altre persone, il singolo tende a modificare la
propria prospettiva di percezione degli stimoli, trasformandola da “egocentrica”
ad “allocentrica”.
The brain codes visual inputs with respect to some
spatial frame of reference. These frames provide the basis for
attributing up–down, and left–right to spatial arrays and can be
based on the direction of the viewer’s gaze (egocentric) and/or
intrinsic characteristics of an object or its environment
(allocentric).
(Halligan et al., 2003, p. 126)
La codifica dello spazio in cui l’organismo umano può posizionarsi si
realizza in relazione a tre concetti: spazio personale, spazio peripersonale e spazio
extrapersonale (Holmes e Spence, 2004).
Lo “spazio personale” è lo spazio della superficie del corpo, lo spazio in cui si
percepisce una carezza, ad esempio. Lo “spazio peripersonale”, invece, è lo spazio
che si ingloba quando si allungano le braccia (es. lo spazio che viene definito
dall’atto di prensione di una tazza). Lo “spazio extrapersonale”, infine, è lo spazio
al di là di quello raggiungibile dall’estensione degli arti superiori, lo spazio che si
raggiunge attraverso lo visione di un oggetto posto in lontananza.
28
In generale, la percezione dello spazio può spiegarsi nei termini di
percezione in relazione al corpo del soggetto percepiente (egocentric frames) o nei
termini di percezione in relazione a ciò che circonda il corpo (allocentric frames).
Questi due tipi di percezioni spaziali, per essere integrati, vengono elaborati a
livello della corteccia parietale posteriore, area di codifica e di rappresentazione
dei parametri spaziali (Halligan et al., 2003).
When a person asks to another where an object is
located, for instance, people typically favor the other’s
perspective over their own and tend to answer from his/her
viewpoint (e.g. ‘on your left’).
(Becchio et al., 2003, p. 1)
L’assunzione di una determinata prospettiva (egocentrica vs allocentrica) è
profondamente influenzata dalla presenza di altri individui. Quando sulla scena
percettiva del singolo si stagliano altri soggetti, il singolo può codificarla sia in
relazione ai propri parametri corporei (first-person perspective) che a quelli
relativi allo spazio circostante (third-person perspective; Becchio et al., 2003).
Quando si tenta di capire ciò che prova un altro individuo in una determinata
circostanza, si assume la prospettiva altrui, ovvero la prospettiva di terza persona
(3rd person perspective-taking).
Perspective taking includes the awareness of one's own
subjective spatial and mental space (first-person perspective,
1PP) and the ability to ascribe visuo-spatial perspectives and
mental states (cognitive or emotional states) to another person
(third-person perspectives, 3PP).
(Dosch, 2010, p. 837)
Assumere la prospettiva dell’altro è un fenomeno che stato associato
all’attivazione della corteccia parietale inferiore, inclusa la giunzione temporoparietale, la corteccia mediale posteriore e prefrontale (David et al., 2006). Molti
autori parlano di fronto-parietal network quando si riferiscono al substrato neurale
del 3rd perspective-taking, una circuiteria che si svilupperebbe tardi nel corso
della maturazione cerebrale.
29
1.4.1. Assunzione di prospettiva
In tema di perspective-taking, e quindi in tema di ToM (mettersi nei panni
dell’altro; passare dal proprio punto di vista al punto di vista altrui) esistono due
orientamenti teorici.
Secondo la Simulation Theory (ST) si è in grado di assumere la prospettiva
altrui quando ci si domanda che cosa si farebbe e che cosa si penserebbe se si
fosse nella stessa condizione di colui nei panni del quale ci si pone, ovvero
simulandone i vissuti. Questa capacità farebbe leva sull’imitazione per potersi
realizzare:
[...] ST hypothesizes that a significant portion of mindreading episodes involeves the process of mimicking (or trying
to mimic) the mental activity of the target agent.
(Gallese e Goldman, 1998, p. 497)
In base alla Theory-theory, invece, si usa una teoria di senso comune per
comprendere gli altri. Una sorta di teoria ingenua, prodotto dell’esperienza, che
consiste in una serie di leggi causa-effetto che legano tra loro eventi esterni
(external stimuli) ad eventi privati (es. percezioni, desideri, credenze; Gallese e
Goldman, 1998).
[...] ordinary people accomplish mind-reading by
acquiring and deploying a commonsense theory of the mind,
something akin to a scientific theory.
(Gallese e Goldman, 1998, p. 496)
Comprendere il comportamento altrui implica adottare il punto di vista
dell’altro. L’espressione più comune è “mettersi nei panni dell’altro”, ovvero
assumere la prospettiva di un’altra persona per comprenderne gli atti.
By taking the other’s place I see things as she would see
them. But, at the same time, I experience how an action she
performs would be if I were doing it myself. This suggests that
the representation I use to understand the action of another
person must be close to the representationa I build for
performing that same action.
(Anquetil, 2007, p. 125)
30
In una interazione-tipo, la posizione che due interlocutori assumono nel
porsi l’uno nei confronti dell’altro è mirror-mode; ci si incontra, si dialoga e si
interagisce vis à vis, in una prospettiva definibile di terza persona (3rd person
perspective), come se il nostro interlocutore non fosse altro che la nostra
immagine riflessa allo specchio. Quando si osservano immagini di posizioni delle
mani poste in angolature diverse rispetto al soggetto che osserva (Fig. 8), e si è
chiamati a riferire se si tratta dell’arto destro o sinistro, viene formulata una
risposta solo dopo aver immaginato la propria mano ruotare fino a raggiungere la
posizione assunta dalla mano-target dell’immagine.
A
B
C
D
Figura 8. Esempi di perspective-taking in compiti di imitazione.
In prospettiva di terza persona (3rd person perspective) gli stimoli (A, mano; B, piede) sono posti
vis à vis rispetto all’osservatore. In prospettiva di prima persona (1st person perspective) gli
stimoli (C, mano; D, piede) sono posizionati in linea con le coordinate spaziali (anatomiche)
dell’osservatore. (Immagine tratta da Jackson et al., 2006).
In compiti di tipo imitativo un soggetto può posizionarsi nei confronti
dello stimolo target da imitare in una prospettiva definibile anatomica (se il
modello utilizza l’arto destro il soggetto usa l’arto destro, e viceversa) o in una
prospettiva speculare (se il modello usa l’arto destro il soggetto usa l’arto sinistro,
e viceversa). Numerosi studi hanno dimostrato che i tempi di reazione riferibili al
riconoscimento dell’arto-target sono in funzione dell’angolo di orientamento
assunto dallo stimolo. Uno stimolo posto a 0° (la posizione che si assume quando
si sta in fila) produrrà una performance con tempi di reazione più brevi rispetto a
quelli prodotti da uno stimolo posizionato a 180°, ovvero vis à vis rispetto a chi
osserva.
31
Un interessante studio condotto da Wapner e Cirillo (1968) ha dimostrato
l’esistenza, nel corso dello sviluppo umano, di uno spostamento (shift) della
tendenza ad assumere una prospettiva piuttosto che l’altra, nell’atto di imitare. Se
fin dalla nascita il bambino è incline ad imitare utilizzando prevalentemente una
prospettiva di tipo speculare, a partire dai 12-14 anni di età la tendenza ad imitare
in maniera speculare declinerebbe, a vantaggio della modalità anatomica.
Il procedimento cognitivo che conduce un soggetto in età infantile ed un
soggetto in età adulta ad imitare ciò che osservano, in altre parole, non è il
medesimo. Mentre nel primo caso, tale meccanismo condurrebbe il soggetto a
porsi in una prospettiva di specularità rispetto allo stimolo di riprodurre, nel
secondo caso, lo condurrebbe ad imitare quanto osservato utilizzando una
prospettiva di tipo anatomico.
La teoria dell’Active Intermodal Mapping (AIM) è stata originariamente
formula da Meltzoff e Moore (1997) per spiegare il comportamento imitativo dei
neonati a fronte di espressioni facciali degli adulti. È stata successivamente
utilizzata per spiegare il comportamento imitativo degli adulti (Meltzoff e Moore,
2003). In base a questa teoria:
[…] supramodal representations of organ relations are
actor centered, rather than egocentric, in that they encode
movements properties that are present both when the movement
is observed and when it is executed, and therefore do not
depend on the observer’s point of view. [….] supramodal
representation is innate.
(Heyes e Ray, 2004, p. 703)
Secondo Heyes e Ray, se questa teoria fosse esatta, ci si dovrebbe
aspettare che il comportamento imitativo di un adulto non possa subire
interferenze di genere. Nella loro indagine, gli autori utilizzarono compiti di
compatibilità stimolo-risposta per testare l’assunto della AIM. Un classico
esempio consiste nel chiedere al partecipante di premere un tasto posto a sinistra
quando vede una luce rossa ed un tasto posto a destra quando vede una luce verde
(compito di compatibilità spaziale tra stimolo e risposta; R-S spatial compativility
task). La luce può apparire sia a destra che a sinistra del campo visivo del
32
soggetto. I risultati dimostrano che il soggetto compie maggiori errori quando la
luce compare controlateralmente rispetto al tasto che occorrerebbe premere in
base al colore della luce. La posizione dello stimolo, quindi, influenza in maniera
decisiva la risposta del soggetto, ma se la teoria dell’Active Intermodal Mapping
fosse attendibile, sostengono Heyes e Ray, errori del genere non dovrebbero
accadere, e quindi la compatibilità spaziale tra lo stimolo e la risposta non
dovrebbe influenzare la modalità attraverso cui un soggetto imita uno stimolo
posto di fronte a lui.
Al contrario, Wapner e Cirillo dimostrarono che quando ad un bambino
veniva chiesto di riprodurre le azioni di uno sperimentatore posto di fronte a lui,
fino all’età di 8 anni, il bambino tendeva ad utilizzare una prospettiva di azione
del tipo controlaterale, o in altre parole, di tipo speculare, per cui se l’adulto
sollevava l’arto sinistro, un bambino di 8 anni sollevava il suo arto destro. In età
più matura la tendenza ad imitare, secondo gli autori, subirebbe un cambiamento,
e condurrebbe il soggetto ad optare per una strategia di tipo anatomico, per cui se
l’adulto avesse sollevato l’arto destro, il soggetto avrebbe sollevato il proprio arto
destro. Queste osservazioni contraddirebbero la teoria della compatibilità spaziale
tra stimolo e risposta, la quale dimostra, invece, come sia molto più naturale e
semplice, confrontarsi con uno stimolo, posizionandosi in relazione speculare nei
suoi confronti.
Dai risultati ottenuti in due esperimenti, Heyes e Ray dimostrarono che
quando si è chiamati ad imitare i movimenti di un modello posto di fronte a noi, si
è maggiormente inclini ad utilizzare un tipo di prospettiva egocentrica, ovvero
speculare, cioè un tipo di prospettiva che faccia leva sulla corrispondenza spaziale
tra lo stimolo da imitare e la risposta da fornire.
