10 CAPITOLO X

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10 CAPITOLO X
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10 CAPITOLO X
10.1 Cenni sul funzionamento del LASER
Durante il decennio 1950-1960 sono nati due strumenti molto importanti per la scienza
moderna, e per l’ottica in particolare; essi sono il MASER il cui acronimo sta per Microwave
Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ed il LASER (Light Amplification by
Stimulated Emission of Radiation). Alla base di questi strumenti ci sono gli studi di molte
persone, ma in particolare di C.H. Townes, A.M. Prokhorov e N.G. Basov, A.L. Schawlow,
T.H. Maiman.
Il Laser è uno strumento quanto-meccanico, nel senso che si basa sulle proprietà con cui gli
atomi interagiscono con la radiazione elettromagnetica. Per capire in modo approssimativo il
meccanismo di funzionamento, facciamo una breve panoramica sui meccanismi di emissione
delle lampade ordinarie e delle stelle. A questo fine sarà necessario richiamare alcune nozioni
di teoria dell’assorbimento e dell’emissione della radiazione elettromagnetica da parte degli
atomi della materia.
10.1.1 Energia e materia in equilibrio
La teoria quantistica ha le sue origini negli studi sulla radiazione di corpo nero degli anni
intorno al 1859. In quegli anni C. Darwin pubblicava L’origine della Specie e G.R. Kirchhoff
studiava la radiazione termica emessa dai corpi in equilibrio con la radiazione. Egli caratterizzò
le proprietà di emissione e di assorbimento della radiazione tramite i coefficienti
e
rispettivamente. è l’energia emessa per unità di area e di tempo in un intervallo piccolo di
lunghezze d’onda intorno a (in unità ad es. W/m2/m),
è la frazione di energia incidente
assorbita per unità di area e di tempo nel medesimo intervallo di (non ha unità di misura
essendo una frazione). Entrambi i coefficienti dipendono dalla natura del corpo e dalla
lunghezza d’onda; un corpo che emette o assorbe bene ad una certa può emettere o assorbire
poco ad un altra .
Kirchhoff si accorse che la densità di flusso spettrale, cioè l’energia per unità di area e di
tempo ad ogni , data dalla:
I =
(10.1)
è la stessa per ogni materiale, indipendentemente dal colore, dalle dimensioni, dalla forma, etc,
e dipende solo dalla temperatura e dalla . Le unità di I sono W/m3 o J/m3s. Sebbene
Kirchhoff non fu in grado di fornire un’espressione generale per I , egli notò che per un corpo
nero (per cui =1) è I = , e che la radiazione che emerge da un piccolo buco di una cavità
isolata è a tutti gli effetti equivalente a quella di un corpo nero perfetto alla medesima
temperatura. La comunità scientifica si mise al lavoro, e dopo diverse difficoltà, si arrivò ad
una determinazione sperimentale della I alle varie temperature (vedi Fig. 10.1).
Un altro risultato importante in questo settore fu ottenuto J. Stephan e L. Boltzmann
separatamente. Essi derivarono la seguente relazione valida per un corpo nero:
P = AT 4
(10.2)
Questa relazione ci dice che la potenza totale irradiata a tutte le lunghezze d’onda per un corpo
nero la cui superficie radiante è A, dipende solo dalla temperatura (assoluta) alla sua quarta
potenza. La è una costante universale e vale = 5.67033×10-8 W/m2K4.
- 150 -
I (W/m3)
T alta
T bassa
(nm)
Fig. 10.1 L’andamento alle varie temperature della funzione I
Si noti come il massimo di intensità si sposta verso le piccole al crescere della temperatura. Il
modo in cui si sposta il massimo prende il nome di legge di Wien, la quale ci dice che:
max
T = costante
(10.3)
La costante fu trovata sperimentalmente essere 0.2898 cm K.
E’ opportuno anche notare che i corpi reali non sono corpi neri e quindi il loro
assorbimento della radiazione non è mai 1. Tuttavia a certe temperature e lunghezze d’onda
alcuni corpi si avvicinano al corpo nero ideale, il carbone nero ad esempio, o il nostro stesso
corpo per le lunghezze d’onda infrarosse. Per i corpi reali si ha quindi una relazione un po’
diversa dalla (10.2) dovendo introdurre un coefficiente moltiplicativo che esprime l’emissività
totale , per cui:
P=
AT 4
La temperatura a cui ci si riferisce è la temperatura assoluta definita da Lord Kelvin, per cui gli
0° C corrispondono a 273 K.
