10 CAPITOLO X
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- 149 - 10 CAPITOLO X 10.1 Cenni sul funzionamento del LASER Durante il decennio 1950-1960 sono nati due strumenti molto importanti per la scienza moderna, e per l’ottica in particolare; essi sono il MASER il cui acronimo sta per Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ed il LASER (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). Alla base di questi strumenti ci sono gli studi di molte persone, ma in particolare di C.H. Townes, A.M. Prokhorov e N.G. Basov, A.L. Schawlow, T.H. Maiman. Il Laser è uno strumento quanto-meccanico, nel senso che si basa sulle proprietà con cui gli atomi interagiscono con la radiazione elettromagnetica. Per capire in modo approssimativo il meccanismo di funzionamento, facciamo una breve panoramica sui meccanismi di emissione delle lampade ordinarie e delle stelle. A questo fine sarà necessario richiamare alcune nozioni di teoria dell’assorbimento e dell’emissione della radiazione elettromagnetica da parte degli atomi della materia. 10.1.1 Energia e materia in equilibrio La teoria quantistica ha le sue origini negli studi sulla radiazione di corpo nero degli anni intorno al 1859. In quegli anni C. Darwin pubblicava L’origine della Specie e G.R. Kirchhoff studiava la radiazione termica emessa dai corpi in equilibrio con la radiazione. Egli caratterizzò le proprietà di emissione e di assorbimento della radiazione tramite i coefficienti e rispettivamente. è l’energia emessa per unità di area e di tempo in un intervallo piccolo di lunghezze d’onda intorno a (in unità ad es. W/m2/m), è la frazione di energia incidente assorbita per unità di area e di tempo nel medesimo intervallo di (non ha unità di misura essendo una frazione). Entrambi i coefficienti dipendono dalla natura del corpo e dalla lunghezza d’onda; un corpo che emette o assorbe bene ad una certa può emettere o assorbire poco ad un altra . Kirchhoff si accorse che la densità di flusso spettrale, cioè l’energia per unità di area e di tempo ad ogni , data dalla: I = (10.1) è la stessa per ogni materiale, indipendentemente dal colore, dalle dimensioni, dalla forma, etc, e dipende solo dalla temperatura e dalla . Le unità di I sono W/m3 o J/m3s. Sebbene Kirchhoff non fu in grado di fornire un’espressione generale per I , egli notò che per un corpo nero (per cui =1) è I = , e che la radiazione che emerge da un piccolo buco di una cavità isolata è a tutti gli effetti equivalente a quella di un corpo nero perfetto alla medesima temperatura. La comunità scientifica si mise al lavoro, e dopo diverse difficoltà, si arrivò ad una determinazione sperimentale della I alle varie temperature (vedi Fig. 10.1). Un altro risultato importante in questo settore fu ottenuto J. Stephan e L. Boltzmann separatamente. Essi derivarono la seguente relazione valida per un corpo nero: P = AT 4 (10.2) Questa relazione ci dice che la potenza totale irradiata a tutte le lunghezze d’onda per un corpo nero la cui superficie radiante è A, dipende solo dalla temperatura (assoluta) alla sua quarta potenza. La è una costante universale e vale = 5.67033×10-8 W/m2K4. - 150 - I (W/m3) T alta T bassa (nm) Fig. 10.1 L’andamento alle varie temperature della funzione I Si noti come il massimo di intensità si sposta verso le piccole al crescere della temperatura. Il modo in cui si sposta il massimo prende il nome di legge di Wien, la quale ci dice che: max T = costante (10.3) La costante fu trovata sperimentalmente essere 0.2898 cm K. E’ opportuno anche notare che i corpi reali non sono corpi neri e quindi il loro assorbimento della radiazione non è mai 1. Tuttavia a certe temperature e lunghezze d’onda alcuni corpi si avvicinano al corpo nero ideale, il carbone nero ad esempio, o