corte di appello di palermo
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CORTE DI APPELLO DI PALERMO SEZIONE SESTA PENALE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO No 279612012 Sent. L'anno duemiladodici il giorno venti del mese di giugno No l15312012 R.G. LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO SEZIONE SESTA PENALE composta dai Sigg.ri : 1. Dott. Biagio INSACCO Presidente 2. Dott. Roberto MURGIA Consigliere 3. Dott. Roberto BINENTI Consigliere con l'intervento del Sostituto Procuratore Generale Dott. Florestano CRISTODARO e con l'assistenza del Cancelliere No l149812007 .N.R. Proc. Rep. Palermo D.D.A. 1 Art. 1 Mod.31ASG ompilata scheda per il asellario e per l'elettorato l Antonella FOTI, in Camera di Consiglio ai sensi dell'art. 599 C.P.P., ha pronunziato la seguente Depositata in Cancelleria Addì SENTENZA nei confronti di: , e - % b .. i - --v tiii , - o 1) BIONDO CARMELO nato a Palermo il 09.10.1953 ivi residente Via Villa Malta n. 1 PRESENTE DIFENSORI: Avv. Filippo Gallina Avv. Valerio Vianello Foro di Palermo Foro di Palermo I Irrevocabile il l 2) DI NAPOLI Pietro, nato a Palermo il 15.03.1939; Arr. il 3 1 .01.2007in atto detenuto presso la Casa Circ.le di San Gimignano (SI) in data 20.06.2012 dichiarata cessata l'efficacia della misura cautelare in carcere per questa causa - detenuto per altro - domicilio eletto presso Casa C.le San Gimignano ASSENTE PER RINUNCIA DIFENSORI: Avv. Giovanni Natoli Avv. Antonino Reina Foro di Palermo Foro di Palermo 3) GALLINA Angelo, nato a Carini il 20.03.1943 ivi elett. dom. Via Nazionale n. 366 (det. dal 25101I2007 scarcerato con obblighi il l3104112) PRESENTE DIFENSORI: Avv. Gioacchino Sbacchi Avv. Giuseppe Giambanco Foro di Palermo Foro di Palermo (con studio in Carini) 4) PULIZZI Gaspare, nato Carini il 08.12.1971; agli arresti domiciliari per altro in località nota al Servizio Centrale Protezione Roma ASSENTE PER RINUNCIA DIFENSORE: Avv. Valeria Maffei Foro di Roma PARTI CIVILI 1) "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane" in persona del legale rappr. pro-tempore con sede in Napoli Corso Umberto I n.2, dom.to presso l'Avv. Salvatore Caradonna Rappr. e difeso dall' Avv. Salvatore Caradonna del Foro di Palermo PRESENTE 2) ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. "COMITATO ADDIOPIZZO" in persona del suo Presidente e legale rappr. pro-tempore Perrotta R., dom.to presso Avv. Salvatore Forello Rappresentato e difeso dall'Avv. Salvatore Forello del Foro di Palermo PRESENTE 3) S.O.S. IMPRESA PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. pro-tempore Dott. Costantino. Garraffa, dom.to presso Avv. Fausto Maria Amato. Rappr. e difeso dall'Avv. Fausto Maria Amato del Foro di Palermo ASSENTE 4) PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO in persona del suo Pres. pro-tempore dom.to presso Avvocatura Provinciale di Palermo. Rappr. e difeso dall'Avv. Giovanni Lo Nigro del Foro di Palermo ASSENTE 5) CONFCOMMERCIO PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. Dott. R. Helg, dom.to presso Avv. Gaetano Fabio Lnfranca. ASSENTE Rappr. e difeso dall'Avv. G. Fabio Lanfranca del Foro di Palermo 6) CONFINDUSTRIA PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. pro-tempore Dott. A. Salerno, dom.to presso Avv. Ettore Barcellona. ASSENTE Rappr. e difeso dall'Avv. Ettore Barcellona del Foro di Palermo 7) COMUNE DI CARINI in persona del Sindaco pro-tempore La Fata G., dom.to presso Avv. Marina Fonti in Carini Ufficio Leg. del Comune, Rappresentato e difeso dal19Avv.Marina FONTI del Foro di Palermo ASSENTE APPELLANTI I1 Pubblico Ministero nei confronti di GALLINA Angelo, le Parti Civili: Associazione Comitato Addio Pizzo e F.A.I. Antiracket nei confronti di GALLINA, BIONDO e DI NAPOLI nonché tutti gli imputati, avverso la sentenza emessa dal G.U.P. Tribunale di Palermo del 07/08/2008, con la quale dichiarava: BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro, PULIZZI Gaspare colpevoli di tutti i delitti loro rispettivamente contestati e GALLINA Angelo colpevole del delitto di associazione di stampo mafioso a lui contestato al capo l ) , ed esclusa per PULIZZI Gaspare la fattispecie di cui al I1 co. dell'art. 416 bis cod. pen. e concessa allo stesso l'attenuante di cui all'art. 8 della legge 203191, valutata equivalente alle aggravanti allo stesso ascritte e unificati per continuazione i reati allo stesso ascritti. tenuto conto della diminuente per il rito, condannava: - BIONDO Canne10 alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 1.400,OO di multa; - GALLINA Angelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione; - PULIZZI Gaspare alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione; - DI NAPOLI Pietro alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 800,OO di multa. Condannava tutti i predetti in solido (anche con il coimputato appellante Cuccia Giorgio, separatamente giudicato con il proc. n. 3518/09 R. G. C.App., e con i coimputati appellanti di cui al proc. pen. n. 2.533109 R. G.C.App.: Covello Giulio, D'Alessandro Francesco, Prano Salvatore, Spuracio Francesco, Gelsomino Giuseppe, Privitera Suverio e Sapienza Gioacchino non ricorrenti e con i coimputati Bruno Giuseppe, Bruno Andrea Cardinale Michele, Collesano Rosario, Di Blasi Francesco. Gottuso Salvatore, Lo Duca Giuseppe, Passalacqua Giuseppe. Peu'ulino Davide, Pipitone Angelo Antonino e Pipitone Antonino (CI.69) Vitale Fortunato ricorrenti, per i quali non vi è stato rinvio da parte della Corte di Cassazione) al pagamento delle spese processuali, e ciascuno a quelle di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. Dichiarava: BIONDO Carmelo, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare interdetti: in perpetuo dai PP.UU. e in stato di interdizione legale durante la pena, DI NAPOLI Pietro interdetto dai PP.UU. per anni cinque. Applicava la misura della libertà vigilata per anno uno per GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare. Assolveva perchè i fatti non sussistono GALLINA Angelo per il reato di cui al capo: 16); Condannava DI NAPOLI, GALLINA e PULIZZI in solido (anche con i coimputati di cui al proc. pen. 2533/09) al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Comune di Carini, per la cui liquidazione vengono rimesse le parti davanti alla sede civile competente. Condannava i predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della predetta parte civile, liquidate in complessivi Euro 5.625,00 (di cui Euro 5.000,00 per onorari ed Euro 625.00 per spese forfetarie) oltre IVA e CPA. Condannava, altresì, BIONDO Carmelo. DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare in solido (anche con i coimputati di cui alproc. pen. n. 2533109 R.G. C.App.) al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Associazione Comitato Addio Pizzo, Associazione F.A.I., Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo, e Provincia Regionale di 5 l Palermo, per la cui liquidazione vengono rimesse le parti davanti alla sede civile competente. Condannava i predetti imputati in solido (anche con i coimputati di cui al proc. pen. n. 2533109 R.G.C.App.) al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna delle predette parti civili liquidate in complessivi Euro 5.625,00 a ciascuno (di cui Euro 5.000.00 per onorari ed Euro 625.00 per spese forfetarie) oltre IVA e CPA. Ordinava la confisca: - dell'immobile di viale della Regione Siciliana specificato al punto 1 del provvedimento del GIP presso il Tribunale di Palermo del 23/01/2007, intestato a Biondo Maria, e delle costruzioni ivi esistenti; - dei beni aziendali dell'esercizio commerciale di via Caduti del Lavoro intestato a Pedalino Davide, esclusi quelli di proprietà di terzi; - del complesso dei beni aziendali riferibili alla ditta ROMA ELECTRO SERVICE di Cardinale Michele, con sede a Carini; - del saldo attivo del c/c 168838 pressi la filiale di Carini della Banca Popolare di Lodi da VITALE Fortunato; - del complesso dei beni aziendali riferibili alla ditta individuale di SPARACIO Francesco (punto 32 del provvedimento del 23/01/2007) e quota rappresentativa del 50% del capitale sociale della fratelli SPARACIO (decreto del 13/09/2007); Ordinato il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto: - dei saldi attivi dei rapporti di c/c intestati a CUCCIA Giorgio. Sapienza Gioacchino, PEDALINO Davide, PRIVITERA Saverio, CATALDO Giovanni, SPARACIO Francesco detto Gianfranco, ed a loro familiari conviventi, a CARDINALE Michele e VITALE Fortunato. con esclusione di quelli intrattenuti presso la filiale di Carini della Banca Popolare di Lodi; - complesso dei beni aziendali e capitale sociale riferibili alla ditta AUTOVINO Fabio ed alla società il Giardino della Frutta di Gelsomino & C. s.a.s.; alla ditta individuale PEDALINO Davide, ed alla Trattoria 4 FARI snc (punti 33 e 34 del decreto del 23/01/2007), con esclusione dei beni aziendali dell'esercizio di via Caduti del Lavoro di cui ai capi 23 e 24; - intero capitale sociale e beni aziendali descritti ai punti 3, 4, 5, 6, 25, 26, e 27, del decreto del 23 gennaio 2007 e riferibili a SAPIENZA Gioacchino; - intero capitale sociale e beni aziendali della società P.C.N. s.r.1. con sede in Carini riferibili a PRIVITERA Saverio (punto 23 del decreto del 23 gennaio 2007). Fissava in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione e sospendeva durante la pendenza di tale periodo i termini di durata massima della custodia cautelare, attesa la gravità dei fatti contestati e la particolare complessità ed avuto riguardo al numero elevato degli imputati. La Corte di Appello di Palermo sezione Prima con sentenza del 15/07/2010, su appello proposto dai difensori degli imputati, dal Pubblico Ministero per GALLINA Angelo e dalle parti civili Associazione Comitato Addio Pizzo e F.A.I. Antiracket per GALLINA, BIONDO e DI NAPOLI, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava unificato per continuazione il reato ascritto a BIONDO Carmelo con quelli per i quali riportò condanna con sentenza della Corte di Appello di Palermo de11'11/10/2003, irrevocabile 1101/07/2004,e ritenuto più grave il delitto di estorsione aggravata giudicato 4 L a con detta sentenza. elevava la pena già inflitta di anni tre di reclusione ed Euro 600,OO di multa, rideterminava la pena complessiva in anni dodici, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa. Liquidava, in via equitativa, in Euro 50.000,OO in favore di ciascuna delle costituite parti civili Associazione comitato Addio Pizzo ed Associazione F.A.I. Federazione Antiracket, i danni morali dalle predette parti civili patiti e condannava BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro e GALLINA Angelo in solido ( anche con i coiinputati di cui al proc. pen. 2533/09 R. G.C.App.) al