Il valore della sicurezza in Italia

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Il valore della sicurezza in Italia
CONSIGLIO NAZIONALE DEI PERITI INDUSTRIALI
E DEI PERITI INDUSTRIALI LAUREATI
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
R A P P O R T O
F I N A L E
Il valore della sicurezza in Italia
R O M A , M A R Z O 2 0 04
Introduzione
rapporto è stato realizzato
da un gruppo di ricerca del
Censis diretto da Maria Pia Camusi e composto da:
Ester Dini, Simona Fallocco, Gabriele Niola,
Giuseppe Lubrano, Elena Mariniello, Vittoria Coletta.
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Lacune e strabismi nella cultura della sicurezza
La sicurezza in Italia non è ancora un valore sociale. Forse poichè è una di quelle materie sociali che
non possono uscire dallo stato nascente solo grazie allo stimolo di una normativa completa e attenta –
che pure l’Italia si è data - né di vincoli di contenimento e di orientamento ai comportamenti
individuali, ma che ha bisogno di un processo di socializzazione più profondo.
Questo è il quadro complessivo che emerge dal lavoro di ricerca e di approfondimento realizzato dal
Censis sul tema della sicurezza e di quella domestica, in particolare, per conto del Consiglio Nazionale
dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati.
La sicurezza, dunque, è una dimensione sfuggente sul piano sociale e non definibile sul piano sistemico:
gli italiani cioè hanno una visione ancora molto formale della sicurezza, che stenta a diventare uno degli
elementi su cui si sta ricomponendo la loro sensibilità e la loro identità collettiva e, al tempo stesso, la
frammentazione di soggetti e di responsabilità pubbliche e private in materia fa sì che non se ne possa
ancora parlare come di una dimensione strutturata.
Gli italiani che hanno un comportamento pro-attivo nei confronti della prevenzione e che davvero
pensano faccia capo intanto a loro stessi affrontare e risolvere le questioni legate alla sicurezza sono
poco più del 31%, mentre il 21% di essi si possono definire persone fortunate a non essere incappate in
incidenti, ma soprattutto il 47% circa è composto da persone che vivono nella distrazione più completa,
non si curano di sè e degli altri e aspettano che sia un soggetto esterno, preferibilmente pubblico, a
doversi far carico della loro incolumità a casa, sulle strade e nei luoghi di lavoro.
La sicurezza quindi è un elemento virtuoso e gratificante per una parte limitata della popolazione, al cui
interno prevale invece una cultura della sicurezza di tipo strumentale: quando cioè si tratta della propria
salute e della propria casa gli italiani si sentono completamente responsabili e si dichiarano anche
disponibili ad impegnarsi di più. Su altri temi che, invece, sono percepiti come altro da sè - dal luogo di
lavoro alla sicurezza del patrimonio edilizio - la responsabilità diminuisce e cresce la domanda di tutela
soprattutto presso le istituzioni.
Per questo si tratta di una cultura strabica, che sottovaluta la rilevanza che i comportamenti individuali
hanno nell’accrescimento dei livelli di sicurezza in tutti gli ambiti in cui la si ricerca, ma al tempo stesso
si esprime in azioni che lascerebbero pensare ad un tipo di consapevolezza diverso. Sotto questo profilo
basti pensare che:
- le persone non si sentono responsabili per la sicurezza degli edifici, degli ambienti di lavoro e
dell’ambiente;
- tant’è vero che delegano le istituzioni ad occuparsi di tali questioni;
- tuttavia, pensano che l’irresponsabilità dei singoli sia fra i primi tre fattori (insieme alla mancanza di
norme adeguate e al terrorismo) che determinano situazioni a rischio;
- e tendono ad adottare comportamenti pro-attivi, come manutenere la propria auto, essere solidali
con chi ha bisogno di aiuto e tenere in ordine il proprio micro-ambiente;
- senza contare la disponibilità – effettivamente teorica, ma pur tuttavia manifestata - a spendere di
tasca propria per un ambiente più pulito, per alimenti sani e per la possibilità di viaggiare senza
rischi.
Questi atteggiamenti contradittori si riflettono anche sui timori legati a situazioni a rischio: gli italiani
hanno paura in primo luogo degli incidenti stradali, mostrando in questo di sapere, o quantomeno di
percepire, che si tratta di un pericolo crescente e molto grave, visto che gli incidenti stradali hanno un
indice di mortalità altissimo, pari al 2%, e sono la seconda causa di infortunio.
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Per il resto, le maggiori paure si concentrano su eventi che non sono dominabili (l’inquinamento
dell’ambiente e i disastri naturali) mentre si sottovalutano lo stress da lavoro, le malattie professionali e
gli infortuni domestici che sono di gran lunga superiori alle statistiche ufficiali. Sotto questo profilo,
l’indagine sulla popolazione condotta per la redazione di questo rapporto ha messo in luce un
fenomeno di micro-insicurezza sommersa che nei valori supera in modo significativo i dati ufficiali.
