Le relazioni tra Chiesa e Stato e il ruolo dei

Transcript

Le relazioni tra Chiesa e Stato e il ruolo dei
Le relazioni tra Chiesa e Stato
e il ruolo dei cattolici nella storia politica post-unitaria
di Marco Impagliazzo
1. Com’ è noto, la nascita del nuovo Stato è stata contestuale all’inizio di un dissidio con la
Chiesa, che ha provocato l’estraneità di gran parte dei cattolici italiani – non tutti: il ruolo del
cattolicesimo conciliatorista, benché minoritario, ha avuto un suo rilievo tra Otto e Novecento dalla vita politica: è la conseguenza del non expedit. Si sono creati così due problemi distinti, anche
se non separabili, i cui effetti arrivano sino ad oggi: l’intera storia dell’Italia unita è stata infatti
segnata dalla duplice esigenza di raggiungere e mantenere un solido rapporto tra Chiesa e Stato e di
coinvolgere in modo continuativo i cattolici nella vita politica nazionale. Quando una di queste due
esigenze – o entrambe – non sono state soddisfatte pienamente, ne hanno sofferto sia il paese nel
suo complesso sia specificamente i cattolici.
E’ anzitutto quanto emerge dal periodo dopo il 1861: il consolidamento dell’Unità nazionale
è stato a lungo impedito dal dissidio Chiesa Stato, che ha introdotto elementi di squilibrio interno e
ha fortemente limitato l’Italia sul piano internazionale. Nel periodo post-unitario, i cattolici
parlavano polemicamente di frattura profonda tra paese legale e paese legale, mentre più tardi
Gramsci ha lanciato la fortunata definizione del Risorgimento come rivoluzione mancata.
Indubbiamente, l’estraneità delle masse popolari – di cui il dissidio con la Chiesa è stata una delle
cause principali - ha contribuito alla notevole fragilità dello stato post-unitario, compresi quei
“difetti originari” che hanno prodotto molto più tardi fenomeni patologi come in fascismo. Ma si
possono richiamare anche altri effetti negativi indiretti, che durano fino ad oggi, come la
permanente “distanza” – intessuta di diffidenza e conflittualità - dei cittadini dalle istituzioni - ed un
rapporto a tratti problematico tra Nord e Sud, due patologie di cui la storia italiana non si è ancora
liberata pienamente e che si sono innestate proprio nei decenni post-unitari anche a causa della
mancata presenza dei cattolici nella vita politica nazionale.
Non è un caso, che entrambi questi fenomeni siano stati invece efficacemente contrastati da
una breve ma intensa esperienza, quella del Partito popolare, di cui i cattolici sono stati protagonisti.
Altre forme di riavvicinamento dei cattolici allo Stato, maturate precedentemente, non sono invece
riuscite ad incidere in modo davvero efficace sulla situazione italiana. Com’è noto, sullo sfondo di
un progressivo riavvicinamento tra Chiesa e Stato, all’inizio del ‘900, il non expedit cominciò a
rientrare con il fenomeno dei cattolici deputati, eletti in accordo con i liberali: si colloca qui il
cosiddetto “Patto Gentiloni” che prevedeva uno scambio tra appoggio ai governo liberali del tempo
in cambio di un “freno” all’introduzione del divorzio o di altri provvedimenti sgraditi ai cattolici.
2
Ma l’ incidenza effettiva di questo parzialissimo “ritorno” dei cattolici fu molto limitata:
incoraggiati dai vertici ecclesiastici, i cattolici deputati svolsero un qualche ruolo nell’avvicinare le
due sponde del Tevere, mentre non poterono invece contare su un forte consenso cattolico popolare,
a differenza della successiva esperienza sturziana. Di conseguenza, attraverso di loro non si realizzò
quella piena immissione delle masse nello Stato che costituisce un problema storico ricorrente nella
vicenda nazionale italiana.
2. Dopo il 1994, l’esperienza del Ppi è stata richiamata molto di frequente, sottolineandone
l’alto valore morale, in contrapposizione alla lunga stagione democristiana, colpita da una generale
esecrazione dopo Tangentopoli. Non è possibile però sviluppare tale paragone prescindendo dai
diversi contesti storici: si tratta di due epoche molto lontane. Il ruolo svolto dal Partito popolare
nella storia italiana è stato straordinario ma anche irripetibile: permettendo il ritorno o, meglio,
l’ingresso dei cattolici dentro lo Stato ha dato un grande contributo all’affermazione in Italia della
democrazia. Si tratta di uno degli esempi storicamente più importanti di come i cattolici possano
svolgere un ruolo decisivo, non solo nell’affermazione dei propri valori ma anche nell’
orientamento complessivo della vita politica italiana.
