corte di appello di palermo

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corte di appello di palermo
CORTE DI APPELLO DI PALERMO
SEZIONE SESTA PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
No 279612012 Sent.
L'anno duemiladodici il giorno venti del mese di giugno
No l15312012 R.G.
LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO
SEZIONE SESTA PENALE
composta dai Sigg.ri :
1. Dott.
Biagio
INSACCO
Presidente
2. Dott.
Roberto
MURGIA
Consigliere
3. Dott.
Roberto
BINENTI
Consigliere
con
l'intervento
del
Sostituto Procuratore
Generale Dott.
Florestano CRISTODARO e con l'assistenza del Cancelliere
No l149812007 .N.R.
Proc. Rep. Palermo D.D.A.
1 Art.
1
Mod.31ASG
ompilata scheda per il
asellario e per l'elettorato
l
Antonella FOTI, in Camera di Consiglio ai sensi dell'art. 599
C.P.P., ha pronunziato la seguente
Depositata in Cancelleria
Addì
SENTENZA
nei confronti di:
,
e
-
%
b
..
i
-
--v
tiii , -
o
1) BIONDO CARMELO nato a Palermo il 09.10.1953 ivi residente Via
Villa Malta n. 1
PRESENTE
DIFENSORI: Avv. Filippo Gallina
Avv. Valerio Vianello
Foro di Palermo
Foro di Palermo
I Irrevocabile il
l
2) DI NAPOLI Pietro, nato a Palermo il 15.03.1939;
Arr. il 3 1 .01.2007in atto detenuto presso la Casa Circ.le di San Gimignano (SI)
in data 20.06.2012 dichiarata cessata l'efficacia della misura cautelare in carcere per
questa causa - detenuto per altro - domicilio eletto presso Casa C.le San Gimignano
ASSENTE PER RINUNCIA
DIFENSORI: Avv. Giovanni Natoli
Avv. Antonino Reina
Foro di Palermo
Foro di Palermo
3) GALLINA Angelo, nato a Carini il 20.03.1943 ivi elett. dom. Via Nazionale n. 366
(det. dal 25101I2007 scarcerato con obblighi il l3104112)
PRESENTE
DIFENSORI: Avv. Gioacchino Sbacchi
Avv. Giuseppe Giambanco
Foro di Palermo
Foro di Palermo (con studio in Carini)
4) PULIZZI Gaspare, nato Carini il 08.12.1971;
agli arresti domiciliari per altro in località nota al Servizio Centrale Protezione Roma
ASSENTE PER RINUNCIA
DIFENSORE: Avv. Valeria Maffei
Foro di Roma
PARTI CIVILI
1) "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane" in
persona del legale rappr. pro-tempore con sede in Napoli Corso Umberto I n.2, dom.to
presso l'Avv. Salvatore Caradonna
Rappr. e difeso dall' Avv. Salvatore Caradonna del Foro di Palermo
PRESENTE
2) ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. "COMITATO ADDIOPIZZO" in persona del suo
Presidente e legale rappr. pro-tempore Perrotta R., dom.to presso Avv. Salvatore
Forello
Rappresentato e difeso dall'Avv. Salvatore Forello del Foro di Palermo PRESENTE
3) S.O.S. IMPRESA PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. pro-tempore
Dott. Costantino. Garraffa, dom.to presso Avv. Fausto Maria Amato.
Rappr. e difeso dall'Avv. Fausto Maria Amato del Foro di Palermo
ASSENTE
4) PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO in persona del suo Pres. pro-tempore
dom.to presso Avvocatura Provinciale di Palermo.
Rappr. e difeso dall'Avv. Giovanni Lo Nigro del Foro di Palermo
ASSENTE
5) CONFCOMMERCIO PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. Dott. R.
Helg, dom.to presso Avv. Gaetano Fabio Lnfranca.
ASSENTE
Rappr. e difeso dall'Avv. G. Fabio Lanfranca del Foro di Palermo
6) CONFINDUSTRIA PALERMO in persona del suo Pres. e legale rappr. pro-tempore
Dott. A. Salerno, dom.to presso Avv. Ettore Barcellona.
ASSENTE
Rappr. e difeso dall'Avv. Ettore Barcellona del Foro di Palermo
7) COMUNE DI CARINI in persona del Sindaco pro-tempore La Fata G., dom.to
presso Avv. Marina Fonti in Carini Ufficio Leg. del Comune,
Rappresentato e difeso dal19Avv.Marina FONTI del Foro di Palermo ASSENTE
APPELLANTI
I1 Pubblico Ministero nei confronti di GALLINA Angelo, le Parti Civili: Associazione
Comitato Addio Pizzo e F.A.I. Antiracket nei confronti di GALLINA, BIONDO e DI
NAPOLI nonché tutti gli imputati, avverso la sentenza emessa dal G.U.P. Tribunale di
Palermo del 07/08/2008, con la quale dichiarava: BIONDO Carmelo, DI NAPOLI
Pietro, PULIZZI Gaspare colpevoli di tutti i delitti loro rispettivamente contestati e
GALLINA Angelo colpevole del delitto di associazione di stampo mafioso a lui
contestato al capo l ) , ed esclusa per PULIZZI Gaspare la fattispecie di cui al I1 co.
dell'art. 416 bis cod. pen. e concessa allo stesso l'attenuante di cui all'art. 8 della
legge 203191, valutata equivalente alle aggravanti allo stesso ascritte e unificati per
continuazione i reati allo stesso ascritti. tenuto conto della diminuente per il rito,
condannava:
- BIONDO Canne10 alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 1.400,OO di
multa;
- GALLINA Angelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione;
- PULIZZI Gaspare alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione;
- DI NAPOLI Pietro alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 800,OO di multa.
Condannava tutti i predetti in solido (anche con il coimputato appellante Cuccia Giorgio,
separatamente giudicato con il proc. n. 3518/09 R. G. C.App., e con i coimputati
appellanti di cui al proc. pen. n. 2.533109 R. G.C.App.: Covello Giulio, D'Alessandro
Francesco, Prano Salvatore, Spuracio Francesco, Gelsomino Giuseppe, Privitera
Suverio e Sapienza Gioacchino non ricorrenti e con i coimputati Bruno Giuseppe, Bruno
Andrea Cardinale Michele, Collesano Rosario, Di Blasi Francesco. Gottuso Salvatore,
Lo Duca Giuseppe, Passalacqua Giuseppe. Peu'ulino Davide, Pipitone Angelo Antonino e
Pipitone Antonino (CI.69) Vitale Fortunato ricorrenti, per i quali non vi è stato rinvio da
parte della Corte di Cassazione) al pagamento delle spese processuali, e ciascuno a
quelle di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare.
Dichiarava: BIONDO Carmelo, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare interdetti: in
perpetuo dai PP.UU. e in stato di interdizione legale durante la pena, DI NAPOLI Pietro
interdetto dai PP.UU. per anni cinque.
Applicava la misura della libertà vigilata per anno uno per GALLINA Angelo e PULIZZI
Gaspare.
Assolveva perchè i fatti non sussistono GALLINA Angelo per il reato di cui al capo: 16);
Condannava DI NAPOLI, GALLINA e PULIZZI in solido (anche con i coimputati di cui
al proc. pen. 2533/09) al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita
Comune di Carini, per la cui liquidazione vengono rimesse le parti davanti alla sede
civile competente.
Condannava i predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali in favore
della predetta parte civile, liquidate in complessivi Euro 5.625,00 (di cui Euro 5.000,00
per onorari ed Euro 625.00 per spese forfetarie) oltre IVA e CPA.
Condannava, altresì, BIONDO Carmelo. DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e
PULIZZI Gaspare in solido (anche con i coimputati di cui alproc. pen. n. 2533109 R.G.
C.App.) al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Associazione
Comitato Addio Pizzo, Associazione F.A.I., Associazione Antiracket S.O.S. Impresa
Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo, e Provincia Regionale di
5
l
Palermo, per la cui liquidazione vengono rimesse le parti davanti alla sede civile
competente.
Condannava i predetti imputati in solido (anche con i coimputati di cui al proc. pen. n.
2533109 R.G.C.App.) al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna delle
predette parti civili liquidate in complessivi Euro 5.625,00 a ciascuno (di cui Euro
5.000.00 per onorari ed Euro 625.00 per spese forfetarie) oltre IVA e CPA.
Ordinava la confisca:
- dell'immobile di viale della Regione Siciliana specificato al punto 1 del provvedimento
del GIP presso il Tribunale di Palermo del 23/01/2007, intestato a Biondo Maria, e delle
costruzioni ivi esistenti;
- dei beni aziendali dell'esercizio commerciale di via Caduti del Lavoro intestato a
Pedalino Davide, esclusi quelli di proprietà di terzi;
- del complesso dei beni aziendali riferibili alla ditta ROMA ELECTRO SERVICE di
Cardinale Michele, con sede a Carini;
- del saldo attivo del c/c 168838 pressi la filiale di Carini della Banca Popolare di Lodi da
VITALE Fortunato;
- del complesso dei beni aziendali riferibili alla ditta individuale di SPARACIO
Francesco (punto 32 del provvedimento del 23/01/2007) e quota rappresentativa del 50%
del capitale sociale della fratelli SPARACIO (decreto del 13/09/2007);
Ordinato il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto:
- dei saldi attivi dei rapporti di c/c intestati a CUCCIA Giorgio. Sapienza Gioacchino,
PEDALINO Davide, PRIVITERA Saverio, CATALDO Giovanni, SPARACIO
Francesco detto Gianfranco, ed a loro familiari conviventi, a CARDINALE Michele e
VITALE Fortunato. con esclusione di quelli intrattenuti presso la filiale di Carini della
Banca Popolare di Lodi;
- complesso dei beni aziendali e capitale sociale riferibili alla ditta AUTOVINO Fabio ed
alla società il Giardino della Frutta di Gelsomino & C. s.a.s.; alla ditta individuale
PEDALINO Davide, ed alla Trattoria 4 FARI snc (punti 33 e 34 del decreto del
23/01/2007), con esclusione dei beni aziendali dell'esercizio di via Caduti del Lavoro di
cui ai capi 23 e 24;
- intero capitale sociale e beni aziendali descritti ai punti 3, 4, 5, 6, 25, 26, e 27, del
decreto del 23 gennaio 2007 e riferibili a SAPIENZA Gioacchino;
- intero capitale sociale e beni aziendali della società P.C.N. s.r.1.
con sede in Carini riferibili a PRIVITERA Saverio (punto 23 del decreto del 23 gennaio
2007).
Fissava in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione e sospendeva durante la
pendenza di tale periodo i termini di durata massima della custodia cautelare, attesa la
gravità dei fatti contestati e la particolare complessità ed avuto riguardo al numero
elevato degli imputati.
La Corte di Appello di Palermo sezione Prima con sentenza del 15/07/2010, su
appello proposto dai difensori degli imputati, dal Pubblico Ministero per GALLINA
Angelo e dalle parti civili Associazione Comitato Addio Pizzo e F.A.I. Antiracket per
GALLINA, BIONDO e DI NAPOLI, in parziale riforma della sentenza di primo grado,
dichiarava unificato per continuazione il reato ascritto a BIONDO Carmelo con quelli per
i quali riportò condanna con sentenza della Corte di Appello di Palermo de11'11/10/2003,
irrevocabile 1101/07/2004,e ritenuto più grave il delitto di estorsione aggravata giudicato
4
L
a
con detta sentenza. elevava la pena già inflitta di anni tre di reclusione ed Euro 600,OO di
multa, rideterminava la pena complessiva in anni dodici, mesi quattro di reclusione ed
Euro 1.800,00 di multa.
