Capitolo primo Il battito del mio cuore nel buio. Attorno a me solo

Transcript

Capitolo primo Il battito del mio cuore nel buio. Attorno a me solo
Capitolo primo
Il battito del mio cuore nel buio.
Attorno a me solo silenzio. Silenzio nel cielo, nella terra, silenzio
nell’erba che ondeggia. Ma non c’è vento a muoverla, non c’è.
Il caldo si aggrappa alla mia gola come con mani nere. Tento di
strapparle via con le mie, ma sono troppo piccole. Mani da bambino:
impossibile difendermi con quelle.
Questo odore mi stordisce, mi ostruisce i pori, non posso respirare.
Vorrei scappare, tornare indietro, ma l’erba inizia a ridere con una
risata corale, forte, ostile, che sgorga da ogni suo filo. Ride… ride…
non sopporto il suono di quella risata! Non lo sopporto! Devo
andarmene! Ma l’erba cresce.
“Dove vai?” mi sussurra raggelante mentre mi blocca le gambe.
“Dove vai?” mi chiede, ostile, arrampicandosi sulla mia schiena.
“Dove vai!” mi grida rabbiosa, avvolgendomisi attorno alle braccia,
salendomi sul collo e continuando a ridere con tutte quelle risate messe
insieme, crescendomi fin dentro la gola, soffocandomi.
Poi tre esplosioni infiammano la notte e l’erba grida d’orrore…
grida… grida e mi sanguina addosso. I miei occhi si sciolgono come
cera… come cera… li sento colare sul mio viso. I denti mi si
sbriciolano, cadono uno a uno… uno a uno…
Vorrei urlare, ma ho la bocca piena di sangue… sangue e denti…
sangue e denti… le mie labbra si richiudono come la cicatrice di un
brutto taglio e l’erba mi inghiotte nel buio…
Nel buio…
Spalancò gli occhi pieno d’orrore prima che la sveglia
suonasse e si guardò attorno per un attimo, smarrito, ancora
in preda al panico e con la sensazione di essere seriamente
TRACCIA NASCOSTA – 7
in debito d’ossigeno. Si prese qualche istante per permettere
al suo cuore di ritrovare un ritmo normale e deglutì, con
insistenza, per far smettere la tormentosa sensazione di
avere la gola piena di polvere. Ultimamente i suoi risvegli
erano spesso di questo tipo e pensò con frustrazione che
fosse davvero orribile iniziare la giornata in quel modo: lo
faceva sentire dieci volte più stanco e sfibrato di quando era
andato a dormire portandosi a letto la vana convinzione di
aver raggiunto, ormai, il limite della stanchezza da lui
tollerabile.
Si lasciò ricadere sul letto per ricominciare a respirare più
lentamente e, dopo aver fissato ancora per qualche minuto il
soffitto, decise di alzarsi ma, prima di fare qualsiasi altra
cosa, andò alla docking station per l’iPod e fece partire
Welcome to the Jungle dei Guns N’ Roses.
A piedi scalzi, indossando solo un paio di mutande di
Calvin Klein nere, camminò lentamente verso la cucina,
sgranchendosi il collo, e si versò una tazza di caffè caldo
dalla caraffa della macchinetta, programmata per farglielo
trovare pronto tutte le mattine. Quello era il primo gesto
davvero necessario di ogni sua giornata. Lo sorseggiò in
silenzio, traendone il consueto strano e profondo conforto,
chiudendo gli occhi a ogni sorsata per assaporarlo meglio,
iniziando a spostarsi per le stanze.
Welcome to the Jungle, we take it day by day. If you want it you’re
gonna bleed, but it’s the price you pay.1
Prima di uscire dal bagno si passò una mano tra i capelli
neri ed esaminò la sua immagine allo specchio con due
grandi occhi di ebano, eredità di suo padre.
Benvenuto nella giungla, la viviamo giorno per giorno. Se la vuoi sanguinerai,
ma questo è il prezzo che paghi.
8 – TRACCIA NASCOSTA
1
“Niente male.” pensò, con un sorriso autoironico.
In effetti non aveva tutti i torti, ma a dire la verità quel
giorno non lo pensava troppo seriamente: gli capitava
spesso, infatti, di lottare contro una spiccata tendenza a
sottovalutarsi, sebbene la maggioranza delle volte si
trovasse, invece, a dover fare i conti con un ego
spropositato. I cali di autostima nelle giornate negative
erano un retaggio che si trascinava dietro dagli anni in cui
perfino sua madre non riusciva a nascondere davanti a lui
l’ammirazione che nutriva per suo fratello maggiore, la vera
star di tutto l’albero genealogico. Ma in fondo questo non
era mai stato un grande problema, perché aveva imparato a
riconoscere di avere pregi differenti rispetto ai suoi. Forse.
E in ogni caso, in quella famiglia non c’era nessuno che gli
volesse bene quanto Thomas.
Prima di vestirsi si chiese se fosse il caso di radersi o no.
Odiava farlo e cercava ogni volta di rimandare quello strazio
il più possibile. A cinque anni aveva tentato di imitare suo
padre e, di nascosto, si era messo la sua schiuma da barba
sul viso e vi aveva fatto scorrere il rasoio. Il risultato era
stato un numero davvero notevole di pezzetti di carta
igienica sparsi su tutta la faccia per tamponare altrettanti
taglietti. Suo padre si era fatto un sacco di risate, lui un po’
meno (oltretutto si era chiesto con delusione cosa ci fosse
tanto da ridere). Thomas invece, dopo il grande spavento
iniziale (“Avresti potuto sfigurarti!”) e dopo aver applicato
personalmente i pezzetti di carta uno a uno, aveva tentato in
tutti i modi di mantenere un’espressione seria per non
infierire ulteriormente su quel bambino che voleva fare
l’ometto, ma era stato difficilissimo, dato che la comicità
della situazione mista a un pizzico di orgoglio paterno
TRACCIA NASCOSTA – 9
(perché nonostante i suoi quindici anni era questo che
Thomas era: paterno) gli avevano reso quasi impossibile il
compito di non sorridere. Eppure era riuscito a non
umiliarlo. Questo quel bambino non l’avrebbe mai
dimenticato, così come non avrebbe mai cambiato la sua
decisione di non replicare quell’esperienza se non si fosse
reso conto, col passare degli anni, che radersi almeno una
volta ogni tanto sarebbe stato necessario, per non rischiare
di somigliare a un Old English Sheepdog. Come se non
bastasse, aveva scelto un lavoro per cui doveva essere
sempre ben rasato. Perciò anche quella mattina si accinse a
svolgere quel compito quotidiano per l’ennesima volta e il
più in fretta possibile. “Quando si è sconfitti si è sconfitti”,
aveva scritto la Plath.
Iniziò a riflettere sugli incubi che lo stavano tormentando
ormai da due settimane. Erano vortici densi e viscosi che lo
trascinavano ogni volta più in basso. Erano violentemente
chiari ed estremamente realistici eppure, ogni volta che
riemergeva da quel suo strano mondo onirico, c’era sempre
una sola parola che affiorava dal fondo del suo cuore
sconquassato, finendo poi per morire sulle sue labbra prima
di essere pronunciata, e quella parola era “perché”. Non
riusciva a capire, infatti, quale messaggio il suo subconscio
stesse cercando di inviargli. Si arrovellava il cervello attorno
al significato di quelle immagini, ma gli unici risultati che
riusciva a ottenere erano insonnia e fastidiosi mal di testa.