E’ noto, però, che l’esperienza popolare fu molto breve, interrotta violentemente
dall’avvento del fascismo. A questo esito non fu estraneo il problema dei rapporti tra Chiesa e Stato
ancora irrisolto al momento della fondazione e della formazione del Ppi. Infatti, proprio
l’accelerazione impressa da Sturzo ai rapporti tra cattolici e politica, precedendo la soluzione del
dissidio tra Chiesa e Stato, provocò un pesante contraccolpo. L’impatto dell’iniziativa di Sturzo fu
tale da oscurare quasi il ruolo del Vaticano, mentre la fine del Ppi riportò interamente il gioco in
mani vaticane, aprendo la strada all’accordo del 1929, concepito e realizzato in un’ottica
unicamente di vertice. Tale accordo venne oltre tutto stipulato con un interlocutore non cattolico ed,
anzi, originariamente, anticlericale come Mussolini, sancendo così palesemente l’ “inutilità”
dell’impegno politico cattolico per la difesa degli interessi della Chiesa.
Seppure schematizzando, è possibile vedere nella nascita del Ppi e nei Patti Lateranensi i
punti estremi dell’oscillazione – nell’arco di un solo decennio - di un pendolo, il primo dei quali
esalta il ruolo dei cattolici mentre il secondo lo annulla totalmente a favore dell’istituzione
ecclesiastica. Come si è detto, la situazione attuale è molto diversa da quella tra le due guerre, ma
c’è una lezione che è ancora valida: la soluzione ottimale non si trova ai punti estremi dell’
oscillazione del pendolo. In altre parole, quel periodo tragico della storia italiana ci insegna che non
si deve privilegiare la presenza dei cattolici in Italia a scapito dei rapporti tra Stato e Chiesa o
3
viceversa, ma che bisogna curare contemporaneamente e congiuntamente entrambe queste
problematiche.
3. Credo che proprio questa lezione sia stata alla base dello scenario completamente diverso
del secondo dopoguerra, quando invece è prevalsa una saldatura tra rapporti Chiesa-Stato e largo
impegno dei cattolici in politica prevalentemente all’interno di un’unica formazione, la DC, che è
apparso perciò il “partito cattolico” pur non avendone tutte le caratteristiche. In precedenza, durante
la guerra, l’istituzione ecclesiastica aveva visto accrescersi progressivamente il suo ruolo tra le
masse, evidenziato anche sul piano simbolico dalla figura di un papa sempre più popolare grazie
alle sue invocazioni di pace. Nel dopoguerra, però, pur sviluppando una fisionomia movimentista e
di massa, l’istituzione ecclesiastica non ha giocato in proprio sul piano politico, facendo piuttosto
convergere il consenso – già a partire dal 1944-1945 - verso la Democrazia cristiana. Ciò ha
giovato anche ai rapporti tra Stato e Chiesa, come mostra il dibattito sull’articolo 7 della
Costituzione e il riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi, ottenuto grazie all’azione
determinante proprio della Democrazia Cristiana, cui si unì il decisivo apporto comunista.
Il pieno inserimento di Chiesa e cattolici, con ruoli diversi ma tutto sommato complementari
malgrado tensioni e problemi, nell’Italia del secondo dopoguerra fu determinante nella stagione
probabilmente più felice della storia italiana: il trentennio 1945-1975. Al di là degli aspetti specifici,
vorrei sottolineare soprattutto il clima di quel trentennio, caratterizzato da una forte coesione sociale
e da una notevole spinta propulsiva. Consapevoli della catastrofe provocata dal fascismo con la
guerra, gli italiani si trovarono sostanzialmente uniti nella costruzione di un paese profondamente
nuovo e diverso. E’ una constatazione che può sorprendere se si pensa che furono anche anni di
profonde divisioni politiche e ideologiche, al di là delle quali però agirono efficacemente alcuni
fattori unitari, tra cui un ruolo certamente importante fui svolto dalla tradizione cristiana quale
elemento di unità nazionale, come riconobbero anche molti laici. La Chiesa e i cattolici costituirono
l’asse portante di una ricostruzione prima morale che materiale, garantendo progressivamente anche
una espressione sempre più libera di posizioni diverse.
Già nei primi passaggi post-bellici è evidente che la simbiosi tra istituzione ecclesiastica e
cattolicesimo politico, si inserì in un contesto segnato dal passaggio alla democrazia – in cui il ruolo
delle masse è per sua natura decisivo – e da un quadro politico-ideologico pluralista, attraversato
anche da forti spinte anticlericali. Spesso, la Dc è stata vista come espressione tardiva di una “logica
di cristianità” destinata a consumarsi progressivamente sotto le spinte della secolarizzazione.