relativo risarcimento. Confermava nel resto l'appellata sentenza. Condannava GALLINA Angelo, DI NAPOLI Pietro, PULIZZI Gaspare al pagamento delle ulteriori spese processuali. Condannava DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare in solido (anche con i coimputati di cui al proc. pen. 2533/09 R.G.C.App.) alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore della parte civile costituita Comune di Carini, liquidata in complessivi Euro 4.625,00 (di cui Euro 4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese forfettarie), oltre IVA e CPA. Condannava BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro e GALLINA Angelo in solido (anche con i coimj7utati di cui ul proc. pen. 2533/09 R.G.C.App.) alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore della parte civile costituita Associazione Comitato Addio Pizzo, Associazione F.A.I. Federazione Antiracket, Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo e Provincia Regionale di Palermo liquidata in complessivi Euro 4.625,00 per ciascuna delle suddette parti (di cui Euro 4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese forfettarie), oltre IVA e CPA. Condannava PULIZZI Gaspare in solido con i predetti imputati, (anche con i coimputati di cui al proc. pen. 2533/09 R. G.C.App.) alla refusione delle ulteriori spese processuali limitatamente alle parti civili costituite Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo e Provincia Regionale di Palermo. liquidata in complessivi Euro 4.625,00 per ciascuna delle suddette parti (di cui Euro 4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese forfettarie), oltre IVA e CPA. Fissava in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione della sentenza, e sospendeva, come da separata ordinanza, i termini di custodia cautelare durante il tempo necessario alla redazione della motivazione per GALLINA, DI NAPOLI e PULIZZI. La Corte Suprema di Cassazione con sentenza del 25/01/2012, su ricorso proposto dai difensori degli imputati, annullava l'impugnata sentenza nei confronti di BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare, per quest'ultimo limitatamente alla misura della pena, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per il nuovo giudizio. CAPI DI IMPUTAZIONE PULIZZI Gaspare, GALLINA Angelo e ( Conigliaro Angelo (CI.83)'. Pipitone Angelo Antonino, Pipitone Antonino (cl. 69) Passalacqua Giuseppe, Lo Duca Giuseppe, Covello Giulio, Sparacio Francesco, Prano Salvatore, separatamente giudicati) e in concorso con Angelo Conigliaro - CI.35 - per il quale si procede separatamente: 1) per il delitto partecipazione mafiosa aggravato (art. 416 bis bis, aggravato dai commi IV e VI cod. pen., per avere fatto parte dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento. ed omertà che ne deriva, per commettere reati contro la vita, l'incolumità individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, tra i quali quelli di cui ai capi che seguono, noncheper acquisire il controllo di attività economiche e appalti pubblici, e comunque per realizzare profitti o vantaggi ingiusti; in particolare: PULIZZI e (Pipitone Antonino (cl. 69) separatamente giudicato) come da contestazione articolata all'ud. dell' 8 maggio 2008): per aver svolto il ruolo di co-reggenti della famiglia mafiosa di Carini (art. 416 bis conima I1 cod. pen.), a partire dalla loro rituale afiiliazione, occupandosi in particolare, il primo, dei rapporti con gli esponenti mafiosi latitanti LO PICCOLO Salvatore e LO PICCOLO Sandro, con i quali trascorrerà tutta la durata della sua latitanza, ed il secondo, della gestione delle attività estorsive (sino alla data odierna); con l'aggravante di cui all'art. 416 bis comma IV cod. peno trattandosi di associazione armata; con l'aggravante di cui all'art. 416 bis comma IV cod. pen. trattandosi di attività economiche finanziate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto, il profitto di delitti. Esclusa per PULIZZI Gaspare la fattispecie di cui al II co. Dell'art. 416 bis C.P.; [COSI' O UALIFICA TO) In Palermo (Carini) sino alla data del 25.1.2007 ; 2) Omissis PULIZZI Gaspare, e (Lo Duca Giuseppe, Covello Giulio separatamente giudicati (in concorso con Di Maggio Antonino, per cui si procede separatamente) 3) per il delitto di tentativo di danneggiamento aggravato in concorso (p. e p. dagli artt. 110, 56, 635-.cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, co. nella legge 12 luglio 1991 n. 203) per avere, in concorso fra loro, posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare il danneggiamento del cancello elettrico della ditta RCS Officine s.r.1. con sede a Carini, via delle Industrie e con amministratore unico MELI Emanuele (n. a Palermo il 13.6.1970); atti consistiti nel cospargere di liquido infiammabile il motore del su citato cancello, al fine di favorire l'associazione a delinquere di stampo mafioso di cui ai capi precedenti. In Carini nel mese di luglio 2003 4) Omissis PULIZZI Gaspare, e (Lo Duca Giuseppe, Covello Giulio separatamente giudicati (in concorso con Di Maggio Antonino, per cui si procede separatamente) 5) per i delitti di danneggiamento aggravato e tentata estorsione in concorso (p. e p. dagli artt. 110, 635, 629 cpv. cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991 n.203) per avere, in concorso fra loro e con persone allo stato ignote. danneggiato la ditta di GELARDI Salvatore, esplodendo tre colpi di arma da fuoco contro le vetrate della ditta individuale dello stesso GELARDI, in atti generalizzato, con ciò compiendo atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere GELARDI 1 a rivolgersi ad altri associati mafiosi della famiglia di Carini per quantificare il prezzo dell' estorsione ai suoi danni, e ciò al fine di procurare un ingiusto profitto a se stessi ed all'organizzazione denominata Cosa Nostra. A Carini nel mese di luglio 2003 6) per il delitto di detenzione e porto d'armi aggravati in concorso (p. e p. dagli artt. 110 cod. pen., 2 , 4 e 7 legge 8965167 e succo mod., 61 n. 2 cod. peno e 7 legge 203191) per avere. in concorso tra loro, ed al fine di commettere il delitto di cui al capo precedente e di agevolare l'attività dell'associazione a delinquere di stampo mafioso denominata Cosa Nostra, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico armi comuni da sparo e le munizioni a queste relative. A Carini nel mese di luglio 2003 7) per il delitto di danneggiamento aggravato in concorso (p. e p. dagli artt. 110,635 cod. pen. e art.7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 conv. nella legge 12 luglio 1991 n. 203) per avere in concorso tra loro, effettuato il danneggiamento, mediante esplosione di tre colpi di arma da fuoco, di un cassonetto per la raccolta di rifiuti solidi urbani di proprietà del comune di Carini, al fine di verificare il corretto funzionamento dell'arma nella disponibilità dell'associazione per delinquere di stampo mafioso di cui ai capi precedenti. A Carini nel mese di luglio 2003 8) Omissis 9) Omissis 10) Omissis 11) Omissis 11) Omissis 13) Omissis DI NAPOLI Pietro, in concorso con Conigliaro Angelo cl. 35, Lo Piccolo Salvatore, Di Maggio Antonino, Pipitone Vincenzo, Pipitone G. Battista e Vallelunga Vincenzo, per i quali si procede separatamente: 14) per il delitto di tentata estorsione aggravata e continuata in concorso (p. e p. dagli artt. 110, 56, 629 comma I1 cod. pen. in relazione all'art. 628 comma I1 n. 3, C.P. e art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203) per avere, in concorso fra loro, posto in essere atti idonei, consistiti nel manifestare la propria appartenenza all'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, e nella utilizzazione della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo relativo alla predetta organizzazione, diretti in modo non equivoco a costringere l'imprenditore BILLECI Giovanni, in qualità di amministratore unico della FALCONARA S.r.l., a consegnare loro quantomeno 500 milioni di lire, al fine di procurare a sé stessi ed all'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra un ingiusto profitto, e ciò in relazione alla realizzazione di un complesso residenziale da sorgere nella c.da Piraineto, località Marina Longa di Carini. A Carini nel mese di settembre 2003; 15) Omissis GALLINA Angelo, in concorso con Altadonna Lorenzo, Conigliaro Angelo (CI. 35), Pipitone Vincenzo, Vallelunga Vincenzo, Pipitone G. Battista e Palazzo10 Vito Roberto per i quali si procede separatamente. 16) per il delitto di riciclaggio aggravato in concorso e impiego di denaro di provenienza illecita (artt. 81 cpv., 1 10, 648 bis e 648 ter cod. pen., e art. 7 D.L. 13 maggio 1991. n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203) per avere Gallina Angelo, Pipitone Vincenzo, Conigliaro Angelo, Vallelunga Angelo e Pipitone G. Battista, tutti esponenti della famiglia mafiosa di Carini, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in concorso fra loro, trasferito ad Altadonna Lorenzo, anch' egli concorrente nel reato, denaro, beni ed altre utilita provenienti da delitti connessi alle illecite attività dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra: denaro ed utilita poi impiegati da Altadonna Lorenzo in attività economiche, tra cui l'acquisto di vari appezzamenti di terreno. Tutto ciò, in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro e delle utilita medesime, ed al fine di agevolare l'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata Cosa Nostra. In Carini sino al mese di dicembre 2003. 17) Omissis 18) Omissis 19) Omissis 20) Omissis 21) Omissis 22) Omissis 23) Omissis 24) Omissis 25) Omissis 26) Omissis BIONDO Carmelo e (Gottuso Salvatore separatamente giudicato). 27) per n delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. 