Per gli italiani, nell’ultimo anno, la prima fonte di incidentalità è stata quella domestica (27,8%), seguita
dai disturbi legati allo stress da lavoro (24,8%), dagli incidenti stradali (10,8%) e, infine, dai disturbi di
salute legati a cause inquinanti (5,7%). I dati ufficiali, in realtà, confermano le tendenze rilevate sul
campo: gli infortuni in casa nel 2000 sono stati quasi 3 milioni e mezzo, coloro che hanno subito
incidenti sul lavoro quasi un milione e gli incidenti stradali 229mila persone.
Sul piano delle prospettive, deve far riflettere il volume di persone che denunciano stress da lavoro, che
naturalmente crescono moltissimo fra gli occupati (33,3%), ma che non sono meno consistenti fra gli
studenti e i disoccupati (21,9%) e fra le casalinghe(13,4%).
Quale sicurezza nella casa – guscio
La sicurezza domestica, dunque, rappresenta a tutt’oggi la prima causa di incidentalità e, con i suoi
8.000 deceduti stimati, presenta un tasso di mortalità pari allo 0,2%.
L’aumento progressivo dell’insicurezza domestica (dal 1998 al 2000 gli incidenti sono cresciuti del
5,6%) è sicuramente riconducibile, da un lato, all’emersione del fenomeno, legata soprattutto ad una
maggiore propensione degli italiani a denunciare gli eventi. Dall’altro lato, invece, bisogna riscontrare
un aumento delle situazioni a rischio, legate a:
- la crescita di popolazione nelle fasce che più di altre sono esposte a subire incidenti domestici, ossia
gli anziani e le donne;
- il mutamento degli stili di vita, caratterizzati da una intensificazione dei tempi di lavoro e dal venir
meno della distinzione fra tempo di lavoro e di non lavoro, tal che spesso le persone continuano a
operare anche da casa, con notevoli conseguenze sul livello di attenzione riservato per le
incombenze, appunto, domestiche;
- il processo di delega del lavoro domestico a tutti i membri della famiglia, oltrechè alle donne, che
non corrisponde sempre ad una uguale responsabilizzazione e capacità di svolgimento di mansioni
tipicamente femminili;
- la complessità degli strumenti e degli oggetti che entrano nelle case degli italiani e che spesso, pur
essendo ad alta componente tecnologica, non sono di facile utilizzabilità, ma richiedono uno studio
delle istruzioni a cui non tutti hanno voglia o tempo di dedicarsi.
Queste situazioni a rischio sono alimentate proprio nel rapporto che gli italiani hanno con la sicurezza
abitativa e con la cultura che esprimono a riguardo.
Intanto, gli italiani distinguono ancora fra la sicurezza infra-domestica e quella dell’immobile in cui
vivono nel suo complesso, per cui per la prima si impegnano in prima persona, per la seconda sembra
che stiano sviluppando una sensibilità più elevata, ma ancora in modo molto contenuto.
La casa – guscio è quella per cui si osserva il maggiore impegno. Le case degli italiani sono molto
attrezzate e fornite di quei sistemi di confort, anche ad alta intensità tecnologica, che le rendono non
solo al passo con i tempi, ma anche funzionali: la lavatrice ormai è presente nella quasi totalità delle
case, mentre la lavastoviglie solo nel 42,3%, segnalandosi come il nuovo oggetto-simbolo
dell’emancipazione femminile che ancora è da colmare. Al tempo stesso si deve registrare la presenza
quasi marginale di componenti a rischio come le coperture di eternit (5,9%). In casa ci sono anche
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strumenti di regolazione e di controllo degli impianti, come i salvavita e la messa a terra, e le cappe di
aspirazione.
Ma l’atteggiamento di cura degli italiani per la casa è testimoniato soprattutto dagli interventi di
manutenzione che hanno realizzato negli ultimi due anni e che hanno intenzione di fare nei prossimi
dodici mesi: la percentuale di chi ha fatto manutenzione degli impianti idraulici, elettrici o di
riscaldamento arriva al 93,3%, quella di chi ha messo o metterà a norma il sistema elettrico è del 52,6%.
Certo, è basso il numero di coloro che vogliono bonificare l’abitazione da sostanze tossiche, ma poichè
sembrano non averne in misura rilevante, non si può dire che a questo obiettivo corrisponda un
disimpengo diretto.