Indubbiamente, tale logica è emersa in alcune circostanze importanti, come la grande battaglia
4
elettorale del 18 aprile 1948, da molti descritta come una nuova Lepanto. Fin dalle sue origini, però,
questo partito è stato guidato da un leader, De Gasperi, profondamente consapevole che il
pluralismo religioso, culturale, politico ed ideologico costituiva una caratteristica irreversibile della
società contemporanea. Ai suoi occhi, infatti, l’impegno politico dei cattolici costituiva il segno di
una accettazione piena e senza riserve di tale quadro pluralista: senza alcuna pretesa monopolistica,
i credenti si mettevano in gioco accettando la sfida e la concorrenza delle forze che si ispiravano ad
altri ideali. A tale orientamento - che rifiutava il nesso religione di maggioranza-Stato cattolico
coltivato invece dal “partito romano” – De Gasperi ha ispirato una politica di alleanze con i partiti
laici che non rispondeva ad esigenze solamente tattiche e contingenti. In questo modo, come scrisse
egli stesso, ha dato un contributo decisivo alla caduta degli storici steccati tra guelfi e ghibellini,
malgrado passaggi difficili, come le già ricordate elezioni del 18 aprile 1948, con le connesse
tentazioni egemoniche che ne sono seguite, o l’operazione Sturzo, quando le tensioni tra Chiesa e
Dc coinvolsero direttamente Pio XII e De Gasperi.
Gli storici steccati tra guelfi e ghibellini, inoltre, non vennero rialzati neanche dopo il
passaggio generazionale della Dc da De Gasperi a Fanfani. In un certo senso, anzi, la strada
intrapresa divenne sempre più definitiva, sullo sfondo della sempre più evidente impossibilità, per i
cattolici, di rappresentare la maggioranza del paese. Dopo il 1948, la Dc non ha più toccato il 50%
dei voti, attestandosi mediamente intorno al 40% per un trentennio (dal 1953 al 1983). Comincia
qui – e non dopo il Concilio, non dopo il 1968 e negli anni settanta – il problema di un
cattolicesimo di “minoranza” nel paese, pur trattandosi ovviamente di una minoranza di grande
rilievo. Questo passaggio, osservato da prospettive diverse ma con comune preoccupazione dai
responsabili del cattolicesimo italiano del tempo (vescovi, leaders politici, dirigenti di associazioni
ecc.), non spezzò la saldatura tra istituzione ecclesiastica e partito dei cattolici. Cambiò però il senso
da tale saldatura e la Dc cercò di assumere un ruolo trainante rispetto al cattolicesimo italiano per
sostenerne l’influenza sull’intera società italiana: i leaders della Dc, pur consapevoli di
rappresentare una parte soltanto della società italiana, continuarono ad insistere sul cattolicesimo
come cardine della vita dell’intero paese. E’ l’idea di una Dc non più egemone in quanto
espressione di un cattolicesimo numericamente di maggioranza, ma ugualmente alla guida del paese
in nome di un cattolicesimo inteso come non solo come insieme di valori condivisi anche da altri,
ma sopratutto come energia fondamentale, innervatura principale, terreno di incontro delle diverse
componenti della società italiana. Su questo sfondo, prima maturò e poi venne realizzata la
prospettiva del centro-sinistra che prevedeva – pur ribadendo il ruolo cardine della Dc – il
progressivo inserimento non solo dei laici ma anche dei socialisti alla guida del paese.
5
4. Si colloca qui il problema del Vaticano II e del suo impatto sulla società italiana. Com’ è
noto, su questo problema si è detto tutto e il contrario di tutto o quasi. Alcuni, in nome del Vaticano
II, hanno proclamato la fine immediata della unità politica dei cattolici sulla base di motivazioni sia
teologiche sia politiche. Storicamente, però, le cose sono andate in modo più complesso: la Dc è
finita ben tre decenni dopo e, almeno apparentemente, per altre cause. E’ però evidente che molte
cose sono cambiate, alcune subito ed altre nel tempo.
Tra gli effetti ravvicinati, alcuni hanno avuto un impatto immediato sul rapporti tra cattolici
e politica in Italia. Per esempio, si è spezzato il rapporto diretto tra associazionismo cattolico e
Democrazia cristiana, come mostra la “scelta religiosa” dell’Azione cattolica o quella “socialista”
per quanto riguarda le Acli. Un altro effetto ravvicinato è costituito dai riflessi in Italia dello spirito
ecumenico promosso dal Vaticano II, che ha favorito un atteggiamento più aperto verso le
minoranze non cattoliche in Italia, contribuendo alla costruzione di una società più pluralista e
democratica rispetto a quella prebellica e post-bellica.
