Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono

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Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono
Anno 1, n. 7
• Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009
• E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele
Sabato 14 Novembre 2009
AGROTECNICI
ULTIMA UDIENZA
GLI “ANZIANI”
Pippo Russo:
“Troppe stalle
infette da TBC”
Chi ha ucciso
il soldatino
di Francofonte?
“Dovevamo avere
la precedenza
Poca chiarezza”
PAG. 5
PAG. 16 (De Michele)
PAG.4 (Lanaia)
Anomalia tutta siracusana. Un concentrato di conflitti d’interesse, anche dei medici di famiglia
Nelle commissioni invalidi civili
tanti politici, alcuni le presiedono
Augusta
Aldo Garozzo
“Il nostro obiettivo: trovare risorse per le infrastrutture e nuovi investitori”
A PAG. 15 (Italia)
MORREALE. NATURA SICULA
“Hanno coperto pure gli scogli”
“Il Comune demolisca le villette abusive”
Priolo
Terra di veleni
La zona industriale tra le
57 aree dei veleni in Italia,
dove la gente muore presto.
A PAG. 15 (Privitera)
Noto Antica
Tra le comunità alloggio
“I Comuni non pagano”
PRIMO PIANO
POLVERI
12
Il problema
più grave è il
nanoparticolato
MASSAGGI
14
Nomi esotici
ma tecniche
standard
VISENTIN
6
Uno spiazzo
a Impastato
Vi do la parola
PAG. 3 (Bruno)
Sentieri Iblei
Un migliaio di persone alla
festa naturalistica, domenica scorsa, a Cava Carosello
A PAG. 2 (Perna)
Due sono gli
aspetti
che
meriterebbero particolare
attenzione del
direttore generale dell’ASP:
il primo riguarda il discreto numero di “politici” che risultano
componenti delle commissioni; il secondo si riferisce all’incompatibilità contrattuale dei medici di famiglia convenzionati.
Sembra poco opportuno che ad esaminare la
sussistenza dei requisiti che possono determinare l’erogazione di benefici economici, siano
chiamate persone che svolgono attività politica.
Se poi queste persone non sono semplici componenti, ma addirittura presidenti di commissione,
la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente
della commissione che si occupa della legge 104
sull’handicap è un politico, consigliere provinciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero.
A PAGINA 13
Ortigia, la povertà
dietro l’opulenza
“Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci
anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi,
dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma
la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si
è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni
dall’emanazione dei mandati per pagare le comunitàalloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in
attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprattutto ci occorre per mandare avanti la struttura”.
PAGG. 8-9 (De Luca)
Go-Bike, un servizio
in effetti mai partito
De Michele pagg. 10-11
Padre Marco Tarascio (chiesa
dell’Immacolata): “Io credo
che ci sia un chiaro progetto
politico su Ortigia, né di destra
né di sinistra. Questo progetto
prevede che Ortigia diventi luogo di turismo. Ma nient’altro.
Basta guardare quanti B&B ci
sono. Impressionante! Gli abitanti fino a poco tempo fa c’erano ma sono stati presi e spostati
nei ‘casermoni’ di via Algeri,
via Italia 101 e della Mazzarrona. Le zone della Giudecca e
della Graziella ancora resistono, sono quartiere vivi. Ma è
evidente che il corso Matteotti
separa due zone: quella alberghiera e quella abitata”.
Cosa fanno le istituzioni?
“Niente! Qui non funziona neppure il consiglio di quartiere.
Tranne alcuni personaggi che
cercano di far funzionare un
po’ le cose, il quartiere non va.
Qui non si vedono neppure i
politici, nonostante tutte le sedi
delle istituzioni siano qui. Ma
per Ortigia non si spende nulla,
tranne che per qualche festa”.
A PAG. 7 (Mainenti)
2
14 Novembre 2009
Continuare sulla strada del consumismo sfrenato porta all’esaurimento delle risorse
Ogni anno si eccede nell’uso della carta di credito ecologica
liquidando di fatto il capitale naturale del pianeta
di PAOLO PANTANO
La crisi economica è figlia legittima
della crisi culturale e sociale. Il metro
di valutazione è oggi più immediato,
basta apparire bene, avere una buona
immagine e sapersi vendere (con tutte le sfaccettature positive e negative
che il verbo vendere comporta). Ma,
come i titoli tossici per cui dietro la
facciata non vi è economia reale ma
solo economia virtuale di carta, così
dietro un’apparenza ben presentata
e ben confezionata non corrisponde
spesso un prodotto serio. Oggi la falsa cultura del populismo imperante
cerca di soddisfare i desideri anziché
i bisogni. Ciò comporta una corsa folle all’iperconsumo e al sovraconsumo
e quindi alla distruzione progressiva
del nostro capitale naturale.
Ma quanto capitale naturale serve
per la sostenibilità dei nostri sistemi economici e sociali? Quanto incide la nostra impronta ecologica?
Ma descriviamo prima cosa essa è.
L’impronta ecologica di una data popolazione può essere definita come la
superficie di territorio, indipendentemente da dove tale territorio è situato,
che è necessaria per fornire alla popolazione tutte le risorse di energia
e materie prime e per assorbire, a
tempo indeterminato, gli scarti della
stessa popolazione. Per esempio: im-
maginiamo una città sotto una cupola
di vetro emisferica trasparente che
faccia passare luce ma non permetta il passaggio di cose materiali. Per
poter continuare a vivere all’interno
della cupola i cittadini hanno bisogno di una quantità di terreno (zone
agricole, foreste, fiumi ecc.) che dia le
risorse necessarie e assorba gli scarti
prodotti. Il territorio racchiuso sotto
la cupola corrisponde all’impronta
ecologica di quei cittadini, la capacità produttiva e di sostenere la vita di
quel territorio è la biocapacità, cioè
un sistema sostenibile che soddisfi i
bisogni di oggi senza compromettere
la possibilità delle generazioni future
di soddisfare i loro. Vivere in modo
sostenibile significa, infatti, vivere in
modo confortevole e pacifico entro i
limiti posti dalla natura.
Oggi si vuole vivere (o meglio si è
vissuti, la crisi attuale ci ridimensiona un po’) a un livello superiore
di quello che potremmo permetterci.
Come si usa dire “il sergente vive
come se fosse un generale, ma con la
paga di sergente”.
Anche il concetto di produzione viene falsato, si produce per il consumo
non per il bisogno, tutto ciò va contro
le più elementari regole economiche.
Circa due mesi fa, il 24 settembre, v’è
stato quello che viene chiamato overshoot day (giorno del superamento
del capitale naturale per effetto del
sovraconsumo). I calcoli diffusi dal
Global Footprint Network mostrano
che, a partire da questo giorno sino
alla fine dell’anno, gli esseri umani
vivranno al di là delle risorse ecologiche messe a disposizione dal nostro
pianeta. Le ricerche effettuate dall’organizzazione non-profit statunitense
in collaborazione con la “New Economics Foundation”, un’organizzazione
indipendente inglese, dimostrano che
l’umanità sta consumando la quantità
totale di risorse rinnovabili che la na-
tura ha prodotto quest’anno. Ricerche
aggiornate dimostrano che il crescente consumo di risorse ecologiche sta
spingendo il mondo sempre più presto
verso il deficit ambientale. Ogni anno
il Global Footprint Network calcola
l’impronta ecologica dell’umanità.
Questa valutazione viene utilizzata
per determinare la data esatta in cui
noi, come comunità globale, cominciamo a far crescere il nostro deficit
ecologico annuale, cioè quando la domanda di risorse inizia a superare le
disponibilità rinnovabili naturali.
Allo stato attuale l’umanità eccede
nell’uso della sua carta di credito ecologica e può solo farlo liquidando il
capitale naturale del pianeta. Continuare su questa strada porta all’esaurimento di risorse come le foreste e le
terre agricole sulle quali si basa tutta
la nostra economia.
L’Overshoot (il sovraconsumo ) é stato definito “il più grande problema
che dobbiamo affrontare”. Pur essendo ancora poco noto al pubblico, le
cause e gli effetti dell’overshoot sono
tanto semplici quanto significativi. In
ogni dato anno, se l’umanità consuma
più cibo di quanto produce, ha bisogno di dar fondo alle riserve; se gli alberi vengono tagliati più velocemente
della loro ricrescita, le foreste diven-
tano più piccole dell’anno prima.
Il consumo di risorse dell’umanità
cresce, e di conseguenza il nostro stile
di vita attuale sta esaurendo il capitale naturale terrestre, cosa che mina
il futuro dell’umanità. Attualmente,
l’impronta ecologica dell’umanità é
almeno il 30% più grande della biocapacità del pianeta. In altre parole
c’é bisogno di un anno e tre mesi affinché la Terra rigeneri ciò che usiamo in un singolo anno. Ogni anno,
a partire dalla metà degli anni ‘80
il nostro deficit ecologico contribuisce ad aumentare il debito ecologico
globale. Uscire dal debito e fermare
il sovraconsumo significa riportare la
domanda entro il livello sostenibile
dal pianeta.
Mezzi di valutazione come l’impronta
ecologica, che confrontano la nostra
domanda con le capacità naturali di
fornire risorse, ci possono aiutare nel
nostro bilancio ecologico che possiamo soddisfare riducendo la domanda,
consumando meno risorse pro capite,
incrementando l’efficienza nell’uso
delle risorse, incrementando gli ecosistemi strategici per la fornitura di
rifornimenti. Intraprese insieme, queste azioni possono aiutarci a proteggere sia la biodiversità che a fermare
il sovraconsumo.
Un migliaio alla “Festa dei sentieri iblei” alla Cava del Carosello di Noto Antica
Viaggio nella storia di questa terra, tra concerie medievali
gualcherie, mulini, chiese rupestri e una natura stupenda
di MASSIMILIANO PERNA
Due giorni intensi dedicati agli Iblei e al
loro splendido patrimonio naturalistico,
storico ed archeologico: anche quest’anno, la “Festa dei sentieri iblei”, giunta
alla sua terza edizione, è stata l’occasione per consentire a circa un migliaio di
persone di scoprire la storia, gli odori e
i sapori custoditi tra le rocce e il verde
di un territorio che rientra nell’ambito
di quel meraviglioso Parco degli Iblei
che da anni deve essere istituito, ma che
viene frenato dall’inerzia di un sistema
incapace, a grandi linee, di concepire
la ricchezza e il carattere innovativo di
uno sviluppo basato sulla promozione
dell’ambiente e delle tradizioni.
Teatro di questa due giorni, svoltasi lo
scorso week-end, è stata la città di Noto,
la sua parte più antica. L’iniziativa ha
preso avvio il sabato con una serie di attività e di mostre, a cui è seguita la proiezione di diversi audiovisivi preparati
dagli enti e dalle associazioni che hanno
organizzato insieme questo evento. La
domenica, invece, ha rappresentato il
clou della manifestazione, con la visita
alla Cava del Carosello di Noto Antica,
dove il Corpo Forestale della Regione
Siciliana ha di recente svolto un’importante opera di sistemazione dei sentieri,
resi così fruibili a tutti, e di recupero
delle concerie medievali che insistono
lungo il percorso. Un percorso iniziato
dalla Porta della Montagna, dove i partecipanti si sono radunati per scegliere
tra le varie attività previste: la visita guidata agli scavi archeologici, il reinserimento della fauna selvatica riabilitata,
le prove di salita su corda e, soprattutto,
l’escursione alle cave del Carosello e S.
Calogero. Attività proposte e realizzate
dalle varie forze che hanno sapiente-
mente organizzato il tutto, ossia istituzioni e associazioni.
Il risultato è stato eccellente. I partecipanti, divisi in gruppi accompagnati dalle guide delle varie associazioni, hanno
potuto conoscere la flora, la fauna e le
piscine naturali (i cosiddetti laghetti
senza fondo) presenti nella splendida
valle scavata dalle acque del fiume Asinaro. Così come hanno potuto osservare
la perfetta conservazione degli insediamenti umani, come le concerie e le gualcherie, i mulini con le immancabili macine, la chiesa rupestre di San Giuliano,
in cui è ancora possibile osservare l’oratorio, con gli affreschi, l’altare, l’edicola
votiva e i sedili ricavati nella roccia. Un
viaggio nella storia e nella natura, con
la piacevole sensazione di respirare ed
osservare l’assoluto rispetto che le comunità dei nostri predecessori riservavano all’ambiente circostante, sfruttato
in maniera armonica, senza violenza,
senza la sottomissione delle sue forme
e delle sue caratteristiche al volere avido dello sviluppo e del progresso. Una
giornata educativa e rigenerante, arricchita dal buffet di prodotti tipici offerto dagli organizzatori. Una suggestiva
manifestazione resa possibile dalla collaborazione preziosa tra il mondo istituzionale e quello dell’ambientalismo
organizzato.
Una lezione su come sia possibile attrarre i cittadini e sorprenderli con la
semplice bellezza dei luoghi, con il ritorno a tempi lontani di cui si è smarrito il sapore e di cui restano preziose
testimonianze che non possono non
essere difese e tutelate. L’ennesima dimostrazione che l’istituzione del Parco
degli Iblei non può attendere oltre per-
ché, così come avvenuto in altre parti
d’Italia con un patrimonio, in alcuni
casi, forse anche meno ricco di quello
ibleo, sarebbe l’occasione per realizzare
una forma di sviluppo compatibile e innovativo, capace di creare occupazione,
puntando sul turismo di qualità, principalmente sul settore dell’ecoturismo
e su quello enogastronomico, ambiti in
grande crescita che individuano nella
Sicilia uno dei luoghi con le maggiori
risorse e potenzialità. Uno sviluppo che
valorizzerebbe nel contempo la inestimabile ricchezza ambientale racchiusa
tra le gole e le cave degli Iblei, fungendo
anche da stimolo per la rivalutazione e
riqualificazione di tutti quei versanti del
territorio che si trovano ancora in stato
di abbandono.
Uno dei motivi fondanti della prevista
istituzione del Parco. Una scelta lungimirante ed intelligente che richiede
una mentalità opposta rispetto a quella
di chi intende saccheggiare e barattare
il territorio e l’ambiente con forme di
pseudo sviluppo come quelle progettate
in questi anni nell’area sud-orientale, tra
trivellazioni, rigassificatore, inceneritori, villaggi turistici ad impatto massimo,
ecc. Forse ai nuovi predatori di questa
terra bisognerebbe far sentire gli odori
selvatici delle piante che attraversano la
Cava del Carosello e accompagnano le
acque limpide dell’Asinaro, oppure far
vedere da vicino l’azzurro cristallino
dei laghetti. Chissà, magari potrebbero
capire che la gente di questa provincia
è stanca di fumi, metalli e impianti ed
ha voglia di riappropriarsi della bellezza del proprio territorio. Ed occasioni
come queste, così partecipate, ne sono
la dimostrazione.
il francosauro
Bisognava
pensarci prima
“Cantami, o diva, di Gianfranco Fini l’ira funesta che infiniti addusse mugugni a Silvio e molte anzitempo all’orco generose cedette
alme d’eroi” (La Russa, Matteoli, Gasparri eccetera). Ci scusino i
puristi dell’Iliade per l’irriverente parodia di un gladiatore il quale,
vedovo di una leadership consolidata in decenni, si è ritrovato annesso e trascinato nel carro trionfale del nuovo imperatore di Roma. Il
leader incontrastato del MSI, l’alfiere innovatore di AN, oggi la terza
carica dello Stato s’è infilato nel cul de sac del PDL dove il Re Sole,
dinanzi al suo specchio rigorosamente oblungo, ripete affascinato:
“L’Etat c’est moi”, “La loi c’est moi”, “La justice c’est moi”.
“Caro Gianfranco dell’età tua antica rimembri ancora quando beltà
splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi e tu sul limitar dell’emmessì fiorivi...”. Altri tempi. Ora gli resta l’epiteto, l’invettiva
dell’impotente: “Nel PDL c’è chi confonde la leadership con la monarchia assoluta”, “si respira un’aria da caserma”, ma quando il capo
ordina a Gianfranco non resta che abbozzare. Anche perchè “a liti
a liti s’avvizzisce l’alba della speme Gianfranco ai tuoi progetti e
tutto tace intorno, tutto tramuta in lento peregrino andare al tempo
dell’esilio”. Bisognava pensarci prima.
14 Novembre 2009
3
“Invalidità civile, si smaltiscono gli arretrati. “Ma all’Inps ci sono pratiche ferme da un anno”
Commissioni invalidi civili, l’anomalia siracusana
troppi politici dentro e alcuni persino presidenti
di PINO BRUNO
Da circa un anno operano nell’ambito
della provincia di Siracusa dieci commissioni per l’accertamento dell’invalidità civile. Una di queste è espressamente dedicata all’handicap (legge 104)
e un’altra alla verifica di sordomuti e
ciechi. Nell’ultimo biennio le visite effettuate hanno superato quota 17 mila
all’anno con un costante aumento, sebbene di lieve entità. L’enorme arretrato
che si era accumulato nei primi anni
del decennio è stato progressivamente
smaltito da quando la competenza è passata alle ASL. Oggi l’attesa per essere
chiamati a visita si aggira attorno a 2-3
mesi, mentre per l’effettiva erogazione
dei benefici bisogna aspettare ulteriori
6 mesi circa affinchè l’INPS definisca
la pratica. Nel 2008 sono state 17.779 le
pensioni pagate a cittadini della nostra
provincia, equivalenti a 44,4 ogni 1000
abitanti con un incremento del 18,6%
rispetto al 2004, anno precedente all’ultima modifica legislativa sulla materia.
La provincia di Siracusa, per una volta
almeno, non si trova agli ultimi posti
della classifica, risulta infatti preceduta in negativo da altre 24 province per
quanto riguarda il rapporto abitanti/trattamenti erogati, sebbene ugualmente al
di sopra della media nazionale di 36,5
pensioni ogni 1000 abitanti. L’eccessivo
numero di trattamenti, che vede al Sud
il 50% di erogazioni in più rispetto al
Nord, ha indotto il Governo prima a stabilire un piano straordinario di controlli
per il 2009, successivamente a emanare
una nuova disciplina nella procedura di
accertamento. Le novità, che scatteranno dal primo gennaio 2010, sono contenute nel cosiddetto “decreto anticrisi”,
successivamente convertito nella legge102, e riguardano principalmente la
modalità di presentazione delle domande e la composizione delle commissioni.
