la disciplina delle stock options alla luce delle ultime

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la disciplina delle stock options alla luce delle ultime
LA DISCIPLINA DELLE STOCK OPTIONS ALLA LUCE DELLE ULTIME
MODIFICHE NORMATIVE
Sommario: 1. Premessa - 2. La procedura di predisposizione e assegnazione - 3. L’evoluzione della
normativa e della prassi - 4. La Circolare 1/2007 - 5. Problematiche applicative
1. PREMESSA
Nella prassi italiana l’espressione stock options è comunemente utilizzata come sinonimo di
azionariato ai dipendenti.
I piani di acquisto di azioni per i dipendenti rappresentano un fenomeno in costante crescita.
E’ infatti interesse delle società non solo incentivare la partecipazione dei dipendenti al rischio
dell'impresa, ma anche far sì che tale partecipazione avvenga attraverso la concessione di agevolazioni al
momento dell'acquisto delle azioni della società medesima o di altre società appartenenti al gruppo, in
modo da incentivare la fedeltà e la produttività degli stessi dipendenti.
Tali piani, del resto costituiscono, spesso, una forma di investimento alternativa del risparmio.
Per tale motivo, oltre agli stock option plans (assegnazione gratuita di opzioni all'esercizio
differito nel tempo), abbiamo stock purchase plans, che prevedono la possibilità per i dipendenti di
utilizzare una parte della propria retribuzione per l'acquisto di azioni della società.
Il successo di tali tipi di operazioni è comunque anche dipeso dalle agevolazioni di natura sia
tributaria che contributiva previste dal legislatore.
I principi costituzionali che giustificano tale volontà legislativa sono del resto rintracciabili
nell’art. 46 Cost., che stabilisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende e nell’art.
47, comma 2, Cost., che riconosce l’accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento
azionario.
2. LA PROCEDURA DI PREDISPOSIZIONE E ASSEGNAZIONE
Nel nostro ordinamento la realizzazione di un piano di stock options può dunque avvenire in
tre modi diversi e cioè:
attraverso l’emissione gratuita di azioni per assegnazione straordinaria di utili;
attraverso un’offerta di sottoscrizione di azioni proprie o di società controllate;
attraverso un’offerta di vendita di azioni proprie o di società controllate.
Tali piani sono quindi strutturati in modo che al dipendente venga attribuito un diritto di
opzione, non cedibile a terzi, per l'acquisto di azioni a un prezzo non inferiore al loro valore di mercato
al momento dell’offerta.
L’opzione a sua volta può comunque essere esercitata entro determinati limiti:
entro un determinato lasso temporale;
esclusivamente dal lavoratore che, alla data di tale esercizio, presti ancora servizio presso la
società.
Per quanto riguarda gli aspetti procedurali ed attuativi, per la realizzazione del piano di stock
options, è richiesta una delibera assembleare, la quale tuttavia può limitarsi a decidere solo alcuni punti,
delegando per il resto al consiglio di amministrazione.
Comunque l’approvazione finale del regolamento e la decisione di merito sui criteri di
ammissione e su quelli quantitativi dovranno essere assunte dal consiglio con propria delibera.
La società dovrà poi predisporre un regolamento di stock options, un documento cioè in cui
vengono stabilite le condizioni del contratto di sottoscrizione o di vendita tra società e dipendenti.
La società, in sostanza, effettua una proposta irrevocabile a vantaggio dei beneficiari,
concedendo a questi ultimi la facoltà di posticipare l’acquisto delle azioni.
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3. L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA E DELLA PRASSI
Il legislatore al ricorrere di determinate condizioni ha disposto quindi una normativa di favore,
per cui la tassazione del fringe benefit assegnato al dipendente è solo eventuale e, comunque, rinviata al
momento dell’esercizio del diritto di opzione attribuito allo stesso1.
La disposizione, a suo tempo introdotta alla lett. g) dell’art. 48 (oggi articolo 51) del testo unico
delle imposte sui redditi dal d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314, prevedeva dunque la non concorrenza al
reddito IRPEF del valore delle azioni riconosciute ai dipendenti.