Ancora più importanti, però, sono stati gli effetti profondi del Concilio che si sono
manifestati solo gradualmente nel tempo. Il rinnovamento conciliare, ad esempio, ha spostato
gradualmente l’attenzione dei credenti dalle necessità dell’istituzione ecclesiastica al problema
dell’evangelizzazione del mondo contemporaneo. Il papa che lo ha convocato, Giovanni XXIII,
definì il Vaticano II una “novella pentecoste” e, successivamente, è emerso nel cattolicesimo
italiano un nuovo soggetto, la Conferenza episcopale, che ha assunto l’evangelizzazione come
prospettiva prioritaria.
Tutto ciò, se – come si è detto - non ha comportato nell’immediato
una meccanica rottura dell’unità politica dei cattolici, ha però innestato un mutamento in profondità
dell’atteggiamento verso la politica, intesa sempre meno come difesa “degli interessi cattolici” e
sempre più collegata alla prospettiva dell’evangelizzazione. Parallelamente al minor interesse per la
tradizionale definizione istituzionale dei rapporti tra Chiesa e Stato si è diffusa infatti una più ampia
visione dei rapporti tra comunità cristiana e mondo contemporaneo nell’ottica di una condivisione
“delle gioie e dei dolori” dell’umanità e del contributo che i credenti possono dare allo sviluppo di
quest’ultima, come indicato dalla “Gaudium et spes”.
Nel contesto di tale rinnovamento, sono nate o si sono affermate nuove realtà ecclesiali –
oggi indicate genericamente come “movimenti” - che si sono mosse con grande autonomia rispetto
alla Dc e sulla base di atteggiamenti molto differenziati verso la politica. In altri ambiti, invece, è
emersa la spinta a partecipare a grandi movimenti sociali e politici per una maggiore giustizia
sociale ed economica, in sintonia con gli orizzonti indicati dalla Populorum progressio. Più tardi,
mentre declinavano tali movimenti e l’ orizzonte politico-ideologico che li ispirava, la stessa
6
preoccupazione non per gli “interessi della Chiesa” ma per il mondo contemporaneo avrebbe
ispirato nei cattolici forme di mobilitazioni intorno a principi e valori da essi sentiti come
fondamentali per il “bene comune”. In questo senso, anche alcuni richiami attuali i “valori non
negoziabili” possono essere ricondotti in parte al Vaticano II: l’impegno a sostenere orientamenti e
comportamenti cristiani nella società in cui viviamo non esprime infatti una volontà ottocentesca di
affermare i privilegi della Chiesa attraverso il “braccio secolare” ma piuttosto la spinta a sviluppare
il “bene comune” della società nel suo insieme, seppure inteso secondo una prospettiva cattolica
non da tutti condivisa.
5. Con gli anni settanta comincia la stagione abitualmente considerata di crisi del
cattolicesimo italiano e di progressivo declino della sua influenza sulla società, di cui la
dissoluzione della Dc avrebbe dovuto rappresentare il logico corollario. Questa lettura, ancora oggi
molto diffusa, presenta però alcuni problemi, come quello – già ricordato – della mancata
scomparsa del “partito cattolico”: la Dc ha continuato a raccogliere più del 30% dei voti fino alla
sua fine, avvenuta ben venti anni dopo la “crisi” degli anni settanta. Nel tempo, ha perso parte della
sua forza l’interpretazione di quella crisi come progressiva dissoluzione della cristianità italiana,
come pure l’ipotesi di una complessiva e inarrestabile “eclissi del sacro” in un’Italia sempre più
industrializzata. Ma fu sicuramente una crisi della cultura cattolica che in precedenza aveva tenuto
insieme in modo unitario, malgrado diversità e tensioni, istituzione ecclesiastica, mondo cattolico e
Dc.
La progressiva disarticolazione di queste diverse componenti è emersa soprattutto dopo il
referendum sul divorzio del 1974 che, insieme alle elezioni amministrative del 1975, mise in
evidenza le inquietudini di un mondo cattolico alla ricerca di maggior sintonia con una società in
profonda trasformazione e sempre più orientato verso formazioni politiche di sinistra, in particolare
il Pci di Enrico Berlinguer. Il papa Paolo VI – coadiuvato da personalità come mons. Enrico
Bartoletti, segretario della Cei e prematuramente scomparso nel 1976 – tentò di contenere la
diaspora del mondo cattolico, dialogando con le istanze di rinnovamento ma insistendo anche sull’
unità politica dei cattolici nella Dc. Al disegno montiniano corrispose il tentativo di un
rinnovamento, anzitutto morale, della Dc, sostenuto dal segretario Zaccagnini, e dallo sviluppo di
forme di mediazione politica estese fino al mondo comunista, animate in particolare da Moro: sono
gli anni dei governi di solidarietà nazionale guidati da Andreotti.