Fu a questo punto che tutti i tentativi teorici di riprodurre le curve di Fig. 10.1 fallirono e si
aprì la strada alla meccanica quantistica. Wien produsse una relazione che funzionava per le
piccole , Rayleigh e Jeans una per le grandi . Il problema fu risolto da Planck nel 1900. La
sua formula
I =
2 hc 2
1
5
e
hc
kBT
(10.4)
1
riproduceva bene i dati sperimentali, sebbene Planck non aveva idea precisa del motivo per cui
funzionava. Nella (10.4) h è la costante di Planck, c è la velocità della luce, e kB è la costante di
Boltzmann. Planck assunse che gli atomi delle pareti della cavità di corpo nero, si
- 151 comportassero come degli oscillatori che assorbono e riemettono radiazione indipendentemente
dal materiale. Non essendo isolati gli atomi che compongono le pareti non si comportano come
oscillatori isolati, ma emettono tutta una serie di onde a tutte le , producendo uno spettro
continuo. Tuttavia con i modelli tradizionali le cose non funzionavano e così Planck decise di
servirsi dei metodi probabilistici sviluppati da Boltzmann in quegli stessi anni. Egli assunse
che il pacchetto di energia minimo che poteva essere emesso e assorbito fosse dato dalla
quantità =h . L’energia veniva così per la prima volta quantizzata. Oggi sappiamo che ogni
oscillatore può emettere o assorbire solo multipli interi di questa quantità.
10.1.2 Emissione stimolata
Per introdurre il fenomeno dell’emissione stimolata è opportuno prima parlare della
popolazione dei livelli energetici di un atomo. Il problema in questione fa parte integrante degli
studi di meccanica statistica. In particolare ci riferiremo alla distribuzione di MaxwellBoltzmann.
Immaginiamo una cavità contenente un gas in equilibrio ad una certa temperatura T. Se T è
relativamente bassa la maggior parte degli atomi si troveranno nel loro stato fondamentale, e
solo alcuni si ecciteranno per alcuni istanti in un qualche stato eccitato. Per la legge di
Maxwell-Boltzmann il numero medio di atomi per unità di volume Ni che si trova in uno stato
eccitato Ei è tale che:
Ni = N 0e
Ei / k BT
dove N0 è una costante per una data temperatura. Maggiore è il valore di E, l’energia dello stato
eccitato, più piccolo è il numero degli atomi che si troveranno in quello stato. Poiché noi siamo
interessati alle transizioni tra i vari stati eccitati scriveremo che il rapporto delle popolazioni di
atomi che occupano due livelli energetici i e j è:
Nj
e
=
Ni e
E j / k BT
(10.5)
Ei / k BT
e quindi anche:
N j = Ni e
( E j Ei ) / k BT
= Ni e
h
ji
/ k BT
(10.6)
dove si è fatto uso del fatto che il passaggio dallo stato energetico Ej ad Ei è accompagnato
dall’emissione di un fotone di frequenza ji.
Nel 1916 Einstein ideò una teoria semplice ed elegante per trattare il problema
dell’assorbimento e dell’emissione di fotoni da parte di un mezzo materiale immerso in un
campo di radiazione elettromagnetica.
Supponiamo che un atomo si trovi nel suo stato fondamentale. Un fotone con una data
quantità di energia interagisce con esso, facendo si che l’atomo passi in uno stato eccitato. In
questo nuovo stato l’atomo rimane per circa 10 ns, dopo di che riemette un fotone ritornando al
suo stato fondamentale. Questo processo è noto come emissione spontanea. Se il mezzo è
abbastanza denso l’atomo può scambiare l’energia in eccesso posseduta con il mezzo tramite
gli urti. C’è però una terza alternativa, quella apprezzata per la prima volta da Einstein, ed è
che l’atomo ancora nel suo stato eccitato interagisca nuovamente con un altro fotone. L’atomo
emette quindi un secondo fotone in fase, con la stessa frequenza e la stessa polarizzazione, e
avente la stessa direzione del fotone incidente. Questo processo è noto come emissione
stimolata. La velocità con cui avviene il processo di assorbimento stimolato è dato dalla:
- 152 -
dN i
dt
= Bij N i u
(10.7)
ass .