La norma fiscale, peraltro, prevedeva che l’assegnazione delle azioni ai dipendenti avvenisse ai
sensi degli artt. 2349 e 2441 c.c..
Il legislatore fiscale riteneva infatti che la normativa civilistica fosse sufficiente a porre precisi
vincoli alle operazioni di assegnazioni di azioni ai dipendenti, quanto meno sotto i seguenti profili:
necessità della previsione statutaria dell’operazione, nonché delle caratteristiche delle azioni
assegnate ai dipendenti;
possibilità di emettere le azioni con limitazioni al diritto di voto o alla circolazione del titolo;
rispetto dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, e cioè del divieto, sanzionabile come condotta
antisindacale, che l’assegnazione fosse effettuata secondo criteri discriminatori non sorretti da razionali
giustificazioni.
La piena libertà di fatto accordata dall’art. 48 alle operazioni di assegnazione di azioni ai
dipendenti e il fatto che da ciò potesse derivare l’esclusione dall’imposta di buona parte dei guadagni da
essi realizzati, hanno però poi indotto lo stesso legislatore ad intervenire nuovamente sulla materia,
stabilendo che, comunque, il valore delle azioni assegnate fosse assoggettato all’imposta sostitutiva
prevista per la tassazione delle plusvalenze finanziarie.
L’art. 48 del t.u.i.r. (oggi art. 51) è stato quindi modificato dall’art. 13 del d.lgs. 23 dicembre
1999, n. 505.
La nuova lettera g) dell’art. 48 prevedeva dunque che non concorresse a formare il reddito di
lavoro dipendente il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti, alle seguenti condizioni:
che il valore della azioni offerte non fosse superiore a 4 milioni in ciascun periodo d’imposta
(anno solare);
che le azioni non fossero riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque
cedute prima di tre anni, pena l’assoggettamento ad imposta del valore precedentemente escluso
dall’imposizione nel periodo d’imposta in cui avveniva la cessione;
La nuova lettera g-bis) dell’art. 48 prendeva invece in considerazione le operazioni vere e
proprie di stock options, rivolte anche a singoli dipendenti o categorie di essi.
La nuova disposizione stabiliva quindi che non concorreva a formare il reddito di lavoro
dipendente la differenza fra il valore dell’azione al momento dell’assegnazione e quanto corrisposto dal
dipendente, a condizione :
che quanto pagato dal dipendente fosse almeno pari al valore delle azioni al momento in cui
esse erano state offerte al dipendente;
che la partecipazione acquisita dal dipendente non rappresentasse una percentuale di diritti di
voto o di partecipazione al capitale o patrimonio superiore al 10%.
Con la Circolare n. 30/E del 25 febbraio 20002 il Ministero delle Finanze, peraltro, precisò che,
ai fini della determinazione del valore normale delle azioni al momento dell’assegnazione, nel caso di
titoli quotati, doveva farsi riferimento all’art. 9, comma 4, lett. a) del t.u.i.r., chiarendo che “la locuzione
‘ultimo mese’ utilizzata nella lettera a) del comma 4 dell’articolo 9 del t.u.i.r. non fa riferimento al mese solare precedente,
ma al periodo che va dal giorno di riferimento (quello dell’assegnazione dei titoli al dipendente) allo stesso giorno del mese
solare precedente”.
Qualora tuttavia i diritti di opzione siano cedibili, gli stessi, come precisato nella circ. del 17 maggio 2000, n. 98, par. 5.1.8,
saranno tassati, come reddito di lavoro dipendente, sin dal momento della loro attribuzione al dipendente, non godendo del
regime di favore, poiché non perseguono, di fatto, la finalità tipica delle stock options (fidelizzare il dipendente).
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Nella medesima Circolare il Ministero soggiungeva poi che “si ribadisce, inoltre, quanto già
affermato a proposito della valutazione dei titoli con riferimento alle disposizioni transitorie contenute
nel d.lgs. n 461 del 1997, e cioè che ai fini del calcolo della media occorre assumere, quale divisore,
soltanto i giorni di effettiva quotazione del titolo, cioè quelli cui si riferiscono le quotazioni prese a base
del calcolo”.