Cominciava a considerare seriamente l’idea di prendere
qualche ansiolitico prima di dormire, ma anche quella
possibilità costituiva un problema, anzi, più di uno.
Innanzitutto non poteva permettersi di essere poco lucido
sul lavoro e, non avendo mai assunto farmaci di quel tipo,
10 – TRACCIA NASCOSTA
ignorava che effetto avrebbero potuto avere su di lui al
risveglio. Seconda cosa, che irrazionalmente considerava più
importante della prima, prendere qualcosa per dormire
avrebbe significato dormire e, da quando era costretto a
subire quei tormenti notturni, il solo pensiero di
addormentarsi lo metteva in grandissima agitazione. Ogni
volta cercava di resistere al sonno il più possibile fino a che
non cedeva, sperando che quella notte il suo molesto,
inquietante nemico non sarebbe tornato a torturarlo. Perché
non passava tutte le notti, no: giungeva improvviso e
inaspettato, come un attacco epilettico.
You know where you are? You’re in the jungle, baby!2
Le luci del mattino iniziarono a entrare dalle finestre e a
trasmettergli un po’ della serenità e dell’equilibrio che
desiderava tanto avere in maggiore quantità nella vita. Con
calma, scelse dall’armadio un completo nero, una camicia
bianca e una cravatta di seta, nera anche quella. Infilò il
caricatore nella sua semiautomatica, la ripose con molta cura
nella fondina ascellare e uscì da casa ricordando di prendere
l’iPod, ma senza aver dato da mangiare ai pesci. Questo
particolare gli venne in mente un attimo dopo aver chiuso a
chiave la porta e, ormai, era quasi in ritardo. Ci avrebbe
pensato al ritorno. In fondo quei pesci mangiavano molto
meglio di lui.
L’aria di Manhattan lo accolse con una folata appena
fuori dal portone e lo rinfrancò un po’. Amava quella città in
autunno. Aveva un odore particolare: era ben diverso da
quello più pulito del Connecticut, eppure lo preferiva. E il
cielo (bianco, quella mattina) proiettava una luce che
sembrava attutire qualunque asperità nelle cose. Perso in
2
Sai dove sei? Sei nella giungla, baby!
TRACCIA NASCOSTA – 11
quei pensieri, si diresse di buon passo verso la sua caffetteria
preferita. Ormai ne conosceva ogni dipendente ed era bello
poter entrare e chiedere “il solito”: un gran bicchiere di
caffellatte (un altro…) con una spruzzata di caramello e un
muffin ai mirtilli, a portar via.
IPod alle orecchie, si diresse poi verso la stradina un po’
anonima che ospitava la sua meta: di fronte a una tintoria si
ergeva, grigio, l’edificio del Distretto di Polizia. Restò per un
po’ a guardarne la facciata, cercando di respirare quanto più
profondamente possibile per ossigenarsi bene prima di
mettere piede lì dentro, ben consapevole di ciò che avrebbe
trovato una volta varcata quella soglia.
Era lì che lavorava.
Era il detective Greg Barrett.
12 – TRACCIA NASCOSTA
Capitolo secondo
Lo accolse la solita confusione: telefoni che squillavano,
due prostitute rissose che sembravano appena uscite da un
combattimento tra galli, l’odore di mille sigarette rimasto
impregnato nei vestiti, luci al neon e scrivanie piene di
cartelle. Il tutto immerso nel solito, continuo via vai di
gente. Attraversò i corridoi a testa bassa, evitando
accuratamente di parlare con chicchessia, e si fermò davanti
a una porta prima di bussare con decisione e di entrare.
Chiusala alle sue spalle, gli sembrò che tutto il rumore fosse
rimasto fuori.
– Tenente. – accennò, come saluto.
Neil Douglas lo osservò per qualche istante prima di
farlo sedere.
– Hai una faccia da schifo. – gli disse poi.
Greg roteò discretamente gli occhi e si sedé di fronte alla
scrivania del suo superiore, restando a osservarlo mentre,
con calma, tirava fuori da un cassetto una ciambella
ricoperta di glassa rosa e cosparsa di momperiglia colorata.
Era quasi convinto che si fossero ispirati a lui per creare il
cliché dello sbirro mangia-ciambelle.
Afroamericano, tarchiato e tendente al sovrappeso, non
aveva un solo capello in testa. Mangiava ciambelle
esclusivamente a lavoro perché sua moglie era una salutista
e lo aveva coinvolto nelle diete più disparate, facendo di lui
la barzelletta segreta di tutto il Distretto. Quando i medici
gli chiedevano conto dei risultati dei suoi esami clinici, di
solito si giustificava con assoluta nonchalance dicendo
qualcosa di simile a: “Il colesterolo? Che posso dire,
TRACCIA NASCOSTA – 13
evidentemente lo produco. Anche mio padre aveva lo stesso
problema.”. Se solo la moglie avesse saputo della sua
capacità di ingurgitare una quantità spaventosa di cibo senza
alcuna vergogna, lo avrebbe condannato a ore e ore di tapisroulant forzato. Comunque quel regime alimentare
altalenante influiva molto sul suo umore, perciò aveva
spesso giornate buone (quelle mangerecce) alternate a
giornate cattive (quelle di dieta stretta) in cui era meglio non
contraddirlo. A giudicare dalla ciambella, probabilmente
sarebbe stato un giorno tranquillo per tutti.
– Come ti senti? – gli chiese all’improvviso, stretto nel
suo completo grigio chiaro, camicia rosa pallido. – Sei sicuro
di non aver bisogno di altro tempo?
– Sto bene, tenente. – rispose, desideroso solo che quella
conversazione finisse al più presto.
– Beh, a me non sembra proprio. – riprese Neil, dando
un morso alla ciambella e scrutando tutti i particolari della
sua faccia.
– Ok, – ammise con insofferenza, fissando gli occhi sui
suoi. – Infatti è così. Ma sono qui lo stesso.
Il tenente Douglas restò a guardarlo in silenzio per
qualche secondo. Poi annuì.
– Bene, allora. Torna a lavoro, vattene. – disse
congedandolo, dopo un sospiro.
– Bene.
– Bene. – concluse il tenente, volendo sempre avere
l’ultima parola.
Greg si volse verso l’uscita, ma si fermò un attimo prima
di andarsene.
– Per quella faccenda. – accennò, non andando oltre e
senza voltarsi indietro.
14 – TRACCIA NASCOSTA
– È tutto risolto, – rispose Neil. – Ma ora è fuori. Ne
parleremo al suo ritorno.
– Ok. – concluse Greg, uscendo definitivamente
dall’ufficio e incamminandosi verso il suo.
– La porta! – berciò il tenente, che Greg finse di non aver
sentito.
“Un po’ di moto non ti ucciderà.”
Sorrise a questo pensiero, ma subito ne sopraggiunse un
altro decisamente più scomodo. Il tenente aveva ragione:
non stava bene per niente. Il punto, però, era che non
voleva essere compatito. Il suo istinto sarebbe stato quello
di starsene ben lontano da tutti, ma era consapevole del
fatto che non sarebbe servito a farlo sentire meglio. Sapeva
che l’unico modo per risollevarsi era prendere in mano la
sua vita, ma affrontare sguardi compassionevoli e dover
assistere a pietose scene di empatia di massa era l’ultima
cosa che voleva (anche se il suo ego gli impediva di rendersi
conto che, in realtà, non fregava proprio niente a
nessuno…).