Il tentativo animato da Paolo VI ha raggiunto almeno in parte gli obiettivi che si proponeva,
limitando la frammentazione del cattolicesimo italiano. Ma la morte prima di Moro e poi di papa
7
Montini, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, impedì la prosecuzione e il completamento di
quel progetto. La crisi degli anni settanta non è stata interamente riassorbita: il mondo cattolico
italiano ha continuato la ricerca di nuove vie anche sul piano politico e sociale e
le scelte
successive della Dc non sono state più compiute in sintonia con l’istituzione ecclesiastica, anche se
in Italia gran parte dell’ episcopato ha nutrito a lungo nostalgia dell’ultimo papa italiano. I problemi
irrisolti di quel decennio sono emersi nuovamente all’ inizio degli anni novanta, quando una parte
del mondo cattolico ha operato per la fine della Dc e per la piena affermazione del pluralismo
politico dei credenti, mentre una parte dei vescovi si impegnava in difesa del “partito cattolico”.
6. Indubbiamente, l’elezione di Giovanni Paolo II ha aperto una pagina nuova nella storia
della Chiesa cattolica. Per quanto riguarda il cattolicesimo italiano, però, gli effetti più importanti
del nuovo pontificato non sono stati immediati. In materia di politica italiana, però, il nuovo papa ha
inizialmente seguito gli orientamenti della Segreteria di Stato vaticana, intervenendo ad esempio per
sollecitare la revisione del Concordato da lungo tempo in gestazione, o quelli della Cei, per quanto
riguarda in particolare il rapporto tra cattolici e Dc, pur manifestando la sua personale sensibilità su
temi specifici, come la legislazione sull’aborto. Con l’Accordo del 18 febbraio 1984, fortemente
voluto dal nuovo Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, si è chiuso il lunghissimo dibatto - era
iniziato nel 1963 - sulla revisione o abolizione del Concordato, rafforzando e stabilizzando i
rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. Ancora una volta, l’interlocutore della S. Sede non è stato un
leader politico cattolico – malgrado i tentativi compiuti da Andreotti negli anni precedenti – ma
l’esponente di una formazione socialista, laica e tradizionalmente anticlericale.
Nel complesso, in Italia l’opinione pubblica non ha molto apprezzato il nuovo papa. A
Giovanni Paolo II è stato attribuito una rigida determinazione anticomunista e l’incapacità di
cogliere sia l’originalità del comunismo italiano sia le specificità della storia nazionale, in cui si
radicava anche la singolare esperienza di un “partito cattolico” poco confessionale. In realtà, papa
Wojtyla aveva una comprensione del fenomeno comunista più articolata di quanto si ritenesse ed
egli ha, in un certo modo, “compensato” la sua estraneità alla specifica tradizione italiana della
laicità con una ampia conoscenza dei rapporti tra religioni e Stati nazionali nel mondo
contemporaneo. Egli ha anzitutto introdotto nel cattolicesimo mondiale una maggiore sensibilità
verso la complessità del mondo slavo e dei “due polmoni” – orientale ed occidentale - dell’Europa.
La sua ricca sensibilità geopolitica si è manifestata successivamente anche in molte altre direzioni,
compresi i mondi rappresentati dalle grandi religioni mondiali ed in particolare dall’Islam. Ma
complessivamente scarsi sono stati i riflessi di questi input sul dibattito politico-culturale nazionale.
8
Nei primi anni ottanta, anche il mondo cattolico italiano è rimasto piuttosto lontano dagli
orientamenti del nuovo pontificato, richiamandosi spesso alla figura di Paolo VI, che peraltro era
stato oggetto di molte critiche negli ultimi anni del suo pontificato e di cui poco si era apprezzati
nuovi orientamenti come quelli espressi nell’Evangelii Nuntiandi. Si è sviluppata così una sorta di
“montinismo senza Montini”, imperniato sulla “cultura della mediazione”, nel contesto di un
distacco sempre più marcato nei confronti della Dc. Quest’ultima, a sua volta, ha cercato di
adeguarsi alla modernizzazione del paese, perseguendo in questo decennio una politica sempre più
laica e distante, oltre che dal mondo cattolico, anche dall’istituzione ecclesiastica, in concorrenzacontrapposizione al Psi di Craxi. Mondo cattolico e Democrazia cristiana hanno cercato in questo
modo di accorciare le distanze che si erano venute a creare nei confronti della società italiana,
conseguendo anche risultati importanti, ad esempio per quanto riguarda il superamento
dell’emergenza terroristica. Tuttavia, il distacco dal papa polacco delle elites cattoliche e del gruppo
dirigente democristiano ha contribuito indirettamente ad una sorta di provincializzazione dei loro
orizzonti, proprio negli anni in cui si venivano affermando i nuovi processi di globalizzazione.