A proposito del calcolo della predetta media conviene inoltre ricordare che, con riguardo alle
disposizioni transitorie di cui al d.lgs. n. 461 del 1997, il Ministero con comunicato stampa del 16 luglio
1998, rilevava che si doveva fare riferimento “alla media aritmetica dei prezzi ufficiali rilevati in ciascun mercato
regolamentato”.
Nella Circolare n. 98/E del 17 maggio 20003 il Ministero delle Finanze confermava poi che, ai
fini del perfezionamento dell’assegnazione delle opzioni, doveva considerarsi la data della delibera in cui
il C.d.A. fissava il prezzo delle opzioni4.
È ovvio, del resto, che laddove le opzioni fossero state assegnate senza la determinazione del
prezzo per il loro esercizio, il rapporto non poteva essere considerato perfezionato né sotto il profilo
fiscale né sotto quello civilistico.
Sia nella citata Circolare n. 30/E del 25 febbraio 2000 che nella precedente Circolare n. 247/E
del 29 dicembre 19995, il Ministero aveva inoltre affermato che, nel caso in cui il prezzo di offerta delle
opzioni fosse inferiore al valore normale dei titoli, l’intero ammontare della differenza fra quanto
effettivamente pagato dal dipendente ed il valore delle azioni al momento dell’assegnazione per effetto
dell’esercizio dell’opzione doveva essere assoggettato ad imposta come reddito di lavoro dipendente.
La stessa affermazione venne poi ripetuta anche nella Circolare n. 98/E del 17 maggio 2000,
laddove il Ministero affermava che: “la nuova normativa fiscale sulle stock option ha mantenuto un regime di favore
per i piani di azionariato che hanno l’obiettivo di fidelizzare ben determinate categorie di dipendenti, prevedendo che in
caso di assegnazione di azioni ad un dipendente, l’importo che non concorre a formare il reddito è costituito dalla
differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e quanto corrisposto dal dipendente. Affinché ricorrano i
presupposti agevolativi della disposizione, è espressamente previsto che l’ammontare corrisposto dal dipendente per
l’acquisto delle azioni deve necessariamente essere almeno pari al valore delle azioni stesse al momento dell’offerta. Ne
consegue che, come già specificato nella circolare ministeriale n. 247/E del 29 dicembre 1999, se tale condizione non si
verifica, ad esempio nel caso in cui il prezzo pagato dal dipendente è inferiore al valore delle azioni al momento dell’offerta,
non si può usufruire in toto dell’agevolazione. Si rendono, quindi, applicabili i principi generali di tassazione dei fringe
benefit in base ai quali occorre assoggettare a tassazione il valore normale delle azioni al momento dell’assegnazione (ossia
nel momento in cui il bene entra nella disponibilità del dipendente) al netto di quanto pagato dal dipendente per usufruire
dell’assegnazione stessa. “Ad esempio:
Valore delle azioni al momento dell’offerta = lire 1000
Prezzo pagato dal dipendente = lire 800
Valore delle azioni al momento dell’assegnazione = lire 1500
Reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione = lire 700 (1500 - 800)“.
Il comma 2-bis dell’(odierno) articolo 51 del Tuir è stato poi però ancora modificato, dapprima
dal comma 25 dell’articolo 36, decreto legge n. 223/06, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, e poi
dall’articolo 3, comma 12, del decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006, che a sua volta ha sostituito le
previsioni introdotte dal citato comma 25 dell’articolo 36 del Dl “Visco-Bersani”.
Quest’ultima norma (che nel testo iniziale aveva eliminato la disciplina di favore per le stock
options, abrogando la lettera g-bis) dell’articolo 51) aveva poi integrato il comma 2-bis dell’articolo 51
del Tuir, aggiungendo i seguenti periodi: “La disposizione di cui alla lettera g-bis) del comma 2 si rende applicabile
a condizione che le azioni offerte non siano comunque cedute né costituite in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni
dalla data dell’assegnazione e che il valore delle azioni assegnate non sia superiore complessivamente nel periodo d’imposta
alla retribuzione lorda annua del dipendente relativa al periodo d’imposta precedente. Qualora le azioni siano cedute o
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Il Ministero affermava infatti che, ai fini della determinazione della data dell’offerta, “ovviamente occorre far riferimento
alla data della delibera con la quale vengono fissate tutte le condizioni del piano di azionariato”.