629 co. I1 cod. pen. in relazione al n. 3 co. I1 dell'art. 628 cod. pen e art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 conv. nella legge 12 luglio 1991 n. 203, per avere, in concorso fra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante minacce consistite nel manifestare la propria appartenenza all'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra ed in virtù della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo relativo alla predetta organizzazione, costretto CARUSO Cristofaro, nato a Palermo il 26.3.1949, a procurare a loro ed alla famiglia mafiosa di S. Lorenzo un ingiusto profitto, consistente nel prezzo richiesto ed ottenuto di sei milioni di lire annui. In particolare: BIONDO Carmelo quale percettore della somma di denaro corrispondente a sei milioni di lire l'anno, in quanto appartenente alla famiglia mafiosa di S. Lorenzo ed in riferimento al punto di vendita del CARUSO ubicato in questo viale Strasburgo, 176: Gottuso Salvatore, quale mediatore tra la parte offesa e BIONDO Carmelo sopra citato. In Palermo sino al 29 luglio l998 28) Omissis 29) Omissis 30) Omissis CONCLUSIONI DELLE PARTI I1 Procuratore Generale conclude chiedendo: per Pulizzi Gaspare la rideterminazione della pena nella misura che la Corte riterrà opportuna; per Biondo Carmelo la conferma della sentenza di primo grado operando eventualmente quell'aumento della pena per continuazione già applicata dalla Corte di Appello di Palermo; per Di Napoli Pietro e Gallina Angelo la conferma della sentenza di primo grado. I difensori delle Parti Civili di seguito riportati hanno concluso come da comparsa che depositano unitamente alla nota spese: - Avv. Salvatore Caradonna nell'interesse di "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane" nonché quale sostituto processuale dell'Avv. Forello nell'interesse di ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. "COMITATO ADDIOPIZZO" . - Avv. Davide Martorana, quale sostituto processuale dell'avv. F. M. Amato, nell'interesse di S.O.S. IMPRESA PALERMO; nonché dellqAvv.G. Fabio Lanfranca nell'interesse di Confcommercio Palermo A w . Giovanni Lo Nigro nell'interesse della PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO L'Avv. Emilia Caruso - sostituto processuale dell'avv. Valeria Maffei nell'interesse di Pulizzi Gaspare conclude chiedendo l'applicazione della pena nel minimo. L'Avv. Giovanni Napoli - nell'interesse di Di Napoli Pietro conclude chiedendone I'assoluzione. L'Avv. A. Reina - nell'interesse di Di Napoli Pietro conclude chiedendone l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato. L'Avv. Filippo Gallina - nell'interesse di Biondo Carmelo conclude chiedendone I'assoluzione per non aver commesso il fatto. L'Aw. Gioacchino Sbacchi - nell'interesse di Gallina Angelo conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di appello. MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza del 7 agosto 2008 il GUP del Tribunale di Palermo, nell'ambito di complesso ed articolato procedimento penale riguardante le posizioni di numerosi altri imputati che non rilevano nel presente giudizio di rinvio, dichiarava Biondo Carmelo, Piero Di Napoli e Pulizzi Gaspare colpevoli di tutti i delitti loro rispettivamente contestati e Gallina Angelo colpevole del solo delitto di associazione di stampo mafioso a lui contestato al capo l ) , ed esclusa per Pulizzi Gaspare la fattispecie di cui al I1 co. dell'art. 416 bis cod. pen. e concessa allo stesso l'attenuante di cui all'art. 8 della legge 203/91, valutata equivalente alle aggravanti allo stesso ascritte e unificati per continuazione i reati allo stesso ascritti, tenuto conto della diminuente per il rito, condannava, con la riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato: 1) Biondo Carmelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 1.400,OO di multa; 2) Gallina Angelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione; 3) Pulizzi Gaspare alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione; 4) Di Napoli Pietro alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 800,OO di multa. Condannava tutti i predetti in solido al pagamento delle spese processuali, e ciascuno a quelle di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. Dichiarava, altresì, Biondo Carmelo, Gallina Angelo e Pulizzi Gaspare interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante la pena, Di Napoli Pietro interdetto dai pubblici uffici per anni cinque. Applicava la misura di sicurezza della libertà vigilata per anno uno nei confronti di Gallina Angelo e Pulizzi Gaspare. Assolveva, invece, Gallina Angelo dal reato di cui al capo 16) della rubrica perché il fatto non sussiste. Condannava Di Napoli, Gallina e Pulizzi in solido al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Comune di Carini, per la cui liquidazione rimetteva le parti davanti al giudice civile competente. Condannava, inoltre, i predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali in 10 favore della predetta parte civile, liquidate in complessivi euro 5.625,OO oltre IVA e CPA. Condannava, ancora, Biondo Carmelo, Di Napoli Pietro, Gallina Angelo e Pulizzi Gaspare in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Associazione Comitato Addio Pizzo, Associazione F.A.I., Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo, e Provincia Regionale di Palermo, per la cui liquidazione rimetteva le parti davanti al giudice civile competente. Condannava, infine, i predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna delle predette parti civili che liquidava in complessivi euro 5.625,00 per ciascuno oltre IVA e CPA. Con sentenza del 15 luglio 2010 la Corte di Appello di Palermo confermava integralmente la sentenza di l o grado emessa nei confronti degli imputati Gallina, Di Napoli e Pulizzi e, con riguardo alla posizione di Biondo Carmelo, in parziale riforma della impugnata sentenza, dichiarava unificato per continuazione il reato ascritto a detto imputato nel presente procedimento (capo 27 della rubrica) con quelli per i quali lo stesso Biondo aveva riportato condanna con sentenza della Corte di Appello di Palermo dell'l l ottobre 2003, irrevocabile l'l luglio 2004 e, ritenuto più grave il delitto di estorsione aggravata giudicato con tale ultima sentenza, elevava la pena già inflittagli di anni tre di reclusione ed euro 600,OO di multa, rideterminando la pena complessiva in anni dodici, mesi quattro di reclusione ed euro 1.800,OO di multa. Con le citate sentenze era stata, fra l'altro, affermata la penale responsabilità del Biondo in ordine al reato di estorsione aggravata di cui al capo 27) della rubrica, essendo stato detto imputato, alla stregua del contenuto di intercettazioni ambientali in atti, corroborato d a accertamenti di p.g. e dalle dichiarazioni di collaboranti quanto al soprannome con cui il Biondo era conosciuto nell'ambiente di Cosa Nostra, individuato come l'associato mafioso incaricato di trasmettere alla famiglia mafiosa di San Lorenzo e ad altre famiglie nel cui territorio insistevano gli esercizi commerciali di Caruso Cristofaro il pizzo d a quest'ultimo versato a Gottuso Salvatore (altro associato mafioso la cui posizione è stata definita con sentenza irrevocabile che ne h a riconosciuto la penale responsabilità per il medesimo fatto oggi in esame, essendo stato individuato, per l'appunto, come il soggetto che riceveva il pizzo dall'imprenditore commerciale summenzionato prowedendo poi a smistarlo alla famiglia di San Lorenzo). Punto nodale della vicenda processuale riguardante l'imputato era stato quello costituito dalla possibilità di identificare il Biondo Carrnelo con il soprannome di "Carmilazzu o Carmelazzo" con cui era appellato per l'appunto il soggetto incaricato della ricezione del pizzo come risultava da intercettazioni ambientali di conversazioni fra il Gottuso ed altro soggetto captate all'interno del deposito del primo. I giudici di merito osservavano che l'individuazione dell'imputato come il "Carmila~zu'~, che aveva fornito u n contributo essenziale al recapito finale dei pagamenti alla famiglia mafiosa di San Lorenzo, discendeva da molteplici elementi. In primo luogo l'imputato risultava essere stato già condannato, con sentenza definitiva, per il delitto di cui all'art. 416 bis C.P., come soggetto appartenente alla famiglia di San Lorenzo, addetto proprio al settore delle estorsioni, risultando essere stato indicato con il soprannome summenzionato anche in altre intercettazioni, effettuate ed acquisite in altro procedimento. In secondo luogo, nel corso di una conversazione intercettata fra il Gottuso ed il Maltese il primo, nel medesimo contesto discorsivo riguardante la rievocazione delle modalità di smistamento del pizzo versato dal Caruso chiedeva al secondo "quando è stato arrestato Carmelo?", circostanza questa senza dubbio significativa perché dai precedenti penitenziari effettivamente avesse dell'imputato subito, a emergeva partire dal che luglio lo stesso 1998, vari provvedimenti restrittivi, essendo però in libertà nel periodo oggetto di contestazione al capo 27. I collaboratori di giustizia Antonino Nuccio e Francesco Franzese avevano infine reso dichiarazioni che vieppiù contribuivano a rafforzare il convincimento in ordine alla giustezza della compiuta identificazione: Nuccio, pur non riconoscendo in foto l'imputato, ne aveva immediatamente ricordato il nome, Carmelo Biondo, dichiarando che il predetto era noto con il soprannome di "Carmilazzu", per via della sua stazza corpulenta; Franzese affermando che il soprannome del Biondo era "Carmelazzo" e che, per quanto a sua conoscenza, solo Carmelo Biondo era noto nell'ambiente mafioso con tale soprannome. Peraltro, osservano da ultimo i giudici di merito, a conferma della prospettazione accusatoria, erano state acquisite altre intercettazioni, diverse da quelle in cui si parlava del citato "Carmilazzu" ma risalenti allo stesso periodo, nel corso delle quali Musso, Gottuso e Di Napoli discutevano di Biondo Carmelo come di una loro comune, consolidata conoscenza. Con riguardo alla posizione di Gallina Angelo lo stesso era stato dal primo giudice ritenuto responsabile del delitto di associazione mafiosa di cui al capo 1 della rubrica (per avere fatto parte, in seno alla famiglia mafiosa di Carini, della fazione riconducibile ai componenti della famiglia di sangue Gallina, contrapposta a quella dei Pipitone) mentre era stato assolto dal reato di riciclaggio aggravato di cui al capo 16 della rubrica (per avere, in concorso con altri, trasferito ad Altadonna Lorenzo, denaro, beni ed altre utilità provenienti d a delitti connessi alle illecite attività dell'associazione mafiosa Cosa Nostra: denaro ed utilità poi impiegati da Altadonna Lorenzo in attività economiche, fra cui l'acquisto di vari appezzamenti di terreno). Quanto a117imputazione di cui al capo 1, il Gup aveva individuato nell'imputato u n altro affiliato a Cosa Nostra nell'ambito della famiglia di Carini, in u n a fazione entrata in conflitto con la reggenza dei Pipitone - Di Maggio. Rilevava il primo decidente che di Angelo Gallina aveva riferito come uomo d'onore, innanzi tutto, il collaboratore di giustizia Gaspare hlizzi, che del medesimo sodalizio mafioso aveva fatto parte, a poco rilevando peraltro che altri collaboratori di giustizia, Nuccio e Franzese, pur appartenenti al medesimo mandamento all'epoca capeggiato dai Lo Piccolo, avessero invece dichiarato di non conoscerlo, essendo stati acquisiti aliunde elementi di prova in grado di corroborare la chiamata in correità operata dal Pulizzi. Ed invero, dal contenuto di talune intercettazioni acquisite al procedimento intercorse fra i coimputati Lo Duca e Passalacqua, era emerso che il Gallina aveva avuto motivi di contrasto, più o meno recenti, con lo stesso Lo Duca (relativi alla