Liquidava, in via equitativa, in Euro 50.000,OO in favore di ciascuna delle costituite parti
civili Associazione comitato Addio Pizzo ed Associazione F.A.I. Federazione Antiracket,
i danni morali dalle predette parti civili patiti e condannava BIONDO Carmelo, DI
NAPOLI Pietro e GALLINA Angelo in solido ( anche con i coiinputati di cui al proc.
pen. 2533/09 R. G.C.App.) al relativo risarcimento.
Confermava nel resto l'appellata sentenza.
Condannava GALLINA Angelo, DI NAPOLI Pietro, PULIZZI Gaspare al pagamento
delle ulteriori spese processuali.
Condannava DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare in solido (anche
con i coimputati di cui al proc. pen. 2533/09 R.G.C.App.) alla rifusione delle ulteriori
spese processuali in favore della parte civile costituita Comune di Carini, liquidata in
complessivi Euro 4.625,00 (di cui Euro 4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese
forfettarie), oltre IVA e CPA.
Condannava BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro e GALLINA Angelo in solido
(anche con i coimj7utati di cui ul proc. pen. 2533/09 R.G.C.App.) alla rifusione delle
ulteriori spese processuali in favore della parte civile costituita Associazione Comitato
Addio Pizzo, Associazione F.A.I. Federazione Antiracket, Associazione Antiracket
S.O.S. Impresa Palermo, Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo e Provincia
Regionale di Palermo liquidata in complessivi Euro 4.625,00 per ciascuna delle suddette
parti (di cui Euro 4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese forfettarie), oltre IVA e
CPA.
Condannava PULIZZI Gaspare in solido con i predetti imputati, (anche con i coimputati
di cui al proc. pen. 2533/09 R. G.C.App.) alla refusione delle ulteriori spese processuali
limitatamente alle parti civili costituite Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo,
Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo e Provincia Regionale di Palermo.
liquidata in complessivi Euro 4.625,00 per ciascuna delle suddette parti (di cui Euro
4.000,OO per onorari ed Euro 625,OO per spese forfettarie), oltre IVA e CPA.
Fissava in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione della sentenza, e
sospendeva, come da separata ordinanza, i termini di custodia cautelare durante il tempo
necessario alla redazione della motivazione per GALLINA, DI NAPOLI e PULIZZI.
La Corte Suprema di Cassazione con sentenza del 25/01/2012, su ricorso proposto dai
difensori degli imputati, annullava l'impugnata sentenza nei confronti di BIONDO
Carmelo, DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo e PULIZZI Gaspare, per quest'ultimo
limitatamente alla misura della pena, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di
Palermo per il nuovo giudizio.
CAPI DI IMPUTAZIONE
PULIZZI Gaspare, GALLINA Angelo e ( Conigliaro Angelo (CI.83)'. Pipitone Angelo
Antonino, Pipitone Antonino (cl. 69) Passalacqua Giuseppe, Lo Duca Giuseppe, Covello
Giulio, Sparacio Francesco, Prano Salvatore, separatamente giudicati) e in concorso con
Angelo Conigliaro - CI.35 - per il quale si procede separatamente:
1) per il delitto partecipazione mafiosa aggravato (art. 416 bis bis, aggravato dai commi
IV e VI cod. pen., per avere fatto parte dell'associazione mafiosa denominata Cosa
Nostra, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della
condizione di assoggettamento. ed omertà che ne deriva, per commettere reati contro
la vita, l'incolumità individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, tra i
quali quelli di cui ai capi che seguono, noncheper acquisire il controllo di attività
economiche e appalti pubblici, e comunque per realizzare profitti o vantaggi ingiusti;
in particolare:
PULIZZI e (Pipitone Antonino (cl. 69) separatamente giudicato) come da
contestazione articolata all'ud. dell' 8 maggio 2008):
per aver svolto il ruolo di co-reggenti della famiglia mafiosa di Carini (art. 416 bis
conima I1 cod. pen.), a partire dalla loro rituale afiiliazione, occupandosi in
particolare, il primo, dei rapporti con gli esponenti mafiosi latitanti LO PICCOLO
Salvatore e LO PICCOLO Sandro, con i quali trascorrerà tutta la durata della sua
latitanza, ed il secondo, della gestione delle attività estorsive (sino alla data odierna);
con l'aggravante di cui all'art. 416 bis comma IV cod. peno trattandosi di associazione
armata; con l'aggravante di cui all'art. 416 bis comma IV cod. pen. trattandosi di
attività economiche finanziate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto, il profitto
di delitti.
Esclusa per PULIZZI Gaspare la fattispecie di cui al II co. Dell'art. 416 bis C.P.;
[COSI' O UALIFICA TO)
In Palermo (Carini) sino alla data del 25.1.2007 ;
2) Omissis
PULIZZI Gaspare, e (Lo Duca Giuseppe, Covello Giulio separatamente giudicati (in
concorso con Di Maggio Antonino, per cui si procede separatamente)
3) per il delitto di tentativo di danneggiamento aggravato in concorso (p. e p. dagli artt.
110, 56, 635-.cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, co. nella legge 12 luglio
1991 n. 203) per avere, in concorso fra loro, posto in essere atti idonei diretti in modo
non equivoco a procurare il danneggiamento del cancello elettrico della ditta RCS
Officine s.r.1. con sede a Carini, via delle Industrie e con amministratore unico MELI
Emanuele (n. a Palermo il 13.6.1970); atti consistiti nel cospargere di liquido
infiammabile il motore del su citato cancello, al fine di favorire l'associazione a
delinquere di stampo mafioso di cui ai capi precedenti.
In Carini nel mese di luglio 2003
4) Omissis
PULIZZI Gaspare, e (Lo Duca Giuseppe, Covello Giulio separatamente giudicati (in
concorso con Di Maggio Antonino, per cui si procede separatamente)
5) per i delitti di danneggiamento aggravato e tentata estorsione in concorso (p. e p. dagli
artt. 110, 635, 629 cpv. cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge
12 luglio 1991 n.203) per avere, in concorso fra loro e con persone allo stato ignote.
danneggiato la ditta di GELARDI Salvatore, esplodendo tre colpi di arma da fuoco
contro le vetrate della ditta individuale dello stesso GELARDI, in atti generalizzato,
con ciò compiendo atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere GELARDI
1
a rivolgersi ad altri associati mafiosi della famiglia di Carini per quantificare il prezzo
dell' estorsione ai suoi danni, e ciò al fine di procurare un ingiusto profitto a se stessi
ed all'organizzazione denominata Cosa Nostra.
A Carini nel mese di luglio 2003
6) per il delitto di detenzione e porto d'armi aggravati in concorso (p. e p. dagli artt. 110
cod. pen., 2 , 4 e 7 legge 8965167 e succo mod., 61 n. 2 cod. peno e 7 legge 203191) per
avere. in concorso tra loro, ed al fine di commettere il delitto di cui al capo precedente
e di agevolare l'attività dell'associazione a delinquere di stampo mafioso denominata
Cosa Nostra, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico armi comuni da sparo
e le munizioni a queste relative.
A Carini nel mese di luglio 2003
7) per il delitto di danneggiamento aggravato in concorso (p. e p. dagli artt. 110,635 cod.
pen. e art.7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 conv. nella legge 12 luglio 1991 n. 203) per
avere in concorso tra loro, effettuato il danneggiamento, mediante esplosione di tre
colpi di arma da fuoco, di un cassonetto per la raccolta di rifiuti solidi urbani di
proprietà del comune di Carini, al fine di verificare il corretto funzionamento
dell'arma nella disponibilità dell'associazione per delinquere di stampo mafioso di cui
ai capi precedenti.
A Carini nel mese di luglio 2003
8) Omissis
9) Omissis
10) Omissis
11) Omissis
11) Omissis
13) Omissis
DI NAPOLI Pietro, in concorso con Conigliaro Angelo cl. 35, Lo Piccolo Salvatore, Di
Maggio Antonino, Pipitone Vincenzo, Pipitone G. Battista e Vallelunga Vincenzo, per i
quali si procede separatamente:
14) per il delitto di tentata estorsione aggravata e continuata in concorso (p. e p. dagli artt.
110, 56, 629 comma I1 cod. pen. in relazione all'art. 628 comma I1 n. 3, C.P. e art. 7
D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203) per avere, in
concorso fra loro, posto in essere atti idonei, consistiti nel manifestare la propria
appartenenza all'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, e nella
utilizzazione della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo relativo
alla predetta organizzazione, diretti in modo non equivoco a costringere
l'imprenditore BILLECI Giovanni, in qualità di amministratore unico della
FALCONARA S.r.l., a consegnare loro quantomeno 500 milioni di lire, al fine di
procurare a sé stessi ed all'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra un ingiusto
profitto, e ciò in relazione alla realizzazione di un complesso residenziale da sorgere
nella c.da Piraineto, località Marina Longa di Carini.
A Carini nel mese di settembre 2003;
15) Omissis
GALLINA Angelo, in concorso con Altadonna Lorenzo, Conigliaro Angelo (CI. 35),
Pipitone Vincenzo, Vallelunga Vincenzo, Pipitone G. Battista e Palazzo10 Vito Roberto
per i quali si procede separatamente.
16) per il delitto di riciclaggio aggravato in concorso e impiego di denaro di provenienza
illecita (artt. 81 cpv., 1 10, 648 bis e 648 ter cod. pen., e art. 7 D.L. 13 maggio 1991.
n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203) per avere Gallina Angelo, Pipitone
Vincenzo, Conigliaro Angelo, Vallelunga Angelo e Pipitone G. Battista, tutti
esponenti della famiglia mafiosa di Carini, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso ed in concorso fra loro, trasferito ad Altadonna Lorenzo, anch'
egli concorrente nel reato, denaro, beni ed altre utilita provenienti da delitti connessi
alle illecite attività dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra: denaro ed
utilita poi impiegati da Altadonna Lorenzo in attività economiche, tra cui l'acquisto
di vari appezzamenti di terreno. Tutto ciò, in modo da ostacolare l'identificazione
della provenienza delittuosa del denaro e delle utilita medesime, ed al fine di
agevolare l'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata Cosa Nostra.
In Carini sino al mese di dicembre 2003.
17) Omissis
18) Omissis
19) Omissis
20) Omissis
21) Omissis
22) Omissis
23) Omissis
24) Omissis
25) Omissis
26) Omissis
BIONDO Carmelo e (Gottuso Salvatore separatamente giudicato).
27) per n delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. 629 co. I1 cod. pen. in relazione al n. 3 co.
I1 dell'art. 628 cod. pen e art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 conv. nella legge 12
luglio 1991 n. 203, per avere, in concorso fra loro, con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso, mediante minacce consistite nel manifestare la propria
appartenenza all'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra ed in virtù della
forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo relativo alla predetta
organizzazione, costretto CARUSO Cristofaro, nato a Palermo il 26.3.1949, a
procurare a loro ed alla famiglia mafiosa di S. Lorenzo un ingiusto profitto,
consistente nel prezzo richiesto ed ottenuto di sei milioni di lire annui.
