“La difesa biologica del castagneto: criteri fitosanitari per una
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“La difesa biologica del castagneto: criteri fitosanitari per una
“Il Castagno, Re della montagna” 19-20 ottobre 2002 “ La difesa biologica del castagneto: criteri fitosanitari per una gestione sostenibile ” Giorgio dott. Maresi – Istituto Agrario di San Michele all’Adige Vi saluto anche a nome del dott. Turchetti che è stato impossibilitato a venire quest’oggi e riprendo l’argomento appena introdotto dal prof. Anselmi e cercherò di approfondire un po’ gli aspetti più pratici della difesa del castagneto. Direi che, se siamo qui oggi, è perché siamo tutti convinti che la castanicoltura è una risorsa fondamentale per la montagna, ce lo siamo ripetuto e probabilmente siamo anche tutti convinti del fatto che la gestione di queste risorse sia legata dalla sostenibilità, un termine che va molto di moda, ma che rende bene i criteri di base che ci devono ispirare. Sostenibilità per noi vuol dire soprattutto salvaguardare la naturalità del frutto e degli impianti perché sono il vero valore aggiunto del marrone, sono il vero valore aggiunto delle castagne e della castanicoltura. Questo vuol dire, di fatto, affrontare in maniera consona i problemi della gestione delle malattie che sono ancora adesso il fattore chiave per una buona castanicoltura. E quindi parto subito a presentare quelli che sono i risultati delle prove condotte negli ultimi 30 anni dall’Istituto per La Protezione delle Piante del CNR di Firenze, che ha collaborato dal 1980 anche con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Parto anch’io continuando a spaventarvi parlandovi del mal dell’inchiostro che effettivamente,riteniamo, come è stato già detto prima, sia il problema principale attuale ed anche per il futuro. Non mi soffermo sui sintomi, perché li avete già visti prima. Solo vorrei ricordarvi i sintomi iniziali che sono molto importanti anche per il monitoraggio: la presenza di foglie ingiallite più piccole e ricci portati nella parte alta della chioma, e in generale uno stato di sofferenza nell’intera pianta che il castanicoltore abituato a vedere i suoi castagni giorno per giorno, è in grado di cogliere subito. Ed è molto importante coglierlo subito. Vi ricordo anche l’esito finale della malattia: la morte della pianta che quindi non è più recuperabile ai fini produttivi. La malattia è presente in tutti i paesi dell’area mediterranea. È presente in Italia, come avete visto prima nella cartina, con morie abbastanza estese in Emilia, in Toscana, in Lazio ecc… In Trentino è presente, a me risultano 2 focolai che sono quelli che seguiamo, uno a Sardagna uno a Cembra che sono già attivi, quello di Sardagna da 2/3 anni, quello di Cembra probabilmente da 6 se ben ricordo. Qualcosa è presente anche in Valsugana. Per darvi solo un quadro, per riprendere un po’ il discorso dell’impatto della malattia. Questi sono i risultati delle indagini che abbiamo condotto nel Mugello sulle aziende che hanno aderito all’OGP… praticamente la totalità delle aziende ha problemi di malattia, l’impatto in termini di numero di piante non è elevatissimo, non si raggiunge mai il 6%, però alcune aziende tra alberi sofferenti e alberi morti sono effettivamente al limite della sopravvivenza, perché hanno perso anche metà delle piante da produzione. Tenete conto che l’indagine riguarda circa 23.000 piante. Questo grafico per mostrarvi come nelle varie aree, nella piccola zona del Mugello, c’è stato un impatto diverso della malattia: alcuni comuni sono stati fortemente colpiti altri praticamente non hanno notizie della malattia. Come si è detto la malattia è legata all’acqua però i nuovi attacchi non si sono verificati solo nelle zone di compluvio, come si riteneva una volta in passato, ma si sono verificati anche nelle zone di crinale e nelle zone di cresta quindi anche lontane dalla linee di circolazione