Leve e ostacoli nella promozione di coesione sociale nei quartieri
Transcript
Leve e ostacoli nella promozione di coesione sociale nei quartieri
Leve e ostacoli nella promozione di coesione sociale nei quartieri Valutazione a partire dall’analisi di tre esperienze progettuali promosse dal Bando Fondazione Cariplo di Carla Dessi Cecilia Guidetti Valentina Ghetti Cristina Piaser Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011 Carla Dessi, Istituto per la Ricerca Sociale, [email protected] Cecilia Guidetti, Istituto per la Ricerca Sociale, [email protected] Valentina Ghetti, Istituto per la Ricerca Sociale, [email protected] Cristina Piaser, Istituto per la Ricerca Sociale, [email protected] 1 Leve e ostacoli nella promozione di coesione sociale nei quartieri Valutazioni a partire dall’analisi di tre esperienze progettuali promosse dal Bando Fondazione Cariplo Questo contributo si propone di mettere in evidenza alcune “questioni nodali” che a nostro parere caratterizzano quelle esperienze di promozione della coesione sociale da noi intercettate come soggetti valutatori1. Questa analisi è basata principalmente sulla lettura trasversale di tre progetti, tutt’ora attivi sul territorio milanese e dell’hinterland: • il progetto Arcipelago Mazzini 3.0, attivo nel quartiere adiacente Piazzale Corvetto nel Comune di Milano; • il progetto Rozzano Si-Cura, attivo nel quartiere Aler della città di Rozzano; • il progetto S-Cambio, attivo nell’ambito territoriale di Bollate attraverso interventi nei quartieri di via Turati a Bollate, via Gorizia a Baranzate, via Tasso a Solaro. Trattasi di tre esperienze finanziate dalla Fondazione Cariplo nell’ambito di un Bando promosso dal settore Servizi alla persona nel 20092, destinatarie di finanziamenti di una certa portata3, partite nei primi mesi del 2010 e che dovranno necessariamente concludersi entro il mese di febbraio 2013. Sebbene differenti per la tipologia di contesto socio-demografico, economico e abitativo e per la multidimensionalità delle azioni promosse, tutte e tre le esperienze sono finalizzate a sostenere il 1 Si precisa che tutte le esperienze che verranno citate all’interno di questo documento sono state da noi seguite come equipe di ricerca dell’Area politiche sociali e socio sanitarie dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Milano (www.irs-online.it). 2 Per una maggiore completezza dell’informazione si precisa che il Bando emesso nel 2009 dal titolo “Avete progetti per il futuro? Promuovere la coesione sociale nelle comunità territoriali sulla base di studi di fattibilità operativa” rappresentava di fatto il proseguo di un precedente Bando emesso nel 2008 “Selezione di richieste di contributi per la realizzazione di studi di fattibilità operativa di progetti di coesione sociale nelle comunità territorialiun”. Tutti e tre i progetti hanno quindi partecipato ad una prima fase di studi di fattibilità operativa, sono stati selezionati e ammessi a partecipare al secondo Bando e quindi ulteriormente selezionati come assegnatari di una quota dei finanziamenti stanziati. 3 I contributi deliberati dal CdA della Fondazione Cariplo in data 19 gennaio 2010 vedono per il progetto Arcipelago Mazzini 3.0 un finanziamento di € 570.000, per il progetto Rozzano Si-Cura un finanziamento di € 635.000, per il progetto S-Cambio un finanziamento di € 485.000. 2 rafforzamento delle relazioni e la capacità di attivazione degli abitanti dei quartieri coinvolti e sono condotte da partenariati misti tra pubblico e privato. Ad integrare, inoltre, gli elementi conoscitivi appresi attraverso il nostro lavoro valutativo, le nostre riflessioni attingeranno anche da altre esperienze da noi condotte, in passato e tutt’ora in corso, che hanno come filo conduttore comune sempre la promozione della coesione sociale. Facciamo riferimento in particolar modo a: • i due progetti finanziati nel 2006 dalla Regione Lombardia nell’ambito del “Bando per la realizzazione di progetti finalizzati alla promozione di coesione sociale in quartieri periferici disagiati del Comune di Milano e dell’Area Metropolitana Milanese”4, bando che ha avviato una sperimentazione orientata a valorizzare la messa in comune del patrimonio conoscitivo dei soggetti attivi sul territorio impegnati nella rete di interventi e opportunità per le famiglie italiane e straniere in due quartieri dell’Area Metropolitana Milanese5; • i progetti finanziati dalla Regione Lombardia nell’ambito del 2° Programma Regionale “Contratti di Quartiere”6, progetti articolati in 4 Assi, di cui uno (l’Asse 2), interamente dedicato ad azioni di “rilancio della coesione sociale”. Tratteggiamo nelle tabelle che seguono le principali caratteristiche dei tre progetti che consentono di distinguerli per azioni implementate e destinatari a cui si rivolgono. Tabella 1. Presentazione di sintesi del progetto Arcipelago Mazzini 3.0 Progetto che opera su parte della Zona 4 del Comune di Milano in un’area compresa tra Piazzale Contesto Corvetto, via Polesine, via Ravenna, via Fabio Massimo, via Toffetti, via Martinengo. È una zona a forte prevalenza di edilizia residenziale pubblica con circa 5.000 abitanti. Partenariato 10 soggetti: capofila Cooperativa sociale La Strada, quattro cooperative (Dedo, Martinengo, Cesed, Limes), tre associazioni (Arci Milano, Auser, Ceas), il Comune di Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Azioni Interventi di: • sostegno alla genitorialità tramite percorsi formativi, counselling e attività di animazione • attività nei cortili tramite l’Equipe Integrata di Comunità • attività di integrazione dei cittadini stranieri • sostegno ai minori a rischio di dispersione scolastica 4 Vedi D.g.r. VIII/2011 del 1 marzo 2006. Destinatari dei finanziamenti sono stati i progetti “Spazi di relazione per lo sviluppo locale” localizzato a Quarto Oggiaro (circa 81.000 abitanti) e “Arcipelago Mazzini”, localizzato nel Quartiere Mazzini, zona Piazzale Corvetto, (circa 5.000 abitanti), progetto tutt’ora in fase di implementazione. 6 Vedi D.g.r. VIII/4933 del 15 giugno 2007. 