il nostro stesso corpo per le lunghezze d’onda infrarosse. Per i corpi reali si ha quindi una relazione un po’ diversa dalla (10.2) dovendo introdurre un coefficiente moltiplicativo che esprime l’emissività totale , per cui: P= AT 4 La temperatura a cui ci si riferisce è la temperatura assoluta definita da Lord Kelvin, per cui gli 0° C corrispondono a 273 K. Fu a questo punto che tutti i tentativi teorici di riprodurre le curve di Fig. 10.1 fallirono e si aprì la strada alla meccanica quantistica. Wien produsse una relazione che funzionava per le piccole , Rayleigh e Jeans una per le grandi . Il problema fu risolto da Planck nel 1900. La sua formula I = 2 hc 2 1 5 e hc kBT (10.4) 1 riproduceva bene i dati sperimentali, sebbene Planck non aveva idea precisa del motivo per cui funzionava. Nella (10.4) h è la costante di Planck, c è la velocità della luce, e kB è la costante di Boltzmann. Planck assunse che gli atomi delle pareti della cavità di corpo nero, si - 151 comportassero come degli oscillatori che assorbono e riemettono radiazione indipendentemente dal materiale. Non essendo isolati gli atomi che compongono le pareti non si comportano come oscillatori isolati, ma emettono tutta una serie di onde a tutte le , producendo uno spettro continuo. Tuttavia con i modelli tradizionali le cose non funzionavano e così Planck decise di servirsi dei metodi probabilistici sviluppati da Boltzmann in quegli stessi anni. Egli assunse che il pacchetto di energia minimo che poteva essere emesso e assorbito fosse dato dalla quantità =h . L’energia veniva così per la prima volta quantizzata. Oggi sappiamo che ogni oscillatore può emettere o assorbire solo multipli interi di questa quantità. 10.1.2 Emissione stimolata Per introdurre il fenomeno dell’emissione stimolata è opportuno prima parlare della popolazione dei livelli energetici di un atomo. Il problema in questione fa parte integrante degli studi di meccanica statistica. In particolare ci riferiremo alla distribuzione di MaxwellBoltzmann. Immaginiamo una cavità contenente un gas in equilibrio ad una certa temperatura T. Se T è relativamente bassa la maggior parte degli atomi si troveranno nel loro stato fondamentale, e solo alcuni si ecciteranno per alcuni istanti in un qualche stato eccitato. Per la legge di Maxwell-Boltzmann il numero medio di atomi per unità di volume Ni che si trova in uno stato eccitato Ei è tale che: Ni = N 0e Ei / k BT dove N0 è una costante per una data temperatura. Maggiore è il valore di E, l’energia dello stato eccitato, più piccolo è il numero degli atomi che si troveranno in quello stato. Poiché noi siamo interessati alle transizioni tra i vari stati eccitati scriveremo che il rapporto delle popolazioni di atomi che occupano due livelli energetici i e j è: Nj e = Ni e E j / k BT (10.5) Ei / k BT e quindi anche: N j = Ni e ( E j Ei ) / k BT = Ni e h ji / k BT (10.6) dove si è fatto uso del fatto che il passaggio dallo stato energetico Ej ad Ei è accompagnato dall’emissione di un fotone di frequenza ji. Nel 1916 Einstein ideò una teoria semplice ed elegante per trattare il problema dell’assorbimento e dell’emissione di fotoni da parte di un mezzo materiale immerso in un campo di radiazione elettromagnetica. Supponiamo che un atomo si trovi nel suo stato fondamentale. Un fotone con una data quantità di energia interagisce con esso, facendo si che l’atomo passi in uno stato eccitato. In questo nuovo stato l’atomo rimane per circa 10 ns, dopo di che riemette un fotone ritornando al suo stato fondamentale. Questo processo è noto come emissione spontanea. Se il mezzo è abbastanza denso l’atomo può scambiare l’energia in eccesso posseduta con il mezzo tramite gli urti. C’è però una terza alternativa, quella apprezzata per la prima volta da