I cittadini dovranno presentare l’istanza
direttamente all’Inps, che la trasmetterà
in tempo reale e in via telematica alle
Asl, con la creazione di un fascicolo
elettronico per ciascun invalido civile.
La commissione medica sarà integrata
con un medico dell’Inps quale componente effettivo, per cui verrà saltato un
passaggio della procedura permanendo
però il controllo dell’ente erogatore del
beneficio. La presenza dell’Inps direttamente nella commissione dovrebbe
garantire in ogni fase del procedimento
l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale e soprattutto accelerare
i tempi.
Si tratterà quindi, almeno nelle intenzioni, di una rivoluzione che dovrebbe
semplificare la vita ai cittadini, assicurare loro trasparenza, rendere più celeri i
tempi per le visite e l’erogazione degli
eventuali trattamenti economici. Anche
all’ASP di Siracusa si è avviato il nuovo
processo organizzativo che al momento incontra però delle criticità legate al
nuovo programma informatico, collegato con quello dell’INPS, che gestirà a regime l’intera procedura. “Siamo riusciti
a ridurre notevolmente le liste d’attesa
portandole ad appena 70 giorni; purtroppo negli ultimi mesi, da quando abbiamo iniziato ad usare il nuovo software
fornito dall’INPS, sono iniziate delle
difficoltà e conseguentemente stiamo
accumulando ritardi. Siamo in fase di
rodaggio e speriamo di allinearci entro
la fine dell’anno poiché da gennaio dobbiamo tassativamente partire con quanto
prevede la nuova normativa”. Questo è
ciò che ci hanno detto al settore di medicina legale dell’ASP, competente per il
coordinamento delle commissioni.
“I medici dell’INPS di Siracusa sono in
numero veramente esiguo per far fronte
all’alto numero di richieste annuali, in
pratica i sanitari di quell’ente sono solo
tre. Uno di questi non potrà fare parte
delle commissioni invalidi poichè presso l’INPS dovrà rimanere una commissione di verifica nel caso di controversie che potrebbero nascere quando non
vi è accordo tra i componenti di quella
di prima istanza”. La soluzione a questo problema che rischia di vanificare
gli obiettivi di celerità che si propone
Siracusa (25^)
Totale Italia
Pensioni
Beneficiari ogni Variazione %
Inv.Civ. 2008 1.000 abitanti
sul 2004
17.779
44,4
18,6
2.137.078
36,5
28,4
la “riforma”, non sono ovviamente di
competenza degli interlocutori che abbiamo ascoltato. Rimane il fatto che già
oggi gran parte del tempo per definire
una pratica, soprattutto quando vi è un
contenzioso, si perde proprio all’INPS
per le obiettive carenze d’organico. “Ci
sono pratiche ferme all’istituto di previdenza da più di un anno”, continuano
dalla medicina legale, “inoltre in Sicilia,
a differenza di altre regioni, abbiamo
l’ulteriore passaggio della Prefettura che
allunga ancor più i tempi. Si spera che
anche quest’altro ostacolo che impedisce di erogare un servizio più adeguato
all’utenza possa essere superato in futuro. E’ necessaria però in questo caso, una
legge regionale”.
Dal quadro che ci è stato esposto si può
legittimamente dubitare che la situazione migliorerà, la tematica tra l’altro pone
non pochi problemi di trasparenza e per
questo abbiamo chiesto come vengono
assegnate le pratiche alle varie commissioni. “Ogni istanza viene trattata
rigorosamente in maniera cronologica
a eccezione di quelle che si riferiscono
a patologie tumorali a cui diamo la precedenza. Viene fatta quindi una suddivisione per tipologia di richiesta, ad esempio legge 104, legge 68, ciechi; quindi
un’ulteriore suddivisione per distretto di
competenza. Infine, automaticamente il
programma informatico assegna le pratiche a ciascuna commissione, sempre in
base alla data di presentazione della domanda, fino ad un massimo di 50 pratiche iniziando dalla prima commissione.
Questo limite non può essere superato,
per cui non possono essere inserite pratiche che non rispettino l’ordine cronologico.” Un sistema trasparente quindi,
che permette di esitare fino a 500 istanze
settimanali. Per ogni commissione è prevista infatti una seduta settimanale, oltre
a quella dedicata ad eventuali visite domiciliari per pazienti non trasportabili.
Il sistema adottato ad oggi, tralasciando per il momento quanto succederà da
gennaio 2010, sembra effettivamente
trasparente e sufficientemente celere per
la parte che riguarda l’azienda sanitaria.
Ci risulta però che esistono problemi
di “incompatibilità” di alcuni componenti delle commissioni. Alla domanda
non abbiamo ricevuto risposta, comprendiamo la riservatezza trattandosi
di argomento alquanto delicato. Poichè
parliamo di incarichi pubblici, affidati
con delibere della ex ASL, ne riferiamo
tranquillamente noi. Due sono gli aspetti
che meriterebbero particolare attenzione
del direttore generale dell’ASP: il primo
riguarda il discreto numero di “politici”
che risultano componenti delle commissioni; il secondo si riferisce all’incompatibilità contrattuale dei medici di famiglia convenzionati.
Sembra poco opportuno che ad esaminare la sussistenza dei requisiti che
possono determinare l’erogazione di
benefici economici, siano chiamate persone che svolgono attività politica. Se
poi queste persone non sono semplici
componenti, ma addirittura presidenti
di commissione, la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente della commissione che si occupa della legge 104
sull’handicap è un politico, consigliere
provinciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero. Un concentrato di
conflitti d’interesse. Un altro presidente
di commissione è vice-sindaco e medico
di famiglia. Altri consiglieri comunali
sono “semplici”componenti di commissione. Per quanto riguarda i medici convenzionati, l’incompatibilità si riferisce
alla impossibilità di svolgere l’attività di
componente di una commissione invalidi civili nell’ambito territoriale in cui si
presta servizio come convenzionato. La
ragione di questo divieto risiede nella
possibilità di dover esaminare e decidere sull’invalidità di un proprio assistito.
Nel caso in cui si è “semplici” componenti ci si può sempre astenere, ma se si
è presidenti di commissione non si può!
Come farà il presidente della seconda
commissione, medico di famiglia nonchè presidente dell’ordine dei medici?
In fondo le soluzioni ci sono. Basterebbe, ad esempio, che anche nell’azienda
sanitaria di Siracusa si adottasse un regolamento, già vigente peraltro in altre
aziende anche siciliane, che in considerazione della delicatezza della materia
da trattare escludesse dagli incarichi
coloro che, all’atto dell’affidamento o
successivamente allo stesso, rivestano
cariche politiche o sindacali, oppure
svolgano attività di medici convenzionati nell’ambito territoriale di competenza
della commissione in cui dovrebbero
essere nominati. Semplice, trasparente,
ma effettivamente poco produttivo per
creare consenso.
Gli “obiettivi specifici” di Maniscalco fino al 31 dicembre. Ma non è ancora riuscito a nominare il direttore sanitario
Due mesi al direttore generale dell’ASP per risolvere
problemi che si trascinano da almeno dieci anni
Come annunciato, l’assessore regionale
alla sanità ha assegnato ai nuovi manager
gli obiettivi da realizzare entro il 2010. Si
tratta di impegni che fanno parte integrante
dei loro contratti e sul cui raggiungimento
saranno valutati. Ogni direttore generale ha
degli obiettivi specifici correlati alla realtà in
cui opera, oltre ad alcuni di carattere generale uguali per tutti. Le date sono fissate in
maniera precisa e scandiscono i trimestri che
mancano al 31 dicembre del prossimo anno.
Entro la fine del 2009, il dott. Maniscalco dovrà dare piena attuazione alla rimodulazione
dei posti letto ospedalieri. Dovrà cioè risolvere in via definitiva la scabrosa questione
dell’ospedale Avola-Noto senza possibilità di
tergiversare ulteriormente. Dovrà cercare di
mettere d’accordo Lentini ed Augusta senza
provocare le reazioni dei sostenitori dei due
ospedali. Siamo infine giunti alla soluzione
finale, all’Armageddon, riuscirà a sconfiggere i cavalieri dell’apocalisse? Scherzi a parte,
non sarà questo lo scoglio più importante da
superare. Il direttore generale dell’ASP sarà
impegnato a stilare, entro il 2009, un piano
programmatico per l’attivazione dei presidi
territoriali di assistenza (PTA) che dovran-
no essere realizzati nel territorio provinciale. Dovrà progettarne l’attività e soprattutto
coinvolgere i medici di famiglia nel loro
funzionamento. Medici di famiglia e pediatri
dovranno svolgere la loro attività in collegamento con i PTA in maniera da garantire una
maggiore continuità assistenziale nel territorio. Sembra che i medici di famiglia abbiano
già fatto presente che senza soldi non si canta
messa. Vorranno l’ennesima indennità per
rimpinguare il loro misero salario.
Sempre entro l’anno in corso, il dott Maniscalco è chiamato a riorganizzare tutta la specialistica ambulatoriale pubblica e privata per
“migliorare l’offerta di prestazioni, aumentarne l’appropriatezza, migliorarne l’efficienza, ridurre i tempi di attesa per effettuare
gli esami diagnostici.” Compito facile facile
da realizzare in meno di due mesi. Ancora,
dovrà potenziare la prevenzione oncologica
aumentando la popolazione da sottoporre ai
tre screenings individuati dalla regione: paptest, mammografia, test per la prevenzione
dei tumori del colon. Infine, sarà valutato
anche in base alla capacità di “riorganizzare
e riqualificare i pronto soccorso aziendali al
fine di migliorarne l’accoglienza ed i tempi
di attesa per i trattamenti.”
Tutto questo entro il 31 dicembre 2009; sembra il programma, come si dice, di un’intera legislatura. Uno degli obiettivi del primo
trimestre lo ha però già raggiunto: l’apertura
dell’hospice. E’ già in vantaggio dunque. Un
piccolo sforzo ed è fatta! In soli due mesi
dovrebbero risolversi problemi che si trascinano da almeno dieci anni. E non è finita,
entro marzo 2010 il manager dovrà rendere
operativa l’assistenza domiciliare, realizzare
gli sportelli unici per l’accesso alle cure domiciliari, collegarli con i PTA, fornire il primo ciclo terapeutico ai pazienti dimessi dagli
ospedali, redigere l’atto aziendale e determinare la dotazione organica. Entro la fine del
2010 il dott. Maniscalco dovrà raggiungere
altri 34 obiettivi, tra potenziamento di quelli
già ricordati sopra e altri di cui sottolineiamo
in particolare l’attivazione della risonanza
magnetica presso l’Umberto I° entro il 30
giugno. Forse non si tratta di un programma
di legislatura, piuttosto di un difficile e complesso piano decennale. Registriamo, non ce
ne voglia, che dopo due mesi non è ancora
riuscito a nominare il direttore sanitario.
Pino Bruno
Il dott. Maniscalco, direttore generale dell’ASP
4
14 Novembre 2009
Dopo le “sviste” rimandato a mercoledì prossimo il trasferimento in piazza Sgarlata
L’odissea della fiera di via Algeri. Contestato il sorteggio
Gli anziani: “Prima noi”, ma Visentin si gioca la faccia
di MONICA LANAIA
Che questa vicenda della fiera di via Algeri si prospettasse
spinosa era prevedibile. Innanzitutto perché da anni e anni si
annunciava “un veloce spostamento” del mercato che, fino a
questo momento, non si è ancora concretizzato. Inoltre, perché
il dibattito in merito è stato arduo e ha coinvolto una pluralità
di voci: sindaci, assessori, consiglieri comunali, associazioni
di categoria e, non ultimi, cittadini (residenti della Mazzarrona principalmente) e operatori
commerciali. E la storia non è
ancora giunta all’ultima puntata: mercoledì, il giorno di S.
Martino, mentre la via Algeri
si sarebbe dovuta risvegliare
vuota e tranquilla, il suolo della
piazza Sgarlata avrebbe dovuto
ospitare, per la prima volta, le
bancarelle dei venditori. Così
non è stato.
Cosa volete, meglio sorridere
dei soliti “intoppi burocratici”
anche perché, stavolta, la situazione ha del paradossale. Ricostruiamo gli eventi, cominciando però, perché di questi fatti si
parla già da troppo tempo, dal
momento in cui, ormai assodato che la via Algeri non è un
posto idoneo - causa condizioni
logistiche, igieniche, strutturali
e di sicurezza - ad ospitare la
tradizionale fiera del mercoledì,
si decide di spostare la suddetta
fiera nel nuovo piazzale Sgarlata, ex parco Robinson. Ovviamente non mancano proteste
poiché i venditori ambulanti
sono restii a far lasciare alle
loro bancarelle il terreno natio,
temendo, peraltro, che il trasloco provochi tracolli finanziari
e ritenendo che un’alterazione
dello status quo non sia conveniente. D’altro canto, era oramai impossibile fare tacere le
proteste dei residenti della via
Algeri e delle zone limitrofe,
prigionieri in casa propria ogni
mercoledì, stipati tra rifiuti e
camionette, tra ortaggi e articoli
per la casa. Dunque, da un lato
i sostenitori dello spostamento
del mercato, dall’altro i sostenitori del mantenimento del luogo tradizionale; vi erano, poi, i
molti che, pur asserendo l’inagibilità evidente della via Algeri, consigliavano di procedere
contrastando l’abusivismo, assicurando maggiori controlli,
modificando la disposizione
delle bancarelle, senza, tuttavia, privare la Mazzarrona del
suo “polmone” commerciale.
Infine, come tutti ben sanno,
si è optato per il trasferimento
del mercato in un luogo apposito, più spazioso e più adeguato, indubbiamente, rispetto
alla via Algeri. Siccome, però,
il teletrasporto non fa ancora
parte delle dotazioni dell’amministrazione comunale, le
operazioni del trasloco, che
apparivano lineari sulla carta
planimetrica, si sono inceppate
al momento della loro messa in
pratica.
Paola Gianì, presidentessa
dell’associazione nazionale dei
venditori ambulanti, ci ha narrato il seguito della vicenda e
la difficile mediazione svolta
dalle associazioni di categoria
e, infine, dallo stesso sindaco
Roberto Visentin. Inizialmente,
infatti, si era deciso di stilare
una graduatoria degli operatori commerciali aventi diritto
a posizionarsi nel nuovo mercato; l’ufficio del commercio,
in poco più di una settimana,
ha compilato la graduatoria in
questione, visionando le circa
250 pratiche e le annesse documentazioni presentate dagli
ambulanti. È accaduto tuttavia
che, essendosi rivelato molto
gravoso il disbrigo di tali atti,
vi siano state delle, chiamiamole così, sviste, prontamente
segnalate da quei venditori danneggiati dalla mancata analisi
dei loro documenti.
A questo punto apriamo una
parentesi: il nostro sindaco aveva affermato che “se mercoledì
11 il mercato non fosse stato
già insediato in piazza Sgarlata, ci avrebbe perso la faccia”.
Ma come sedare le proteste
dei commercianti e risolvere
celermente la faccenda, senza
“perderci la faccia”, alle porte
ormai del paventato giorno di
S. Martino?
L’uovo di Colombo, in questo
caso, si chiamava sorteggio. In
pratica, sorvolando il trascurabile dettaglio dell’anzianità, ci
si sarebbe affidati al caso fortuito per l’assegnazione dei punti
vendita nel nuovo mercato. Pe-
raltro, il sorteggio non è avvenuto utilizzando due urne, una
contenente i numeri dei posti
disponibili, l’altra contenente i
nomi dei commercianti: l’urna
era una sola ed era riempita dai
biglietti con i numeri dei posti del mercato; per associare
il numero estratto al nome del
commerciante si seguiva la famosa graduatoria stilata in base
ai criteri di anzianità. Questo
ingegnoso accorgimento consentiva di non sconfessare la
menzionata graduatoria inserendo, al contempo, un pizzico
di suspense nell’assegnazione
delle aree commerciali. Tale
soluzione ha, però, suscitato il
malcontento degli ambulanti
che hanno visto azzerate le loro
anzianità di commercio; nonostante le proteste e le segnalazioni da parte dei commercianti
e da parte dell’Anva e di altre
associazioni di categoria di Catania, si è proceduto ugualmen-
te all’estrazione.
A questo punto è intervenuto il sindaco che, prendendo
atto delle critiche e dell’insoddisfazione derivanti dal
sorteggio, ha indetto un incontro, che si è tenuto martedì, al quale hanno partecipato
alcuni operatori e i sindacati;
l’idea originaria era quella di
effettuare un nuovo sorteggio,
stavolta, magari, utilizzando
due urne ed affidando, realmente, tutto al destino. Simile
prospettiva avrebbe, però, reso
scontenti, non solo coloro che
si opponevano tout court ai
sorteggi, animati dall’intento
di difendere le loro anzianità,
ma anche coloro che, essendo
stati baciati dalla sorte nel primo sorteggio, avrebbero visto
sfumati eventuali privilegi ottenuti fortuitamente.
“In questa situazione critica”
– commenta Paola Gianì – “il
sindaco ha agito coscientemen-
te, dimostrando di aver compreso le necessità dei cittadini,
sia commercianti che acquirenti, e ponendo in secondo piano
le questioni politiche”. E la decisione del sindaco è stata, per
l’appunto, quella di consentire,
nonostante vi fosse già un’ordinanza di chiusura, lo svolgimento del mercato in via Algeri anche durante quel famoso
mercoledì 11; in teoria questo
mercoledì di S. Martino è stato il giorno di commiato della
fiera al suolo della Mazzarrona,
poiché la prossima settimana il
nuovo polo di piazza Sgarlata
dovrebbe entrare in funzione:
accantonata l’ipotesi dei sorteggi, infatti, sono stati accordati all’ufficio del commercio
altri sette giorni, utili per rivedere le pratiche dei venditori,
correggere le sviste e stilare
una nuova graduatoria che –
forse – avrà l’onore di essere
quella definitiva.
Gli ambulanti: “Su graduatorie e sorteggi non c’è stata trasparenza e serietà, anche dai sindacati”
“7,5 metri nei parcheggi sono troppo pochi per i furgoni
Con i mezzi a incastro impossibile andarsene prima”
Abbiamo raccolto i commenti di ambulanti e acquirenti in
quell’ultima mattina di fiera in via Algeri.