“Non c’è altro che io possa fare. Devo sostenere lo
sguardo degli altri, senza vergogna.”
In fondo non era colpa sua se si trovava in quella
situazione.
Si fermò un momento a riflettere, mentre la gente
continuava a camminare tutto intorno a lui: era forse tutta
quella storia a procurargli quegli incubi? Scosse la testa,
prima di riprendere a camminare. Anche se si erano
manifestati in quel periodo, sentiva chiaramente dentro di sé
che ciò che si nascondeva dietro a tutto quell’orrore era
qualcosa di diverso: era tutto troppo spaventoso.
Ad aspettarlo in ufficio c’era la sua scrivania: era un
TRACCIA NASCOSTA – 15
disastro, ma lui riusciva a raccapezzarsi tranquillamente nel
disordine. Tranne, forse, quando lui gli spostava le cose per
il semplice gusto di vederlo girare per il Distretto come un
cretino alla ricerca di una spillatrice. Lui… Non aveva
guardato in faccia nessuno, fino a quel momento, ma era
sicuro che non fosse lì. Forse non era ancora arrivato,
oppure era su qualche scena. Meglio così: era proprio
l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, e il motivo
di tutta la tensione che sentiva premergli contro le tempie.
“Prima o poi dovrà succedere. Sbrighiamoci e facciamola
finita.”
Gli tornò in mente l’espressione del tenente quando gli
aveva detto che con lui aveva chiuso. Piuttosto imbarazzato,
gli aveva risposto che, pur comprendendo (e Greg si era
chiesto come potesse anche solo lontanamente comprendere)
non avrebbe potuto far altro che non farli lavorare più
insieme.
“È questo che voglio. Questo.” si ripeté alla scrivania,
combattuto fra il sollievo e il dolore. “Non lavorare più
insieme.”
Dopo tutto quello che avevano condiviso.
Passò un dito sulla polvere e scrisse “Sto bene”, ma stava
mentendo a sé stesso perciò spazzò via la scritta con una
passata di mano.
Si annoiò per tutto il resto della stupida mattinata. In
quelle due settimane non si era preoccupato di pensare che,
al suo ritorno, avrebbe trovato una tonnellata di scartoffie
da smaltire, ma ora avrebbe tanto voluto averlo fatto. Non
trovando poi altro che potesse distrarlo, passò in rassegna il
contenuto dei cassetti della scrivania, rendendosi
16 – TRACCIA NASCOSTA
conto con sorpresa che non lo faceva dal 2009.
La noia gli fece venire voglia di bere un altro caffè, così
uscì dall’ufficio per dirigersi verso la stanza del distributore.
Da lì usciva solo un beverone pessimo, ma in qualche modo
finiva sempre per sentire la necessità di berne un po’: gli
faceva apprezzare molto di più la caffetteria piena di
persone cordiali. All’improvviso, però, un flash,
un’immagine dolorosa, turbò le sue riflessioni: il detective
Darren Stevenson, proprio lui, entrò nel suo campo visivo
in un modo che gli fece provare un dolore praticamente
fisico. Strinse un po’ il bicchiere di plastica con un fremito
della mano e sentì i succhi gastrici salirgli fino alla gola.
Darren, a qualche metro da lui, fece istintivamente due passi
indietro. Poi si fermò e restò lì, con i piedi ben piantati a
terra, come per prepararsi a un impatto. Le labbra serrate, le
mani che si aprivano e chiudevano nervosamente. Per
qualche istante, il silenzio regnò sovrano nella stanza
deserta.
“Dunque ci siamo.” pensò Greg.
Quante volte aveva guardato la faccia di Darren e si era
sentito come in un posto sicuro?
“Sempre. Da sempre.”
Se Thomas era un vero padre per lui, Darren era un vero
fratello. Erano nati insieme da due famiglie distinte, eppure
erano cresciuti come due gemelli eterozigoti (lui con gli
occhi e i capelli neri, Darren con gli occhi azzurri e i capelli
né biondi né rossi) con tanto di linguaggio segreto e malattie
simultanee. Da neonati, a volte, finivano per addormentarsi
solo quando sentivano l’uno l’odore dell’altro. Quando, più
grandi, sedevano vicini, le loro spalle finivano per accostarsi
mentre parlavano, chiaro segno che non c’era posto per
TRACCIA NASCOSTA – 17
qualcun altro. Inutile dire che agli occhi di un osservatore
esterno risultavano parecchio inquietanti (e a volte lo erano
sul serio) e che almeno un milione di persone nella loro vita
gli aveva chiesto se fossero gay. Di solito ci scherzavano su,
amando osservare le reazioni confuse della gente.
Specialmente considerato il fatto che erano cresciuti nel
soffocante ambiente ricco e privilegiato di Hartford, in
Connecticut, in un contesto in cui le donne altolocate
aggiungevano la desinenza -cara ai loro ridicoli nomignoli
(Beebee, Shushu, Cheeky…), gli uomini gestivano affari di
multinazionali e i figli erano tutti preppie3 depressi e repressi
destinati a frequentare college dell’Ivy League per
intraprendere la vita che qualcun altro aveva pianificato.
Destino al quale loro due, soli contro tutti, avevano sentito
il bisogno di opporsi perché, nati indipendenti, avevano
sempre saputo che quella vita, la società a cui appartenevano
e l’ipocrisia che li circondava, li avrebbero lentamente uccisi
dentro. Subito dopo il diploma si erano arruolati
nell’Esercito, appena diciottenni: era quella l’età minima per
farlo senza il consenso dei genitori. Lo scopo era di restarci
fino ai ventun anni e poi congedarsi dato che, per chi non
aveva frequentato il college, quello era un requisito
fondamentale per poter diventare successivamente detective
per la Omicidi, dopo una lunga gavetta come ufficiali di
polizia. Questo, infatti, era il loro sogno. E avevano scelto di
realizzarlo nella città del loro cuore e della loro
indipendenza: New York, tanto bella quanto feroce. Li
Abbreviazione della parola inglese “preparatory” con cui ci si riferisce agli
studenti degli Stati Uniti nordoccidentali che frequentano scuole private
“preparatorie”, ossia quelle scuole che preparano gli studenti per essere
ammessi alle università più prestigiose.
18 – TRACCIA NASCOSTA
3
avevano fatti a polpette, giovani e privilegiati com’erano, e le
loro famiglie gli avevano dato l’ostracismo per molto tempo.
Ma ce l’avevano fatta. Insieme.
E ora eccolo là, a pochi metri da lui, che sosteneva in
silenzio il suo sguardo con la mascella contratta. Era
veramente la stessa persona?
Darren mosse qualche passo, ma Greg si diresse verso la
porta, deciso ad andarsene.
– Greg. – provò a dirgli.
– Vattene. – rispose lui, lapidario, con una voce che non
gli sembrò nemmeno la sua.
– Devi ascoltarmi! – ribatté l’altro, animatamente,
prendendolo per un braccio nel tentativo di fermarlo.
Fu questione di un attimo: a quel contatto Greg lasciò
cadere il bicchiere e, afferrando Darren per la camicia, lo
spinse con violenza contro la parete. Lui alzò con enfasi le
mani, guardandolo molto seriamente negli occhi.