Questo atteggiamento complessivamente attento alla qualità infra-domestica non protegge gli italiani
dalle proprie paure, e soprattutto da se stessi. La distrazione, infatti, è sempre in agguato e costituisce
una fonte piuttosto importante di insicurezza, quando non di incidenti: il 46% circa degli italiani negli
ultimi tre mesi ha adottato in casa un comportamento che avrebbe potuto avere conseguenze molto
negative, e il 32% di questi è stata molto vicino a pericoli gravi, daterminati dal lasciare il ferro da stiro
acceso, dallo scordare le pentole sul fuoco, o dal lasciare il gas aperto.
Si capisce allora perchè l’incubo degli italiani è quindi quello del far da sè, che è riconosciuto come una
fonte di pericolosità molto elevata, ma che attrae sempre più persone.
E per l’immobile nel suo insieme? Su questo piano gli italiani mostrano di avere una cultura ancora in
costruzione. Per avere un fabbricato sicuro sarebbero effettivamente disposti a pagare in prima persona,
ma, come si diceva poc’anzi, non perchè si sentano responsabili: pagare va bene, purchè siano altri ad
avere l’onere di scegliere gli interventi da fare e del loro controllo.
Una politica orizzontale e condivisa
Sulla base delle considerazioni e delle analisi svolte fin qui ci si chiede allora quali linee politiche siano
importanti per accompagnare la popolazione verso soglie più mature e condivise di sicurezza
domestica.
Un primo passo in avanti va compiuto proprio sul piano dell’individuazione di una funzione sociale innovativa per la
sicurezza. La sicurezza dovrebbe, infatti, essere considerata come un elemento trasversale a tutte le aree
in cui si articola il sistema del benessere sociale ed economico. In altre parole può diventare il nuovo
medium di collegamento fra la qualità della vita personale, del lavoro, del post-lavoro, e dell’ambiente,
una sorta di nuovo medium su cui ricostruire un welfare davvero innovato e proiettato al futuro.
Ma se alla sicurezza si vuole affidare questo ruolo di vettore orizzontale di innovazione del sistema
socio-economico, si deve governare con logiche, con contenuti e con formati altrettanto orizzontali.
Le logiche devono fare i conti con il gap esistente fra cultura attesa ed esistente di sicurezza, non dando
per scontato che il progresso del sistema normativo abbia portato di per sè ad un aumento della
seconda. Certamente, senza l’insieme delle leggi di cui il paese si è dotato negli anni ‘90, gli effetti
negativi dell’insicurezza sarebbero stati molto più gravi, ma queste norme non hanno ancora portato
alla definizione di una cultura condivisa, che invece va costruita con scelte coerenti e mirate. Non basta,
per essere chiari, che la casalinga eviti di salire su scale traballanti: serve che quelle scale non vengano
più messe in commercio e che chi ne produce di diverse, tenendo conto degli standard di sicurezza, sia
adeguatamente riconoscibile sul mercato.
I contenuti delle politiche necessarie per accompagnare la sicurezza verso soglie più mature e condivise di
ruolo passano per tre ordini di interventi.
Il primo riguarda la qualità degli immobili, che certamente, negli ultimi anni ha subito un
adeguamento in positivo, per via dell’applicazione e della cogenza di normative riguardanti soprattutto
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la messa a norma degli impianti principali, ma che a tutt’oggi non è esente da rischi e da fenomeni di
criticità. Sotto questo profilo, le aree scoperte sembrano soprattutto tre:
- l’introduzione di un percorso di certificazione di qualità degli edifici abitati che possa costiture, ad
esempio, un criterio necessario per la loro valutazione di mercato e gli eventuali passagi di proprietà;
- l’istituzione di un documento dinamico della casa, che fornisca cioè una valutazione del rischio exante e degli interventi sostenuti ex-post per la sua manutenzione e/o ristrutturazione;
- la definizione di percorsi di incentivazione fiscale per el spese sostenute a favore della sicurezza
domestica.
Una seconda linea di politiche deve essere diretta a migliorare la qualità dei prodotti che entrano
nelle case e che spesso, ancora oggi, sono privi delle più elementari caratteristiche di sicurezza. Da
questo punto di vista, ci sono alcuni fattori che appesantiscono questa situazione: dal fenomeno in
crescita delle contraffazioni, all’aumento di importazioni di oggetti a basso costo che non rispettano le
normative sulla sicurezza, alla mancanza di informazioni sul potenziale tossico o inquinante di certi
materiali. Certamente, molto è stato ed è fatto, ma non basta. Il fare di più passa per almeno due
direttrici di impegno:
- rendere più diffusi i flussi di informazione sulla qualità dei prodotti e sui livelli di manipolazione
degli stessi marchi di qualità;
- promuovere e definire percorsi di maggiore responsabilizzazione sociale delle imprese sul piano della
sicurezza interna e di quella dei prodotti che scaricano sul mercato, visto che gli italiani sono disposti
a premiare aziende che adottano sistemi produttivi non nocivi per l’ambiente, per la salute dei
dipendenti e dei consumatori.