7. L’impatto del nuovo pontificato sulla situazione italiana è emerso in modo diretto con il
convegno della Chiesa italiana a Loreto nel 1985, quando Giovani Paolo II incoraggiò i cattolici
italiani a sviluppare con più forza la propria presenza nella società. Si delineò allora una
convergenza tra il papa e i nuovi movimenti ecclesiali, mentre la Cei - alla cui segreteria veniva
chiamato mons. Camillo Ruini - emergeva sempre di più come principale soggetto ecclesiale nelle
vicende italiane. Il card. Ruini ha ricostruito la transizione degli anni ottanta e novanta, affermando
che al convegno di Loreto, si aprì “una fase nuova, più propositiva e in un certo senso più
‘ambiziosa’ della Chiesa italiana, pur mantenendosi ben dentro il solco del primato della
evangelizzazione tracciato dalla Cei già col piano pastorale degli anni ’70, sulla scorta della
Evangelii nuntiandi di Paolo VI”. Egli ha spiegato tale apertura in questi termini:
“A Loreto veniva messo in evidenza il rapporto con la società e con la cultura, caratteristico
della proposta della ‘nuova evangelizzazione’ di Giovanni Paolo II: il suo invito ad operare ‘anche e
particolarmente in una società pluralistica e parzialmente scristianizzata […] affinché la fede
cristiana abbia o recuperi un ruolo guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro”.
Alla svolta di Loreto rimasero estranee sia buona parte del mondo cattolico sia la
Democrazia cristiana, anche se probabilmente nell’immediato quest’ ultima ne beneficiò sul piano
elettorale. Secondo una successiva ricostruzione del card. Ruini, negli ultimi tempi della vita di
questo partito, la Cei “ha insistito con forza sull’unità politica dei cattolici, motivandola però più
9
che con la necessità di difendere il sistema democratico, con il dovere di salvaguardare e
promuovere alcuni fondamentali contenuti etici ed antropologici”. Pur esprimendo una chiarezza
emersa solo successivamente, la ricostruzione testimonia una progressiva divaricazione tra Cei e Dc
che indubbiamente ci fu, malgrado il sostegno offerto dall’episcopato italiano a questo partito fino
alla fine. Tale divaricazione manifesta un calo di interesse per il ruolo dei cattolici nella vita politica
italiana – ancora negli anni ottanta, la Dc era comunque il cardine del sistema politico – mentre
cresceva, nel contesto dell’episcopato wojtylano, la sensibilità per tematiche culturali ed
antropologiche fatte emergere dai fenomeni di globalizzazione.
La reazione della Chiesa italiana al vuoto determinato dalla scomparsa del “partito cattolico”
è stata delineata, con il sostegno di Giovanni Paolo II, al Convegno di Palermo che si è tenuto nel
1995, mentre ancora era diffuso tra i cattolici un grande smarrimento per una fine così improvvisa e,
soprattutto, così ingloriosa. A Palermo, venne affermata una scelta di distacco dalle diverse
formazioni che venivano popolando un nuovo sistema politico bipolare. Tale scelta sembrò
accordare, seppure tardivamente, piena libertà di scelte politiche ad un laicato cattolico riconosciuto
finalmente come adulto, accogliendo un’insistente richiesta sostenuta da tempo da ampi settori del
mondo cattolico italiano. In un’ottica laica e liberale di tipo tradizionale, la fine della Dc sembrò
rimettere le cose “in ordine”, dopo una lunga stagione di debordante occupazione clericale dello
Stato e di anomala unità sul piano politico di credenti chiamati invece a fare scelte diversificate
seguendo le proprie coscienze e le proprie convinzioni. In realtà, dopo la scomparsa della Dc,
all’istituzione ecclesiastica ha affermato soprattutto la piena autonomia di una presenza cattolica in
Italia svincolata da qualunque formazione politica, anche se molto “vicina” alla Chiesa come era
stata la Dc. Con esiti oposti rispetto alle previsioni di molti, la fine della Democrazia cristiana ha
riproposto la questione del rapporto tra cattolici e Stato, mentre indebolendo l’autonomia di quel
laicato cattolico che era stato un interlocutore importante dei vescovi finché il “partito cattolico”
costituiva una forza politica importante e la principale formazione alla guida del paese.