5 3 Tabella 2. Presentazione di sintesi del progetto Rozzano Si-Cura Il territorio di intervento progettuale è rappresentato dal quartiere Aler di Rozzano (20.000 abitanti Contesto circa), realizzato tra gli anni 60 e 70, e che ha portato un vero boom demografico nella città: un passaggio da 3.800 abitanti circa a oltre 37.000. Dall'analisi è emerso come al centro delle difficoltà del quartiere ci sia il diffuso senso di insicurezza che colpisce in particolare le categorie sociali più fragili. Partenariato 6 soggetti: il Comune di Rozzano, che è capofila, l’azienda speciale consortile AFOL, l’associazione Comunità Nuova e tre cooperative (La Fucina, CBM e Albatros). Azioni Interventi di: • supporto alla genitorialità • attività di sostegno all’infanzia e all’adolescenza • percorsi di educazione alla legalità per minori • percorsi di educazione all’auto-imprenditorialità • attività ludico/ricreative per minori • socializzazione e animazione territoriale rivolta ad adulti, minori e famiglie Tabella 3. Presentazione di sintesi del progetto S-Cambio Contesto Progetto a rilevanza distrettuale, le azioni si sviluppano all’interno di tre quartieri in tre Comuni dell’ambito: le aree di via Gorizia a Baranzate, via Turati a Bollate e via Tasso a Solaro. In ognuna di queste aree, per il primo anno si sperimentano interventi di coesione differenziati, tesi poi a produrre “scambi” e contaminazioni tra i tre quartieri sulle buone pratiche e sulle strategie che risultano più efficaci. Partenariato 4 soggetti: l’Azienda sociale ComuniInsieme del distretto, che è capofila, e tre cooperative, Dike, Il Grafo e Koinè. Azioni Interventi di: • mediazione dei conflitti • sostegno al reddito con percorsi di educazione al consumo • supporto alla genitorialità • socializzazione e animazione territoriale rivolta a adulti, minori e famiglie L’accompagnamento all’implementazione e la valutazione di queste esperienze ha consentito di far emergere alcune considerazioni relativamente alle condizioni che ne garantiscono un buon funzionamento (ma anche alcuni interrogativi aperti sull’efficacia delle azioni promosse in quest’ambito di intervento) che possiamo ricondurre ai seguenti temi: 1. La coesione sociale dagli obiettivi alle strategie 2. Il legame quartieri-città 3. La multidimensionalità, governance e coesione tra partner 4. La partecipazione e attivazione della cittadinanza. 4 1. La coesione sociale dagli obiettivi alle strategie I tre quartieri hanno tratti comuni, che parlano di isolamento e marginalità, sia dal punto di vista urbanistico che socio-culturale. Si tratta di aree periferiche della metropoli, confinate dal punto di vista dei trasporti e della viabilità7, caratterizzate da un evidente degrado urbano8, dato anche da importanti concentrazioni di edilizia residenziale pubblica o convenzionata9. Sono aree in cui la presenza di popolazione migrante è nettamente superiore al dato medio dell’intera città, con conseguenti problemi di integrazione e stigma sociale che portano questi quartieri a essere connotati come disagiati e multiproblematici e a generare meccanismi di reciproca espulsione con il resto della città. La città indica il quartiere come area con identità propria e diversa (“quelli di via Gorizia”) e i quartieri accrescono il loro isolamento attraverso queste identificazioni. Sono frequenti fenomeni di abusivismo, microcriminalità, problemi connessi alla sicurezza urbana10 e non è raro trovare una straordinaria concentrazione di casi in carico ai servizi sociali. Sono quartieri “cronici” dove dilaga un sentimento di sfiducia per il fallimento di anni di intervento pubblico spesso troppo frammentato, unicamente concentrato sul contrasto al degrado urbano tralasciando le implicazioni sociali del disagio, oppure troppo concentrato sul sostegno/recupero delle singole situazioni familiari ma raramente inserito in un progetto complessivo di sistema sulle comunità. A fronte di tale compromissione sociale, quali ipotesi propongono gli interventi di coesione sociale? Le tre esperienze progettuali analizzate anch’esse presentano tratti comuni: propongono interventi strutturati e sinergici che cercano d’instillare trasformazioni sulla relazione tra le persone e sulla relazione tra cittadini e contesti di vita, nell’ipotesi che lavorare sulla promozione del benessere tra le persone e delle persone nei propri luoghi di vita sia la strada maestra verso una maggiore coesione sociale. Questa ipotesi viene perseguita con interventi che incidono, o sarebbe meglio dire auspicano di incidere, almeno su tre fronti: a. sull’immagine del quartiere, per nobilitarla e per riscoprirne i tratti distintivi, dandone però una valenza non più stigmatizzante ma caratterizzante. E’ quello che si è cercato di fare per esempio a Baranzate cercando di invertire lo stigma di un quartiere di immigrati, che conta 7 A titolo esemplificativo riportiamo nell’ambito del progetto S-Cambio il caso di Baranzate dove c’è un unico autobus in collegamento con Milano che si ferma ai confini dell’area comunale. 8 Sia Via Turati a Bollate che Piazzale Corvetto a Milano sono sede anche del programma regionale di riqualificazione urbana - Contratto di Quartiere. 9 La correlazione “quartieri-bersaglio” e “stabili di edilizia residenziale pubblica” è presente in tutte e tre le esperienze analizzate. 10 Si pensi ad esempio come Piazzale Gabrio Rosa nel quartiere Mazzini sia frequentemente al centro di fatti di cronaca. 5 oltre 60 comunità diverse, a quartiere multiculturale, facendo dell’aspetto dell’intercultura il tratto distintivo e positivo; b. sulla ricerca e valorizzazione delle energie migliori del quartiere, attraverso una loro corresponsabilità e attivazione nella ricerca del benessere per le proprie comunità. E’ quello che ad esempio nel quartiere Mazzini si sta facendo attraverso il coinvolgimento attivo degli inquilini residenti nei cortili, principali destinatari delle attività di animazione ma non solo; c. su una straordinaria concentrazione di interventi di tipo sociale-educativo-animativourbano, resa possibile dalla disponibilità di risorse economiche dedicate e dalla mobilitazione di partenariati articolati in cui operano fianco a fianco imprese sociali e comitati di quartiere. In altri termini, la leva su cui si cerca di agire è l’eccezionale mobilitazione di competenze professionali e qualificate che convogliano interventi sinergici su più fronti: interventi di contrasto al disagio - come i percorsi di sostegno al reddito – al fianco di interventi animativi tesi a promuovere la socializzazione e l’incontro tra persone (come ad esempio le feste o gli eventi organizzati all’interno dei cortili). L’idea di coesione sociale promossa dai tre progetti insiste dunque su due ipotesi di fondo: che creare coesione sociale significhi intervenire sul rafforzamento delle relazioni tra gli abitanti del quartiere e che queste relazioni possano essere ancora più consolidate da un maggior senso di appartenenza al proprio luogo di vita. Da queste due ipotesi segue l’idea che stimolare relazioni e costruire senso di appartenenza possa passare attraverso il coinvolgimento degli abitanti nel trovare risposte ai bisogni della comunità e tramite una pratica di maggiore utilizzo, trasformazione e cura dei luoghi e degli spazi di vita collettivi. Si ritrovano in queste ipotesi diverse interpretazioni del concetto di coesione sociale offerte dalla letteratura, in particolare la delineazione “geografica” di un gruppo, l’attenzione al senso di appartenenza e di propensione alla partecipazione e il mutuo orientamento alla pratica, secondo cui è il “fare” insieme che permette alle persone di divenire parte attiva della comunità, oltre che l’aumento e la crescita dell’intensità delle relazioni tra le persone, che costituisce un elemento trasversale11. Ma come si realizza la coesione sociale? Attraverso quali strategie e attraverso quali azioni? E che cosa la caratterizza in particolare, distinguendola da altre progettualità che già da anni sono implementate sui territori? 