Capitolo primo Il battito del mio cuore nel buio. Attorno a me solo
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Capitolo primo Il battito del mio cuore nel buio. Attorno a me solo
Capitolo primo Il battito del mio cuore nel buio. Attorno a me solo silenzio. Silenzio nel cielo, nella terra, silenzio nell’erba che ondeggia. Ma non c’è vento a muoverla, non c’è. Il caldo si aggrappa alla mia gola come con mani nere. Tento di strapparle via con le mie, ma sono troppo piccole. Mani da bambino: impossibile difendermi con quelle. Questo odore mi stordisce, mi ostruisce i pori, non posso respirare. Vorrei scappare, tornare indietro, ma l’erba inizia a ridere con una risata corale, forte, ostile, che sgorga da ogni suo filo. Ride… ride… non sopporto il suono di quella risata! Non lo sopporto! Devo andarmene! Ma l’erba cresce. “Dove vai?” mi sussurra raggelante mentre mi blocca le gambe. “Dove vai?” mi chiede, ostile, arrampicandosi sulla mia schiena. “Dove vai!” mi grida rabbiosa, avvolgendomisi attorno alle braccia, salendomi sul collo e continuando a ridere con tutte quelle risate messe insieme, crescendomi fin dentro la gola, soffocandomi. Poi tre esplosioni infiammano la notte e l’erba grida d’orrore… grida… grida e mi sanguina addosso. I miei occhi si sciolgono come cera… come cera… li sento colare sul mio viso. I denti mi si sbriciolano, cadono uno a uno… uno a uno… Vorrei urlare, ma ho la bocca piena di sangue… sangue e denti… sangue e denti… le mie labbra si richiudono come la cicatrice di un brutto taglio e l’erba mi inghiotte nel buio… Nel buio… Spalancò gli occhi pieno d’orrore prima che la sveglia suonasse e si guardò attorno per un attimo, smarrito, ancora in preda al panico e con la sensazione di essere seriamente TRACCIA NASCOSTA – 7 in debito d’ossigeno. Si prese qualche istante per permettere al suo cuore di ritrovare un ritmo normale e deglutì, con insistenza, per far smettere la tormentosa sensazione di avere la gola piena di polvere. Ultimamente i suoi risvegli erano spesso di questo tipo e pensò con frustrazione che fosse davvero orribile iniziare la giornata in quel modo: lo faceva sentire dieci volte più stanco e sfibrato di quando era andato a dormire portandosi a letto la vana convinzione di aver raggiunto, ormai, il limite della stanchezza da lui tollerabile. Si lasciò ricadere sul letto per ricominciare a respirare più lentamente e, dopo aver fissato ancora per qualche minuto il soffitto, decise di alzarsi ma, prima di fare qualsiasi altra cosa, andò alla docking station per l’iPod e fece partire Welcome to the Jungle dei Guns N’ Roses. A piedi scalzi, indossando solo un paio di mutande di Calvin Klein nere, camminò lentamente verso la cucina, sgranchendosi il collo, e si versò una tazza di caffè caldo dalla caraffa della macchinetta, programmata per farglielo trovare pronto tutte le mattine. Quello era il primo gesto davvero necessario di ogni sua giornata. Lo sorseggiò in silenzio, traendone il consueto strano e profondo conforto, chiudendo gli occhi a ogni sorsata per assaporarlo meglio, iniziando a spostarsi per le stanze. Welcome to the Jungle, we take it day by day. If you want it you’re gonna bleed, but it’s the price you pay.1 Prima di uscire dal bagno si passò una mano tra i capelli neri ed esaminò la sua immagine allo specchio con due grandi occhi di ebano, eredità di suo padre. Benvenuto nella giungla, la viviamo giorno per giorno. Se la vuoi sanguinerai, ma questo è il prezzo che paghi. 8 – TRACCIA NASCOSTA 1 “Niente male.” pensò, con un sorriso autoironico. In effetti non aveva tutti i torti, ma a dire la verità quel giorno non lo pensava troppo seriamente: gli capitava spesso, infatti, di lottare contro una spiccata tendenza a sottovalutarsi, sebbene la maggioranza delle volte si trovasse, invece, a dover fare i conti con un ego spropositato. I cali di autostima nelle giornate negative erano un retaggio che si trascinava dietro dagli anni in cui perfino sua madre non riusciva a nascondere davanti a lui l’ammirazione che nutriva per suo fratello maggiore, la vera star di tutto l’albero genealogico. Ma in fondo questo non era mai stato un grande problema, perché aveva imparato a riconoscere di avere pregi differenti rispetto ai suoi. Forse. E in ogni caso, in quella famiglia non c’era nessuno che gli volesse bene quanto Thomas. Prima di vestirsi si chiese se fosse il caso di radersi o no. Odiava farlo e cercava ogni volta di rimandare quello strazio il più possibile. A cinque anni aveva tentato di imitare suo padre e, di nascosto, si era messo la sua schiuma da barba sul viso e vi aveva fatto scorrere il rasoio. Il risultato era stato un numero davvero notevole di pezzetti di carta igienica sparsi su tutta la faccia per tamponare altrettanti taglietti. Suo padre si era fatto un sacco di risate, lui un po’ meno (oltretutto si era chiesto con delusione cosa ci fosse tanto da ridere). Thomas invece, dopo il grande spavento iniziale (“Avresti potuto sfigurarti!”) e dopo aver applicato personalmente i pezzetti di carta uno a uno, aveva tentato in tutti i modi di mantenere un’espressione seria per non infierire ulteriormente su quel bambino che voleva fare l’ometto, ma era stato difficilissimo, dato che la comicità della situazione mista a un pizzico di orgoglio paterno TRACCIA NASCOSTA – 9 (perché nonostante i suoi quindici anni era questo che Thomas era: paterno) gli avevano reso quasi impossibile il compito di non sorridere. Eppure era riuscito a non umiliarlo. Questo quel bambino non l’avrebbe mai dimenticato, così come non avrebbe mai cambiato la sua decisione di non replicare quell’esperienza se non si fosse reso conto, col passare degli anni, che radersi almeno una volta ogni tanto sarebbe stato necessario, per non rischiare di somigliare a un Old English Sheepdog. Come se non bastasse, aveva scelto un lavoro per cui doveva essere sempre ben rasato. Perciò anche quella mattina si accinse a svolgere quel compito quotidiano per l’ennesima volta e il più in fretta possibile. “Quando si è sconfitti si è sconfitti”, aveva scritto la Plath. Iniziò a riflettere sugli incubi che lo stavano tormentando ormai da due settimane. Erano vortici densi e viscosi che lo trascinavano ogni volta più in basso. Erano violentemente chiari ed estremamente realistici eppure, ogni volta che riemergeva da quel suo strano mondo onirico, c’era sempre una sola parola che affiorava dal fondo del suo cuore sconquassato, finendo poi per morire sulle sue labbra prima di essere pronunciata, e