Un terzo filone di politiche e di interventi riguarda la cultura della sicurezza che in relazione alla casa
ha fatto passi in avanti, ma continua a caricarsi di elementi critici. La consapevolezza sui pericoli e i
rischi domestici e lo stesso attaccamento degli italiani alla loro casa da soli non bastano a cambiare le
loro abitudini e il loro rapporto con la prevenzione. Il problema non risiede solo nell’intensificazione
dei ritmi di lavoro, ma nel fatto che la casa si svuota progressivamente dei soggetti tradizionali,
soprattutto femminili, che l’hanno sempre popolata, per impegni occupazionali o per altre attività, e, se
non rimane vuota, si riempie di soggetti nuovi – dalle colf a tempo, al personale di cura, agli affittuari di
stanze – che hanno con la casa un rapporto estraneo e distante. Per questo insieme di ragioni e per la
difficoltà esplicita degli italiani a razionalizzare il tema della sicurezza come una loro priorità srebbe
importante disporre di interventi mirati a:
- sensibilizzare diffusamente la popolazione sulla sicurezza domestica intesa come obiettivo sociale e
di benessere collettivo, attraverso campagne di informazione e strumenti di formazione;
- creare figure trasversali esperte di sicurezza indoor che possano fungere da terziario informato non
solo per le singole famiglie, ma per gli stessi professionisti tecnici chiamati ad operare in casa;
- diversificare i percorsi assicurativi allargando la platea di soggetti assicurabili e puntando
all’allegerimento dell’eventuale premio in presenza di standard di qualità dell’immobile e/o della casa
in questione.
Un ultimo aspetto, ma non meno importante, riguarda i soggetti che possono concretamente farsi carico
della individuazione della sicurezza come valore collettivo. Anche in questo caso si pensa ad un formato
che sia il più possibile corrispondente alla logica di orizzontalità già richiamata.
I soggetti chiamati in causa sono molteplici, pubblici e privati, e non potrebbe che essere così, vista la
spalmatura che la sicurezza ha sui tanti aspetti della vita sociale e personale.
Nel caso debbano risolvere problemi tecnici che riguardano la loro casa il 67% circa degli italiani non
esita a rivolgersi a professionisti specializzati come i periti industriali. I periti, inoltre, sono gli operatori
a cui il 25% degli italiani si rivolgererebbe anche per esprimere una valutazione sugli interventi che
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sarebbero necessari per garantire loro il buono stato del loro immobile. D’altra parte, quella dei periti
industriali è una categoria professionale molto vicina da decenni al fabbisogno sociale di tecnicalità: la
loro presenza capillare sul territorio e la loro capacità di interagire in modo immediato con il bisogno
del cliente, dando risposte qualificate e complete, rappresenta un biglietto da visita più che valido e
vincente per partecipare ad una gestione orizzontale della sicurezza. Ciò che serve, sul piano tecnico,
infatti, non sono solo progetti e proposte, ma la capacità di entrare in relazione immediata con la
domanda di sicurezza e di dare a questa risposte concrete, sapienti e di lunga durata.
Non è pensabile forse che si debba creare una struttura verticale di gestione della sicurezza, ma
piuttosto un circuito a cui potrebbero partecipare tutti i soggetti interessati e chiamati a responsabilità:
dai Ministeri competenti, alle aziende pubbliche che già operano nel settore, alle associazioni sociali e
professionali, alle imprese private e ai loro soggetti di rappresentanza, agli Enti Locali, alle stesse
Regioni e, naturalmente ai Consigli Nazionali delle professioni tecniche. Servirebbe cioè un
coordinamento a dimensione nazionale che potesse funzionare da luogo di sintesi decisionale per la
definizione degli interventi e delle politiche necessarie e che dovrebbe collegare questi interventi,
quando possibile, alla dimensione territoriale.
Non è altrettanto pensabile che un organismo del genere possa funzionare senza un ruolo di
coordinamento e di orchestrazione generale, benchè non spetti a questo rapporto il compito di indicare
chi possa svolgerlo. Certamente, tutti i soggetti che potrebbero potenzialmente farvi parte e che sono
stati direttamente sentiti nel corso del lavoro si sono espressi a favore dell’ipotesi di costituire questa
sorta di Camera della sicurezza. Certamente, spetta al Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti
Industriali Laureati il merito di aver individuato per primo la rilevanza del tema, nonchè la
responsabilità di tradurre in comportamenti politicamente rilevanti la fiducia e le attese che gli italiani
ripongono nei suoi iscritti.
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