Gli avventori delle bancarelle sono tendenzialmente favorevoli a
questo spostamento: “L’unico problema – ci confida una signora
– sarà il parcheggio per l’auto, ma trovare le bancarelle disposte
in una piazza e non in una via che si snoda tutta in lunghezza,
sarà più pratico per noi clienti”. Di diverso tono i commenti degli
operatori commerciali. “Questa faccenda ci danneggia”, esordisce
un ambulante e prosegue “I parcheggi in cui dovremo posizionare i furgoni sono stati solo disegnati sulla carta, senza valutare
che, in realtà, 7x5m sono troppo pochi; inoltre, saremo sistemati
a incastro cosicché chi sarà al centro della piazza e vorrà arrivare
più tardi la mattina o smontare prima potrà scegliere se chiedere
alle altre 300 bancarelle di spostarsi o se spiccare il volo”. Un
altro commerciante contesta il fatto che graduatorie e sorteggi
siano stati effettuati senza la partecipazione di una commissione
del mercato: “Sono mancate trasparenza e serietà, anche da parte dei sindacalisti”- accusa -“che avrebbero dovuto interpellarci
maggiormente visto che siamo noi i diretti interessati”. Salvo Tosto, uno dei venditori storici del mercato, chiosa: “Non siamo in
disaccordo con il trasferimento in sé, purché non ci crei ulteriori
problemi in un periodo già critico per il settore. Io ho 37 anni di
anzianità, dovevo apparire fra i primi della graduatoria e, dunque,
scegliere uno dei parcheggi migliori della piazza Sgarlata e invece
sono risultato il 59°; di fronte a questa incongruenza ho presentato
documentazione aggiuntiva ma nelle successive graduatorie sono
Sgarlata, ci fossimo persi in un bicchiere d’acqua al momento
di redigere la graduatoria per anzianità”. E gli abusivi? “Verrà
emanato un bando” – assicura la Gianì – “per assegnare i posti
rimasti vacanti: a quel punto chi, fra i 100-120 abusivi stanziati
nelle vie adiacenti la via Algeri, avrà intenzione di regolarizzarsi sarà il benvenuto”. Sempre che, ovviamente, come temono
alcuni venditori, gli abusivi non si limitino a seguire i colleghi
regolarizzati, trasferendosi anche loro nelle vie prospicienti il
piazzale Sgarlata.
Monica Lanaia
slittato, addirittura, al 151° posto. I primi della graduatoria hanno
dichiarato di avere l’autorizzazione dal 1975, data bizzarra ove si
consideri che il mercato esiste solo dal 1978”.
Paola Gianì conclude: “La scelta di non far perdere un giorno
di lavoro ai commercianti su suolo pubblico è stata lodevole e,
di più, grazie a una più attenta revisione delle documentazioni, riusciremo a stilare una graduatoria che tuteli la dignità dei
lavoratori, sia equa e conforme alle normative di legge; d’altronde era inconcepibile che, dopo essere riusciti a convincere
i commercianti circa la necessità dello spostamento in piazza
14 Novembre 2009
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Gli agrotecnici: “Situazione drammatica. Occorre l’intervento della Regione”
Russo: “In forte aumento TBC bovina e brucellosi ovi-caprina
Moltiplicate le stalle infette anche a causa della transumanza”
di FRANCO ODDO
“Sicurezza e ordine pubblico, igiene e sanità, carenze
infrastrutturali costituiscono
le tre situazioni di debolezza
del settore zootecnico, peculiari alla nostra provincia, che
unite alle ragioni macroeconomiche di crisi del settore,
innescano un ulteriore fattore
di depressione economica e
sociale. Un settore che, malgrado il crollo delle aziende,
degli occupati e del reddito
rilevato dall’Istat nell’ultimo
censimento, rappresenta ancora oggi un fattore rilevante
dell’economia
provinciale,
specie nella zona montana e
pedemontana nord e sud della
provincia, dove si pone come
attività agricola prevalente”.
E’ quanto afferma il dottor
Giuseppe Russo, presidente
provinciale degli agrotecnici,
non nuovo ad appelli alle istituzioni per la sopravvivenza
di questo comparto.
Qualche giorno fa la federcoltivatori ha denunciato il
frequente furto di prodotti
dei campi che poi finiscono
nelle bancarelle degli ambulanti. Ma il problema si
pone anche per la zootecnia. Le aziende si lamentano che le forze dell’ordine
non effettuano un adeguato
controllo del territorio e che
esse sono esposte ad atti criminosi…
“Hanno ragione. Da oltre un
decennio, reati che negli ultimi tempi erano divenuti statisticamente irrilevanti come
l’abigeato, il pascolo abusivo,
la macellazione clandestina,
oggi tornano a essere fenomeni criminosi significativi
destando non solo un notevole allarme sociale ma anche
un perverso effetto devastante
sull’intera economia agricola
siracusana. Il progressivo abbandono delle campagne, con
tutto ciò che ne consegue in
termini di perdita del presidio
sociale, territoriale, economico e ambientale garantito dal-
Dott. Pippo Russo
la presenza dell’agricoltore,
non è determinato solo da fattori di redditività ma anche e
soprattutto dalla progressiva
insicurezza in cui si vive nelle
zone rurali, prive di qualunque presidio di polizia e persino di uno sporadico sistema
di controllo del territorio.
Questo fenomeno criminoso
è molto più vasto di quanto
appare dalle statistiche, perché la percentuale dei reati
denunciati è molto più bassa rispetto al dato reale. Alla
progressiva insicurezza delle
campagne ha contribuito molto anche il fenomeno della
transumanza, la cui pericolosità si accresce al saldarsi con
la malavita locale”.
Come si potrebbe ovviare?
“Attraverso un maggiore coordinamento tra le forze di
polizia per garantire presidi e controlli sistematici sul
territorio. Faccio un appello
anche all’autorità giudiziaria
perché giudichi con maggiore rigore i reati posti sotto la
sua giurisdizione e ammetta
la possibilità per le pubbliche amministrazioni e per i
rappresentanti di categoria
di costituirsi parte civile nei
processi per reati attinenti
al settore zootecnico. Ai legislatori chiediamo, invece,
un inasprimento delle pene
e una disciplina più rigorosa
nei confronti dei fenomeni
di transumanza. Dovrebbe
essere obbligatoria per ogni
azienda agricola l’adozione
di sistemi di rintracciabilità
dei capi animali, per esempio
attraverso l’applicazione dei
sistemi di rilevamento a radiofrequenza o di mappatura
del dna.
Veniamo al problema igienico-sanitario. Il vicedirettore
del nostro giornale, Marina
De Michele, ha condotto nel
recente passato una vasta
inchiesta sulla diffusione
della tubercolosi nella nostra provincia, evidenziando anche come il fenomeno
della tubercolosi bovina sia
in forte aumento in tutta la
zona montana. Lei conferma?
“Sì, nell’ultimo decennio si
è assistito al progressivo vi-
rulento riaffermarsi, in forma
endemica, della tubercolosi
bovina, della brucellosi ovicaprina e di altre patologie
che si consideravano debellate e comunque contenute in
misura tale da ritenerle fisiologiche. Questo fenomeno, al
quale la transumanza ha dato
un contributo determinante,
ha determinato il progressivo
e definitivo tracollo del settore zootecnico.
“Le problematiche igienicosanitarie, oltre al grave danno
economico che arrecano al
settore, determinano anche un
altrettanto grave danno alla
salute e alla sicurezza alimentare umana, ulteriormente
accresciuta dal sottovalutato
fenomeno delle macellazioni
clandestine. Al moltiplicarsi
di casi di stalle infette non è
seguita una politica adeguata
di repressione e di prevenzione sanitaria finalizzata
all’eradicazione di queste patologie, ciò anche a causa, per
il passato, dell’insufficiente
organico del Servizio Veterinario dell’AUSL 8 che, fino a
pochi mesi addietro, non era
in condizione – in termini di
risorse umane, economiche e
strumentali – di far fronte in
modo organico e strutturato al
fenomeno”.
A occhio e croce, non ci pare
che il fenomeno sia stato
compreso nella sua gravità…
“Io credo sia necessario un
intervento immediato sull’as-
sessorato regionale alla Sanità perché, consapevole della
drammaticità della situazione, provveda a dare migliori
e più giuste indicazioni per la
sicurezza alimentare e per la
tutela dell’attività di allevamento. Sottolineo con forza
che la risoluzione dei problemi igienico sanitari è di fondamentale importanza in una
prospettiva di sviluppo sostenibile del settore zootecnico,
non tanto e non solo perché
costituisce un ostacolo alla
movimentazione dei capi animali o per l’incidenza sulla
salute umana, ma soprattutto
perché è alla base di qualunque politica di filiera e quindi
di rilancio dell’economia zootecnica”.
Nel nostro territorio due soli macelli, a Palazzolo e Floridia, con alterne fortune
“Questa è l’unica provincia in Sicilia che accanto alla macellazione
non ha sezionamento, laboratorio di macinati e preparazione di carni”
“II comparto zootecnico in
Sicilia, particolarmente in
provincia di Siracusa, sconta due distinti problemi, uno
connesso al tipo di azienda
operante sul territorio: generalmente si tratta di aziende
di ridotte dimensioni, spesso
carenti sotto il profilo produttivo, strutturale e organizzativo. La seconda problematicità è costituita dall’assenza di
stabilimenti di macellazione
adeguati sotto il profilo dimensionale, igienico-sanitario e organizzativo. In Sicilia
sono funzionanti, secondo
dati della Regione siciliana,
55 macelli autorizzati con la
legge 286/94, 35 pubblici di
cui solo due in possesso del
bollo CE, 20 privati tutti con
bollo CE. In questo quadro la
provincia di Siracusa. è quella meno strutturata, atteso che
operano solo due macelli, uno
a capacità limitata (Palazzolo
Acreide), l’altro (Floridia) in
possesso di bollo CE, entrambi con alterne fortune!
“Proseguendo nel dato statistico, il 50% dei macelli è allocato nelle province di Palermo, Messina e Agrigento e in
provincia di Siracusa - unica
in tutta la Regione - non esiste
alcuna struttura che all’attività di macellazione affianchi
il sezionamento - nonostante
la crescente importanza, in
termini di competitività e di
qualità del prodotto, di tale
tecnica di trasformazione - e
meno che mai il laboratorio di
macinati e di preparazioni di
carni o di deposito frigorifero. Tralascio di riferire l’importanza delle piattaforme del
freddo in qualunque contesto
produttivo improntato a principi di redditività, efficienza
ed efficacia.
“Ulteriore dato generale indicativo della deficitaria situazione produttiva e infrastrutturale siciliana è costituito
dalla media di macellazioni
annue, che si attesta intorno
3,5/4% dei capi complessivamente abbattuti in Italia per i
diversi tipi di carni, e dal fatto che la dimensione normale
di destinazione del prodotto
sono le macellerie non essendo minimamente incidente alcuna attività di esportazione.
“Dalla concatenazione di
questi dati statistici emerge
con palmare evidenza – anche al più miope degli amministratori - la strategicità
di un moderno impianto di
macellazione - CE, di trasformazione e confezionamento
delle carni, con annessa linea
del freddo, nella provincia di
Siracusa. Ciò anche al fine
di non vanificare il nascente
ragionamento in termini di
“filiera delle carni” che presuppone il possesso di opere
infrastrutturali funzionali non
solo alla trasformazione delle carni, alla loro rintracciabilità e salubrità, ma anche
a una più razionale organizzazione dell’offerta e della
commercializzazione dei prodotti che, in ultima analisi, si
riverbererà in una più efficace
organizzazione e redditività
delle produzioni zootecniche.
“Per queste ragioni chiediamo
che il presidente della Provincia Regionale on. Bono pro-
muova idonee azioni al fine
di appaltare in tempi brevi il
progetto per la realizzazione
del frigo macello comprensoriale di Palazzolo Acreide finanziato dal ministero
dell’Economia, il progetto
presentato con il Patto Verde
Agricoltura promosso e voluto dal Consorzio Allevatori di
Siracusa, dal Consorzio Carni qualità Val D’Anapo, dalle
organizzazioni di categoria,
dagli Ordini e Collegi professionali del settore, dal Gal
Val d’Anapo e in particolare
dalla Provincia Regionale di
Siracusa e dal Comune di Palazzolo Acreide”.
6
14 Novembre 2009
Presentata al sindaco la raccolta di lettere via web, 681 firme nel volgere di pochi giorni
Visentin: “Non posso dire quando. Ma do la mia parola
che dedicheremo uno spazio cittadino a Impastato”
di MASSIMILIANO PERNA
Appena un mese fa abbiamo
fatto nostra la lodevole iniziativa, lanciata dal giornale on-line Tusciaweb, volta
a chiedere ai sindaci di ogni
comune italiano l’intitolazione di una via, piazza o
luogo a Peppino Impastato,
dopo l’oltraggio alla memoria
compiuto dal primo cittadino
leghista di Ponteranica (Bergamo). Avevamo percepito
la voglia, anche a Siracusa,
di aderire a tale iniziativa, di
chiedere l’assunzione di una
scelta simbolica ma importante, una risposta civile e netta,
una presa di posizione chiara
su una vicenda vergognosa. Il
sindaco di Siracusa, Visentin,
da noi interpellato, si era detto
disponibile, qualora gli fosse
pervenuta una sollecitazione
da parte dei cittadini, a soddisfare la richiesta di intitolare
un luogo al coraggioso giornalista di Cinisi.
E la sollecitazione è arrivata
puntuale. Poco dopo questa
dichiarazione di disponibilità,
nella nostra città si è attivato
un movimento spontaneo, generoso, trasversale, fatto soprattutto di giovani, ma non
solo. Un movimento non organizzato, privo di strumenti e
di strutture, ma animato dalla
volontà netta di partecipare a
quella che è una battaglia culturale, una lezione di civiltà,
una testimonianza reale di un
senso della giustizia che è fatto anche di simboli, di esempi capaci di sopravvivere alla
morte, di arrivare alle coscienze della gente attraverso le parole, i pensieri, la “normale”
eroicità dei propri gesti. Non
ci sono state raccolte di firme
ufficiali, fatte di banchetti organizzati, di liste da riempire, spesso distrattamente: c’è
stata la voglia di scrivere il
proprio nome e cognome, la
propria firma su una lettera
personale, in forma cartacea,
contenente una richiesta ben
precisa, nella speranza di poter un giorno vedere il nome di
Peppino impresso su un luogo
pubblico, visibile. Un modo
per contribuire alla realizzazione di uno spazio educativo,
un gesto tanto semplice quanto sentito per gridare la voglia
di legalità che scorre nelle
vene di una parte del Paese.
Così, nel giro di pochi giorni, attraverso il passaparola, i
blog o i social network, sono
state raccolte 681 firme. Il
totale è elevato, considerati
tempi e modi della raccolta,
ma avrebbe potuto anche essere molto più alto, se al criterio della tempestività si fosse
preferito quello della quantità.
La volontà, però, era di far
arrivare il prima possibile al
sindaco quella sollecitazione
che era stata invocata. Siamo
stati incaricati di consegnare
al primo cittadino queste firme. Lo abbiamo fatto martedì
10 novembre, presso il suo ufficio, dove egli, dinnanzi alla
pila di lettere riposte in un
raccoglitore di cartone, ci ha
ribadito la propria disponibilità: “Commento positivamente
questa importante iniziativa,
perché si tratta di una persona
che ha contribuito a svelare e
denunciare determinati comportamenti ed ha combattuto
contro un fenomeno impor-
Il nostro Massimiliano Perna consegna al sindaco Visentin le lettere dei cittadini
tante come quello della mafia,
che in Sicilia ha condizionato
e ancora condiziona molti settori della società. Tenere viva
la memoria di certi personaggi
è una cosa giusta per la storia
di una città, di una regione, di
una nazione”. Sull’adesione
a questa iniziativa da parte di
comuni di ogni parte d’Italia
e di diverso colore politico,
Visentin afferma: “La mafia
non può essere considerata un
fenomeno localistico. Non mi
meraviglio del fatto che in varie parti d’Italia si ricordi una
persona che magari, in molte
città che aderiscono a questa
iniziativa, non è mai stata. La
partecipazione trasversale? Il
contrasto alla mafia non può
essere un problema di partito
o di appartenenza. Sarebbe assolutamente sbagliato. Ci possono essere divisioni sul modo
di affrontare il problema, ma
di sicuro non sul principio.
Ognuno di noi la può pensare
in una maniera piuttosto che
in un’altra, ci sono dei modi
che magari sono più vicini alla
mentalità di centrodestra o di
centrosinistra, ma l’importante è che tutti concordino sul
fatto che la lotta alla mafia è
una cosa necessaria perché
condiziona troppo l’economia di una nazione, il modo di
vivere, la libertà individuale
delle persone. Possiamo discutere su tante cose, ma sulla
lotta alla mafia c’è poco da discutere”.
Tornando all’oggetto dell’iniziativa, chiediamo al sindaco
se ha già in mente il luogo da
intitolare a Peppino e i tempi previsti per l’intitolazione:
“Dobbiamo verificare ciò che
abbiamo. Il luogo potrebbe
essere anche uno slargo, un
edificio, una biblioteca, ma
anche, ad esempio, una nuova rotatoria con una statua
al centro. L’importante è che
si possa onorare la memoria
di questa vittima di mafia. I
tempi non sono immediati.
Dobbiamo farlo al più presto, ma non posso fornire
una data precisa. Dobbiamo
vedere i siti e poi c’è tutta la
procedura della toponomastica. Ad ogni modo, che questa
cosa si faccia è sicuro, c’è la
mia parola. Poi se ci vogliono due o sei mesi questo non
glielo so dire”. La promessa
è fatta, adesso bisogna solo
attendere, nella speranza che
vi sia la stessa rapidità che ha
contrassegnato la generosa
mobilitazione di centinaia di
siracusani.
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“Inaccettabile condannare l’isola a un immobilismo camuffato da rinnovamento”
Nicita: “La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica
Se la maggioranza non c’è, si vada a nuove elezioni”
Guardando alla vita politica nazionale, regionale e provinciale si ha l’impressione di attraversare una fase di profonda crisi. Pur vivendo
nella stessa società i problemi vengono percepiti in maniera diversa e le soluzioni prospettate
divergono profondamente. Tutto ciò, secondo
lei, è giustificabile?