La teoria definita Spatial Stimulus-Response Compatibilty postula quindi,
che proprietà comuni tra stimoli e risposte giochino un ruolo fondamentale nel
controllo di un’azione.
Un recente studio, condotto da Press, Ray e Heyes (2009), aveva preso in
esame le prospettive di imitazione che soggetti adulti utilizzavano in compiti di
imitazione di modelli umani posti ad angoli differenti di rotazione (es. 180°, vis à
vis; 0°, modello di spalle al soggetto imitante). Dai risultati era emerso che
33
quando un soggetto era chiamato ad imitare ciò che faceva un modello utilizzando
lo stesso arto, esso tendeva a riprodurre il gesto osservato in modalità anatomica,
indipendentemente dalla posizione dello stimolo. Quando però il modello si
trovava di spalle rispetto al soggetto (ovvero con una rotazione pari a 0°) il
numero delle risposte corrette era maggiore rispetto a quelle fornite se il modello
si trovava face to face (ovvero con una rotazione pari a 180°).
Analizzando l’istruzione fornita dagli autori in questo compito di
compatibilità S-R (stimolo-risposta) sorge inevitabile un quesito: quali
meccanismi sottostanno alla codifica di una istruzione del tipo “imitare usando lo
stesso arto usato dal modello”? Un’istruzione di questo genere demanda al
soggetto il compito di elaborare l’informazione stesso per poter eseguire il
compito. Sulla base di quali informazioni e di quali interpretazioni, un soggetto
chiamato ad imitare un modello utilizzando lo stesso arto o l’arto opposto arriva
ad utilizzare un determinato arto piuttosto che un altro? Per poter rispondere al
quesito occorre rifarsi al concetto di Rotazione Mentale (Mental Rotation).
1.4.2. Rotazione mentale
Il meccanismo di Rotazione Mentale (Mental Rotation) si riferisce alla
rotazione che si immagina di compiere, mentalmente, su uno stimolo visivo, per
disporlo in una posizione differente rispetto a quella di origine.
Furono Shepard e Metzler, nel 1971, ad introdurre il concetto di Mental
Rotation, definendolo nel termini di abilità mentale nella manipolazione spaziale
delle informazioni. Essi riferivano il fenomeno alla manipolazione di stimoli
visivi riguardanti oggetti, senza fare riferimento alla trasformazione mentale di
stimoli visivi che concernono parti del corpo.
Le indagini condotte nel campo della Rotazione Mentale si sono di solito
avvalse della presentazione di due stimoli (immagini) 3D di oggetti che assumono
disposizioni spaziali differenti nello campo visuo-percettivo del soggetto.
Compito del partecipante è quello di dichiarare identiche o diverse le coppie di
stimoli. Più raramente, si è fatto uso di immagini di parti del corpo.
34
Un interessante studio fu condotto da Parsons (1987) in cui il partecipante
aveva il compito di decidere quale dei due arti superiori mostrati (il destro o il
sinistro) fosse l’arto disteso. A differenza di quanto supposto sulla scia di studi
precedenti che correlavano i tempi di reazione con l’orientamento dell’oggetto,
Parsons concluse che si sarebbe in grado di discernere se lo stimolo (parti del
corpo, es. mano) che si osserva coincide con un arto destro o con un arto sinistro
solo se si immagina i propri assumere la posizione dello stimolo-target. Questo
meccanismo si distingue dai classici compiti di rotazione mentale di oggetti, alla
luce della relazione che il soggetto percepiente stabilisce con l’ambiente esterno e
con la propria realtà somatica:
[…] participants solve the left-right judgement by
imagining themselves in the position of the human figures and
[…] this type of immagine spatial transformation differs from
that of other stimuli, such as characters and numbers, as well
as abstract 2D and 3D shapes.
(Steggemann et al., 2011, p. 98)
In definitiva, quindi, nell’ambito della cognizione spaziale si possono
distinguere due diversi tipi di trasformazioni mentali; l’uno, definibile objectbased (spatial) trasformation e l’altro perspective (egocentric) transformation.
Il primo di tipo di trasformazione mentale di uno stimolo visivo di natura
oggettuale si basa su un tipo di rotazione mentale i cui indici di riferimento
appartengono all’ambiente, così come appare al soggetto. In compiti di rotazione
mentale di parti del corpo umano, invece, le trasformazioni degli stimoli
avvengono per il tramite del coinvolgimento diretto dell’immagine mentale che il
soggetto possiede del proprio corpo.
Mentre nel caso della rotazione mentale di oggetti, le “manipolazioni”
mentali che il soggetto opera coinvolgono i nessi tra l’oggetto e l’ambiente in cui
il primo si staglia percettivamente, nel caso della rotazione mentale di parti del
corpo umano il punto di riferimento su cui fa leva l’elaborazione dello stimolo è il
corpo del soggetto percepiente, ovvero:
35
A left-right judgement for a single picture of a human
body […] causes a perspective trasformation. The latter task
evokes an alignment of the participant’s reference frame with
that of the presented body.
(Steggemann et al., 2011, p. 98)
Studi di Neuroimaging hanno identificato un network di aree corticali che
si attivano in compiti di Rotazione Mentale, e che corrispondono con le regioni
parietali, il giro frontale inferiore, la corteccia occipitale laterale e aree premotorie
(Milivojevic et al., 2009).
Il tema del Mental Rotation è un tema strettamente correlato con il
presente studio, perché ipoteticamente (“ipoteticamente”, dal momento che non
sono stati effettuati studi di Neuroimaging che ne supporterebbero il reale
coinvolgimento) coinvolto in alcune sessioni di lavoro (S2 e S4) previste nel
protocollo sperimentale.
1.5. Sviluppo cerebrale e corpo calloso
La maturazione cerebrale suppone un graduale sviluppo della morfologia
da cui dipende la funzionalità delle strutture cerebrali, compreso il corpo calloso.
Il corpo calloso è la maggiore commessura interemisferica, le cui regioni
(ginocchio, corpo, istmo e splenio; suddivisione del corpo calloso di Witelson,
1989) sono composte da fibre che mettono in collegamento tra loro aree omologhe
o eterologhe dei due emisferi cerebrali. In armonia con quanto accade nell’intero
encefalo anche le varie regioni callosali hanno tempi diversi di maturazione. La
morfologia del corpo calloso evolve nel tempo, mostrando importanti
cambiamenti nel corso dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima fase dell’età
adulta.
Seppur apparentemente simmetrico, il cervello umano presenta delle
asimmetrie tra i due emisferi cerebrali.
La preferenza manuale è di gran lunga il tratto più
evidente delle asimmetrie funzionali della specie umana e non
sorprende che la lateralizzazione emisferica correli con essa.
(Tassinari, 2010, p.769)
36
Tali asimmetrie, di tipo strutturale e funzionale, non rendono i due
emisferi cerebrali autonomi, perché attraverso il corpo calloso ed altre
commessure interemisferiche essi comunicano, integrando le informazioni che
ricevono.
Alla luce delle conoscenze attuali, è possibile affermare
che singole componenti di una data attività sono legate a
specifici substrati nervosi […].
(Tassinari, 2010, p.767)
Perché vi sia integrazione tra le attività dei due emisferi, è fondamentale il
buon
funzionamento
delle
strutture
cerebrali
definite
“commessure
interemisferiche”.
I maggiori cambiamenti dello sviluppo cerebrale si verificano nella
corteccia prefrontale, cambiamenti dovuti alla mielinizzazione e al pruning
sinaptico, processi che migliorano la velocità di comunicazione e l’efficienza di
elaborazione delle informazioni da parte dei neuroni. Dopo quello che caratterizza
i primi anni di vita, all’inizio dell’adolescenza si ha un nuovo periodo di
sinaptogenesi, ovvero di proliferazione di nuove sinapsi. Ciò comporta un
aumento della sostanza grigia, che va incontro ad un picco di densità, raggiunto il
quale si ha un plateau. Le diverse aree corticali raggiungono il loro picco di
densità di materia grigia a differenti età. I lobi occipitali sembrano essere gli unici
a seguire uno sviluppo lineare: i lobi frontali raggiungono il loro picco di crescita
a 12 anni per i maschi e 11 anni per le femmine; i lobi parietali raggiungono il
loro picco a 12 anni per i maschi e 10 per le femmine; i lobi temporali sono gli
ultimi a raggiungere il loro pieno sviluppo, a circa 17 anni per entrambi i sessi. Lo
sviluppo cerebrale non si conclude comunque con l’adolescenza, ma continua in
età adulta, anche se con modalità meno impetuose.
La ridefinizione dei circuiti, attraverso la perdita di materia grigia,
continua, nel lobo frontale, anche tra i 20 e i 30 anni di età, tanto che la corteccia
prefrontale dorso-laterale (DLPFC) sinistra è l’ultima area corticale a raggiungere
lo spessore definitivo. Man mano che la corteccia cerebrale si sviluppa, le aree
cerebrali si collegano tra loro per mezzo delle commessure. Insieme alla
commessura anteriore, a quella posteriore, alle commessure ippocampali ventrale
37
e dorsale, alla massa intermedia e al fornice, il corpo calloso (CC) collega tra loro
le aree corticali dei due emisferi. Il 70-80% della corteccia cerebrale è
interconnessa dal corpo calloso. Esso attraversa il telencefalo da lato a lato nella
sua porzione rostrale in corrispondenza del tetto del diencefalo nella cosiddetta
lamina terminale. Consiste, all’incirca, in 200 milioni di assoni (Jarbo et al.,
2011), un numero fisso fin dalla nascita, seppur nel corso dello sviluppo si
verifichino cambiamenti di tipo strutturale dovuti alla mielinizzazione delle fibre,
ai tagli e ai ri-direzionamenti.
Procedendo in direzione anteroposteriore, il corpo calloso è suddiviso in
rostro, genu (o ginocchio), tronco e splenio. Le fibre del tronco sono suddivisibili
in:
 fibre superiori esterne: originano dalle porzioni posteriori dei lobi frontale
e temporale e dal lobo parietale;
 fibre superiori interne: originano da formazioni della porzione mediale dei
lobi frontale (circonvoluzione frontale interna, lobulo paracentrale e
circonvoluzione
precentrale),
parietale
(circonvoluzione
parietale
superiore, circonvoluzione postcentrale) e limbico (giro del cingolo);
 fibre medie: originano dai lobi frontale (circonvoluzione frontale media,
porzione
mediana
(circonvoluzione
della
circonvoluzione
parietale
inferiore,
precentrale)
porzione
e
parietale
mediana
della
circonvoluzione postcentrale);
 fibre inferiori: originano dal lobo dell’insula (opercolo silviano) e in parte
dal lobo temporale.
Le fibre del ginocchio originano dalle porzioni anteriori ed orbitarie dei
due lobi frontali. Le fibre che passano per lo splenio originano da formazioni
temporali (circonvoluzione temporale media), limbiche (giro del cingolo) e
soprattutto, parietali ed occipitali (Chao, et al., 2009).