Einstein, ed è che l’atomo ancora nel suo stato eccitato interagisca nuovamente con un altro fotone. L’atomo emette quindi un secondo fotone in fase, con la stessa frequenza e la stessa polarizzazione, e avente la stessa direzione del fotone incidente. Questo processo è noto come emissione stimolata. La velocità con cui avviene il processo di assorbimento stimolato è dato dalla: - 152 - dN i dt = Bij N i u (10.7) ass . cioè dipende proporzionalmente (tramite il coefficiente Bji) dalla densità di energia del campo di radiazione incidente u , e dal numero di atomi che si trovano nello stato Ni. Nel caso dell’emissione stimolata si ha invece: dN j dt = B ji N j u (10.8) em. E per l’emissione spontanea, dove il processo è indipendente dal campo di radiazione incidente, si ha: dN j = Aji N j dt (10.9) sp . Si ricordi che la velocità di transizione (cioè il numero di atomi che subiscono la transizione per secondo) divisa per il numero di atomi, è la probabilità di transizione per secondo P. Pertanto la probabilità per secondo dell’emissione spontanea è P = Aji. L’inverso della probabilità di transizione per secondo è la vita media dello stato eccitato. Le tre costanti Aji, Bji, e Bij sono dette coefficienti di Einstein. Seguendo il suo ragionamento, assumiamo che 1) ci sia equilibrio termodinamico tra la radiazione e il gas di atomi ad ogni T; 2) che la densità di energia ha le caratteristiche di un corpo nero; 3) che la popolazione dei livelli energetici segua la legge di Maxwell-Boltzmann. In un sistema di questo tipo, il numero di transizioni (i j ) deve essere uguale al numero di transizioni ( j i ) , e quindi deve essere: Bij N i u = B ji N j u + Aji N j dividendo per Ni e riarrangiando, Nj Ni = Bij u Aji + B jiu e facendo uso della (10.6) si ha quindi: e h ji / k BT = Bij u Aji + B ji u da cui risolvendo per u , u = Aji / B ji ( Bij / B ji )e h ji / kBT 1 (10.10) , anche u se Bij = B ji = B per T grandi. Tuttavia Einstein mise in evidenza che per T essendo i coefficienti indipendenti dalla temperatura, devono risultare uguali a tutte le T. Pertanto la probabilità di emissione stimolata e uguale alla probabilità di assorbimento stimolato. Posto quindi Aji=A si può riscrivere: - 153 - u = A 1 h ji / kBT B e 1 (10.11) e, confrontando la (10.11) con la (10.4) trasformata in I , deve essere: A 8 h = B c3 3 (10.12) La probabilità dell’emissione spontanea è proporzionale alla probabilità di emissione stimolata. Immaginiamo un sistema di atomi in equilibrio termico con due soli possibili stati, lo stato fondamentale e lo stato eccitato. Supponiamo che la vita media sia lunga in modo da poter trascurare l’emissione spontanea. Quando il sistema è inondato dai fotoni dell’energia opportuna, l’assorbimento stimolato spopola il livello i, mentre l’emissione stimolata spopola il livello j. Il numero di fotoni che spariscono dal sistema per secondo per assorbimento stimolato è proporzionale a PassNi, mentre il numero che entra nel sistema per emissione stimolata è PstNj, ma dall’eguaglianza dei coefficienti segue che Pass= Pst. Pertanto PassNj = PstNj. Se il sistema è in equilibrio termico Ni > Nj, il che significa che il numero di fotoni che spariscono per secondo è maggiore di quelli che entrano; c’è quindi un assorbimento netto di fotoni perché generalmente lo stato fondamentale è maggiormente popolato dello stato eccitato. Se è possibile realizzare la situazione inversa si avrà quindi un eccesso di fotoni, e l’emissione stimolata prevarrebbe sull’assorbimento stimolato. 