dell’acqua. Alcune piante morte sono state ritrovate proprio lungo le strade poderali, a conferma di quel che si diceva sulla circolazione del fungo che è un parassita radicale legato comunque all’acqua o alla fanghiglia per la sua diffusione. Però alcuni focolai sono sorti all’interno del castagneti senza nessun legame neanche con le strade o con la circolazione almeno superficiale delle acque. Il decorso della malattia può essere vario: o si ha immediatamente la morte della pianta oppure sintomi di prolungata sofferenza, con la pianta che sopravvive per tre o quattro anni lottando contro la malattia. Le condizioni climatiche predisponenti sono quelle già citate, il fungo si avvantaggia degli inverni caldi ed infatti quest’anno c’è stato il primo inverno un pochino più freddo del solito, che ha di fatto un po’ bloccato la malattia, almeno per quanto riguarda i castagneti del Mugello che stiamo seguendo. Inverni secchi e caldi ma soprattutto, come si diceva, primavere piovose e autunni piovosi per quanto riguarda la diffusione del patogeno. La Phytophthora cambivora, almeno per gli studi che sono stati fatti a Firenze, risulta il parassita che si ritrova comunemente nei focolai indagati, spesso associato ad altre Phytophthorae il cui ruolo non è ancora molto chiaro nello sviluppo della malattia. Phytophthora cinnamomi è stata trovata solo una volta in bosco, almeno fin ora. Solo a Latina, quindi per il momento i focolai della P. cinnamomi sono molto rari, tenete presente che la P. cinnamomi è polifaga e tende ad ammazzare molte specie, quindi è un patogeno molto più pericoloso di quello che potrebbe essere la P. cambivora. Arriviamo a che tipo di lotta si potrebbe fare per cercare di salvaguardare i castagneti minacciati dal mal dell’inchiostro. Qui siamo ancora all’inizio: abbiamo infatti condotto la sperimentazione solo negli ultimi anni. Sicuramente non possiamo ricorrere alla lotta chimica che è contraria a quel discorso di naturalità del prodotto e del castagneto che vogliamo salvaguardare. Quindi, “no” alla lotta chimica, che oltretutto risulta estremamente difficile nell’ambito montano, intervenendo su apparati radicali molto sviluppati. “Si”, invece, al miglioramento delle condizioni del suolo, cercare di favorire tutti quelli che sono gli antagonisti nei confronti del fungo patogeno, quindi ripristino degli equilibri naturali del terreno cercando di favorire la parte viva degli apparati radicali. La diapositiva ceppaia di che una vedete, pianta mostra colpita dal una mal dell’inchiostro che per metà è morta ma per metà è ancora viva, ha ancora dei ributti. L’obbiettivo sarebbe cercare di favorire con gli interventi, la parte viva dell’apparato radicale in modo tale che la pianta possa reagire alle infezioni e sia possibile bloccare le infezioni stesse. Quindi, siamo ricorsi alla concimazione con concime organico, fondamentalmente basate sull’uso di pollina e concime organico complesso con micro elementi che sono tutti prodotti ammessi dalla coltivazione biologica, e perciò non vanno contro neanche i protocolli richiesti per i contributi del biologico. I risultati sono stati abbastanza buoni. Probabilmente questi interventi favoriscono tutta la micro flora del terreno e forse vengono favoriti in qualche modo, anche se su questo punto ci sono parecchi dubbi, anche i funghi micorrizici, che la ricerca ha già individuato come possibili antagonisti del fungo patogeno, anche se poi non c’è stato lo sviluppo dalla parte di laboratorio alla parte applicativa di campo. I risultati di questi interventi di lotta al momento sono l’unica cosa che abbiamo in mano. Questa è la sperimentazione che è stata condotta nel Mugello. Nella foto vedete una pianta trattata, in primo piano, e una pianta non trattata, in secondo piano. I risultati finora, che sono stati confermati anche dalle indagini degli ultimi mesi, mostrano che le piante trattate hanno risposto bene, quasi tutte