Il corpo calloso è inizialmente localizzato all’interno della lamina
terminale, ma man mano che la corteccia cerebrale si espande, maturerà
procedendo dall’avanti all’indietro. La mielinizzazione avviene, invece, in senso
postero-anteriore, concludendosi al 15° mese di vita, anche se il processo continua
fino al 20° anno di vita.
38
Studi condotti su bambini e adolescenti mostrano la tendenza ad una
crescita più pronunciata del corpo calloso dalle regioni posteriori verso le
anteriori, una mielinizzazione delle fibre che procede dalla parte posteriore a
quella anteriore (fenomeno che riflette il fatto che la mielinizzazione delle aree
corticali primarie somato-sensoriale, motoria, uditiva e visiva connesse attraverso
l’istmo e lo splenio è antecedente rispetto alla mielinizzazione delle aree connesse
dal corpo e dal genu, mentre il rostro è connesso alle aree associative più
anteriori), e un incremento di densità delle fibre e un’alterazione della dimensione
e della forma.
Integrando le attività dei due emisferi il corpo calloso permette loro di
comunicare, rendendo possibile una integrazione delle risposte corticali. Quando
il corpo calloso è integro, le informazioni circolano da un emisfero all’altro in un
tempo brevissimo, subendo un’elaborazione complessa. In generale, lo studio
delle commessure interemisferiche coinvolge meccanismi di migrazione neurale e
di indirizzamento assonale di ordine cellulare e chimico. Lo studio della loro
morfologia risulta utile nella comprensione dello sviluppo del cervello, fornendo
una migliore comprensione dei processi patogenetici.
La topografia del corpo calloso è stata inizialmente indagata su cervelli
autoptici ed in soggetti con sezione chirurgica del corpo calloso, studiando i
deficit cognitivi e le alterazioni comportamentali che essi manifestavano.
Attualmente, tecniche di Neuroimaging, quali il Tensore di Diffusione (DTI) e la
Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) sono in grado di fornire dettagliate
informazioni sulla topografia anatomica e funzionale del corpo calloso (Chao et
al., 2009; Fabri, et al., 2011). La callosotomia è una tecnica che si è sviluppata a
partire dal 1940 come trattamento palliativo delle crisi epilettiche. A partire dagli
anni Settanta si sono avvicendate numerose modifiche alla tecnica originaria. Con
gli anni, questa procedura ha ottenuto assensi e dissensi a causa dei potenziali
effetti avversi successivi.
La presenza di un cospicuo numero di pazienti che hanno subito interventi
di callosotomia, presso il Centro Epilessia dell’Azienda Umberto I di Ancona, ha
permesso di studiare il fenomeno dell’imitazione in questa particolare tipologia di
soggetti.
39
PARTE 2.
Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica
2.1. Presupposti ed obiettivi dello studio sperimentale
La scelta del progetto di ricerca svolto nel corso del Dottorato di Ricerca
in Neuroscienze X ciclo va rintracciato nella disponibilità di reclutamento di un
gruppo di soggetti callosotomizzati afferenti al Centro Epilessia dell’Azienda
Umberto I di Ancona. Su tale gruppo, si è voluto indagare il fenomeno
dell’imitazione, ipotizzando performance dissimili rispetto a quelle osservate su
un gruppo di soggetti di controllo, in ragione di alterazioni dell’integrità del corpo
calloso.
In letteratura vengono riportati dati ed osservazioni su un aspetto
particolare del comportamento imitativo che ha assunto un peso rilevante
nell’impostazione del protocollo sperimentale, dell’analisi dei dati e dell’obiettivo
finale dell’indagine del presente studio, cioè l’assunzione di prospettiva. Nel
corso delle normali interazioni sociali, la posizione che più comunemente
assumono gli interlocutori è di tipo vis à vis, face to face, cioè l’uno di fronte
all’altro, in una posizione definita di terza persona (Chaminade et al., 2005).
L’indagine condotta, infatti, ispirandosi al contesto naturale di vita di un
individuo, propone stimoli posizionati a 180° rispetto al soggetto chiamato ad
osservarli prima, e ad imitarli poi.
Quando si invita un individuo ad imitare un modello, esso ha a
disposizione due possibilità di azione: l’una, definibile “prospettiva anatomica”,
prevede che il soggetto che imita utilizzi il medesimo arto anatomico utilizzato dal
modello (se il modello esegue un gesto con l’arto destro, il soggetto lo riproduce
utilizzando il proprio arto destro e viceversa); la seconda prospettiva, definibile
“speculare”, invece, vedrebbe il soggetto imitare usando l’arto spazialmente
speculare rispetto a quello utilizzato dal modello (se il modello utilizza l’arto
destro, il soggetto imitante utilizza l’arto sinistro e viceversa), come se si trovasse
di fronte ad uno specchio.
40
Come già osservato nei precedenti capitoli, fin dalla nascita il piccolo di
uomo è in grado di imitare (Meltzoff e Moore, 1977, 1983, 1997). Fino al
dodicesimo anno di età, all’incirca, la prospettiva utilizzata nel riprodurre gli atti
osservati è di tipo speculare (Wapner e Cirillo, 1968). Solo successivamente,
all’inizio della fase adolescenziale, si realizzerebbe gradualmente un cambiamento
(Wapner e Cirillo, 1968), cosicché ad una prospettiva speculare se ne
sostituirebbe una anatomica.
Questo fenomeno, definito dagli autori shift, potrebbe dipendere dalla
parallela evoluzione delle strutture cerebrali in concomitanza al maggior numero
di esperienze che un soggetto in età adolescenziale accumulerebbe.
Se il Sistema dei Neuroni Specchio è operativo sin dalla nascita, e fin dalle
prime ore di vita il bambino è in grado di imitare per via speculare, si potrebbe
ipotizzare che sia un diverso sistema neurale a permettere ad un soggetto in età
adolescenziale di imitare in maniera anatomica. Non a caso, l’età adolescenziale è
la fase di vita di un individuo che coincide con un picco di incremento delle
interazioni sociali.
Nel contempo, al processo di maturazione delle aree corticali si affianca
un parallelo sviluppo del corpo calloso, che attraverso ridirezionamento delle fibre
e
mielinizzazione
delle
medesime,
renderà
efficiente
il
trasferimento
interemisferico delle informazioni, raggiungendo il completo sviluppo alla fine
dell’adolescenza.
L’andamento temporale in parallelo tra lo shift di prospettiva di imitazione
e la maturazione del corpo calloso suggerisce che questa struttura sia coinvolta
nella capacità acquisita di assumere la prospettiva anatomica.
Per comprendere il ruolo del corpo calloso sull’imitazione, ed in
particolare sull’assunzione di prospettiva, il presente studio è stato realizzato su
soggetti con resezioni chirurgiche del corpo calloso. I dati raccolti sono stati
confrontati con quelli raccolti su un gruppo di soggetti con corpo calloso integro,
tenendo conto del fatto che nella letteratura scientifica numerosi lavori dimostrano
come ad alterazioni strutturali di talune porzioni di corpo calloso facciano seguito
41
alterazioni delle funzioni esecutive, della cognizione sociale e del comportamento
imitativo.
Different parts of the body are represented at different
locations within motor and sensory cortex. As imitation
produces a link between sensory perception and motor
execution of body movements, one may ask whether
circumscribed brain lesions can cause disorders of imitation
limited to a part of the body.
(Goldenberg e Strauss, 2002, p. 893)
Mentre in un soggetto sano l’imitazione comporta l’attivazione bilaterale
del circuito fronto-parietale (area ventrale premotoria e corteccia parietale
inferiore (Caspers, et al., 2010), dai risultati di uno studio condotto da Goldenberg
e colleghi (2001) su un paziente con alterazione della morfologia callosale che
coinvolgeva il tronco e lo splenio, gli autori osservavano che:
After successful imitation of gestures presented to the
left hemisphere PU commented that he imitated without really
seeing the stimulus by "formulating the unseen", whereas after
presentation to the right hemisphere he felt that he saw the
stimulus but could not imitate..
(Goldenberg et al., 2001, p. 1432)
Nei soggetti con callosotomia, il passaggio dell’informazione da un
emisfero all’altro subisce delle alterazioni, a seconda delle regioni di corpo
calloso che sono state rimosse chirurgicamente.
A tutt’oggi, non sono disponibili studi il cui oggetto di indagine sia il ruolo
del corpo calloso nell’assunzione di prospettiva nel comportamento imitativo. Le
ricerche rivolte allo studio dell’imitazione in pazienti callosotomizzati hanno
infatti concentrato prevalentemente l’attenzione sui deficit nella riproduzione di
gesti (Lausberg e Cruz, 2004) all’interno di indagini sulla specializzazione
emisferica, o studiato solo alcuni aspetti del comportamento imitativo (es.
pantomima) per approfondire il funzionamento del controllo motorio o delle
abilità prassiche.
42
L’intento che si intende perseguire con il presente lavoro è approfondire
quell’aspetto del comportamento imitativo che è stato definito assunzione di
prospettiva, alla luce dei risultati ottenuti dai due gruppi di soggetti al protocollo
comportamentale.
2.2. Partecipanti
Allo studio hanno preso parte due campioni di partecipanti. Il gruppo di
controllo, composto da 30 adulti sani (età compresa tra 21 e 53 anni, 15 maschi;
27 destrimani; Tab. 2), è stato reclutato in base al requisito dell’età (età compresa
tra i 20 e i 60 anni), alla preferenza manuale (soggetti prevalentemente destrimani,
valutati al test di Oldfield), alla acuità visiva (corretta o corretta tramite dispositivi
visivi, occhiali o lenti a contatto) e alla loro reperibilità. Ogni soggetto è stato
sottoposto alle prove, ma solo le prestazioni dei destrimani (27 soggetti) sono
state prese in considerazione nella valutazione dei risultati, in quanto la
caratteristica del mancinismo avrebbe potuto modificare il risultato. Il gruppo
sperimentale è costituito da 12 soggetti adulti (età compresa tra 26 e 57 anni; Tab.
3) con resezione totale o parziale del corpo calloso (Fig. 9), subita per il
trattamento di forme di epilessia farmaco-resistente. Tutti i pazienti vengono
sottoposti a controlli periodici (2-4 volte l'anno) presso il Centro Epilessia,
mediante EEG, esami ematochimici, visita neurologica, valutazione di eventuali
effetti collaterali dei farmaci. Nel gruppo sperimentale sono stati inclusi soggetti
che presentavano un Q.I. entro valori normali e che erano in grado di comprendere
la finalità dello studio, e di collaborare. Non sono stati inclusi soggetti che, pur
avendo un Q.I. normale, presentavano disturbi psichiatrici, né donne in stato di
gravidanza. Per entrambi i gruppi, la procedura è stata valutata ed accettata dal
Comitato Etico dell’Università Politecnica delle Marche e ha garantito la
riservatezza dei dati personali dei soggetti, con riferimento al relativo Codice
(D.lgs. del 30 giugno 2003, n. 196).
