La grappa del Friuli e Harvard

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La grappa del Friuli e Harvard
Bollettino della Comunità Scientifica in Australasia
Ambasciata d’Italia
Giugno 2004
CANBERRA
La scienza: una finestra aperta sulla cultura
A cura di Stefano Girola
La grappa del Friuli e Harvard
Che legame c'è fra la grappa friulana e la prestigiosa università americana di Harvard?
Nessuno, apparentemente. Eppure, da una distilleria di grappa attiva in Friuli dal 1897
e dal celebre istituto del Massachussets sono giunti recentemente messaggi molto
simili, che dovrebbero far riflettere tanto i cultori delle discipline scientifico-tecniche
quanto quelli delle materie umanistiche. Messaggi che stimolano anche un
ripensamento dell'idea di università e degli scopi di questa istituzione, perché essa
possa rispondere adeguatamente alle sfide della globalizzazione.
Nei primi anni '70, la famiglia dei Nonino, pur rispettando le tecniche tradizionali,
rivoluzionò i metodi di produzione della grappa, producendo la grappa di singolo
vitigno, il Monovitigno Nonino. Contemporaneamente, accorgendosi che i vitigni
autoctoni friulani erano in via di estinzione, con lo scopo di farli riconoscere
ufficialmente dagli organismi Comunitari e nazionali, i Nonino istituirono nel 1975 a
Percoto il “Premio Nonino Risit d'Aur”. Due anni dopo, a questa iniziativa venne
affiancato il “Premio Nonino di Letteratura”, con l'intento di “sottolineare la
permanente attualità della civiltà contadina”. Tuttavia, anche i confini della letteratura
dovettero sembrare troppo angusti alla famiglia Nonino. Nel 1990 venne infatti
aggiunto il riconoscimento ad “un maestro del nostro tempo”, che ha visti premiati
finora antropologi, biologi, fisici, espistemologi, teologi, tra cui James Lovelock, René
Girard, Luigi Luca-Cavalli Sforza, Edward Wilson, Tzvetan Todorov e Raimon
Panikkar. Bastano i loro nomi a testimoniare non solo il crescente prestigio di questa
iniziativa, ma anche il suo carattere sempre più multidisciplinare (vedi www.nonino.it).
Il 31 gennaio di quest'anno il riconoscimento come “Maestro del nostro Tempo” è
andato al sociologo francese Edgar Morin, nato a Parigi nel 1921 e collegato alla Ecole
des Hautes Etudes en Science Sociales. Ecco alcune delle motivazioni per il premio
allo studioso: “Morin ha creato le grandi linee di una sociologia del presente,
basandosi soprattutto sul concetto di complessità . Grande europeista e sostenitore
della società aperta, etnologo delle piccole comunità , si è sforzato di fondere la storia
cosmologica, biologica e umana nei suoi numerosi volumi de “Il Metodo”.
È impossibile sintetizzare in poche righe il pensiero di Morin. Già i titoli delle sue
opere (I divi; Il paradigma perduto; La natura della natura; La conoscenza della conoscenza;
Introduzione al pensiero complesso; Le idee; L'identità umana; Il cinema o l'uomo immaginario;
Pensare l'Europa, etc.) suggeriscono un' apertura ed una curiosità verso i più disparati
campi del sapere. Tuttavia l'idea-guida al centro della sua riflessione è quella della
complessità , articolata nella sua opera principale, Il Metodo, non a caso citata dalla
giuria del Nonino.
Nell'indagine di Morin, la “complessità ” è prima di tutto una caratteristica essenziale
della realtà cosmico-biologica, da cui l'umanità è emersa come momento autocosciente e responsabile del destino del pianeta Terra. La realtà è complessa perché
tutti gli aspetti del reale, da quelli naturali a quelli che regolano l'organizzazione sociale
degli esseri umani, sono interdipendenti e legati l'un l'altro anche quando
sembrerebbero lontani od estranei.
Purtroppo, secondo Morin, la consapevolezza di questa complessità è stata oscurata
dal diffondersi di un sapere sempre più specialistico e dall'ergersi di barriere fra le
discipline scientifiche e quelle umanistiche. Morin individuò nel filosofo Descartes il
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massimo responsabile di questo sviluppo: “Di fronte alla complessità del mondo in
cui viviamo e alle sue contraddizioni, la conoscenza non può essere esclusivamente
specialistica e frammentaria. Purtroppo nella tradizione occidentale ha sempre
prevalso il Discorso sul Metodo di Descartes, per il quale conoscere significa separare, in
nome di un metodo analitico il cui risultato finale nasce dalla somma di tanti
frammenti”.
Il Metodo di Morin è invece guidato dalla convinzione che per “comprendere qualsiasi
fenomeno (umano, naturale o sociale) occorre intrecciare fra loro discipline diverse.