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date in garanzia prima del predetto termine, l’importo che non ha concorso a formare il reddito al momento
dell’assegnazione concorre a formare il reddito ed è assoggettato a tassazione nel periodo di imposta in cui avviene la
cessione ovvero la costituzione della garanzia. Se il valore delle azioni assegnate è superiore al predetto limite, la differenza
tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente concorre a formare il
reddito”.
Nel caso di cessione delle azioni o della loro costituzione in garanzia prima del decorso dei
cinque anni dalla data di assegnazione, era dunque previsto che scattasse l’obbligo di tassazione nel
periodo d’imposta in cui si fosse verificata la cessione o la costituzione della garanzia, quale reddito di
lavoro dipendente.
La seconda ulteriore condizione introdotta riguardava invece il valore delle azioni assegnate, che
non doveva superare l’importo della retribuzione lorda annua relativa al periodo d’imposta precedente a
quello dell’assegnazione: in tal caso, la differenza tra il valore delle azioni assegnate e l’importo pagato
dal dipendente concorreva infatti, interamente, alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
Le nuove disposizioni si applicavano alle assegnazioni di azioni effettuate successivamente alla
data di entrata in vigore del medesimo decreto (223/06), quindi successivamente al 4 luglio 2006.
Tale disciplina è stata però nuovamente modificata con il decreto legge 262/2006 (collegato alla
Finanziaria 2007).
In base all’attuale formulazione del comma 2-bis dell’articolo 51 la disposizione agevolativa di
cui alla lettera g-bis) è quindi applicabile esclusivamente quando ricorrano congiuntamente le seguenti
condizioni:
che l’opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;
che, al momento in cui l’opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati;
che il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un
investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al
momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente. Qualora detti titoli oggetto di
investimento siano ceduti o dati in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro
assegnazione, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento
dell’assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione ovvero la
costituzione in garanzia.
4. LA CIRCOLARE 1/2007
In data 19.01.2007 è infine stata emanata una nuova Circolare applicativa dell’Agenzia, la n.
1/20076, che ha ulteriormente spiegato gli effetti della nuova disciplina in materia di stock options.
Prima delle modifiche apportate dal decreto, come detto, l'applicazione delle disposizioni
agevolative era subordinata al verificarsi di determinate condizioni. In particolare, le azioni offerte non
dovevano essere cedute ne' costituite in garanzia prima che fossero trascorsi cinque anni dalla data
dell'assegnazione e il valore delle azioni assegnate non doveva essere complessivamente superiore, nel
periodo d'imposta, alla retribuzione lorda annua del dipendente relativa al periodo d'imposta precedente
(cosiddetto "parametro retributivo").
L’'articolo 2, comma 29 del decreto citato, nel sostituire i periodi secondo, terzo e quarto del
comma 2-bis dell'articolo 51 del TUIR, ha eliminato dunque dalle condizioni per fruire del regime in
esame il predetto parametro retributivo ed ha modificato gli ulteriori requisiti richiesti per l'applicazione
dell'agevolazione fiscale.
In particolare, come ha evidenziato la citata Circolare, con riferimento alla prima condizione
(che l'opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione), la norma
intende incentivare il processo di fidelizzazione dei destinatari dei piani di stock option. Tale condizione
va dunque verificata in concreto secondo le specifiche previsioni contenute nei piani deliberati dalle
societa'.
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A tal fine, secondo la Circolare, i piani in corso, gia' deliberati prima dell'entrata in vigore della
nuova disciplina, ove non prevedano un termine per l'esercizio dell'opzione, oppure ove prevedano un
termine inferiore ai tre anni, possono essere adeguati per poter usufruire dell'agevolazione, senza che
tali modifiche costituiscano fattispecie novative.
Per quanto riguarda poi la seconda condizione posta dalla norma (che al momento in cui
l'opzione e' esercitabile, la societa' risulti quotata in mercati regolamentati), la Circolare osserva “come non
sia sufficiente il fatto che la quotazione delle azioni sia stata semplicemente disposta, essendo necessario che le azioni
risultino effettivamente negoziate nei mercati regolamentati al momento in cui l'opzione e' esercitabile (cfr. circolare n.