10.2 Il LASER E’evidente da quanto discusso prima che il Laser funziona con il meccanismo dell’inversione di popolazione. Un fotone incidente della frequenza opportuna può in questo caso stimolare una vera e propria valanga di fotoni tutti uguali tra loro, tutti in fase. L’onda incidente continuerà a crescere fintanto che altri processi, come la diffusione, non interverranno a frenare il processo, e fino a quando il meccanismo che realizza l’inversione di popolazione è in grado di funzionare. In effetti energia elettrica, chimica o ottica deve essere spesa per sostenere l’inversione di popolazione. Il primo tipo di Laser, quello ideato da Maiman (Fig. 10.2), era costituito da un cristallo di Al2O3 contenente un 0.05% di Cr2O3, quindi un rubino sintetico rosa pallido le cui facce vengono lavorate piatte e tra loro parallele, e argentate (una solo parzialmente) a formare una cavità risonante. Il mezzo attivo è inserito all’interno di una lampada a scarica contenente del gas a forma di elica, che fornisce l’energia di pompaggio per instaurare l’inversione. Il rubino appare rosso perché gli atomi di Cromo hanno bande di assorbimento nella regione blu e verde dello spettro. Accendendo il tubo si genera una scarica di luce intensa che dura pochi millisecondi. Molta dell’energia viene dissipata in calore, ma molti degli ioni Cr3+ sono eccitati nelle bande di assorbimento. Gli atomi eccitati si diseccitano in circa 100 ns, restituendo energia al lattice del cristallo e facendo transizioni non radiative. Preferenzialmente però essi rimangono per circa 3 ms in uno stato metastabile prima di decadere, in molti casi spontaneamente, nello stato fondamentale. Quest’ultimo salto emette la radiazione caratteristica rossa tipica del Laser. In questa fase dominano le transizioni al livello fondamentale e si ha un’emissione a banda larga centrata attorno a 694.3 nm con luce incoerente emessa in tutte le direzioni. Aumentando la velocità di pompaggio si assiste al fenomeno dell’inversione di popolazione, e i primi fotoni emessi per stimolazione cominciano la reazione a catena. Un - 154 fotone emesso innesca a sua volta l’emissione di un altro fotone identico, togliendo energia dagli atomi nello stato metastabile e trasformandola in luce coerente. lampada a scarica rubino sintetico raggio laser Fig. 10.2 Il primo tipo di Laser costruito da Maiman nel 1960. L’onda continua a crescere in quanto passa avanti e indietro all’interno del mezzo attivo (il rubino). Poiché una delle superfici di questo è solo parzialmente riflettente un intenso impulso di luce laser rossa (che dura circa 0.5 ms ed ha una larghezza di banda di 0.1 nm) emerge da una faccia del rubino. Si noti quanto il tutto sia semplice. La banda larga di assorbimento facilita l’eccitazione, mentre la lunga vita media degli stati metastabili innescano l’inversione di popolazione. Il grado di coerenza di questo tipo di Laser va da 0.1 m ai 10 m (vedi oltre). Come un oscillatore il Laser a rubino genera impulsi luminosi dell’ordine dei millisecondi nell’intervallo di energia tra 50 J e 100 J, ma esistono tecniche per superare quest’energia. Il Laser a rubino commerciale opera ad un’efficienza minore dell’1%, producendo un raggio con un diametro che va da 1 mm a circa 25 mm, con una divergenza tra 0.25 mrad a circa 7 mrad. 10.2.1 Il Laser ad He-Ne Dopo che Maiman annunciò il primo tipo di Laser si ebbe una crescente attività in questo settore, e già nel febbraio del 1961 fu prodotto il primo tipo di Laser He-Ne ad onda continua (c-w). Esso permette una potenza continua di pochi milliwatt, spesso per una lunghezza d’onda del visibile (632.8 nm). E’un strumento abbastanza facile da costruire e di poco costo e semplice da usare. Per questo è molto usato nei laboratori come il nostro. Il meccanismo di pompaggio è generalmente fornito da una scarica elettrica. Gli elettroni liberi e gli ioni del gas sono accelerati dalla presenza di un campo elettrico, e per collisione si determina un’ulteriore eccitazione e ionizzazione