11 Si vedano in particolare i contributi di Ritzen, Easterly e Woolcock, Chan, Rawls e David in I. Colozzi (a cura di), Che cosa è la coesione e come si misura?, Franco Angeli, Milano, 2008. 6 Nei tre casi studio analizzati la promozione della coesione sociale passa attraverso una pluralità di azioni gestite da diversi partner, che si realizzano attraverso interventi animativi, socio-educativi, promozionali, preventivi, di comunità e di promozione dell’occupazione, con un’alternanza di eventi sporadici (feste, spettacoli) da una parte, orientati a raccogliere massiccia partecipazione, e attività continuative dall’altra, che puntano ad intercettare meno destinatari con un’attenzione maggiore alla qualità della relazione instaurata. Altra caratteristica comune ai tre progetti è quella di aver raccolto al loro interno diverse attività e azioni già presenti nei quartieri, ma facendole rientrare in un quadro comune di intervento sul territorio. La questione nodale diviene allora capire come si riesca a costruire omogeneità e unitarietà tra azioni differenti, orientate a diversi target e gestite da partner diversi, nell’obiettivo di promozione della coesione. Oppure, detto in altri termini, cosa evita a queste esperienze di essere semplicemente una giustapposizione di interventi? La chiave offerta dall’obiettivo comune di coesione come e quanto può rappresentare una leva innovativa di reinterpretazione dell’intervento sociale? Le progettazioni si sono delineate a partire da un’ipotesi iniziale forte, che intende caratterizzare l’intervento nel quartiere e che spesso è richiamata nel nome del progetto. Il progetto Rozzano Si-Cura, ad esempio, ha preso vita dall’ipotesi che “costruire coesione” significhi sostenere le capacità degli abitanti di prendersi cura del proprio quartiere e che rafforzando le competenze degli abitanti e la fiducia e le relazioni tra di loro e con le istituzioni possa contribuire a ridurre il senso di insicurezza che caratterizza la vita del quartiere. Il tentativo è stato dunque quello di costruire una sorta di fil rouge che facesse da collante tra le varie azioni, nuove o già avviate da anni, riuscendo a caratterizzarle come parti di un insieme complesso che puntasse alla trasformazione del quartiere. Il progetto S-Cambio invece ha preso vita dall’idea di intervenire nei quartieri approcciando i problemi da angolazioni nuove, promuovendo interventi sui quali l’intervento pubblico non si era mai speso prima (ad esempio il sostegno educativo alla gestione del reddito o la mediazione dei conflitti) e, contemporaneamente, affidandosi alle risorse migliori per farlo. Ma bastano un’ipotesi forte e una contestualizzazione dell’idea di coesione, per fare in modo che tutte le azioni acquisiscano un senso comune e si caratterizzino come interventi di coesione? Nella concretezza della realizzazione dei progetti si evidenziano diversi rischi connessi alla numerosità delle azioni e all’accorpamento di azioni già attivate in precedenza: - La dispersione delle energie e delle risorse su molte azioni e molti target con una grande difficoltà a rendere visibile e riconoscibile il progetto che sta investendo il quartiere. La difficoltà a interpretare in modo evidente in fase progettuale quali azioni abbiano maggiori opportunità di efficacia e di impatto sul territorio, vista la complessità stessa del concetto di 7 coesione sociale, porta con sé il rischio di aprire molti fronti di lavoro nella speranza che i tanti interventi e i tanti abitanti intercettati stimolino coesione; - La scarsa differenziazione tra il nuovo progetto di coesione e le azioni già attive precedentemente rispetto ai target intercettati: non sempre e non dappertutto i progetti di coesione sociale stanno riuscendo effettivamente a intercettare nuove fasce di popolazione; - La realizzazione di molti interventi diversi, di indubbio valore ma che non trovano un senso e una direzione comune. Soprattutto nei casi in cui buona parte delle azioni promosse era già attiva sui quartieri risulta molto lungo e complesso per i partner un processo di spostamento di attenzione dal proprio obiettivo e interesse, ad una finalità comune; - L’assenza di innovazione e di apprendimenti che consentano la sostenibilità del progetto sul lungo periodo. Se le progettazioni di coesione sociale vengono lette esclusivamente come opportunità per dare continuità di risorse agli interventi, quale valore aggiunto porta con sé il progetto se non quello di posticipare il problema di qualche anno? In questo senso la progettazione deve inevitabilmente tenere conto della sostenibilità e dell’innovazione necessaria, anche rispetto ad esempio al coinvolgimento di sponsor o alla sperimentazione di nuove modalità di intervento e di finanziamento. Se questo non avviene il rischio che le progettualità diventino un “boomerang”, andando ad attivare azioni e a coinvolgere cittadini per poi scomparire, è altissimo. Oltre a questi rischi, i tre progetti evidenziano anche alcune opportunità connesse alle caratteristiche di molteplicità degli attori e delle azioni: - Il coordinamento dei soggetti che intervengono in uno stesso territorio, e dunque la costruzione di un gruppo di lavoro che avvia (con tempi più o meno avanzati a seconda dei casi) un ragionamento comune sul quartiere e sui suoi bisogni. Tutte e tre le esperienze hanno utilizzato lo studio di fattibilità previsto da Fondazione Cariplo, per la definizione del progetto, per “leggere” e interpretare i quartieri, i loro bisogni e le risorse disponibili. La pluralità delle competenze e dei punti di vista ha portato alla costruzione di progetti ben definiti e contestualizzati, elemento che costituisce una buona base di partenza; - La vicendevole conoscenza e l’apprendimento a fare insieme e ad agire in partnership (tra soggetti pubblici e privati, tra soggetti del terzo settore, con il coinvolgimento di soggetti dell’associazionismo o informali). I processi di conoscenza, scambio e collaborazione tra soggetti diversi ricevono, in questo momento, la spinta da diversi fronti e diverse politiche e risultano essenziali per acquisire nuovi modelli di governance soprattutto in un momento in cui la carenza di risorse dedicate al sociale richiede sempre più razionalizzazione degli interventi, non solo in senso economico, ma anche in un’ottica di maggiore efficacia; 8 - La possibilità di implementare nuove azioni mettendole in connessione con interventi e con attori già conosciuti sul territorio che possano facilitarne: 1) l’inserimento all’interno di reti territoriali già esistenti, 2) la conoscenza da parte degli abitanti e 3) un maggiore impatto. Nel progetto S-Cambio, ad esempio, il progetto di coesione ha consentito non solo di ampliare le azioni, rispetto a quanto già avviato in precedenza, ma anche di intervenire in un territorio prima non toccato da altri interventi grazie a un processo di passaggio di informazioni e relazioni tra i diversi partner. 