proposta di acquisto di animali, a diritti di pascolo violati ed a crediti millantati), che avevano provocato pure u n tentativo di componimento d a parte di Angelo Conigliaro, importante esponente del sodalizio mafioso carinese. L'imputato, a dire di Lo Duca, aveva osato non tenere in alcuna considerazione l'intervento del predetto anziano uomo d'onore, consigliere del reggente di Carini, Pipitone Vincenzo. Nel rievocare la questione insieme al suo sodale Passalacqua, il Lo Duca aveva collocato tali contrasti nell'ambito dell'antica contrapposizione che vedeva schierati d a anni - s u fronti opposti - i Gallina ed i Pipitone, ed aveva indirettamente incluso l'imputato nella fazione awersa. Episodi ancora più gravi e recenti accuse di furto mosse da altro appartenente alla fazione dei Gallina avevano poi causato un'ulteriore recrudescenza nell'annosa lotta interna fra i componenti della cosca di Carini. Osservava il giudice di prime cure che il Lo Duca, nel corso della conversazione intercettata, aveva annoverato l'imputato fra i vecchi rivali dei suoi congiunti, ed aveva poi richiesto l'intervento del reggente Enzo Pipitone. Ciò dimostrava che Angelo Gallina doveva godere di u n suo personale spessore mafioso nel territorio, circostanza peraltro desumibile dal fatto d'essere stato in grado di sostenere il confronto con gli associati Pallalacqua e Lo Duca, figli di importanti uomini d'onore in quel momento detenuti (Matteo Lo Duca e Calogero Giovanni Battista Passalacqua detto "Battistone") ed anche con l'anziano consigliere di Pipitone Vincenzo, Angelo Conigliaro. Ulteriori commenti registrati nelle intercettazioni si riferivano al fatto che i Pipitone spesso non erano riusciti a risolvere le questioni sollevate dai Gallina, così evidenziando come questi ultimi potessero contare, all'interno di Cosa Nostra, di protezioni ai livelli più alti e convalidando ulteriormente le indicazioni di Pulizzi sulla qualità di uomo d'onore della famiglia di Carini attribuita ad Angelo Gallina. Secondo il GUP argomenti convergenti con le dichiarazioni del collaborante potevano trarsi anche dalla vicenda cd. Altadonna, nonostante lo stesso giudicante fosse giunto alla conclusione di assolvere l'imputato dalla specifica contestazione di cui al capo 16).Le indagini avevano, infatti, posto in evidenza l'esistenza di una complessa operazione di speculazione immobiliare ed imprenditoriale concepita e portata avanti dai più elevati esponenti della mafia di Carini, con la decisiva collaborazione del costruttore Lorenzo Altadonna. Gli elementi acquisiti al processo, stante il contenuto non univoco delle conversazioni intercettate, non avevano però sciolto il dubbio se il Gallina fosse stato uno dei soggetti che aveva messo a disposizione di Altadonna denaro di illecita provenienza per prowedere all'investimento d e quo oppure, tenuto conto anche delle dichiarazioni del Pulizzi che aveva descritto il Gallina come mezzadro sui terreni inglobati nel progetto Altadonna, dovesse ritenersi che le cifre indicate nei colloqui intercettati corrispondevano al valore di diritti reali vantati dall'odierno appellante, sin da epoca antecedente al varo dell'operazione speculativa, sui terreni poi ricompresi dal progetto. Anche accedendo a tale ultima ipotesi non poteva peraltro dubitarsi, secondo il giudice di prime cure, che, essendo stato in grado il Gallina di difendere energicamente interessi e prerogative individuali nell'ambito di u n a vicenda speculativa di primaria importanza per il sodalizio carinese, lo stesso era stato chiamato ad agire nello stesso contesto, ed a trattare, da pari a pari, con altri uomini d'onore di Carini, sulla base di regole comuni, nel rispetto di principi gerarchici, fruendo di una considerazione che non era stata attribuita a nessuno degli interlocutori coinvolti. Se quindi è vero che, quando era stato richiesto l'intervento dei vertici del sodalizio carinese per dirimere una questione che vedeva contrapposto il Gallina ad altri sodali, il primo non era stato ammesso a partecipare alla riunione mafiosa presso la Locanda San Giorgio, tale circostanza doveva essere letta in relazione al diverso peso di quest'ultimo in seno alla consorteria, evidentemente non piu paragonabile a quello vantato dai Gallina all'epoca in cui Totò Gallina era il reggente della famiglia di Carini. Con riguardo alla posizione di Pulizzi Gaspare, lo stesso era stato dal primo giudice ritenuto responsabile del delitto di associazione mafiosa di cui al capo 1 della rubrica, di tre episodi di danneggiamento aggravato (uno tentato e due consumati) e di detenzione e porto d'armi da sparo. I1 primo giudice metteva in luce il duplice ruolo del Pulizzi nel presente processo: quello di imputato e quello di accusatore, evidenziando il valore delle dichiarazioni rese dallo stesso nella ricostruzione delle vicende descritte nei capi di imputazione. Dal coacervo probatorio in atti il primo giudice ha desunto u n grado di compenetrazione tale da far affermare che il Pulizzi era stabilmente inserito nella organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ancora prima della poi sopravvenuta affiliazione formale, con compiti precipui, funzionali per l'esistenza ed il rafforzamento dell'associazione, orientati sotto il profilo causale ed attuati con la consapevole volontà di far parte della famiglia retta prima da G.B. Pipitone e poi d a suo fratello Enzo. Quanto alla pena, il primo giudice riteneva congrua la pena finale di anni 5 e mesi due di reclusione, così calcolata: pena base, tenuto conto del giudizio di equivalenza fra art. 8 L. 203191 e contestate aggravanti, e muovendo quindi dalla pena prevista dal primo comma dell'art. 416 bis C.P., esclusa la fattispecie del comma secondo = anni 5 e mesi quattro di reclusione, aumentata ex art. 8 1 cpv C.P. di mesi otto di reclusione (per il tentativo di estorsione), di anno uno (per i delitti in materia di armi), e di ulteriori tre mesi per ciascuna delle ipotesi di danneggiamento, fino ad u n totale di anni sette e mesi nove di reclusione, da ridurre di u n terzo per il rito. Con riguardo alla posizione di Di Napoli Pietro, lo stesso era stato dal primo giudice ritenuto responsabile del delitto di tentata estorsione aggravata di cui al capo 14) della rubrica, alla stregua di u n materiale probatorio costituito dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Pulizzi, e d a numerose intercettazioni telefoniche. I1 primo giudice, dopo aver rilevato che il Di Napoli e soggetto già riconosciuto, con sentenza divenuta irrevocabile, quale esponente di vertice di Cosa Nostra del mandamento Noce-Cruillas, nonché autore di plurime estorsioni aggravate, accertate con sentenze parimenti irrevocabili, con riguardo all'episodio estorsivo in contestazione h a evidenziato come questi, fin dal momento della sua scarcerazione, avvenuta nel luglio 2003, si era attivato al fine di garantire la "messa a posto" dell'imprenditore Giovanni Billeci con il vertice della famiglia mafiosa di Carini, Pipitone Vincenzo, in relazione al progetto relativo alla realizzazione del complesso edilizio ubicato in località Marina Longa di Piraineto. Awerso tale sentenza proponeva appello l'imputato, a mezzo del suo difensore, dolendosi del fatto che era stato condannato per u n presunto episodio estorsivo, in forma tentata, mentre dagli atti emergeva che la condotta tenuta non aveva comunque superato la soglia de117ideazione,difettando pertanto il presupposto della punibilità. Ed invero, mancava la prova che, grazie all'intervento del Di Napoli, il Pipitone avesse accertato la controfferta sulla tangente da versare. In ogni caso, gli accordi in questione erano soggetti a condizioni legate alla effettiva realizzazione del progetto, che in realtà non si era awerata. Il Di Napoli non aveva comunque posto in essere u n a condotta causalmente rilevante, poiché egli era intervenuto dopo che i Pipitone della famiglia di Carini avevano richiesto la tangente. Da ultimo veniva evidenziato come mancasse comunque l'elemento soggettivo del reato, in quanto il compito era stato quello di attenuare l'onere del Billeci che proprio per questo si era al Di Napoli rivolto. Con sentenza del 25 gennaio 2012, la Corte di Cassazione, pronunciandosi sui ricorsi degli odierni imputati e di numerosi altri la cui posizione non rileva nel presente giudizio, annullava la sentenza resa in data 15 luglio 2010 dalla Corte di Appello di Palermo nei confronti di Biondo Carmelo, Di Napoli Pietro, Gallina Angelo e hlizzi Gaspare, per quest7ultimo limitatamente alla misura della pena, rinviando per u n nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Nel presente giudizio di rinvio, all'udienza del 20 giugno 2012, dopo la relazione della causa e le conclusioni delle parti, la Corte decideva come da dispositivo di cui il Presidente dava immediata lettura. ******* 1. Esaminando per prima la posizione di Biondo Carmelo va osservato che la Corte di legittimità, dopo avere esaminato i relativi motivi di ricorso con cui, sulla falsariga di quelli di appello, è stata dedotta la violazione dei criteri di cui all'art. 192 C.P.P. avendo i giudici di merito fondato il giudizio di penale responsabilità s u u n elemento non certo, ossia sulla identificazione dell'imputato nel "Carmilazzu", più volte richiamato nei dialoghi intercettati nel magazzino del Gottuso, ne h a rawisato la fondatezza. Al riguardo i giudici di legittimità hanno osservato come, essendo il ricorso, al pari dell'appello, incentrato sulla identificazione dell'imputato tratta d a intercettazioni svoltesi fra terze persone cui l'imputato non aveva partecipato, la sentenza impugnata non avesse risposto alle obbiezioni difensive, non avendo tenuto nel debito conto e non avendo spiegato, al di là di ogni dubbio, il motivo per cui il dispregiativo del prenome sopra citato dovesse riferirsi esclusivamente al Biondo, tanto più che con lo stesso appellativo, come evidenziato dalla difesa, era indicato anche u n altro appartenente alla cosca, certo Militano Carmelo, dedito anch'esso ad attivitz estorsiva. Né poteva ritenersi fondata l'affermazione della Corte di merito che aveva escluso come tale omonimia rendesse dubbia la identificazione in proposito essendo stata rimarcato il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Franzese che aveva negato che al Militano si potesse riferire il nome nella suddetta forma distorta. Ed invero, tale ragionamento si appalesava fallace se non altro perché il detto Franzese, per come ammesso dalla stessa Corte, aveva dimostrato di non possedere con riguardo al Biondo sicuri elementi di conoscenza, avendo riferito elementi circostanziali sul conto dello stesso risultati erronei. Infatti, al Biondo era stata attribuita dal Franzese un'attività lavorativa