cioè dipende proporzionalmente (tramite il coefficiente Bji) dalla densità di energia del campo
di radiazione incidente u , e dal numero di atomi che si trovano nello stato Ni. Nel caso
dell’emissione stimolata si ha invece:
dN j
dt
= B ji N j u
(10.8)
em.
E per l’emissione spontanea, dove il processo è indipendente dal campo di radiazione
incidente, si ha:
dN j
= Aji N j
dt
(10.9)
sp .
Si ricordi che la velocità di transizione (cioè il numero di atomi che subiscono la transizione
per secondo) divisa per il numero di atomi, è la probabilità di transizione per secondo P.
Pertanto la probabilità per secondo dell’emissione spontanea è P = Aji. L’inverso della
probabilità di transizione per secondo è la vita media dello stato eccitato.
Le tre costanti Aji, Bji, e Bij sono dette coefficienti di Einstein. Seguendo il suo
ragionamento, assumiamo che 1) ci sia equilibrio termodinamico tra la radiazione e il gas di
atomi ad ogni T; 2) che la densità di energia ha le caratteristiche di un corpo nero; 3) che la
popolazione dei livelli energetici segua la legge di Maxwell-Boltzmann. In un sistema di
questo tipo, il numero di transizioni (i
j ) deve essere uguale al numero di transizioni
( j i ) , e quindi deve essere:
Bij N i u = B ji N j u + Aji N j
dividendo per Ni e riarrangiando,
Nj
Ni
=
Bij u
Aji + B jiu
e facendo uso della (10.6) si ha quindi:
e
h
ji
/ k BT
=
Bij u
Aji + B ji u
da cui risolvendo per u ,
u =
Aji / B ji
( Bij / B ji )e
h
ji
/ kBT
1
(10.10)
, anche u
se Bij = B ji = B per T grandi. Tuttavia
Einstein mise in evidenza che per T
essendo i coefficienti indipendenti dalla temperatura, devono risultare uguali a tutte le T.
Pertanto la probabilità di emissione stimolata e uguale alla probabilità di assorbimento
stimolato. Posto quindi Aji=A si può riscrivere:
- 153 -
u =
A
1
h ji / kBT
B e
1
(10.11)
e, confrontando la (10.11) con la (10.4) trasformata in I , deve essere:
A 8 h
=
B
c3
3
(10.12)
La probabilità dell’emissione spontanea è proporzionale alla probabilità di emissione stimolata.
Immaginiamo un sistema di atomi in equilibrio termico con due soli possibili stati, lo stato
fondamentale e lo stato eccitato. Supponiamo che la vita media sia lunga in modo da poter
trascurare l’emissione spontanea. Quando il sistema è inondato dai fotoni dell’energia
opportuna, l’assorbimento stimolato spopola il livello i, mentre l’emissione stimolata spopola il
livello j. Il numero di fotoni che spariscono dal sistema per secondo per assorbimento stimolato
è proporzionale a PassNi, mentre il numero che entra nel sistema per emissione stimolata è PstNj,
ma dall’eguaglianza dei coefficienti segue che Pass= Pst. Pertanto PassNj = PstNj. Se il sistema è
in equilibrio termico Ni > Nj, il che significa che il numero di fotoni che spariscono per
secondo è maggiore di quelli che entrano; c’è quindi un assorbimento netto di fotoni perché
generalmente lo stato fondamentale è maggiormente popolato dello stato eccitato. Se è
possibile realizzare la situazione inversa si avrà quindi un eccesso di fotoni, e l’emissione
stimolata prevarrebbe sull’assorbimento stimolato.