sono ancora vive, per il momento, che è un buon risultato; alcune, anzi una buona parte, sono in piena ripresa, mentre le piante testimone hanno avuto un peggioramento dello stato di sofferenza ed in alcuni casi sono morte, alcune piante trattate sono morte lo stesso, perché in realtà il problema si basa sul “quando” riusciamo a intervenire per bloccare la malattia. Se il fungo ha già ben colonizzato l’apparato radicale non c’è concimazione che possa aiutare la pianta. La concimazione può essere aiutata in alcuni casi dalle potature, anche se su questo punto bisogna stare un po’ cauti perché le indicazioni sono contraddittorie. In alcuni casi la potatura ha favorito la ripresa degli apparati radicali in altri casi il risultato è stato decisamente poco incoraggiante. Perciò al momento le tecniche di concimazione sono l’unica arma che abbiamo a disposizione per contenere la malattia. In realtà, una cosa importante che si è verificata nel Mugello, i castanicoltori hanno capito anche l’importanza di proseguire e mantenere una gestione sul suolo che sia abbastanza compatibile con l’esigenza della pianta. Quindi evitare l’asportazione continua del materiale dal castagneto, il rilascio dello sfalcio, il rilascio delle foglie e la restituzione sotto forma anche di compost dei ricci, delle foglie e di quant’altro materiale viene raccolto all’interno del castagneto. Questo è un cambiamento culturale che è abbastanza importante anche per il futuro. Attenzione! Giustamente il prof. Anselmi ha ricordato il problema dei vivaii, questa diapositiva vi mostra com’è normalmente un vivaio di castagno. Vedete le piante morte, che sono morte per il mal dell’inchiostro, e accanto piante vive. Non per parlar male dei vivaisti, ma generalmente il vivaista ha l’esigenza di vendere le piante, quindi voi non siete sicuri che nel terreno che si portano dietro non ci siano anche le spore del fungo. Il problema già accennato è che non abbiamo ancora i sistemi per certificare completamente la sanità del materiale. Che i vivai siano responsabili di alcuni focolai del mal dell’inchiostro, è abbastanza appurato, almeno in un paio di casi siamo sicuri che il mal dell’inchiostro è partito da piantine messe a dimora. Sicuramente la presenza della Phytophthora nei vivai potrebbe anche spiegare l’elevatissimo tasso di fallimenti che abbiamo nei nuovi impianti, generalmente con le piantine prese appunto nei vivai. Quindi prevenzione, usare il più possibile materiale certificato e sano e nel futuro forse potranno essere utilizzati porta-innesti resistenti, è una linea di ricerca che viene portata avanti però per il momento siamo ancora abbastanza lontani da un’applicazione possibile. Interventi agronomici sono proponibili per alcune situazioni, così come pure e giustamente riportato il discorso della buona gestione delle acque all’interno dei castagneti. Altri interventi come la sconcatura prevista nel metodo Gandolfo, che veniva proposto nel passato, sono di fatto improponibili sulle piante adulte in una normale castanicoltura ed oltretutto hanno il grosso difetto di essere legati ad inverni freddi. In questo momento il futuro di questa malattia dipende chiaramente dall’andamento climatico. Riteniamo che la malattia sia ubiquitaria nei castagneti e che questo nuovo riscoppio sia strettamente legato come già si diceva all’andamento climatico in questi ultimi 30 anni. Passiamo al cancro del castagno, ossia alla Cryphonectria parasitica che è l’agente patogeno del cancro del castagno, di cui qui vedete un infezione virulenta mortale. Questo parassita è da considerarsi ormai naturalizzato se non endemico in Europa. L’impatto della malattia è stato grave nel passato, ma adesso in quasi tutti di castagneti assistiamo a una vigorosa ripresa vegetativa. Forte ripresa vegetativa che è legata al fenomeno dell’ipovirulenza. Questo fenomeno fa si che il fungo invada la corteccia senza arrivare al cambio, la pianta