mai svolta, e tale errore non poteva certo ritenersi irrilevante avendo fatto venir meno u n valido riscontro esterno individualizzante, in presenza di u n mero soprannome, posseduto da più soggetti e come tale di dubbia valenza. Né tale lacuna argomentativa poteva essere colmata alla stregua di altri elementi probatori. Quanto alla indicazione del collaboratore di giustizia Nuccio sul medesimo nome, la valenza probatoria della medesima appariva contraddetta dal mancato riconoscimento fotografico del Biondo non avendo spiegato la sentenza della Corte di merito le ragioni della irrilevanza di tale discrasia, che pure avrebbe dovuto sollevare dubbi sulla fonte e sul potenziale riscontro al Franzese. Vero è poi che nella sentenza impugnata risultavano valorizzate due conversazioni in cui gli aderenti alla cosca di San Lorenzo indicavano come loro conoscente e presumibilmente quale appartenente alla consorteria "Carmelo Biondo". E' però altrettanto vero, notano i giudici di legittimità, che l'ambito dei discorsi nel corso dei quali il Biondo veniva esplicitamente citato non contiene riferimenti specifici o individualizzanti rispetto alla vicenda di cui al capo 27 de117epigrafe e pertanto non si risolve in conferma dell'esplicita indicazione di Camzitazzu, quale soggetto collettore dell'estorsione in danno di Caruso. Concludevano i giudici di legittimità osservando come anche la vicenda ricostruita nel dialogo fra Gottuso e Maltese, dalla quale dovrebbe ricavarsi una coincidenza fra l'arresto del Carmilazzu, di cui parlano gli interlocutori, ed una carcerazione del Biondo, non risolva il nodo della identificazione rimanendo pur sempre u n a deduzione che il Biondo sia effettivamente quel Carmilazzu che si era intromesso nella iniziale messa a posto del Caruso, mentre avrebbe avuto valenza centrale come riscontro se anche tutti gli altri argomenti avessero portato al Biondo, quale unico utilizzatore di tale prenome. Le indicate aporie pertanto imponevano, secondo i giudici di legittimità, u n a nuova valutazione degli elementi in atti da parte di altra sezione della Corte di Appello di Palermo cui è demandato il compito di procedere ad u n nuovo esame della "catena inferenziale alla luce dei rilievi formulat?' e di "acclarare la riferibilità del soprannome dell'imputato e la consequenziale sua intromissione nel fatto estorsivo per cui è processon. * Osserva la Corte come debbano senz'altro condividersi, in primo luogo, i dubbi manifestati dalla Corte di legittimità in ordine alla effettiva valenza probatoria delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Nuccio e Franzese, i quali hanno attribuito al Biondo l'appellativo di Carmilazzu. Ed invero, nel rilevare in via preliminare come tale appellativo, lungi dall'attagliarsi in modo esclusivo alla persona del Biondo, è assai comunemente usato in Sicilia, specie nelle frange più popolari, nei confronti di soggetti di nome Carmelo e di corporatura robusta, non vi e dubbio alcuno che entrambe le dichiarazioni dei prefati collaboranti appaiono generiche e non sufficientemente rilevanti in relazione del thema decidendum. Quanto al Nuccio, va osservato come il collaborante, oltre a non riconoscere fotograficamente l'imputato, nulla sia stato in grado di indicare in ordine alla pregressa conoscenza con quest7ultimo owero a rapporti a fatti specifici riguardanti lo stesso, non avendo peraltro omesso di precisare il dichiarante che la s u a era una conoscenza superficiale ("lo conosco di vista"), con la conseguenza che il riferimento al dispregiativo in discussione si manifesta privo di qualsivoglia rilevanza specie se si considera come lo stesso dichiarante, a precisa domanda del PM che gli chiedeva se fosse a conoscenza di altri soggetti appellati con il nomignolo in discussione, abbia manifestato la possibilità che altro uomo d'onore della zona, Carmelo Militano, lo fosse. M a se così è non vi è dubbio che, non spiegando la sentenza impugnata, al di là di ogni dubbio, ne potendo desumersi aliunde che il dispregiativo in questione si riferisca esclusivamente al Biondo, né come si è visto potendosi desumere tale circostanza dalle dichiarazioni citate, prive peraltro di qualsivoglia valenza individualizzante nei confronti dell'imputato e del fatto di reato a lui addebitato, va ancora u n a volta verificato se significativi elementi al riguardo possano o meno trarsi dalle intercettazioni in atti, se cioè da queste possa desumersi con sicurezza che fosse l'odierno imputato il "Carnelo...Camilazzu" indicato nella conversazioni svoltesi nel 2004 presso il deposito del Gottuso come il soggetto che in anni passati, e comunque sino al luglio 1998, era il collettore del pizzo corrisposto dal commerciante Cristofaro Caruso in unica soluzione per più esercizi commerciali ubicati in diverse zone della città di Palermo e di competenza pertanto di più famiglie mafiose, oltre che di quella di San Lorenzo. Secondo i giudici di prime cure e di appello particolare rilevanza al riguardo rivestirebbe la conversazione del 6 febbraio 2004 h. 17,24 intercettata fra Maltese Umberto, esponente mafioso del mandamento della Noce, e Gottuso Salvatore nel corso della quale quest7ultimo, prendendo spunto da talune lamentele fattegli nuovo reggente del da Di Napoli Pietro, summenzionato sodalizio, circa il mancato pagamento d a parte del Caruso del pizzo dovuto in relazione ad u n esercizio commerciale ubicato nella sua zona di competenza, rammentava come nel periodo in discussione fosse tale Carmilazzu il soggetto che avrebbe dovuto prowedere a smistare quanto dovuto alla famiglia della Noce, immediatamente dopo chiedendo al suo interlocutore quando fosse stato arrestato "Carmelo" ("Oggi c'è stato un discorso di u n amico, ore è venuto Pierino, è stato dieci minuti e se n'è andato, mi ha guardato (incomprensibile), io difendo le persone quando è giusto dvenderle ! "C'è uno che mi dava i soldi ... mi d à i soldi è da dieci anni che mi d a i soldi e li porto a San Lorenzo, c'è stato u n discorso ed io gli ho detto: "vedi che è u n amico Pien, statti calmo perché questo cristiano è una persona educata, è un amico ed io l'ho fatto perché è venuto Carmiluzzu allora, quant'è che è stato arrestato Carmelo Y'). E poiché in altra conversazione intercettata fra i mafiosi Landolina e Vitrano i due interlocutori indicavano contestualmente in "Biondo, Carmilazzu" il soggetto che era stato incaricato del170ccultamento di talune armi mentre il riferimento compiuto dal Gottuso al lasso temporale in cui il "Carmelo, Carmilazzu* assolveva al compito di collettore del pizzo coincideva con il momento in cui il Biondo era stato tratto in arresto (29.7.1998), dal coacervo di tali elementi (e come si è detto anche dalle dichiarazioni del Franzese e del Nuccio) dovrebbe trarsi il convincimento che era effettivamente il Biondo (soggetto tratto in arresto perché dedito alla consumazione di estorsioni per conto della famiglia di San Lorenzo) il soggetto in questione. Né, come affermato dalla difesa, poteva ritenersi che il "Carmila~zu'~ in questione potesse identificarsi in Militano Carmelo, apparendo incongrua tale identificazione con riferimento al ruolo mafioso di vertice da tale soggetto assunto nella famiglia dello ZEN, quale si desume dagli atti del processo "Piana Dei Colli", essendo con ogni evidenza tale ruolo inconciliabile con il compito di esattore per la famiglia di San Lorenzo svolto nella vicenda in esame dal "Carmelazzu", del tutto consono invece a quello svolto dal170dierno appellante a117interno di Cosa Nostra, in epoca peraltro coeva a quella dell'odierna contestazione, come si desume dalla sentenza definitiva a carico dello stesso acquisita al presente processo. Osserva la Corte come alla stregua dei parametri valutativi stabiliti dalla Suprema Corte, che questo giudice del rinvio ritiene peraltro effettivamente conformi alle risultanze processuali, ben poco rilievo può in realtà attribuirsi alla asserita coincidenza tra l'arresto del Carmilazzu, di cui parlano il Maltese ed il Gottuso, e la carcerazione del Biondo, rimanendo "pur sempre una deduzione che egli sia il Carmelazzu che si è intromesso nella iniziale messa a posto del Caruso, mentre avrebbe valenza centrale come riscontro se anche tutti gli altri argomenti portassero al Biondo, quale unico utilizzatore di detto prenome". In altri termini, a ben poco rileva la circostanza che, alla stregua delle considerazioni espresse dai primi giudici, possa o meno escludersi che il soggetto collettore del pizzo corrisposto dal Caruso possa o meno identificarsi in Carmelo Militano, quel che rileva è che la pur rilevante coincidenza fra l'epoca in cui i fatti in contestazione hanno avuto luogo e la sopravvenuta carcerazione dell'imputato non è né può essere il dato che, al di là di ogni ragionevole dubbio, consente di chiarire se il Carmilazzu indicato nelle intercettazioni sia il Biondo, non potendo affatto escludersi che con tale nomignolo il Gottuso si riferisse ad altra persona. Se e vero, in definitiva, che gli elementi probatori acquisiti al processo fanno residuare forti elementi di sospetto a carico dell'imputato, deve però convenirsi che gli stessi non possano assurgere a prova certa della penale responsabilità dello stesso. In parziale riforma della impugnata sentenza Biondo Carrnelo va pertanto, ai sensi dell'art. 530 2" comma C.P.P., assolto dal reato ascrittogli al capo 27 della rubrica, per non avere commesso il fatto. 2. Prendendo in esame la posizione di Gallina Angelo, la Corte di legittimità ha premesso che "in tema di associazione di tipo mafioso, la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d'affari) ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici o in contesti territoriali ristretti, non costituiscono elementi di per sé sintomatici dell'appartenenza all'associazione, ma possono essere utilizzati come riscontri d a valutare ai sensi dell'art. 192, comma temo C.P.P., quando risultino qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati da necessario carattere individualizzante (Sez. 6A, sentenza n. 24469 del 5/5/2 009)". 