10.2 Il LASER
E’evidente da quanto discusso prima che il Laser funziona con il meccanismo dell’inversione
di popolazione. Un fotone incidente della frequenza opportuna può in questo caso stimolare
una vera e propria valanga di fotoni tutti uguali tra loro, tutti in fase. L’onda incidente
continuerà a crescere fintanto che altri processi, come la diffusione, non interverranno a frenare
il processo, e fino a quando il meccanismo che realizza l’inversione di popolazione è in grado
di funzionare. In effetti energia elettrica, chimica o ottica deve essere spesa per sostenere
l’inversione di popolazione.
Il primo tipo di Laser, quello ideato da Maiman (Fig. 10.2), era costituito da un cristallo di
Al2O3 contenente un 0.05% di Cr2O3, quindi un rubino sintetico rosa pallido le cui facce
vengono lavorate piatte e tra loro parallele, e argentate (una solo parzialmente) a formare una
cavità risonante.
Il mezzo attivo è inserito all’interno di una lampada a scarica contenente del gas a forma di
elica, che fornisce l’energia di pompaggio per instaurare l’inversione. Il rubino appare rosso
perché gli atomi di Cromo hanno bande di assorbimento nella regione blu e verde dello spettro.
Accendendo il tubo si genera una scarica di luce intensa che dura pochi millisecondi. Molta
dell’energia viene dissipata in calore, ma molti degli ioni Cr3+ sono eccitati nelle bande di
assorbimento. Gli atomi eccitati si diseccitano in circa 100 ns, restituendo energia al lattice del
cristallo e facendo transizioni non radiative. Preferenzialmente però essi rimangono per circa 3
ms in uno stato metastabile prima di decadere, in molti casi spontaneamente, nello stato
fondamentale. Quest’ultimo salto emette la radiazione caratteristica rossa tipica del Laser. In
questa fase dominano le transizioni al livello fondamentale e si ha un’emissione a banda larga
centrata attorno a 694.3 nm con luce incoerente emessa in tutte le direzioni.
Aumentando la velocità di pompaggio si assiste al fenomeno dell’inversione di
popolazione, e i primi fotoni emessi per stimolazione cominciano la reazione a catena. Un
- 154 fotone emesso innesca a sua volta l’emissione di un altro fotone identico, togliendo energia
dagli atomi nello stato metastabile e trasformandola in luce coerente.
lampada a scarica
rubino sintetico
raggio laser
Fig. 10.2 Il primo tipo di Laser costruito da Maiman nel 1960.
L’onda continua a crescere in quanto passa avanti e indietro all’interno del mezzo attivo (il
rubino). Poiché una delle superfici di questo è solo parzialmente riflettente un intenso impulso
di luce laser rossa (che dura circa 0.5 ms ed ha una larghezza di banda di 0.1 nm) emerge da
una faccia del rubino.
Si noti quanto il tutto sia semplice. La banda larga di assorbimento facilita l’eccitazione,
mentre la lunga vita media degli stati metastabili innescano l’inversione di popolazione.
Il grado di coerenza di questo tipo di Laser va da 0.1 m ai 10 m (vedi oltre).
Come un oscillatore il Laser a rubino genera impulsi luminosi dell’ordine dei millisecondi
nell’intervallo di energia tra 50 J e 100 J, ma esistono tecniche per superare quest’energia. Il
Laser a rubino commerciale opera ad un’efficienza minore dell’1%, producendo un raggio con
un diametro che va da 1 mm a circa 25 mm, con una divergenza tra 0.25 mrad a circa 7 mrad.
10.2.1 Il Laser ad He-Ne
Dopo che Maiman annunciò il primo tipo di Laser si ebbe una crescente attività in questo
settore, e già nel febbraio del 1961 fu prodotto il primo tipo di Laser He-Ne ad onda continua
(c-w). Esso permette una potenza continua di pochi milliwatt, spesso per una lunghezza d’onda
del visibile (632.8 nm). E’un strumento abbastanza facile da costruire e di poco costo e
semplice da usare. Per questo è molto usato nei laboratori come il nostro.