quella parola era “perché”. Non riusciva a capire, infatti, quale messaggio il suo subconscio stesse cercando di inviargli. Si arrovellava il cervello attorno al significato di quelle immagini, ma gli unici risultati che riusciva a ottenere erano insonnia e fastidiosi mal di testa. Cominciava a considerare seriamente l’idea di prendere qualche ansiolitico prima di dormire, ma anche quella possibilità costituiva un problema, anzi, più di uno. Innanzitutto non poteva permettersi di essere poco lucido sul lavoro e, non avendo mai assunto farmaci di quel tipo, 10 – TRACCIA NASCOSTA ignorava che effetto avrebbero potuto avere su di lui al risveglio. Seconda cosa, che irrazionalmente considerava più importante della prima, prendere qualcosa per dormire avrebbe significato dormire e, da quando era costretto a subire quei tormenti notturni, il solo pensiero di addormentarsi lo metteva in grandissima agitazione. Ogni volta cercava di resistere al sonno il più possibile fino a che non cedeva, sperando che quella notte il suo molesto, inquietante nemico non sarebbe tornato a torturarlo. Perché non passava tutte le notti, no: giungeva improvviso e inaspettato, come un attacco epilettico. You know where you are? You’re in the jungle, baby!2 Le luci del mattino iniziarono a entrare dalle finestre e a trasmettergli un po’ della serenità e dell’equilibrio che desiderava tanto avere in maggiore quantità nella vita. Con calma, scelse dall’armadio un completo nero, una camicia bianca e una cravatta di seta, nera anche quella. Infilò il caricatore nella sua semiautomatica, la ripose con molta cura nella fondina ascellare e uscì da casa ricordando di prendere l’iPod, ma senza aver dato da mangiare ai pesci. Questo particolare gli venne in mente un attimo dopo aver chiuso a chiave la porta e, ormai, era quasi in ritardo. Ci avrebbe pensato al ritorno. In fondo quei pesci mangiavano molto meglio di lui. L’aria di Manhattan lo accolse con una folata appena fuori dal portone e lo rinfrancò un po’. Amava quella città in autunno. Aveva un odore particolare: era ben diverso da quello più pulito del Connecticut, eppure lo preferiva. E il cielo (bianco, quella mattina) proiettava una luce che sembrava attutire qualunque asperità nelle cose. Perso in 2 Sai dove sei? Sei nella giungla, baby! TRACCIA NASCOSTA – 11 quei pensieri, si diresse di buon passo verso la sua caffetteria preferita. Ormai ne conosceva ogni dipendente ed era bello poter entrare e chiedere “il solito”: un gran bicchiere di caffellatte (un altro…) con una spruzzata di caramello e un muffin ai mirtilli, a portar via. IPod alle orecchie, si diresse poi verso la stradina un po’ anonima che ospitava la sua meta: di fronte a una tintoria si ergeva, grigio, l’edificio del Distretto di Polizia. Restò per un po’ a guardarne la facciata, cercando di respirare quanto più profondamente possibile per ossigenarsi bene prima di mettere piede lì dentro, ben consapevole di ciò che avrebbe trovato una volta varcata quella soglia. Era lì che lavorava. Era il detective Greg Barrett. 12 – TRACCIA NASCOSTA Capitolo secondo Lo accolse la solita confusione: telefoni che squillavano, due prostitute rissose che sembravano appena uscite da un combattimento tra galli, l’odore di mille sigarette rimasto impregnato nei vestiti, luci al neon e scrivanie piene di cartelle. Il tutto immerso nel solito, continuo via vai di gente. Attraversò i corridoi a testa bassa, evitando accuratamente di parlare con chicchessia, e si fermò davanti a una porta prima di bussare con decisione e di entrare. Chiusala alle sue spalle, gli sembrò che tutto il rumore fosse rimasto fuori. – Tenente. – accennò, come saluto. Neil Douglas lo osservò per qualche istante prima di farlo sedere. – Hai una faccia da schifo. – gli disse poi. Greg roteò discretamente gli occhi e si sedé di fronte alla scrivania del suo superiore, restando a osservarlo mentre, con calma, tirava fuori da un cassetto una ciambella ricoperta di glassa rosa e cosparsa di momperiglia colorata. Era quasi convinto che si fossero ispirati a lui per creare il cliché dello sbirro mangia-ciambelle. Afroamericano, tarchiato e tendente al sovrappeso, non aveva un solo capello in testa. Mangiava ciambelle esclusivamente a lavoro perché sua moglie era una salutista e lo aveva coinvolto nelle diete più disparate, facendo di lui la barzelletta segreta di tutto il Distretto. Quando i medici gli chiedevano conto dei risultati dei suoi esami clinici, di solito si giustificava con assoluta nonchalance dicendo qualcosa di simile a: “Il colesterolo? Che posso dire, TRACCIA NASCOSTA – 13 evidentemente lo produco. Anche mio padre aveva lo stesso problema.”. Se solo la moglie avesse saputo della sua capacità di ingurgitare una quantità spaventosa di cibo senza alcuna vergogna, lo avrebbe condannato a ore e ore di tapisroulant forzato. Comunque quel regime alimentare altalenante influiva molto sul suo umore, perciò aveva spesso giornate buone (quelle mangerecce) alternate a giornate cattive (quelle di dieta stretta) in cui era meglio non contraddirlo. A giudicare dalla ciambella, probabilmente sarebbe stato un giorno tranquillo per tutti. – Come ti senti? – gli chiese all’improvviso, stretto nel suo completo grigio chiaro, camicia rosa pallido. – Sei sicuro di non aver bisogno di altro tempo? – Sto bene, tenente. – rispose, desideroso solo che quella conversazione finisse al più presto. – Beh, a me non sembra proprio. – riprese Neil, dando un morso alla ciambella e scrutando tutti i particolari della sua faccia. – Ok, – ammise con insofferenza, fissando gli occhi sui suoi. – Infatti è così. Ma sono qui lo stesso. Il tenente Douglas restò a guardarlo in silenzio per qualche secondo. Poi annuì. – Bene, allora. Torna a lavoro, vattene. – disse congedandolo, dopo un sospiro. – Bene. – Bene. – concluse il tenente, volendo sempre avere l’ultima parola. Greg si volse verso l’uscita, ma si fermò un attimo prima di andarsene. – Per quella faccenda. – accennò, non andando oltre e senza voltarsi indietro. 