A Palermo, inoltre, la presidenza della Cei si è attivata per una sorta di riorganizzazione
interna del cattolicesimo italiano, intervenendo anche su settori rilevanti per quanto riguarda la
presenza sociale come le Caritas diocesane. Negli stessi anni, il card. Ruini ha avviato il progetto
culturale” della Chiesa italiana, ingiustamente sospettato di costituire una forma surrettizia di
intervento politico, allo scopo di ricostituire la Democrazia cristiana. Le vicende successive hanno
mostrato chiaramente che né il card. Ruini né i suoi collaboratori al vertice della Cei hanno puntato
sulla rinascita della Democrazia cristiana. Il duplice obiettivo del progetto culturale era diverso:
inculturare la fede e soprattutto evangelizzare la cultura di un paese sempre più secolarizzato come
l’Italia di fine novecento. Il card. Ruini ha qualificato la prospettiva globale dell’evangelizzazione
10
ponendo al centro dell’attenzione nuove tematiche culturali e antropologiche, diffondendole tra i
cattolici ed aprendo un dialogo con laici sensibili a tali tematiche. La scelta ruiniana di privilegiare
tali questioni ha anticipato un più largo interesse che si è manifestata successivamente, com’ è
particolarmente evidente sul piano della bioetica.
Come si vede, la Cei ha guidato il cattolicesimo italiano su strade molto diverse rispetto a
quelle battute precedentemente dalla Dc. Tuttavia, proprio intorno alle questioni della bioetica si
sono sviluppate, com’ è noto, iniziative che hanno fatto parlare di un nuovo intervento politico della
Chiesa nella situazione italiana, come non si vedeva più da tempo. Indubbiamente, iniziative come
quelle prese in occasione del referendum sulla fecondazione assistita hanno riguardato direttamente
il terreno della produzione normativa, oltre a quello etico, toccando indirettamente anche la
dimensione della politica, nel senso ampio del termine. Tutto ciò ha provocato molte polemiche e
la rinascita di forme di acceso anticlericalismo dopo molti anni di “pace religiosa” prevalente nei
decenni precedenti. E’ però anzitutto da escludere un ritorno della Chiesa a modalità ottocentesche
di intervento sullo Stato, come qualcuno ha ipotizzato, per il profondo cambiamento degli interessi
che spingono l’istituzione ecclesiastica: negli ultimi anni, infatti, l’episcopato italiano non è
intervenuto in difesa di privilegi o diritti ecclesiastici, ma per promuovere il bene comune, seppure
inteso secondo una sensibilità cattolica che ovviamente non tutti condividono. Ciò impedisce di
ipotizzare il ritorno ad un conflitto tra Chiesa e Stato come nei decenni dopo l’Unità e prima della
Conciliazione. Per quanto riguarda l’eredità della Dc, inoltre, si può forse sostenere che la Cei abbia
in parte raccolto tale eredità – in particolare quella della Dc guidata dalla seconda generazione di
Moro e di Fanfani – ma soprattutto per quanto riguarda un aspetto: guidare il cattolicesimo italiano
evitando di chiudersi in una logica di minoranza attestata sulle proprie posizioni specifiche e
spingendolo verso il ruolo di “parte” che cerca di interessarsi al “tutto”. La Cei, viceversa, non ha
sostituito interamente la Dc nella guida politica dei cattolici italiani: i suoi interventi, infatti, si sono
concentrati su questioni specifiche, per quanto importanti, ed in particolare sulle tematiche
antropologico-culturali. Il problema principale, dunque, riguarda la partecipazione dell’istituzione
ecclesiastica alla definizione di un’etica pubblica condivisa e di una conseguente produzione
normativa vincolante erga omnes: molti contestano infatti sia la legittimità di una tale etica, che
sarebbe lesiva della libertà individuale, sia i modi attraverso cui l’istituzione ecclesiastica cerca di
affermare il suo punto di vista, che sarebbero lesivi dei principi democratici.
8. Al di là delle iniziative della Cei, i cattolici non sono scomparsi dalla vita politica italiana.
Molti sono stati i democristiani che hanno continuato a svolgere attività politica anche dopo la fine
11
del loro partito. Inizialmente, tale presenza si è concentrata in formazioni che si richiamavano
direttamente alla Dc, mentre successivamente è prevalsa la diaspora in partiti diversi, anche se molti
ex democristiani hanno conservato una comune cultura politica. E’ ancora presto per tentare un
bilancio di tale presenza, che molti hanno deprecato come fattore di continuità con la “prima
repubblica” e come ostacolo al rinnovamento della politica. Uno degli effetti più rilevanti di questa
presenza è stato costituito dal contributo dato – è il caso di Oscar Luigi Scalfaro - alla
conservazione della Costituzione del 1948, sia sotto il profilo formale sia sotto il profilo materiale,
anche con il contributo di ampi settori del mondo cattolico che si sono riconosciuti nell’ultima
battaglia politica dell’anziano Giuseppe Dossetti. Non sono mancati, però, cattolici che si sono
invece impegnati per dar vita ad un sistema politico-istituzionale profondamente diverso, come nel
caso di Romano Prodi, peraltro affine a Dossetti per provenienza geografica e culturale. E’uno dei
segni più eloquenti di una diaspora che non riguarda solo le scelte immediate ma anche gli
orientamenti politico-ideali. In ogni caso, dopo il 1994 gli ex democristiani – e, più in generale, i
cattolici - sono stati sempre meno al centro della scena politica, dominata ormai da altre formazioni
e da altri protagonisti. E’ una differenza decisiva se si pensa che, in tutto il corso della sua esistenza,
la Dc è stato il partito cardine dell’intero sistema politico.