del gas. Molti atomi di He dopo essersi diseccitati dai livelli di eccitazione più elevati, si concentrano nei livelli eccitati a lunga vita media 21S e 23S che sono metastabili e dai quali non ci sono transizioni radiative permesse. Gli atomi eccitati di He collidono in modo non elastico e trasferiscono energia agli atomi di Ne nel loro stato fondamentale, portandoli agli stati di eccitazione 5s e 4s, che decadono negli stati 4p e 3p realizzando l’inversione di popolazione. Le transizioni tra gli stati 5s e 4s sono proibite. L’emissione spontanea di fotoni inizia quindi la reazione a catena. Le transizioni dominanti corrispondono alla di 1152.3 nm e 3391.2 nm nell’infrarosso e 632.8 nm nel visibile. Gli stati p decadono a loro volta nello stato 3s, sostenendo quindi il meccanismo di inversione. - 155 10.2.2 Le cavità ottiche risonanti La cavità risonante ha un ruolo significativo nella costruzione di un Laser. Come abbiamo detto il processo di emissione è nelle prime fasi un’emissione spontanea in tutte le direzioni, e così è anche per i primi fotoni stimolati. Tuttavia solo i fotoni che si muovono lungo l’asse del rubino sono riflessi avanti e indietro, e con il tempo costruiscono la cascata di fotoni altamente direzionale del Laser. I fotoni emessi fuori asse vengono persi e riscaldano semplicemente l’apparato. La perturbazione ondulatoria che si propaga in asse nella cavità risonante assume la forma di un’onda stazionaria determinata dalla separazione L delle due superfici riflettenti. La cavità risuona quando vi è un numero intero m di /2 nello spazio tra i due specchi. L’idea è che occorre che ci sia un nodo dell’onda stazionaria ad ogni specchio, e questo accade quando L /2 m= e quindi per una frequenza m = mv 2L (10.13) dove v è la velocità dell’onda nel mezzo. Esiste pertanto un numero infinito di possibili oscillazioni stazionarie, detti modi longitudinali della cavità, ognuno dei quali con una frequenza ben precisa m. Due modi consecutivi sono perciò separati da una differenza di frequenza costante, m +1 m = = v 2L (10.14) o c/2L se la velocità della luce è c. Per un Laser a gas lungo un metro è =150 MHz. I modi risonanti sono considerevolmente più stretti in frequenza delle normali transizioni atomiche spontanee. Questi modi, se l’apparecchio è costruito in modo che ve ne siano uno o più, saranno i soli che la cavità sostiene, e quindi il raggio emergente è ristretto attorno a questa frequenza. In altre parole è la cavità che permette di sostenere uno o più modi stazionari, ed è per questo motivo che la luce Laser è altamente monocromatica rispetto a tutte le altre sorgenti luminose. Perciò sebbene le transizioni degli atomi del rubino allo stato fondamentale sono piuttosto larghe in termini di banda (0.53 nm corrispondenti a 330 GHz), e questo a causa delle interazioni degli ioni del Cromo con il lattice del cristallo, la larghezza di banda determinata dalla cavità per un singolo modo risonante è molto più stretta, dell’ordine di 0.00005 nm (30 MHz). Un possibile modo per generare solo un singolo modo risonante nella cavità è quello in cui la separazione tra i modi data dalla (10.14) sia maggiore della larghezza di banda delle transizioni del mezzo attivo (in questo caso il rubino). Per un Laser a rubino una cavità di pochi cm è sufficiente per generare un solo modo risonante. Lo svantaggio di questo modo di operare è che si diminuisce la regione attiva che contribuisce alla costruzione del raggio e quindi si diminuisce la potenza del Laser. Oltre ai modi longitudinali si possono avere però anche dei modi trasversali sostenuti dalla cavità. Poiché essi sono perpendicolari all’asse di propagazione z, essi sono noti con il termine di modi TEMmn. Gli indici m ed n sono il numero intero