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STORIA/CULTURA n di RENZO FRACALOSSI TERRA TRENTINA S 42 u queste pagine abbiamo più volte affrontato alcuni temi della storia medioevale, ovvero di quei capitoli del percorso umano che forse sono, almeno a livello scolastico, fra i meno frequentati. Ma parlare di epoca medioevale vuol dire anzitutto conoscere la figura più rilevante di quel periodo, che fu sicuramente quella dei Cavalieri. Vediamo chi erano costoro. Quel complesso insieme di tradizioni, costumi atteggiamenti mentali ed istituzioni che noi usiamo indicare con il termine policomprensivo di Cavalleria, si sviluppò lentamente a partire dal X secolo per giungere a maturazione tra lXI e il XIII secolo letà cavalleresca per eccellenza; quella delle Crociate, degli ordini monasticomilitari, della cultura cortese indi lentamente decadere, non senza però episodici ritorni di fiamma, anzi talora autentici revival. Lesser Cavalier e, sia pure di uno dei molti ordini creati dai vari sovrani a partire dalla fine del Medioevo per premiare e per tenere legati alla loro casa i sudditi più capaci ed intraprendenti, costituì un vanto per generazioni intere di piccoli nobili e di borghesi arricchiti. Quello dei Cavalieri non era però un gruppo chiuso: solo a partire dalla fine del XII secolo ci sarebbe voluta lappartenenza ad un casato di cavalieri per accedervi, e laristocrazia cavalleresca avrebbe mosso i primi passi verso la trasformazione in nobiltà di sangue. Tuttavia era un gruppo che accoglieva per cooptazione e riconosceva come fratelli darme i suoi membri. Questi circoli di guerrieri avevano un loro patrimonio iniziatico-rituale, al quale si accedeva passando per una cerimonia specifica, quella che sarebbe poi divenuta laddobbamento o vestizione. Non bastava dunque possedere un paio di cavalli, delle armi e doti personali di vigore e di coraggio fisico: bisognava essere anche accettati. Quindi lessere Cavalieri richiedeva tre diversi ordini di requisiti: mezzi economici, preparazione professionale, cooptazione nel gruppo dei già insigniti della dignità cavalleresca. Sulla Cavalleria sappiamo parecchie cose; in particolare, molto conosciamo su quei Cavalieri che decidevano di entrare in una religio, in un ordine monastico-militare, e sulla vita che allinterno di esso conducevano. Ma nonostante ciò, la Cavalleria come tale restava un fatto laico: e non è un caso che essa ricevesse la sua prima sanzione e la sua prima decisa formulazione etica proprio nel corso della riforma ecclesiastica del XI secolo, allorché molti guerrieri si posero al servizio di Gregorio VII, per collaborare allopera di risanamento dei costumi della Chiesa. I secoli XI-XII sono quelli dellincremento demografico dellOccidente, della conquista di nuove terre coltivabili strappare alla brughiera, della rinascita del mondo urbano, della riconquista cristiana del bacino mediterraneo, del rinnovarsi delleconomia monetaria. Al crescere delle fortune dei ceti mercantili e anche di quelle delle grandi abbazie che seppero per tempo cogliere il vento nuovo e mobilitare le loro forze produttive trasformandosi in centri di gestione di fattorie modello, corrisponde unampia e profonda crisi della feudalità laica, specie nei suoi quadri più bassi: i milites accasati nei piccoli feudi dipendenti dalle castellanie, quei guerrieri-contadini che talora erano anche proprietari terrieri liberi, cioè detentori di allodi, terre non soggette a vincoli feudali, e che alternavano la gestione del loro modesto patrimonio rurale ai turni di guardia presso la dimora del castellano. Piccoli e piccolissimi feudatari, quindi, oppure figli cadetti di illustre o meno illu- maggioranza espressione dellambiente monastico, non sono teneri con le comitive di giovani Cavalieri: e, se anche bisogna tener presente che essi partono da posizioni spesso preconcette e come tali non accettabili senza un rigoroso controllo, in genere paiono veritiere. Abbiamo così una triste sequela di vendette, di crudeltà, di rapine, perfino di sacrileghe profanazioni. Il disordine morale regna nelle comitive cavalleresche; così come la sodomia, che del resto è abbastanza tipica, antropologicamente parlando, delle società iniziatiche militari. Il rapporto maestro-discepolo, fondamentale