“Da che mondo è mondo le società sono sempre state caratterizzate da valutazioni diverse sugli stessi problemi. E’ proprio dalla diversità del
modo di pensare che si ha l’evoluzione e il progresso. Quindi non bisogna preoccuparsi. Certo,
la società moderna è più complessa. Il grado di
cultura è più elevato, lo sviluppo tecnologico ha
provocato significative trasformazioni, il lavoro
risulta profondamente diversificato, così come
l’organizzazione delle imprese. L’individualismo
è una caratteristica ampiamente diffusa attenuando i principi di solidarietà e rendendo più difficile
la valorizzazione del bene comune. La rivendicazione dei diritti a volte ha il sopravvento sulla strategia dei doveri. La nostra è diventata una società
consumistica ed edonistica. I valori veri, come per
esempio quello della solidarietà, della tolleranza,
della valorizzazione delle strutture collettive, sono
vissuti come doveri che debbono essere realizzati
dagli altri, esonerando se stessi dall’agire”.
Quindi lei conferma la crisi della società moderna e in particolare delle organizzazioni politiche?
“E’ certamente vero che oggi vi è una eccessiva valorizzazione dell’individualismo e della tutela degli
interessi privatistici ai quali subordinare tanti altri
valori. Ma è anche vero che la società moderna riesce ad esprimere forme di altruismo ammirevoli.
La diffusa organizzazione del volontariato nelle sue
diversissime articolazioni ne è una esemplare testimonianza. Come sempre, convivono atteggiamenti
egoistici e iniziative altruistiche. Per questo non bisogna essere pessimisti. Anzi, occorre essere ottimisti senza sottovalutare le difficoltà”.
In tale contesto quale dovrebbe essere il ruolo
dei partiti e dei gruppi dirigenti?
“Il ruolo dei partiti è chiaramente previsto dalla
nostra Costituzione. Sono libere associazioni che
dovrebbero concorrere al bene comune. La lotta
politica, purtroppo e spesso, trasforma i partiti in organizzazioni con il compito di esercitare il potere,
anche attraverso libere elezioni. Non più un ruolo di
servizio disinteressato bensì l’occasione per consolidare il potere personale e di gruppo, alimentando e
soddisfacendo le proprie clientele elettorali. Un sistema politico così caratterizzato finisce col favorire
processi degenerativi e fazioni. Oggi purtroppo viviamo, a mio giudizio, a livello nazionale regionale
e provinciale alcuni significativi processi degenerativi e faziosi”
Vuole esplicitare meglio questi concetti?
“A livello nazionale, con l’ultima legge elettorale
proporzionale col premio di maggioranza, che prevede l’abolizione del voto di preferenza, il sistema
democratico è stato trasformato in sistema oligarchico. Il ristretto gruppo dirigente di ogni partito sostanzialmente nomina i parlamentari, per cui questi
non sono più liberi e autonomi e se protestano corrono il rischio di non essere più ripresentati. I partiti,
ad esclusione del PD, come dimostrato dalle recenti
primarie, e in parte dell’UDC, che ha svolto il suo
congresso, sono diventati partiti personalistici comprimendo la dialettica interna, cosa questa obiettivamente insopportabile e antidemocratica. La stessa
unificazione di Forza Italia con Alleanza Nazionale, con un 37% di voti del PdL, non ha avviato un
processo di vera democrazia interna tanto che l’on.
Gianfranco Fini ha dovuto precisare fortemente che
il PDL non può essere “una caserma”, né può essere
accettato il pensiero unico.
“A livello regionale, l’elezione diretta del Presidente
della Regione, il cosiddetto Governatore, anche se
espressione di una coalizione di quattro partiti (F.I.,
AN, UDC, MPA), avendo poteri eccezionali per
garantire la governabilità, ha finito per stravolgere
qualsiasi principio di confronto e di dialogo, utilizzando in maniera stravagante i poteri previsti dalla
legge, per imporre soluzioni organizzate da un gruppo di potere politicamente trasversale.
“La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica. Se la
maggioranza (FI, AN, UDC,MPA) vittoriosa nelle
elezioni che ha eletto governatore Raffaele Lombardo non esiste più e non ci sono le condizioni per una
sua ricomposizione è doveroso dichiarare il proprio
fallimento e andare a nuove elezioni, o rompere il
cordone ombelicale con i danti causa creando situazioni politiche di emergenza con caratteristiche politiche nuove. Non è accettabile condannare la Sicilia
a un immobilismo dannoso, anche se camuffato da
rinnovamento. In politica le gestioni personalistiche
non sono mai innovative e frutto di cambiamento
preparato e vissuto come tale.
“Questa situazione regionale si è trasferita a livello
provinciale, condannando anche i nostri enti a un pericoloso immobilismo”.
Alla mia prima domanda lei ha risposto escludendo quasi l’esistenza di una crisi politica,
ora sta concludendo in maniera più negativa di
quanto le abbia chiesto...
“In ogni società democratica vi sono energie, volontà, esigenze sociali, economiche e culturali tali da
trovare le vie d’uscita, come peraltro ci insegna la
storia. Sono profondamente convinto che l’opinione pubblica stia meditando e valutando i fallimenti
politici e organizzativi, per cui se non ci sarà a breve
termine una profonda revisione del modo di agire
del governo dello Stato, della Regione e degli enti
locali, si formerà dal basso una spinta unitaria sempre più larga per una vera alternativa a queste forze
degenerative del sistema democratico”.
14 Novembre 2009
7
Padre Marco Tarascio: “Nell’isola tutto gira intorno al turismo. E i residenti?”
Ortigia, la povertà dietro l’opulenza. “Ci vive gente qui
cui manca ogni cosa: tetto, acqua, elettricità, igiene, cibo”
di ISABELLA MAINENTI
Avete mai fatto caso a quanto splendida e affascinante sia
Ortigia? Avete mai fatto caso
ai meravigliosi palazzi che da
corso Matteotti accompagnano chi passeggia fino a piazza
Duomo o giù per via Maestranza? E ai lavori di restauro
condotti con grande perizia e
capaci di riportare in auge una
bellezza architettonica coperta
dal tempo? Direte su Ortigia:
“E’ senz’altro la parte più curata della città”. E invece no! Direte: “E’ la parte più ricca”. Ma
sbagliereste di nuovo. Mettiamola così: c’è da rivedere tutto quello che comunemente si
pensa di questa parte della nostra città perché quello che noi
vediamo, in realtà, è tutta crosta. Per rendersene conto non
bisogna andare tanto lontano:
basta imboccare una qualsiasi
traversa di una via principale
e notare le differenze rispetto
a quest’ultima. I palazzi non
saranno più così perfettamente
curati e i negozi (se ne trovate)
non così chic come quelli, per
esempio, di corso Matteotti. Ne
abbiamo voluto sapere di più
e abbiamo parlato con padre
Marco Tarascio, presente da
ormai quattro anni nella Chiesa dell’Immacolata. Le prime
parole che ci rivolge sono sulla
condizione demografica della
zona: “Ortigia ha avuto diversi
migrazioni di cui l’ultima negli
anni ’90. Una c’era già stata
negli anni ’50 e una negli anni
’60. Prima il quartiere faceva
12.000 abitanti, oggi se ne fa
2.500 è tanto”.
Quali le zone più problematiche?
“I quartieri della Giudecca,
della Graziella e quello del
mercato. Sembrano tre quartieri staccati dal resto della città.
E’ come se il corso Matteotti
costituisse una linea di separazione tra la Siracusa-bene e il
resto. Per esempio, percorrendo il corso Matteotti a salire
a nessuno viene in mente di
imboccare via Maestranza; è
come se si mirasse a escludere
le zone della Giudecca e della
Graziella anche dalla semplice
passeggiata. La realtà è diversa però. La stessa Giudecca
non è il quartiere malavitoso
dell’immaginario comune, non
è ‘a jureca’! In questi quattro
anni in cui io sono stato qui c’è
stato un solo scippo nonostante d’estate vi siano in Ortigia
moltissime persone.
“Io credo che ci sia un chiaro
progetto politico su Ortigia, né
di destra né di sinistra. Questo
progetto prevede che Ortigia
diventi luogo di turismo. Ma
nient’altro. Basta guardare
quanti B&B ci sono. Impressionante! Gli abitanti fino a
poco tempo fa c’erano ma
sono stati presi e spostati nei
‘casermoni’ di via Algeri, via
Italia 101 e della Mazzarrona.
Le zone della Giudecca e della Graziella ancora resistono,
sono quartiere vivi. Ma è evidente che il corso Matteotti
separa due zone: quella alberghiera e quella abitata”.
Cosa fanno le istituzioni?
“Niente! Qui non funziona
neppure il consiglio di quartiere. Tranne alcuni personaggi
che cercano di far funzionare
un po’ le cose, il quartiere non
va. Qui non si vedono neppure i
politici, nonostante tutte le sedi
delle istituzioni siano qui. Ma
per Ortigia non si spende nulla, tranne che per le cose belle:
festa di Santa Lucia, albero di
Natale, festa dell’Immacolata.
Solo per queste occasioni si
muove qualcosa.”
E con la legge speciale per
Ortigia cosa è cambiato?
“Non è cambiato nulla.”
Uno dei grandi problemi che
tormenta padre Tarascio è poi
la questione dei ragazzi, per cui
non c’è alcun tipo di progetto,
e dei bambini per cui in Ortigia
non esiste uno spazio. Ci fa notare che davanti al parcheggio
Talete c’è un’area vuota in cui
si potrebbero fare dei campetti o comunque uno spazio per
Uno scorcio del quartiere Giudecca
Padre Marco Tarascio
i più piccoli. “Noi per far fare
una partita di calcetto ai bambini della parrocchia li dobbiamo
portare a San Metodio. Non c’è
un luogo per i bambini. I bambini, a parte piazza Duomo,
non sanno dove andare e anche
lì non possono mica giocare a
pallone. Non solo i bambini
non hanno gli spazi, ma non
c’è neanche un progetto al riguardo.”
Oltre a quello dei bambini
quali sono gli altri problemi
della zona?
“Innanzitutto una totale assenza di assistenza domiciliare per
gli anziani nonostante qui ce
ne siano molti. Nessuno li va
a visitare. I servizi sociali io
non li ho mai visti qui. Eppure le situazioni in cui dovrebbero intervenire non mancano.
E poi il problema dei bambini
e della dispersione scolastica:
non se ne occupa nessuno. Ci
sono ragazzi che hanno lasciato la scuola in prima o seconda
media e non credo che qualcuno sia mai andato a cercarli.
La scuola fa quello che può,
ma manca il servizio sociale. Il
servizio sociale è qualcosa che
sta sul territorio, che conosce il
territorio, che ha un ufficio, che
ha uno sportello. E invece non
c’è niente di tutto ciò. Inoltre
dentro Ortigia gli sfratti esecutivi sono esecutivi”.
Infatti in questa parte della città
non avviene mai che un’azione di sfratto venga bloccata
in qualche modo come succede altrove. Chi viene sfrattato
deve lasciare immediatamente l’immobile. E tra l’altro il
numero di questi sfratti non è
certo trascurabile. E poi moltissimi palazzi vengono restaurati
e successivamente abbandonati
senza senso per anni, magari
solo perché, come troppo spesso accade, le istituzioni non si
mettono d’accordo su chi debba gestire l’immobile all’indomani dei lavori.
“Potrebbero diventare spazi
per ragazzi – continua padre
Tarascio - invece di restare
chiusi. Non spazi solo religiosi
o giocosi, ma anche spazi culturali. Noi abbiamo una biblioteca che già chiamarla tale è un
eufemismo. Per esempio quella
di Canicattini, che è un paese
molto più piccolo di Siracusa,
è più fornita. Ma il problema
vero di Ortigia sta diventando
la totale e crescente sfiducia dei
residenti. Non so fino a quando
si potrà reggere questa situazione perché le stesse povertà
resistono fino a quando possono. C’è una marea di gente
che viene qui non a chiedermi
soldi, perché non c’è bisogno
di quelli, ma viene a chiedermi
la pasta. Quanto si può resistere così? In periodo di elezioni
sono tutti presenti. Poi scompaiono. I problemi rimangono. La gente ha problemi seri
e mancano le cose essenziali:
tetto, acqua, elettricità, igiene,
cibo, gas. Molte persona stanno davvero male. La gente ha
la dignità, vorrebbe comprare
con i propri soldi, ma i soldi
non ci sono. E’ chiaro che poi
diventa difficile se hai tre figli
a cui dare da mangiare rifiutare
i € 100 che ti vengono dati per
spacciare droga. In Ortigia non
c’è nessuno che ti aiuta”.
Quali sono dunque i motivi
per cui la gente va via da Ortigia?
“Fondamentalmente non conviene stare in Ortigia perché se
qui pago un certo affitto per 45
m², nella parte alta di Siracusa
con la stessa somma ne prendo
uno da 90m². E poi vendere in
Ortigia rende! I prezzi sono altissimi, un secondo piano alla
Giudecca viene venduto come
attico”. E poi il problema della
spesa. “Per comprare l’acqua
devo uscire fuori da Ortigia
perché qui l’acqua costa mediamente un terzo in più rispetto al resto della città. E tutto
rientra nel progetto turistico.
Perché si paga € 2,50 una bottiglia che il negoziante paga €
0,30? Basta passare il ponte e
uscire da Ortigia che il prezzo
si abbassa”.
E poi ancora c’è il problema
culturale: “Il liceo classico
Gargallo ha la sua sede naturale qui ma nessuno si è mosso
per riportarlo in Ortigia. Non si
è messa una mano per ristrutturarlo. Ortigia dovrebbe essere
fonte di cultura e invece per i
siracusani è solo la passeggiata
il sabato e la domenica. E’, poi,
secondo me, impossibile che
Siracusa non abbia un’università autonoma. Con la cultura
siracusana si potrebbe parlare
benissimo di università, ma la
mente politica è impegnata in
altro. Il progetto politico su
Ortigia è esclusivamente turistico e tutto ruota intorno a
questo. Ovviamente se io ho un
progetto del genere non vedo
l’ora che i pochi residenti che
ci sono se ne vadano così posso
comprare le case per renderli
hotel, alberghi e B&B”.
Padre Tarascio si chiede dove
sia la cultura a Siracusa. Si
chiede perché non ci sia nessuna iniziativa, nessun circolo
culturale. “È grave. Siracusa
è stata una città culturale, da
Archimede a Elio Vittorini.
La cultura è ciò che cambia
il mondo. Possiamo fare tutti
i porti turistici che vogliamo,
ma se non c’è cultura non
cambia niente. È per esempio
assurdo che, nonostante la
presenza del teatro greco non
ci sia una compagnia di teatro
stabile a Siracusa”. Si tratta
dunque di una situazione di
collasso, difficile da contenere
e reggere.
“Cosa ne vogliamo fare di Ortigia? A noi che ci sia un’Ortigia turistica sta benissimo, ma
non si può dimenticare l’Ortigia abitata”, è l’appello di
padre Tarascio che vede ogni
giorno delle realtà a cui invece
noi non dedichiamo neppure
un singolo pensiero nel corso
delle nostre giornate. Sono realtà che, se viste in televisione, ci fanno dire “poverini”,
“che brutta situazione”, “ma
perché nessuno fa niente”, ma
che poi evidentemente releghiamo in fondo al carico di
pensieri quotidiani se non ci
accorgiamo che quelle stesse
realtà le troviamo vicine, vicinissime magari proprio nel
vicolo accanto a quel negozio
così chic al centro di Ortigia.
8
14 Novembre 2009
VIAGGIO NEL MONDO DELLE COMUNITA’ AL
“Nel nostro paese un’altra comunità ha chiuso. Ma sopravvivere è sempre più difficile”
Spadaro (Sodalis onlus di Floridia): “E’ da più di un anno
che il Comune deve darci le rette per 12 extracomunitari”
Per la Regione Siciliana, la ricerca di misure alternative all’istituzionalizzazione dei minori si è tradotta, a partire dagli anni ottanta, in un impegno,
anche finanziario, nel promuovere l’incremento in
tutta la regione di strutture residenziali aperte per
minori sottoposti a provvedimento dell’autorità
giudiziaria minorile, le comunità-alloggio. Scopo
dichiarato quello di offrire a questi minori che vivono in condizioni di disagio, spesso familiare, di
violenze subite, di situazioni di marginalità sociale che inducono i giudici ad imporre l’allontanamento dalla famiglia, un ambiente a dimensione
familiare adeguato a restituire sicurezza e protezione così da promuovere uno sviluppo armonico
dell’identità sociale e individuale. Queste strutture
di accoglienza hanno subito un considerevole incremento negli ultimi anni. In particolare nel 2007
si è registrato un aumento pari al 40% rispetto al
2001.
All’interno di questo potenziale successo dell’assessorato regionale per la famiglia, le politiche
sociali e le autonomie locali, si insinuano dati che
rimandano all’instaurarsi di un clima di sostanziale
regresso culturale. Si sente di comunità che, vicine
al collasso economico, accusano i Comuni di non
volerle pagare; di operatori che, in precario equilibrio tra moti di stizza nei confronti di Comuni
pseudo inadempienti e pericolosi lanci di accuse
verso datori di lavoro dalla politica ben poco trasparente, lamentano di non essere retribuiti pur
percependo regolari buste paga; di minori (di cui
ci arriva solo l’eco di flebili richieste di aiuto, bizzarro: gli unici che sarebbero autorizzati ad urlarle
le loro richieste!) abbandonati a se stessi pur nel
perpetuarsi di situazioni di disagio. Intanto, nel
bel mezzo di questa sotterranea battaglia sociale,
nell’avvicendarsi di lamentele ed accuse, si fa strada ed emerge prepotente un dubbio: forse le tanto
decantate comunità, così come l’intero sistema di
tutela approntato, non sono poi così efficienti come
i resoconti statistici, con i loro rosei numeri, vorrebbero farci credere.
La salvaguardia delle garanzie di tutela di questi
minori rende impellente un approfondimento della
situazione in essere nella nostra provincia. Decidiamo di testare il sistema vivendo in prima persona l’esperienza della comunità. La nostra scelta
cade sulla “Sodalis Onlus” sita in Floridia che accoglie fino a 10 minori compresi tra i 4 e i 14 anni.