2. Il legame quartieri-città Nel corso dell’osservazione di questi tre progetti e del loro svolgersi all’interno dei quartieri, si sono rese evidenti alcune distanze tra le ipotesi progettuali iniziali e la loro reale attuazione, distanze che in parte rimettono in discussione alcune chiavi interpretative sui quartieri e sui processi di promozione della coesione sociale. In primo luogo che quell’ipotesi di coincidenza tra luogo abitativo e luogo di vita non è da dare per scontata. Queste esperienze hanno mostrato l’attualità del concetto anni ’70 dei “quartieri dormitorio”, ovvero quartieri caratterizzati da un’elevata mobilità diurna che porta le persone a passare la maggior parte del proprio tempo di vita al di fuori delle proprie abitazioni, negli ambienti di lavoro, e a gravitare per la fruizione di servizi e risorse della comunità, in zone diverse da quelle di residenza, ad esempio della famiglia d’origine (i figli che frequentano le scuole nella zona dei nonni). Questi dati sembrano rimettere in discussione almeno in parte l’ipotesi che le persone non vivono i propri contesti abitativi perché degradati, poco piacevoli e privi di relazioni e dunque che intervenendo su questi aspetti è possibile sostenere processi di coesione. Oggi le relazioni sono più mobili, la vita lavorativa si svolge altrove e occupa gran parte della giornata, oltre al fatto che sempre più spesso entrambi i soggetti della coppia hanno necessità di lavorare e quindi, rispetto al passato, lo spazio di vita dei propri quartieri è molto più limitato. Quali sono dunque i luoghi in cui si genera la coesione sociale? Lavorare in un quartiere deve necessariamente voler dire lavorare esclusivamente per gli abitanti di quel quartiere? Se mettiamo infatti in discussione la necessaria coincidenza tra luogo abitativo e luogo di vita, vista la crescente e continua mobilità dei cittadini nei diversi spazi della città, forse possiamo anche aprire all’opportunità di credere maggiormente nella contaminazione tra quartiere e città. Lavorare all’interno del quartiere vorrà dire quindi lavorare “per quel quartiere” affinché ci sia interesse a viverlo nelle sue diverse fasi della quotidianità e pertanto sia nei giorni feriali e anche per chi vi transita per motivi di lavoro, che nei momenti di chiusura delle attività lavorative, quando chi lavora 9 “in centro” viene messo di fronte all’occasione di momenti di socializzazione e scambio, altrimenti difficilmente conquistabili. In secondo luogo che l’ipotesi di intervento in favore della coesione contribuisca a migliorare l’immagine del quartiere: è un altro dato non sempre così linearmente realizzato. Il processo tanto auspicato di ridefinizione dell’immagine dei quartieri spesso rischia di generare un inaspettato effetto “boomerang”. A Rozzano il nome dato all’intervento di coesione sociale “Rozzano SiCura” ha generato non pochi dubbi rispetto al rischio di rendere ancor più evidente la fragilità del quartiere, tanto da necessitare di essere “curato” accrescendo ulteriormente la connotazione marginale, disagiata e critica di quell’area rispetto al resto della città. E anche a Baranzate il tentativo di valorizzazione in ottica multiculturale del quartiere ad alto tasso migratorio ha prodotto una sorta di “contagio negativo” dell’intero Comune, ovvero “Baranzate è il comune degli immigrati”. In terzo luogo che le periferie, i quartieri disagiati e multiproblematici talvolta presentano il problema opposto: di essere “iper-coesi”, ma di una coesione inversa rispetto a quella che progetti come questi vogliono stimolare, in cui le comunità “si autogovernano arrivando a controllare il proprio territorio utilizzando la forza e il terrore come strumenti di legittimazione di un sistema di potere alternativo a quello pubblico, comunità che si chiudono in un atteggiamento di difesa e di protezione che degenera nell’intolleranza e nella violenza” 12 e in cui viene ostacolata la possibilità di agire per una coesione diversa. Questa “coesione all’incontrario” fa scontrare le ipotesi positive e generative come quelle presentate dai progetti, con resistenze talvolta inimmaginate. E’ quello che succede per esempio quando le azioni proposte non riescono a valicare i cancelli di alcuni condomini, quelli più problematici (come ad esempio è il caso di via Tasso) in cui si concentrano situazioni di disagio, microcriminalità e sicurezza urbana. 3. Multidimensionalità, governance e coesione tra partner “La condivisione interna della rete dovrebbe anticipare e stimolare la coesione nella comunità locale, mostrando come sia possibile comporre interessi diversi, trovare soluzioni innovative e originali, valorizzare il passaggio alla fase operativa di gestione dei pacchetti di lavoro”13. 12 G.Rabaiotti, Quartieri in difficoltà e politiche urbane, in M. Luppi (a cura di), Coesione sociale nella città. Azioni e relazioni nell’esperienza di due quartieri di Milano, Guerini Associati, Milano, 2009 13 M. Luppi (a cura di), Coesione sociale nella città. Azioni e relazioni nell’esperienza di due quartieri di Milano, Guerini Associati, Milano, 2009. 10 Agire su uno o più quartieri con progetti complessi e articolati come quelli qui presentati significa dover lavorare su più fronti: il mantenimento della partnership, l’orientamento al risultato, la comunicazione interna ed esterna, la carica motivazionale, avendo da un lato il vincolo della scadenza temporale del finanziamento e dall’altro il problema della, non scontata, flessibilità e rimodulazione che questo tipo di interventi richiede. 3.1 Una governance del progetto su più livelli Oltre al governo del progetto agito con gli strumenti codificati messi a punto dal finanziatore14, ciascuno dei tre progetti ha previsto appositi strumenti di “governance” (quali ad esempio Cabine di regia o Tavoli per area tematica) che potessero andare oltre l’obiettivo operativo previsto dalle singole azioni, per guardare ad una dimensione di sistema e agire quindi sulle ricadute delle azioni stesse. Dalle tre esperienze oggetto della ricerca si evidenzia come la governance sia agita su due livelli: 1. Un livello di regia, ovvero il luogo cui afferisce una rappresentanza di tutti i partner del progetto, pensato come luogo e momento nel quale riflettere sui risultati ottenuti dal progetto, ri-programmare eventuali situazioni che trovano difficoltà per poter poi andare oltre l’agire quotidiano di ogni singola azione e capire come e se il progetto sta facendo coesione sociale. 