Madre ostacola il rapporto fra padre e figlio?

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Madre ostacola il rapporto fra padre e figlio?
Madre ostacola il rapporto fra padre e figlio? Il Tribunale la condanna.
Interessantissima sentenza resa, in tal senso dal Tribunale di Roma, recentemente pubblicata.
Questo il caso.
Un padre fa causa alla madre del proprio figlio chiedendo il risarcimento dei danni, in proprio favore, per
avere, la donna, ostacolato negli anni il rapporto fra esso padre e il figlio, rapporto che, a causa di ciò, è
risultato compromesso.
La vicenda è lunga e complicata. Il marito aveva introdotto un giudizio di separazione dalla moglie
asserendo l’inconciliabilità dei caratteri e quindi la sopravvenuta insostenibilità della vita familiare.
Mentre era pendente il procedimento di separazione avanti al Tribunale ordinario, la mogli aveva
presentato al Tribunale dei minorenni un procedimento nel quale chiedeva un provvedimento ablativo,
ovverosia che dichiarasse cessata, la potestà genitoriale del padre. Tale procedimento avanti al Tribunale
dei minori si era però concluso con la declaratoria di non luogo a procedere perché non erano emersi
elementi che inducessero i magistrati a ritenere che il padre non fosse idoneo a svolgere la funzione
genitoriale tanto da dichiarare cessata la sua potestà di genitore.
Nel procedimento di separazione ordinario (introdotto precedentemente alla legge 54 del 2006 sulla
affidamento condiviso), in sede di udienza presidenziale (la prima udienza in cui le parti compaiono davanti
al Presidente del Tribunale, che assume i provvedimenti provvisori in relazione ai figli in attesa di quelli
definitivi, resi con la sentenza), il figlio veniva affidato alla madre.
Il padre lamentava però che la moglie ponesse ostacoli alla frequentazione fra padre e figlio. Esso padre
quindi ricorreva al Tribunale stesso, chiedendo la modifica del regime di affido del figlio, e domandando che
il figlio medesimo venisse affidato in via esclusiva ad esso padre.
Il Tribunale disponeva l’intervento dei servizi sociali, i quali accertavano, come risultava dalla loro relazione,
la effettiva scarsa disponibilità della donna a fare vedere il figlio al marito.
La madre, in seguito, sporgeva denuncia alla competente Procura della Repubblica asserendo che il padre
commettesse atti di violenza sessuale verso i figli, e in conseguenza veniva avviato un procedimento penale
per pedofilia nei confronti del padre.
Il pubblico ministero, dopo aver esperito approfondite indagini, aveva chiesto l’archiviazione del
procedimento, non ritenendo sussistenti gli estremi del reato in oggetto. La donna si opponeva a tale
archiviazione, ma il Gip accoglieva comunque la richiesta di archiviazione.
Il padre si lamentava ora, nella causa intentata nei confronti della moglie, che la sua frequentazione con il,
figlio, a causa del comportamento della donna, era stata frammentaria e discontinua e che per il
comportamento della moglie egli stato privato del proprio diritto a vivere la sua genitorialità.
Il Tribunale di Roma riteneva fondate le sue doglianze ed accoglieva la sua richiesta risarcitoria.
Scrivevano invero i magistrati, nella sentenza in oggetto, che le allegazioni del marito avevano trovato
puntuale riscontro negli atti di causa. Effettivamente i servizi sociali avevano messo in evidenza la scarsa
disponibilità della donna a permettere gli incontri padre e figlio e la “contraddittorietà dei suoi
comportamenti in quanto la donna, da un lato, esprimeva dubbi sulle capacità genitoriali del marito, tanto
da fare per ben due volte ricorso al Tribunale per i minorenni onde ottenere la declaratoria di cessazione
della potestà genitoriale del padre, e dall’altro avvertiva la necessità che il padre potesse essere più vicino
nella vita quotidiana del bambino”. Successivamente, non essendo riuscita ad ottenere un provvedimento
ablativo della potestà, percorreva la strada del processo penale con denunzia di violenza sessuale, denuncia
che si rivelava infondata. Peraltro il pubblico ministero aveva rilevato perplessità in relazione al
comportamento della madre e che effettivamente il bambino non poteva vedere sé sentire
telefonicamente il padre.
Osservavano quindi che “In tale situazione, non v'è chi non veda che la condotta” della donna “reiterata nel
tempo si sostanzia in una patente e gravissima compromissione dei rapporti affettivi del padre verso il figlio
minore, attraverso l'interruzione di ogni apprezzabile relazione per un lungo periodo. Tutto ciò integra,
senza alcun dubbio, la lesione del diritto personale” del padre “alla genitorialità, diritto costituzionalmente
garantito a norma degli artt. 2 e 29 della Cost. avendo comportato nell'uomo, come peraltro evidenziato
dagli innumerevoli ricorsi da lui proposti al giudice, una forte sofferenza per non avere potuto assolvere - e
non per sua volontà - ai doveri verso il figlio e per non aver potuto godere della presenza e dell'affetto del
piccolo”. Proseguivano rilevando che “sicuramente responsabile di ciò, alla luce delle risultanze processuali,
è da ritenersi la resistente che, con il suo ostinato, caparbio e reiterato comportamento, cosciente e
volontario, è venuta meno al fondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, ma anzi di favorire
la partecipazione dell'altro genitore alla crescita ed alla vita affettiva del figlio causando all'attore, che con
questo processo ne chiede il ristoro, un danno non patrimoniale da intendersi nella sua accezione più ampia
di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”.
Per la sua quantificazione, “poiché, però, tale tipo di pregiudizio sfugge, per il suo stesso contenuto, ad una
precisa valutazione, esso va congruamente determinato facendo uso di criteri di carattere equitativo, pur
ancorati a parametri razionali, che possono essere in concreto individuati, nella fattispecie qui in esame, in
base alla gravità dei fatti, alla lunga durata temporale degli stessi, ai rapporti tra le parti e alla loro
personalità, età e condizione socio – culturale”. Sulla base di tali parametri il danno veniva liquidato nella
somma di Euro 50.000,00. A cura dell’Avv. Monica Bombelli e dell’Avv. Matteo Iato