– Non sono io il tuo nemico. – gli disse, cercando di
mantenere l’autocontrollo.
Nel sentire quelle parole, Greg allentò istintivamente la
presa.
– Non rivolgermi mai più la parola. – scandì, sentendo la
frustrazione attraversarlo da capo a piedi come una
tremenda scarica elettrica.
Era odio quello che avrebbe dovuto provare nei confronti
di Darren, e invece non ci riusciva. Si sentì debole, sfinito.
Lasciò la camicia con un ultimo strattone e Darren lo
vide andare via. Era scosso, ma avrebbe preferito che lo
avesse pestato. Il dolore fisico non sarebbe stato nulla
rispetto alla delusione che Greg gli stava infliggendo. Anzi,
paradossalmente lo avrebbe fatto sentire meglio: almeno
TRACCIA NASCOSTA – 19
avrebbe
potuto
portare
a
un
chiarimento.
Si sistemò la camicia sgualcita e restò per un po’ a
guardare il caffè rimasto sul pavimento. Senza dire una
parola.
Ma molto, molto risentito.
20 – TRACCIA NASCOSTA
Capitolo terzo
Si erano picchiati migliaia di volte, ma non si erano mai
messi le mani addosso con l’intenzione di farsi davvero del
male. Mai. Man mano che continuava a camminare per
tornarsene in ufficio, Greg si rendeva sempre più conto di
ciò che, invece, aveva appena fatto. Era stato orribile.
“Cosa sto diventando?” si chiese, turbato.
Era così scosso che, voltando un angolo, urtò
inavvertitamente qualcuno facendolo cadere assieme a
un’intera risma di fogli e continuò per la sua strada senza
accorgersi di nulla.
– Ehi! Attento a dove cammini! – gli urlò dietro una voce
femminile piuttosto severa, che non ottenne da lui alcuna
risposta.
Arrivato alla sua scrivania si sedé e si tenne la testa tra le
mani per un bel po’, faccia bassa. Prese poi un gran respiro
e si allungò sulla sedia girevole. Lo sguardo gli si posò sulla
foto che li ritraeva mentre, quattordicenni, si tenevano sulla
testa un cappello da agenti dell’NYPD sorridendo per il
sollievo. Erano con il detective che li aveva salvati e ispirati.
E c’era del sangue, sulla camicia di Greg. Per la prima volta,
infatti, la loro tranquilla esistenza era stata messa in
discussione da persone armate e avevano visto un uomo
morire dissanguato. In quella traumatica serata
newyorchese, erano stati loro due a riuscire a chiamare di
nascosto il 911, terrorizzati, e l’intervento del detective
Patterson aveva salvato la vita a tutti i presenti. Quella foto
era stata ritagliata da una pagina di cronaca e immortalava il
momento esatto in cui lui e Darren avevano deciso cosa
TRACCIA NASCOSTA – 21
avrebbero fatto da grandi.
“Devo togliere quella foto.” pensò, frastornato, andando
a sciacquarsi il viso nel bagnetto di servizio del suo ufficio.
Fu quella sferzata di acqua gelida a fargli venire in mente
che era accaduto anche qualcos’altro. Aveva urtato una
donna e lei lo aveva rimproverato? Era successo questo?
Doveva anche averle fatto male, perché il suo metro e
novanta per ottantacinque chili di peso stava andando come
un treno. Chi poteva essere? L’unica cosa che gli era rimasta
impressa era un’ombra fugace e due piccoli lampi verdi che
sfavillavano. Una donna con gli occhi verdi e piuttosto
infastiditi, dunque. Quel posto era così affollato che avrebbe
potuto trattarsi di chiunque, anche di qualcuno venuto
semplicemente per una deposizione per poi non tornare mai
più.
“Ormai è andata, che posso farci?” si disse, un po’
dispiaciuto.
Il trillo del cercapersone lo richiamò all’ordine. Era il
tenente Douglas. Fu solo in quel momento che realizzò
quanto “quella faccenda” fosse ansiogena: aveva chiesto di
lavorare con un nuovo compagno ed era arrivato il
momento di conoscerlo. Era afflitto da una sensazione
davvero sgradevole, che lo fece riflettere sul motivo per cui
aveva avuto una reazione violenta nei confronti di Darren:
doveva uscire dalla stanza del distributore perché, in quel
momento, la sua sola vista gli aveva procurato così tanto
dolore da fargli credere di essersi rotto tutte le ossa
contemporaneamente. Era una sofferenza che non era in
grado di sopportare, e lui aveva tentato di impedirgli di
andarsene. Finché non fosse riuscito a raggranellare
abbastanza forza morale per fronteggiare il fatto che l’unica
22 – TRACCIA NASCOSTA
persona al mondo di cui si fosse mai realmente fidato lo
aveva pugnalato alle spalle, non avrebbe potuto guardarlo in
faccia. Tanto meno lavorarci assieme.
– Siediti, – gli disse il tenente. – Sta arrivando.
– Preferisco stare in piedi. – rispose, un po’ teso.
– Mi ha fatta chiamare? – intervenne, subito dopo, una
voce alle sue spalle.
Quando si voltò per vedere chi fosse entrato, capì
immediatamente a chi appartenevano gli occhi verdi di poco
prima.
– Oh, eccola, detective Westbrook. Si sieda. – la
incoraggiò Neil.
– Grazie. – rispose la donna, guardando Greg con
evidentissimo sdegno. – Preferisco stare in piedi.
Mentre il tenente si stava chiedendo a cosa servissero le
sedie del suo ufficio, Greg piantò lo sguardo su di lui
nell’attesa di vederlo scoppiare a ridere per poi gridare
“Candid Camera!”. Sarebbero partiti degli applausi e allora
avrebbe sorriso di sollievo dicendo qualche frase vecchio
stile, tipo “Ci sono proprio cascato!”. Peccato che
l’espressione di Neil Douglas restasse sempre la stessa.
“Non ci credo!” pensò, stupito. “Con tutta la gente che
gira da queste parti, quante probabilità c’erano di mandare a
gambe all’aria proprio questa persona?”
Tornò quindi a guardare Westbrook: gli stava rivolgendo
un sorriso vendicativo, di quelli con stampato sopra un bel
“Non credere che non te la farò pagare”, al quale lui rispose
con un altro, criminale quasi quanto il suo, che diceva
chiaramente “Tu provaci e poi ne riparliamo”.
L’inizio del discorsetto di Neil distolse la loro attenzione
da quelle strane presentazioni, ma dopo qualche minuto la
TRACCIA NASCOSTA – 23
mente di Greg iniziò a vagare. Si mise a guardarla con la
coda dell’occhio. Dalle curve che i pantaloni attillati
lasciavano intravedere, si capiva che era un sinuoso fascio di
muscoli sodi, come quelli di un ghepardo. Aveva i capelli
neri, corti. Portava una camicia sciancrata che le metteva in
evidenza il seno, piccolo ma ben tornito. La sua pelle era
ambrata e i tratti del viso morbidi. Non era bella, ma aveva
qualcosa. Qualcosa di…
“Vorrei poter trovare un altro aggettivo, ma selvatico è
l’unico che le calza a pennello.” pensò.
Dopo aver incamerato quante più informazioni visive
possibili, tornò a concentrarsi sul discorso del tenente, del
quale non aveva ascoltato nemmeno una parola.
– Tutto chiaro? – chiese Neil.