4 Orbene, secondo i giudici di legittimità, tale principio di diritto non avrebbe trovato esatta e condivisibile applicazione nella sentenza impugnata essendosi il giudice di prime cure, come quello dell'impugnazione, mossi dalla premessa che il Gallina sarebbe inserito nel clan omonimo, composto da persone con cui l'appellante ha rapporti di parentela, sia perché tale lo ha definito il Pulizzi, sia perché implicato in vicende che lo avevano visto contrapposto ad altro esponente, certo Passalacqua, in quota al clan Di Maggio, e che avevano determinato una riunione tra i vertici associativi per comporre la questione. Ha però osservato la Corte di legittimità che gli elementi esposti dai giudici di merito, che si sono anche oltremodo dilungati nell'analisi di conversazioni che riguardano l'organizzazione e lo svolgimento di detta riunione, non integrano u n a serie indiziaria sicura. Ed invero non risulta chiarito se l'intervento conciliativo sia stato sollecitato dall'imputato (la cui parentela con i membri dell'omonimo clan dallo stesso giudice di prime cure viene definita lontana) oppure se a sollecitare il summit mafioso, cui l'imputato non h a con sicurezza preso parte, sia stata piuttosto la parte avversa come d'altronde è logico ritenere dal chiaro tenore delle conversazioni intercettate dalla cui lettura emerge significativamente che era stato il suo antagonista, cioè il Passalacqua, a chiedere l'intervento dei vertici del sodalizio. In ogni caso, a fronte di u n episodio che suscita perplessità sulla consapevolezza ed adesione del Gallina alla regola di sottomissione ed accettazione delle decisioni assunte nel contesto associativo, non risultano dal giudice di merito individuati specifici elementi individualizzanti, tanto più che tale non può catalogarsi la chiamata in reità del Pulizzi di per sé generica e non confortata da analoghe dichiarazioni dei collaboranti Franzese e Nuccio. Quanto poi alla vicenda Altadonna, ossia la vicenda dell'ipotetico riciclaggio, alla stessa non poteva dawero attribuirsi valenza alcuna posto che, a dire dello stesso primo giudice, dalla lettura di essa era impossibile desumere se l'imputato avesse agito a tutela di propri interessi leciti o se avesse aderito alla iniziativa illegale di altri sodali. Doveva peraltro reputarsi apodittica l'imputazione del comportamento tenuto dal prevenuto nella vicenda d e qua in relazione alla condotta associativa come sintomatico di u n presunto rispetto della gerarchia mafiosa, non risultando motivata sulla base di u n dato di fatto specifico ed anzi contraddetta dalla considerazione espressa dal primo giudice che ha reputato più verosimile che nella vicenda in questione il prevenuto h a piuttosto agito a tutela di interessi personali. Le rilevate pecche motivazionali imponevano in conclusione l'annullamento della sentenza in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte di merito palermitana chiamata, in forza dei dati di fatto raccolti, ad u n a nuova valutazione della serie indiziaria. Osserva la Corte come alla stregua dei parametri valutativi stabiliti dalla Suprema Corte, che questo giudice del rinvio ritiene peraltro effettivamente conformi alle risultanze processuali, ben poco rilievo assume innanzitutto, nel quadro della contrapposizione che in seno alla famiglia mafiosa di Carini si sarebbe creata fra il clan dei Gallina e quello dei Pipitone la figura dell'odierno appellante Angelo Gallina, apparendo evidente peraltro come i giudici di merito abbiano soprattutto trascurato di mettere a fuoco quello che sarebbe stato il ruolo svolto dal prevenuto in seno al locale sodalizio o, quantomeno, nella fazione di cui questo sarebbe stato parte. E' noto del resto come la condotta dell'agente per integrare gli elementi costitutivi del reato di partecipazione di tipo mafioso, debba avere, secondo u n ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, carattere "dinamico e funzionalisticon (cfr. la nota sentenza a S.U. Mannino del 12 luglio 2005), consistendo sul piano oggettivo nel contributo apprezzabile e concreto alla realizzazione dell'offesa tipica degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice. In altri termini, la condotta di partecipazione e riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale d a implicare, più che uno "statusn di appartenenza, u n ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parten al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass. sez. 1A , sentenza n. 1470 del 11/ 1212007). Ne consegue che in subiecta materia, al fine di accertare la sussistenza o meno de117adesione all'associazione di tipo mafioso e l'attualità della stessa, valore pregnante assumono i cd. facta concludentia, cioè i comportamenti, del più vario contenuto, che siano stati in grado di arrecare un apprezzabile contributo alla vita dell'organizzazione criminosa, denotando altresì la sussistenza del vincolo associativo. Nel caso in esame della presunta appartenenza dell'imputato alla cosca di Carini h a riferito peraltro il solo Gaspare Pulizzi che però, come sottoiineato dai giudici di legittimità, h a reso sul punto dichiarazioni assai generiche affermando, sulla base di notizie apprese d e relato e senza essere in grado di riferirne la fonte, che l'appellante sarebbe stato un vecchio uomo d'onore della famiglia di Carini sin da epoca precedente al suo ingresso nella consorteria, senza però essere in grado di menzionare anche u n solo fatto in grado di enuclearne il ruolo od il tipo di attività svolte in seno al sodalizio o, quantomeno, in seno alla fazione di esso di cui avrebbe fatto parte. Se pertanto della chiamata in correità proveniente dal Pulizzi, che avendo da ultimo rivestito anche il ruolo di reggente della cosca carinese ben sarebbe stato astrattamente in grado di riferire notizie più attuali e significative sul conto dell'imputato, può farsi relativo conto, essendo peraltro rimasta isolata e non corroborata da dichiarazioni di altri collaboranti, non provenendo da essa l'indicazione di specifici dati fattuali, occorre verificare se le rimanenti risultanze processuali siano idonee a rafforzare il sinora debolissimo quadro probatorio. Se infatti dal racconto del collaborante e lecito desumere che lo stesso, entrato a far parte della consorteria in tempi più recenti ed all'interno della fazione dominante dei Pipitone, potrebbe non essere stato a conoscenza di pregresse attività criminose dell'odierno appellante, legato da lontani vincoli parentali a quel Salvatore Gallina u n tempo ai vertici della cosca carinese, non esistono in atti nemmeno elementi in grado di attribuire contenuto concreto alla citata qualifica di uomo d'onore. Ed al riguardo deve riconoscersi che nessuna valenza probatoria in tal senso può essere attribuita alla vicenda riguardante la diatriba (per vicende relative alla proposta di acquisto di animali, a diritti di pascolo violati, a crediti millantati) fra l'odierno appellante e Giuseppe Lo Duca, soggetto la cui stabile compenetrazione in seno al sodalizio è stata ormai accertata con sentenza irrevocabile. Al riguardo e sufficiente rilevare come dalle intercettazioni in atti eseguite nei confronti di u n loquacissimo Lo Duca, che ai suoi interlocutori telefonici non esita a raccontare in modo particolareggiato di danneggiamenti strumentali a condotte estorsive da lui commessi agli ordini del capo cosca Di Maggio, altro non sia possibile evincere, quanto al Gallina, che questi, interpellato da Angelo Conigliaro (che su richiesta del Lo Duca era intervenuto per proporre u n bonario componimento della querelle summenzionata) non avrebbe tenuto in alcuna considerazione l'intervento di u n così autorevole anziano uomo d'onore, all'epoca consigliere del reggente di Carini, Vincenzo Pipitone. Secondo il primo giudice il "fatto stesso che Giuseppe Lo Duca aveva annoverato l'imputato fra i vecchi rivali dei suoi congiunti, ed aveva poi richiesto addirittura l'intervento del reggente Enzo Pipitone, evidenzia che Angelo Gallina doveva avere un suo personale spessore in quel territorio: e ciò al punto da essere in grado di sostenere il confronto con i figli di prestigiosi uomini d'onore (in quel momento Matteo Lo Duca e Calogero Passalacqua erano detenuti) e con l'anziano Angelo Conigliaro". In realtà, quel che evidenzia la vicenda in esame è semmai solo che il Gallina non aveva accettato la mediazione mafiosa proveniente d a u n soggetto facente parte del vertice mafioso carinese, non potendo evincersi certo d a tale condotta, dall'essersi rifiutato cioè di sottostare ai "consigli" del Conigliaro, la prova di una appartenenza allo schieramento avverso, ammesso e non concesso che in quel periodo dawero esistesse e fosse operante in opposizione alla fazione dominante. E di ciò è lecito dubitare, se e vero com7è vero che dalle compiute indagini (intercettazioni, servizi di appostamento) è emerso che Ferdinando Gallina, soggetto che sulla carta avrebbe dovuto capeggiare, mutuando una terminologia politica, lo schieramento di opposizione, non era stato nemmeno ammesso a partecipare a delle riunioni di mafia in cui si era discusso anche di questioni ben più significative di quella concernente la querelle fra Gallina e Lo Duca, in particolare quella riguardante talune accuse formulate nei confronti del Lo Duca e del Passalacqua relative a furti di bestiame commessi in danno del cognato di Bernardo Provenzano. Ora è indubbio, come osservato dalla Suprema Corte, che l'episodio in esame lungi dall'asseverare, sia pure in modo indiziario, la partecipazione di Angelo Gallina alla consorteria rende evidente come, in quel preciso momento storico, non esistesse una vera contrapposizione in seno al sodalizio carinese, facendo fortemente dubitare del fatto che l'odierno imputato possa avere avuto u n sia pur minimo ruolo, sia pure in seno aiia fazione minoritaria di questo. Ne, come precisato dalla Suprema Corte, può dimostrare il contrario la vicenda cd. Altadonna, riguardante u n a grande speculazione edilizia d a compiere nel territorio di Carini, cui sulla base di svariati colloqui intercettati era in qualche modo interessato il locale sodalizio mafioso. Se, infatti, come lo stesso primo giudice non ha mancato di rilevare "è possibile che le cifre indicate nei colloqui com'spondessero al valore di diritti reali vantati da Vallelunga e Gallina, sin da epoca antecedente al varo dell'operazione speculativa, su terreni poi ricompresi nel progetto", non si vede dawero come tale vicenda (dalle intercettazioni appare evidente la pretesa del Gallina di ottenere u n indennizzo in relazione a dei diritti di mezzadria vantati s u u n terreno facente parte del lotto interessato alla speculazione edilizia) possa essere dimostrativa di u n peso mafioso del prevenuto, non potendosi ancora u n a volta che rilevare come questi agisse a tutela di u n proprio diritto e non certo per il perseguimento di fini illeciti. In conclusione, può affermarsi con sicurezza che nella vicenda in esame l'unico, reale indizio a carico del prevenuto è costituito dalla chiamata in correità del Pulizzi, che pur provenendo da u n collaboratore di giustizia di comprovata attendibilità, si è rivelata nel caso in esame generica e non suscettibile di alcun valido riscontro individualizzante. In parziale riforma della impugnata sentenza Gallina Angelo va pertanto, ai sensi dell'art. 530 2" comma C.P.P., assolto dal reato ascrittogli al capo 1 della rubrica, perché il fatto non sussiste. 