Accanto ad una presenza dell’istituzione ecclesiastica sul piano pubblico indubbiamente
rilevante e per molti versi innovativa, dopo il 1994 i cattolici in politica sembrano dunque vivere in
una condizione di subalternità e di marginalità, da molti interpretata come segno del carattere
residuale di una loro presenza intesa come mera sopravvivenza di un passato ben diverso. Emerge
così una situazione di asimmetria tra il ruolo della Chiesa e quello dei cattolici, come è già accaduto
in molte altre fasi della storia italiana. Non mancano però segni di nuove forme di presenza dei
cattolici in politica, come quelle tentate non da ex democristiani ma da esponenti
dell’associazionismo cattolico di varia provenienza. Formati nel contesto ecclesiale e politico degli
ultimi decenni, questi cattolici non appaiono particolarmente nostalgici dell’esperienza
democristiana e sono viceversa sensibili alle novità maturate durante i pontificati di Giovanni Paolo
II e di Benedetto XVI. Anche un rapporto più stretto con l’ istituzione ecclesiastica ed in particolare
con la Cei li differenzia dagli ex democristiani, insieme ad una maggiore consonanza con i
movimenti e le organizzazioni ecclesiali che rappresentano la principale novità del laicato cattolico
italiano degli ultimi decenni.
Siamo arrivati così ai giorni nostri, quando sembra prevalere una situazione suscettibile di
letture molto diverse se non addirittura opposte. La spinta ad esprimere più compiutamente sul
piano politico orientamenti che vengono maturando nel mondo cattolico si scontra infatti con dure
opposizioni, animate anche da cattolici che su questo piano hanno invece scelto negli ultimi decenni
12
di prendere le distanze dalla loro identità. A qualcuno, una presenza sociale e politica più
direttamente legata all’identità cattolica sembra direttamente connessa a tentazioni di invadenza
clericale da parte dell’istituzione ecclesiastica. Ad altri, al contrario, il ritorno in forme nuove di una
presenza più incisiva dei cattolici sul piano politico appare un modo per limitare tali tentazioni. Al
di là di questi giudizi diversi – forse accomunati da insufficiente attenzione alla complessità delle
dinamiche storiche -, sembra comunque di poter cogliere i segni di una spinta, più forte nel laicato
cattolico che nell’istituzione ecclesiastica, a cercare una forma più incisiva di presenza dei cattolici
nella vita politica italiana. E’ diffuso, ad esempio, un senso di insoddisfazione per il modo, troppo
limitato o scarsamente rilevante, in cui tale presenza si realizza nell’attuale sistema politico.
Indubbiamente, pesano in questo senso le delusioni maturate nell’ultimo quindicennio, come il
tramonto della speranza che, in un sistema bipolare, un elettorato cattolico numericamente
minoritario ma politicamente consapevole potesse svolgere un ruolo determinante, spostandosi tra i
due schieramenti e decidendone le sorti. Più difficile, invece, sembra poter attribuire queste spinte a
mera nostalgia per un’esperienza democristiana ormai sempre più lontana, anche se la lezione che
viene da quella vicenda storica non può essere ignorata. Con ogni probabilità, comunque, le ragioni
più forti di questa ricerca sono anche quelle più profonde che si radicano, da una parte, negli stimoli
provenienti dal coinvolgimento del cattolicesimo italiano nelle dinamiche del mondo globalizzato e,
dall’altro, nella lunga storia di questo cattolicesimo e nella consapevolezza delle molteplici
dimensioni in cui si è giocato nel tempo il suo ruolo nella società italiana. Il problema della
presenza dei cattolici nella vita sociale e politica italiana non costituisce in ogni caso una questione
“confessionale”, tutta interna al cattolicesimo italiano e alle sue evoluzioni. Si tratta di un problema
che riguarda l’intera società italiana e in questo senso è interesse anche dei non cattolici capire se,
accanto al rapporto tra Chiesa e Stato che segue sue dinamiche specifiche, faccia bene o faccia male
all’Italia un maggior coinvolgimento dei cattolici – in quali forme? - nella vita pubblica e nella
costruzione dello Stato.
13