può reagire e di fatto non viene danneggiata, convive con la malattia e continua, dal punto di vista produttivo, a produrre frutto senza nessun problema. Quello che è la realtà dei nostri castagneti, adesso, è che le forme ipovirulente della malattia: il cancro cicatrizzante attivo che è quello arrossato, il manicotto arrossato, quello che vedete in alto, e il cancro cicatrizzato che è l’infezione nella fase finale - il manicotto nerastro che vedete sul pollone in basso, sono ormai predominanti nella maggior parte dei castagneti italiani ed assicurano all’interno dei castagneti un inoculo in massima parte ipovirulento; per cui sappiamo che gran parte delle infezioni che avverranno nel castagneto si svilupperanno in infezioni buone, in infezioni ipovirulente, e in questo fenomeno, giustamente lo si diceva prima, non ha nessun merito la ricerca, diciamo che è stato in questo caso un classico gran colpo di fortuna che è avvenuto in Italia. È quello che ci permette adesso di essere qui a parlare di castanicoltura perché altrimenti non avremmo più neanche un castagno come è successo negli Stati Uniti. Il fenomeno dell’ipovirulenza è legato alla presenza nel micelio del fungo di un hypovirus, forse non solo a quello, ma soprattutto alla presenza di questo hypovirus che viaggia nella popolazione del fungo, popolazione che è caratterizzata dalla presenza dei gruppi di compatibilità vegetativa. I gruppi di compatibilità fin’ora determinati sono 64. Man mano che aumentiamo il campionamento ne troviamo di nuovi e sempre nuove linee saltano fuori. Ma la cosa importante è che queste nuove linee virulente del fungo non sono mai correlate ai riscoppi significativi di malattia. Un fattore che incide tantissimo sulla diffusione dell’ipovirulenza è il fatto che i ceppi che contengono il dsRNA riescono a superare brillantemente le barriere genetiche imposte dalla compatibilità vegetativa e a diffondere l’ipovirus nella popolazione del fungo con una grandissima efficacia. Quale gestione per la malattia? Innanzitutto l’accurata valutazione dei danni e il monitoraggio dei castagneti è una cosa fondamentale, perché noi ci troviamo di fronte ad un’entità biologica, un fungo, che è sempre soggetto a continue variazioni legate al clima, legate soprattutto all’andamento climatico, ma anche alla comparsa di nuove linee o di nuovi ceppi, quindi il monitoraggio continuo deve essere considerato come base della gestione. La realtà che ci troviamo di fronte generalmente, quella più dall’assenza comune di ormai, disseccamenti è caratterizzata recenti e dalla presenza di numerosi cancri anormali (come nei castagneti nella diapositiva a destra), in questo caso si passa ormai alla normale gestione dei castagneti, non c’è nessun problema e infatti i castanicoltori quasi non si accorgono dell’esistenza della malattia. Non è che i danni siano assenti perché, come abbiamo detto prima, il cancro è ormai endemico quindi non ce lo leviamo più dai piedi. lo abbiamo nei nostri castagneti e dobbiamo conviverci. Ma i danni sono sempre limitati, limitati a qualche piccolo rametto, limitati a qualche pollone del sottobosco e non incidono sulla produzione. Anche in situazioni che apparentemente possono sembrare più disastrose, come questa, dove tantissimi rami sono dissecati, ci ritroviamo in presenza in realtà di vecchi danni e non ci sono rami dissecati recentemente; in questo caso le piante possono essere facilmente recuperabili con un semplice ed adeguato intervento di potatura normalmente eseguiti. Più complesse queste, dove sono vedete situazioni, il come disseccamento recente di grosse branche. Ciò dimostra che ci sono delle linee più virulente del fungo, quindi per lo meno una maggiore pericolosità del parassita. Anche in questo caso bisogna intervenire inizialmente con interventi colturali, il vecchio e sempre efficace eventualmente, se “taglia proprio e la brucia” ed, situazione non dovesse migliorare