– Come sempre! – gli rispose Greg, con un gran sorriso.
– Benissimo. Allora, questi cambiamenti entreranno in
vigore da domani. Per il momento può andare, detective
Westbrook. Grazie.
– Buona serata, tenente. – disse lei, con un cenno della
testa.
Un attimo prima di uscire, scoccò a Greg un ultimo
sguardo rancoroso.
– Avremo dei bambini bellissimi! – le gridò lui, in tono
divertito e provocatorio, affacciandosi dalla porta.
– Falla finita! – gli intimò Neil, senza sapere che lei si era
voltata e gli aveva risposto facendogli il gesto di un bel
taglio alla gola prima di sparire dalla sua vista.
– Ok, senti. – ricominciò il tenente, quando ebbe di
nuovo la sua attenzione. – Ci ho riflettuto. Considerato
quello che è accaduto, Westbrook è la scelta perfetta.
Durante la tua assenza ci ha provato mezzo Distretto, ma lei
24 – TRACCIA NASCOSTA
ha mandato in bianco tutti. A quanto pare, preferisce le
donne.
Greg aggrottò le sopracciglia, sorpreso.
– Mi sta dicendo che è lesbica? – chiese, un po’
perplesso.
– Sì, a quanto pare sì.
– Oh… – rispose, un po’ deluso. – Beh… Ok…
– Ecco! Guarda la tua faccia! È di questo che sto parlando!
Dopo tutto il casino che è successo tra te e Stevenson, lei, lo
ribadisco, è la scelta perfetta. È molto meglio così. Niente
complicazioni. Dio! Come vorrei che, almeno ogni tanto,
qualcuno di voi riuscisse a tenere tutto ben chiuso e
abbottonato!
Greg si voltò di scatto a guardarlo e dischiuse la bocca in
una piccola risata sorpresa.
– Tenente Douglas! – obiettò, infastidito. – Non sono i
miei i bottoni che dovrebbero restare chiusi. E comunque, se
proprio vuole saperlo, non accetto consigli di vita da un
uomo che nasconde ciambelle!
– Ah sì? – replicò il tenente, piccato. – Allora, se non
vuoi avere “consigli di vita” da me, stavolta prova a leggere
meglio il mio labiale, perché ti garantisco quant’è vero Iddio
che questa è l’ultima volta che te lo dico: “Niente. Casini.”.
Era stata una giornata terribile, sotto tutti i punti di vista,
e si apprestava a tornare a casa stanco morto. Uscito
dall’edificio del Distretto, col cielo ormai scuro sopra la
città, si accorse che poco più avanti c’era Westbrook che
stava finendo di mettersi un casco in sella a una Ducati.
Quando si accorse della sua presenza, lo guardò con
l’espressione di chi avrebbe voluto riempirlo di parolacce e
TRACCIA NASCOSTA – 25
partì a razzo, facendo rombare con rabbia il motore.
“Mi dispiace per te, ma dovrai imparare a sopportarmi.”
pensò lui, sicuro che ne sarebbe uscito vincitore.
Passò da casa per cambiarsi e stavolta ricordò di dar da
mangiare ai pesci. Non sarebbe stato tanto piacevole, per
loro, essere lasciati a digiuno fino al suo ritorno. Sarebbe
uscito di nuovo, infatti, perché quella era la sera della cena
settimanale da suo fratello.
26 – TRACCIA NASCOSTA
Capitolo quarto
Thomas era un avvocato di successo, uno di quelli che
guadagnano centinaia di dollari l’ora. Quarantaquattro anni,
poteva permettersi di vivere a Park Avenue e di coltivare la
sua passione per le auto d’epoca. Era ordinato e metodico, e
teneva sempre tutto ben etichettato e catalogato. Greg, al
contrario, pur mettendocela tutta per non irritarla, faceva
sempre piangere la sua donna delle pulizie. Secondo
Thomas, senza l’intervento di quella povera anima, il suo
appartamento avrebbe finito per sembrare uscito dalla
mente di uno psicopatico. Greg si limitava a rispondergli
che rifletteva il disordine che regnava sovrano “in quella sua
testa così rock”. Diversi come il giorno e la notte, dunque.
Con i suoi lisci capelli biondi, la mascella potente, il
portamento elegante, gli abiti su misura e le scarpe italiane,
Thomas dava perfettamente l’impressione di essere una
persona di successo. Greg, invece, si stava presentando a
casa sua indossando un paio di jeans un po’ scoloriti, una Tshirt nera col logo dei Led Zeppelin, un paio di Converse e
la giacca di pelle che usava per andare in moto, una MV
Agusta Brutale che trattava meglio di come avesse mai
trattato una donna.
Thomas venne ad aprirgli in un completo grigio
pantaloni e gilet. Dopo i soliti, calorosi convenevoli, si
accomodarono in salotto in attesa del ragazzo delle pizze.
Quelle erano le uniche serate in cui Thomas si concedeva il
lusso di allentare il nodo della cravatta e mangiare cibo poco
sofisticato.
– Che bello essere a casa! – disse Greg,
TRACCIA NASCOSTA – 27
stiracchiandosi piacevolmente su un accogliente divano.
– Che bevi? – gli chiese suo fratello, versandosi un
bicchiere di Scotch.
– Un’oncia di Gordon’s Gin, una di vodka, mezza di
Kina Lillet e una scorza di limone. Agitato, non mescolato. 4
Thomas gli sorrise.
– Una Guinness. – rispose infine Greg, stavolta parlando
sul serio.
Gliene prese una ghiacciata e andò a sedersi vicino a lui.
Nell’aria, le note del Köln Concert di Keith Jarrett.
– Come stai, oggi? – domandò poi a Greg.
– Sono stanco.
– Lo vedo.
Anche lui era stato male al pensiero che suo fratello
avesse avuto bisogno di prendersi una pausa dal lavoro,
tanto era stata cocente la sua delusione. E la cosa peggiore
era che non sapeva esattamente come comportarsi. L’intero
accaduto l’aveva colto di sorpresa. Non se lo sarebbe mai
aspettato, da Darren.
– Il ritorno a lavoro è stato estenuante. – riprese Greg.
– Avete avuto modo di chiarirvi?
– No. – ammise, con un certo imbarazzo.
– Credo che dovreste. Non lo pensi anche tu? E se
rispondi di no, giuro che inizierò a pensare che tu abbia
seriamente qualcosa che non va.
Greg scosse un po’ la testa, guardando la schiuma bruna
della sua Guinness assottigliarsi sempre di più.
– Forse è così e ho davvero qualcosa che non va.
Comunque non posso. Oggi lui ha provato a
Gli ingredienti del cocktail Vesper, inventato da James Bond, menzionato per
la prima volta nel romanzo “Casino Royale” di Ian Fleming.
28 – TRACCIA NASCOSTA
4
spiegarmi qualcosa ma io gli ho messo le mani addosso.
Thomas lo guardò, stupefatto.
– Stai scherzando? – chiese.
– Vorrei. Ma dico sul serio.
– Vi siete picchiati? A lavoro!
– L’ho preso per la camicia e l’ho sbattuto al muro. E, se
lui avesse reagito diversamente, forse sarebbe andata anche
peggio.
– Non è così che ti ho insegnato a risolvere i problemi!
– Lo so! – rispose, esasperato. – Ma sono stanco! E
confuso!