Non si può prescindere da una conoscenza capace di spaziare dalla genetica alla
biologia, dalla geologia alla sociologia. Se le barriere disciplinari non vengono
abbattute la conoscenza del mondo sarà sempre preda di unilateralismi”.
Secondo Morin questo approccio, nell'attuale epoca di globalizzazione delle idee, delle
culture e delle economie, è diventato più urgente che mai. Forse proprio a causa di ciò,
negli ultimi anni egli si è sforzato di delineare una riforma dell'insegnamento e
dell'educazione, dalla scuola primaria fino all'università, per proporre dei cambiamenti
concreti basati sull'idea di complessità (La testa ben fatta. Riforma dell'Insegnamento e
riforma del pensiero, Cortina Ed. 1999). Uno dei principi fondamentali di queste proposte
riformatrici è un ripensamento dei rapporti fra cultura scientifica e cultura umanistica,
il cui stato attuale Morin definisce “tragico”, in quanto oggi la separazione fra queste
due culture sarebbe “dominante”: “Perché parlo di tragedia: perché la cultura umanista
viene privata delle innumerevoli conoscenze apportate dalle scienze; e la cultura
scientifica è privata del potere di riflessione che è proprio della cultura umanista. Ci
troviamo quindi di fronte a due culture entrambe mutilate che avrebbero invece
bisogno di interconnettersi in modo organico”.
Nel suo bellissimo libro Terra-Patria, per illustrare visivamente la sua idea di
complessità, Morin riprese la teoria ormai celebre secondo cui un battito d'ali di una
farfalla in Asia può provocare, a distanza di anni, un tornado in California. Non si
dovrebbe escludere che, per vie imperscrutabili e misteriose, l'aroma della grappa
friulana abbia innescato una catena di eventi che ha portato ad una storica
ridiscussione dei piani di studio universitari in Massachussetts. Infatti nel 2002
l'università di Harvard ha lanciato per la prima volta in 30 anni una grande
rivisitazione dei propri curricula. Un comitato, formato fra gli altri da William C.
Kirby, preside della Faculty of Arts and Sciences, è stato chiamato a valutare “cosa
significa educare un uomo o una donna nel primo quarto del XXI secolo”. Alla base
dei
risultati
dell'indagine,
resi
noti
un
anno
dopo
(http://www.fas.harvard.edu/curriculum-review/12.2003rpt.pdf),
vi
è
la
consapevolezza che “the world and how we think about it have changed in important
ways since the last major curricular review, and these changes must guide us as we
shape the Harvard College curriculum for the early part of the 21st century”.
Vari sono i temi che sono emersi dal lavoro del comitato, ma i primi tre meritano di
essere riportati per esteso:
“First, we will want to focus on internationalization. As the “Red Book” of the
1940s sought to outline how Harvard students should be educated as 'citizens of a free
society', we should aim to prepare students to live as citizens of a global society. To
the degree that Harvard has imagined itself as educating leeaders of this country, our
responsibility is now more international, preparing students for a world that may be
globalizing, but one of still different, and changing, cultures and civilizations.
Second, our undergraduates will live in a world of ongoing scientific revolution. We
must prepare not only science concentrators but also students with more humanistic
and social science interests to appreciate the sciences and the role that they play in
modern society and public policy.
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Third, modern scientific and humanistic inquiry often crosses the boundaries of
traditional disciplines. Moreover, most public policy decisions involve considerations
drawn from varying, and sometimes contradictory, disciplinary perspectives. Our
students should be encouraged to explore topics that cross disciplinary boundaries
and should encounter the intellectual controversies that exist among disciplines”.
Questa è sicuramente musica per le orecchie di Morin e di quanti condividono le sue
teorie. Visto che molti sistemi educativi, non solo nel mondo anglosassone,
considerano il modello nord-americano un esempio da seguire, è probabile che le idee
che si stanno affermando ad Harvard ispireranno altri istituti nella loro ricerca di
un'offerta di sapere adeguata all'era della globalizzazione.
Ciò sarebbe importante anche in ambiti che vanno al di là di quello puramente
accademico. Va sottolineato infatti che il vincitore più recente del premio Nonino non
è interessato solo alle implicazioni teoretiche o educative dell'idea di complessità. Nella
riflessione e nella vita di Morin hanno sempre avuto grande rilievo la dimensione etica
e la passione per i diritti umani. Se è vero che attualmente ci troviamo in una
gravissima crisi, in cui anche il terrore è sempre più globalizzato, non bisogna mai
smettere di intravedere nuove possibilità e vie di salvezza: “La crisi può favorire la
metamorfosi del sistema, in direzione di una società-mondo più ricca e complessa, una
società più umana e più giusta, capace di far fronte alle sfide del futuro”.
Stefano Girola
School of History, Philosophy, Religion and Classics
University of Queensland
[email protected]
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