Ad accoglierci è Pietro Rosa, uno dei 5 educatori,
il quale si scusa per il disordine: “La fase che precede la cena, tra far fare le docce e cucinare, è sempre un momento un po’ critico”. Noi di disordine
non ne notiamo granchè, anzi, l’appartamento appare ben tenuto e di piccoli “Oliver Twist” affamati
e afflitti non ne scorgiamo affatto, al contrario, i
bambini ci appaiono ben nutriti, allegri e contenti di incontrarci. Dopo i primi convenevoli: “Vi
piacciono i babbuci? Li abbiamo raccolti noi”. “Vi
stanno invitando a cena”, tuona Pietro divertito.
A parlare è Gabriele, un ragazzino dall’aria vispa
che scopriamo poi essere il leader del gruppo. A
lui chiediamo se qui si sente in famiglia: “Questa
è la mia famiglia!”, afferma deciso. Ma è anche lo
stesso bimbo a cui sentiamo esclamare a gran voce
che se fosse realmente possibile tornare a casa sarebbe già a fare “a razzo” le valigie. Per quanto
qui si respiri un clima sereno e i bambini si trovino
effettivamente bene, ci spiega Pietro, il desiderio di
una mamma e un papà che ti rimboccano le coperte
la sera e al mattino, sono di nuovo lì prodighi di
cure ed affetto, è sempre riposto con cura nel cuore
di ogni bambino per quanto, spesso, si tratti di uno
scenario tutt’altro che realizzabile nel contesto familiare d’origine.
Approfondiamo con Pietro la figura dell’educatore
professionale. Ma chi è l’educatore professionale?
“E’ l’operatore che, ci spiega, dopo avere acquisito una preparazione specifica di carattere teorico
pratica, svolge la propria attività attraverso l’attuazione del progetto educativo di minori, disabili,
tossicodipendenti, anziani e malati di mente. Mancando una legge quadro nel settore assistenziale,
continua, non esiste ancora un riconoscimento dello status giuridico “dell’educatore professionale”,
che viene inquadrato al sesto e al settimo livello.
Viene riconosciuto educatore, sintetizza, chi è in
possesso della laurea almeno triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione”. Pietro,
laurea in triennale in Scienze dell’Educazione,
specializzazione in Scienze Pedagogiche, master
in Pedagogia clinica, non evita di sottolineare che
accanto a tutti questi titoli, per quanto altisonanti, occorre un requisito fondamentale che nessun
titolo di studio può assicurare: tanta passione e
amore per quello che è un lavoro al servizio degli altri. “Basilare è riuscire a stabilire un contatto
con l’utente, sottolinea, e per questo occorre una
formazione adeguata ma anche un’inclinazione
personale. Occorre una grande apertura mentale: il
sapersi porre libero da ogni preconcetto e disponibile ad ogni nuovo input. La comprensione della
persona diviene del tutto inutile se poi con quella
persona, con cui devi concretamente lavorare, non
riesci a instaurare un rapporto di fiducia, un canale
di sana comunicazione.
Nel caso dei minori, si inserisce l’educatrice Mollica, questo risultato consente di porre le basi del
processo educativo, di stimolare almeno la disponibilità a intraprendere un percorso guidato che
alla fine li dovrebbe portare al raggiungimento
di un obbiettivo ben definito in un arco di tempo
prestabilito. Durante questo percorso essi saranno
aiutati ad accettare l’idea della comunità, ad integrarsi nel gruppo, a lasciarsi alle spalle il fardello personale o a sentirne meno il peso trovando
nell’educatore una figura di riferimento incline a
favorire momenti di spontanea apertura, preziosissime perle incastonate in questo cammino.
Chiediamo a Pietro, che ha lavorato presso diverse
strutture, quali siano le principali difficoltà riscontrate. “Sicuramente, ci spiega, il problema più ostico è quello di garantire la continuità, caratteristica
fondamentale dell’azione educativa dato che l’educatore, essendo la famiglia spesso assente o carente, deve sostituire e integrare in molti casi i ruoli
familiari. Ma nel perpetuo rinnovarsi delle figure
educative, scenario altrove per lo più costante, ciò
diviene praticamente impossibile”. Ogni volta che
un educatore sparisce vanifica i risultati raggiunti,
occorre ricostruire gli equilibri, già messi a dura
prova ogni qual volta si verifica l’ingresso di un
nuovo minore. “Sarà la mancanza di una profonda
motivazione, chiarisce, o più spesso l’esigenza di
una famiglia da mantenere, del mutuo da pagare
che non può certo attendere i lunghi tempi comunali, o ancora l’intenso coinvolgimento emotivo
ma alla fine il risultato si ripete: molti mollano!”
Inevitabile chiedere se non gli siano mai sorti dubbi sulla buona fede di qualcuno dei titolari delle
comunità.
“Quando il direttore della comunità di Canicattini,
presso cui lavoravo e ormai chiusa proprio perché
le sovvenzioni comunali si sono lasciate attendere un po’ troppo, chiese disperato a me, allora
coordinatore, di fargli da portavoce e di chiamare
personalmente l’ufficio di competenza di Siracusa
per cercare di recuperare i soldi anticipati per 10
ragazzi egiziani dai 14 ai 18 anni (alcuni, poi, risultati molto più grandi) accolti il settembre dell’anno
prima, come risultato mi sono visto elegantemente rimbalzare da un ufficio all’altro senza ottenere altra risposta che un odioso: devo controllare.
Quando, dopo innumerevoli tentativi, ho finalmente ottenuto il responso di stanziamento e a questo
è seguito un insopportabile: adesso per ottenere i
soldi occorre attendere i tempi burocratici; quando
tutto ciò mi ha travolto personalmente, solo allora
ogni dubbio è sparito e dal mio ex direttore non
ho preteso più niente, ho fatto l’unica cosa in mio
potere: cambiare comunità”.
Finalmente l’attenzione torna sui ragazzi, cinque
in tutto. Li seguiamo in giro per le camere da letto
del loro appartamentino che, ben tenute, conservano tracce del loro vissuto e del loro presente,
vecchie foto, qualche giocattolo nuovo, qualche
vestito abbandonato sul letto. Si divertono a farsi
fotografare, quasi a voler immortalare una fecondità nascosta che per quanto possano aver sofferto
non si è lasciata totalmente estinguere, per loro
parlano i gesti, gli sguardi e Gabriele che ci tiene
a regalarci un resoconto ben dettagliato delle loro
giornate. Resoconto da cui traspare non solo la
stima e l’affetto di questi bambini per i loro educatori, presentati con orgoglio ad insegnanti e compagni, ma anche l’impegno di queste persone nel
portarli a scuola, nel seguirne gli studi, nel condurli
dal dottore, nel vivere alla giornata ogni problema
ma anche ogni sorriso.
Con la signora Cettina Spadaro, responsabile
della comunità, affrontiamo le difficoltà insite
nella gestione di una simile struttura. Sguardo
appassionato e parole toccanti, nel suo lavoro la
presidente sembra crederci davvero. Ed è molto
chiara nell’esporci le problematiche di chi si trova
costretto ad anticipare grosse somme dato che i
Comuni pagano poco e con enormi ritardi. “E’ da
più di un anno, sbotta, che tra solleciti e litigate con
funzionari che, non di rado, ci hanno gentilmente
invitato a lasciare i loro uffici e a non disturbare
il quieto e regolare svolgersi dell’altrui lavoro,
attendiamo che il Comune di Siracusa si decida a
pagarci per il servizio reso a 12 ragazzi extracomunitari. E in quel periodo le spese non si riuscivano
nemmeno a contare! D’altro canto, continua,
ci sono le difficoltà di chi si ostina a non voler
applicare la logica del risparmio, di chi si rifiuta
di sacrificare le esigenze “primarie” di questi
bambini già sufficientemente provati dalla vita.
Abbiamo sempre agito, incalza, nel tentativo
di offrire loro non solo lo stretto necessario ma
tutto ciò che potesse regalargli una normalità
ma anche qualche gioia in più. Ed è proprio
con questa logica che la scorsa estate abbiamo
affittato, alla modica cifra di1500€, una casa
al mare zona Avola. Anche questi bimbi hanno diritto ad un po’ di svago, ad una adeguata
vita sociale. E le loro famiglie non possono
permettersi il lusso nemmeno di idealizzare
su possibili vacanze”. Una domanda irrompe
spontanea: “Ma all’esterno non incontrate alcu-
na solidarietà?”. “1500€ di affitto vi sembrano
solidali?”, ironizza e prosegue: “Vince la logica
del mercato e del guadagno. Mai avuto regali
né tantomeno trattamenti di favore, l’unico regalo sono le nostre volontarie che ci sostengono
con il loro validissimo aiuto”. Non resiste e si
lascia scappare una esortazione: “Ogni tanto si
dovrebbe uscire dal proprio guscio di egoismo
e guardare oltre, così da accorgersi che oltre
la nostra ci sono altre e diverse realtà su cui il
nostro occhio potrebbe e dovrebbe posarsi, la
nostra mano aprirsi in un aiuto”.
Ma se questo è il contesto come fate a sopravvivere?
“C’era un’altra comunità a Floridia ed ha chiuso. Noi finora abbiamo resistito perché alla
base c’è tanta convinzione, soprattutto la mia:
quando gli altri soci volevano chiudere io ho
detto no e per fortuna l’ho spuntata!”. Gli piace
sottolineare, però, che buona parte del merito
è di quei pochi educatori che, soprattutto agli
inizi, mentre la maggior parte fuggiva per i turni troppo impegnativi e la paga modesta hanno
puntato i piedi e sono rimasti per amore di quei
bambini che in quel momento avevano bisogno
(bambini che spesso o per negligenza o per logiche di risparmio vengono rituffati in ambienti
di disagio e abbandono) e per atto di fede in
questa comunità che tanto aiuto ha dato e tanto
può ancora darne. “Proprio in questi giorni, si
sfoga, avrebbero dovuto portarci 6 bambini ma
all’ultimo momento il Comune di Siracusa ha
optato per una comunità a retta regionale. Così,
per noi, sopravvivere è sempre più difficile!”.
“Qui qualcuno mente. Nessuno ha chiesto di i
L’ass. Castagnino: “L’istituto dell’a
A Siracusa ci sono 24 famiglie
Assessore Castagnino, le Comunità-Alloggio della provincia lamentano
di non venire pagate o, comunque, fortemente in ritardo, con tutte le
problematiche che ciò può comportare. Cosa può dirci in merito?
“Questa situazione riguarda più che altro il passato. Attualmente, con la riorganizzazione degli uffici, possiamo ben affermare che gli intoppi burocratici si
sono notevolmente ridotti. Ma i problemi economici delle comunità-alloggio,
più che da lentezze burocratiche, hanno origine dal fatto che le spese legate
al sociale sono difficilmente prevedibili: è obbiettivamente impossibile far
coincidere il bilancio di previsione con le attività sociali. Così, ad esempio,
con riferimento al caso concreto, è difficile prevedere quanti ragazzi saranno
effettivamente sottoposti a questo tipo di servizio. A estremizzare tale imprescindibile peculiarità interviene la circostanza che molti dei minori affidati alle
comunità non sono di nazionalità italiana bensì extracomunitari che, giunti
in Italia clandestinamente, vengono trattati, per la legge presente, alla stregua di minori italiani abbandonati. E data la continuità degli sbarchi, la spesa
sociale viene notevolmente ad accrescersi risolvendosi in un vero e proprio
enigma. Urge precisare che quello della mancanza di fondi è un problema che
va affrontato congiuntamente anche con i tribunali in quanto, molto spesso,
avviene che il Tribunale dei minori nomini come tutore il Comune di Siracusa
che, però, in quel momento, non ha fondi per fronteggiare l’emergenza mentre
magari ce li ha un altro Comune. Dunque, emerge l’esigenza di realizzare un
collegamento di rete affinché ci sia immediatezza”.
Nonostante la riorganizzazione da lei dichiarata molte comunità continuano a esprimere disagio e molte sono state costrette a chiudere.
“Questo perché le comunità vivono le dinamiche di una vera e propria gestione
aziendale, si trovano infatti a sostenere tutta una serie di spese (in primis per
struttura e personale) anche quando all’interno non ospitano alcun minore.”
In realtà molte hanno chiuso pur alloggiando tanti minori, non venendo
rimborsate non erano più in grado di anticipare grosse somme; e la maggior parte di quelle tuttora in essere asseriscono di avanzare ancora soldi.
“Per quanto riguarda Siracusa è poco probabile avendo già provveduto a
pagare tutte le quote che dovevamo alle Comunità. Addirittura, per gli immigrati, non solo abbandonati, abbiamo ricevuto un rimborso di 800.000€.
Chi rientra in questo ipotetico elenco di comunità insoddisfatte?”
Tra le tante la “Sodalis Onlus” di Floridia.
Segue una telefonata. A una certa “dottoressa”, all’altro capo del filo, chiede
se per caso siano in ritardo con i pagamenti con la comunità in questione.
Dopo aver riattaccato, ci spiega che effettivamente c’è un ritardo relativamente a dei minori immigrati che, però, a suo dire, è giustificato dalla circostanza che il tribunale dei minori ha ritardato nella nomina del tutore per
cui, poi, si è creata una situazione di confusione in cui non si riusciva più a
capire se il tutore individuato fosse il Comune di Siracusa o quello di Floridia. “Dato che fino ad ora non si è in grado di venirne a capo, proprio oggi
abbiamo deciso di pagare noi”, conclude soddisfatto.
Come mai ci sono casi in cui non è chiaro chi sia responsabile del minore?
“Può avvenire che ci sia uno sbarco, la Prefettura invia i minori in una struttura ma non viene nominato immediatamente un tutore. In tal caso si innescano tutta una serie di problemi burocratici non facilmente risolvibili che
finiscono per dilatare notevolmente i tempi dei pagamenti”.
Ma nell’attesa che si sveli il “mistero tutore” a chi spetta finanziare la
Comunità in questione?
“A nessuno. A noi, no di certo: se non siamo nominati tutori a che titolo
possiamo pagare?”
In una situazione in cui gli organismi strutturati per la tutela dei minori,
primi fra tutti le comunità, conoscono una forte crisi come pensate di
garantire la tutela dei minori disagiati?
“Ci stiamo impegnando puntando sul potenziamento dello strumento dell’affido che consente non solo di erogare un servizio migliore, in quanto si dà
la possibilità al minore di crescere all’interno di una famiglia anche se di famiglia affidataria si tratta, ma presenta anche il vantaggio di dover sostenere
dei costi notevolmente più bassi. Inoltre, dato non trascurabile, le famiglie
affidatarie sono tante, circa 24 in questo momento nel Comune di Siracusa, e
non solo sono disponibili ma hanno anche le caratteristiche per poter prendere in affido un bambino. Per non parlare della possibilità di affidare i minori a
famiglie di parenti. Finora la politica della Regione è stata quella di favorire
e incrementare le comunità-alloggio, adesso occorre che la politica guardi
all’affido come a uno strumento su cui investire”.
Lodevole puntare sull’affido quale strumento preferenziale di tutela ma,
volendo trascurare i casi in cui è lo stesso Tribunale dei Minori a rendere
obbligatorio l’inserimento del minore in Comunità, non si può comunque trascurare che l’affido parentale non sempre è possibile (c’è, infatti,
chi non ha nessun familiare o questi non è in condizione o disponibile)
14 Novembre 2009
9
Servizi di DANIELA DE LUCA
LLOGGIO. COMUNI E REGIONE NON PAGANO
In una struttura “privilegiata” perchè pagata direttamente dalla Regione e non dal Comune
Fontana (Coop. Eden): “Prima i soldi in due tranches
Con Lombardo in quattro rate. Da 9 mesi senza stipendio”
La nostra bella Siracusa, col suo peculiare fascino e le sue innumerevoli contraddizioni, cosa
può confidarci sul mondo delle comunità alloggio? Prima di accingerci a esplorare il nostro
territorio urge chiarire e in ciò ci viene in aiuto
la dottoressa Pina Marangi, assistente sociale del
servizio di educativa domiciliare rivolto ai minori gestito dalla “Luigi Monti”, comunità per minori ubicata in via Favara a Siracusa, la quale ci
spiega perché alcune comunità siano pagate dalla
Regione mentre altre dai Comuni.
“Quando le Comunità cominciarono a divenire un peso ormai insostenibile per la Regione spiega la dottoressa - questa intervenne tagliando
i fondi. Per cui, pur dovendo tutte le comunità
essere iscritte all’Albo Regionale (occorre comunque l’autorizzazione al funzionamento da
parte della Regione), alcune, quelle più antiche,
come la “Luigi Monti” di Siracusa, hanno anche
il finanziamento da parte della Regione, per le
altre, invece, saranno i Comuni a pagare di volta
in volta per ogni singolo minore inserito, previa
stipula di apposita determina dirigenziale con la
comunità di accoglienza”.
In via Damone, n.4, in una delle zone nevralgiche della città, si trova la “Cooperativa Sociale
Eden” – Comunità-Alloggio “Arenella”, che,
nata nel ’98, rientra tra le comunità etichettate
come privilegiate in quanto pagate direttamente
dalla Regione che rispetto ai Comuni, a quanto
si sente dire, dovrebbe essere più generosa e puntuale nei pagamenti. Verifichiamolo chiacchierando con la dottoressa Teresa Fontana, assistente sociale e responsabile della comunità.
Invitata ad erudirci sulle logiche alla base di
queste strutture, essa esordisce sottolineando che
quello della comunità è un periodo di transizione
durante il quale, dopo un primo mese di osservazione necessario per tirare fuori un progetto educativo individuale, si lavora sul minore aiutandolo nel perseguimento dell’obbiettivo individuato
che è comunque sempre un obbiettivo flessibile
e verificabile, commisurato al tempo della sua
permanenza nella struttura. E, in ogni caso, l’obbiettivo principale è sempre quello di favorire il
rientro del minore, possibilmente arricchito di
qualcosa di nuovo, nella sua famiglia. Ma, per
riuscire in questo ambizioso progetto, decisivo,
anche se difficilmente realizzabile, risulta lavorare in equipe allargata, in collaborazione con i
servizi sociali del territorio, quindi ricorrendo
incontrarmi per manifestare un malcontento”
affido darebbe un servizio migliore
in grado di educare i bambini”
e in generale l’affido non sempre è una via perseguibile. Basti pensare
ai vari adolescenti difficili: sono pochissime le famiglie disponibili e soprattutto preparate ad accoglierli addossandosene tutte le problematiche.