43
Tabella 2. Caratteristiche del gruppo di controllo.
Iniziali del
partecipante
Età
Genere
Test Oldfield
(M= maschio,
(D=destrimano,
F=femmina)
M=mancino)
E.P.
34
F
D (15/50)
P.C.
41
F
D (22/50)
Pa.C.
41
M
D (10/50)
S.S.
37
F
D (10/50)
S.C.
52
F
D (10/50)
S.B.
49
M
D (10/50)
E.T.
26
F
D (14/50)
L.F.
33
M
D (10/50)
C.G.
29
F
D (12/50)
G.M.
39
F
M (47/50)
Gi.M.
26
F
D (12/50)
G.C.
39
M
D (12/50)
E.S.
29
F
D (10/50)
F.F:
28
F
D (11/50)
M.C.
31
M
D (13/50)
A.Q.
32
F
M (45/50)
St.S.
28
M
D (10/50)
L.C.
29
M
D (10/50)
M.M.
40
M
M (37/50)
E.M.
26
F
D (14/50)
M.H.
42
M
D (11/50)
A.F.
38
M
D (14/50)
D.C.
21
M
D (10/50)
M.B.
33
M
D (17/50)
F.S.
31
M
D (11/50)
Fa.F.
30
M
D (16/50)
A.M.
40
M
D (13/50)
M.A.
29
F
D (14/50)
Si.C.
26
F
D (14/50)
M.G.
32
M
D (17/50)
44
Tabella 3. Caratteristiche del gruppo dei pazienti callosotomizzati.
Iniziali
del
partecipante
Età
Genere
Test Oldfield
(M = maschio, (D = destrimano, M = mancino)
F = femmina)
Callosotomia
D.D.V.
46
M
D (10/50)
Totale
D.D.C.
34
M
D (21/50)
Totale
F.B.
32
F
D (10/50)
Totale
M.C.
52
M
D (10/50)
Parziale Posteriore
R.V.
40
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
P.M.
37
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
L.M.
36
F
D (10/50)
Parziale Anteriore
O.T.
32
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
M.M.
57
F
D (12/50)
Parziale Anteriore
G.S.
50
F
D (10/50)
Parziale Anteriore
P.B.
54
F
D (16/50)
Parziale Anteriore
P.F.
26
M
D (10/50)
Centrale
D.D.V..
D.D.C..
F.B.
M.C.
R.V.
P.M.
L.M.
O.T.
P.F.
Figura 9. Immagini medio sagittali MRI dell’encefalo di 9 dei 12 pazienti con callosotomia totale
(D.D.V., D.D.C. e F.B.), e parziale (M.C., R.V., P.M., L.M., O.T. e P.F.). Le immagini degli altri
pazienti (M.M., G.S. e P.B.) non sono disponibili in quanto durante l’intervento di callosotomia
sono state inserite clip metalliche che costituiscono una controindicazione all’esecuzione di MRI.
(Immagini tratte da Pierpaoli et al., 2011)
45
2.3. Stimoli
Gli stimoli-target utilizzati nel presente studio consistono in gesti di tipo
intransitivo (gesti che per essere eseguiti non prevedono l’uso di strumenti),
alcuni aventi senso (meaningful, MF) ed alcuni privi di senso (meaningless, ML),
eseguiti da una modella con gli arti superiori. Un gesto meaningful (MF) è un
gesto il cui significato è socialmente condiviso. Un gesto meaningless (ML) è un
gesto il cui significato non è noto né familiare, che origina da una variazione
formale di un gesto meaningful (MF) che consiste in una modificazione della
traiettoria o della posizione finale assunta dall’arto in relazione al corpo o allo
spazio peripersonale (esempio di immagini di posizioni finali assunte dagli arti
inferiori, in Goldenberg, 1999). I gesti meaningful, elencati sotto (Tab. 4), sono
stati raggruppati all’interno del sub-protocollo sperimentale MF, ed i gesti
meaningless inglobati all’interno del sub-protocollo sperimentale ML.
Tabella 4. Gesti meaningful (MF).
Gesti MF
1
Gesto “saluto militare”
2
Gesto “silenzio”
3
Gesto “matto”
4
Gesto “ciao”
5
Gesto “più o meno”
6
Gesto “stop”
Nel dettaglio, i gesti-target, meaningful (MF) e meaningless (ML) sono di
seguito elencati:
1. gesto “saluto militare” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
2. gesto “saluto militare” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
3. gesto “saluto militare” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
4. gesto “saluto militare” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro;
5. gesto “silenzio” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
6. gesto “silenzio” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
7. gesto “silenzio” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
46
8. gesto “silenzio” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro;
9. gesto “matto” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
10. gesto “matto” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
11. gesto “matto” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
12. gesto “matto” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro;
13. gesto “ciao” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
14. gesto “ciao” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
15. gesto “ciao” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
16. gesto “ciao” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro;
17. gesto “più o meno” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
18. gesto “più o meno” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
19. gesto “più o meno” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
20. gesto “più o meno” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro;
21. gesto “stop” meaningful eseguito con l’arto superiore destro;
22. gesto “stop” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro;
23. gesto “stop” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
24. gesto “stop” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro.
Ciascun gesto veniva eseguito dalla modella con l’arto superiore destro e con
l’arto superiore sinistro, separatamente.
In ogni gruppo di 12 gesti (che corrisponde ad una sessione di lavoro) metà
degli stessi erano definibili “in relazione al corpo” (“body-related”: gesto “saluto
militare” MF, gesto “silenzio” MF e gesto “matto” MF; gesto “saluto militare”
ML, gesto “silenzio” ML e gesto “matto”ML ), e l’altra metà “non in relazione al
corpo” (“body-unrelated”: gesto “ciao” MF e ML, gesto “più o meno” MF e ML,
e gesto “stop” MF e ML). Con questa seconda variabile dello stimolo-target si
intendeva testare una eventuale distinzione tra l’esecuzione di un gesto avente
come destinazione parti del proprio corpo, ed un gesto avente come destinazione
lo spazio esterno rispetto al corpo del soggetto (Fig. 10).
47
A
B
Figura 10. Fotogrammi dei gesti MF e ML.
Nel riquadro A sono visibili i gesti meaningful (A1, A2, A3, A4, A5 e A6).
Nel riquadro B sono visibili i gesti meaningless (B1, B2, B3, B4, B5 e B6).
I gesti A1, A2, A3, B1, B2 e B3 sono gesti body-related, mentre i gesti A4, A5, A6, B4, B5 e B6
sono gesti body-unrelated.
Esempi di ogni gesto, eseguito con l’arto destro:
A1: Gesto “saluto militare” meaningful;
B1: Gesto “saluto militare” meaningless;
A2: Gesto “silenzio” meaningful;
B2: Gesto “silenzio” meaningless;
A3: Gesto “matto” meaningful;
B3: Gesto “matto” meaningless;
A4: Gesto “ciao” meaningful;
B4: Gesto “ciao” meaningless;
A5: Gesto “più o meno” meaningful;
B5: Gesto “più o meno” meaningless;
A6: Gesto “stop” meaningful;
B6: Gesto “stop” meaningless.
(Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
48
2.4. Protocollo comportamentale
Dopo aver reclutato ogni singolo partecipante alle prove, averlo istruito
circa la procedura prevista per lo svolgimento del compito chiamato ad eseguire,
averlo invitato ad apporre la propria firma su un foglio preposto per il consenso
informato, ed aver somministrato il Test di Oldfield (1971) per valutare la
preferenza manuale, si è invitato il partecipante a sedersi di fronte ad uno schermo
PC (TFT LCD 15,4” WXGA Acer CrystalBrite, Resolution 1280 x 800) ad una
distanza di 57 cm e ad osservare quanto vi sarebbe stato proiettato.
L’intero protocollo sperimentale, della durata complessiva di 40 minuti
circa, è stato suddiviso in due sub-protocolli (l’uno per i gesti meaningful e
al’altro per i gesti meaningless; vedi paragrafo 2.3), ciascuno dei quali a sua volta
suddiviso in sessioni di lavoro. Nella Sessione 0, il soggetto era chiamato ad
imitare spontaneamente, tanto che l’istruzione fornita al partecipante dallo
sperimentare era “imiti ciò che vede nei filmati”. Anche nella Sessione 1
l’istruzione prevedeva che il partecipante imitasse liberamente quanto mostrato
nei filmati, con la differenza rispetto alla Sessione 0 di “utilizzare un arto a
proprio piacimento”. Nella Sessione 2, l’istruzione così recitava: “imiti, il
partecipante, usando lo stesso arto che vede usare dalla modella nei filmati”. Nella
Sessione 3 l’istruzione prevedeva che il soggetto imitasse “usando l’arto destro”.
Nella Sessione 4 l’istruzione era “imiti, il partecipante, utilizzando l’arto opposto
rispetto a quello utilizzato dalla modella”. La Sessione 5 prevedeva la
riproduzione del gesto osservato con l’arto sinistro: “imiti, il partecipante,
utilizzando l’arto sinistro”. Nell’ultima sessione di lavoro, la Sessione 6, il
partecipante riceveva dallo sperimentatore un’istruzione dal contenuto identico
rispetto alla Sessione 0.
Solo la Sessione 0 è stata omessa nel protocollo sperimentale previsto per
il gruppo dei pazienti callosotomizzati, per abbreviare la seduta visto che a seguito
della valutazione delle risposte del gruppo di controllo non erano sorte differenze
tra le sessioni 0, 1 e 6. Le risposte ottenute nelle sessioni sopra elencate sono state
valutate creando due principali categorie di analisi statistica.
49
Le Sessioni 0, 1 e 6 sono state raggruppate a formare la categoria delle
sessioni libere (Free Sessions), perché accomunate dalla libertà di scelta dell’atto
imitativo. Le Sessioni 2, 3, 4 e 5 sono state raggruppate sotto la dicitura di
sessioni guidate (Driven Sessions). Nel dettaglio, le Sessioni 3 e 5 sono state
denominate sessioni guidate di controllo (Driven Control Sessions), quindi escluse
dall’analisi statistica della significatività, in quanto volte a valutare la capacità dei
soggetti di distinguere tra arto destro e arto sinistro.
Si è anche deciso di non misurare i tempi di reazione, in quanto conoscere
la velocità dei processi di informazione andava oltre l’obiettivo del presente
studio.
Inoltre, si è volontariamente privilegiata una prestazione che fosse
immediatamente successiva alla visione dello stimolo-target, per eludere la
variabile della componente mnestica. Nella Figura 11 sono mostrati i singoli
passaggi previsti per ogni presentazione video.