14 – TRACCIA NASCOSTA – È tutto risolto, – rispose Neil. – Ma ora è fuori. Ne parleremo al suo ritorno. – Ok. – concluse Greg, uscendo definitivamente dall’ufficio e incamminandosi verso il suo. – La porta! – berciò il tenente, che Greg finse di non aver sentito. “Un po’ di moto non ti ucciderà.” Sorrise a questo pensiero, ma subito ne sopraggiunse un altro decisamente più scomodo. Il tenente aveva ragione: non stava bene per niente. Il punto, però, era che non voleva essere compatito. Il suo istinto sarebbe stato quello di starsene ben lontano da tutti, ma era consapevole del fatto che non sarebbe servito a farlo sentire meglio. Sapeva che l’unico modo per risollevarsi era prendere in mano la sua vita, ma affrontare sguardi compassionevoli e dover assistere a pietose scene di empatia di massa era l’ultima cosa che voleva (anche se il suo ego gli impediva di rendersi conto che, in realtà, non fregava proprio niente a nessuno…). “Non c’è altro che io possa fare. Devo sostenere lo sguardo degli altri, senza vergogna.” In fondo non era colpa sua se si trovava in quella situazione. Si fermò un momento a riflettere, mentre la gente continuava a camminare tutto intorno a lui: era forse tutta quella storia a procurargli quegli incubi? Scosse la testa, prima di riprendere a camminare. Anche se si erano manifestati in quel periodo, sentiva chiaramente dentro di sé che ciò che si nascondeva dietro a tutto quell’orrore era qualcosa di diverso: era tutto troppo spaventoso. Ad aspettarlo in ufficio c’era la sua scrivania: era un TRACCIA NASCOSTA – 15 disastro, ma lui riusciva a raccapezzarsi tranquillamente nel disordine. Tranne, forse, quando lui gli spostava le cose per il semplice gusto di vederlo girare per il Distretto come un cretino alla ricerca di una spillatrice. Lui… Non aveva guardato in faccia nessuno, fino a quel momento, ma era sicuro che non fosse lì. Forse non era ancora arrivato, oppure era su qualche scena. Meglio così: era proprio l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, e il motivo di tutta la tensione che sentiva premergli contro le tempie. “Prima o poi dovrà succedere. Sbrighiamoci e facciamola finita.” Gli tornò in mente l’espressione del tenente quando gli aveva detto che con lui aveva chiuso. Piuttosto imbarazzato, gli aveva risposto che, pur comprendendo (e Greg si era chiesto come potesse anche solo lontanamente comprendere) non avrebbe potuto far altro che non farli lavorare più insieme. “È questo che voglio. Questo.” si ripeté alla scrivania, combattuto fra il sollievo e il dolore. “Non lavorare più insieme.” Dopo tutto quello che avevano condiviso. Passò un dito sulla polvere e scrisse “Sto bene”, ma stava mentendo a sé stesso perciò spazzò via la scritta con una passata di mano. Si annoiò per tutto il resto della stupida mattinata. In quelle due settimane non si era preoccupato di pensare che, al suo ritorno, avrebbe trovato una tonnellata di scartoffie da smaltire, ma ora avrebbe tanto voluto averlo fatto. Non trovando poi altro che potesse distrarlo, passò in rassegna il contenuto dei cassetti della scrivania, rendendosi 16 – TRACCIA NASCOSTA conto con sorpresa che non lo faceva dal 2009. La noia gli fece venire voglia di bere un altro caffè, così uscì dall’ufficio per dirigersi verso la stanza del distributore. Da lì usciva solo un beverone pessimo, ma in qualche modo finiva sempre per sentire la necessità di berne un po’: gli faceva apprezzare molto di più la caffetteria piena di persone cordiali. All’improvviso, però, un flash, un’immagine dolorosa, turbò le sue riflessioni: il detective Darren Stevenson, proprio lui, entrò nel suo campo visivo in un modo che gli fece provare un dolore praticamente fisico. Strinse un po’ il bicchiere di plastica con un fremito della mano e sentì i succhi gastrici salirgli fino alla gola. Darren, a qualche metro da lui, fece istintivamente due passi indietro. Poi si fermò e restò lì, con i piedi ben piantati a terra, come per prepararsi a un impatto. Le labbra serrate, le mani che si aprivano e chiudevano nervosamente. Per qualche istante, il silenzio regnò sovrano nella stanza deserta. “Dunque ci siamo.” pensò Greg. Quante volte aveva guardato la faccia di Darren e si era sentito come in un posto sicuro? “Sempre. Da sempre.” Se Thomas era un vero padre per lui, Darren era un vero fratello. Erano nati insieme da due famiglie distinte, eppure erano cresciuti come due gemelli eterozigoti (lui con gli occhi e i capelli neri, Darren con gli occhi azzurri e i capelli né biondi né rossi) con tanto di linguaggio segreto e malattie simultanee. Da neonati, a volte, finivano per addormentarsi solo quando sentivano l’uno l’odore dell’altro. Quando, più grandi, sedevano vicini, le loro spalle finivano per accostarsi mentre parlavano, chiaro segno che non c’era posto per TRACCIA NASCOSTA – 17 qualcun altro. Inutile dire che agli occhi di un osservatore esterno risultavano parecchio inquietanti (e a volte lo erano sul serio) e che almeno un milione di persone nella loro vita gli aveva chiesto se fossero gay. Di solito ci scherzavano su, amando osservare le reazioni confuse della gente. Specialmente considerato il fatto che erano cresciuti nel soffocante ambiente ricco e privilegiato di Hartford, in Connecticut, in un contesto in cui le donne altolocate aggiungevano la desinenza -cara ai loro ridicoli nomignoli (Beebee, Shushu, Cheeky…), gli uomini gestivano affari di multinazionali e i figli erano tutti preppie3 depressi e repressi destinati a frequentare college dell’Ivy League per intraprendere la vita che qualcun altro aveva pianificato. Destino al quale loro due, soli contro tutti, avevano sentito il bisogno di opporsi perché, nati indipendenti, avevano sempre saputo che quella vita, la società a cui appartenevano e l’ipocrisia che li circondava, li avrebbero lentamente uccisi dentro. Subito dopo il diploma si erano arruolati nell’Esercito, appena diciottenni: era quella l’età minima per farlo senza il consenso dei genitori. Lo scopo era di restarci fino ai ventun anni e poi congedarsi dato che, per chi non aveva frequentato il college, quello era un requisito fondamentale per poter diventare successivamente detective per la Omicidi, dopo una lunga gavetta come ufficiali di polizia. Questo, infatti, era il loro sogno. E avevano scelto di realizzarlo nella città del loro cuore e della loro indipendenza: New York, tanto bella quanto feroce. Li Abbreviazione della parola inglese “preparatory” con cui ci si riferisce agli studenti degli Stati Uniti nordoccidentali che frequentano scuole private “preparatorie”, ossia quelle scuole che preparano gli studenti per essere ammessi alle università più prestigiose. 