di linee nodali trasversali nelle direzioni x ed y attraverso il raggio emergente. Questo significa che visto in sezione il raggio - 156 Laser apparirà diviso in una o più regioni. Il TEM00 è l’ordine trasversale più basso ed è il più usato. La sua densità di flusso è circa una gaussiana, non vi sono variazioni di fase nel campo elettrico su tutto il raggio in sezione, ed è quindi completamente coerente spazialmente; la sua divergenza angolare è la più piccola possibile. Si noti però che l’ampiezza non è costante su tutto il fronte d’onda, per cui è leggermente disomogeneo. Anche la forma degli specchi non deve essere necessariamente piana. Diverse configurazioni con specchi piani accoppiati a specchi concavi, o con due specchi concavi, sono state realizzate, ed ognuna ha i suoi propri vantaggi e svantaggi, in termini ad esempio di stabilità della luce Laser. In un Laser instabile il raggio all’interno della cavità si allontana progressivamente dall’asse ottico e si perde. In una configurazione stabile, con specchi che sono rispettivamente 100% e 98% riflettenti, il raggio può viaggiare avanti e indietro anche 50 volte o più. I Laser instabili sono i più usati quando si ha bisogno di potenza, in quanto il raggio deviando progressivamente dall’asse investe altre regioni del rubino, aumentando il potere di estrazione di fotoni. A seconda quindi dell’utilizzo che si deve fare della luce Laser si scelgono i tipi di cavità risonanti che meglio si adattano agli scopi che ci si prefigge. D0 I/I0=1/e2 Fig. 10.3 Cavità risonante con specchi concavi. A seconda delle dimensioni dei raggi di curvatura degli specchi rispetto alla distanza L, il Laser risulta più o meno stabile. Si veda la Fig. 13.12 di Hecht 1998. Quando gli specchi che formano la cavità sono curvi c’è la tendenza a focalizzare il raggio Laser, producendo una sezione minima del raggio D0 (Beam Waist = cintura del fascio) . In Fig. 10.3 è rappresentata una situazione ipotetica in cui il raggio Laser ha un minimo diametro D0 al centro della cavità (il luogo ove cade il minimo dipende dalla curvatura degli specchi usati). Il fascio laser in figura è rappresentato come limitato da due linee curve. Esse rappresentano il raggio gaussiano ove l’intensità del fascio è I/I0 =1/e2 , con I0 intensità del fascio per r = 0. L’angolo sotteso dal diametro del fascio in cui I/I0 =1/e2 si dice convergenza o divergenza del fascio. Per l’ottica geometrica il fascio dovrebbe convergere in un punto, ma per effetto della diffrazione questo non succede. Per un Laser TEM00, come quello da noi utilizzato, vale la relazione: D0 = 4 (10.15) dove è la lunghezza d’onda della radiazione. Si noti che per una data si ha D0 = cost. Perciò per un fascio fortemente collimato il diametro D0 deve essere grande. La variazione delle dimensioni del fascio in prossimità del Beam Waist è data dalla: D = D0 1 + ( z / D0 ) 2 (10.16) - 157 - dove z è la distanza lungo il raggio dal Beam Waist. Definiamo come intervallo di Rayleigh la distanza dal Beam Waist in cui il diametro del fascio diviene D0 2 . Questo accade quando il secondo termine nella (10.16) è uguale ad 1, cioè per z = z R = D0 / . Se si grafica il raggio di curvatura del fronte d’onda del Laser in funzione di z, si può vedere che esso ha un minimo proprio per z = ±zR. L’estensione 2zR può essere presa come la regione di collimazione del fascio gaussiano. L’intervallo di Rayleigh può scriversi in vari modi: zR = D0 = 4 2 = D02 4 Le quantità D0, , e zR descrivono completamente le caratteristiche di un fascio Laser e sono tra loro mutuamente correlate. Ad esempio per un Laser He-Ne ( =633 nm) TEM00 con un diametro D0 di 1 mm, si ha =0.8 mrad e zR=1.25 m. 10.2.3 Collimazione di un fascio Laser Per mezzo di lenti la divergenza, il Beam