+
2000 ms
Schermo
oscurato
250 ms
//
Risposta del
soggetto
Periodo variabile
3000 ms
Figura 11. Periodo di stimolazione
Ogni periodo di stimolazione consta dei seguenti elementi:
 punto di fissazione: è il primo stimolo che viene mostrato al soggetto. Esso ha la durata di
2000 ms. Il partecipante è chiamato a fissarlo fino al momento della sua scomparsa;
 suono di avviso: una volta scomparso il punto di fissazione il soggetto ode un brevissimo
suono (della durata di 250 ms) la cui funzione è quella di introdurre la presentazione dei
filmati video;
 filmato: video della durata di 3000 ms, che riproduce una modella nell’atto di eseguire
un gesto intransitivo. Il soggetto è chiamato ad osservare quanto mostrato nel video,
tenendo bene a mente l’istruzione che gli è stata fornita all’inizio di ogni sessione di
lavoro.
Ogni sessione di lavoro (Sessioni 0-6) è composta da 12 periodi di stimolazione.
Prima dell’avvio del primo periodo di stimolazione per ogni sessione di lavoro, lo sperimentatore
fornisce al partecipante l’istruzione prevista (istruzioni diverse per le sessioni libere e per le
guidate) circa la modalità richiesta di esecuzione della performance imitativa.
 Schermo oscurato e risposta del soggetto: terminata la presentazione del filmato, lo
schermo si oscura. In questo frangente (la cui durata è variabile perché controllata dallo
sperimentatore, il quale ne decreterà la fine non appena il soggetto avrà eseguito il gesto
da riprodurre), il partecipante esegue l’atto imitativo (risposta del soggetto).
(Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
50
2.5. Analisi statistica
I dati ottenuti dalla registrazione delle riposte dei due gruppi di soggetti (di
controllo e sperimentale) sono stati sottoposti ad un’analisi statistica che
prevedeva l’utilizzo di un modello lineare logistico per l’analisi di dati binari, e
che tenesse conto dell’effetto random associato ai partecipanti.
È
stata
utilizzata
l’analisi
della
devianza,
una
misura
della
assenza/presenza di concordanza tra un modello ipotetico e dati reali. La strategia
adottata nell’identificare i fattori che andavano inclusi in un’appropriata analisi
statistica sono riportati in Collett (2003). L’analisi dei dati ed i rispettivi
diagrammi, inoltre, sono stati realizzati con il programma statistico R (R
Development Core Team, 2008).
La variabile di interesse, oggetto di valutazione (variabile binaria) è stata
nominata variabile Y, che
rappresenta l’obiettivo del presente studio; essa
coincide con la prospettiva in cui il partecipante si pone nell’atto di imitare, ed
assume valore 1 quando il soggetto fornisce una performance imitativa di tipo
speculare (Y = 1 = mirror perspective-taking) ed un valore pari a 0 quando l’atto
viene eseguito in modalità anatomica (Y = 0 = anatomical perspective-taking).
Le ulteriori variabili indipendenti prese in considerazione nell’analisi
statistica, in virtù delle loro potenzialità nel determinare il valore di Y sono le
seguenti:

Gender: riguarda il genere di colui che fornisce risposta agli stimoli.
- Gender = 1: genere maschile.
- Gender = 0: genere femminile.

Gmean: riguarda la modalità meaningful e meaningless del gesto-target.
-
Gmean = 1: gesto meaningful (MF).
- Gmean = 0: gesto meaningless (ML).

Gbody: riguarda la modalità body-related e body-unrelated del gestotarget.
- Gbody = 1: gesto body-related.
- Gbody = 0: gesto body-unrelated.
51

Imit: riguarda l’istruzione fornita dallo sperimentatore.
- Imit = 1: imitazione guidata.
- Imit = 0: imitazione libera.

Limb: riguarda l’arto usato dalla modella nell’esecuzione di ogni singolo
gesto.
- Limb = 1: gesto eseguito con l’arto destro.
- Limb = 0: gesto eseguito con l’arto sinistro.
Oltre alle variabili sopraccitate, nella valutazione statistica delle
performance del gruppo di soggetti callosotomizzati è stata aggiunta la variabile
SCC che riporta i seguenti valori:

SCC: riguarda il tipo di resezione del corpo calloso.
- SCC = T: resezione totale.
- SCC = A: resezione parziale anteriore.
- SCC = P: resezione parziale posteriore.
- SCC = C: resezione centrale.
2.5.1. Analisi statistica per il gruppo di soggetti di controllo
I dati appartenenti al gruppo di controllo consistono in un set di 2820
osservazioni, derivanti da 27 soggetti. A causa della presenza di alcuni dati
incompleti, il numero delle osservazioni scende a 2793. Nelle sessioni libere
(Free Sessions; Sessioni 0, 1 e 6) i partecipanti del gruppo di controllo hanno
utilizzato la prospettiva anatomica per imitare 662 gesti su 1667 (40%), e la
prospettiva speculare per imitare 1005 gesti su 1667 (60%).
Il fattore Limb
(devianza = 1839) è il fattore che ha riportato maggior correlazione con i risultati
ottenuti nelle sessioni libere, rispetto ad un valore di devianza pari a 1987 (Tab.
5).
52
Tabella 5. Analisi della devianza nelle sessioni libere (S0, S1 e S6).
Statistical model N
Terms fitted in model
df
deviance
1
Constant
1665
1987
2
constant +Gbody
1664
1986
3
constant +Gmean
1664
1986
4
constant +sex
1664
1987
5
constant +Limb
1664
1839
6
constant+ Limb+Gbody
1663
1839
7
constant+sex+Limb
1663
1839
8
constant+Limb+Gmean
1663
1839
9
constant+sex+Limb+Gbody
1662
1839
10
constant+sex+Limb+Gmean
1662
1839
11
constant+Limb+Gmean+Gbody
1662
1838
12
constant+sex+Limb+Gmean+Gbody 1661
1838
Su un totale di 833 gesti eseguiti dalla modella utilizzando l’arto sinistro
(Limb = 0), 611 (63%) sono stati imitati dai partecipanti secondo la prospettiva
speculare, mentre degli 834 gesti eseguiti dalla modella con l’arto destro (Limb =
1), un numero minore, pari a 394 (47%) è stato riprodotto dai partecipanti in
modalità speculare. Nello scrivere  = b0 + b1 × Limb per la componente lineare
del modello derivante dagli effetti misti, il modello logistico è diventato:

1
1  exp       Z  
dove  = P(Y=1) è la probabilità che il gesto del soggetto venga eseguita in
prospettiva speculare,  è la deviazione dell’effetto random, e Z la variabile
standard random (Tab. 6).
53
Tabella 6. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Limb come
covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Intercept, b0
1.416
0.279
Limb, b1
-1.395
0.118
5.07
<0.001
-11.77 <0.001
random effects
Standard Deviation, σ
1.356
Nelle sessioni guidate, quando i soggetti erano istruiti ad imitare
utilizzando lo stesso arto usato dalla modella (Sessione 2), 532 gesti su 564 (94%)
venivano riprodotti in prospettiva anatomica e solo 32 su 564 (6%) in prospettiva
speculare. Relativamente alle risposte dei soggetti in questa sessione, la variabile
Gmean è apparsa essere significativamente correlata con l’elevata percentuale di
gesti eseguiti in prospettiva speculare (Tab. 7). Nello specifico, delle performance
anatomiche fornite nella Sessione 2, su un totale di 532 gesti imitati dai soggetti in
modalità anatomica, 296 (56%) erano in risposta ad un gesto meaningful (MF),
mentre 236 (44%) in risposta ad un gesto meaningless (ML). Circa le performance
speculari fornite nella Sessione 2, invece, su un totale di 32 gesti imitati dai
soggetti in modalità speculare, 28 (87%) erano in risposta ad un gesto meaningful
(MF) mentre 4 (13%) in risposta ad un gesto meaningless (ML).
Tabella 7. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gmean come
covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Intercept, b0
-9.841
1.913
-5.14
<0.001
Gmean, b1
2.334
0.807
2.89
0.004
random effects
Standard Deviation, σ
5.844
54
Quando ai soggetti veniva chiesto di imitare i gesti osservati utilizzando
l’arto opposto rispetto a quello usato dalla modella nei filmati (Sessione 4), su 562
gesti eseguiti dalla modella, 519 (92%) venivano riprodotti dai partecipanti
utilizzando la prospettiva anatomica, mentre 43 su 562 (8%) in modalità
speculare.
Nessuna delle variabili prese in considerazione erano significativamente
correlate con le performance dei partecipanti nella Sessione 4.
2.5.2. Analisi statistica per il gruppo di pazienti callosotomizzati
Il numero totale di risposte dei pazienti callosotomizzati sul quale sono
state eseguite valutazione statistiche è 1132, in quanto per incompletezza, 20 loro
risposte sono state escluse dall’analisi dei risultati.
Nelle sessioni libere (Sessioni 1 e 6) i partecipanti hanno usato la
prospettiva anatomica (anatomical perspective-taking) per imitare 191 gesti su
564 (34%) e la prospettiva speculare (mirror perspective-taking) per imitare 373
gesti su 564 (66%).
L’analisi della devianza ha dimostrato che il fattore
maggiormente
determinante le risposte dei soggetti così come sopra distribuite è stato il fattore
Limb (devianza = 638.7), rispetto ad un valore della devianza pari a 708.2 (Tab.
8).
Tabella 8. Analisi della devianza nelle sessioni libere (S1 e S6).
Statistical model N Terms fitted in model
df
deviance
1
Constant
562
708.2
2
constant +Gbody
561
708.2
3
constant +Gmean
561
707.6
4
constant +sex
561
708.1
5
constant +Limb
561
638.7
6
constant +SCC
559
705
55
Su un totale di 283 gesti eseguiti dalla modella nei filmati con l’arto
sinistro, 232 (82%) sono stati riprodotti dai partecipanti in prospettiva speculare,
mentre dei 281 gesti eseguiti dalla modella con l’arto destro, 141 (50%), ovvero
un numero minore, sono stati imitati in prospettiva speculare.
Scrivere  = b0 + b1 × Limb, per il componente lineare del modello che
deriva dagli effetti fissi, il modello logistico così è diventato:

1
1  exp       Z  
Dove  = P(Y=1) è la probabilità che il gesto del soggetto venga eseguito
in modalità speculare,  la deviazione standard dell’effetto random, e Z la
variabile random standard (Tab. 9)
Tabella 9. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Limb come
covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Intercept, b0
1.632
0.237
6.87
<0.001
Limb, b1
-1.608
0.202
-7.98
<0.001
random effects
Standard Deviation, σ
0.606
Nella Sessione 2 (Driven Session), ovvero quando si chiedeva ai soggetti
di utilizzare lo stesso arto usato dalla modella nei video, la prospettiva anatomica
veniva scelta per imitare 120 gesti su 286 (42%) e la prospettiva speculare per
imitare 166 gesti su 286 (58%).
Il fattore Gmean è apparso essere quello più strettamente correlato con la
tendenza a fornire risposte di tipo speculare (Tab. 10), in quanto sul totale di 166
gesti imitati in prospettiva speculare, 73 (44%) erano di tipo meaningful (MF),
mentre 93 (56%) erano in risposta a gesti meaningless (ML). Al contrario, dei 120
gesti che sono stati riprodotti in prospettiva anatomica, la maggior parte, ovvero
56
69 gesti su 120 (57.5%) erano conseguenti ad un gesto meaningful (MF), e 51
(42.5%) ad un gesto meaningless (ML).