2. Un livello d’intervento “specialistico”, ovvero il luogo cui afferiscono solo alcuni partner ed i soggetti della rete che agiscono in quel territorio su quello specifico tema (minori e famiglie, l’abitare,ecc.). Se tutti i progetti da noi valutati hanno attivato il primo livello di regia, le funzioni e gli oggetti di discussione nonché i tempi di ingaggio dei partner, sono però differenti. Questi luoghi di discussione passano da un livello molto operativo, che talvolta sminuisce il senso stesso del confronto, come ad esempio successo a Rozzano dove parte degli incontri della Cabina di regia si sono articolati intorno alla definizione di orari e modalità per i grandi eventi, fino ad arrivare a definirsi come luoghi di riflessione sul senso delle azioni svolte dal progetto in quello specifico contesto e quindi come luogo di valutazione del progetto, tentativo che sta facendo Arcipelago Mazzini. Il tempo di ingaggio dei partecipanti, partner del progetto, ha determinato la presenza o assenza di condivisione sulla definizione dei concetti e degli obiettivi del progetto, così quei progetti in cui l’incontro tra i partner è avvvenuto nella fase di programmazione o identificazione del ciclo del progetto ha permesso ragionamenti su questioni di fondo (Cos’è la coesione? Quali 14 La Fondazione ha predisposto strumentazioni articolate per il monitoraggio dei progetti e per la valutazione delle trasformazioni generate nei contesti di attuazione. 11 strategie adottare?), al contrario se l’ingaggio è avvenuto nella successiva fase di formulazione, saltando quindi tutta la fase elaborativa concettuale del tema coesione sociale e arrivando direttamente su progetti operativi ossia su azioni concrete15, si è arrivati direttamente a quel livello operativo delle singole azioni saltando la fase di ragionamento sul sistema progetto. Anche il secondo livello di governance, quello legato ai tavoli di intervento, rappresenta il frutto di una storicità: essi sono infatti attivati nel progetto Arcipelago Mazzini che con varie forme di finanziamento agisce da più tempo sul quartiere bersaglio. Anche in questo caso lo strumento di lavoro che si è configurato vede dei “Tavoli” in cui siedono alcuni dei partner, quelli che si occupano di uno specifico target di popolazione coinvolta nelle azioni, e altri soggetti che fanno parte della rete di attori, formali e informali, che operano su quello specifico target e in quel contesto che sono stati ingaggiati nel coso del tempo dagli appartenenti al tavolo perché ritenuti soggetti risorsa per il territorio. Oggetto di questi tavoli è in prima istanza la costruzione di un linguaggio comune che metta tutti i partecipanti al tavolo nell’ottica di una condivisione di quanto viene detto, a questa fase succede una fase di definizione di un metodo di lavoro per il raggiungimento, coinvolgimento e creazione di un legame di fiducia con i fruitori di specifici servizi, al fine di ottimizzare le risorse e presentarsi sul territorio come unica risorsa. Questo ha permesso ad esempio al Tavolo minori del progetto Arcipelago Mazzini di identificare come proprio target non solo il minore ma anche la famiglia che lo circonda e di far diventare il caso oggetto del lavoro del tavolo per arrivare a una offerta personalizzata di servizi per il singolo nucleo. I tavoli di lavoro specialistici hanno permesso inoltre una contaminazione tra partner del progetto o tra partner e soggetti della rete, generando novità sia dal lato dei servizi generalmente offerti sia nelle modalità di lavoro. La capacità di andare oltre il proprio agire e oltre l’offerta è letto come un fattore in grado di produrre coesione sociale. Un accenno infine anche alla questione del ruolo assegnata all’ente pubblico e al terzo settore e del rispettivo reciproco ingaggio. Le esperienze da noi analizzate, presentano una distribuzione di ruoli differente, a seconda che l’ente capofila sia l’ente pubblico/azienda speciale piuttosto che un soggetto del Terzo settore. A seconda della situazione organizzativa di partenza, quella che abbiamo potuto constatare è stata una maggiore propensione nel primo caso all’utilizzo quasi esclusivo del livello di regia, anche per la risoluzione di problematiche organizzativo/logistiche, mentre con maggiore facilità l’avere come capofila un soggetto del Terzo settore ha agevolato la nascita e 15 La definizione delle fasi del ciclo del progetto è stata presa da S. Spezzano, Project Cycle Management. Manuale per la formazione - Strumenti Formez, Roma, 2002 12 l’utilizzo di luoghi di confronto “specialistico”, allegerendo la Cabina di regia dalle questioni più operative per avere maggiore spazio ad una lettura del progetto nella sua complessità e alla questione delle ricadute sul territorio. 3.2 Leadership, comunicazione e presenza sul territorio La nostra analisi ha messo in luce almeno tre elementi facilitatori la “governance”: la presenza di un autorevole leader, l’attenzione alla comunicazione e la presenza sul territorio. La presenza di un leader autorevole riconosciuto come tale dai partner del progetto, competente in termini di gestione della partnership e del tema coesione, capace di attivare reti informali per amplificare l’effetto del progetto permette in grado di stimolare il confronto tra i partner, soprattutto a livello di regia, consentendo di spostare il focus dal livello operativo a quello di sistema, facendo emergere sempre nuovi elementi di confronto e valorizzando altri esponenti del tavolo come nuovi catalizzatori di dialogo e discussione. Nella nostra esperienza queste figure appartengono ad organizzazioni complesse e strutturate e sono portatrici dei valori e dei metodi dell’organizzazione cui appartengono. L’attenzione alla comunicazione intesa come la cura della relazione tra i partner (comunicazione interna) che devono essere informati di quanto succede, per avere una visione organica del progetto, per poter prendere decisioni in armonia con quanto succede o per ricalibrare e rimodulare gli interventi16. L’attenzione alla comunicazione deve anche essere rivolta ai possibili fruitori di servizi o più in generale alla comunità locale di riferimento (comunicazione esterna) al fine di trasmettere messaggi univoci, facilmente riconoscibili ed evitando sovrapposizioni di attività. Questo particolare focus non significa però una deriva del livello di regia verso un tavolo organizzativo della comunicazione, né un irrigidimento verso un organo centralizzato che dia il via libera su tutti i materiali comunicativi, quanto piuttosto l’impegno dei partner ad evitare sovrapposizioni di eventi inerenti o meno con il progetto, in una logica di reciprocità, o alla predisposizione di strumenti come “mailing list” che permettano una maggiore circolarità dell’informazione. La comunicazione rappresenta il filo conduttore di ogni progetto: una buona comunicazione è di per sé un buon indicatore della riuscita del progetto oltre ad essere un osservatorio della coesione tra i partner. Infine la presenza sul territorio del progetto significa da un lato la possibilità di avere servizi e strutture che siano all’interno del territorio oggetto del progetto, in modo che siano facilmente 16 “… una struttura (del progetto) che assicura che tutti gli attori coinvolti nel processo siano consultati e tutte le informazioni pertinenti siano rese disponibili, cosicchè decisioni fondate possano essere prese nelle fasi chiave della vita del progetto”, S. Spezzano, 2002. 