si potrebbe intervenire anche introducendo l’ipovirulenza attraverso le inoculazioni artificiali: le inoculazioni combinate che intravedete sullo sfondo e che sono state poi il sistema adottato per la prova eseguita in Alto Adige negli anni scorsi con risultati abbastanza positivi. Si tratta praticamente di introdurre l’ipovirulenza nel castagneto ricreando infezioni simili a quelle ipovirulente naturali; assolutamente sconsigliabili sono invece le inoculazioni curative perché sono improponibili dal punto di vista economico e anche poco efficaci dal punto di vista pratico. Attenzione che i riscoppi di malattia possono essere correlati a situazioni climatiche particolari tipo una forte grandinata o momenti di stress idrico. L’importante è valutare anche nel tempo la progressione dei danni, finora noi abbiamo visto che l’ipovirulenza è in grado di mantenersi nel tempo e che anche i piccoli riscoppi di malattia tendono poi a rientrare negli anni successivi, dopo degli adeguati interventi selvicolturali. Però come abbiamo detto la situazione va sempre valutata anno per anno, va sempre continuato il monitoraggio perché siamo di fronte ad un’entità, appunto, biologica, quindi in continua evoluzione. Gli innesti sono ancora un problema, perché il punto di innesto è facilmente suscettibile agli attacchi letali anche dei ceppi ipovirulenti. Per il momento i migliori interventi di protezione sono stati ottenuti utilizzando il mastice biologico messo a punto dal CNR, il Cerafix Plus, che però funziona, ovviamente, se è impiegato anche con una corretta esecuzione degli innesti, e su questo punto magari anche dal punto di vista tecnico non si è insistito tanto. Perciò devo ancora insistere sulla corretta esecuzione dei tagli, ed anche degli interventi successivi, impalcatura, potatura verde eccetera, che sono fondamentali per la salvaguardia degli innesti. Sulle potature, che sono un intervento gestionale comunque fondamentale, c’è da dire che i grossi tagli difficilmente sono attaccati dal cancro, perché disseccano più rapidamente. Più pericolosi sono i tagli sul tessuto ancora verde. Anche qui i criteri di base sono soprattutto legati alla corretta esecuzione dei tagli stessi che dovrebbero garantire la pianta anche da problemi successivi legati alle carie. Si sta mettendo a punto un mastice biologico per le potature sul verde, sulle potature piccole, che attualmente è in fase avanzata di sperimentazione ma ancora non è disponibile, forse tra qualche anno sarà pronto. Riassumendo, per il cancro la lotta consiste fondamentalmente nel lasciare agire l’ipovirulenza, quindi intervenire soprattutto per eliminare la malattia nella forma virulenta, con la normale eliminazione del secco recente trovato in giro per i castagneti. L’eliminazione vuol dire tagliare e bruciare, non lasciare la ramaglia, comunque distruggerlo perché le spore del fungo si mantengono sul materiale tagliato e accatastato, si mantengono e si diffondono. Sotto questo aspetto è importante mantenere un’adeguata informazione e formazione dei tecnici e degli operatori che devono per lo meno sapere riconoscere i diversi di tipi di cancro che avete visto in queste diapositive. Questo è il cancro che noi consideriamo intermedio perché ha partenza da virulento e poi si blocca e non diventa più pericoloso, comunque è una forma che consigliamo di eliminare perché potrebbe mantenere un inoculo virulento. Questo per quanto riguarda il cancro. Anch’io ho messo la foto della Fersa, perché si è guadagnata i titoli e l’apparizione sulla stampa, vista la sua comparsa eccezionale di quest’anno. Qui come lotta non consigliamo assolutamente niente, se proprio volete il raccogliere ed eliminare la foglia potrebbe essere già sufficiente a ridurre l’inoculo, ma fondamentalmente abbiamo bisogno di agosti non piovosi o per lo meno di estati non troppo piovose. Più pericoloso, più importante invece per il discorso qualità del frutto