Tabella 10. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gmean come
covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Gmean, b1
-1.0896
0.348
-3.129 0.002
random effects
Standard Deviation, σ
2.949
Quando i partecipanti erano chiamati ad eseguire il gesto utilizzando l’arto
opposto rispetto a quello usato dalla modella nei filmati (Sessione 4; Driven
Session), 104 su 282 (37%) gesti venivano riprodotti utilizzando la prospettiva
anatomica, mentre 178 su 282 (63%) in prospettiva speculare.
La variabile Gmean è apparsa essere ancora una volta strettamente
correlata con le risposte dei soggetti agli stimoli. Su un totale di 178 gesti eseguiti
in prospettiva speculare, 96 (54%) erano in conseguenza dell’imitazione di gesti
meaningful (MF), e 82 (46%) di gesti meaningless (ML). Su 104 performance di
tipo anatomico, 46 prestazioni (44%) erano in risposta ad un gesto meaningful
(MF) e 58 (56%) in risposta ad un gesto meaningless (ML; Tab. 11).
Tabella 11. Parametri ed errori standard delle per il modello con il fattore Gmean come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Gmean, b1
-0.7218
0.310
-2.324 0.02
random effects
Standard Deviation, σ
1.966
Un’altra variabile positivamente correlata con le risposte dei soggetti nella
Sessione 4 è il fattore Gender. Delle risposte fornite dai maschi (163), 126
57
(77.3%) sono state prodotte in prospettiva speculare, e le restanti 37 risposte
(22.7%) in modalità anatomica. Delle risposte fornite dalla femmine (119),
invece, 52 risposte (43.7%) sono stata fornite in modalità speculare (Tab. 12).
Tabella 12. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gender come
covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects
Gender, b1
-1.6594
0.652
-2.544 0.01
random effects
Standard Deviation, σ
1.600
Le medie delle risposte con prospettiva speculare (o anatomica) ottenute
dai singoli soggetti appartenenti a ciascuno dei due gruppi nelle sessioni libere e
guidate sono state analizzate con il test T di Student per valutare la significatività
statistica delle differenze osservate nell’ambito dello stesso gruppo fra i due tipi di
sessioni e tra i due gruppi per lo stesso tipo di sessione. I confronti sono stati fatti
in varie combinazioni nel seguente modo:
1. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni libere verso
media delle risposte anatomiche dei controlli nelle sessioni libere;
2. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni guidate verso
media delle risposte anatomiche dei controlli nelle sessioni guidate;
3. media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni libere verso
media delle risposte anatomiche dei pazienti nelle sessioni libere;
4. media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni guidate verso
media delle risposte anatomiche dei pazienti nelle sessioni guidate;
5. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni libere verso
media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni libere;
6. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni guidate verso
media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni guidate.
La differenza veniva considerata statisticamente significativa per valori di p <
0,05.
58
2.6. Discussione dei risultati dello studio sperimentale
In questo studio, la cui indagine è consistita nella valutazione delle
prospettive (anatomica o speculare) che assume colui che compie un atto di
imitazione nei confronti di uno stimolo visuo-motorio, i risultati ottenuti hanno
dimostrato che esiste una differenza sostanziale di carattere inter-gruppo.
E’ stata analizzata la modalità (prospettiva anatomica vs prospettiva
speculare) con cui i due gruppi di soggetti hanno imitato i gesti eseguiti dalla
modella nei filmati (posizionata in prospettiva di terza persona rispetto
all’esecutore del compito), e le conclusioni che sono state tratte sono apparse
degne di nota.
Relativamente alle sessioni libere (Free Sessions; S0, S1 e S6; Fig. 12):
 i risultati ottenuti con il gruppo di controllo (soggetti sani) hanno
evidenziato che quando chiamati ad imitare spontaneamente essi
privilegiano un’esecuzione del gesto di tipo speculare (60% di risposte
mirror-mode), tanto che la differenza di performance tra le due sessioni è
statisticamente significativa (p < 0,05);
 i risultati ottenuti con il gruppo dei callosotomizzati hanno dimostrato che
quando chiamati ad imitare spontaneamente (nelle sessioni 1 e 6), pur
avendo la possibilità di usare l’arto preferito all’Oldfield, essi privilegiano
riprodurre il gesto in modalità speculare (66% di risposte mirror-mode);
anche in questo caso la differenza di performance tra le due sessioni è
statisticamente significativa (p < 0,05).
Questi risultati dimostrano che:
1. quando non esistono vincoli all’esecuzione di un atto imitativo, il
soggetto risponde spontaneamente ponendosi di fronte allo stimolo
in posizione speculare, come se si trovasse di fronte ad uno
specchio;
2. non esistono differenze significative di performance, nelle sessioni
libere, tra gruppo di controllo e gruppo sperimentale (p > 0,05);
3. l’arto preferito (al test di Oldfield) non determina la risposta
spontanea del soggetto imitante. Risultato in linea con lo studio
59
condotto da Wapner e Cirillo (1968) che testimonia come la
tendenza ad utilizzare l’arto preferito in compiti di tipo imitativo
declini con l’aumentare dell’età.
Figura 12. Risposte speculari ed anatomiche di ogni singolo paziente e del gruppo di controllo,
nelle sessioni libere e guidate. (Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
Relativamente alle sessioni guidate (Driven Sessions; S2 e S4; vedi Fig. 12):
 i risultati ottenuti con il gruppo di controllo hanno evidenziato che quando
chiamati ad imitare tenendo conto dell’arto usato dalla modella
nell’esecuzione dei gesti (nelle sessioni 2 e 4), perché l’istruzione dello
sperimentatore richiedeva che si usasse lo stesso (Sessione 2) e l’opposto
(Sessione 4), i partecipanti hanno privilegiato un’esecuzione del gesto di
tipo anatomico (93% di risposte anatomical-mode); la differenza di
performance tra le due sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05);
 i risultati ottenuti con il gruppo dei callosotomizzati hanno mostrato che
quando chiamati ad imitare tenendo conto dell’arto usato dalla modella
nell’esecuzione dei gesti (nelle sessioni 2 e 4), perché la prestazione
richiedeva che si usasse lo stesso (Sessione 2) e l’opposto arto rispetto alla
modella, i partecipanti hanno preferito, ancora una volta (rispetto alle
60
perfomance nelle sessioni libere) riprodurre il gesto in modalità speculare
(39% di risposte anatomical-mode); la differenza di performance tra le due
sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05).
Questi risultati dimostrano che:
1. esiste una netta discrepanza di performance tra il gruppo di controllo e i
callosotomizzati, quando chiamati ad imitare secondo una specifica
istruzione: i controlli usano la prospettiva anatomica, i pazienti quella
speculare (p < 0,05);
2. visto l’identico paradigma comportamentale cui sono stati sottoposti
entrambi i gruppi, si ipotizza che le differenze riscontrate a livello di
performance siano dovute a fattori inter-gruppo, ovvero a caratteristiche
riconducibili ai partecipanti dei due gruppi. L’unica differenza tra i
partecipanti ai due gruppi consiste nel grado di integrità del corpo calloso,
che nei partecipanti al gruppo sperimentale è incompleta o assente;
Importanti annotazioni sono inoltre destinate all’analisi del livello di
correlazione tra le diverse variabili e le percentuali di risposte dei due gruppi nelle
sessioni libere e guidate.
Di tutte le variabili potenzialmente correlabili con le perfomance dei due
gruppi (Gender, Gmean, Gbody, Limb, Imit e SCC), solo alcune hanno riportato
valori statisticamente significativi.
Nelle sessioni libere (S0, S1 e S6) la variabile Limb è la variabile
significativamente correlabile con la maggior percentuale di risposte speculari sia
nei soggetti di controllo (60%) che nei soggetti callosotomizzati (66%).
La variabile Limb sta per l’arto (destro o sinistro) con lui la modella dei
filmati esegue i gesti. Si tratta di una variabile relativa allo stimolo-target, una
variabile che si correla, nelle sessioni libere, alla preponderanza di risposte
speculari in entrambi i campioni di soggetti. Ovvero, la maggior frequenza di
risposte speculari sono state fornite dai partecipanti di entrambi i gruppi a seguito
di gesti eseguiti dalla modella con l’arto sinistro (Limb=0).
61
Nelle sessioni guidate S2 la variabile Gmean è la variabile significativamente
correlabile con la maggior percentuale di risposte anatomiche (94%) dei soggetti
di controllo e con la maggior percentuale di risposte speculari (58%) dei soggetti
callosotomizzati. In questo caso, la medesima variabile andrebbe ad essere
correlata con due opposte tendenze di performance: anatomica per i controlli e
speculare per i callosotomizzati. Una variabile, quindi, che dista dalla precedente
delle sessioni libere (variabile Limb), perché anziché uniformare le performance,
si correla all’elemento che le rende distinte ed opposte.
La correlazione tra la variabile Gmean e le risposte prevalentemente
anatomiche (94% risposte anatomiche) dei soggetti di controllo stanno a
significare che la maggior parte delle loro performance di natura anatomica (532
risposte anatomiche su un totale di 564 risposte) sono state fornite a fronte di
stimoli meaningful (MF), ovvero Gmean = 1.
La correlazione tra la variabile Gmean e le risposte prevalentemente speculari
(58% risposte speculari) dei soggetti sperimentali sta a significare, invece, che la
maggior parte delle performance in prospettiva di specularità (166 risposte
speculari su un totale di 286 risposte) sono state fornite a fronte di stimoli
meaningless (ML), ovvero Gmean = 0.
Nelle sessioni guidate S4 nessuna variabile è significativamente correlabile
con la maggior percentuale di risposte anatomiche (92%) dei soggetti di controllo,
mentre la variabile Gender è significativamente correlabile con la maggior
percentuale di risposte speculari (63%) dei soggetti callosotomizati.
Le risposte di natura prettamente anatomica fornite dai soggetti di controllo
nella Sessione 4 non dimostrano di essere correlate a specifiche variabili.
Diversamente, le risposte del gruppo dei callosotomizzati sono correlabili con la
variabile Gender, visto il maggior numero di risposte speculari fornite dai maschi
(77.3%), a fronte di una percentuale pari al 43.7% di risposte speculari fornite
dalle femmine. Sembra quindi che il genere maschile dei pazienti callosotomizzati
prediliga maggiormente rispetto al genere femminile la prospettiva speculare,
quando chiamati ad usare l’arto opposto.
62
PARTE 3.
Conclusioni e prospettive future
We observe actions from a large range of visual
perspectives (VP); the poles of this continuum are the
first/egocentric VP (i.e., looking at an action made by a person
facing the same direction as we are or looking at ourselves
while we are moving) and the third person/allocentric VP (i.e.,
looking at someone’s actions when they are facing us or
observing ourselves moving in a mirror).