13 raggiungibili da tutti i possibili destinatari delle azioni, ma anche per dare valore al sistema progetto e non alla singola organizzazione o settore che gestisce un certo servizio. Presenza significa anche un movimento inverso rispetto a quanto scritto sopra, ossia che non siano i cittadini ad entrare nelle azioni ma il progetto ad avvicinarsi ai cittadini, buona pratica messa in atto dall’Equipe Integrata di Comunità del progetto Mazzini che ha incontrato personalmente tutte le famiglie oggetto della sua azione. 4. Partecipazione e attivazione della cittadinanza La partecipazione e l’attivazione della cittadinanza è sicuramente una dimensione centrale delle esperienze di promozione della coesione sociale che abbiamo intercettato in questi anni, dimensione nella quale i progetti credono fortemente e investono con energia. L’attenzione a questo aspetto era stato espresso già dalla Regione Lombardia all’interno del Bando coesione nel 200617, riconoscendo in questo l’opportunità che la coesione possa generarsi innestando una “reazione a catena” proprio a partire dai principali destinatari delle azioni progettuali, ovvero le famiglie e la cittadinanza nel suo complesso. E’ significativo in questo senso citare un paragrafo estratto dal testo del Bando, ovvero: “La famiglia “che aiuta” è soprattutto quella che sa unirsi in rete con altre famiglie per rafforzare la sua capacità di azione. Ma per poter aiutare, essa stessa deve essere sostenuta in questo suo importante ruolo.” Le potenzialità nella partecipazione e nell’attivazione della cittadinanza vengono individuate principalmente nel veicolare la coesione sociale attraverso l’ingaggio di interessi individuali che possano avere ricadute positive sulla crescita di interessi collettivi. Ma quali strategie e quali elementi agevolanti la partecipazione si mettono in evidenza nelle esperienze da noi analizzate? Ci sembra di poterne individuare principalmente due: 1. La costruzione di luoghi e spazi di confronto 2. La costruzione di legami “ad personam” 4.1 La costruzione di luoghi e spazi di confronto Una delle principali strategie che è risultata essere garanzia di successo è sicuramente quella di costruire dei luoghi e degli spazi di confronto con la cittadinanza. La possibilità di avvicinare le persone, creare nuovi legami, qualificare i legami esistenti, è data certamente dalla disponibilità di un luogo/spazio, non necessariamente fisico e stabile, in cui le persone possano incontrarsi, 17 Vedi D.g.r. VIII/2011 del 1 marzo 2006 Bando per la realizzazione di progetti finalizzati alla promozione di coesione sociale in quartieri periferici disagiati del Comune di Milano e dell’Area Metropolitana Milanese. 14 confrontarsi, riconoscersi e scambiarsi. Un luogo che diventi riconoscibile dalla stessa comunità e che diventi metafora della possibilità di un nuovo modo di vivere i quartieri. In questa direzione, seppur sviluppandola in vario modo, si sono mosse gran parte delle esperienze analizzate. Il progetto del quartiere Mazzini con il “Laboratorio di quartiere”, spazio all’interno di un cortile di edilizia residenziale pubblica in una delle vie che si diramano da Piazzale Gabrio Rosa e adibito a “luogo della partecipazione e del coinvolgimento del territorio” 18 ovvero spazio nel quale è stato possibile realizzare una serie di attività di informazione e animazione. La creazione di questo luogo ha senz’altro consentito di ridurre la distanza che separa i cittadini dai servizi e dall’interlocutore istituzionale, rappresentando un’occasione di ascolto ma anche di incontro con gli altri abitanti del quartiere, aspetto particolarmente rilevante dal momento che spesso una caratteristica di questi contesti è proprio quella di registrare evidenti lacune nei rapporti di vicinato, spesso assenti o, laddove presenti, il più delle volte conflittuali. L’opportunità di avviare un lavoro con la cittadinanza all’interno di spazi già esistenti consentendone una valorizzazione, sottolinea anche simbolicamente il concetto che “un miglioramento è possibile”. Ricordiamo, infatti, che uno dei principali ostacoli che si incontrano nel coinvolgimento della cittadinanza è la rassegnazione e il disincanto che la accompagna, connesso al: “Dopo tutti i fallimenti che ci sono stati nella valorizzazione del quartiere in cui vivo perché questa volta dovrebbe funzionare?” L’esperienza del Ludobus, “ludoteca itinerante” promossa dalla Cooperativa Il Grafo nell’ambito del progetto S-Cambio, esperienza che ha contribuito in modo determinante a perseguire gli obiettivi progettuali di aumento della prossimità anziano-adulto-minore, nonché di aumento delle relazioni sociali tra cittadini, in particolare tra famiglie e famiglie, grazie all’offerta di uno spazio mobile (un furgoncino) di socializzazione/incontro tra i cittadini. La mobilità dello spazio ha in questo caso offerto opportunità aggiuntive: gli interventi pomeridiani effettuati con il Ludobus hanno consentito agli operatori di entrare in contatto con un considerevole numero di cittadini in differenti spazi del territorio. La peculiarità del Ludobus quale facilitatore itinerante di aggregazione e socializzazione ha contribuito in modo rilevante e rilevabile all’aumento delle relazioni sociali tra cittadini, come dimostrato dalla formazione di un nucleo considerevole di famiglie assidue frequentatrici delle attività proposte a cadenza settimanale, ciò ad indicare la fruizione di differenti spazi di socializzazione e un riconoscimento e valorizzazione del territorio cittadino come luogo fruibile da bambini e adulti. 18 Si precisa che dalla sua attivazione al 30/06/2011, la gestione delle attività svolte all’interno del Laboratorio di Quartiere è stata affidata ad una società di consulenti esterni, la Martini & Associati, incaricata dal Comune di Milano a gestire il piano di accompagnamento sociale. 