18 – TRACCIA NASCOSTA 3 avevano fatti a polpette, giovani e privilegiati com’erano, e le loro famiglie gli avevano dato l’ostracismo per molto tempo. Ma ce l’avevano fatta. Insieme. E ora eccolo là, a pochi metri da lui, che sosteneva in silenzio il suo sguardo con la mascella contratta. Era veramente la stessa persona? Darren mosse qualche passo, ma Greg si diresse verso la porta, deciso ad andarsene. – Greg. – provò a dirgli. – Vattene. – rispose lui, lapidario, con una voce che non gli sembrò nemmeno la sua. – Devi ascoltarmi! – ribatté l’altro, animatamente, prendendolo per un braccio nel tentativo di fermarlo. Fu questione di un attimo: a quel contatto Greg lasciò cadere il bicchiere e, afferrando Darren per la camicia, lo spinse con violenza contro la parete. Lui alzò con enfasi le mani, guardandolo molto seriamente negli occhi. – Non sono io il tuo nemico. – gli disse, cercando di mantenere l’autocontrollo. Nel sentire quelle parole, Greg allentò istintivamente la presa. – Non rivolgermi mai più la parola. – scandì, sentendo la frustrazione attraversarlo da capo a piedi come una tremenda scarica elettrica. Era odio quello che avrebbe dovuto provare nei confronti di Darren, e invece non ci riusciva. Si sentì debole, sfinito. Lasciò la camicia con un ultimo strattone e Darren lo vide andare via. Era scosso, ma avrebbe preferito che lo avesse pestato. Il dolore fisico non sarebbe stato nulla rispetto alla delusione che Greg gli stava infliggendo. Anzi, paradossalmente lo avrebbe fatto sentire meglio: almeno TRACCIA NASCOSTA – 19 avrebbe potuto portare a un chiarimento. Si sistemò la camicia sgualcita e restò per un po’ a guardare il caffè rimasto sul pavimento. Senza dire una parola. Ma molto, molto risentito. 20 – TRACCIA NASCOSTA Capitolo terzo Si erano picchiati migliaia di volte, ma non si erano mai messi le mani addosso con l’intenzione di farsi davvero del male. Mai. Man mano che continuava a camminare per tornarsene in ufficio, Greg si rendeva sempre più conto di ciò che, invece, aveva appena fatto. Era stato orribile. “Cosa sto diventando?” si chiese, turbato. Era così scosso che, voltando un angolo, urtò inavvertitamente qualcuno facendolo cadere assieme a un’intera risma di fogli e continuò per la sua strada senza accorgersi di nulla. – Ehi! Attento a dove cammini! – gli urlò dietro una voce femminile piuttosto severa, che non ottenne da lui alcuna risposta. Arrivato alla sua scrivania si sedé e si tenne la testa tra le mani per un bel po’, faccia bassa. Prese poi un gran respiro e si allungò sulla sedia girevole. Lo sguardo gli si posò sulla foto che li ritraeva mentre, quattordicenni, si tenevano sulla testa un cappello da agenti dell’NYPD sorridendo per il sollievo. Erano con il detective che li aveva salvati e ispirati. E c’era del sangue, sulla camicia di Greg. Per la prima volta, infatti, la loro tranquilla esistenza era stata messa in discussione da persone armate e avevano visto un uomo morire dissanguato. In quella traumatica serata newyorchese, erano stati loro due a riuscire a chiamare di nascosto il 911, terrorizzati, e l’intervento del detective Patterson aveva salvato la vita a tutti i presenti. Quella foto era stata ritagliata da una pagina di cronaca e immortalava il momento esatto in cui lui e Darren avevano deciso cosa TRACCIA NASCOSTA – 21 avrebbero fatto da grandi. “Devo togliere quella foto.” pensò, frastornato, andando a sciacquarsi il viso nel bagnetto di servizio del suo ufficio. Fu quella sferzata di acqua gelida a fargli venire in mente che era accaduto anche qualcos’altro. Aveva urtato una donna e lei lo aveva rimproverato? Era successo questo? Doveva anche averle fatto male, perché il suo metro e novanta per ottantacinque chili di peso stava andando come un treno. Chi poteva essere? L’unica cosa che gli era rimasta impressa era un’ombra fugace e due piccoli lampi verdi che sfavillavano. Una donna con gli occhi verdi e piuttosto infastiditi, dunque. Quel posto era così affollato che avrebbe potuto trattarsi di chiunque, anche di qualcuno venuto semplicemente per una deposizione per poi non tornare mai più. “Ormai è andata, che posso farci?” si disse, un po’ dispiaciuto. Il trillo del cercapersone lo richiamò all’ordine. Era il tenente Douglas. Fu solo in quel momento che realizzò quanto “quella faccenda” fosse ansiogena: aveva chiesto di lavorare con un nuovo compagno ed era arrivato il momento di conoscerlo. Era afflitto da una sensazione davvero sgradevole, che lo fece riflettere sul motivo per cui aveva avuto una reazione violenta nei confronti di Darren: doveva uscire dalla stanza del distributore perché, in quel momento, la sua sola vista gli aveva procurato così tanto dolore da fargli credere di essersi rotto tutte le ossa contemporaneamente. Era una sofferenza che non era in grado di sopportare, e lui aveva tentato di impedirgli di andarsene. Finché non fosse riuscito a raggranellare abbastanza forza morale per fronteggiare il fatto che l’unica 22 – TRACCIA NASCOSTA persona al mondo di cui si fosse mai realmente fidato lo aveva pugnalato alle spalle, non avrebbe potuto guardarlo in faccia. Tanto meno lavorarci assieme. – Siediti, – gli disse il tenente. – Sta arrivando. – Preferisco stare in piedi. – rispose, un po’ teso. – Mi ha fatta chiamare? – intervenne, subito dopo, una voce alle sue spalle. Quando si voltò per vedere chi fosse entrato, capì immediatamente a chi appartenevano gli occhi verdi di poco prima. – Oh, eccola, detective Westbrook. Si sieda. – la incoraggiò Neil. – Grazie. – rispose la donna, guardando Greg con evidentissimo sdegno. – Preferisco stare in piedi. Mentre il tenente si stava chiedendo a cosa servissero le sedie del suo ufficio, Greg piantò lo sguardo su di lui nell’attesa di vederlo scoppiare a ridere per poi gridare “Candid Camera!”. Sarebbero partiti degli applausi e allora avrebbe sorriso di sollievo dicendo qualche frase vecchio stile, tipo “Ci sono proprio cascato!”