Il meccanismo di pompaggio è generalmente fornito da una scarica elettrica. Gli elettroni
liberi e gli ioni del gas sono accelerati dalla presenza di un campo elettrico, e per collisione si
determina un’ulteriore eccitazione e ionizzazione del gas. Molti atomi di He dopo essersi
diseccitati dai livelli di eccitazione più elevati, si concentrano nei livelli eccitati a lunga vita
media 21S e 23S che sono metastabili e dai quali non ci sono transizioni radiative permesse. Gli
atomi eccitati di He collidono in modo non elastico e trasferiscono energia agli atomi di Ne nel
loro stato fondamentale, portandoli agli stati di eccitazione 5s e 4s, che decadono negli stati 4p
e 3p realizzando l’inversione di popolazione. Le transizioni tra gli stati 5s e 4s sono proibite.
L’emissione spontanea di fotoni inizia quindi la reazione a catena. Le transizioni dominanti
corrispondono alla di 1152.3 nm e 3391.2 nm nell’infrarosso e 632.8 nm nel visibile. Gli stati
p decadono a loro volta nello stato 3s, sostenendo quindi il meccanismo di inversione.
- 155 10.2.2 Le cavità ottiche risonanti
La cavità risonante ha un ruolo significativo nella costruzione di un Laser. Come abbiamo
detto il processo di emissione è nelle prime fasi un’emissione spontanea in tutte le direzioni, e
così è anche per i primi fotoni stimolati. Tuttavia solo i fotoni che si muovono lungo l’asse del
rubino sono riflessi avanti e indietro, e con il tempo costruiscono la cascata di fotoni altamente
direzionale del Laser. I fotoni emessi fuori asse vengono persi e riscaldano semplicemente
l’apparato.
La perturbazione ondulatoria che si propaga in asse nella cavità risonante assume la forma
di un’onda stazionaria determinata dalla separazione L delle due superfici riflettenti. La cavità
risuona quando vi è un numero intero m di /2 nello spazio tra i due specchi. L’idea è che
occorre che ci sia un nodo dell’onda stazionaria ad ogni specchio, e questo accade quando
L
/2
m=
e quindi per una frequenza
m
=
mv
2L
(10.13)
dove v è la velocità dell’onda nel mezzo. Esiste pertanto un numero infinito di possibili
oscillazioni stazionarie, detti modi longitudinali della cavità, ognuno dei quali con una
frequenza ben precisa m. Due modi consecutivi sono perciò separati da una differenza di
frequenza costante,
m +1
m
=
=
v
2L
(10.14)
o c/2L se la velocità della luce è c. Per un Laser a gas lungo un metro è =150 MHz. I modi
risonanti sono considerevolmente più stretti in frequenza delle normali transizioni atomiche
spontanee. Questi modi, se l’apparecchio è costruito in modo che ve ne siano uno o più,
saranno i soli che la cavità sostiene, e quindi il raggio emergente è ristretto attorno a questa
frequenza. In altre parole è la cavità che permette di sostenere uno o più modi stazionari, ed è
per questo motivo che la luce Laser è altamente monocromatica rispetto a tutte le altre sorgenti
luminose. Perciò sebbene le transizioni degli atomi del rubino allo stato fondamentale sono
piuttosto larghe in termini di banda (0.53 nm corrispondenti a 330 GHz), e questo a causa delle
interazioni degli ioni del Cromo con il lattice del cristallo, la larghezza di banda determinata
dalla cavità per un singolo modo risonante è molto più stretta, dell’ordine di 0.00005 nm (30
MHz).
Un possibile modo per generare solo un singolo modo risonante nella cavità è quello in cui
la separazione tra i modi data dalla (10.14) sia maggiore della larghezza di banda delle
transizioni del mezzo attivo (in questo caso il rubino). Per un Laser a rubino una cavità di pochi
cm è sufficiente per generare un solo modo risonante. Lo svantaggio di questo modo di operare
è che si diminuisce la regione attiva che contribuisce alla costruzione del raggio e quindi si
diminuisce la potenza del Laser.