– Capisco. – assentì Thomas. – Sei sotto shock e devi
metabolizzare. Ma vorrei solo che evitassi di peggiorare la
situazione.
Restarono a bere in silenzio per un po’, ascoltando Keith
Jarrett che pestava forte sui pedali.
– Ah, alla fine ti hanno assegnato un nuovo
compagno? – ricominciò Thomas che, per la cronaca, era
stato contrario a quella decisione fin dall’inizio.
– Sì. Lasciamo stare! – ribatté Greg, buttando giù due
sorsate. – È una donna, una strega, che se potesse me le
staccherebbe chiudendomele con forza dentro a un cassetto!
– Oh, Dio, Greg! Obiezione!
– Respinta. Non sto scherzando: quella mi odia.
– È carina, almeno? O è uno “scaldabagno”, come a
volte hai avuto il coraggio di definire certe persone?
– Non è il mio tipo. – gli rispose, senza mezzi
termini. – Ah, ed è lesbica.
Thomas scoppiò a ridere.
– Ecco! Mi sembrava strano che una donna non fosse il
tuo tipo, scaldabagni a parte!
TRACCIA NASCOSTA – 29
– Si può sapere che diavolo hai, stasera?
– Oh, andiamo! – continuò Thomas, appoggiando i piedi
sul tavolino. – Tu e Darren non fate altro che cercare di
entrare nelle mutande delle donne!
– E ci riusciamo, anche. – sottolineò, trascurando per un
momento il fatto che non si parlavano.
– Sì, – disse. – Forse, però, dovreste cambiare stile di
vita. Non mi sembra che questo giochi molto a vostro
favore…
– Sei ingiusto! – obiettò Greg. – Con Lilian stavo
cercando di fare sul serio.
Thomas tolse i piedi dal tavolino e gli sorrise come
faceva ogni volta che stava per insegnargli qualcosa di
importante.
– Tu non hai mai cercato di fare sul serio, con lei. – gli
disse, sporgendosi un po’ verso di lui. – Era una stupida.
Una donna senza un briciolo di cervello. E se tu avessi
davvero voluto fare sul serio con una del genere, avresti perso
per sempre tutta la mia stima.
Greg restò a guardarlo, ammutolito.
– Tu non hai mai fatto sul serio. – ribadì, tornando a
stendere i piedi. – Questo dovrebbe farti capire a cosa hai
sempre dato più importanza. Perciò riflettici e parla con
Darren.
Era soddisfatto. Forse non era vero che non sapeva
esattamente come comportarsi in quella situazione.
– Un’altra Guinness? – chiese poi, notando lo sguardo un
po’ perso di suo fratello.
– Sì… per favore…
Rimasto per un momento da solo, Greg venne assalito
dal ricordo di sé stesso, adolescente, che ammirava
30 – TRACCIA NASCOSTA
Manhattan col cuore colmo di speranza dalle vetrate del
Plaza Hotel. Sapeva già che avrebbe trascorso il resto della
sua vita a New York, e si chiedeva se la donna che avrebbe
amato per sempre si nascondesse dietro a una di quelle
finestre illuminate. Fantasticava provando a indovinare cosa
stesse facendo e immaginava come avrebbe potuto essere
baciarla. Era solo sua, di lei non aveva mai parlato
nemmeno con Darren. Paradossalmente quella donna
ignota, che non aveva mai visto ma solo immaginato, era
l’unica con cui avesse mai fatto davvero sul serio. Il tempo,
però, oltre ai peli sulla faccia e a una voce più profonda, gli
aveva portato anche disillusione, violenza e morte. E in
tutto questo lei, che avrebbe potuto renderlo felice, non si
era mai fatta trovare. Quella donna non esisteva: era solo
l’illusione di un ragazzino figlio di papà, disperatamente
bisognoso d’amore. Peccato che l’amore non esistesse, al
pari di quella donna. E comunque, anche se fosse esistito,
lui non ne aveva più bisogno. “Entrare nelle mutande delle
donne”: era solo questo che voleva, al momento, e gli
andava bene così. Difficile immaginare di voler investire in
qualcos’altro con loro: lo feriva profondamente ammetterlo,
ma era ancora in lutto per la donna che cercava dal Plaza,
quella che non avrebbe mai incontrato. Era per questo che
trattava con sottile disprezzo tutte le donne di poca sostanza
che gli si gettavano addosso.
“Questo dovrebbe farti capire a cosa hai sempre dato più
importanza”. Certamente Thomas intendeva dire che
avrebbe dovuto sistemare le cose con Darren visto che, sul
piatto della bilancia, la sua amicizia era stata più importante
di qualsiasi rapporto avesse mai avuto con le donne, Lilian
compresa. E aveva ragione: non gli importava un
TRACCIA NASCOSTA – 31
dannatissimo accidente di lei. Ma non riusciva a smettere di
chiedersi come una persona fondamentale come Darren
avesse potuto fargli una cosa del genere: era semplicemente
contrario all’ordine naturale delle cose, ed era stato come, per
un devoto credente, perdere improvvisamente la fede. Un
trauma. Un trauma inesprimibile.
“Quindi, accidenti, c’è qualcuno che sia dalla mia parte,
visto che la vittima sarei io?”
32 – TRACCIA NASCOSTA
Capitolo quinto
“E non ho paura di morire. Qualsiasi momento va bene, non mi
interessa. Perché dovrei averne paura? Non ce n’è motivo… Devi
andartene, prima o poi.”
“The Great Gig In The Sky”, da “The Dark Side of The Moon”
dei Pink Floyd, la canzone che mi spaventava quando ero piccolo per il
suo legame con la morte e per la sua assenza di parole. È nell’aria e
non so perché. Mi sta torturando. “Fatela smettere!” vorrei gridare.
Ma la voce mi muore in gola e solo a quel punto mi rendo conto di
dove sono: ancora qui, ancora sull’erba. Il panico mi assale: capisco che
questa potrebbe essere la canzone della mia morte. Cerco di tapparmi
le orecchie ma le mie mani sono troppo piccole, mani da bambino,
impossibile non sentire con quelle. La voce di Clare Torry illumina il
cielo di rosso a ogni suo grido, mi segue, mi minaccia come qualcosa di
molto più grande di me. Devo scappare! Ma il terreno mi cede sotto ai
piedi, assorbe ogni mio passo come gelatina e non riesco a spostarmi di
un millimetro. “Dove vai?”, mi sussurra una voce gelida, che sento solo
nella mia testa. Le modulazioni della cantante mi colpiscono e mi
feriscono come un nemico che non posso combattere, mi schiacciano a
terra sempre più violentemente. Il terreno ha un odore dolciastro di fiori
marcescenti. Piango dense lacrime di sangue, ne sento in bocca il sapore
metallico e inizio a vomitare, e vomitare, mentre Clare Torry grida, e
grida, e grida… vomito fino a farmi uscire il cuore dal petto…
“Uccidimi!” grido con tutta la forza che mi rimane, fino a farmi
bruciare i polmoni. “Uccidimi!”
Ma all’improvviso tre esplosioni infiammano la notte e la musica
tace, come se qualcuno avesse sollevato bruscamente la puntina da un
vinile. Mi ritrovo completamente al buio, in un silenzio così assoluto
TRACCIA NASCOSTA – 33
che riesco a sentire le pulsazioni ronzarmi nelle orecchie. “Il mio cuore!