. Peccato che l’espressione di Neil Douglas restasse sempre la stessa. “Non ci credo!” pensò, stupito. “Con tutta la gente che gira da queste parti, quante probabilità c’erano di mandare a gambe all’aria proprio questa persona?” Tornò quindi a guardare Westbrook: gli stava rivolgendo un sorriso vendicativo, di quelli con stampato sopra un bel “Non credere che non te la farò pagare”, al quale lui rispose con un altro, criminale quasi quanto il suo, che diceva chiaramente “Tu provaci e poi ne riparliamo”. L’inizio del discorsetto di Neil distolse la loro attenzione da quelle strane presentazioni, ma dopo qualche minuto la TRACCIA NASCOSTA – 23 mente di Greg iniziò a vagare. Si mise a guardarla con la coda dell’occhio. Dalle curve che i pantaloni attillati lasciavano intravedere, si capiva che era un sinuoso fascio di muscoli sodi, come quelli di un ghepardo. Aveva i capelli neri, corti. Portava una camicia sciancrata che le metteva in evidenza il seno, piccolo ma ben tornito. La sua pelle era ambrata e i tratti del viso morbidi. Non era bella, ma aveva qualcosa. Qualcosa di… “Vorrei poter trovare un altro aggettivo, ma selvatico è l’unico che le calza a pennello.” pensò. Dopo aver incamerato quante più informazioni visive possibili, tornò a concentrarsi sul discorso del tenente, del quale non aveva ascoltato nemmeno una parola. – Tutto chiaro? – chiese Neil. – Come sempre! – gli rispose Greg, con un gran sorriso. – Benissimo. Allora, questi cambiamenti entreranno in vigore da domani. Per il momento può andare, detective Westbrook. Grazie. – Buona serata, tenente. – disse lei, con un cenno della testa. Un attimo prima di uscire, scoccò a Greg un ultimo sguardo rancoroso. – Avremo dei bambini bellissimi! – le gridò lui, in tono divertito e provocatorio, affacciandosi dalla porta. – Falla finita! – gli intimò Neil, senza sapere che lei si era voltata e gli aveva risposto facendogli il gesto di un bel taglio alla gola prima di sparire dalla sua vista. – Ok, senti. – ricominciò il tenente, quando ebbe di nuovo la sua attenzione. – Ci ho riflettuto. Considerato quello che è accaduto, Westbrook è la scelta perfetta. Durante la tua assenza ci ha provato mezzo Distretto, ma lei 24 – TRACCIA NASCOSTA ha mandato in bianco tutti. A quanto pare, preferisce le donne. Greg aggrottò le sopracciglia, sorpreso. – Mi sta dicendo che è lesbica? – chiese, un po’ perplesso. – Sì, a quanto pare sì. – Oh… – rispose, un po’ deluso. – Beh… Ok… – Ecco! Guarda la tua faccia! È di questo che sto parlando! Dopo tutto il casino che è successo tra te e Stevenson, lei, lo ribadisco, è la scelta perfetta. È molto meglio così. Niente complicazioni. Dio! Come vorrei che, almeno ogni tanto, qualcuno di voi riuscisse a tenere tutto ben chiuso e abbottonato! Greg si voltò di scatto a guardarlo e dischiuse la bocca in una piccola risata sorpresa. – Tenente Douglas! – obiettò, infastidito. – Non sono i miei i bottoni che dovrebbero restare chiusi. E comunque, se proprio vuole saperlo, non accetto consigli di vita da un uomo che nasconde ciambelle! – Ah sì? – replicò il tenente, piccato. – Allora, se non vuoi avere “consigli di vita” da me, stavolta prova a leggere meglio il mio labiale, perché ti garantisco quant’è vero Iddio che questa è l’ultima volta che te lo dico: “Niente. Casini.”. Era stata una giornata terribile, sotto tutti i punti di vista, e si apprestava a tornare a casa stanco morto. Uscito dall’edificio del Distretto, col cielo ormai scuro sopra la città, si accorse che poco più avanti c’era Westbrook che stava finendo di mettersi un casco in sella a una Ducati. Quando si accorse della sua presenza, lo guardò con l’espressione di chi avrebbe voluto riempirlo di parolacce e TRACCIA NASCOSTA – 25 partì a razzo, facendo rombare con rabbia il motore. “Mi dispiace per te, ma dovrai imparare a sopportarmi.” pensò lui, sicuro che ne sarebbe uscito vincitore. Passò da casa per cambiarsi e stavolta ricordò di dar da mangiare ai pesci. Non sarebbe stato tanto piacevole, per loro, essere lasciati a digiuno fino al suo ritorno. Sarebbe uscito di nuovo, infatti, perché quella era la sera della cena settimanale da suo fratello. 26 – TRACCIA NASCOSTA Capitolo quarto Thomas era un avvocato di successo, uno di quelli che guadagnano centinaia di dollari l’ora. Quarantaquattro anni, poteva permettersi di vivere a Park Avenue e di coltivare la sua passione per le auto d’epoca. Era ordinato e metodico, e teneva sempre tutto ben etichettato e catalogato. Greg, al contrario, pur mettendocela tutta per non irritarla, faceva sempre piangere la sua donna delle pulizie. Secondo Thomas, senza l’intervento di quella povera anima, il suo appartamento avrebbe finito per sembrare uscito dalla mente di uno psicopatico. Greg si limitava a rispondergli che rifletteva il disordine che regnava sovrano “in quella sua testa così rock”. Diversi come il giorno e la notte, dunque. Con i suoi lisci capelli biondi, la mascella potente, il portamento elegante, gli abiti su misura e le scarpe italiane, Thomas dava perfettamente l’impressione di essere una persona di successo. Greg, invece, si stava presentando a casa sua indossando un paio di jeans un po’ scoloriti, una Tshirt nera col logo dei Led Zeppelin, un paio di Converse e la giacca di pelle che usava per andare in moto, una MV Agusta Brutale che trattava meglio di come avesse mai trattato una donna. Thomas venne ad aprirgli in un completo grigio pantaloni e gilet. Dopo i soliti, calorosi convenevoli, si accomodarono in salotto in attesa del ragazzo delle pizze. Quelle erano le uniche serate in cui Thomas si concedeva il lusso di allentare il nodo della cravatta e mangiare cibo poco sofisticato. – Che bello essere a casa! – disse Greg, TRACCIA NASCOSTA – 27 stiracchiandosi piacevolmente su un accogliente divano. – Che bevi? – gli chiese suo fratello, versandosi un bicchiere di Scotch. – Un’oncia di Gordon’s Gin, una di vodka, mezza di Kina Lillet e una scorza di limone. Agitato, non mescolato. 4 Thomas gli sorrise. – Una Guinness. – rispose infine Greg, stavolta parlando sul serio. Gliene prese una ghiacciata e andò a sedersi vicino a lui. Nell’aria, le note del Köln Concert di Keith Jarrett. – Come stai, oggi? – domandò poi a Greg. – Sono stanco. – Lo vedo. Anche lui era stato male al pensiero che suo fratello avesse avuto bisogno di prendersi una pausa dal lavoro, tanto era stata cocente la sua delusione. E la cosa peggiore era che non sapeva esattamente come comportarsi. L’intero accaduto l’aveva colto di sorpresa. Non se lo sarebbe mai aspettato, da Darren. – Il ritorno a lavoro è stato estenuante. – riprese Greg. – Avete avuto modo di chiarirvi? – No. – ammise, con un certo imbarazzo. – Credo che dovreste. Non lo pensi anche tu? E se rispondi di no, giuro che inizierò a pensare che tu abbia seriamente qualcosa che non va. Greg scosse un po’ la testa, guardando la schiuma bruna della sua Guinness assottigliarsi sempre di più. – Forse è così e ho davvero qualcosa che non va. Comunque non posso. Oggi lui ha provato a Gli ingredienti del cocktail Vesper, inventato da James Bond, menzionato per la prima volta nel romanzo “Casino Royale” di Ian Fleming. 