è il discorso sulla presenza della Ciboria batschiana nella castagna. Questo fungo si riscontra normalmente nei castagneti, sulle castagne ammuffite, sulle castagne annerite rimaste nel castagneto. Fruttifica generalmente durante tutto il periodo autunnale, si diffonde tantissimo durante i periodi piovosi, e la raccolta durante il periodo piovoso porta generalmente a gravi perdite. L’anno scorso, ad esempio, un’azienda di Salorno ha perso l’80% della produzione, proprio per questo problema. Quindi i danni sono notevoli, anche se il castanicoltore generalmente tende a vendere il prodotto prima che possano emergere i sintomi, però questo parassita incide sulla qualità generale del prodotto, sulla sua immagine e quindi sulla sua capacità di conquistare e di tenere il mercato. Questo fungo insieme agli altri problemi di conservazione della castagna è responsabile della perdita di notevoli quantità di marroni. Che tipo di intervento: sicuramente all’interno del castagneto la ripulitura, per allontanare le castagne colpite e infette che rimangono nel terreno, però è quasi impossibile eliminarle completamente. Tra l’altro sappiamo ancora poco per quanto riguarda proprio la biologia del fungo. Gli interventi di curatura per il trattamento del marrone è sicuramente fondamentale. Per la conservazione buoni risultati sono dati sia dalla sterilizzazione che dalla conservazione in atmosfera controllata. Comunque in generale è un punto che anche il castanicoltore deve tener presente proprio per mantenere l’alta qualità a garanzia del buon prezzo del marrone. Qualità del frutto e quindi dobbiamo parlare delle cydie e cioè della Pammene fasciana, della Cydia fagiglandana e della Cydia splendana. Per vostra fortuna in Trentino l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, sarebbe dottor meglio Angeli ma dire in il Cydia splendana prima persona, ha condotto negli ultimi anni uno studio molto Pammene fasciana dettagliato sulla presenza di questi parassiti. Uno studio che obbiettivi, inizialmente ha valutare perseguito l’incidenza 3 degli insetti carpofagi, le specie presenti, il tipo di danno e l’epoca del danno; poi l’adeguamento e la messa a punto delle tecniche di monitoraggio, quindi con Cydia fagiglandana erogatori migliori, miscele ferormonali migliori, vari modelli di trappole e diverso posizionamento delle trappole stesse. Il terzo e ultimo obiettivo finale è stato quello di cercare di definire tecniche di difesa biologica attraverso la confusione sessuale ed il disorientamento. Questo tipo di lavoro ha permesso di trovare all’interno dei castagneti trentini che l’incidenza del balanino è praticamente nulla, non è stato mai ritrovato finora. Mentre le due Cydie sono presenti. Questi sono alcuni degli strumenti utilizzati. Gli inneschi è le trappole che vengono utilizzati per il monitoraggio insieme alla raccolta continuata con le reti sotto i castagneti dei ricci caduti, un lavoro durato alcuni anni. L’andamento della presenza delle tre specie: è stato trovato che la Pammene fasciana compare fondamentalmente col suo picco nel mese di giugno durante la fase iniziale di formazione del riccio, mentre la Cydia Fagiglandana ha due picchi spostati tra luglio ed agosto e la C. splendana è l’ultima ad apparire (fine agosto), ed è sicuramente quella più dannosa, quella che colpisce direttamente il riccio già maturo, il riccio già pronto. Il controllo e la raccolta. Prima parliamo un po’ dell’incidenza del danno. L’annata peggiore è stata nel 1995: a Castione il danno è stato pari al 25% sul marrone, quindi un danno sicuramente ed economicamente notevole. In altri casi ad esempio a Drena è stato anche più alto. C’è comunque una notevole variabilità di anno in anno. Da quello che è stato osservato sui ricci raccolti, si è visto che fondamentalmente la Pammene fasciana fa un danno molto limitato e agisce come una cascola naturale dei ricci senza grosse perdite. Più significative