E, in ogni caso, l’affido richiede dei tempi piuttosto lunghi ragion per
cui nell’emergenza (caso tipico quello dell’unico genitore che vedendosi
costretto ad andare al lavoro, pena il licenziamento, e non avendo a chi
affidare il minore si rivolge disperato ai Servizi Sociali) bisogna necessariamente appoggiarsi alle comunità, solo successivamente ci si può avvalere dell’osannato strumento. Permanendo il bisogno di queste strutture
permane anche il problema della loro sopravvivenza. Come intervenire?
“Queste difficoltà, comuni ai sindaci di tutti i Comuni, sono state portate sul
tavolo della 328. Si sta valutando la possibilità di potenziare questi servizi
per i Comuni che si trovano in grossa difficoltà compreso il nostro”.
E’ chiara la preferenza dei Comuni per le comunità a retta regionale ma
nell’optare per queste comunità viene attenzionato anche il lato qualitativo
del servizio erogato, ciò che la struttura è in grado di offrire al minore?
“All’interno del territorio delimitato dal tribunale, la scelta sta ai Servizi Sociali che decidono, sulla base della valutazione della situazione del minore, la
comunità che ritengono per lui più opportuna a prescindere dai costi.
Così avviene che si predilige la struttura a maggior prevalenza maschile o femminile o ancora quella in cui è già presente un fratello o una sorella, al fine di
garantire l’unità familiare. Gli assistenti sociali elaborano una relazione tecnica
alla quale noi, come Ufficio, ci atteniamo. E’ chiaro che a parità di qualità si
decide per la struttura più economica, sarebbe ingiustificabile il contrario.”
Eppure, nonostante le particolari attenzioni menzionate, molti minori
sono stati affidati a comunità in cui gli educatori non solo si rinnovano
continuamente ma non sono neanche qualificati per il ruolo ricoperto.
Un tale risultato esclude lo svolgimento di un accurato controllo di qualità in ingresso. E se nessuna segnalazione su tale stato di fatto è a lei
giunta da parte dei Servizi come spiega il verificarsi di ciò? Superficialità da parte dei Servizi Sociali? Oppure le segnalazioni effettivamente ci
sono state ma lei non ne è a conoscenza?
“I controlli sulle Comunità spettano alla Regione: le comunità sono iscritte ad un
Albo Regionale. La sussistenza di tale iscrizione è per noi garanzia sufficiente.”
Questo giustifica i Servizi a chiudere gli occhi ignorando l’eventuale disagio minorile?
“No di certo. In ogni caso a me personalmente non è mai giunta alcuna segnalazione, qualora ciò fosse accaduto avrei senza dubbio predisposto dei
controlli. E’ anche vero che, a volte, ci troviamo in condizioni particolari
qualora i minori vengano mandati fuori dal territorio provinciale, circostanza
nella quale effettuare un’attività di controllo risulta davvero complesso. In
ogni caso, condizioni particolari o estreme comprese, finora non mi è mai
pervenuta alcuna lamentela di inadempienza dell’Ufficio. Nel verificarsi di
una tale evenienza sarei disponibile all’incontro e al dialogo”.
Le comunità denunciano anche casi di minori prematuramente reinseriti nel contesto familiare d’origine senza alcun riguardo per un processo
educativo ancora in pieno corso e con il risultato non solo di far ripiombare il minore in una situazione di disagio e abbandono ma anche di vanificare i risultati intermedi raggiunti. Ancora un problema di mancata
segnalazione o inadeguatezza dei Servizi Sociali?
“Mi chiedo perché i responsabili di queste comunità, così frustrati, non vengano a parlare direttamente con me che sono l’ente pubblico di riferimento.
Nessuno, ne sono sicuro, ha mai chiesto di incontrarmi. Nessuna forma di
malcontento ha conosciuto formalizzazione ufficiale, non esiste alcun documento che attesti diversamente”.
Qui, evidentemente, le possibilità sono due: o qualcuno all’interno delle Comunità mente, perché vuole guadagnarci, o i Servizi Sociali non svolgono
adeguatamente il loro lavoro. Status quo: le comunità sostengono di non venir
pagate, o per lo meno fortemente in ritardo, così come molti educatori; il Comune si vanta di aver ormai regolarizzato i pagamenti riorganizzando l’intero
sistema e, comunque, di non aver mai ricevuto in merito formali reclami da
parte di nessuno. “Nessun reclamo è mai giunto al mio assessorato - rimarca
con foga l’assessore Salvatore Castagnino - e la mia posta è sempre colma”
(se la legga, però, non lo precisa). “In ogni caso – conclude - qualora qualcuno
si facesse avanti, rimango disponibile al dialogo”.
E, intanto, in questo groviglio di accuse e scuse, con rilanci all’inverosimile,
in questa caccia al tesoro di probabili tutori e, dunque, debitori, che ci lascia
mille dubbi e nessuna risposta, a rimetterci sono proprio questi minori che
continueranno a chiedersi, così come tutti noi, se alla resa dei conti qualcuno
si preoccuperà davvero di garantirne la tutela o se la loro vita, già abbastanza
segnata, non sia inesorabilmente appesa ad un filo sul punto di spezzarsi così
da farli precipitare nell’indifferenza più totale.
allo strumento della mediazione familiare così da
poter agire, secondo un concordato programma, anche sulla famiglia, vera depositaria dei problemi del
minore, quindi nel contesto in cui il minore viveva
e ritornerà a vivere, così che al suo reingresso trovi
un ambiente idoneo ad accoglierlo. Quando ciò non
è possibile si lavora in alternativa, quando l’età lo
consente, sull’autonomia sociale del minore.
Altro tassello fondamentale: “Occorre agire come
gruppo, argomenta, sia pure con libertà nell’approccio e nel modo di interfacciarsi, ma al fine di comunicare stabilità e coerenza si deve operare seguendo
un filo comune, all’unisono: tante teste ma una sola
voce per il raggiungimento di un unico concordato obbiettivo. Il lavoro di equipe deve trasparire in
ogni atto, come ad esempio mantenendo come dato
di fatto la punizione impartita da una collega che ci
ha preceduto e che ha provveduto ad appuntare questa come altre comunicazioni nel cosiddetto “diario
tecnico” che, lasciato in consegna ad ogni operatore
che deve debitamente compilarlo, non è altro che
un mezzo di aggiornamento istantaneo di quanto accaduto nel proprio turno”. Intuendo la nostra
perplessità si affretta a chiarire che questo risultato,
non sempre realizzabile, è merito delle continue riunioni, che coinvolgono a volte solo gli educatori,
altre l’intera equipe, comprendente tra l’altro anche
uno psicologo, un pedagogista e un assistente sociale. “Se qui il clima è sereno e tutte le attività si
svolgono con regolarità, commenta, il merito è essenzialmente della sovrastruttura e della sua équipe
che è riuscita a imporre delle regole che vengono
percepite non come ordini ma come linee di correttezza fondamentali per una sana e armonica convivenza. Ovviamente, prosegue, non abbiamo a che
fare con dei computerini per cui è sufficiente imputare dei dati, basilare per raggiungere simili risultati
è il dialogo, bisogna realizzare quello che potrebbe
definirsi l’incontro tra due mondi, il nostro e il loro,
dimostrare dunque una certa flessibilità, ma quando
occorre anche indiscutibile autorità. Rispetto al tutto
che viene dato ben poco viene loro richiesto e quel
poco, ne acquisiscono pian piano consapevolezza, è
esclusivamente per il loro bene”.
Quando ci addentriamo sul personale non si nasconde e ci racconta come sia difficoltoso conciliare questo lavoro, che lei vive come una “missione” con la
vita personale. “Non è facile far accettare a chi ci sta
accanto che una parte di noi è sempre votata a qualcun altro o meglio a tanti altri. C’è un carico emotivo che ci si porta dietro come in una borsetta e che
lì deve rimanere confinato quando si interagisce con
queste ragazze a cui non possiamo certo rischiare di
trasferire ulteriori tensioni. Così come non è facile,
ma si acquisisce solo nel tempo, il giusto distacco,
la rigorosa professionalità, dovuta quando si opera
in questo settore. Non puoi concederti sentimentalismi, tuona, devi trattare ogni caso con razionalità
e discernimento. Se ti capita di commuoverti, aggiunge, puoi piangere dentro o in solitudine, ma al
momento nessuna lacrima deve rigare il tuo volto”.
E’ indiscutibile come qui si vada oltre il normale e
corretto svolgimento del proprio lavoro entrano in
gioco motivazioni più profonde che nascono dal
cuore. La solidarietà è palpabile. Determinazione e
passione alimentate da un grande spirito di umanità
sono le costanti che scandiscono le giornate, che sostengono azioni ed interventi.
Abbandoniamo il confortante lato umano per affrontare lo spinoso e tanto dibattuto tema economico, certi di trovare, almeno in questo caso, in quanto
trattasi di comunità a retta regionale, un riscontro
positivo. Chiediamo, quindi fiduciosi, se siano regolarmente retribuiti dalla Regione. “Macchè, irrompe
la dottoressa Fontana, sono più di 9 mesi che aspettiamo di essere pagati e, quindi, che non percepiamo
stipendio”.
Apprendiamo tristemente che anche le invidiatis-
sime comunità a retta regionale, preannunciateci
come isole felici, predilette dai Comuni in quanto
finanziate dalla Regione, hanno i loro bei problemi
con i pagamenti. E’ vero, infatti, che è la Regione a
pagare ma non così puntualmente e mai in un’unica
soluzione, almeno in due tranches e, dopo l’insediamento della nuova compagine politica, anche in
tre o quattro. Con il Presidente Lombardo, inoltre,
l’iter si è notevolmente complicato rasentando il farraginoso: i soldi stanziati escono dalla Regione per
entrare in un altro ufficio che si occupa, a sua volta,
di emanare i mandati per tutte le province, solo diversi mesi dopo il mandato giunge finalmente nelle
casse della Ragioneria comunale. E fino ad allora il
Comune non esce un euro! Dunque le delibere vengono preparate solo dopo l’arrivo dei soldi.
“Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci
anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi,
dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma
la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali
si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20
giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le
comunità-alloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero
2009) e soprattutto ci occorre per mandare avanti la
struttura”.
Con un residuo di speranza chiediamo se almeno il
finanziamento sia sufficientemente generoso.
“Mensilmente ci viene riconosciuta la copertura
del posto fisso, quindi per 10 ragazze, più la quota
giornaliera pari a 70,50€, calcolata in base ai giorni
effettivi che le ragazze trascorrono in comunità. Rispetto a quanto richiesto ai Comuni dalle comunità
solo autorizzate dalla Regione che, pur di accogliere
i minori si svendono per sole 40-45€ giornaliere, è
sicuramente generoso”.
Allo stato dei fatti, anche qui, ritroviamo gli stessi
problemi, gli stessi disagi, c’è sempre chi deve anticipare grosse somme, in questo caso la Coop. Eden,
e chi per diversi mesi deve rinunciare allo stipendio.
Da un’analisi generale emerge chiaramente come
esista il rischio concreto che la precarietà economica
delle classi comunali provochi, in un clima di sostanziale indifferenza, un abbassamento del livello
di protezione per i bambini e i ragazzi in condizione
di deprivazione e abbandono che abitano il nostro
territorio. Infatti, se da un lato sono aumentati gli
strumenti a disposizione degli operatori per la definizione delle migliori risposte ai bisogni dei minori
in difficoltà (affidamento familiare, case famiglia,
comunità etc.) dall’altro la necessità di razionalizzazione delle spese sociali (spesso usate a copertura di ragionamenti più propriamente politici) oltre
a mettere a rischio alcuni di questi strumenti, in
particolare le comunità, induce implicitamente alla
scelta degli strumenti meno onerosi economicamente, come il volontariato, con il rischio che situazioni
pesanti e gravose di minori segnati dalla propria storia personale finiscano per essere trattate in contesti
non qualificati professionalmente né adeguatamente
sostenuti e monitorati dai servizi sociali e sanitari
del territorio. Se non quando nel tentativo di razionalizzazione estremo si finisce per sconfinare nel
campo della superficialità e nella negligenza più
assoluta seppellendo sotto una coltre di inestricabile
silenzio storie di minori bisognosi di tutela e invece
abbandonati a se stessi.
In una situazione di fatto in cui quei settori, cui
spetta la scelta degli interventi da attuare, il loro
monitoraggio e il loro controllo (quali il servizio
sociale), hanno conosciuto una pesante riduzione
delle risorse economiche ed umane a disposizione e
in cui gli aiuti approntati, primi fra tutti le comunità
in questione, sono in forte crisi chi garantirà la tutela dei minori allontanati dalle famiglie e con quali
strumenti effettivi?
Tali e altre domande esigono una risposta. Al Comune di Siracusa oggi chiediamo una risposta.
10
14 Novembre 2009
Go-Bike, il sistema finora non... pedala. Un’idea: gratis la smartcard ai turisti
In altre città in uso il call a bike: ci si registra on line
si telefona al numero impresso sul telaio, si riceve l’addebito
di MARINA DE MICHELE
Un investimento complessivo
di oltre due milioni di euro tra
go-bike e pista ciclabile per
almeno sognare di essere un
po’ più vicini alla modernità,
all’esempio di alcune capitali europee come della nostra,
delle grandi metropoli del vecchio e nuovo continente come
di tanti altri comuni italiani che
già da anni hanno incentivato,
con appetibili proposte, il ricorso a una mobilità sostenibile grazie al servizio di bike
sharing e alla creazione di percorsi riservati alle due ruote.
Un progetto, quello delle due
ruote condivise, così vecchio,
l’anno di nascita è il 1989, da
indurre il suo ideatore, l’americano Pedro Kanof, a proporre
al presidente Obama di passare
direttamente a una rete di stazioni di sosta automatizzate,
con impianti di allarme e carica
batterie per le bici elettriche,
a disposizione però di tutti i
tantissimi proprietari delle due
ruote; inutile per Kanof pensare ancora alla bicicletta condivisa, esigenza di una società
un po’ più povera e soprattutto
meno sensibile alle problematiche ambientali, della mobilità a
zero emissioni.
Certo, altra realtà l’America,
non solo per Siracusa ma per
tutta l’Italia che solo nel 2000,
a Ravenna, ha inaugurato il primo bike sharing a sistema meccanico e ha dovuto attendere il
2004 per passare alla carta magnetica introdotta allora, per la
prima volta, nel comune di Cuneo. Ma nonostante il ritardo
un piccolo primato la città di
Siracusa l’ha comunque conquistato inserendosi tra i pochissimi comuni, ci risulta solo
tre, che hanno affiancato alle
bici normali quelle a pedalata
assistita, elettriche. Un sistema misto quindi per affrontare
più agevolmente le non poche
pendenze della città. Un “regalo” del ministro per l’ambiente Stefania Prestigiacomo alla
sua città, forse un po’ troppo
magnificato in quei giorni che
precedevano il G8, presentato
come un’assoluta innovazione
quasi non fossero già oltre 120
i comuni italiani con un servizio di bike sharing attivato (e
non solo 35 come si è scritto
sulla patinata rivista del comune giocando con le ambiguità),
ma che pur tuttavia ha consentito alla patria di Archimede di
vantare un qualche vantaggio,
un fiore all’occhiello, rispetto
alle consorelle del meridione,
di quel sud sempre affannato
nel rincorrere l’innovazione
quando questa è già diventata
senescenza, sempre ultimo nel-
la corsa alla modernità e all’opposto sempre al vertice delle
classifiche quando i parametri
indicano le negatività frutto
delle poco convincenti strategie di crescita e di promozione
elaborate dai suoi amministratori. Siracusa quindi in pool
position tra i comuni del sud e
tra le 39 città che fruiscono del
sistema elettronico, quello con
la smartcard.
15 cicloposteggi (a Parma sono
dotati di pannelli fotovoltaici!)
per ospitare però solo un centinaio (o duecento?) delle 450
(o 570?) biciclette acquistate.
Una confusione sui numeri: se
ne scrive uno nella rivista del
comune, se ne cita un altro nelle interviste! Un investimento complessivo da un milione
118mila euro a valere sui fondi
a disposizione del ministero
per il G8, di cui 500mila sono
stati utilizzati per i lavori di
installazione delle rastrelliere.
Un inizio comunque non felice.
A evidenziarlo, nei primi giorni
di agosto, lo stesso presidente
della FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) Antonio Dalla Venezia che, con
una lettera aperta al Ministro
per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, su sollecitazione
della locale sezione, stigmatizzava il mancato sostegno
dell’amministrazione comunale all’iniziativa.
“Ma come - lamentava Dalla
Venezia - nonostante la fortuna di aver ricevuto, “proprio
grazie al Suo personale interessamento”, un parco biciclette
utile per iniziare la battaglia
contro le emissioni di CO2 e
andare verso quelle politiche
di mobilità attuate in tutta Europa, il GO-BIKE non ha avuto
né una presentazione ufficiale,
né un convegno, né una vera e
propria campagna pubblicitaria?”
“Il servizio di noleggio è entrato in funzione il 21 aprile scorso - denunciava il presidente
della Fiab - ma sono poche le
biciclette bianco-verde che si
sono viste in giro. Poche decine
i virtuosi che si sono abbonati
anche perché accedere all’abbonamento è un po’ macchinoso: solo due ore al giorno, con
l’esclusione del sabato e della
domenica, presso la sede del
gestore. Increduli i turisti nel
sentirsi rispondere che le bici
sono al momento a disposizione solo dei residenti. Imbarazzati anche i vigili urbani che
non sanno cosa rispondere a
chi chiede informazioni. Oltre
allo spreco di risorse determinate da tale mancato utilizzo e
valorizzazione, è singolare che,
mentre da un lato l’European
Cyclists’ Federation chiede ai
sindaci di tutte le città europee
di firmare la Carta di Bruxelles per impegnarsi ad adottare
adeguate politiche della mobilità sostenibile, al fine di far
lievitare la media europea degli spostamenti in bici al 15%
di modal share entro il 2020,
in Italia ci siano città come
Siracusa, ma non è purtroppo
la sola, che non comprendono quale sia il ruolo strategico
della bicicletta come mezzo di
trasporto del futuro perché ad
emissioni zero”.