28 – TRACCIA NASCOSTA 4 spiegarmi qualcosa ma io gli ho messo le mani addosso. Thomas lo guardò, stupefatto. – Stai scherzando? – chiese. – Vorrei. Ma dico sul serio. – Vi siete picchiati? A lavoro! – L’ho preso per la camicia e l’ho sbattuto al muro. E, se lui avesse reagito diversamente, forse sarebbe andata anche peggio. – Non è così che ti ho insegnato a risolvere i problemi! – Lo so! – rispose, esasperato. – Ma sono stanco! E confuso! – Capisco. – assentì Thomas. – Sei sotto shock e devi metabolizzare. Ma vorrei solo che evitassi di peggiorare la situazione. Restarono a bere in silenzio per un po’, ascoltando Keith Jarrett che pestava forte sui pedali. – Ah, alla fine ti hanno assegnato un nuovo compagno? – ricominciò Thomas che, per la cronaca, era stato contrario a quella decisione fin dall’inizio. – Sì. Lasciamo stare! – ribatté Greg, buttando giù due sorsate. – È una donna, una strega, che se potesse me le staccherebbe chiudendomele con forza dentro a un cassetto! – Oh, Dio, Greg! Obiezione! – Respinta. Non sto scherzando: quella mi odia. – È carina, almeno? O è uno “scaldabagno”, come a volte hai avuto il coraggio di definire certe persone? – Non è il mio tipo. – gli rispose, senza mezzi termini. – Ah, ed è lesbica. Thomas scoppiò a ridere. – Ecco! Mi sembrava strano che una donna non fosse il tuo tipo, scaldabagni a parte! TRACCIA NASCOSTA – 29 – Si può sapere che diavolo hai, stasera? – Oh, andiamo! – continuò Thomas, appoggiando i piedi sul tavolino. – Tu e Darren non fate altro che cercare di entrare nelle mutande delle donne! – E ci riusciamo, anche. – sottolineò, trascurando per un momento il fatto che non si parlavano. – Sì, – disse. – Forse, però, dovreste cambiare stile di vita. Non mi sembra che questo giochi molto a vostro favore… – Sei ingiusto! – obiettò Greg. – Con Lilian stavo cercando di fare sul serio. Thomas tolse i piedi dal tavolino e gli sorrise come faceva ogni volta che stava per insegnargli qualcosa di importante. – Tu non hai mai cercato di fare sul serio, con lei. – gli disse, sporgendosi un po’ verso di lui. – Era una stupida. Una donna senza un briciolo di cervello. E se tu avessi davvero voluto fare sul serio con una del genere, avresti perso per sempre tutta la mia stima. Greg restò a guardarlo, ammutolito. – Tu non hai mai fatto sul serio. – ribadì, tornando a stendere i piedi. – Questo dovrebbe farti capire a cosa hai sempre dato più importanza. Perciò riflettici e parla con Darren. Era soddisfatto. Forse non era vero che non sapeva esattamente come comportarsi in quella situazione. – Un’altra Guinness? – chiese poi, notando lo sguardo un po’ perso di suo fratello. – Sì… per favore… Rimasto per un momento da solo, Greg venne assalito dal ricordo di sé stesso, adolescente, che ammirava 30 – TRACCIA NASCOSTA Manhattan col cuore colmo di speranza dalle vetrate del Plaza Hotel. Sapeva già che avrebbe trascorso il resto della sua vita a New York, e si chiedeva se la donna che avrebbe amato per sempre si nascondesse dietro a una di quelle finestre illuminate. Fantasticava provando a indovinare cosa stesse facendo e immaginava come avrebbe potuto essere baciarla. Era solo sua, di lei non aveva mai parlato nemmeno con Darren. Paradossalmente quella donna ignota, che non aveva mai visto ma solo immaginato, era l’unica con cui avesse mai fatto davvero sul serio. Il tempo, però, oltre ai peli sulla faccia e a una voce più profonda, gli aveva portato anche disillusione, violenza e morte. E in tutto questo lei, che avrebbe potuto renderlo felice, non si era mai fatta trovare. Quella donna non esisteva: era solo l’illusione di un ragazzino figlio di papà, disperatamente bisognoso d’amore. Peccato che l’amore non esistesse, al pari di quella donna. E comunque, anche se fosse esistito, lui non ne aveva più bisogno. “Entrare nelle mutande delle donne”: era solo questo che voleva, al momento, e gli andava bene così. Difficile immaginare di voler investire in qualcos’altro con loro: lo feriva profondamente ammetterlo, ma era ancora in lutto per la donna che cercava dal Plaza, quella che non avrebbe mai incontrato. Era per questo che trattava con sottile disprezzo tutte le donne di poca sostanza che gli si gettavano addosso. “Questo dovrebbe farti capire a cosa hai sempre dato più importanza”. Certamente Thomas intendeva dire che avrebbe dovuto sistemare le cose con Darren visto che, sul piatto della bilancia, la sua amicizia era stata più importante di qualsiasi rapporto avesse mai avuto con le donne, Lilian compresa. E aveva ragione: non gli importava un TRACCIA NASCOSTA – 31 dannatissimo accidente di lei. Ma non riusciva a smettere di chiedersi come una persona fondamentale come Darren avesse potuto fargli una cosa del genere: era semplicemente contrario all’ordine naturale delle cose, ed era stato come, per un devoto credente, perdere improvvisamente la fede. Un trauma. Un trauma inesprimibile. “Quindi, accidenti, c’è qualcuno che sia dalla mia parte, visto che la vittima sarei io?” 32 – TRACCIA NASCOSTA Capitolo quinto “E non ho paura di morire. Qualsiasi momento va bene, non mi interessa. Perché dovrei averne paura? Non ce n’è motivo… Devi andartene, prima o poi.” “The Great Gig In The Sky”, da “The Dark Side of The Moon” dei Pink Floyd, la canzone che mi spaventava quando ero piccolo per il suo legame con la morte e per la sua assenza di parole. È nell’aria e non so perché. Mi sta torturando. “Fatela smettere!” vorrei gridare. Ma la voce mi muore in gola e solo a quel punto mi rendo conto di dove sono: ancora qui, ancora sull’erba. Il panico mi assale: capisco che questa potrebbe essere la canzone della mia morte. Cerco di tapparmi le orecchie ma le mie mani sono troppo piccole, mani da bambino, impossibile non sentire con quelle. La voce di Clare Torry illumina il cielo di rosso a ogni suo grido, mi segue, mi minaccia come qualcosa di molto più grande di me. Devo scappare! Ma il terreno mi cede sotto ai piedi, assorbe ogni mio passo come gelatina e non riesco a spostarmi di un millimetro. “Dove vai?”, mi sussurra una voce gelida, che sento solo nella mia testa. Le modulazioni della cantante mi colpiscono e mi feriscono come un nemico che non posso combattere, mi schiacciano a terra sempre più violentemente. Il terreno ha un odore dolciastro di fiori marcescenti. Piango dense lacrime di sangue, ne sento in bocca il sapore metallico e inizio a vomitare, e vomitare, mentre Clare Torry grida, e grida, e grida… vomito fino a farmi uscire il cuore dal petto… “Uccidimi!” grido con tutta la forza che mi rimane, fino a farmi bruciare i polmoni. “Uccidimi!” Ma all’improvviso tre esplosioni infiammano la notte e la musica tace, come se qualcuno avesse sollevato bruscamente la puntina da un vinile. Mi