sono la Fagiglandana e la Splendana che possono incidere anche per 24/28% sulla perdita di prodotto. Su piccole produzioni sicuramente queste sono perdite molto pesanti. Il lavoro di monitoraggio, la messa a punto di diverse miscele di ferormoni, appunto per valutare la loro efficacia nel monitoraggio stesso e nella cattura. Queste sono le miscele, che non vi sto ad illustrare ma ve le mostro perché sono tante, per farvi capire anche il lavoro che c’è stato dietro, che son state saggiate sulla Cydia fagiglandana, vedete che alcune hanno avuto dei buoni risultati. Vi faccio notare, anche se si vede poco, che c’è scritto: castagno e faggio. Perché la Cydia fagiglandana va anche sul faggio, ha una presenza anche sul faggio. Questo anche per ricordare come questi insetti sono una normale componente dell’ecosistema del castagno e quindi non possiamo pensare di eliminarli completamente, ma dobbiamo riuscire ad arrivare a tollerarne la presenza per quanto riguarda la produzione. Anche per la Cydia splendana è stata fatta la stessa prova, e anche qui sono state individuate le miscele molto efficaci per la cattura, perlomeno per il monitoraggio. Qual è il problema? Il problema è come cercare di mettere queste conoscenze a servizio di una tecnica di lotta biologica. Dalle prove fatte si è visto che i problemi pratici sono notevoli e sono legati soprattutto alla distribuzione di questo insetto nell’interno della chioma. Come vedete in questo grafico la presenza maggiore è nelle parti più alte, nelle parti centrali e nelle parti alte del castagno, quindi si va dai quattro agli otto metri. Questo vi fa già capire che intervenire mettendo le trappole ed i diffusori diventa una pratica difficilmente proponibile in una normale castanicoltura, quindi siamo ancora sotto questo aspetto a livello di studio, a livello di prove preliminari. Al momento possiamo dire quindi che la difesa del frutto è ancora, per quanto riguarda la cydia, è ancora legata alle tecniche agronomiche tradizionali, la pulizia, la formazione delle ricciaie su cemento, fuori dal castagneto, che porta all’eliminazione delle cydie che fuggono nel terreno, ed ovviamente l’eliminazione costante del bacato. Le prospettive per il controllo biologico sono buone per il futuro e probabilmente sono legate a quelle che sono le tecniche che stanno prendendo piede anche nella frutticultura. Fondamentalmente forse non tanto la confusione sessuale perché è difficile saturare di ferormoni l’ambiente del castagneto, ma probabilmente la tecnica di “attract and kill” e la tecnica del disorientamento possono avere delle prospettive buone, se si riuscirà a trovare un sistema molto pratico per poterle applicare all’interno del castagneto. Concludendo, possiamo dire che attualmente per la difesa delle malattie abbiamo delle tecniche per salvaguardare i castagneti nel pieno rispetto della loro naturalità e quindi per salvaguardare anche il prodotto, chiaramente tollerando una certa perdita, però salvaguardandone la maggior parte. È necessario che queste tecniche siano recepite dai castanicoltori per migliorare sempre di più tutti i vari passaggi di gestione e quindi ha notevole importanza la divulgazione, la formazione continua. Come anche ha notevole importanza il monitoraggio continuo. Il pericolo dell’introduzione del mal dell’inchiostro è reale, così come lo è il pericolo di altri nuovi parassiti: quest’anno infatti è stato ritrovato in primavera un nuovo insetto che attacca le piante di castagno, probabilmente importato dalla Cina. Vedete che qualche problema c’è sempre. Quindi è fondamentale il monitoraggio continuo e anche consultare i tecnici quando occorre. Mi fa un po’ ridere infatti il discorso della siccità nei castagneti comparso in questi giorni sul giornale, magari il giornalista poteva consultarsi con S. Michele e forse si evitava di parlare di siccità dopo uno degli agosti più piovosi degli ultimi vent’anni. Grazie.