In particolare:
BIONDO Carmelo quale percettore della somma di denaro corrispondente a sei
milioni di lire l'anno, in quanto appartenente alla famiglia mafiosa di S. Lorenzo ed
in riferimento al punto di vendita del CARUSO ubicato in questo viale Strasburgo,
176:
Gottuso Salvatore, quale mediatore tra la parte offesa e BIONDO Carmelo sopra
citato.
In Palermo sino al 29 luglio l998
28) Omissis
29) Omissis
30) Omissis
CONCLUSIONI DELLE PARTI
I1 Procuratore Generale conclude chiedendo:
per Pulizzi Gaspare la rideterminazione della pena nella misura che la Corte riterrà
opportuna;
per Biondo Carmelo la conferma della sentenza di primo grado operando eventualmente
quell'aumento della pena per continuazione già applicata dalla Corte di Appello di
Palermo;
per Di Napoli Pietro e Gallina Angelo la conferma della sentenza di primo grado.
I difensori delle Parti Civili di seguito riportati hanno concluso come da comparsa
che depositano unitamente alla nota spese:
- Avv.
Salvatore Caradonna nell'interesse di "F.A.I. Federazione delle Associazioni
Antiracket ed Antiusura Italiane"
nonché quale sostituto processuale dell'Avv. Forello nell'interesse di
ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. "COMITATO ADDIOPIZZO" .
-
Avv. Davide Martorana, quale sostituto processuale dell'avv. F. M. Amato,
nell'interesse di S.O.S. IMPRESA PALERMO;
nonché dellqAvv.G. Fabio Lanfranca nell'interesse di Confcommercio Palermo
A w . Giovanni Lo Nigro nell'interesse della PROVINCIA REGIONALE DI
PALERMO
L'Avv. Emilia Caruso - sostituto processuale dell'avv. Valeria Maffei nell'interesse di Pulizzi Gaspare conclude chiedendo l'applicazione della pena nel
minimo.
L'Avv. Giovanni Napoli - nell'interesse di Di Napoli Pietro conclude chiedendone
I'assoluzione.
L'Avv. A. Reina - nell'interesse di Di Napoli Pietro conclude chiedendone
l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
L'Avv. Filippo Gallina - nell'interesse di Biondo Carmelo conclude chiedendone
I'assoluzione per non aver commesso il fatto.
L'Aw. Gioacchino Sbacchi - nell'interesse di Gallina Angelo conclude chiedendo
l'accoglimento dei motivi di appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 7 agosto 2008 il GUP del Tribunale di Palermo,
nell'ambito di complesso ed articolato procedimento penale riguardante
le posizioni di numerosi altri imputati che non rilevano nel presente
giudizio di rinvio, dichiarava Biondo Carmelo, Piero Di Napoli e Pulizzi
Gaspare colpevoli di tutti i delitti loro rispettivamente contestati e
Gallina Angelo colpevole del solo delitto di associazione di stampo
mafioso a lui contestato al capo l ) , ed esclusa per Pulizzi Gaspare la
fattispecie di cui al I1 co. dell'art. 416 bis cod. pen. e concessa allo
stesso l'attenuante di cui all'art. 8 della legge 203/91, valutata
equivalente alle aggravanti allo stesso ascritte e unificati per
continuazione
i reati
allo
stesso ascritti,
tenuto conto della
diminuente per il rito, condannava, con la riduzione di pena prevista
per il giudizio abbreviato:
1)
Biondo Carmelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed
euro 1.400,OO di multa;
2)
Gallina Angelo alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione;
3)
Pulizzi Gaspare alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione;
4)
Di Napoli Pietro alla pena di anni quattro di reclusione ed euro
800,OO di multa.
Condannava tutti i predetti in solido al pagamento delle spese
processuali, e ciascuno a quelle di mantenimento in carcere durante la
custodia cautelare. Dichiarava, altresì, Biondo Carmelo, Gallina Angelo
e Pulizzi Gaspare interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di
interdizione legale durante la pena, Di
Napoli Pietro interdetto dai
pubblici uffici per anni cinque. Applicava la misura di sicurezza della
libertà vigilata per anno uno nei confronti di Gallina Angelo e Pulizzi
Gaspare. Assolveva, invece, Gallina Angelo dal reato di cui al capo 16)
della rubrica perché il fatto non sussiste. Condannava Di Napoli,
Gallina e Pulizzi in solido al risarcimento dei danni in favore della parte
civile costituita Comune di Carini, per la cui liquidazione rimetteva le
parti davanti al giudice civile competente. Condannava, inoltre, i
predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali in
10
favore della predetta parte civile, liquidate in complessivi euro 5.625,OO
oltre IVA e CPA. Condannava, ancora, Biondo Carmelo, Di Napoli Pietro,
Gallina Angelo e Pulizzi Gaspare in solido al risarcimento dei danni in
favore delle costituite parti civili Associazione Comitato Addio Pizzo,
Associazione F.A.I., Associazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo,
Confindustria Palermo, Confcommercio Palermo, e Provincia Regionale
di Palermo, per la cui liquidazione rimetteva le parti davanti al giudice
civile competente. Condannava, infine, i predetti imputati in solido al
pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna delle predette
parti civili che liquidava in complessivi euro 5.625,00 per
ciascuno
oltre IVA e CPA.
Con sentenza del 15 luglio 2010 la Corte di Appello di Palermo
confermava integralmente la sentenza di l o grado emessa nei confronti
degli imputati Gallina, Di Napoli e Pulizzi e, con riguardo alla posizione
di Biondo Carmelo, in parziale riforma della impugnata sentenza,
dichiarava unificato per continuazione il reato ascritto a detto imputato
nel presente procedimento (capo 27 della rubrica) con quelli per i quali
lo stesso Biondo aveva riportato condanna con sentenza della Corte di
Appello di Palermo dell'l l ottobre 2003, irrevocabile l'l luglio 2004 e,
ritenuto più grave il delitto di estorsione aggravata giudicato con tale
ultima sentenza, elevava la pena già inflittagli di anni tre di reclusione
ed euro 600,OO di multa, rideterminando la pena complessiva in anni
dodici, mesi quattro di reclusione ed euro 1.800,OO di multa.
Con le citate sentenze era stata, fra l'altro, affermata la penale
responsabilità del Biondo in ordine al reato di estorsione aggravata di
cui al capo 27) della rubrica, essendo stato detto imputato, alla stregua
del contenuto di intercettazioni ambientali in atti, corroborato d a
accertamenti di p.g. e dalle dichiarazioni di collaboranti quanto al
soprannome con cui il Biondo era conosciuto nell'ambiente di Cosa
Nostra, individuato come l'associato mafioso incaricato di trasmettere
alla famiglia mafiosa di San Lorenzo e ad altre famiglie nel cui territorio
insistevano gli esercizi commerciali di Caruso Cristofaro il pizzo d a
quest'ultimo versato a Gottuso Salvatore (altro associato mafioso la cui
posizione è stata definita con sentenza irrevocabile che ne h a
riconosciuto la penale responsabilità per il medesimo fatto oggi in
esame, essendo stato individuato, per l'appunto, come il soggetto che
riceveva
il
pizzo
dall'imprenditore
commerciale
summenzionato
prowedendo poi a smistarlo alla famiglia di San Lorenzo).
Punto nodale della vicenda processuale riguardante l'imputato era
stato quello costituito dalla possibilità di identificare il Biondo Carrnelo
con il soprannome di "Carmilazzu o Carmelazzo" con cui era appellato
per l'appunto il soggetto incaricato della ricezione del pizzo come
risultava da intercettazioni ambientali di conversazioni fra il Gottuso ed
altro soggetto captate all'interno del deposito del primo. I giudici di
merito
osservavano
che
l'individuazione
dell'imputato
come
il
"Carmila~zu'~,
che aveva fornito u n contributo essenziale al recapito
finale dei pagamenti alla famiglia mafiosa di San Lorenzo, discendeva da
molteplici elementi.
In primo luogo l'imputato risultava essere stato già condannato, con
sentenza definitiva, per il delitto di cui all'art. 416 bis C.P., come
soggetto appartenente alla famiglia di San Lorenzo, addetto proprio al
settore delle estorsioni, risultando essere stato indicato con il
soprannome summenzionato anche in altre intercettazioni, effettuate ed
acquisite in altro procedimento.
In secondo luogo, nel corso di una conversazione intercettata fra il
Gottuso ed il Maltese il primo, nel medesimo contesto discorsivo
riguardante la rievocazione delle modalità di smistamento del pizzo
versato dal Caruso chiedeva al secondo "quando è stato arrestato
Carmelo?", circostanza questa senza dubbio significativa perché dai
precedenti
penitenziari
effettivamente
avesse
dell'imputato
subito,
a
emergeva
partire
dal
che
luglio
lo
stesso
1998, vari
provvedimenti restrittivi, essendo però in libertà nel periodo oggetto di
contestazione al capo 27.
I collaboratori di giustizia Antonino Nuccio e Francesco Franzese
avevano infine reso dichiarazioni che vieppiù contribuivano a rafforzare
il convincimento in ordine alla giustezza della compiuta identificazione:
Nuccio,
pur
non
riconoscendo
in
foto
l'imputato,
ne
aveva
immediatamente ricordato il nome, Carmelo Biondo, dichiarando che il
predetto era noto con il soprannome di "Carmilazzu", per via della sua
stazza corpulenta; Franzese affermando che il soprannome del Biondo
era "Carmelazzo" e che, per quanto a sua conoscenza, solo Carmelo
Biondo era noto nell'ambiente mafioso con tale soprannome.
Peraltro, osservano da ultimo i giudici di merito, a conferma della
prospettazione accusatoria, erano state acquisite altre intercettazioni,
diverse da quelle in cui si parlava del citato "Carmilazzu" ma risalenti
allo stesso periodo, nel corso delle quali Musso, Gottuso e Di Napoli
discutevano di Biondo Carmelo come di una loro comune, consolidata
conoscenza.
Con riguardo alla posizione di Gallina Angelo lo stesso era stato dal
primo giudice ritenuto responsabile del delitto di associazione mafiosa
di cui al capo 1 della rubrica (per avere fatto parte, in seno alla famiglia
mafiosa di Carini, della fazione riconducibile ai componenti della
famiglia di sangue Gallina, contrapposta a quella dei Pipitone) mentre
era stato assolto dal reato di riciclaggio aggravato di cui al capo 16 della
rubrica (per avere, in concorso con altri, trasferito ad Altadonna
Lorenzo, denaro, beni ed altre utilità provenienti d a delitti connessi alle
illecite attività dell'associazione mafiosa Cosa Nostra: denaro ed utilità
poi impiegati da Altadonna Lorenzo in attività economiche, fra cui
l'acquisto di vari appezzamenti di terreno). Quanto a117imputazione di
cui al capo 1, il Gup aveva individuato nell'imputato u n altro affiliato a
Cosa Nostra nell'ambito della famiglia di Carini, in u n a fazione entrata
in conflitto con la reggenza dei Pipitone - Di Maggio. Rilevava il primo
decidente che di Angelo Gallina aveva riferito come uomo d'onore,
innanzi tutto, il collaboratore di giustizia Gaspare hlizzi, che del
medesimo sodalizio mafioso aveva fatto parte, a poco rilevando peraltro
che altri collaboratori di giustizia, Nuccio e Franzese, pur appartenenti
al medesimo mandamento all'epoca capeggiato dai Lo Piccolo, avessero
invece dichiarato di non conoscerlo, essendo stati acquisiti aliunde
elementi di prova in grado di corroborare la chiamata in correità operata
dal Pulizzi. Ed invero, dal contenuto di talune intercettazioni acquisite
al procedimento intercorse fra i coimputati Lo Duca e Passalacqua, era
emerso che il Gallina aveva avuto motivi di contrasto, più o meno
recenti, con lo stesso Lo Duca (relativi alla proposta di acquisto di
animali, a diritti di pascolo violati ed a crediti millantati), che avevano
provocato pure u n tentativo di componimento d a parte di Angelo
Conigliaro, importante esponente del sodalizio mafioso carinese.