15 Anche l’evento può diventare in qualche modo uno spazio riconoscibile e connotante come gli altri, ed è quello che si è realizzato a Baranzate con la festa “Il mondo in quartiere”, evento alla sua seconda edizione, che ha portato in via Gorizia oltre 5.000 persone e che attiva fortemente le molte comunità straniere del quartiere nella sua preparazione. Una conferma dell’importanza di luoghi e spazi di confronto per la partecipazione della cittadinanza la ritroviamo, come cartina al tornasole, proprio nel momento in cui questi vengono a mancare o sono inadeguati. Un esempio significativo in questo senso lo abbiamo all’interno del progetto di Rozzano, dove la scelta, vuoi anche per carenza di altri spazi a disposizione, di collocare lo spazio di ascolto per gli adolescenti nello stesso edificio in cui ha sede il servizio di “Tutela minori” ha rappresentato un disincentivo per la partecipazione alle iniziative loro rivolte. 4.2 La costruzione di legami “ad personam” La partecipazione non si sviluppa da sola ma necessita di azioni di supporto. Accanto alla creazione di un luogo e di spazi fisici che diano visibilità e rilevanza alle azioni e alle iniziative sviluppate è sicuramente da presidiare l’importanza di un “contatto personalizzato”, occasione di ascolto delle istanze dei cittadini e in cui i soggetti promotori di coesione possono assumere un importante ruolo di mediazione con le istituzioni e allo stesso tempo eventualmente correggere il tiro “in itinere”, nel momento in cui emerge il rischio che le azioni che si prevede di promuovere e implementare nel quartiere siano poco accorte o rispondenti ai bisogni “reali” della cittadinanza. Un esempio sicuramente positivo in questo senso è rappresentato dal lavoro svolto nell’ambito dell’Equipe Integrata di Comunità del progetto Arcipelago Mazzini. A sollecitare la partecipazione dei cittadini alle attività che si prevedeva di mettere in campo ma anche al fine di raccogliere dalla cittadinanza stessa dei contributi utili in termini di progettazione, gli operatori hanno proceduto con un contatto “porta a porta”, interloquendo direttamente con ogni famiglia residente nei cortili target delle loro azioni. Se, come attendibile, questo lavoro di interlocuzione ha richiesto un notevole impegno da parte dell’Equipe, nonostante la diffidenza iniziale da parte di alcune famiglie, lo sforzo è stato premiato con la manifestazione di interesse e la disponibilità raccolta da parte di circa 80 famiglie. Dai momenti di confronto vis a vis che si sono creati, è stato possibile raccogliere utili suggerimenti che hanno contribuito all’attivazione di filoni di azione integrativi. E’ proprio su richiesta di alcune famiglie e grazie al personale impegno di alcuni operatori che è stato possibile avviare alcuni percorsi di mediazione dei conflitti. Quale ulteriore valore aggiunto nella costruzione di legami personalizzati è importante non trascurare l’attivazione e la valorizzazione delle risorse presenti e già operanti nel quartiere. Un elemento di stimolo nella partecipazione della cittadinanza è sicuramente la possibilità di “fare 16 leva” su quegli attori che operano già nel contesto e che sono riconosciuti. Principali protagonisti in questo senso sono stati sia i portieri che i custodi sociali, laddove presenti, ma anche i parroci. Il coinvolgimento in particolare di questi ultimi, è stato strategico al fine di estendere la partecipazione nella realizzazione delle azioni non solo alle famiglie potenzialmente “problematiche”, prime destinatarie dei progetti, bensì anche a quella fascia di famiglie da considerarsi “risorsa” e potenziali generatrici di coesione sociale. Considerazioni conclusive Gli elementi tratteggiati sino a qui consentono di enucleare alcune attenzioni nella produzione di processi di coesione, che paiono abbastanza generalizzabili e quindi applicabili anche ad alti contesti. 1. Non perdere di vista l’obiettivo comune della coesione, sia rispetto alla connotazione delle singole azioni che ai risultati via via generati (Cosa vuol dire promuovere interventi di sostengo scolastico in ottica di promozione della coesione? Che trasformazioni nelle relazioni interpersonali ha generato l’intervento?). Diventa fondamentale dunque mantenere spazi e tempi dedicati alla riflessione e al confronto tra i partner sull’idea di coesione anche nel corso dell’attuazione dei progetti, consentendo all’intervento sociale di mantenere una coerenza consapevole con l’obiettivo progettuale e di adeguarne progressivamente le strategie messe in campo. Questo facilita il superamento di alcuni dei facili rischi che abbiamo segnalato in precedenza: il ripiegamento sull’operatività, il replicarsi di dinamiche di frammentazione tra i diversi interventi, la riduzione dell’attenzione all’attuazione degli interventi e non al loro effettivo significato in termini di coesione. Sia a Bollate che a Rozzano le cabine di regia si stanno confrontando con la necessità di individuare dei momenti specifici orientati a mantenere l’attenzione sulla connessione tra le diverse azioni in campo, anche ritornando sulle motivazioni di alcune scelte e sul loro collegamento con l’idea di coesione iniziale. Il progetto Arcipelago Mazzini ha previsto in questo senso, “in itinere”, di attribuire un ruolo diverso al Tavolo Tecnico previsto dal proprio governo del progetto, trasformando questo luogo più che come occasione di scambio di informazioni operative bensì come luogo in cui affrontare questioni più trasversali connesse all’efficacia delle azioni in corso e anche alla loro sostenibilità a lungo termine. 2. Aprire spazi di contaminazione: gestire le azioni in modo integrato, superando le attribuzioni iniziali delle azioni ai singoli partner, ma riuscendo invece a costruire modalità di lavoro comuni sullo stesso intervento attraverso un continuo e reciproco trasferimento di competenze consente di realizzare il valore aggiunto dell’essere in partnership. Sicuramente 17 una delle principali caratteristiche connesse alla multi-dimensionalità delle esperienze analizzate è l’eccezionale mobilitazione di competenze professionali qualificate che convogliano interventi sinergici su più fronti e la loro eterogeneità. L’attivazione di partenariati misti consente di “mettere a sistema” la pluralità di competenze di ciascuno, offrendo una maggiore garanzia nell’efficacia di agire sulla coesione sociale, vista l’intangibilità stessa di questo concetto. Ma non basta essere dentro ad un unico partenariato, condividere la stessa impostazione progettuale, coordinarsi con altre azioni per concretizzare nei quartieri quell’innovazione dell’intervento sociale che l’obiettivo di coesione sembra proporre. Per fare questo è necessario che i singoli partner siano disposti non solo a convivere e condividere con altri - nella logica del “fare insieme” - ma siano anche disposti a trasformare, talvolta rivedere, la propria logica di intervento. Questa revisione può avere implicazioni legate alla struttura-organizzativa, ma talvolta anche ai fondamenti ideologicovaloriali più profondi. A nostro avviso questa trasformazione è ciò che genera arricchimento reciproco, innovazione dell’intervento sociale e forse è proprio quella leva che più consente di rimettere in movimento contesti ingessati e paralizzati e produrre un effetto di ripresa, di riattivazione, di risveglio, capace di “rompere l’immobilismo e restituire fiducia”19. 