Ce l’ho ancora!” penso, sollevato. Ma quel battito inizia a diventare
fuori controllo e a essere sempre più assordante… e assordante… e
assordante. Ho paura, sento che sto per morire. Una figura in fiamme
mi appare davanti agli occhi dal nulla, come se avessero acceso una
lampadina. Grida di dolore, si sfalda e si consuma davanti a me passo
dopo passo, come una gran palla di carta gettata nel camino. I miei
occhi si sciolgono al suo calore. Sento le particelle della sua cenere
sfiorarmi la faccia. Vorrei urlare, ma i miei denti si sbriciolano…
Sangue e denti…
Sangue e denti…
La bocca, un taglio che si chiude…
Buio…
Le grida di Greg risuonarono poderose nel silenzio
notturno del suo appartamento. Così com’era accaduto le
altre volte, tornò a guardarsi attorno, smarrito: era a casa,
doveva stare calmo e ricominciare a respirare a un ritmo più
lento, ma il suo torace era scosso dall’iperventilazione al
punto che iniziò a sentire la testa farsi confusa, le braccia
indebolirsi e il corpo cedere sempre più alla gravità che lo
fece ricadere sul cuscino.
Il battito del suo cuore iniziò a rallentare gradualmente
man mano che riprendeva contatto con la realtà e,
finalmente, la sua respirazione tornò più profonda e
regolare. Era sudato dalla testa ai piedi e questo rendeva
tremendamente sgradevole il contatto della sua pelle nuda
con le lenzuola, perciò si alzò, un po’ indebolito dalla crisi di
iperventilazione, per andare a farsi una doccia che facesse
sparire quella fastidiosa sensazione di sudore misto ad
adrenalina.
34 – TRACCIA NASCOSTA
Quando si fu sentito un po’ meglio, andò in cucina per
prendere un antiacido che gli desse tregua allo stomaco e si
mise a sedere in silenzio. Sapeva che sarebbe stato difficile e
doloroso farlo, ma provò ad analizzare i suoi incubi per
tentare di decifrarli. Il buio, l’erba, le mani da bambino, le
tre esplosioni, “Dove vai?”, la bocca che si chiudeva, la sua
totale incapacità di scappare, i denti che cadevano, gli occhi
che si scioglievano: tutti elementi ricorrenti. Si erano
aggiunti anche la canzone, la figura in fiamme, le crisi di
vomito, il cuore fuori dal petto, le lacrime di sangue, l’odore
di fiori marcescenti.
“Che cos’è questa roba?” si chiese, disperato, tenendosi la
testa stretta tra le mani.
Sentiva il cervello sbriciolarglisi sotto al peso di
quell’interrogativo, come se ogni ragionamento per arrivare
a capirci qualcosa gli fosse impedito. Continuare sarebbe
stato come tentare di forzare il suo subconscio con un piede
di porco, rischiando di mandarlo in pezzi. Le domande,
dunque, rimanevano senza risposta. E non poté nemmeno
provare a pensarci ancora, perché il suo cercapersone trillò e
dovette tornare in camera per andare a leggerlo. Erano le
quattro del mattino, non ci voleva proprio.
Di nuovo completo, camicia, cravatta. Di nuovo
semiautomatica. Di nuovo distintivo. Di nuovo fuori di
casa.
Giunse trafelato all’indirizzo che gli avevano indicato. Si
trattava di un’elegante palazzina di mattoni rossi, vicino a
Central Park. C’era una gran confusione. Due agenti che
conosceva bene, Frank Holden e Mike Witting, avevano il
compito di tenere la gente alla larga. Cercavano di
TRACCIA NASCOSTA – 35
tranquillizzarla, ma con risultati contrastanti. Holden, con i
suoi modi gentili e gli occhi azzurri che tanto contrastavano
con la sua carnagione scura da afroamericano, era così
particolare a vedersi da avere un effetto quasi ipnotico sulle
persone. Witting invece sembrava latinoamericano ma era
nato e cresciuto affondando le radici nella terra rossa del
Kentucky. Ostentava il suo accento con vero orgoglio e
spesso, parlando con lui, Greg si ritrovava senza volerlo a
usare la stessa inflessione. Comunque, Mike Witting credeva
che il tatto fosse solo uno dei cinque sensi.
– Sloggiate, branco di pecoroni! – lo sentì gridare a chi
non voleva saperne di rientrare in casa, in perfetta armonia
con quanto scritto sulle volanti dell’NYPD: “Cortesia,
Professionalità, Rispetto”.
– Dove diavolo eri? – gli chiese Westbrook, inferocita.
– Ero a farmi la ceretta all’inguine. – le rispose Greg, con
sufficienza, lasciandola per un momento senza parole.
– Molto divertente. – commentò, con sarcasmo.
– Oh, andiamo! – le disse, smettendo di
camminare. – Guarda la mia faccia: sono le quattro e mezza
del mattino, cosa pensi che stessi facendo? Ero a casa a
cercare di dormire! Deduci, Sherlock. – aggiunse, facendo
schioccare le dita. – Dio… voglio un caffè…
– Witting! – gridò Westbrook.
– Sì, detective? – chiese, avvicinandosi.
– Manda qualcuno a prendere un caffè, per favore.
– Arriva, bella. – rispose prontamente, con un sorriso.
Greg la guardò, piacevolmente sorpreso.
– Grazie! – le disse.
– Grazie un par di “castagni”. – ribatté subito lei. – Il
caffè è per me. Se ne vuoi uno, va’ a prendertelo da solo.
36 – TRACCIA NASCOSTA
– Whoah! – commentò Witting, ridendo di Greg.
– Mike, anche per me, per favore! – gli chiese, cercando
di imitare la voce e l’atteggiamento femminile di Westbrook,
ondeggiando però esageratamente con le spalle.
– Quella roba non attacca, a casa mia. – proseguì,
continuando a ridere. – E gli ordini sono che devi andare a
prendertelo da solo.
– Un caffè! Subito! – gli intimò Greg, ridendo e
minacciandolo mettendo una mano sulla fondina.
– Avete finito? – chiese lei, quando Witting se ne fu
andato.
– Westbrook, com’è che li hai chiamati, prima? I
“castagni”? Ecco. Non rompermeli. – le rispose, chiamando
l’ascensore. – I “castagni”! – riprese, reclinando la testa per
ridere. – Da dove vieni? Direttamente dal 1952?
– Deficiente. – fu la sua risposta, che fece ridere Greg
ancora di più.
Giunti di fronte all’appartamento della vittima,
mostrarono il distintivo all’agente incaricato di registrare
tutto il traffico in entrata e in uscita, presero un paio di
guanti e di copriscarpe, e si fecero strada attenendosi al
percorso meticolosamente stabilito dalla Scientifica, che
aveva delimitato tutte le aree a rischio di contaminazione.
Quelle erano le ore più importanti: una sola, piccola mossa
sbagliata poteva invalidare un’intera indagine. Lì dentro
erano loro i padroni assoluti. Tutto si svolgeva seguendo un
preciso ordine e Greg avrebbe potuto passare ore intere a
osservarli perché, pur essendo macabra, la loro era pur
sempre una danza, un passo a due. Infatti gli agenti
scattavano foto, delimitavano aree, repertavano prove,
cercavano impronte, tracce biologiche, e si muovevano tutti
TRACCIA NASCOSTA – 37
attorno al dottor Donegan che, al centro della scena, si
occupava del cadavere con gesti che seguivano sempre la
stessa coreografia quasi rituale. Quello era il suo territorio,
suo e di nessun altro, e svolgeva il proprio lavoro con
raccoglimento. Solo lui poteva toccare o spostare il
cadavere, e soltanto dopo la sua autorizzazione la mortuaria
poteva portarlo via e gli agenti della Scientifica potevano
passare a esaminare ciò che c’era sotto al cadavere prima
che venisse spostato. Così la danza macabra, il passo a due,
cambiava di nuovo, finché a ballare restava solo la
Scientifica. Greg e Westbrook non erano che spettatori.