L'imputato, a dire di Lo Duca, aveva osato non tenere in alcuna
considerazione
l'intervento
del
predetto
anziano
uomo
d'onore,
consigliere del reggente di Carini, Pipitone Vincenzo. Nel rievocare la
questione insieme al suo sodale Passalacqua, il Lo Duca aveva collocato
tali contrasti nell'ambito
dell'antica contrapposizione che vedeva
schierati d a anni - s u fronti opposti
- i Gallina
ed i Pipitone, ed aveva
indirettamente incluso l'imputato nella fazione awersa. Episodi ancora
più gravi e recenti accuse di furto mosse da altro appartenente alla
fazione dei Gallina avevano poi causato un'ulteriore recrudescenza
nell'annosa lotta interna fra i componenti della cosca di Carini.
Osservava il giudice di prime cure che il Lo Duca, nel corso della
conversazione intercettata, aveva annoverato l'imputato fra i vecchi
rivali dei suoi congiunti, ed aveva poi richiesto l'intervento del reggente
Enzo Pipitone. Ciò dimostrava che Angelo Gallina doveva godere di u n
suo personale spessore mafioso nel territorio, circostanza peraltro
desumibile dal fatto d'essere stato in grado di sostenere il confronto con
gli associati Pallalacqua e Lo Duca, figli di importanti uomini d'onore in
quel momento detenuti (Matteo Lo Duca e Calogero Giovanni Battista
Passalacqua detto "Battistone") ed anche con l'anziano consigliere di
Pipitone Vincenzo, Angelo Conigliaro. Ulteriori commenti registrati nelle
intercettazioni si riferivano al fatto che i Pipitone spesso non erano
riusciti a risolvere le questioni sollevate dai Gallina, così evidenziando
come questi ultimi potessero contare, all'interno di Cosa Nostra, di
protezioni ai livelli più alti e convalidando ulteriormente le indicazioni di
Pulizzi sulla qualità di uomo d'onore della famiglia di Carini attribuita
ad Angelo Gallina. Secondo il GUP argomenti convergenti con le
dichiarazioni del collaborante potevano trarsi anche dalla vicenda cd.
Altadonna,
nonostante
lo
stesso
giudicante
fosse
giunto
alla
conclusione di assolvere l'imputato dalla specifica contestazione di cui
al capo 16).Le indagini avevano, infatti, posto in evidenza l'esistenza di
una
complessa
operazione
di
speculazione
immobiliare
ed
imprenditoriale concepita e portata avanti dai più elevati esponenti della
mafia di Carini, con la decisiva collaborazione del costruttore Lorenzo
Altadonna. Gli elementi acquisiti al processo, stante il contenuto non
univoco delle conversazioni intercettate,
non avevano però sciolto il
dubbio se il Gallina fosse stato uno dei soggetti che aveva messo a
disposizione di Altadonna denaro di illecita provenienza per prowedere
all'investimento d e quo oppure, tenuto conto anche delle dichiarazioni
del Pulizzi che aveva descritto il Gallina come mezzadro sui terreni
inglobati nel progetto Altadonna, dovesse ritenersi che le cifre indicate
nei colloqui intercettati corrispondevano al valore di diritti reali vantati
dall'odierno appellante, sin da epoca antecedente al varo dell'operazione
speculativa, sui terreni poi ricompresi dal progetto. Anche accedendo a
tale ultima ipotesi non poteva peraltro dubitarsi, secondo il giudice di
prime cure, che, essendo stato in grado il Gallina di difendere
energicamente interessi e prerogative individuali nell'ambito di u n a
vicenda speculativa di primaria importanza per il sodalizio carinese, lo
stesso era stato chiamato ad agire nello stesso contesto, ed a trattare,
da pari a pari, con altri uomini d'onore di Carini, sulla base di regole
comuni,
nel
rispetto
di
principi
gerarchici,
fruendo
di
una
considerazione che non era stata attribuita a nessuno degli interlocutori
coinvolti. Se quindi è vero che, quando era stato richiesto l'intervento
dei vertici del sodalizio carinese per dirimere una questione che vedeva
contrapposto il Gallina ad altri sodali, il primo non era stato ammesso a
partecipare alla riunione mafiosa presso la Locanda San Giorgio, tale
circostanza doveva essere letta in relazione al diverso peso di
quest'ultimo
in
seno
alla
consorteria,
evidentemente
non
piu
paragonabile a quello vantato dai Gallina all'epoca in cui Totò Gallina
era il reggente della famiglia di Carini.
Con riguardo alla posizione di Pulizzi Gaspare, lo stesso era stato dal
primo giudice ritenuto responsabile del delitto di associazione mafiosa
di cui al capo 1 della rubrica, di tre episodi di danneggiamento
aggravato (uno tentato e due consumati) e di detenzione e porto d'armi
da sparo. I1 primo giudice metteva in luce il duplice ruolo del Pulizzi nel
presente
processo:
quello di imputato e quello
di accusatore,
evidenziando il valore delle dichiarazioni rese dallo stesso nella
ricostruzione delle vicende descritte nei capi di imputazione. Dal
coacervo probatorio in atti il primo giudice ha desunto u n grado di
compenetrazione tale da far affermare che il Pulizzi era stabilmente
inserito nella organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ancora prima della
poi sopravvenuta affiliazione formale, con compiti precipui, funzionali
per l'esistenza ed il rafforzamento dell'associazione, orientati sotto il
profilo causale ed attuati con la consapevole volontà di far parte della
famiglia retta prima da G.B. Pipitone e poi d a suo fratello Enzo.
Quanto alla pena, il primo giudice riteneva congrua la pena finale di
anni 5 e mesi due di reclusione, così calcolata: pena base, tenuto conto
del giudizio di equivalenza fra art. 8 L. 203191 e contestate aggravanti,
e muovendo quindi dalla pena prevista dal primo comma dell'art. 416
bis C.P., esclusa la fattispecie del comma secondo
=
anni 5 e mesi
quattro di reclusione, aumentata ex art. 8 1 cpv C.P. di mesi otto di
reclusione (per il tentativo di estorsione), di anno uno (per i delitti in
materia di armi), e di ulteriori tre mesi per ciascuna delle ipotesi di
danneggiamento, fino ad u n totale di anni sette e mesi nove di
reclusione, da ridurre di u n terzo per il rito.
Con riguardo alla posizione di Di Napoli Pietro, lo stesso era stato dal
primo giudice ritenuto responsabile del delitto di tentata estorsione
aggravata di cui al capo 14) della rubrica, alla stregua di u n materiale
probatorio costituito dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia,
Pulizzi, e d a numerose intercettazioni telefoniche. I1 primo giudice, dopo
aver rilevato che il Di Napoli e soggetto già riconosciuto, con sentenza
divenuta irrevocabile, quale esponente di vertice di Cosa Nostra del
mandamento Noce-Cruillas,
nonché autore di plurime estorsioni
aggravate, accertate con sentenze parimenti irrevocabili, con riguardo
all'episodio estorsivo in contestazione h a evidenziato come questi, fin
dal momento della sua scarcerazione, avvenuta nel luglio 2003, si era
attivato al fine di garantire la "messa a posto" dell'imprenditore
Giovanni Billeci con il vertice della famiglia mafiosa di Carini, Pipitone
Vincenzo, in relazione al progetto relativo alla realizzazione del
complesso edilizio ubicato in località Marina Longa di Piraineto. Awerso
tale sentenza proponeva appello l'imputato, a mezzo del suo difensore,
dolendosi del fatto che era stato condannato per u n presunto episodio
estorsivo, in forma tentata, mentre dagli atti emergeva che la condotta
tenuta non aveva comunque superato la soglia de117ideazione,difettando
pertanto il presupposto della punibilità. Ed invero, mancava la prova
che, grazie all'intervento del Di Napoli, il Pipitone avesse accertato la
controfferta sulla tangente da versare. In ogni caso, gli accordi in
questione erano soggetti a condizioni legate alla effettiva realizzazione
del progetto, che in realtà non si era awerata. Il Di Napoli non aveva
comunque posto in essere u n a condotta causalmente rilevante, poiché
egli era intervenuto dopo che i Pipitone della famiglia di Carini avevano
richiesto la tangente. Da ultimo veniva evidenziato come mancasse
comunque l'elemento soggettivo del reato, in quanto il compito era stato
quello di attenuare l'onere del Billeci che proprio per questo si era al Di
Napoli rivolto.
Con
sentenza del
25 gennaio
2012,
la
Corte di Cassazione,
pronunciandosi sui ricorsi degli odierni imputati e di numerosi altri la
cui posizione non rileva nel presente giudizio, annullava la sentenza
resa in data 15 luglio 2010 dalla Corte di Appello di Palermo nei
confronti di Biondo Carmelo, Di Napoli Pietro, Gallina Angelo e hlizzi
Gaspare, per quest7ultimo limitatamente alla misura della pena,
rinviando per u n nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello
di Palermo.
Nel presente giudizio di rinvio, all'udienza del 20 giugno 2012, dopo la
relazione della causa e le conclusioni delle parti, la Corte decideva come
da dispositivo di cui il Presidente dava immediata lettura.
*******
1. Esaminando per prima la posizione di Biondo Carmelo va osservato
che la Corte di legittimità, dopo avere esaminato i relativi motivi di
ricorso con cui, sulla falsariga di quelli di appello, è stata dedotta la
violazione dei criteri di cui all'art. 192 C.P.P. avendo i giudici di merito
fondato il giudizio di penale responsabilità s u u n elemento non certo,
ossia sulla identificazione dell'imputato nel "Carmilazzu", più volte
richiamato nei dialoghi intercettati nel magazzino del Gottuso, ne h a
rawisato la fondatezza.