Impossibile per l’architetto
Giuseppe Amato, mobility-manager d’area, accettare le ingenerose accuse. Dichiarandosi
pervaso da stupore rispondeva
che solo “la complessità del
sistema tecnologicamente più
avanzato e ritengo primo (sic!)
in Italia” di bici tradizionali e
insieme elettriche aveva determinato un prolungamento dei
tempi ma che tutto era ormai
stato predisposto e accessibile
dal sito del comune. E poi continuava: “L’ulteriore difficoltà
nel consegnare beni comunque
del patrimonio pubblico ad
utenti che non fossero correttamente referenziati e registrati
nel database informatico ha posto in essere lo studio per una
strategia che renda più semplice la presa e l’utilizzo delle
L’avv. Giuliano: “A giugno volevo una bici, ho mandato una persona”
bici. Ma nel mese di settembre
saranno distribuite le tessere
pre-caricate a tutte le edicole,
tabaccai, attività commerciali,
presenti sul territorio e vicine
ai cicloposteggi, che aderiranno alle convenzioni, con il sistema della pre-iscrizione che
di certo non farà perder tempo
né a chi distribuisce tantomeno
agli utenti. Preciso ancora che
per l’autunno prevediamo la
possibilità del pagamento e registrazione via internet”.
Purtroppo le cose non sono andate così. Delle modalità complesse e farraginose per dotarsi
della tessera magnetica ci ha
raccontato Daniela De Luca su
questo settimanale e lo testimoniano anche i tre giorni della
signora Velia Aprile, assistente
dello studio legale Giuliano;
delle procedure telematiche al
momento neanche a parlarne;
di tessere precaricate non se ne
vede l’ombra.
In altre città è possibile “addirittura”, dopo l’iniziale registrazione on line, telefonare
al numero impresso sul telaio
della bicicletta, ricevere un
codice che consente di liberare il mezzo e avere l’addebito
direttamente sul conto telefonico: si chiama il call a bike.
Ma soprattutto, e questo ci
sembra una mancanza grave,
Questa la sconcertante cronaca
della disorganizzazione comunale
03/06/09: h. 11.00
Incarico una mia collaboratrice per la sottoscrizione dell’abbonamento del servizio Siracusa Go-Bike a mio nome.
La stessa, recatasi presso la sede della
City System in Via Adda n.9 con i moduli
scaricati dal sito del Comune compilati e
firmati, viene rimandata indietro poiché i
moduli non dovevano essere firmati solo
dove indicato ma in tutte le pagine.
04/06/09: h 10.00
rimando la stessa collaboratrice alla City
System ma la sede è chiusa. Sulla porta di
ingresso è affisso un cartello che indica
l’orario di apertura dalle 10.00 alle 12.00.
Alla stessa, dopo circa 30 minuti di attesa, viene comunicato da un impiegata
della GE.PA. che l’impiegato addetto al
servizio abbonamenti ha avuto un imprevisto presso il Comune e che lo sportello
non aprirà prima di una mezz’ora circa.
A questo punto la signora Velia Aprile si
reca allo Sportello Unico del Cittadino in
via San Metodio 38, altro ufficio preposto al servizio abbonamenti, ma anche qui
non è possibile abbonarsi perché l’impiegato che se ne occupa è in ferie e nessun
altro, le viene detto, ha la password per
l’accesso al servizio. Viene invitata a ritornare il giorno dopo.
05/06/09: h 9.30
la stessa collaboratrice si reca allo Sportello Unico del Cittadino in via San Metodio 38, l’impiegato le dice di aspettare
un attimo perché non essendo in possesso
della password deve attivarsi per ottener-
la e che in ogni caso è soltanto il secondo
abbonamento che fanno.
Trascorsi all’incirca 30 minuti, riesce ad
ottenere l’abbonamento chiedendo nel
contempo le modalità di ricarica della
carta Go-Bike.
Inizialmente le viene detto che si potrà effettuare la ricarica anche on-line attraverso
una login e una password che le viene fornita ma un altro impiegato più informato
smentisce il collega precedente ed informa
la stessa che al momento non è possibile
effettuare la ricarica online e che ogni volta sarà necessario recarsi presso gli uffici
postali ed effettuare la ricarica a mezzo
bollettino di c/c postale la cui ricevuta dovrà poi essere esibita e consegnata all’ufficio preposto e da lì sarà effettuata la ricarica della tessera in questione.
ai turisti la tessera viene distribuita gratuitamente. Così si
potrebbe promuovere la città e
accogliere simpaticamente chi
dovrebbe costituire il volano di
un settore strategico, o almeno
che dovrebbe essere tale, della
nostra economia.
Il servizio dunque appare per
certi aspetti carente e stenta a
decollare, sebbene si potrebbe
obiettare che è ancora presto
per fare bilanci. Forse la maggior parte dei siracusani che
vuole andare in bici ne ha già
una di proprietà, forse una naturale indolenza fa preferire la
più comoda automobile, forse,
anzi a nostro avviso sicuramente, una buona parte di responsabilità è da attribuire ad
albergatori ed esercenti poco
disponibili a promuovere l’iniziativa gratuitamente e a collaborare fattivamente per la sua
riuscita, segno anche questo di
una arretratezza culturale della nostra realtà. Fatto sta che
mentre in altri comuni già si
fanno i conti con la sproporzione tra domanda e offerta e così
si cerca di rimpinguare il “parco macchine” e di collocare
nuove rastrelliere, a Siracusa
gli abbonati sarebbero non più
di 150-200 e la maggior parte
delle biciclette restano inutilizzate, conservate chissà dove.
14 Novembre 2009
11
Nuovo appalto al ribasso, il 25% del primo. E scompaiono servizi essenziali come il monitoraggio
De Benedictis: “Il bike sharing è stato siracusanizzato
Servizio mai partito per drenare soldi dal ministero”
di MARINA DE MICHELE
È la Tecnicar, e non più la Citysistem, il nuovo gestore del servizio go-bike in città. Si è aggiudicata un appalto da 36mila euro
con un’offerta al massimo ribasso pari al 25%: circa 27mila
euro quindi. Quasi un quarto
rispetto al primo appalto, di sei
mesi come questo, da 110mila
euro e la riduzione si dovrebbe
spiegare con la soppressione di
una serie di obblighi contrattuali
che, secondo il consigliere comunale del partito democratico
architetto Riccardo De Benedictis, rappresenta un’eccezionale
chiave di lettura del futuro del
bike-sharing a Siracusa.
“Molte cose sono state eliminate rispetto al primo appalto
– evidenzia De Benedictis - È
scomparso il servizio relativo
all’iscrizione dell’utenza e così
il call center numero verde,
quest’ultimo poco comprensibilmente rimasto, nel primo
appalto, a carico dell’amministrazione. La domanda è a chi si
dovrà rivolgere ora il cittadino
per procurarsi le tessere elettroniche o avere informazioni. La
semplificazione è il risultato di
un sistema perfettamente funzionante e che procede quasi in
automatico, o si intende affidare ad altri, o gestire in proprio,
questi aspetti? È tutta la nuova
impostazione che apre eguali
perplessità dal momento che
viene cancellato tout court anche il servizio denominato “attività di sensibilizzazione e presenza istituzionale”. L’obbligo
per il gestore di predisporre iniziative di comunicazione legate al servizio per garantire una
presenza pubblicitaria nell’arco
del periodo di gestione era prima ben precisato. Ogni anno
si dovevano svolgere almeno
2 campagne di comunicazione
sui media per la comunicazione
editoriale o esterna e 3 presenze
in attività istituzionali legate al
servizio, esempio feste di piazza, domeniche ecologiche, conferenze stampa. Si è preso atto
che questi aspetti contrattuali
non sono stati rispettati e quindi
si è deciso di cassarli del tutto?
“Ma soprattutto è stato eliminato anche un ulteriore servizio
fondamentale: quello di analisi
dei dati statistici e report periodici che avevano cadenza trimestrale, vale a dire quanto necessario per valutare l’efficacia del
progetto, la qualità del servizio
e quindi apportare le correzioni
necessarie. Che ciò non esista
più è a mio avviso eloquente
del fatto che l’amministrazione
comunale naviga a vista anche
su un progetto importante come
questo. Ovviamente, privandosi
di un valido strumento di analisi dei dati e di report statistici,
non sarà in grado di apportare
quegli interventi correttivi e
di modifica utili a calibrare e
offrire un servizio più adeguato alle esigenze della città. La
conclusione logica è una: l’amministrazione non crede, non
vuole credere e non intende utilizzare risorse in uno strumento
di intermodalità come il bike
sharing. Ne è prova la somma
che si è deciso di investire, del
tutto inadeguata se ha dovuto
comportare una riduzione di
servizi indispensabili alla buona
riuscita del progetto. E seppure
ci si potrebbe trincerare dietro
le ristrettezze del bilancio, non
risulta che siano state studiate
soluzioni diverse, alternative,
semmai anche guardando alle
tante esperienze di altre realtà.
“La verità è un’altra: il bike
sharing è stato siracusanizzato.
Non un servizio parte integrante ed essenziale di un progetto
intermodale, articolato su più
versanti, per ridurre l’inquinamento dell’aria, decongestionare il traffico urbano e migliorare
la qualità di vita dei cittadini,
bensì quattro biciclette distribuite in città (il bilanciamento
è uno dei pochi servizi rimasto
in piedi). Nell’ambito delle best
practices, il servizio delle bikesharing a Siracusa avrebbe dovuto rappresentare un vanto per
l’amministrazione comunale,
un’esperienza da portare avanti
con successo, un esempio per
gli altri comuni, e invece ci
viene consegnato un servizio
mai partito, oggi ulteriormente
penalizzato, che è servito solamente a drenare a Siracusa soldi del Ministero”. “Ma forse ci
saremmo meravigliati se le cose
fossero andate diversamente”,
chiosa De Benedictis.
Rimane lontana l’Europa dove
molte città, Lione, Parigi, Londra, Barcellona, Stoccolma e
via elencando, hanno preso accordi con compagnie pubblicitarie che forniscono al comune
migliaia di biciclette a titolo
gratuito (o sottocosto) e ottengono, in cambio, di poter apporre della pubblicità sia sulle biciclette stesse che in altri punti
della città. Lontane anche alcune città italiane dove il servizio
per l’utente è totalmente gratuito. Da noi i cittadini pagano due
volte: una direttamente l’altra
attraverso l’amministrazione.
L’architetto Riccardo De Benedictis
La ferita alla Latomia dei Cappuccini. Occorrerà cancellare
quella strada carrabile e lasciare che la natura faccia da sè
Il nastro bianco che si fa strada tra il verde scomposto
della vegetazione spontanea
sembra una ferita. È una nota
stonata in un’area tutelata da
sempre da una serie di vincoli
archeologici. La Latomia dei
Cappuccini è una delle aree
“sacre” della città tra le più
suggestive e sembra impossibile che qualcuno abbia pen-
sato di tracciare quel percorso
senza porsi il problema del
danno che si stava arrecando.
All’inizio, a leggere le carte, era stata autorizzata solo
l’apertura di un varco nella
ringhiera su via Delfica per
consentire un passaggio fino
all’immobile da ristrutturare.
Le opere di manutenzione del
refettorio dei Cappuccini era-
no “improcrastinabili” e l’immobile “intercluso”, evidentemente tale da non poter essere
raggiunto da nessun’altra parte. Solo per questo, a giugno, la
Sovrintendenza aveva concesso l’autorizzazione: sostituire
una parte della ringhiera con
un cancelletto apribile per poi
ripristinare lo stato dei luoghi.
Ma evidentemente qualcuno si
è fatto prendere la mano e non
si può che pensare che tutto
sia accaduto in perfetta buona
fede. Non sarebbe ipotizzabile
che proprio i frati cappuccini
possano aver considerato possibile realizzare una strada più
comoda per raggiungere l’edificio alle spalle attraversando
un’area vincolata, protetta. La
segnalazione dovuta, obbliga-
ta, che qualcosa comunque di
non regolare stava avvenendo
è stata fortunatamente tempestiva. L’ufficiale di polizia
giudiziaria del corpo forestale Andrea D’Angelo non poteva non notare quel rilevato
stradale, l’accumulo di un
terrapieno formato con il deposito di materiale da diporto
e soprattutto la totale assenza
di un cartello che indicasse la
presenza di un cantiere e quindi la relativa autorizzazione.
Di qui la segnalazione alla
Sovrintendenza che sollecitamente ha ordinato di fermare
i lavori.
Ora occorrerà cancellare quella strada carrabile e lasciare di
nuovo che la natura riprenda il
suo spazio.
12
14 Novembre 2009
“Sono le responsabili dei tumori, piaga del nostro territorio, prodotte da combustioni ad oltre 1000 gradi”
Giacinto Franco e Luigi Solarino: “I problemi non sono più
le polveri sottili ma il nanoparticolato, particelle da 0.1 micron”
di MARINA DE MICHELE
Un muro di gomma quello opposto all’organizzazione mondiale della sanità e all’azienda
sanitaria provinciale dal Consorzio Industriale Protezione
Ambiente. Il messaggio è di
quelli che non ammettono repliche: “Non nelle emissioni
inquinanti delle industrie va
cercata la causa, il nesso eziologico dell’allarmante situazione
sanitaria dei comuni più vicini
al petrolchimico. La situazione
è del tutto sotto controllo, le
normative europee e nazionali
sono applicate alla lettera, solo
insignificanti le criticità ancora
da risolvere”.
“Ma il Cipa non è che un organismo del controllato che si fa
controllare da se stesso” commentano sarcastici il dottore
Giacinto Franco e il professore
Luigi Solarino. “Cosa si sarebbe registrato? Che le polveri sottili si sono ridotte? Non
discuto il dato – commenta il
dottore Giacinto Franco -. Non
nego che questo possa essere
accaduto ma i problemi non
sono più le polveri sottili bensì
il nanoparticolato, le particelle
non di 10 micron, bensì quelle
tanto più piccole, infinitesimali, da 0.1 micron, quindi cento
volte più piccole di quelle che
respiriamo in strada. Sono proprio esse le responsabili dei tanti tumori che sono la piaga del
nostro territorio e che derivano
da tutto quello che si brucia ad
altissime temperature”.
Osservazioni non fantasiose ma
che trovano conferme in studi e
indagini di scienziati di tutto il
mondo ormai da anni impegnati
su questo fronte.
Le particelle di nanodimensioni, aggregandosi in clusters
secondo alcune leggi fisiche, si
fondono con le membrane del
nostro corpo e sono in grado
di distruggere progressivamente e senza sosta le cellule. Non
conoscono barriere, sebbene
qualcuno si ostini ad affermarlo nonostante prove incontrovertibili: né quella polmonare,
né quella intestinale, né quella
ematoencefalica.
Una volta respirate, dopo 60
secondi, oltrepassano la barriera polmonare e entrano nel
sangue; dopo un’ora sono nel
fegato e allorquando abbiano
interagito con la struttura cellulare, non possono più essere
rimossi. Al momento non sono
ancora state individuate tecniche di eliminazione e, se sono
nel sangue, possono andare anche nelle gonadi, nello sperma,
nel dna. Di qui una possibile
contaminazione del partner e di
qui i bambini malformati, come
testimoniato dai figli dei soldati
della prima guerra del Golfo.
Gli scienziati si stanno sempre
più convincendo che sono le
nanoparticelle le responsabili
del versamento pleurico, della
fibrosi polmonare, dei granuloma: è detto a chiare lettere in
uno studio pubblicato sull’autorevole periodico specialistico
European Respiratory Journal.
Ancora più pericolose e temibili delle fibre d’amianto perché
ancora più piccole e insidiose
al punto da indurre i ricercatori a parlare di una “contaminazione planetaria” prodotta da
Dott. Giacinto Franco
nanoparticelle inquinate, che
è possibile trovare ovunque.
Ingerite anche mangiando un
alimento, passano irreversibilmente nei tessuti, ovunque, così
che si è dovuto coniare un neologismo: di “nanopatologie”
parla la dottoressa Antonietta
Gatti, responsabile del Laboratorio dei biomateriali presso
il Dipartimento di neuroscienze dell’Università degli studi
di Modena e Reggio Emilia,
nella relazione presentata alla
Commissione di inchiesta del
Senato sull’uranio impoverito
già nel 2005.
Le polveri sottili, il PM10, le
particelle dall’ampiezza di 10
micron, appartengono all’era
giurassica. Dire oggi che si è
provveduto a una loro riduzione, all’abbattimento delle con-
centrazioni, vuol dire aver fatto
la minima parte di quanto ci si
attenda. Le dimensioni di cui si
deve discutere viaggiano al di
sotto del micron, sono i nanometri. Spiega il dottor Franco:
“Sono il prodotto delle combustioni ad altissima temperatura,
dai mille gradi in su. Più si alza
la temperatura più si produce
nanoparticolato, inquinante per
il quale i governi non hanno
ancora determinato i limiti di
emissione e per il quale non
esiste al momento alcun filtro.
C’è un tropismo specifico per
ogni metallo pesante. È questa
la causa delle tante insorgenze
tumorali”.
L’indagine sull’uranio impoverito usato nelle tante guerre
della nostra terra maltrattata
solleva così la coltre anche dal-
Prof. Luigi Solarino
la nostra realtà industriale. La
presenza nelle biopsie di particelle perfettamente tondeggianti, una forma che è effetto
di combustioni ad altissima
temperatura, superiore almeno ai 2mila gradi, la presenza
di particelle di antimonio o di
tungsteno nel caso di tumori
della pleura, particelle composte da fosforo, cloro, piombo e
cromo nei linfomi di Hodgkin,
metalli pesanti (bismuto, ferro,
cobalto e tungsteno) nel cancro
alla prostata e via discorrendo,
suggeriscono forse quale dovrebbe essere la strada da seguire per fugare ogni dubbio,
per dare finalmente una risposta
certa alle domande, per impedire ancora una volta che si
nascondano le responsabilità e
si sappia finalmente chi si deb-
ba incolpare del dolore degli
uomini. Una proposta provocatoria, una scelta forse troppo
coraggiosa, la volontà di fare
veramente luce su una realtà
che è misteriosa come quella
dell’uranio impoverito, su un
fenomeno eclatante ma solo a
tratti emergente e all’attenzione
dei governanti come può esserlo stato il dramma dei soldati
americani al ritorno dalla guerra del golfo o da quella in Jugoslavia. Un pezzetto di fegato, un
colon, un polmone, del midollo
spinale, qualche goccia di sangue o di liquido seminale delle
tante vittime di questa guerra
silenziosa che i siracusani continuano a combattere. Se c’è un
serial killer che si nasconde tra
noi, forse solo nelle autopsie si
può trovare la verità.