ritrovo completamente al buio, in un silenzio così assoluto TRACCIA NASCOSTA – 33 che riesco a sentire le pulsazioni ronzarmi nelle orecchie. “Il mio cuore! Ce l’ho ancora!” penso, sollevato. Ma quel battito inizia a diventare fuori controllo e a essere sempre più assordante… e assordante… e assordante. Ho paura, sento che sto per morire. Una figura in fiamme mi appare davanti agli occhi dal nulla, come se avessero acceso una lampadina. Grida di dolore, si sfalda e si consuma davanti a me passo dopo passo, come una gran palla di carta gettata nel camino. I miei occhi si sciolgono al suo calore. Sento le particelle della sua cenere sfiorarmi la faccia. Vorrei urlare, ma i miei denti si sbriciolano… Sangue e denti… Sangue e denti… La bocca, un taglio che si chiude… Buio… Le grida di Greg risuonarono poderose nel silenzio notturno del suo appartamento. Così com’era accaduto le altre volte, tornò a guardarsi attorno, smarrito: era a casa, doveva stare calmo e ricominciare a respirare a un ritmo più lento, ma il suo torace era scosso dall’iperventilazione al punto che iniziò a sentire la testa farsi confusa, le braccia indebolirsi e il corpo cedere sempre più alla gravità che lo fece ricadere sul cuscino. Il battito del suo cuore iniziò a rallentare gradualmente man mano che riprendeva contatto con la realtà e, finalmente, la sua respirazione tornò più profonda e regolare. Era sudato dalla testa ai piedi e questo rendeva tremendamente sgradevole il contatto della sua pelle nuda con le lenzuola, perciò si alzò, un po’ indebolito dalla crisi di iperventilazione, per andare a farsi una doccia che facesse sparire quella fastidiosa sensazione di sudore misto ad adrenalina. 34 – TRACCIA NASCOSTA Quando si fu sentito un po’ meglio, andò in cucina per prendere un antiacido che gli desse tregua allo stomaco e si mise a sedere in silenzio. Sapeva che sarebbe stato difficile e doloroso farlo, ma provò ad analizzare i suoi incubi per tentare di decifrarli. Il buio, l’erba, le mani da bambino, le tre esplosioni, “Dove vai?”, la bocca che si chiudeva, la sua totale incapacità di scappare, i denti che cadevano, gli occhi che si scioglievano: tutti elementi ricorrenti. Si erano aggiunti anche la canzone, la figura in fiamme, le crisi di vomito, il cuore fuori dal petto, le lacrime di sangue, l’odore di fiori marcescenti. “Che cos’è questa roba?” si chiese, disperato, tenendosi la testa stretta tra le mani. Sentiva il cervello sbriciolarglisi sotto al peso di quell’interrogativo, come se ogni ragionamento per arrivare a capirci qualcosa gli fosse impedito. Continuare sarebbe stato come tentare di forzare il suo subconscio con un piede di porco, rischiando di mandarlo in pezzi. Le domande, dunque, rimanevano senza risposta. E non poté nemmeno provare a pensarci ancora, perché il suo cercapersone trillò e dovette tornare in camera per andare a leggerlo. Erano le quattro del mattino, non ci voleva proprio. Di nuovo completo, camicia, cravatta. Di nuovo semiautomatica. Di nuovo distintivo. Di nuovo fuori di casa. Giunse trafelato all’indirizzo che gli avevano indicato. Si trattava di un’elegante palazzina di mattoni rossi, vicino a Central Park. C’era una gran confusione. Due agenti che conosceva bene, Frank Holden e Mike Witting, avevano il compito di tenere la gente alla larga. Cercavano di TRACCIA NASCOSTA – 35 tranquillizzarla, ma con risultati contrastanti. Holden, con i suoi modi gentili e gli occhi azzurri che tanto contrastavano con la sua carnagione scura da afroamericano, era così particolare a vedersi da avere un effetto quasi ipnotico sulle persone. Witting invece sembrava latinoamericano ma era nato e cresciuto affondando le radici nella terra rossa del Kentucky. Ostentava il suo accento con vero orgoglio e spesso, parlando con lui, Greg si ritrovava senza volerlo a usare la stessa inflessione. Comunque, Mike Witting credeva che il tatto fosse solo uno dei cinque sensi. – Sloggiate, branco di pecoroni! – lo sentì gridare a chi non voleva saperne di rientrare in casa, in perfetta armonia con quanto scritto sulle volanti dell’NYPD: “Cortesia, Professionalità, Rispetto”. – Dove diavolo eri? – gli chiese Westbrook, inferocita. – Ero a farmi la ceretta all’inguine. – le rispose Greg, con sufficienza, lasciandola per un momento senza parole. – Molto divertente. – commentò, con sarcasmo. – Oh, andiamo! – le disse, smettendo di camminare. – Guarda la mia faccia: sono le quattro e mezza del mattino, cosa pensi che stessi facendo? Ero a casa a cercare di dormire! Deduci, Sherlock. – aggiunse, facendo schioccare le dita. – Dio… voglio un caffè… – Witting! – gridò Westbrook. – Sì, detective? – chiese, avvicinandosi. – Manda qualcuno a prendere un caffè, per favore. – Arriva, bella. – rispose prontamente, con un sorriso. Greg la guardò, piacevolmente sorpreso. – Grazie! – le disse. – Grazie un par di “castagni”. – ribatté subito lei. – Il caffè è per me. Se ne vuoi uno, va’ a prendertelo da solo. 36 – TRACCIA NASCOSTA – Whoah! – commentò Witting, ridendo di Greg. – Mike, anche per me, per favore! – gli chiese, cercando di imitare la voce e l’atteggiamento femminile di Westbrook, ondeggiando però esageratamente con le spalle. – Quella roba non attacca, a casa mia. – proseguì, continuando a ridere. – E gli ordini sono che devi andare a prendertelo da solo. – Un caffè! Subito! – gli intimò Greg, ridendo e minacciandolo mettendo una mano sulla fondina. – Avete finito? – chiese lei, quando Witting se ne fu andato. – Westbrook, com’è che li hai chiamati, prima? I “castagni”? Ecco. Non rompermeli. – le rispose, chiamando l’ascensore. – I “castagni”! – riprese, reclinando la testa per ridere. – Da dove vieni? Direttamente dal 1952? – Deficiente. – fu la sua risposta, che fece ridere Greg ancora di più. Giunti di fronte all’appartamento della vittima, mostrarono il distintivo all’agente incaricato di registrare tutto il traffico in entrata e in uscita, presero un paio di guanti e di copriscarpe, e si fecero strada attenendosi al percorso meticolosamente stabilito dalla Scientifica, che aveva delimitato tutte le aree a rischio di contaminazione. Quelle erano le ore più importanti: una sola, piccola mossa sbagliata poteva invalidare un’intera indagine. Lì dentro erano loro i padroni assoluti. Tutto si svolgeva seguendo un preciso ordine e Greg avrebbe potuto passare ore intere a osservarli perché, pur essendo macabra, la loro era pur sempre una danza, un passo a due. Infatti gli agenti scattavano foto, delimitavano aree, repertavano