(Hétu et al., 2011, p. 2)
Nel presente studio si è voluto indagare una variabile dell’imitazione che
va sotto il nome di assunzione di prospettiva: la prospettiva (speculare o
anatomica) in cui si pone un soggetto nell’atto di riprodurre un gesto osservato
compiere da un altro individuo. Il passaggio da un tipo di prospettiva di natura
egocentrica ad un altro di natura allocentrica è fondamentale per realizzare atti di
imitazione, e per interagire all’interno del contesto di appartenenza sociale.
Si è scelto di utilizzare stimoli posizionati in prospettiva di terza persona
(180°) rispetto al soggetto imitante, perché è vis à vis che si realizzano le più
quotidiane interazioni umane (basti pensare all’immagine che viene riflessa da
uno specchio). I gesti intransitivi, stimoli-target del presente lavoro sono semplici
da eseguire, non necessitano di training per essere riprodotti, hanno un significato
socialmente condiviso (almeno per quanto concerne i gesti meaningful), e
rappresentano la prima forma di azione che i bambini si dimostrano in grado di
imitare (Meltzoff e Moore, 1977, 1997).
L’analisi delle performance dei partecipanti al gruppo di controllo e al
gruppo sperimentale ha prodotto una significativa differenza nelle risposte fornite
nelle sessioni guidate (S2 e S4), ma non nelle sessioni libere (S0, S1 e S6). Nelle
sessioni libere si è osservata in entrambi i gruppi una naturale tendenza ad usare
una prospettiva di imitazione speculare nel riprodurre i gesti eseguiti dalla
modella.
63
Questo tipo di risultato non appare in linea con le osservazioni di Wapner
e Cirillo (1968), i quali suggerivano che la tendenza ad imitare fosse
prevalentemente di tipo anatomico a partire dai 12-14 anni di età, e contrasta in
parte con lo studio condotto da Press e collaboratori (2009). Nell’indagine di
questi ultimi, nella fase sperimentale 1, veniva chiesto al partecipante di imitare
ciò che il modello faceva (“do what the model does”; Press et al., 2009, p. 515).
Indipendentemente dalla posizione assunta dallo stimolo, la tendenza era quella di
usare la prospettiva anatomica. Chiedere ad un soggetto di “fare ciò che fa il
modello” (in Press et al., “do what the model does”) è un’istruzione simile a
“imiti, il partecipante, ciò che vede nei filmati” fornita nelle sessioni libere S0 e
S6, ma di certo differente rispetto all’istruzione “imiti, il partecipante, usando lo
stesso arto che vede usare dalla modella nei filmati” fornita nella sessione guidata
S2, che esplicitamente vincola il soggetto ad elaborare il concetto di stesso per
riprodurre il gesto. Questo significa che i risultati ottenuti da Press et al.
nell’esperimento 1, che coerentemente con quanto sopra accennato possono essere
confrontati con i risultati ottenuti nella sessioni libere del presente studio,
dimostrando una preferenza per un tipo di imitazione anatomica, non trovano
riscontro nelle performance prevalentemente speculari dei soggetti che prendono
parte all’indagine in oggetto.
Nella fase 2 del lavoro di Press e colleghi, lo sperimentatore chiedeva a
metà dei partecipanti di usare “the same side of their body as the model” (Press et
al., 2009, p. 521) e all’altra metà di usare “the other side of their body” (ibidem).
Queste due istruzioni possono essere considerate analoghe a quelle che nel
presente studio si forniscono rispettivamente nelle sessioni S2 e S4. Anche in
questo secondo paradigma sperimentale lo stimolo poteva apparire a 0°, 60°,
120°, 180°, 240° e 300°.
Dei risultati ottenuti nell’esperimento 2, con stimoli a 0°, le prestazioni
migliori erano quelle di coloro che dovevano usare lo stesso lato del corpo del
modello per imitarne i gesti (Group Anat). Un risultato in linea con quelli
dell’esperimento 1, ma anche in linea con l’ipotesi che imitare uno stimolo posto a
0° produrrebbe una performance basata sul requisito della compatibilità spaziale
tra stimolo e risposta.
64
Si potrebbe quindi ipotizzare che sia il fatto che l’effettore usato dal
modello si trovi sulla stessa linea (in termini di posizione spaziale) dell’effettore
usato dal soggetto per riprodurlo, ad agevolare (e quindi rendere più accurata) la
prestazione imitativa.
Quando i soggetti erano di fronte ad uno stimolo posto in terza persona
(180°) le risposte più accurate erano le risposte del gruppo definito Group NonAnat, ovvero di chi doveva usare il lato opposto del proprio corpo per riprodurre i
gesti. Le risposte meno accurate, invece, erano quelle di coloro che dovevano
imitare usando lo stesso lato del proprio corpo (Group Anat).
In entrambe le istruzioni fornite ai due gruppi, si faceva riferimento ad un
criterio anatomico; alcuni dovevano imitare con lo stesso lato e altri con il lato
opposto del corpo. Che cosa rende possibile che queste due istruzioni producano
performance differenti? Per quale motivo, ci si potrebbe chiedere, di fronte ad uno
stimolo posto a 180° imita meglio chi deve imitare con l’arto opposto, ed imita
peggio chi deve imitare con lo stesso arto? In entrambi i casi, chi imita dovrebbe
appellarsi alla medesima fonte interpretativa (“se il modello usa il destro ed io
devo usare lo stesso arto, userò il mio arto destro”, e “se il modello usa il destro
ed io devo usare l’arto opposto, userò il mio arto sinistro), ma questo sembra non
accadere. La discrepanza di performance in seno al medesimo criterio
interpretativo delle istruzioni deriva forse dal fatto che anche a 180° per usare
l’arto opposto si utilizza il criterio della compatibilità spaziale tra stimolo e
risposta.
Interpretando questi risultati, ne potrebbe derivare che di fronte ad uno
stimolo a 180° sia più semplice imitare in maniera non anatomica. Questo dato
concorda con quanto emerso nelle sessioni libere dell’indagine presente, e
potrebbe essere spiegato in virtù della compatibilità spaziale tra lo stimolo e la
risposta (S-R Spatial Compatibility).
L’esperimento 2 di Press e collaboratori è in linea con numerosi precedenti
studi che riportano dati a favore della migliore qualità di performance speculari a
fronte di stimoli posti a 180°. Koski e collaboratori (2003), confermarono questa
ipotesi osservando che quando i partecipanti erano chiamati ad imitare movimenti
delle dita delle mani presentati a 180°, utilizzando la prospettiva speculare, si
65
manifestava una cospicua attivazione bilaterale delle aree frontali inferiori e della
corteccia parietale posteriore dell’emisfero destro, aree facenti parte del Sistema
dei Neuroni Specchio; tale assunzione suggeriva l’ipotesi che i neuroni specchio
fossero all’origine di un tipo di imitazione di ordine speculare.
Per quanto concerne le sessioni guidate del presente studio (S2 e S4), i dati
ottenuti dai due gruppi di soggetti hanno riportato differenze sostanziali. I soggetti
di controllo (con corpo calloso intatto) interpretavano i concetti di stesso e di
opposto facendo riferimento ad un criterio di scelta fondato su indici anatomici,
così da far coincidere la propria destra con la destra del modello e la sinistra con
la sinistra dello stesso;
i soggetti callosotomizzati limitavano invece
l’elaborazione dell’informazione al vincolo della specularità, per cui lo stesso e
l’opposto coincidevano con lo stesso e l’opposto speculari.
In uno studio sulla dell’Active Intermodal Mapping Theory, Heyes e Ray
(2004), con prove di compatibilità spaziale tra stimolo e risposta, indagarono
l’assunzione di prospettiva di un soggetto di fronte ad un modello che esegue dei
gesti. Nel paradigma sperimentale 1, Heyes e Ray (2004) presentavano ai
partecipanti un modello umano che eseguiva dei movimenti con gli arti,
visualizzato sullo schermo di un computer da varie angolature (0°, 60°, 120°,
180°, 240° e 300°). Al soggetto spettava il compito di imitare i movimenti
osservati utilizzando lo stesso lato del corpo usato dal modello, esattamente come
previsto nella sessione S2 del presente lavoro. I risultati mostrarono un maggior
numero di errori quando il modello eseguiva i movimenti di fronte ad uno stimolo
posizionato a 120°, 180° e 240°. Questi risultati hanno condotto gli autori ad
ipotizzare che l’imitazione fosse mediata dalla valutazione della concordanza
spaziale tra lo stimolo e risposta (S-R Spatial Compatibilityn Theory).
A questo punto gli autori si domandarono quali potessero essere i
meccanismi che avrebbero permesso ad un soggetto di imitare con lo stesso lato
del corpo del modello, quando questo modello si fosse trovato vis à vis rispetto ad
esso. La risposta fu quella di supporre che in suddetta condizione, il soggetto
66
producesse mentalmente una trasformazione delle coordinate spaziali del proprio
corpo, così da farle coincidere con le parti del corpo dello stimolo-target.
In un secondo protocollo sperimentale, agli stessi stimoli del protocollo
precedente, i soggetti dovevano rispondere utilizzando il lato opposto del proprio
corpo, istruzione identica a quella che nel presente protocollo comportamentale
corrisponde alla sessione guidata S4. Nella condizione in cui lo stimolo si trovava
vis à vis con il soggetto, la risposta era definita “compatible”, dal momento che lo
stimolo (es. sollevamento dell’arto sinistro del modello) si trovava spazialmente
in linea con la risposta esatta che il soggetto avrebbe dovuto produrre (ovvero il
sollevamento dell’arto destro); ancora una volta, quindi, in linea con la S-R
Spatial Compatibility Theory. Quando invece lo stimolo si trovava a 0°, la risposta
era definita “incompatible”, dal momento che lo stimolo (es. sollevamento
dell’arto sinistro del modello) si trovava spazialmente non in linea con la risposta
prevista (sollevamento dell’arto destro). Ancora una volta, un compito che
prevedeva una risposta ben interpretabile alla luce della S-R Spatial Compatibility
Theory.
I risultati furono differenti rispetto a quelli ottenuti precedentemente
(esperimento 1), perché la maggior parte degli errori si verificarono nella
condizione in cui il modello era posto di spalle rispetto al soggetto (a 0°).
One could argue that participants always engage in
rotation when the model is facing them, regardless of whether
this produces correspondence (Experiment 1) or non
correspondence (Experiment 2) between egocentric stimulus
and response codes.
(Heyes e Ray, 2004, p. 708)
La citazione sopra riportata dimostra come gli autori avessero realmente
ipotizzato una spiegazione ulteriore dei risultati ottenuti al protocollo 2 (rispetto a
quella facente riferimento alla compatibilità spaziale tra stimolo e risposta),
chiamando in causa il meccanismo di Rotazione Mentale. Un’ipotesi che appare
essere rinforzata dai risultati del presente studio, in cui la discrepanza di
performance tra i due gruppi (controlli e callosotomizzati) nelle sessioni guidate,
farebbe supporre quanto Heyes e Ray avevano suggerito.