306/E del 23 dicembre 1996). Come si evince dalla Relazione governativa al decreto, quindi, la condizione della
quotazione deve essere verificata in capo alla societa' emittente le azioni assegnate e, quindi, rientrano nella disciplina di
favore - sempreche' siano rispettate le altre condizioni - anche i piani di stock option deliberati da societa' non quotate
qualora le azioni da essa assegnate siano emesse da una societa' del gruppo quotata”.
Da notare che, come già precisato nella Circolare n. 165 del 1998 – paragrafo 2.2.1, nella
nozione di mercati regolamentati vanno ricompresi non solo la Borsa e il mercato ristretto, ma ogni
altro mercato di cui al decreto legislativo n. 58/98, nonché quelli di Stati appartenenti all’OCSE, istituiti,
organizzati e disciplinati da disposizioni approvate dalle competenti autorità in base alle leggi vigenti
nello Stato in cui detti mercato hanno sede7.
Infine per quanto riguarda la terza condizione (il beneficiario mantenga per almeno i cinque
anni successivi all'esercizio dell'opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla
differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal
dipendente), a differenza della norma previgente che imponeva un vincolo di indisponibilita' delle
azioni assegnate per un periodo quinquennale, la nuova norma prevede che il beneficiario debba
mantenere per almeno i cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione non tutte le azioni ricevute,
bensi' un "investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente".
In sostanza, afferma la Circolare, l'oggetto del vincolo e' costituito dalla differenza tra il valore
normale dei titoli assegnati e l'ammontare pagato dall'assegnatario in modo tale da consentire lo
smobilizzo o la costituzione in garanzia di un numero di azioni corrispondente all'esborso effettuato dal
dipendente.
Ad esempio:
. numero di azioni offerte = 120
. valore unitario delle azioni offerte = euro 8,3
. valore complessivo delle azioni al momento dell'offerta = euro 1.000
. valore normale unitario delle azioni al momento dell'assegnazione = euro 13,3
. valore normale complessivo delle azioni al momento dell'assegnazione = euro 1.600
. prezzo pagato dal beneficiario = euro 1.000
La differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e il prezzo pagato dal
beneficiario del piano, pari a euro 600, non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente, a
condizione che vengano mantenute nei cinque anni successivi all'assegnazione un numero di azioni
corrispondente a euro 600, ossia 45 azioni.
Pertanto, 75 azioni possono essere vendute o date in garanzia anche prima che siano trascorsi
cinque anni dalla loro assegnazione.
In sostanza, una volta effettuato il calcolo del numero delle azioni che non possono essere
cedute o date in garanzia nel quinquennio, stabilito alla data dell'assegnazione delle azioni, tale numero
di azioni deve essere mantenuto indipendentemente dalla circostanza che il valore delle azioni subisca
modificazioni nel corso del predetto periodo.
In tal modo, il dipendente non e' costretto ad acquistare un numero maggiore di azioni per
tenere fede al valore dell'investimento da mantenere, nell'ipotesi in cui il valore delle azioni diminuisca.
Qualora le azioni che dovevano essere mantenute (nell'esempio le 45 azioni) siano anche parzialmente
Per un elenco indicativo dei mercati regolamentati si rinvia a quanto riportato nella Convenzione stipulata tra il Ministero
delle Finanze e l’Ufficio Italiano Cambi per la rilevazione delle quotazioni dei titoli negoziati in mercati regolamentati di cui
al decreto del Direttore Generale del Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze del 29.12.2000
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cedute o date in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione, l'importo che
non ha concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento dell'assegnazione (nell'esempio,
euro 600) e' assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione o la costituzione
in garanzia.
In tal caso, in sede di determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria, puo' essere assunto
come costo il valore delle azioni assoggettato a tassazione in qualita' di reddito di lavoro dipendente
(nell'esempio, 13,3 per azione).
5. PROBLEMATICHE APPLICATIVE
Tale disciplina è stata però criticata per alcune sue eventuali incongruenze.