3. Prendendo in esame la posizione di Pulizzi Gaspare, il primo giudice ha ritenuto fondato il motivo di ricorso riguardante le modalità di riduzione della pena conseguente alla concessione della attenuante di cui a117art. 8 L. 203191 che ha la propria ragion d'essere nella volontà del legislatore di assicurare u n premio particolarmente significativo per la dissociazione cd. attuosa o collaborativa. Ha osservato la Suprema Corte che con la nota sentenza n. 10713 del 2010 è stato fissato il principio che l'attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa" non è soggetta a giudizio di bilanciamento fra circostanze. Tanto importa - hanno soggiunto i giudici di legittimità - che in presenza di attenuanti comuni soggette al giudizio previsto da117art. 69 C.P. e di quella speciale, sia seguita una sequenza di operazioni. Invero, al fine di coniugare premialità, personalizzazione e proporzionalità del trattamento sanzionatorio è necessaria che venga determinata la pena effettuando subito il giudizio di comparazione fra le attenuanti comuni e le aggravanti contestate e sul risultato che ne consegue sia poi applicata l'attenuante speciale. Non essendosi adeguati a tale criterio i giudici di merito, la pronunzia è stata annullata limitatamente a tale punto, con conseguente rinvio ad altra sezione della Corte di Appello. * Osserva la Corte che il principio di diritto fissato dalla nota sentenza S.U. n. 10713 del 25 febbraio 2010 richiamata nella sentenza di rinvio e il seguente: "Qualora sia riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dall'art. 8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e buon andamento dell'attività amministrativa) e ricorrono altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l'attenuante ad effetto speciale". Nel caso in esame, non risultando applicate circostanze attenuanti diverse da quella speciale in esame e dovendosi, comunque, dare corso, come disposto dalla Suprema Corte, ad u n a nuova determinazione della pena che, in concreto, tenga conto del rilevantissimo contributo fornito all'accertamento dei fatti dal hlizzi, la pena di anni cinque e mesi due di reclusione comminata dal primo giudice in ordine al reato di cui al capo 1) della rubrica va diminuita in ragione della prevalente attenuante speciale già concessa. La conseguente pena di anni 2 e mesi otto di reclusione, aumentata per continuazione, va diminuita in ragione del rito ad anni due e mesi sette di reclusione. 4. Prendendo in esame la posizione di Di Napoli Pietro, la Suprema Corte h a ritenuto fondato il ricorso "in punto di accertamento di configurazione della partecipazione dell'imput~to'~.Hanno osservato i giudici di legittimità come (al di là della questione circa la configurabilita del tentativo punibile, da reputarsi infondata non essendo stato validamente contestato il dato che la famiglia di Carini aveva esercitato pressioni sul costruttore per indurlo a pagare u n a tangente sulle costruende villette, al punto che era stato già di questa determinato un importo poi non corrisposto per soprawenuti impedimenti) i giudici di merito non avevano tenuto però nel giusto conto il fatto che il Di Napoli, intervenendo per ottenere u n a riduzione della tangente che il Billeci avrebbe dovuto pagare, l'aveva fatto, secondo la tesi difensiva non sufficientemente confutata, non per tornaconto personale, ma solo per aiutare l'estorto. Al riguardo i giudici di legittimità hanno osservato che, se pure è indubbio che la determinazione del quantum in nome dell'offeso, implica u n obiettivo contributo alla causazione dell'evento, perché si ravvisi il concorso di persone nel reato, e cioè si ritenga che l'azione descritta sia frutto di volontaria adesione alla condotta tipica altrui, è necessario, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, che "il soggetto passivo non abbia chiesto ausilio all'ipotizzato concorrente nel reato, o che gli abbia dato u n mandato di cui il mandatario abbia abusato, o almeno ne sia stato dissuaso dal sottrarsi alla minaccia" (cfr. S.U. Sormani, 22.1 1.O0 e Cass. 30080/2009). Nel caso di specie i giudici di merito non avevano offerto prova evidente in u n senso o nell'altro. Difatti il giudizio di responsabilità era stato fondato per u n verso sulle affermazioni dello stesso Di Napoli, che in una conversazione registrata si era offerto come garante del Billeci, in una posizione probatoriamente neutra, in quanto compatibile con entrambe le posizioni o di vessatore o di amico dell'imprenditore, mentre in altra animata discussione avuta con altro esponente mafioso aveva ribadito che il Billeci doveva pagare, non comprendendosi peraltro se si sia trattato di impegno o di espediente dialettico. Entrambe le conversazioni lasciavano aperto il tema della effettiva consapevolezza o meno del Billeci e quindi dell'apporto cosciente e volontario del Di Napoli. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, pur descrivendo analiticamente il contenuto delle prefate conversazioni, non si era soffermata sulla evidenziata amicizia fra la vittima ed il presunto estorsore, pure risultante 1 dalla dichiarazione di Gaspare hlizzi. Ne poteva considerarsi adeguata la motivazione della responsabilità desunta dall'atteggiamento del Di Y Napoli che aveva invitato l'imprenditore a pagare, perché il nodo principale da sciogliere era se l'intervento presso i mafiosi di Carini fosse stato o meno provocato dallo stesso Billeci, e non se costui avesse cercato o meno di sottrarsi al17estorsione. Occorrendo verificare, in conclusione, se la condotta del Di Napoli fosse stata di complicità o di connivenza si imponeva u n a compiuta verifica, dovendosi pertanto sul punto disporre 17annullamentodella sentenza in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte di merito palermitana. * Osserva la Corte che le emergenze probatorie, probabilmente non sufficientemente evidenziate nella sentenza annullata, ben consentono anche nel presente giudizio di rinvio la conferma della sentenza di prime cure nei confronti del Di Napoli. Osservato, in via preliminare, che in questa sede non rilevano più i rilievi difensivi di natura processuale (inutilizzabilità delle intercettazioni) e di merito (configurabilità del tentativo punibile) essendosi su entrambe le questioni ormai pronunciata la Suprema Corte, va immediatamente esaminata la principale questione sottoposta all'attenzione di questa Corte che attiene al ruolo svolto nella vicenda dal17appellante, dovendosi verificare se "il soggetto passivo non abbia chiesto ausilio all'ipotizzato concorrente nel reato, o che gli abbia dato u n mandato di cui il mandatario abbia abusato, o almeno ne sia stato dissuaso dal sottrarsi alla minaccia" ed in ogni caso se l'imputato abbia agito, come amico della vittima ed in aiuto della stessa, oppure per tornaconto personale. Orbene, ritiene la Corte che quel che nella sentenza annullata non è stato messo sufficientemente a fuoco è probabilmente la natura del rapporto fra il Di Napoli ed il Billeci, che non è affatto amicale, ed il contesto in cui si e svolta la vicenda in esame. Al riguardo v a premesso come le risultanze del presente procedimento, fondato prevalentemente s u una serie di intercettazioni ambientali eseguite nell'ambito di diversi procedimenti, abbiano ancora u n a volta fornito uno "spaccato" dawero desolante di una significativa parte dell'imprenditoria siciliana, di quella almeno che opera nel settore immobiliare, d a sempre controllato da Cosa Nostra che lo ha sempre messo al primo posto fra i suoi interessi in quanto immediatamente legato a quello che costituisce forse la principale delle sue finalità: il controllo del territorio. Ed invero, le intercettazioni in questione forniscono senza ombra di dubbio l'immagine di u n a imprenditoria edile le cui attività, talora anche quelle di minore rilievo quale può essere la ristrutturazione della facciata di u n edificio, debbono necessariamente passare attraverso il filtro mafioso. In altri termini, se e vero che la riscossione del pizzo costituisce la principale vessazione che subiscono gli imprenditori commerciali, quelli che operano nel settore edile (non importa se si tratti di lavori pubblici o privati) debbono necessariamente sottostare a regole ancora più ferree, essendo di ogni evidenza che ciascun imprenditore se vuole operare "sul mercato", deve necessariamente avere u n proprio punto di riferimento mafioso al quale rivolgersi per ottenere, come se non bastassero quelli rilasciati dall'autorità comunale, l'ultimo "nulla osta", oltre owiamente che per concordare l'entità della tangente da corrispondere alla cosca in cui avranno luogo i lavori e le ditte di fiducia per il reperimento dei materiali. Se poi u n imprenditore edile vuole operare u n investimento immobiliare (ad es. la costruzione di u n edificio) o eseguire una più complessa operazione (ad esempio l'acquisto di terreni, la lottizzazione dei medesimi e la realizzazione di opere) in territorio diverso da quello in cui agisce il suo referente mafioso dovrà rivolgersi a quest'ultimo affinché si occupi della cd. "messa a posto", pattuendo con i mafiosi della zona in cui i lavori dovranno svolgersi la somma di denaro che dovrà essere corrisposta e spesso anche la scelta dei fornitori (ad esempio del calcestruzzo e del materiale edile necessario per la realizzazione dell'opera). E' chiaro, ovviamente, come centinaia e centinaia di processi hanno dimostrato, che fra il mafioso "protettore" e l'imprenditore "protetto" a gioco lungo viene a crearsi uno stabile rapporto di frequentazione, rientrando, pertanto, nell'ottica e nel gergo mafiosi, che ovviamente distorcono gli effettivi valori e sono tutto fuorché lo specchio fedele del vivere civile e dei buoni sentimenti, che u n determinato imprenditore, possa in quel determinato ambiente essere indicato "amico" del boss mafioso che lo protegge. Non vi è dubbio, peraltro, trattandosi il più delle volte di situazioni bordeline, come costituisca spesso u n importante banco di prova per l'inquirente prima ed il giudicante poi comprendere se l'imprenditore che ad u n certo punto entra nel mirino delle indagini sia u n imprenditore vittima o u n imprenditore colluso, essendo il primo, come la giurisprudenza di legittimità da tempo insegna, colui che soggiogato dall'intimidazione non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede all'imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un'intesa volta a limitare tale danno, ed il secondo colui che è entrato in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l'imprenditore nell'imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell'ottenere risorse, servizi od utilità (Cass., sez. 1A , 11 ottobre 2005 - 20 dicembre 2005, n. 46552). In altri