Al riguardo i giudici di legittimità hanno osservato come, essendo il
ricorso, al pari dell'appello, incentrato sulla identificazione dell'imputato
tratta d a intercettazioni svoltesi fra terze persone cui l'imputato non
aveva partecipato, la sentenza impugnata non avesse risposto alle
obbiezioni difensive, non avendo tenuto nel debito conto e non avendo
spiegato, al di là di ogni dubbio, il motivo per cui il dispregiativo del
prenome sopra citato dovesse riferirsi esclusivamente al Biondo, tanto
più che con lo stesso appellativo, come evidenziato dalla difesa, era
indicato anche u n altro appartenente alla cosca, certo Militano Carmelo,
dedito anch'esso ad attivitz estorsiva. Né poteva ritenersi fondata
l'affermazione della Corte di merito che aveva escluso come tale
omonimia rendesse dubbia la identificazione in proposito essendo stata
rimarcato il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Franzese che aveva negato che al Militano si potesse riferire il nome
nella suddetta forma distorta. Ed invero, tale ragionamento si
appalesava fallace se non altro perché il detto Franzese, per come
ammesso dalla stessa Corte, aveva dimostrato di non possedere con
riguardo al Biondo sicuri elementi di conoscenza, avendo riferito
elementi circostanziali sul conto dello stesso risultati erronei. Infatti, al
Biondo era stata attribuita dal Franzese un'attività lavorativa mai
svolta, e tale errore non poteva certo ritenersi irrilevante avendo fatto
venir meno u n valido riscontro esterno individualizzante, in presenza di
u n mero soprannome, posseduto da più soggetti e come tale di dubbia
valenza. Né tale lacuna argomentativa poteva essere colmata alla
stregua di altri elementi probatori. Quanto alla indicazione del
collaboratore di giustizia Nuccio sul medesimo nome, la valenza
probatoria
della
medesima
appariva
contraddetta
dal
mancato
riconoscimento fotografico del Biondo non avendo spiegato la sentenza
della Corte di merito le ragioni della irrilevanza di tale discrasia, che
pure avrebbe dovuto sollevare dubbi sulla fonte e sul potenziale
riscontro al Franzese. Vero è poi che nella sentenza impugnata
risultavano valorizzate due conversazioni in cui gli aderenti alla cosca di
San Lorenzo indicavano come loro conoscente e presumibilmente quale
appartenente alla consorteria "Carmelo Biondo". E' però altrettanto
vero, notano i giudici di legittimità, che l'ambito dei discorsi nel corso
dei quali il Biondo veniva esplicitamente citato non contiene riferimenti
specifici o individualizzanti rispetto alla vicenda di cui al capo 27
de117epigrafe e pertanto non si risolve in conferma dell'esplicita
indicazione di Camzitazzu, quale soggetto collettore dell'estorsione in
danno di Caruso. Concludevano i giudici di legittimità osservando come
anche la vicenda ricostruita nel dialogo fra Gottuso e Maltese, dalla
quale dovrebbe ricavarsi una coincidenza fra l'arresto del Carmilazzu, di
cui parlano gli interlocutori, ed una carcerazione del Biondo, non risolva
il nodo della identificazione rimanendo pur sempre u n a deduzione che il
Biondo sia effettivamente quel Carmilazzu che si era intromesso nella
iniziale messa a posto del Caruso, mentre avrebbe avuto valenza
centrale come riscontro se anche tutti gli altri argomenti avessero
portato al Biondo, quale unico utilizzatore di tale prenome. Le indicate
aporie pertanto imponevano, secondo i giudici di legittimità, u n a nuova
valutazione degli elementi in atti da parte di altra sezione della Corte di
Appello di Palermo cui è demandato il compito di procedere ad u n
nuovo esame della "catena inferenziale alla luce dei rilievi formulat?' e di
"acclarare la riferibilità del soprannome dell'imputato e la consequenziale
sua intromissione nel fatto estorsivo per cui è processon.
*
Osserva la Corte come debbano senz'altro condividersi, in primo luogo, i
dubbi manifestati dalla Corte di legittimità in ordine alla effettiva
valenza probatoria delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Nuccio e Franzese, i quali hanno attribuito al Biondo l'appellativo di
Carmilazzu. Ed invero, nel rilevare in via preliminare come tale
appellativo, lungi dall'attagliarsi in modo esclusivo alla persona del
Biondo, è assai comunemente usato in Sicilia, specie nelle frange più
popolari, nei confronti di soggetti di nome Carmelo e di corporatura
robusta, non vi e dubbio alcuno che entrambe le dichiarazioni dei
prefati collaboranti appaiono generiche e non sufficientemente rilevanti
in relazione del thema decidendum. Quanto al Nuccio, va osservato
come
il
collaborante, oltre
a
non
riconoscere
fotograficamente
l'imputato, nulla sia stato in grado di indicare in ordine alla pregressa
conoscenza con quest7ultimo owero a rapporti a fatti specifici
riguardanti lo stesso, non avendo peraltro omesso di precisare il
dichiarante che la s u a era una conoscenza superficiale ("lo conosco di
vista"), con la conseguenza che il riferimento al dispregiativo in
discussione si manifesta privo di qualsivoglia rilevanza specie se si
considera come lo stesso dichiarante, a precisa domanda del PM che gli
chiedeva se fosse a conoscenza di altri soggetti appellati con il
nomignolo in discussione, abbia manifestato la possibilità che altro
uomo d'onore della zona, Carmelo Militano, lo fosse.
M a se così è non vi è dubbio che, non spiegando la sentenza impugnata,
al di là di ogni dubbio, ne potendo desumersi aliunde
che il
dispregiativo in questione si riferisca esclusivamente al Biondo, né come
si è visto potendosi desumere tale circostanza dalle dichiarazioni citate,
prive peraltro di qualsivoglia valenza individualizzante nei confronti
dell'imputato e del fatto di reato a lui addebitato, va ancora u n a volta
verificato se significativi elementi al riguardo possano o meno trarsi
dalle intercettazioni in atti, se cioè da queste possa desumersi con
sicurezza che fosse l'odierno imputato il "Carnelo...Camilazzu" indicato
nella conversazioni svoltesi nel 2004 presso il deposito del Gottuso
come il soggetto che in anni passati, e comunque sino al luglio 1998,
era il collettore del pizzo corrisposto dal commerciante Cristofaro
Caruso in unica soluzione per più esercizi commerciali ubicati in
diverse zone della città di Palermo e di competenza pertanto di più
famiglie mafiose, oltre che di quella di San Lorenzo.
Secondo i giudici di prime cure e di appello particolare rilevanza al
riguardo rivestirebbe la conversazione del 6 febbraio 2004 h. 17,24
intercettata fra Maltese Umberto, esponente mafioso del mandamento
della Noce, e Gottuso Salvatore nel corso della quale quest7ultimo,
prendendo spunto da talune lamentele fattegli
nuovo
reggente del
da Di Napoli Pietro,
summenzionato sodalizio, circa il mancato
pagamento d a parte del Caruso del pizzo dovuto in relazione ad u n
esercizio
commerciale
ubicato
nella
sua
zona
di
competenza,
rammentava come nel periodo in discussione fosse tale Carmilazzu il
soggetto che avrebbe dovuto prowedere a smistare quanto dovuto alla
famiglia
della
Noce,
immediatamente
dopo
chiedendo
al
suo
interlocutore quando fosse stato arrestato "Carmelo" ("Oggi c'è stato un
discorso di u n amico, ore è venuto Pierino, è stato dieci minuti e se n'è
andato, mi ha guardato (incomprensibile), io difendo le persone quando è
giusto dvenderle ! "C'è uno che mi dava i soldi ... mi d à i soldi è da dieci
anni che mi d a i soldi e li porto a San Lorenzo, c'è stato u n discorso ed io
gli ho detto: "vedi che è u n amico Pien, statti calmo perché questo
cristiano è una persona educata, è un amico ed io l'ho fatto perché è
venuto Carmiluzzu allora, quant'è che è stato arrestato Carmelo Y').
E poiché in altra conversazione intercettata fra i mafiosi Landolina e
Vitrano i due interlocutori indicavano contestualmente in "Biondo,
Carmilazzu" il soggetto che era stato incaricato del170ccultamento di
talune armi mentre il riferimento compiuto dal Gottuso al lasso
temporale in cui il "Carmelo, Carmilazzu* assolveva al compito di
collettore del pizzo coincideva con il momento in cui il Biondo era stato
tratto in arresto (29.7.1998), dal coacervo di tali elementi (e come si è
detto anche dalle dichiarazioni del Franzese e del Nuccio) dovrebbe
trarsi il convincimento che era effettivamente il Biondo (soggetto tratto
in arresto perché dedito alla consumazione di estorsioni per conto della
famiglia di San Lorenzo) il soggetto in questione.
Né, come affermato dalla difesa, poteva ritenersi che il "Carmila~zu'~
in
questione
potesse
identificarsi
in
Militano
Carmelo, apparendo
incongrua tale identificazione con riferimento al ruolo mafioso di vertice
da tale soggetto assunto nella famiglia dello ZEN, quale si desume dagli
atti del processo "Piana Dei Colli", essendo con ogni evidenza tale ruolo
inconciliabile con il compito di esattore per la famiglia di San Lorenzo
svolto nella vicenda in esame dal "Carmelazzu", del tutto consono invece
a quello svolto dal170dierno appellante a117interno di Cosa Nostra, in
epoca peraltro coeva a quella dell'odierna contestazione, come si
desume dalla sentenza definitiva a carico dello stesso acquisita al
presente processo.
Osserva la Corte come alla stregua dei parametri valutativi stabiliti dalla
Suprema Corte, che questo giudice del rinvio ritiene
peraltro
effettivamente conformi alle risultanze processuali, ben poco rilievo può
in
realtà
attribuirsi
alla asserita coincidenza tra
l'arresto
del
Carmilazzu, di cui parlano il Maltese ed il Gottuso, e la carcerazione del
Biondo, rimanendo "pur sempre una deduzione che egli sia il Carmelazzu
che si è intromesso nella iniziale messa a posto del Caruso, mentre
avrebbe valenza centrale come riscontro se anche tutti gli altri argomenti
portassero al Biondo, quale unico utilizzatore di detto prenome".
In altri termini, a ben poco rileva la circostanza che, alla stregua delle
considerazioni espresse dai primi giudici, possa o meno escludersi che il
soggetto collettore del pizzo corrisposto dal Caruso possa o meno
identificarsi in Carmelo Militano, quel che rileva è che la pur rilevante
coincidenza fra l'epoca in cui i fatti in contestazione hanno avuto luogo
e la sopravvenuta carcerazione dell'imputato non è né può essere il dato
che, al di là di ogni ragionevole dubbio, consente di chiarire se il
Carmilazzu indicato nelle intercettazioni sia il Biondo, non potendo
affatto escludersi che con tale nomignolo il Gottuso si riferisse ad altra
persona. Se e vero, in definitiva, che gli elementi probatori acquisiti al
processo
fanno
residuare
forti
elementi
di
sospetto
a
carico
dell'imputato, deve però convenirsi che gli stessi non possano assurgere
a prova certa della penale responsabilità dello stesso.
In parziale riforma della impugnata sentenza Biondo Carrnelo va
pertanto, ai sensi dell'art. 530 2" comma C.P.P., assolto dal reato
ascrittogli al capo 27 della rubrica, per non avere commesso il fatto.
2.
Prendendo in esame la posizione di Gallina Angelo, la Corte di
legittimità ha premesso che "in tema di associazione di tipo mafioso, la
mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di
parentela, amicizia o rapporti d'affari) ovvero la presenza di occasionali o
sporadici contatti in occasione di eventi pubblici o in contesti territoriali
ristretti,
non
costituiscono
elementi
di
per
sé
sintomatici
dell'appartenenza all'associazione, ma possono essere utilizzati come
riscontri d a valutare ai sensi dell'art. 192, comma temo C.P.P., quando
risultino qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati da
necessario carattere individualizzante (Sez. 6A, sentenza n. 24469 del
5/5/2 009)".