Oltre ai modi longitudinali si possono avere però anche dei modi trasversali sostenuti dalla
cavità. Poiché essi sono perpendicolari all’asse di propagazione z, essi sono noti con il termine
di modi TEMmn. Gli indici m ed n sono il numero intero di linee nodali trasversali nelle
direzioni x ed y attraverso il raggio emergente. Questo significa che visto in sezione il raggio
- 156 Laser apparirà diviso in una o più regioni. Il TEM00 è l’ordine trasversale più basso ed è il più
usato. La sua densità di flusso è circa una gaussiana, non vi sono variazioni di fase nel campo
elettrico su tutto il raggio in sezione, ed è quindi completamente coerente spazialmente; la sua
divergenza angolare è la più piccola possibile. Si noti però che l’ampiezza non è costante su
tutto il fronte d’onda, per cui è leggermente disomogeneo.
Anche la forma degli specchi non deve essere necessariamente piana. Diverse
configurazioni con specchi piani accoppiati a specchi concavi, o con due specchi concavi, sono
state realizzate, ed ognuna ha i suoi propri vantaggi e svantaggi, in termini ad esempio di
stabilità della luce Laser. In un Laser instabile il raggio all’interno della cavità si allontana
progressivamente dall’asse ottico e si perde. In una configurazione stabile, con specchi che
sono rispettivamente 100% e 98% riflettenti, il raggio può viaggiare avanti e indietro anche 50
volte o più. I Laser instabili sono i più usati quando si ha bisogno di potenza, in quanto il
raggio deviando progressivamente dall’asse investe altre regioni del rubino, aumentando il
potere di estrazione di fotoni. A seconda quindi dell’utilizzo che si deve fare della luce Laser si
scelgono i tipi di cavità risonanti che meglio si adattano agli scopi che ci si prefigge.
D0
I/I0=1/e2
Fig. 10.3 Cavità risonante con specchi concavi. A seconda delle dimensioni dei raggi di curvatura degli specchi
rispetto alla distanza L, il Laser risulta più o meno stabile. Si veda la Fig. 13.12 di Hecht 1998.
Quando gli specchi che formano la cavità sono curvi c’è la tendenza a focalizzare il raggio
Laser, producendo una sezione minima del raggio D0 (Beam Waist = cintura del fascio) . In
Fig. 10.3 è rappresentata una situazione ipotetica in cui il raggio Laser ha un minimo diametro
D0 al centro della cavità (il luogo ove cade il minimo dipende dalla curvatura degli specchi
usati). Il fascio laser in figura è rappresentato come limitato da due linee curve. Esse
rappresentano il raggio gaussiano ove l’intensità del fascio è I/I0 =1/e2 , con I0 intensità del
fascio per r = 0.
L’angolo sotteso dal diametro del fascio in cui I/I0 =1/e2 si dice convergenza o divergenza del
fascio.
Per l’ottica geometrica il fascio dovrebbe convergere in un punto, ma per effetto della
diffrazione questo non succede. Per un Laser TEM00, come quello da noi utilizzato, vale la
relazione:
D0 =
4
(10.15)
dove è la lunghezza d’onda della radiazione. Si noti che per una data si ha D0 = cost.
Perciò per un fascio fortemente collimato il diametro D0 deve essere grande. La variazione
delle dimensioni del fascio in prossimità del Beam Waist è data dalla:
D = D0 1 + ( z / D0 ) 2
(10.16)
- 157 -
dove z è la distanza lungo il raggio dal Beam Waist. Definiamo come intervallo di Rayleigh la
distanza dal Beam Waist in cui il diametro del fascio diviene D0 2 . Questo accade quando il
secondo termine nella (10.16) è uguale ad 1, cioè per z = z R = D0 / . Se si grafica il raggio di
curvatura del fronte d’onda del Laser in funzione di z, si può vedere che esso ha un minimo
proprio per z = ±zR. L’estensione 2zR può essere presa come la regione di collimazione del
fascio gaussiano.
L’intervallo di Rayleigh può scriversi in vari modi:
zR =
D0
=
4
2
=
D02
4
Le quantità D0, , e zR descrivono completamente le caratteristiche di un fascio Laser e sono tra
loro mutuamente correlate. Ad esempio per un Laser He-Ne ( =633 nm) TEM00 con un
diametro D0 di 1 mm, si ha =0.8 mrad e zR=1.25 m.