67
La differenza di performance osservata nelle sessioni guidate tra i due
gruppi è stata inevitabilmente correlata a quanto “caratterizzava” il gruppo dei
callosotomizzati rispetto al gruppo dei controlli, visto che il protocollo
sperimentale era il medesimo per i controlli ed i pazienti.
I pazienti callosotomizzati sono soggetti che hanno subito resezioni
chirurgiche di varia entità del corpo calloso, la principale commessura
interemisferica, nel corso del trattamento di forme di epilessia farmaco-resistenti.
Il grado di integrità del corpo calloso potrebbe essere, quindi, l’unica variabile
responsabile delle differenze osservate tra i due gruppi nelle sessioni guidate, e
potenzialmente correlabile con l’incapacità dei soggetti callosotomizzati di
assumere la prospettiva anatomica, fenomeno che si ipotizza dipendere da un
alterato funzionamento del meccanismo di Rotazione Mentale.
Inoltre, supponendo che il comportamento imitativo dipenda dal
funzionamento del Sistema dei Neuroni Specchio, una circuiteria neurale che
consta di aree prefrontale e aree parietali, e:
1. essendo tali aree connesse a livello interemisferico perché nei
soggetti di controllo il corpo calloso è integro;
2. essendo
alcune
aree
del
Sistema
dei
Neuroni
Specchio
probabilmente non connesse a livello interemisferico a causa della
non integrità del corpo calloso nei soggetti callosotomizzati;
si potrebbe ipotizzare che le regioni mancanti del corpo calloso contribuiscano a
determinare la risposta imitativa di tipo anatomico.
Poiché le performance nelle sessioni libere erano identiche nei due gruppi,
ne consegue che la non integrità del corpo calloso non produca alcuna differenza a
livello della capacità di imitare in maniera speculare.
Supponendo che
il
Sistema
dei Neuroni
Specchio si
esprima
prevalentemente attraverso un tipo di esecuzione speculare dell’atto imitativo, e
che l’imitazione anatomica coinvolga il meccanismo della rotazione mentale, si
potrebbe concludere che l’interruzione delle fibre callosali interferisca con il
corretto funzionamento del substrato anatomico del Mental Rotation Mechanism,
68
dal momento che nel gruppo dei callosotomizzati le risposte anatomiche delle
sessioni guidate erano inficiate.
Questo significa che, se utilizzare lo stesso arto e l’arto opposto rispetto
alla modella richiede ai partecipanti di ruotare mentalmente parti del proprio
corpo così da farle coincidere con quelle del corpo dello stimolo-target
(realizzando una esecuzione del gesto di tipo anatomico, per via del Mental
Rotation), i soggetti callosotomizzati, che hanno fornito prevalentemente risposte
speculari, manifesterebbero un deficit di funzionamento del sistema neurale
deputato alla Rotazione Mentale. Lecita a questo punto è l’ipotesi che sia la
circuiteria responsabile della Rotazione Mentale ad essere alterata a causa di
alcune porzioni di corpo calloso mancanti, e che questa correlazione sia alla base
della incapacità da parte del soggetto callosotomizzato di imitare in maniera
anatomica uno stimolo visuo-motorio posto in posizione di 180°.
Il meccanismo di Mental Rotation è sostenuto a livello corticale
dall’attivazione di regioni parietali, il giro frontale inferiore, la corteccia occipitale
laterale e aree premotorie (Milivojevic et al., 2009). Di queste aree, la parietale
inferiore e la prefrontale, fanno parte sia del Sistema dei Neuroni Specchio che del
substrato neurale del meccanismo di Rotazione Mentale.
L’intero corpo calloso può essere suddiviso in 7 regioni (in progressione
antero-posteriore): 1. Rostrum, 2. Genu, 3. Rostral body, 4. Anterior midbody, 5.
Posterior midbody, 6. Isthmus e 7. Splenium (Fig. 13).
69
A
B
C
Figura 13. Regioni del corpo calloso.
(Immagini A e C, tratte da Silvestrini et al., 1999; Immagine B, tratta da Thompson et al., 2003).
Ciascuna porzione di corpo calloso contiene fibre che connettono
specifiche aree corticali. La topografia del corpo calloso può essere evidenziata
dalle moderne tecniche di Neuroimaging, quali l’Imaging del Tensore di
70
Diffusione (DTI) e la Trattografia del Tensore di Diffusione (DDT; vedi Chao et
al., 2009; Fig. 14).
Figura 14. Topografia del corpo calloso e connettività corticali tracciate con le tecniche del DTI e
DDT. (Immagine tratta da Chao et al., 2009).
Nel corpo calloso adulto, la porzione del genu (ginocchio) contiene fibre
che collegano tra loro le aree frontali inferiori e le aree parietali inferiori. La
porzione di corpo calloso che quindi potrebbe essere implicata nel funzionamento
del meccanismo di Rotazione Mentale è quella del genu, area assente in 10
soggetti callosotomizzati su 12. Tale ipotesi potrebbe essere confermata da
ulteriori studi con metodi funzionali.
Un ulteriore spunto di ricerca, infine, deriva dalla constatazione che se
liberi di scegliere, soggetti sani adulti prediligono porsi di fronte allo stimolo in
modalità speculare. Wapner e Cirillo (1968), contrariamente a quanto osservato in
questa sede, avrebbero ipotizzato un tipo prevalente di atto imitativo di natura
anatomica (perché lo shift che conduce un soggetto a passare da una prospettiva
speculare ad una anatomica avverrebbe intorno ai 12-14 anni), dal momento che il
gruppo qui testato era composto da soggetti adulti. Potrebbe allora essere utile
71
approfondire questo dato, forse solo apparentemente contrastante, confrontandolo
con le risposte nelle sessioni guidate dei pazienti con vario grado di callosotomia,
e sottoponendo il medesimo protocollo comportamentale previsto dal presente
studio a soggetti tra i 6 ed i 18 anni di età.
Quest’ultima proposta di ricerca nasce dal’ipotesi che nel corso dello
sviluppo maturi un meccanismo inibitorio del Sistema dei Neuroni Specchio le cui
fibre attraversano il corpo calloso a livello del genu che si mielinizza più tardi
rispetto allo sviluppo delle fibre che passano per altre regioni callosali.
A questo punto è possibile proporre un’ipotesi interpretativa delle
differenze a livello di prestazione imitativa tra i due gruppi di soggetti, partendo
dalla supposizione che il Sistema dei Neuroni Specchio ed il meccanismo di
Roratione Mentale condividano alcune aree corticali.
L’assunzione della prospettiva speculare potrebbe essere il risultato del
funzionamento dei neuroni specchio, presumibilmente presenti fin dalla nascita,
vista l’abilità del neonato di imitare alcune espressioni facciali degli adulti;
l’assunzione della prospettiva anatomica, dal momento che compare durante
l’adolescenza, sarebbe, invece, una competenza acquisita che potrebbe dipendere
dalla maturazione della circuiteria neurale che sottende il meccanismo della
Rotazione Mentale.
Il passaggio dalla modalità speculare a quella anatomica, osservato da
Wapner e Cirillo (1968), potrebbe quindi essere il risultato di un effetto inibitorio
sul Sistema dei Neuroni Specchio da parte delle aree coinvolte nella rotazione
mentale, oppure di una maggiore attivazione di queste ultime, oppure entrambi;
questi effetti si manifesterebbero in un secondo momento, per via della
maturazione tardiva delle fibre callosali, in particolare quelle che attraversano il
ginocchio del corpo calloso e che connettono le aree prefrontali.
Queste aree potrebbero essere la sede delle interazioni tra il meccanismo
dei neuroni specchio e quello della rotazione mentale, dal momento che sono
coinvolte nei circuiti neurali alla base di entrambi i sistemi.
72
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Ringraziamenti
Al termine di questi tre anni della Scuola di Dottorato in Neuroscienze,
della Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche, anni di cui è
prodotto il presente lavoro, mi pregio dedicare un pensiero a coloro i quali hanno
contribuito a rendere scientificamente fruttuosa e psicologicamente gratificante
questa esperienza.
Rivolgo un sincero ringraziamento alla professoressa Mara FABRI, la
quale mi ha fornito sostegno professionale, mi ha permesso di realizzare questo
progetto di ricerca fornendo suggerimenti e strumenti. Fermamente convinta
dell’importanza che rivestono le Neuroscienze nello studio della fenomenologia
dell’essere umano, mi ha infuso passione ed insegnate strategie di lavoro; mi ha
permesso di mettere a servizio della comunità scientifica l’indagine condotta,
permettendomi di prendere parte ad importanti eventi congressuali in cui
presentare i risultati ottenuti nell’indagine sul comportamento imitativo.
Alla Prof.ssa FABRI, grazie per avere reso realizzabile un’idea.
Un affettuoso ringraziamento va ai miei cari, senza il cui sostegno, il
premuroso affetto e la comprensione mostrati giorno dopo giorno, non sarei stata
in grado di affrontare e di proseguire questa esperienza. Un grazie particolare a
mia sorella, Elisa, che mi ha aiutata a comprendere i vincoli che la ricerca
scientifica suppone, ed ha condiviso con me i più disparati vissuti che questa
esperienza ha prodotto.
Ai miei cari, un ringraziamento particolare, per la vicinanza affettiva e la
fiducia mostrate.
Un ringraziamento va anche al prof. Giovanni BERLUCCHI per aver
suggerito il tema della ricerca, che con le sue valenze di carattere
neuropsicologico, mi ha permesso di integrare il mio bagaglio di conoscenze nel
campo della psicologia con gli argomenti delle neuroscienze.
Un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile il reclutamento
del campione sperimentale rendendo effettiva l’indagine comparativa rispetto al
campione del gruppo di controllo,
il dott. Aldo PAGGI, il dott. Andrea
ORTENZI, e la signora Gabriella VENANZI.
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Ringrazio il prof. Luigi FERRANTE che mi ha concretamente sostenuta
ed aiutata nell’analisi statistica dei risultati dello studio, e ringrazio il dott.
Gabriele POLONARA per aver messo a disposizione le immagini MRI.
Un doveroso ringraziamento va ai volontari e a tutti i pazienti del Centro
Epilessia dell’Umberto I, ed ai loro familiari, i quali hanno sempre mostrato
sincera partecipazione ed indiscutibile disponibilità.
Un ringraziamento a tutti coloro con in quali nel corso di questi tre anni ho
condiviso la realtà del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica; i
colleghi, con i quali ho condiviso ansie ed entusiasmi, ed i docenti e ricercatori,
cordiali e disponibili.
Infine, un grazie a chi, in ogni angolo della terra, si sperimenta
quotidianamente nella ricerca scientifica, e a chi è ancora convinto che nonostante
ogni impedimento, il progresso nella conoscenza dell’uomo debba procedere
senza prevedere arresti, nel rispetto dell’etica.
Dott.ssa Chiara Pierpaoli
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