E’ stato infatti evidenziato come l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 51, comma 2,
lettera b-bis) del Testo unico delle imposte sui redditi, come modificata dal decreto-legge n. 223 del
2006 e, successivamente, dal decreto-legge n. 262 del 2006, possa comportare, con riferimento al
regime fiscale delle stock options, fenomeni di doppia imposizione fiscale.
Con una interrogazione parlamentare era stato in particolare richiesto di conoscere se, venendo
meno la condizione di mantenimento per almeno cinque anni successivi all’esercizio dell’azione di un
numero di azioni non inferiori a quello rappresentativo della differenza tra il valore delle azioni stesse al
momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto, nel riqualificare il reddito come lavoro
dipendente il contribuente interessato potesse fruire di un credito d'imposta di un ammontare pari al
versamento eventualmente già effettuato a titolo di capital gain.
Il Governo, rispondendo a tale interrogazione parlamentare (vedi interrogazione e risposta
parlamentare n. 5 – 00420 del 29.11.06), dopo aver precisato come la normativa richiamata possa
effettivamente prestarsi al rischio di determinare fenomeni di doppia tassazione, ha risposto che:
“è opportuno ricordare che se i titoli oggetto dell'investimento sono ceduti o dati in garanzia
prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione, l'importo che non ha concorso a formare
il reddito di lavoro dipendente al momento dell'assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo
d'imposta in cui avviene la cessione o la costituzione in garanzia. Qualora una parte delle azioni siano
state cedute prima del quinquennio nel numero consentito dalla norma e sia stata, pertanto, corrisposta
l'imposta sostitutiva sul relativo reddito di natura finanziaria e le restanti azioni siano anch'esse
successivamente cedute, sempre prima del quinquennio, considerato che l'intera differenza tra il valore
delle azioni al momento dell'assegnazione e l'importo corrisposto dal dipendente viene assoggettata a
tassazione come reddito di lavoro dipendente, l'imposta sostitutiva precedentemente corrisposta in
relazione alla prima cessione effettuata può essere chiesta a rimborso ai sensi dell'articolo 38 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Qualora i termini per esperire
l'istanza di rimborso ai sensi di quest'ultima disposizione siano scaduti (ad esempio, se alla data della
cessione delle azioni prima del quinquennio sono trascorsi 48 mesi dal versamento dell'imposta
sostitutiva relativa alla prima cessione) il contribuente può attivare la procedura di cui all'articolo 21,
comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ossia presentare domanda
di restituzione dell'imposta entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la
restituzione che, in tal caso, è rappresentato dalla cessione delle azioni prima dello scadere del
quinquennio”.
A tal proposito anche la Circolare 1/2007 (riferendosi all’esempio sopra visto) ha peraltro
ribadito che:
“qualora una parte delle azioni sia stata ceduta prima del quinquennio, nel numero consentito
dalla norma (nell'esempio, 75 azioni) e sia stata, pertanto, corrisposta l'imposta sostitutiva sul relativo
reddito diverso di natura finanziaria e le restanti azioni (nell'esempio, 45 azioni) siano anch'esse
successivamente cedute, sempre prima del quinquennio, considerato che l'intera differenza tra il valore
delle azioni al momento dell'assegnazione e l'importo corrisposto dal dipendente viene assoggettata a
tassazione come reddito di lavoro dipendente (nell'esempio, euro 600), l'imposta sostitutiva
precedentemente corrisposta in relazione alla prima cessione effettuata puo' essere chiesta a rimborso,
ai sensi dell'articolo 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Qualora i termini per esperire l'istanza di
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rimborso ai sensi di quest'ultima disposizione siano scaduti (ad esempio, se alla data della cessione delle
azioni prima del quinquennio sono trascorsi 48 mesi dal versamento dell'imposta sostitutiva relativa alla
prima cessione) il contribuente puo' attivare la procedura di cui all'articolo 21, comma 2, secondo
periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ossia presentare domanda di restituzione dell'imposta
entro due anni dal giorno in cui si e' verificato il presupposto per la restituzione che, in tal caso, e'
rappresentato dalla cessione delle azioni prima dello scadere del quinquennio”.
Giovambattista Palumbo
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