10.2.3 Collimazione di un fascio Laser
Per mezzo di lenti la divergenza, il Beam Waist e l’intervallo di Rayleigh di un fascio
gaussiano possono essere modificate, ma la relazione tra i tre parametri non può essere
modificata. Pertanto per aumentare la collimazione del fascio riducendo la divergenza, il
diametro del fascio deve aumentare. Consideriamo la Fig. 10.4.
A.
B.
Fig. 10.4 Il Beam Expander Galileiano (A.) e Kepleriano (B.).
Sono due modi diversi di espandere un fascio Laser (Beam Expander). Nel caso A. si può
dimostrare che la nuova divergenza del fascio è ’= /m, dove m è l’ingrandimento del sistema
di lenti dato dal rapporto delle focali delle due lenti. Nel caso B. la densità di potenza nel fuoco
della Ia lente è così alta che in taluni casi si possono verificare delle scariche elettriche. Il
principale vantaggio del caso B. rispetto al caso A. è che si possono piazzare dei diaframmi
- 158 (molto piccoli) nel punto di convergenza in modo da realizzare un filtraggio spaziale e ripulire
il fascio dalle alte frequenze spurie.
10.2.4 Coerenza
Nel caso di un Laser, l’interferenza di un fascio con se stesso ci può dare informazioni sulla sua
coerenza. Se infatti l’ampiezza o la fase o la lunghezza d’onda cambiano tra due punti,
l’interferenza mostrerà di quanto e ci darà un’idea della variazione spaziale e temporale di
coerenza. Un sistema di frange ben visibile diverrà via via meno visibile man mano che la
coerenza del fascio diminuisce. Questa perdita di visibilità delle frange è usata per misurare la
coerenza della luce Laser.
La visibilità delle frange può essere misurata dal contrasto tra le frange di interferenza:
C=
I max I min
I max + I min
(10.17)
dove Imax è l’intensità delle frange luminose e Imin quella delle frange scure. Questo contrasto si
può misurare per mezzo di un interferometro di Michelson al variare delle lunghezza di uno dei
bracci dell’interferometro. La visibilità delle frange può essere misurata prendendo diverse
immagini CCD per diverse distanze di uno dei due specchi, cioè per diversi cammini ottici. Se
la sorgente fosse monocromatica pura non si avrebbe ovviamente nessuna variazione di
contrasto tra le frange.
La misura della distanza c a cui si raggiunge il primo minimo di contrasto è detta
lunghezza di coerenza del Laser. Essa è legata alla larghezza di banda dalla relazione:
= c / lc
Prendiamo allora in considerazione un tipo di Laser che usiamo in laboratorio. Consideriamo il
caso in cui ci sono 3 modi assiali, uno centrale più intenso e due tra loro simmetrici e con
polarizzazione ortogonale. La condizione per un massimo di interferenza è
x1 x2 = m
2
con m intero e dove x1−x2 è la differenza di cammino tra i due bracci dell’interferometro. Per
un minimo invece si ha:
x1 x2 = m
4
con m disperi intero. Se vogliamo che il contrasto vada a zero dobbiamo avere un massimo per
il primo modo e un minimo per il secondo e terzo. Quindi essendo simmetrico il secondo e
terzo modo si ha:
x1 x2 = m
x1 x2 = m
1
2
2
2
+
2
4
- 159 uguagliando le due espressioni è quindi:
m
1
2
m
2
2
=m
(
1
2
2
)
=
2
4
o anche
m
Essendo
=
=
(10.18)
e lasciando perdere l’indice 2 che non serve più, si ha allora
=
Poiché
2
2
x = x1 x2 = m
2
(10.19)
2m
, risolvendo per m e sostituendo si ottiene:
=
2m
=
4 x
=
c
4 x
(10.20)
Quindi dalla misura della separazione x tra i due cammini ottici diversi seguiti lungo i due
bracci dell’interferometro ove si realizza il primo minimo di contrasto, si può ottenere la
misura della differenza di frequenza tra i due modi assiali del Laser. Si può vedere e si può
dimostrare che esistono altri minimi separati da altrettanti massimi di interferenza anche oltre
= 3c / 4 x,5c / 4 x , etc. Infine si realizzi che la
la distanza x. Essi si hanno per
trasformata di Fourier della funzione di visibilità ci dà lo spettro di frequenza della sorgente.
- 160 -