4
Orbene, secondo i giudici di legittimità, tale principio di diritto non
avrebbe trovato esatta e condivisibile applicazione nella sentenza
impugnata
essendosi
il
giudice
di
prime
cure,
come
quello
dell'impugnazione, mossi dalla premessa che il Gallina sarebbe inserito
nel clan omonimo, composto da persone con cui l'appellante ha rapporti
di parentela, sia perché tale lo ha definito il Pulizzi, sia perché implicato
in vicende che lo avevano visto contrapposto ad altro esponente, certo
Passalacqua, in quota al clan Di Maggio, e che avevano determinato una
riunione tra i vertici associativi per comporre la questione.
Ha però osservato la Corte di legittimità che gli elementi esposti dai
giudici di merito, che si sono anche oltremodo dilungati nell'analisi di
conversazioni che riguardano l'organizzazione e lo svolgimento di detta
riunione, non integrano u n a serie indiziaria sicura. Ed invero non
risulta
chiarito
se
l'intervento
conciliativo
sia
stato
sollecitato
dall'imputato (la cui parentela con i membri dell'omonimo clan dallo
stesso giudice di prime cure viene definita lontana) oppure se a
sollecitare il summit mafioso, cui l'imputato non h a con sicurezza preso
parte, sia stata piuttosto la parte avversa come d'altronde è logico
ritenere dal chiaro tenore delle conversazioni intercettate dalla cui
lettura emerge significativamente che era stato il suo antagonista, cioè il
Passalacqua, a chiedere l'intervento dei vertici del sodalizio.
In ogni caso, a fronte di u n episodio che suscita perplessità sulla
consapevolezza ed adesione del Gallina alla regola di sottomissione ed
accettazione delle decisioni assunte nel contesto associativo, non
risultano
dal
giudice
di
merito
individuati
specifici
elementi
individualizzanti, tanto più che tale non può catalogarsi la chiamata in
reità del Pulizzi di per sé generica e non confortata da analoghe
dichiarazioni dei collaboranti Franzese e Nuccio. Quanto poi alla
vicenda Altadonna, ossia la vicenda dell'ipotetico riciclaggio, alla stessa
non poteva dawero attribuirsi valenza alcuna posto che, a dire dello
stesso primo giudice, dalla lettura di essa era impossibile desumere se
l'imputato avesse agito a tutela di propri interessi leciti o se avesse
aderito alla iniziativa illegale di altri sodali. Doveva peraltro reputarsi
apodittica l'imputazione del comportamento tenuto dal prevenuto nella
vicenda d e qua in relazione alla condotta associativa come sintomatico
di u n presunto rispetto della gerarchia mafiosa, non risultando motivata
sulla base di u n dato di fatto specifico ed anzi contraddetta dalla
considerazione espressa dal primo giudice che ha reputato più
verosimile che nella vicenda in questione il prevenuto h a piuttosto agito
a tutela di interessi personali. Le rilevate pecche motivazionali
imponevano in conclusione l'annullamento della sentenza in parte qua
con rinvio ad altra sezione della Corte di merito palermitana chiamata,
in forza dei dati di fatto raccolti, ad u n a nuova valutazione della serie
indiziaria.
Osserva la Corte come alla stregua dei parametri valutativi stabiliti dalla
Suprema Corte, che questo giudice del rinvio ritiene
peraltro
effettivamente conformi alle risultanze processuali, ben poco rilievo
assume innanzitutto, nel quadro della contrapposizione che in seno alla
famiglia mafiosa di Carini si sarebbe creata fra il clan dei Gallina e
quello dei Pipitone la figura dell'odierno appellante Angelo Gallina,
apparendo evidente peraltro
come i giudici di merito
abbiano
soprattutto trascurato di mettere a fuoco quello che sarebbe stato il
ruolo svolto dal prevenuto in seno al locale sodalizio o, quantomeno,
nella fazione di cui questo sarebbe stato parte.
E' noto del resto come la condotta dell'agente per integrare gli elementi
costitutivi
del reato di partecipazione di tipo mafioso, debba avere,
secondo u n ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, carattere
"dinamico e funzionalisticon (cfr. la nota sentenza a S.U. Mannino del
12 luglio 2005),
consistendo sul piano oggettivo nel contributo
apprezzabile e concreto alla realizzazione dell'offesa tipica degli interessi
tutelati dalla norma incriminatrice.
In altri termini, la condotta di partecipazione e riferibile a colui che si
trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto
organizzativo del sodalizio, tale d a implicare, più che uno "statusn di
appartenenza, u n ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale
l'interessato "prende parten al fenomeno associativo, rimanendo a
disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi
(Cass. sez. 1A , sentenza n. 1470 del 11/ 1212007).
Ne consegue che in subiecta materia, al fine di accertare la sussistenza o
meno de117adesione all'associazione di tipo mafioso e l'attualità della
stessa, valore pregnante assumono i cd. facta concludentia, cioè i
comportamenti, del più vario contenuto, che siano stati in grado di
arrecare
un
apprezzabile contributo alla vita dell'organizzazione
criminosa, denotando altresì la sussistenza del vincolo associativo.
Nel caso in esame della presunta appartenenza dell'imputato alla cosca
di Carini h a riferito peraltro il solo Gaspare Pulizzi che però, come
sottoiineato dai giudici di legittimità, h a reso sul punto dichiarazioni
assai generiche affermando, sulla base di notizie apprese d e relato e
senza essere in grado di riferirne la fonte, che l'appellante sarebbe stato
un vecchio uomo d'onore della famiglia di Carini sin da epoca
precedente al suo ingresso nella consorteria, senza però essere in grado
di menzionare anche u n solo fatto in grado di enuclearne il ruolo od il
tipo di attività svolte in seno al sodalizio o, quantomeno, in seno alla
fazione di esso di cui avrebbe fatto parte.
Se pertanto della chiamata in correità proveniente dal Pulizzi, che
avendo da ultimo rivestito anche il ruolo di reggente della cosca
carinese ben sarebbe stato astrattamente in grado di riferire notizie più
attuali e significative sul conto dell'imputato, può farsi relativo conto,
essendo peraltro rimasta isolata e non corroborata da dichiarazioni di
altri collaboranti, non provenendo da essa l'indicazione di specifici dati
fattuali, occorre verificare se le rimanenti risultanze processuali siano
idonee a rafforzare il sinora debolissimo quadro probatorio.
Se infatti dal racconto del collaborante e lecito desumere che lo stesso,
entrato a far parte della consorteria in tempi più recenti ed all'interno
della fazione dominante dei Pipitone, potrebbe non essere stato a
conoscenza di pregresse attività criminose dell'odierno appellante,
legato da lontani vincoli parentali a quel Salvatore Gallina u n tempo ai
vertici della cosca carinese, non esistono in atti nemmeno elementi in
grado di attribuire contenuto concreto alla citata qualifica di uomo
d'onore.
Ed al riguardo deve riconoscersi che nessuna valenza probatoria in tal
senso può essere attribuita alla vicenda riguardante la diatriba (per
vicende relative alla proposta di acquisto di animali, a diritti di pascolo
violati, a crediti millantati) fra l'odierno appellante e Giuseppe Lo Duca,
soggetto la cui stabile compenetrazione in seno al sodalizio è stata
ormai accertata con sentenza irrevocabile.
Al riguardo e sufficiente rilevare come dalle intercettazioni in atti
eseguite nei confronti di u n loquacissimo Lo Duca, che ai suoi
interlocutori telefonici non esita a raccontare in modo particolareggiato
di danneggiamenti strumentali a condotte estorsive da lui commessi agli
ordini del capo cosca Di Maggio, altro non sia possibile evincere, quanto
al Gallina, che questi, interpellato da Angelo Conigliaro (che su richiesta
del Lo Duca era intervenuto per proporre u n bonario componimento
della
querelle summenzionata) non
avrebbe
tenuto
in
alcuna
considerazione l'intervento di u n così autorevole anziano uomo d'onore,
all'epoca consigliere del reggente di Carini, Vincenzo Pipitone.
Secondo il primo giudice il "fatto stesso che Giuseppe Lo Duca aveva
annoverato l'imputato fra i vecchi rivali dei suoi congiunti, ed aveva poi
richiesto addirittura l'intervento del reggente Enzo Pipitone, evidenzia che
Angelo Gallina doveva avere un suo personale spessore in quel territorio:
e ciò al punto da essere in grado di sostenere il confronto con i figli di
prestigiosi uomini d'onore (in quel momento Matteo Lo Duca e Calogero
Passalacqua erano detenuti) e con l'anziano Angelo Conigliaro".
In realtà, quel che evidenzia la vicenda in esame è semmai solo che il
Gallina non aveva accettato la mediazione mafiosa proveniente d a u n
soggetto facente parte del vertice mafioso carinese, non potendo
evincersi certo d a tale condotta, dall'essersi rifiutato cioè di sottostare ai
"consigli"
del
Conigliaro,
la
prova
di
una
appartenenza
allo
schieramento avverso, ammesso e non concesso che in quel periodo
dawero esistesse e fosse operante
in opposizione alla fazione
dominante. E di ciò è lecito dubitare, se e vero com7è vero che dalle
compiute indagini (intercettazioni, servizi di appostamento) è emerso
che Ferdinando Gallina, soggetto che sulla carta avrebbe dovuto
capeggiare, mutuando una terminologia politica, lo schieramento di
opposizione, non era stato nemmeno ammesso a partecipare a delle
riunioni di mafia in cui si era discusso anche di questioni ben più
significative di quella concernente la querelle fra Gallina e Lo Duca, in
particolare quella riguardante talune accuse formulate nei confronti del
Lo Duca e del Passalacqua relative a furti di bestiame commessi in
danno del cognato di Bernardo Provenzano.
Ora è indubbio, come osservato dalla Suprema Corte, che l'episodio in
esame
lungi
dall'asseverare,
sia
pure
in
modo
indiziario,
la
partecipazione di Angelo Gallina alla consorteria rende evidente come,
in
quel
preciso
momento
storico,
non
esistesse
una
vera
contrapposizione in seno al sodalizio carinese, facendo fortemente
dubitare del fatto che l'odierno imputato possa avere avuto u n sia pur
minimo ruolo, sia pure in seno aiia fazione minoritaria di questo.
Ne, come precisato dalla Suprema Corte, può dimostrare il contrario la
vicenda cd. Altadonna, riguardante u n a grande speculazione edilizia d a
compiere nel territorio di Carini, cui sulla base di svariati colloqui
intercettati era in qualche modo interessato il locale sodalizio mafioso.
Se, infatti, come lo stesso primo giudice non ha mancato di rilevare "è
possibile che le cifre indicate nei colloqui com'spondessero al valore di
diritti reali vantati da Vallelunga e Gallina, sin da epoca antecedente al
varo dell'operazione speculativa, su terreni poi ricompresi nel progetto",
non si vede dawero come tale vicenda (dalle intercettazioni appare
evidente la pretesa del Gallina di ottenere u n indennizzo in relazione a
dei diritti di mezzadria vantati s u u n terreno facente parte del lotto
interessato alla speculazione edilizia) possa essere dimostrativa di u n
peso mafioso del prevenuto, non potendosi ancora u n a volta che rilevare
come questi agisse a tutela di u n proprio diritto e non certo per il
perseguimento di fini illeciti.