Non contavano niente in quel santuario riservato a pochi
eletti. I detective dovevano limitarsi a ricevere le
informazioni e a sloggiare.
– Il vero lavoro lo fanno loro, West. – disse,
rapito. – Posso chiamarti West?
– No.
– Comunque il vero lavoro lo fanno loro, West. Noi
dobbiamo solo rimettere assieme i pezzi.
Avevano avuto il consenso a entrare solo dopo che
Donegan aveva già dato l’autorizzazione a far portar via il
corpo, che era in un sacco su una barella mortuaria.
– Buongiorno, detective Barrett. – disse il medico,
venendogli incontro.
Era identico a Ernest Hemingway, la copia esatta. Almeno
secondo Greg.
– Lei è? – domandò poi.
– Detective Westbrook. – rispose lei.
– L’ho già vista, prima?
– No. Mi sono trasferita da un altro distretto.
Donegan la fissò per qualche istante.
38 – TRACCIA NASCOSTA
– Eppure io l’ho già vista…
Lei abbassò lo sguardo e restò in silenzio. Solo a quel
punto Donegan capì e serrò i muscoli della mascella per il
disagio.
– Oh. – continuò. – Westbrook. Ora ricordo.
Quello scambio calamitò tutta l’attenzione di Greg, che
era rimasto ad ascoltarli attentamente senza riuscire a capire.
– Cos’abbiamo? – chiese quindi lei, cercando di cambiare
discorso.
Li portò alla barella.
– Henry Moore, – iniziò. – Cinquantaquattro anni.
Ucciso a colpi di arma da fuoco. Un vicino è rientrato a
notte fonda e ha visto che la porta era aperta, e così...
Comunque, tornando a noi, in base alla temperatura e al
fatto che il rigor è già ai muscoli nucali, ne ho collocato la
morte approssimativamente tra la mezzanotte e l’una.
Passò poi a illustrare le ferite.
– Il colpo che l’ha ucciso è questo alla fronte.
Ovviamente. È stato rinvenuto legato a quella sedia.
Quando la indicò, Greg vide che tutto intorno sembrava
esserci passato Jackson Pollock e, per un attimo, tornò col
pensiero a quando la vista del sangue lo faceva ancora
svenire. Si chiese, senza però ottenere da sé stesso alcuna
risposta, quando avesse iniziato, invece, a essergli quasi del
tutto indifferente.
– Quello non è solo un colpo in testa. – commentò.
– Infatti. – rispose Donegan, facendo scorrere la cerniera
del sacco. – In tutto gli sono stati sparati otto colpi: due alle
ginocchia, uno all’altezza dei genitali, due alle anche, due alle
spalle e infine l’ultimo, qui sulla fronte. In quest’ordine,
suppongo.
TRACCIA NASCOSTA – 39
– Uno che faceva sul serio…
– Non è tutto. – aggiunse il coroner, spostandosi e
andando verso alcuni reperti. – Nella bocca aveva questo.
Trasse da una busta un foglio di carta stropicciato su cui
spiccava, tra le macchie di sangue, solo un simbolo.
– Che roba è? – chiese Greg. – West?
– Non ne ho idea. – rispose, concentrata. – E smettila di
chiamarmi in quel modo.
– Lo so, scusami. – ribatté lui, continuando a guardare il
foglio. – Sono proprio un gran rompi “castagni”.
–
Cas…?
Ha
detto
“castagni”,
detective
Barrett? – s’intromise il coroner, un po’ confuso.
– Deve dirci altro? – intervenne Westbrook, insofferente.
Ci mise un po’ a risponderle. Gli occhi di Donegan, fissi
su di lei, erano chiari, ma Greg definiva “nero” il suo
sguardo perché era quello di una persona abituata a vedere il
lato peggiore dell’umanità, ed era convinto che lo
schermasse come fanno gli squali, per sopravvivere. In quel
momento, però, a Greg sembrò pericolosamente privo di
protezioni.
– No. – le rispose. – È tutto. Sarò più preciso dopo gli
esami.
– La ringrazio.
40 – TRACCIA NASCOSTA
– Detective Westbrook, io… – provò a dirle.
– No. – lo interruppe bruscamente, alzando una mano.
Nell’assistere a quella scena, Greg si sentì terribilmente a
disagio.
– No… – proseguì Westbrook, addolcendo il suo
tono. – So chi è lei… e non c’è bisogno che si senta in
imbarazzo. Davvero.
– È un po’ difficile, non trova? – concluse lui, con un
triste sorriso appena accennato. Era così che sorrideva di
solito: con una specie di tic.
Usciti dall’appartamento, tornarono sui loro passi. Greg,
che non riusciva a capire a cosa avesse appena assistito, non
la perdeva di vista un solo momento mentre lei,
camminando in silenzio, cercava di allentare la tensione del
collo.
– Chi sei tu? – le chiese all’improvviso, in ascensore.
Lei si voltò a guardarlo con un lampo negli occhi.
– Sono quella che è stata costretta a lavorare con te!
Quella che hai fatto cadere senza nemmeno chiederle scusa!
E sono anche quella che hai umiliato davanti a Donegan!
Dimmelo tu chi ti sei messo in testa che io debba essere!
Quella frase ebbe il potere di fargli abbassare lo sguardo.
Una volta fuori, Westbrook andò a sedersi sulle scale
d’ingresso. Witting le portò il caffè che aveva chiesto e poi,
bontà sua, ne portò uno anche a Greg.
– Hai una faccia che pare quella di mia zia Sophia quando
è stitica. – gli disse.
– La tua, invece, pare quella di ciò che tua zia Sophia tira
fuori dopo essere stata stitica.
Witting scoppiò a ridere molto sonoramente.
– Ma grazie per il caffè. – aggiunse, allontanandosi.
TRACCIA NASCOSTA – 41
Per un po’ se ne restò in disparte a osservare Westbrook,
senza sapere bene cosa fare. Poi le si avvicinò con
l’intenzione (l’intenzione, almeno…) di chiederle scusa.
Sentendolo arrivare, alzò lo sguardo su di lui, in piedi sulle
scale, e i suoi occhi si indurirono.
– Vatti a impiccare, Barrett! – proruppe,
alzandosi. – Non è la pietà, ma il rispetto quello che merito!
Sappi, però, che non m’interessa minimamente averlo da te!
E detto questo, se ne andò in macchina senza voltarsi
indietro.
Greg restò a bere il suo caffè in silenzio per un po’,
seduto su quelle scale. Poi andò verso la macchina. Sedutosi
al posto di guida, piantò gli occhi sulla sua nuca, perché lei
non voleva saperne di guardarlo. Allungandosi un po’ sul
sedile, finì di bere senza dire niente, a motore spento,
sentendosi di nuovo tremendamente stanco.
42 – TRACCIA NASCOSTA