nelletica cavalleresca, ha risvolti che non sarà mai possibile cristianizzare, ma che al massimo si celeranno in varia maniera. Anche per questo nel corso del XI secolo, gli ambienti dei riformatori della Chiesa quelli facenti capo ad Ildebrando di Soana (poi papa Gregorio VII) cercheranno di elaborare un ideale del Cavaliere come laico al servizio della Chiesa, della pace e della giustizia, come miles Christi, e appunto da quellelaborazione nascerà letica del riparatore disinteressato dei torti, del protettore degli orfani e dei miseri, del difensore degli oppressi. E questa è limmagine, peraltro, che giunge fino a noi attraverso la letteratura e poi il teatro ed il cinema, ma che non deve farci dimenticare cosa in realtà erano i Cavalieri che, come abbiamo visto, erano militari di professione e forse imprenditori agricoli, soprattutto nelle nostre vallate. Custodi del territorio e delle sue ricchezze, ma anche dei valori di una società come quella medievale, così complessa e ricca di fascino. STORIA/CULTURA non avevano cioè ricevuto laddobbamento e non lo avrebbero ricevuto mai, per quanto ci sia da chiedersi quanto fosse frequente lo spacciarsi indebitamente per Cavaliere lusurparne le insegne, dato che lesser tale non comportava ancora uno status giuridico preciso e dato che il meccanismo di cooptazione era per sua natura flessibile (un adagio francese diceva che ogni Cavaliere può creare a sua volta dei Cavalieri: a partire dalla seconda metà del XII secolo, il diritto di addobbare sarebbe viceversa stato ristretto, di fatto prima che di diritto, ai principi e con la liturgizzazione della cerimonia ai vescovi). Nelle fonti medievali, lo iuvenis è un personaggio caratteristico, il neocavaliere che parte per lavventura attorniato da altri neocavalieri, da scudieri a loro volta desiderosi di dimostrare con i fatti di esser degni delladdobbamento, da sergenti destinati a rimanere in uno stato inferiore e tuttavia trattati come fratelli darme. Il mondo cavalleresco, per sua natura gerarchico, conosce tuttavia un profondo egualitarismo di gruppo, come tutte le società militari del resto. Ed eccoci quindi davanti al Cavaliere errante, una realtà effettiva, anche se meno romantica di quanto Orlando e don Chisciotte ci hanno insegnato a ritenere. Le avventure che i nostri iuvenes affrontavano e che, giunti poi alla maturità amavano rileggere nelle belle pagine di Chrétien de Troyes o di Wolfram von Eschenbach, erano per la verità un tantino più crude anche se non meno movimentate dei loro modelli letterari. I testi cronistici, che per i secoli XI-XIII sono nella loro stragrande TERRA TRENTINA stre casata: il figlio minore che abbandona la casa paterna e che se ne va per il mondo in cerca di fortuna risponde certo al vecchio schema biblico del figliol prodigo, ma non si spiega solo con esso. In genere, non si lasciavano alle spalle la loro dimora avita senza una meta o una prospettiva. Luna e laltra dovevano essere costituite al contrario, nella maggioranza dei casi, dal servizio presso un più alto signore feudale. Ogni corte signorile abbastanza ricca e potente da poter ospitar e un gruppo di guerrieri in una sorta di guardia del corpo del signore diveniva un centro distruzione tecnica e di elaborazione ideologica di giovani cavalieri o aspiranti alla dignità cavalleresca. Inversamente, il chiostro attendeva i rampolli illustri che la natura non aveva favorito: i deboli, gli ammalati, gli affetti da imperfezioni che impedivano lesercizio delle armi. La Corte del grande signore feudale ospitava anzi sovente anche i figli dei signori vicini o meno vicini, che trascorsa presso la famiglia dorigine la loro infanzia venivano poi spediti ad un illustre amico o parente per compiere il loro bravo tirocinio pre-cavalleresco in qualità di paggi o poi di scudieri. E accanto a loro cera il proletariato cavalleresco di quelli che magari elevati alla dignità dal nulla, o divenuti scudieri ed in attesa della cintura si aspettavano dal signore non solo il quotidiano sostentamento, ma anche dei doni-salario in cambio della loro prestazione di guardia del corpo: doni che erano appunto vesti, armi, cavalli. E ancora accanto a questi, i sergenti, che potevano anche combattere a cavallo, ma che non erano milites, 43