In conclusione, può affermarsi con sicurezza che nella vicenda in esame
l'unico, reale indizio a carico del prevenuto è costituito dalla chiamata
in correità del Pulizzi, che pur provenendo da u n collaboratore di
giustizia di comprovata attendibilità, si è rivelata nel caso in esame
generica e non suscettibile di alcun valido riscontro individualizzante.
In parziale riforma della impugnata sentenza Gallina Angelo va
pertanto, ai sensi dell'art. 530 2" comma C.P.P., assolto dal reato
ascrittogli al capo 1 della rubrica, perché il fatto non sussiste.
3. Prendendo in esame la posizione di Pulizzi Gaspare, il primo giudice
ha ritenuto fondato il motivo di ricorso riguardante le modalità di
riduzione della pena conseguente alla concessione della attenuante di
cui a117art. 8 L. 203191 che ha la propria ragion d'essere nella volontà
del legislatore di assicurare u n premio particolarmente significativo per
la dissociazione cd. attuosa o collaborativa. Ha osservato la Suprema
Corte che con la nota sentenza n. 10713 del 2010 è stato fissato il
principio
che
l'attenuante
ad
effetto
speciale
della
cosiddetta
"dissociazione attuosa" non è soggetta a giudizio di bilanciamento fra
circostanze.
Tanto importa - hanno soggiunto i giudici di legittimità - che in
presenza di attenuanti comuni soggette al giudizio previsto da117art. 69
C.P. e di quella speciale, sia seguita una sequenza di operazioni. Invero,
al fine di coniugare premialità, personalizzazione e proporzionalità del
trattamento sanzionatorio è necessaria che venga determinata la pena
effettuando subito il giudizio di comparazione fra le attenuanti comuni e
le aggravanti contestate e sul risultato che ne consegue sia poi applicata
l'attenuante speciale. Non essendosi adeguati a tale criterio i giudici di
merito, la pronunzia è stata annullata limitatamente a tale punto, con
conseguente rinvio ad altra sezione della Corte di Appello.
*
Osserva la Corte che il principio di diritto fissato dalla nota sentenza
S.U. n. 10713 del 25 febbraio 2010 richiamata nella sentenza di rinvio e
il seguente: "Qualora sia riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto
speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dall'art. 8 D.L.
13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e buon
andamento dell'attività amministrativa) e ricorrono altre circostanze
attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di
comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio
e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata
l'attenuante ad effetto speciale".
Nel caso in esame, non risultando applicate circostanze attenuanti
diverse da quella speciale in esame e dovendosi, comunque, dare corso,
come disposto dalla Suprema Corte, ad u n a nuova determinazione della
pena che, in concreto, tenga conto del rilevantissimo contributo fornito
all'accertamento dei fatti dal hlizzi, la pena di anni cinque e mesi due
di reclusione comminata dal primo giudice in ordine al reato di cui al
capo
1) della rubrica va diminuita in ragione della prevalente
attenuante speciale già concessa. La conseguente pena di anni 2 e mesi
otto di reclusione, aumentata per continuazione, va diminuita in
ragione del rito ad anni due e mesi sette di reclusione.
4. Prendendo in esame la posizione di Di Napoli Pietro, la Suprema
Corte h a ritenuto fondato il ricorso "in punto di accertamento di
configurazione della partecipazione dell'imput~to'~.Hanno osservato i
giudici
di
legittimità come
(al di là della questione circa la
configurabilita del tentativo punibile, da reputarsi infondata non
essendo stato validamente contestato il dato che la famiglia di Carini
aveva esercitato pressioni sul costruttore per indurlo a pagare u n a
tangente sulle costruende villette, al punto che era stato già di questa
determinato
un
importo
poi
non
corrisposto
per
soprawenuti
impedimenti) i giudici di merito non avevano tenuto però nel giusto
conto il fatto che il Di Napoli, intervenendo per ottenere u n a riduzione
della tangente che il Billeci avrebbe dovuto pagare, l'aveva fatto,
secondo la tesi difensiva non sufficientemente confutata, non per
tornaconto personale, ma solo per aiutare l'estorto. Al riguardo i giudici
di legittimità hanno osservato che, se pure è indubbio che la
determinazione del quantum in nome dell'offeso, implica u n obiettivo
contributo alla causazione dell'evento, perché si ravvisi il concorso di
persone nel reato, e cioè si ritenga che l'azione descritta sia frutto di
volontaria adesione alla condotta tipica altrui, è necessario, come
richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, che "il soggetto passivo non
abbia chiesto ausilio all'ipotizzato concorrente nel reato, o che gli abbia
dato u n mandato di cui il mandatario abbia abusato, o almeno ne sia
stato dissuaso dal sottrarsi alla minaccia" (cfr. S.U. Sormani, 22.1 1.O0 e
Cass. 30080/2009). Nel caso di specie i giudici di merito non avevano
offerto prova evidente in u n senso o nell'altro. Difatti il giudizio di
responsabilità era stato fondato per u n verso sulle affermazioni dello
stesso Di Napoli, che in una conversazione registrata si era offerto come
garante del Billeci, in una posizione probatoriamente neutra, in quanto
compatibile con entrambe le posizioni o di vessatore o di amico
dell'imprenditore, mentre in altra animata discussione avuta con altro
esponente mafioso aveva ribadito che il Billeci doveva pagare, non
comprendendosi peraltro se si sia trattato di impegno o di espediente
dialettico. Entrambe le conversazioni lasciavano aperto il tema della
effettiva consapevolezza o meno del Billeci e quindi dell'apporto
cosciente e volontario del Di Napoli. Sul punto la motivazione della
sentenza impugnata, pur descrivendo analiticamente il contenuto delle
prefate conversazioni, non si era soffermata sulla evidenziata amicizia
fra la vittima
ed il presunto
estorsore, pure
risultante
1
dalla
dichiarazione di Gaspare hlizzi. Ne poteva considerarsi adeguata la
motivazione della responsabilità desunta dall'atteggiamento del Di
Y
Napoli che aveva invitato l'imprenditore a pagare, perché il nodo
principale da sciogliere era se l'intervento presso i mafiosi di Carini
fosse stato o meno provocato dallo stesso Billeci, e non se costui avesse
cercato o meno di sottrarsi al17estorsione. Occorrendo verificare, in
conclusione, se la condotta del Di Napoli fosse stata di complicità o di
connivenza si imponeva u n a compiuta verifica, dovendosi pertanto sul
punto disporre 17annullamentodella sentenza in parte qua con rinvio ad
altra sezione della Corte di merito palermitana.
*
Osserva la Corte che le emergenze probatorie, probabilmente non
sufficientemente evidenziate nella sentenza annullata, ben consentono
anche nel presente giudizio di rinvio la conferma della sentenza di prime
cure nei confronti del Di Napoli.
Osservato, in via preliminare, che in questa sede non rilevano più i
rilievi
difensivi
di
natura
processuale
(inutilizzabilità
delle
intercettazioni) e di merito (configurabilità del tentativo punibile)
essendosi su entrambe le questioni ormai pronunciata la Suprema
Corte, va immediatamente esaminata la principale questione sottoposta
all'attenzione di questa Corte che attiene al ruolo svolto nella vicenda
dal17appellante, dovendosi verificare se "il soggetto passivo non abbia
chiesto ausilio all'ipotizzato concorrente nel reato, o che gli abbia dato u n
mandato di cui il mandatario abbia abusato, o almeno ne sia stato
dissuaso dal sottrarsi alla minaccia" ed in ogni caso se l'imputato abbia
agito, come amico della vittima ed in aiuto della stessa, oppure per
tornaconto personale.
Orbene, ritiene la Corte che quel che nella sentenza annullata non è
stato messo sufficientemente a fuoco è probabilmente la natura del
rapporto fra il Di Napoli ed il Billeci, che non è affatto amicale, ed il
contesto in cui si e svolta la vicenda in esame.
Al riguardo v a premesso come le risultanze del presente procedimento,
fondato prevalentemente s u una serie di intercettazioni ambientali
eseguite nell'ambito di diversi procedimenti, abbiano ancora u n a volta
fornito uno "spaccato" dawero desolante di una significativa parte
dell'imprenditoria
siciliana, di quella almeno che opera nel settore
immobiliare, d a sempre controllato da Cosa Nostra che lo ha sempre
messo al primo posto fra i suoi interessi in quanto immediatamente
legato a quello che costituisce forse la principale delle sue finalità: il
controllo del territorio.
Ed invero, le intercettazioni in questione forniscono senza ombra di
dubbio l'immagine di u n a imprenditoria edile le cui attività, talora
anche quelle di minore rilievo quale può essere la ristrutturazione della
facciata di u n edificio, debbono necessariamente passare attraverso il
filtro mafioso.
In altri termini, se e vero che la riscossione del pizzo costituisce la
principale vessazione che subiscono gli imprenditori commerciali, quelli
che operano nel settore edile (non importa se si tratti di lavori pubblici o
privati) debbono necessariamente sottostare a regole ancora più ferree,
essendo di ogni evidenza che ciascun imprenditore se vuole operare "sul
mercato", deve necessariamente avere u n proprio punto di riferimento
mafioso al quale rivolgersi per ottenere, come se non bastassero quelli
rilasciati dall'autorità comunale, l'ultimo "nulla osta", oltre owiamente
che per concordare l'entità della tangente da corrispondere alla cosca in
cui avranno luogo i lavori e le ditte di fiducia per il reperimento dei
materiali.
Se poi u n imprenditore edile vuole operare u n investimento immobiliare
(ad es. la costruzione di u n edificio) o eseguire una più complessa
operazione (ad esempio l'acquisto di terreni, la lottizzazione dei
medesimi e la realizzazione di opere) in territorio diverso da quello in cui
agisce il suo referente mafioso dovrà rivolgersi a quest'ultimo affinché si
occupi della cd. "messa a posto", pattuendo con i mafiosi della zona in
cui i lavori dovranno svolgersi la somma di denaro che dovrà essere
corrisposta e spesso anche la scelta dei fornitori (ad esempio del
calcestruzzo e del materiale edile necessario per la realizzazione
dell'opera).
E' chiaro, ovviamente, come centinaia e centinaia di processi hanno
dimostrato, che fra il mafioso "protettore" e l'imprenditore "protetto" a
gioco lungo viene a crearsi uno stabile rapporto di frequentazione,
rientrando, pertanto, nell'ottica e nel gergo mafiosi, che ovviamente
distorcono gli effettivi valori e sono tutto fuorché lo specchio fedele del
vivere civile e dei buoni sentimenti, che u n determinato imprenditore,
possa in quel determinato ambiente essere indicato "amico" del boss
mafioso che lo protegge.
Non vi è dubbio, peraltro, trattandosi il più delle volte di situazioni
bordeline, come costituisca spesso u n importante banco di prova per
l'inquirente prima ed il giudicante poi comprendere se l'imprenditore
che ad u n certo punto entra nel mirino delle indagini sia u n
imprenditore vittima o u n imprenditore colluso, essendo il primo, come
la giurisprudenza di legittimità da tempo insegna, colui che soggiogato
dall'intimidazione non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede
all'imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a
perseguire un'intesa volta a limitare tale danno, ed il secondo colui che
è entrato in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre
vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l'imprenditore
nell'imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio
criminoso nell'ottenere risorse, servizi od utilità (Cass., sez. 1A , 11
ottobre 2005 - 20 dicembre 2005, n. 46552).