3. Infine l’ingaggio e il riscatto della cittadinanza attraverso la riscoperta delle risorse non ordinarie e più nascoste che i quartieri esprimono, mettendole in grado di rispondere, almeno in parte, ad alcune criticità sociali che l’isolamento e la solitudine generano. La questione che abbiamo evidenziato è come dalla partecipazione può generarsi una maggiore attivazione e un maggior protagonismo, questione che sicuramente rimane il principale interrogativo per il futuro. Anche l’analisi di queste esperienze ha messo chiaramente in luce come il nodo cruciale sia la perdurabilità nel tempo dei cambiamenti attivati e l’effettiva evoluzione di questi quartieri. Aspetti connessi alla “sporadicità vs continuità” delle iniziative promosse e alla sostenibilità futura delle azioni a partire dalla logica dei bandi: se, infatti, la promozione di eventi aperti a tutta la cittadinanza sono occasioni importanti per accrescere la visibilità al quartiere e stimolare una partecipazione collettiva, l’attivazione diventa possibile nel momento in cui viene creato un “rapporto di fiducia”, condizione che è possibile instaurarsi se c’è una relazione continuativa e duratura. 19 Vedi il testo di G.Rabaiotti, in M. Luppi (a cura di), 2009. 18 Bibliografia I. Colozzi (a cura di), Che cosa è la coesione e come si misura?, Franco Angeli, Milano, 2008. De Ambrogio U. (a cura di), Valutare gli interventi e le politiche sociali, Carocci, Roma, 2003. U. De Ambrogio, C. Dessi, V. Ghetti, D. Gregorio, “La valutazione di progetti per la promozione della coesione sociale: analisi di un’esperienza”, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 20, 15 novembre 2009. E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di comunità, 1999. IReR, Osservatorio regionale esclusione sociale. Città e famiglia. I bisogni delle famiglie nelle periferie metropolitane (I fase), Rapporto finale di ricerca, 2007. IReR, Osservatorio regionale esclusione sociale. Approfondimenti tematici. Città e famiglia. I bisogni delle famiglie nelle periferie metropolitane (II fase), Rapporto finale di ricerca, 2008. L.Leone, M. Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale, Franco Angeli, Milano, 2001. M. Luppi (a cura di), Coesione sociale nella città. Azioni e relazioni nell’esperienza di due quartieri di Milano, Guerini Associati, Milano, 2009. C. Ranci, R. Torri, Milano tra coesione sociale e sviluppo, Bruno Mondadori, Milano, 2007. S. Spezzano, Project Cycle Management. Manuale per la formazione - Strumenti Formez, Roma, 2002. N.Stame, Tre approcci principali alla valutazione: distinguere e combinare in Palumbo M. Il processo di valutazione, Franco Angeli, 2001. 19 Allegato. L’approccio alla valutazione: realista e partecipato L’approccio teorico su cui si è appoggiato l’impianto valutativo proposto, è quello definito da alcuni autori come approccio “realista”3. Tale approccio (realistic evaluation), che si contrappone a prassi più tradizionali (experimental evaluation), si caratterizza per il fatto di considerare la valutazione come prassi cruciale per la presa di decisioni sullo sviluppo di politiche sociali, però all’interno di un quadro complesso, che pertanto non può attribuire alla valutazione la pretesa di offrire strumenti universali per misurare i risultati raggiunti da una determinata politica. Secondo tale logica la “realistic evaluation”, rifiuta una valutazione con pretese universalmente valide e si basa invece sulla consapevolezza che politiche complesse richiedono un approccio ad hoc, partecipato, impostato secondo metodi misti, che interrogano sul significato delle esperienze specifiche che si valutano. Anche alcuni esperti italiani di valutazione applicata alle politiche sociali svolgono riflessioni assai vicine a queste; sia Nicoletta Stame che Liliana Leone, in due differenti saggi, convengono infatti nell’affermare che nella pratica valutativa di un settore complesso e articolato come il settore sociale, è opportuno considerare i diversi approcci, e i metodi che li sostengono, come una “tavolozza” a disposizione dell’esperto di valutazione che, a seconda del livello e dell’oggetto di valutazione, potrà realizzare “contaminazioni” dei diversi approcci, adottando quelli considerati più opportuni e adeguati all’oggetto di valutazione. Affrontare la valutazione dei progetti “coesione” secondo un approccio realistico implica dunque: i) la partecipazione attiva da parte dei principali portatori di interesse rispetto alla valutazione ii) la co-costruzione del disegno e dell’impianto valutativo con tali soggetti iii) l’adozione di metodologie e tecniche miste. L’approccio realista è stato scelto quale riferimento metodologico per i progetti da noi valutati, data la complessità dei progetti ma anche a causa dell’indeterminatezza dell’oggetto stesso, ovvero la promozione della coesione sociale. Valutare l’efficacia di queste progettualità non poteva che partire da una costruzione, o meglio, ricostruzione, della visione di coesione che tali progetti, e il promotore stesso, esprimevano, per rintracciarne gli elementi di successo da ricercare per valutare positivamente, o viceversa negativamente, i risultati prodotti dagli interventi finanziati. 20 Questa impostazione ha comportato la condivisione con la committenza di una idea di valutazione partecipata, che raccogliesse e considerasse il punto di vista non solo del promotore dell’iniziativa ma anche dei suoi attuatori. L’approccio realista e le derivanti scelte metodologiche sulla partecipazione allargata, hanno portato alla costituzione di un gruppo di valutazione misto e alla costruzione partecipata di un disegno di valutazione. Tale gruppo ha operato nel corso dell’esperienza valutativa dapprima nella definizione del disegno di valutazione (perché valutare, cosa valutare, osservando quali aspetti, secondo quali criteri ed indicatori ecc.), successivamente nell’impostazione della rilevazione e in conclusione nell’analisi e interpretazione dei dati emersi dalle rilevazioni. Tale approccio non ha sostituito la responsabilità valutativa in capo al soggetto valutatore quale garante del metodo di valutazione proposto, della correttezza metodologica del percorso e degli strumenti adottati, nonché responsabile del giudizio valutativo espresso. Tuttavia, il coinvolgimento dei portatori di interesse si ritiene abbia consentito la comprensione e una maggior condivisione dell’esito valutativo, fornendo maggiori garanzie dell’utilizzo della valutazione, in un’ottica di apprendimento. 21