termini, parlare di "amicizia" in entrambi i casi è perlomeno fuorviante, perché nel caso dell'imprenditore colluso costui, in quanto complice del suo mafioso di riferimento, allorché intraprende u n investimento fuori della sua zona di riferimento mafioso, non fa che adeguarsi alla "regola" mafiosa ineluttabile del pagamento del pizzo, sapendo però che il mafioso che interviene per concordare con il suo omologo appartenente ad u n a articolazione diversa dell'organizzazione mafiosa l'entità della tangente e la scelta dei fornitori lo fa comunque nell'interesse comune, agendo spesso nell'ambito di una società di fatto e ben comprendendo peraltro di perseguire in tal modo le finalità della consorteria; nel caso dell'imprenditore vittima, costui, in quanto mero connivente del suo mafioso di riferimento, se deve operare u n intervento immobiliare in territorio mafioso diverso da quello in cui opera il suo protettore, chiede a quest'ultimo, di cui è sempre vittima e mai socio, di intervenire, per mitigare ad esempio, l'entità della tangente da corrispondere e pertanto al solo scopo di limitare il danno. Tale approccio alla problematica, appare, peraltro, perfettamente in linea non analoghe S O ~ O con vicende la pratica derivante daii'esame di numerosissime processuali ma anche, owiamente, con l'insegnamento di consolidata e dominante giurisprudenza di legittimità secondo cui l'intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per incarico di quest'ultima, non risponde del concorso nel reato solo se agisce nell'esclusivo interesse della persona offesa e per motivi di solidarietà umana, dovendosi altrimenti ritenere che la sua opera contribuisce alla pressione morale e alla coazione psicologica nei confronti della vittima e quindi conferisce u n apporto causativo all'evento delittuoso (Cass. sez. 2A, n. 26837 del 19/ 6 / 2008, Alfiero; ibidem, Cass. sez. 2A n. 5845/ 1995 e Cass. sez. 2A n. 9172/2002). Ed allorché l'intermediario, come nel caso di specie, sia u n mafioso di rango come Di Napoli Pietro, reggente del mandamento di Noce-Cruillas, definitivamente condannato per associazione mafiosa e per numerosissime estorsioni ed appena scarcerato nel momento in cui ebbe ad interessarsi della questione, appare davvero azzardato anche solo ipotizzare che l'accertato suo intervento nella vicenda in esame sia awenuto nell'esclusivo interesse della persona offesa e per motivi di solidarietà umana, essendo stato peraltro ormai definitivamente accertato che il Billeci, che era sottoposto a protezione dalla famiglia mafiosa della Noce e non era u n imprenditore colluso, fu vittima, quantomeno, di u n tentativo di estorsione ad opera dei Pipitone e Di Maggio Antonino della famiglia di Carini (nel cui territorio avrebbe dovuto essere realizzata l'opera), riuscendo, a seguito di trattative con gli esponenti della cosca di Carini, a far decrescere il costo della cd. "messa a posto", risultando altresì per tabulas che tale intervento il Di Napoli operò perché interessato alla acquisizione di ulteriori "utilità" che reputava potessero derivargli, ad operazione immobiliare avviata, anche grazie all'intervento d a lui ricercato di altri imprenditori da affiancare al Billeci. Ciò può affermarsi, alla stregua del contenuto delle intercettazioni ambientali e di documentazione, specificamente menzionato nella sentenza di prime cure e più estesamente nella sentenza annullata , che qui deve intendersi pertanto riportato e trascritto, da cui si desume: - che il Billeci, interessato alla realizzazione in località Marina Longa di Carini di 73 villette ed in quel momento privo del suo "protettore" mafioso in stato di detenzione aveva dovuto subire le attenzioni della locale famiglia mafiosa che pretendeva per la cd. "messa a posto" la corresponsione di una tangente che, prima della introduzione dell'euro, era stata fissata in settecento milioni di euro; - che il progetto non si era potuto rapidamente realizzare per difficoltà burocratiche nel rilascio delle concessioni edilizie e dei fidi bancari sia per la resistenza del17imprenditore ad accettare di pagare ne117entità richiesta la tangente; - che, essendo trascorso diverso tempo senza che, in particolare, il Billeci fosse riuscito ad ottenere il via libera dalla Sovrintendenza ad i beni culturali ed ambientali, in seno alla famiglia di Carini era stata prospettata l'eventualità di estromettere il suddetto imprenditore sostituendolo con imprenditori operanti nel territorio di Carini con i mafiosi di Carini intrattenevano rapporti fiduciari; - che il definitivo "nulla osta" mafioso al Billeci era stato dato solo quando, u n a volta scarcerato, nel giugno 2003, il Di Napoli era intervenuto garantendo l'effettivo awio dei lavori in tempi brevi e la "messa a posto" del suo protetto, riuscendo a mitigare le pretese dei mafiosi del luogo circa l'entità del pizzo; - che l'interesse nella vicenda del Di Napoli, che trattava da mafioso di rango con altri mafiosi suoi omologhi, non era certo ispirato da sentimenti di amicizia nei confronti del Billeci o, ed e quel che più rileva, dall'intento di indurre quest'ultimo a non sottostare alla coazione, essendo piuttosto vero il contrario, (significativa, al riguardo, la conversazione nel corso della quale il boss della Noce, discorrendo con il suo omologo di Carini, lo rassicura sul fatto di avere adeguatamente "sollecitato" il suo protetto a pagare la tangente dovuta a Cosa Nostra ("lui, lui..lui mi deve dare a me quello che gli vado a dire, a me se ce li h a o se non ce li ha, si va ad impegnare le corna se ce le ha, e mi deve dare i soldi...io voglio sapere una sola cosa, più presto ci liberiamo di questi discorsi.. .più presto"; - che dello specifico e tutt7altro che disinteressato impegno del Di Napoli, che agiva nel precipuo interesse della organizzazione mafiosa e non certo del solo Billeci, si h a piena prova nelle intercettazioni da cui si desume come ad u n certo punto il boss della Noce, ben comprendendo l'importanza della operazione immobiliare forse superiore alle possibilità di finanziamento bancario conseguibile dal suo protetto, si adopera, di concerto con i mafiosi di Carini, per affiancargli altri imprenditori (Ramberti, Sbeglia) ed al contempo sollecita gli esponenti mafiosi di Carini a pressare sugli uffici amministrativi per il rilascio delle concessioni. In conclusione, ritiene la Corte che da tutte le acquisizioni probatorie (l'intervenuto arresto del Gottuso nei locali del quale è stato intercettato il maggior numero di conversazioni ha peraltro impedito di verificare se la tangente concordata sia stata effettivamente corrisposta, integrando così l'ipotesi consumata del reato di estorsione) dimostrano inequivocabilmente che l'odierno appellante con la s u a condotta contribuì alla realizzazione del reato ascrittogli. Vanno pertanto ritenuti infondati i rilievi difensivi derivanti da u n davvero poco significativo, ed evidentemente mal interpretato, accenno del collaborante Pulizzi (all'epoca dei fatti mero "soldato" alle dipendenze del Di Maggio) che riferendo il poco a sua conoscenza sui fatti di causa, si è limitato a precisare che il Di Napoli, nella sua qualità di reggente della famiglia della Noce, era intervenuto per ottenere uno sconto sulla tangente che il suo "amico" Billeci doveva alla cosca locale. I1 che, com'è evidente, non contraddice certo il chiaro contenuto delle intercettazioni ambientali, apparendo a dir poco fuor di luogo che, in u n contesto come quello in esame, il Di Napoli abbia potuto simulare con il Di Maggio il suo vero intento, che lungi dall'essere quello di favorire u n amico era semmai quello di trattare da pari a pari con i vertici mafiosi di Carini un'operazione economica dalla quale potevano derivare vantaggi, nell'ambito di u n disegno comune riguardante le finalità di Cosa Nostra, le rispettive articolazioni mafiose. Va pertanto integralmente confermata nei confronti del Di Napoli la sentenza impugnata, anche con riguardo al trattamento sanzionatorio, non sussistendo il benché minimo elemento che possa indurre alla concessione delle attenuanti generiche, in considerazione dei gravissimi precedenti penali dell'imputato per fatti analoghi e per l'intrinseca gravità del fatto, commesso subito dopo la propria scarcerazione per fine pena. La misura della pena applicata dal primo giudice, nel concorso di più circostanze aggravanti speciali e della recidiva correttamente contestata e ritenuta, appare perfettamente adeguata alla gravità dei fatti ed alla pervicace attività criminosa del prevenuto e della sua persistente spiccata pericolosità sociale. I1 Di Napoli va conseguentemente condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali nonché alla refusione delle spese processuali in favore delle parti civili Associazione "Addio Pizzo", Associazione F.A. I. Federazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Confcommercio Palermo, Provincia Regionale di Palermo che che si stima equo liquidare, per ciascuna, in euro 2.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA, con distrazione in favore dei difensori delle parti civili che si sono dichiarati antistatari. Va altresì dichiarata cessata l'efficacia della misura della custodia cautelare applicata al DI NAPOLI in questo processo. Va indicato in giorni 9 0 il termine per il deposito della motivazione. La Corte visti gli artt. 605, 627, 599, 592, 530 comma 2" C.P.P.; decidendo s u rinvio della Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Palermo in data 7 agosto 2008, appellata d a BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo, PULIZZI Gaspare, assolve BIONDO Carmelo dal reato ascrittogli al capo 27, per non aver commesso il fatto, e GALLINA Angelo dal reato ascrittogli al capo l ) ,perché il fatto non sussiste. Ritenuta la prevalenza della diminuente di cui all'art. 8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 sulle contestate aggravanti, riduce la pena inflitta a PULIZZI Gaspare ad anni 2 e mesi 7 di reclusione. Conferma nel resto l'impugnata sentenza e per l'effetto condanna DI NAPOLI Pietro al pagamento delle ulteriori spese processuali nonché alla refusione delle spese processuali in favore delle parti civili Associazione "Addio Pizzo", Associazione F.A.I. Federazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo, Ccnfcornrnerci~Palermo, Provincia. Regionale di Palermo che liquida, per ciascuna, in euro 2.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA, con distrazione in favore dei difensori delle parti civili che si sono dichiarati antistatali. Visto l'art. 304, 4" comma, C.P.P.dichiara cessata l'efficacia della misura della custodia cautelare applicata al DI NAPOLI in questo processo. Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Palermo 20 giugno 20 12