In altri termini, parlare di "amicizia" in entrambi i casi è perlomeno
fuorviante, perché nel caso dell'imprenditore colluso costui, in quanto
complice del suo mafioso di riferimento, allorché intraprende u n
investimento fuori della sua zona di riferimento mafioso, non fa che
adeguarsi alla "regola" mafiosa ineluttabile del pagamento del pizzo,
sapendo però che il mafioso che interviene per concordare con il suo
omologo appartenente ad u n a articolazione diversa dell'organizzazione
mafiosa l'entità della tangente e la scelta dei fornitori lo fa comunque
nell'interesse comune, agendo spesso nell'ambito di una società di fatto
e ben comprendendo peraltro di perseguire in tal modo le finalità della
consorteria; nel caso dell'imprenditore vittima, costui, in quanto mero
connivente del suo mafioso di riferimento, se deve operare u n intervento
immobiliare in territorio mafioso diverso da quello in cui opera il suo
protettore, chiede a quest'ultimo, di cui è sempre vittima e mai socio, di
intervenire, per mitigare ad esempio, l'entità
della tangente da
corrispondere e pertanto al solo scopo di limitare il danno.
Tale approccio alla problematica, appare, peraltro, perfettamente in
linea non
analoghe
S O ~ O con
vicende
la pratica derivante daii'esame di numerosissime
processuali
ma
anche,
owiamente,
con
l'insegnamento di consolidata e dominante giurisprudenza di legittimità
secondo cui l'intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per
incarico di quest'ultima, non risponde del concorso nel reato solo se
agisce nell'esclusivo interesse della persona offesa e per motivi di
solidarietà umana, dovendosi altrimenti ritenere che la sua opera
contribuisce alla pressione morale e alla coazione psicologica nei
confronti della vittima e quindi conferisce u n apporto causativo
all'evento delittuoso (Cass. sez. 2A, n. 26837 del 19/ 6 / 2008, Alfiero;
ibidem, Cass. sez. 2A n. 5845/ 1995 e Cass. sez. 2A n. 9172/2002).
Ed allorché l'intermediario, come nel caso di specie, sia u n mafioso di
rango come Di Napoli Pietro, reggente del mandamento di Noce-Cruillas,
definitivamente
condannato
per
associazione
mafiosa
e
per
numerosissime estorsioni ed appena scarcerato nel momento in cui
ebbe ad interessarsi della questione, appare davvero azzardato anche
solo ipotizzare che l'accertato suo intervento nella vicenda in esame sia
awenuto nell'esclusivo interesse della persona offesa e per motivi di
solidarietà umana, essendo stato peraltro ormai definitivamente
accertato che il Billeci, che era sottoposto a protezione dalla famiglia
mafiosa della Noce e non era u n imprenditore colluso, fu vittima,
quantomeno, di u n tentativo di estorsione ad opera dei Pipitone e Di
Maggio Antonino della famiglia di Carini (nel cui territorio avrebbe
dovuto essere realizzata l'opera), riuscendo, a seguito di trattative con
gli esponenti della cosca di Carini, a far decrescere il costo della cd.
"messa a posto", risultando altresì per tabulas che tale intervento il Di
Napoli operò perché interessato alla acquisizione di ulteriori "utilità" che
reputava potessero derivargli, ad operazione immobiliare avviata, anche
grazie all'intervento d a lui ricercato di altri imprenditori da affiancare al
Billeci.
Ciò può affermarsi, alla stregua del contenuto delle intercettazioni
ambientali
e di documentazione, specificamente menzionato nella
sentenza di prime cure e più estesamente nella sentenza annullata , che
qui deve intendersi pertanto riportato e trascritto, da cui si desume:
- che il Billeci, interessato alla realizzazione in località Marina Longa di
Carini di 73 villette ed in quel momento privo del suo "protettore"
mafioso in stato di detenzione aveva dovuto subire le attenzioni della
locale famiglia mafiosa che pretendeva per la cd. "messa a posto" la
corresponsione di una tangente che, prima della introduzione dell'euro,
era stata fissata in settecento milioni di euro;
- che il progetto non si era potuto rapidamente realizzare per difficoltà
burocratiche nel rilascio delle concessioni edilizie e dei fidi bancari sia
per la resistenza del17imprenditore ad accettare di pagare ne117entità
richiesta la tangente;
- che, essendo trascorso diverso tempo senza che, in particolare, il
Billeci fosse riuscito ad ottenere il via libera dalla Sovrintendenza ad i
beni culturali ed ambientali, in seno alla famiglia di Carini era stata
prospettata l'eventualità di estromettere il suddetto imprenditore
sostituendolo con imprenditori operanti nel territorio di Carini con i
mafiosi di Carini intrattenevano rapporti fiduciari;
- che il definitivo "nulla osta" mafioso al Billeci era stato dato solo
quando, u n a volta scarcerato, nel giugno 2003, il Di Napoli era
intervenuto garantendo l'effettivo awio dei lavori in tempi brevi e la
"messa a posto" del suo protetto, riuscendo a mitigare le pretese dei
mafiosi del luogo circa l'entità del pizzo;
- che l'interesse nella vicenda del Di Napoli, che trattava da mafioso di
rango con altri mafiosi suoi omologhi, non era certo ispirato da
sentimenti di amicizia nei confronti del Billeci o, ed e quel che più
rileva, dall'intento di indurre quest'ultimo a non sottostare alla
coazione, essendo piuttosto vero il contrario, (significativa, al riguardo,
la conversazione nel corso della quale il boss della Noce, discorrendo
con il suo omologo di Carini, lo rassicura sul fatto di avere
adeguatamente "sollecitato" il suo protetto a pagare la tangente dovuta
a Cosa Nostra ("lui, lui..lui mi deve dare a me quello che gli vado a dire,
a me se ce li h a o se non ce li ha, si va ad impegnare le corna se ce le
ha, e mi deve dare i soldi...io voglio sapere una sola cosa, più presto ci
liberiamo di questi discorsi.. .più presto";
- che dello specifico e tutt7altro che disinteressato impegno del Di
Napoli, che agiva nel precipuo interesse della organizzazione mafiosa e
non certo del solo Billeci, si h a piena prova nelle intercettazioni da cui si
desume come ad u n certo punto il boss della Noce, ben comprendendo
l'importanza della operazione immobiliare forse superiore alle possibilità
di finanziamento bancario conseguibile dal suo protetto, si adopera, di
concerto con i mafiosi di Carini, per affiancargli altri imprenditori
(Ramberti, Sbeglia) ed al contempo sollecita gli esponenti mafiosi di
Carini a pressare sugli uffici amministrativi per il rilascio delle
concessioni.
In conclusione, ritiene la Corte che da tutte le acquisizioni probatorie
(l'intervenuto arresto del Gottuso nei locali del quale è stato intercettato
il maggior numero di conversazioni ha peraltro impedito di verificare se
la tangente concordata sia stata effettivamente corrisposta, integrando
così
l'ipotesi
consumata
del
reato
di
estorsione)
dimostrano
inequivocabilmente che l'odierno appellante con la s u a condotta
contribuì alla realizzazione del reato ascrittogli. Vanno pertanto ritenuti
infondati i rilievi difensivi derivanti da u n davvero poco significativo, ed
evidentemente mal interpretato, accenno del collaborante Pulizzi
(all'epoca dei fatti mero "soldato" alle dipendenze del Di Maggio) che
riferendo il poco a sua conoscenza sui fatti di causa, si è limitato a
precisare che il Di Napoli, nella sua qualità di reggente della famiglia
della Noce, era intervenuto per ottenere uno sconto sulla tangente che il
suo "amico" Billeci doveva alla cosca locale. I1 che, com'è evidente, non
contraddice certo il chiaro contenuto delle intercettazioni ambientali,
apparendo a dir poco fuor di luogo che, in u n contesto come quello in
esame, il Di Napoli abbia potuto simulare con il Di Maggio il suo vero
intento, che lungi dall'essere quello di favorire u n amico era semmai
quello di trattare da pari a pari con i vertici mafiosi di Carini
un'operazione
economica dalla quale potevano derivare vantaggi,
nell'ambito di u n disegno comune riguardante le finalità di Cosa Nostra,
le rispettive articolazioni mafiose.
Va pertanto integralmente confermata nei confronti del Di Napoli la
sentenza impugnata, anche con riguardo al trattamento sanzionatorio,
non sussistendo il benché minimo elemento che possa indurre alla
concessione delle attenuanti generiche, in considerazione dei gravissimi
precedenti penali dell'imputato per fatti analoghi e per l'intrinseca
gravità del fatto, commesso subito dopo la propria scarcerazione per
fine pena.
La misura della pena applicata dal primo giudice, nel
concorso di più circostanze aggravanti speciali e della recidiva
correttamente contestata e ritenuta, appare perfettamente adeguata alla
gravità dei fatti ed alla pervicace attività criminosa del prevenuto e della
sua persistente spiccata pericolosità sociale.
I1 Di Napoli va conseguentemente condannato al pagamento delle
ulteriori
spese processuali
nonché
alla
refusione
delle
spese
processuali in favore delle parti civili Associazione "Addio Pizzo",
Associazione F.A. I. Federazione Antiracket S.O.S. Impresa Palermo,
Confcommercio Palermo, Provincia Regionale di Palermo che che si
stima equo liquidare, per ciascuna, in euro 2.000,00, oltre spese
generali, IVA e CPA, con distrazione in favore dei difensori delle parti
civili che si sono dichiarati antistatari. Va altresì dichiarata cessata
l'efficacia della misura della custodia cautelare applicata al DI NAPOLI
in questo processo. Va indicato in giorni 9 0 il termine per il deposito
della motivazione.
La Corte visti gli artt. 605, 627, 599, 592, 530 comma 2" C.P.P.;
decidendo s u rinvio della Corte di Cassazione, in parziale riforma della
sentenza del G.U.P. del Tribunale di Palermo in data 7 agosto 2008,
appellata d a BIONDO Carmelo, DI NAPOLI Pietro, GALLINA Angelo,
PULIZZI Gaspare, assolve BIONDO Carmelo dal reato ascrittogli al capo
27, per non aver commesso il fatto, e GALLINA Angelo dal reato
ascrittogli al capo l ) ,perché il fatto non sussiste.
Ritenuta la prevalenza della diminuente di cui all'art. 8 D.L. 13 maggio
1991 n. 152 sulle contestate aggravanti, riduce la pena inflitta a PULIZZI
Gaspare ad anni 2 e mesi 7 di reclusione.
Conferma nel resto l'impugnata sentenza e per l'effetto condanna DI
NAPOLI Pietro al pagamento delle ulteriori spese processuali nonché alla
refusione delle spese processuali in favore delle parti civili Associazione
"Addio Pizzo", Associazione F.A.I. Federazione Antiracket S.O.S. Impresa
Palermo, Ccnfcornrnerci~Palermo, Provincia. Regionale di Palermo che
liquida, per ciascuna, in euro 2.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA,
con distrazione in favore dei difensori delle parti civili che si sono
dichiarati antistatali.
Visto l'art. 304, 4" comma, C.P.P.dichiara cessata l'efficacia della misura
della custodia cautelare applicata al DI NAPOLI in questo processo.
Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Palermo 20 giugno 20 12