prove, cercavano impronte, tracce biologiche, e si muovevano tutti TRACCIA NASCOSTA – 37 attorno al dottor Donegan che, al centro della scena, si occupava del cadavere con gesti che seguivano sempre la stessa coreografia quasi rituale. Quello era il suo territorio, suo e di nessun altro, e svolgeva il proprio lavoro con raccoglimento. Solo lui poteva toccare o spostare il cadavere, e soltanto dopo la sua autorizzazione la mortuaria poteva portarlo via e gli agenti della Scientifica potevano passare a esaminare ciò che c’era sotto al cadavere prima che venisse spostato. Così la danza macabra, il passo a due, cambiava di nuovo, finché a ballare restava solo la Scientifica. Greg e Westbrook non erano che spettatori. Non contavano niente in quel santuario riservato a pochi eletti. I detective dovevano limitarsi a ricevere le informazioni e a sloggiare. – Il vero lavoro lo fanno loro, West. – disse, rapito. – Posso chiamarti West? – No. – Comunque il vero lavoro lo fanno loro, West. Noi dobbiamo solo rimettere assieme i pezzi. Avevano avuto il consenso a entrare solo dopo che Donegan aveva già dato l’autorizzazione a far portar via il corpo, che era in un sacco su una barella mortuaria. – Buongiorno, detective Barrett. – disse il medico, venendogli incontro. Era identico a Ernest Hemingway, la copia esatta. Almeno secondo Greg. – Lei è? – domandò poi. – Detective Westbrook. – rispose lei. – L’ho già vista, prima? – No. Mi sono trasferita da un altro distretto. Donegan la fissò per qualche istante. 38 – TRACCIA NASCOSTA – Eppure io l’ho già vista… Lei abbassò lo sguardo e restò in silenzio. Solo a quel punto Donegan capì e serrò i muscoli della mascella per il disagio. – Oh. – continuò. – Westbrook. Ora ricordo. Quello scambio calamitò tutta l’attenzione di Greg, che era rimasto ad ascoltarli attentamente senza riuscire a capire. – Cos’abbiamo? – chiese quindi lei, cercando di cambiare discorso. Li portò alla barella. – Henry Moore, – iniziò. – Cinquantaquattro anni. Ucciso a colpi di arma da fuoco. Un vicino è rientrato a notte fonda e ha visto che la porta era aperta, e così... Comunque, tornando a noi, in base alla temperatura e al fatto che il rigor è già ai muscoli nucali, ne ho collocato la morte approssimativamente tra la mezzanotte e l’una. Passò poi a illustrare le ferite. – Il colpo che l’ha ucciso è questo alla fronte. Ovviamente. È stato rinvenuto legato a quella sedia. Quando la indicò, Greg vide che tutto intorno sembrava esserci passato Jackson Pollock e, per un attimo, tornò col pensiero a quando la vista del sangue lo faceva ancora svenire. Si chiese, senza però ottenere da sé stesso alcuna risposta, quando avesse iniziato, invece, a essergli quasi del tutto indifferente. – Quello non è solo un colpo in testa. – commentò. – Infatti. – rispose Donegan, facendo scorrere la cerniera del sacco. – In tutto gli sono stati sparati otto colpi: due alle ginocchia, uno all’altezza dei genitali, due alle anche, due alle spalle e infine l’ultimo, qui sulla fronte. In quest’ordine, suppongo. TRACCIA NASCOSTA – 39 – Uno che faceva sul serio… – Non è tutto. – aggiunse il coroner, spostandosi e andando verso alcuni reperti. – Nella bocca aveva questo. Trasse da una busta un foglio di carta stropicciato su cui spiccava, tra le macchie di sangue, solo un simbolo. – Che roba è? – chiese Greg. – West? – Non ne ho idea. – rispose, concentrata. – E smettila di chiamarmi in quel modo. – Lo so, scusami. – ribatté lui, continuando a guardare il foglio. – Sono proprio un gran rompi “castagni”. – Cas…? Ha detto “castagni”, detective Barrett? – s’intromise il coroner, un po’ confuso. – Deve dirci altro? – intervenne Westbrook, insofferente. Ci mise un po’ a risponderle. Gli occhi di Donegan, fissi su di lei, erano chiari, ma Greg definiva “nero” il suo sguardo perché era quello di una persona abituata a vedere il lato peggiore dell’umanità, ed era convinto che lo schermasse come fanno gli squali, per sopravvivere. In quel momento, però, a Greg sembrò pericolosamente privo di protezioni. – No. – le rispose. – È tutto. Sarò più preciso dopo gli esami. – La ringrazio. 40 – TRACCIA NASCOSTA – Detective Westbrook, io… – provò a dirle. – No. – lo interruppe bruscamente, alzando una mano. Nell’assistere a quella scena, Greg si sentì terribilmente a disagio. – No… – proseguì Westbrook, addolcendo il suo tono. – So chi è lei… e non c’è bisogno che si senta in imbarazzo. Davvero. – È un po’ difficile, non trova? – concluse lui, con un triste sorriso appena accennato. Era così che sorrideva di solito: con una specie di tic. Usciti dall’appartamento, tornarono sui loro passi. Greg, che non riusciva a capire a cosa avesse appena assistito, non la perdeva di vista un solo momento mentre lei, camminando in silenzio, cercava di allentare la tensione del collo. – Chi sei tu? – le chiese all’improvviso, in ascensore. Lei si voltò a guardarlo con un lampo negli occhi. – Sono quella che è stata costretta a lavorare con te! Quella che hai fatto cadere senza nemmeno chiederle scusa! E sono anche quella che hai umiliato davanti a Donegan! Dimmelo tu chi ti sei messo in testa che io debba essere! Quella frase ebbe il potere di fargli abbassare lo sguardo. Una volta fuori, Westbrook andò a sedersi sulle scale d’ingresso. Witting le portò il caffè che aveva chiesto e poi, bontà sua, ne portò uno anche a Greg. – Hai una faccia che pare quella di mia zia Sophia quando è stitica. – gli disse. – La tua, invece, pare quella di ciò che tua zia Sophia tira fuori dopo essere stata stitica. Witting scoppiò a ridere molto sonoramente. – Ma grazie per il caffè. – aggiunse, allontanandosi. TRACCIA NASCOSTA – 41 Per un po’ se ne restò in disparte a osservare Westbrook, senza sapere bene cosa fare. Poi le si avvicinò con l’intenzione (l’intenzione, almeno…) di chiederle scusa. Sentendolo arrivare, alzò lo sguardo su di lui, in piedi sulle scale, e i suoi occhi si indurirono. – Vatti a impiccare, Barrett! – proruppe, alzandosi. – Non è la pietà, ma il rispetto quello che merito! Sappi, però, che non m’interessa minimamente averlo da te! E detto questo, se ne andò in macchina senza voltarsi indietro. Greg restò a bere il suo caffè in silenzio per un po’, seduto su quelle scale. Poi andò verso la macchina. Sedutosi al posto di guida, piantò gli occhi sulla sua nuca, perché lei non voleva saperne di guardarlo. Allungandosi un po’ sul sedile, finì di bere senza dire niente, a motore spento, sentendosi di nuovo tremendamente stanco. 42 – TRACCIA NASCOSTA