Impressioni di Liguria

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Impressioni di Liguria
Impressioni di Liguria
Pure, via Montaldo non è brutta. Sorretta da muraglioni, corre lungo la valle del Bisagno, dal triangolo biancheggiante
di Staglieno, alta su strade e case, sino a sfociare nel mare grigio-roseo dei tetti di Genova nuova. Sopra, ha i terrapieni spelati che la primavera screpola.
Ad un gomito, una casina sporge sulla strada un vaso rustico, incrostato di conchiglie marine. In ogni stagione la casa offre il suo fiore: d’estate il fuoco d’artifizio d’un rosaio sanguigno; quasi tutto l’anno, una dalia zolfina; ai primi freschi,
le stelle azzurre innumerevoli delle settembrine. Non posso
rasentarla senza pensare che vi abiti la Felicità.
E c’è, sopra la strada, celata nel fogliame, una trattoria che
ogni tanto vien chiusa per ragioni di moralità. Al pianterreno si scorgono le tavole imbandite, cui nessuno siede. (…)
Tuttavia la vera sagra è di notte. Di notte la vallata si in-
cendia: una luminaria sospesa, galleggiante sulla tenebra.
Collane di perle gialline che sono le strade; formicolii di lumi
isolati, bracieri semispenti; luci mobili, di tram, che scoppiano a tratti in grandi lampi violetti. Sotto i Morti, si accende anche la costellazione funebre di Staglieno. È un cielo rispecchiato nel buio di una vasca, un firmamento capovolto.
Dalla ringhiera mi spenzolo a figgere gli occhi in basso dove accampano le masse cubiche delle case, stilettate dai
fanali verdognoli.
E a volte m’avviene per la commozione di giungere insieme le mani, quasi a render grazia d’esser nato.
Con il relativo intervallo di una stagione di viaggi fra il 1928 e
il 1933, Camillo Sbarbaro visse a Genova dalla fine della Grande Guerra, quand’era trentenne, fino al 1951, quando si trasferì definitivamente a Spotorno, dove già vivevano la zia e la
sorella. Qui, con i toni lievi e controllati, ma nel tempo stesso
suggestionanti trasforma in un coloratissimo palcoscenico la
Strada di casa, cogliendo con sguardo inedito, e a tratti illanguidito, uno di quei luoghi “che si vedono tutti i giorni”, rischiando magari di perderne l’intima, minimalistica poesia. Le
notazioni di Sbarbaro riguardano gli anni 1920 e non sfugge
quel richiamo ai “terrapieni spelati” che collocava allora via Montaldo quasi in campagna. Impareggiabile per semplicità, essenzialità il “notturno bisagnino”, non diverso nella misura lirica da certe coeve vedute di Genova, anch’esse in Trucioli.
CAMILLO SBARBARO (Santa Margherita Ligure 1888-Savona
1967) è stato con Eugenio Montale esponente di punta di una
“linea ligustica” della poesia italiana del ‘900, che comprende
tra gli altri Ceccardo, Novaro, Boine. Trascorse l’infanzia (dal
1894) e la prima giovinezza a Varazze e a Savona, per raggiungere
poi Genova, dove si dedicò agli studi letterari e fu insegnante
di lingue classiche al liceo. La sua produzione poetica si aprì
con Resine (1911), opera peraltro da lui esclusa nel 1961 dalla raccolta definitiva dei suoi versi. Nel 1914 uscì Pianissimo,
sorta di testimonianza, dagli accenti tra crepuscolari e leopardiani, della crisi dell’uomo dell’inizio XX secolo: fu l’avvio di una
milizia poetica che raggiunge Rimanenze (1955) e Primizie
(1958). Nel primo dopoguerra, a Genova, entrò in contatto con
Eugenio Montale, di otto anni più giovane, e il suo influsso sull’amico fu inizialmente significativo. Nel 1920 Sbarbaro pubblicò
la raccolta di prose Trucioli, piccolo gioiello letterario al quale
fecero seguito, tra le prose d’arte, Liquidazione (1928) e nel 1948
Trucioli (la seconda serie). Fu traduttore dal greco antico e dal
francese e appassionato collezionista-catalogatore di licheni.
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CAMILLO SBARBARO, da Trucioli,
in L’opera in versi e in prosa, a cura di Gina Lagorio
e Vanni Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985