Waist e l’intervallo di Rayleigh di un fascio gaussiano possono essere modificate, ma la relazione tra i tre parametri non può essere modificata. Pertanto per aumentare la collimazione del fascio riducendo la divergenza, il diametro del fascio deve aumentare. Consideriamo la Fig. 10.4. A. B. Fig. 10.4 Il Beam Expander Galileiano (A.) e Kepleriano (B.). Sono due modi diversi di espandere un fascio Laser (Beam Expander). Nel caso A. si può dimostrare che la nuova divergenza del fascio è ’= /m, dove m è l’ingrandimento del sistema di lenti dato dal rapporto delle focali delle due lenti. Nel caso B. la densità di potenza nel fuoco della Ia lente è così alta che in taluni casi si possono verificare delle scariche elettriche. Il principale vantaggio del caso B. rispetto al caso A. è che si possono piazzare dei diaframmi - 158 (molto piccoli) nel punto di convergenza in modo da realizzare un filtraggio spaziale e ripulire il fascio dalle alte frequenze spurie. 10.2.4 Coerenza Nel caso di un Laser, l’interferenza di un fascio con se stesso ci può dare informazioni sulla sua coerenza. Se infatti l’ampiezza o la fase o la lunghezza d’onda cambiano tra due punti, l’interferenza mostrerà di quanto e ci darà un’idea della variazione spaziale e temporale di coerenza. Un sistema di frange ben visibile diverrà via via meno visibile man mano che la coerenza del fascio diminuisce. Questa perdita di visibilità delle frange è usata per misurare la coerenza della luce Laser. La visibilità delle frange può essere misurata dal contrasto tra le frange di interferenza: C= I max I min I max + I min (10.17) dove Imax è l’intensità delle frange luminose e Imin quella delle frange scure. Questo contrasto si può misurare per mezzo di un interferometro di Michelson al variare delle lunghezza di uno dei bracci dell’interferometro. La visibilità delle frange può essere misurata prendendo diverse immagini CCD per diverse distanze di uno dei due specchi, cioè per diversi cammini ottici. Se la sorgente fosse monocromatica pura non si avrebbe ovviamente nessuna variazione di contrasto tra le frange. La misura della distanza c a cui si raggiunge il primo minimo di contrasto è detta lunghezza di coerenza del Laser. Essa è legata alla larghezza di banda dalla relazione: = c / lc Prendiamo allora in considerazione un tipo di Laser che usiamo in laboratorio. Consideriamo il caso in cui ci sono 3 modi assiali, uno centrale più intenso e due tra loro simmetrici e con polarizzazione ortogonale. La condizione per un massimo di interferenza è x1 x2 = m 2 con m intero e dove x1−x2 è la differenza di cammino tra i due bracci dell’interferometro. Per un minimo invece si ha: x1 x2 = m 4 con m disperi intero. Se vogliamo che il contrasto vada a zero dobbiamo avere un massimo per il primo modo e un minimo per il secondo e terzo. Quindi essendo simmetrico il secondo e terzo modo si ha: x1 x2 = m x1 x2 = m 1 2 2 2 + 2 4 - 159 uguagliando le due espressioni è quindi: m 1 2 m 2 2 =m ( 1 2 2 ) = 2 4 o anche m Essendo = = (10.18) e lasciando perdere l’indice 2 che non serve più, si ha allora = Poiché 2 2 x = x1 x2 = m 2 (10.19) 2m , risolvendo per m e sostituendo si ottiene: = 2m = 4 x = c 4 x (10.20) Quindi dalla misura della separazione x tra i due cammini ottici diversi seguiti lungo i due bracci dell’interferometro ove si realizza il primo minimo di contrasto, si può ottenere la misura della differenza di frequenza tra i due modi assiali del Laser. Si può vedere e si può dimostrare che esistono altri minimi separati da altrettanti massimi di interferenza anche oltre = 3c / 4 x,5c / 4 x , etc. Infine si realizzi che la la distanza x. Essi si hanno per trasformata di Fourier della funzione di visibilità ci dà lo spettro di frequenza della sorgente. - 160 -