Nel triangolo industriale +132% per le malattie respiratorie acute, +428% per il tumore della pleura
De Benedictis: “Fermare le emissioni inquinanti delle industrie”
Sciacca: “Dati di origine incerta”. Ma qui si continua a morire
Nei fatti una guerra di dati e insieme una difesa
in trincea da parte delle industrie. Sembra essere
questa la lettura più immediata dopo i convegni
sullo stato dell’ambiente, e di conseguenza sulla
salute della popolazione della nostra provincia,
che hanno visto protagonisti da una parte l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Azienda
sanitaria provinciale e dall’altra la Confindustria
Siracusa e il Consorzio Industriale Protezione
Ambiente.
L’indagine messa a punto dall’OMS, e presentata alcuni giorni fa in un incontro pubblico, si è
avvalsa in gran parte dei dati raccolti dall’equipe
del dottore Anselmo Madeddu, responsabile del
registro territoriale delle patologie dell’ASP di
Siracusa, in uno studio sulla mortalità (periodo 1995-2002) e sui ricoveri ospedalieri (tra il
2001 e il 2007) nel territorio. Una sostanziale
conferma di quanto già a conoscenza di tutti: nel
triangolo industriale Augusta-Priolo-Siracusa,
con punte maggiori nel comune megarese, si
è riscontrato un indice di mortalità e di tumori
significativamente più alto rispetto sia agli altri
comuni aretusei sia alla regione, e in alcuni casi
anche rispetto ai report nazionali.
Tra le patologie più frequenti, spesso causa di
decesso, tra le donne, al primo posto, troviamo il
mieloma multiplo (+120%) e a seguire le malattie respiratorie acute (+86%) e quelle del sistema nervoso (+52%), la cirrosi epatica (+32%), i
traumatismi ed avvelenamenti (+24%) e infine le
malattie dell’apparato digerente (+21%).
Tra gli uomini si è registrato invece un +24% per
il tumore maligno di trachea, bronchi e polmoni,
+58% per malattie psichiatriche, +14%, per le
malattie cerebrovascolari e soprattutto – e qui i
dati hanno dell’incredibile - +132% per le malattie respiratorie acute e addirittura +428% per il
tumore della pleura, cioè della membrana che fa
da involucro ai polmoni.
Proprio su quest’ultimo dato sembra opportuno
focalizzare l’attenzione per la certa correlazione
che hanno, nell’insorgenza delle patologie polmonari, e non solo, le nanoparticelle, come dimostra uno studio di cui riferiamo e come spiegano il dottor Giacinto Franco, vicepresidente di
Augustambiente, e il professore Luigi Solarino,
presidente di Decontaminazione Sicilia.
Eppure, a fronte di questi dati, nonostante le
connessioni tra tumori e “sviluppo” industriale
emerse con evidenza nel corso dell’incontro con
i rappresentanti dell’OMS, le reazioni non sono
state univoche. Il deputato regionale del partito
democratico Roberto De Benedictis ha espresso
da subito seria preoccupazione e ha evidenziato
la necessità, oltre che del potenziamento dell’intervento sanitario e di quelle bonifiche mai effettuate nonostante i programmi specifici, soprattutto di andare alla fonte del problema. “Occorre
analizzare e approfondire il rapporto dell’OMS
e sollecitare il governo regionale ad assumere
questa come un’emergenza prioritaria, ma soprattutto è indispensabile fermare le emissioni
inquinanti delle industrie”.
Parole a cui hanno fatto da contraltare i risultati
del Rapporto Ambiente 2008, redatto dal Cipa,
presentato nei giorni successivi. Una progressiva e significativa diminuzione dei valori delle
emissioni di sostanze inquinanti “ben al di sotto di quanto stabilito dalle normative nazionali
e comunitarie” e ancora una volta individuate
nell’origine naturale, sabbie desertiche e vulcaniche, le cause dei comunque relativi picchi di
PM10: “Gli ultimi sforamenti della media giornaliera di concentrazione di polveri sottili risalgono al 2006” è stato detto. Unico neo quindi
“le alte concentrazioni di benzene nelle zone del
depuratore Ias e degli impianti Erg Nord”; per il
resto la garanzia di respirare, compatibilmente
con il tessuto produttivo, aria tra le più salubri
del Paese.
Infatti tanto gli industriali quanto i vertici del
Cipa non hanno nascosto un certo fastidio per
i dati dell’OMS che mal si sono attagliati con la
visione ottimistica da loro espressa.
“Dati di cui non si conosce l’origine – ha dichiarato per tutti il professore Salvatore Sciacca,
nella doppia veste di presidente del Cipa e direttore scientifico del registro tumori della Sicilia
orientale –. Se si tratta di dati relativi al periodo
1999-2005, l’aumento delle patologie tumorali è
in linea con quello di tutto il mondo occidentale
– ha affermato con assoluta certezza -, e non si
è certo potuto fare riferimento a dati più recenti dal momento che essi non sono ancora stati
né rielaborati né divulgati”. Parole che suonano
all’osservatore esterno come un sostanziale rimprovero a chi ha avallato la relazione OMS e il
pensiero non può che correre allo stesso dottore
Anselmo Madeddu che, con il professore Sciacca, condivide la responsabilità del registro tumori. Una smentita quindi, avallata dai rilievi critici
di Confindustria: “Abbiamo partecipato alle riunioni preliminari e abbiamo messo a disposizione tutti i dati attuali e storici in nostro possesso.
Con grande sorpresa dobbiamo constatare che,
alla nostra disponibilità, non ha fatto seguito alcun riscontro e che non siamo stati posti in condizione di esternare, in un dialogo costruttivo, le
nostre considerazioni sia nel corso della elaborazione che in occasione della presentazione dei
dati”. E ancora: “In particolare dobbiamo sottolineare che in maniera del tutto superficiale sono
stati enunciati superamenti dei limiti normativi
nazionali ed internazionali per diverse sostanze
pericolose come i metalli pesanti ed inquinanti organici con caratteristiche di persistenza e
tossicità nell’ambiente. Per l’emergenza delle
patologie non abbiamo elementi diretti di valutazione; tuttavia, considerata la difformità nella
elaborazione dei dati sull’inquinamento, riteniamo che le conclusioni debbano derivare da un
confronto con i risultati elaborati dalle autorità e
dagli esperti in materia”.
Distanze astrali tengono lontani i due organismi,
ma nella nostra provincia di tumore si continua
a morire.
Marina De Michele
14 Novembre 2009
13
Terra di veleni nel mare, nell’aria, nel sottosuolo. “E nessuno ha fatto nulla, anzi”
Tutti i progetti che rendono incontrollabile il nanoparticolato:
inceneritore di Punta Cugno, Enel Tifeo, Buzzi Unicem...
“Ma di quali altre prove abbiamo ancora bisogno per raggiungere la piena consapevolezza
del livello di degrado ambientale in cui versa la nostra provincia e in particolare il triangolo Augusta Priolo Siracusa?”
Un’analisi impietosa quella del
dottore Giacinto Franco e del
professore Luigi Solarino. Il
suolo inquinato dalla presenza
di numerose discariche abusive
di rifiuti tossici e nocivi - alcuni
nel passato interrati con l’autorizzazione delle stesse autorità
comunali come il campo sportivo di Augusta, realizzato su
ex saline comunali colmate con
ceneri di pirite, così come quello di Priolo – e interessato dalla
ricaduta delle polveri tossiche
emesse dai camini. Siti sequestrati dalla magistratura e diossine e furani presenti fino a una
profondità di 20-30 cm, come
dimostrato dai carotaggi eseguiti nell’area dove dovrebbe
sorgere il termovalorizzatore.
L’aria inquinata da emissioni
di sostanze tutte cancerogene
e teratogene. Polveri di metalli
pesanti che, a causa dei venti da
nord a sud-sud/ovest, ricadono
prevalentemente su Belvedere
e Città Giardino.
Le falde idriche soggette sia a
processi di innalzamento della
salinità per l’eccessivo emungimento ad opera delle industrie
che a infiltrazioni dovute alla
presenza delle numerose discariche abusive disseminate nel
territorio o inquinate da idrocarburi provenienti da serbatoi
di carburante privi del doppio
fondo: i casi di Melilli e Priolo
hanno fatto scuola. Il mare trasformato in una tomba di pesci
morti per le sostanze tossiche
ingerite e dai fondali contaminati da metalli pesanti (in particolare il mercurio 22 volte
superiore il limite consentito),
diossine, idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili
(simili alle diossine). Inevitabili quindi le conseguenze
sull’uomo alle prese anche con
il più temibile nemico: il nanoparticolato, emesso in continuo
dai camini e in particolar modo
nei fuori servizio dalle fiaccole.
Costituito essenzialmente da
metalli pesanti, così come rilevato negli studi effettuati con i
licheni, ha un notevole potere
di veicolare per assorbimento
i vari tossici e nocivi presenti nei fumi. Recentissimi studi
hanno tra l’altro dimostrato
come il nanoparticolato arrivi
all’encefalo anche tramite le
terminazioni dei nervi olfattivi
e come, nelle zone ad alto tasso
di inquinamento industriale, il
morbo di Alzheimer sia aumentato del 1.200%.
“Si può sin da oggi anticipare che molte altre patologie
cronico-degenerative saranno
destinate ad essere ascritte al
nanoparticolato” avverte il dottor Franco. “Ebbene, a fronte di
tutto questo, non solo non è stato fatto nulla, neanche uno solo
degli interventi previsti dal piano di risanamento ambientale,
ma si è continuato il saccheggio
del territorio e si prevede ancora altro”. E qui l’elenco diventa
infinito.
L’inceneritore di Punta Cugno
per rifiuti portuali, industriali e
ospedalieri, già potenziato negli anni ’90 da 2mila a 15mila
tonnellate annue, oggi si appresta ad un potenziamento a
60mila tonnellate annue, di cui
56mila pericolose, senza le procedure dovute per un impianto
che sarà altro rispetto a ciò che
è, quasi si trattasse di un semplice adeguamento.
Il termovalorizzatore Enel Ti-
feo progettato per smaltire i rifiuti urbani non solo della provincia di Siracusa ma anche di
quelle di Enna, Ragusa e di Catania città, per 500mila t/anno
e per il quale il piano regionale
prevede solamente il recupero dei residui ferrosi lasciando
tutto il resto all’incenerimento
senza che si parli di raccolta
differenziata. Un produttore
eccezionale di nanoparticolato
senza controllo.
La piattaforma polifunzionale per il trattamento dei rifiuti
industriali, di cui è stato approvato il trattamento meccanico-biologico e al momento è
stata bloccata la realizzazione
dell’inceneritore da 70.000 t/
anno di pericolosi, che la stessa
ditta costruttrice Oikothen si è
riservata di realizzare successivamente. L’ampliamento di potenzialità per la Buzzi-Unicem
Augusta, dove si è prospettato
l’uso di carcasse di pneumatici
come combustibile. La costruzione di un impianto di termodistruzione di biomasse, di cui si
prevede la provenienza dall’est
europeo, considerato che il
nostro territorio è soprattutto
a sviluppo industriale e non
agricolo forestale. E infine, “la
ciliegina sulla torta” l’impianto
di rigassificazione Shell ERGPower da 12 miliardi di m³/
anno di metano, per il quale occorrono circa 110 navi metaniere l’anno, da 130.000/140.000
m3 ciascuna. Un impianto che
sorgerebbe a 200 metri in linea
d’aria dall’impianto di etilene
ex Icam, già esploso nel 1985,
a duecento metri dal pontile
Nato, con la ferrovia CT-SR
che passa fra i due citati impianti, ad est il porto di Augusta con la base della Marina
Militare Italiana e, ad ovest i
depositi militari Nato ed adia-
centi sia a nord che a sud senza
soluzione di continuità impianti industriali ad alto rischio di
incidente rilevante. Il tutto in
area sismica.
“Invece di delocalizzare dal
nostro polo industriale impianti ad alto rischio di incidente
rilevante e bonificare i siti inquinati – osserva Solarino –
insistiamo nella monocultura
industriale dei megaimpianti.
È necessario imporre controlli
in continuo e limiti più restrittivi alle emissioni in atmosfera e può, deve, essere compito
in primo luogo dei sindaci, i
primi responsabili della salute
pubblica. A loro chiediamo ordinanze di necessità e urgenza
come prescrive la legge; invocando il principio di precauzione possono assumere deliberazioni che salvaguardino le
comunità da loro amministrate.
La presenza del nanoparticolato e l’inquinamento del suolo
impongono che le amministrazioni locali vietino le coltivazioni e i pascoli che insistono
nei pressi degli insediamenti
industriali. I prodotti di quelle
terre rappresentano il primo
anello dell’inquinamento della
catena alimentare. Può apparire una posizione non condivisibile la nostra: non vogliamo
la rovina degli agricoltori ma
una riconversione agricola. È
possibile consentire la coltivazione solo di piante oleaginose,
come per esempio la jatropha
curcas, molto indicata per la
produzione di un olio vegetale
da destinare alla produzione di
biodiesel.
“Se ne è recentemente parlato
in relazione a un progetto di
cooperazione internazionale in
favore della popolazione dello
stato africano del Burkina Faso
a cui partecipa l’Istituto Pro-
Dove si depositano le nanoparticelle
fessionale Agrario di Rosolini.
Sarebbe una scelta strategica
proprio in vista della prossima realizzazione a Priolo di
un impianto della Ecoil per la
produzione di circa 200mila
tonnellate annue di biodiesel.
Questo carburante, equivalente del gasolio, fa parte delle
energie rinnovabili: nella combustione infatti emette la stessa
quantità di CO2 assorbita per
la sua sintesi e i motori che lo
utilizzano non producono anidride solforosa e scaricano una
minore quantità di fumo e di
monossido di carbonio rispetto
a quelli alimentati con gasolio. Si può fare, perché i costi
sarebbero senz’altro inferiori
a quelli necessari per fronteggiare le emergenze sanitarie
come è quella della nostra terra. E poi, la vita umana non ha
prezzo”.
Marina De Michele
“Chiediamo al Comune che si mobiliti per demolire le villette già segnalate alla Procura della Repubblica”
Morreale: “Da qualche decennio numerose case
abusive sono state realizzate fino al mare”
Siracusa. La polemica sulla opportunità o meno di realizzare il mega
villaggio turistico di Terrauzza, pur
se inquadrabile in una visione più
ampia che riguarda quale modello di sviluppo sostenibile il Comune
debba scegliere per la città, rischia
di mettere in ombra un altro grave
problema che compromette la salvaguardia e la libera fruizione di questo tratto di costa dirimpetto all’Area
Marina Protetta del Plemmirio:
l’abusivismo edilizio. Da qualche
decennio numerose case abusive
sono state realizzate fino al mare, lasciando un corridoio talmente esiguo
che, in situazioni di alta marea, non
sempre è possibile percorrerlo a pie-
di. Per non parlare delle recinzioni
abusive che scendono fino alla battigia o di alcune scogliere scavate per
realizzare “piscine” costiere connesse direttamente al mare.
Affinché nessuno possa pensare che
l’amministrazione si stia occupando
del problema villaggio senza inserire in rubrica quello sull’abusivismo
edilizio, affinchè nessuno venga
preso dal sospetto che si voglia favorire qualche proprietario amico,
chiediamo al Comune che si mobiliti al più presto per demolire le
villette già segnalate dalla Procura
e per individuare quelle ancora non
segnalate.
Fabio Morreale
14
14 Novembre 2009
Tantissime le siracusane pronte a spendere 30€ per un linfodrenaggio e 80 per uno Shirodhara
Angela Gennuso: “Spesso massaggi esotici non sono altro
che l’applicazione di tecniche standard con effetti scenici”
pagina di DANIELA DE LUCA
In una quotidianità che sembra
nutrirsi di frenesia incalzandoci con ritmi sempre più rapidi,
che sembra volerci risucchiare
in un turbinio di inesauribili
attività, si cerca, sempre con
maggiore insistenza, un rifugio, una piccola via di fuga. E
in questi momenti chi non ha
mai sognato di ritagliarsi un
attimo di “relax e benessere”
lasciandosi travolgere dal piacere di un massaggio? La risposta la si ricava da poche ma
significative considerazioni: la
lunga trafila necessaria per ottenere un appuntamento presso
il Centro Benessere di fiducia
e l’esposizione a un continuo
bombardamento di messaggi
pubblicitari di S.p.A., Centri
Termali, Istituti di ogni sorta
e genere che (perennemente
al completo nonostante prezzi
esorbitanti e incombente crisi)
cercano di convincerci a soggiornare presso le loro strutture, anche solo per un giorno,
ammaliandoci con la promessa di rigenerarci attraverso un
percorso terapeutico e rilassante nel mondo dei massaggi.
Archiviati in obsoleti faldoni i romantici momenti in cui
(dopo una giornata di fatiche
e stress che finivano per trasformarsi in fastidiosi centri
di tensione muscolare localizzati in innumerevoli parti del
corpo, con particolare predilezione per la nostra zona lombare), ci si accontentava di
farsi massaggiare dal proprio
compagno/a davanti alla tv
che, più che rigenerarci, finiva per infliggerci il colpo di
grazia, oggi si esige una figura
professionale: il massaggiatore. E non ci si accontenta neanche più di un tradizionale
massaggio, come un linfodrenaggio: da quello ayurvedico
a quello con le pietre calde
(Hot-Stone) passando per il
Lomi-Lomi (massaggio energetico), l’esotico nel massaggio è ormai la moda dilagante.
E cosa dire del grande consenso riscosso da massaggi studiati per le coppie (magari in
comode vasche colme di petali
odorosi sorseggiando tisane),
proposti in occasione della
festa di S. Valentino o per una
Pasqua alternativa alla caccia
di un insperato recupero psicofisico in previsione della bella
stagione?
L’arte del massaggio rappre-
senta una delle più antiche metodologie utilizzate a fini terapeutici. “Il medico deve avere
molteplici esperienze, ma deve
conoscere sicuramente l’arte
del massaggio” – affermava
Ippocrate, padre della medicina occidentale, all’inizio del
V° secolo a.C. Col passare dei
tempi il massaggio è diventato
un’arte, una precisa metodica da insegnare in specifiche
scuole professionali. In ogni
parte del mondo ha una sua
storia e ha sviluppato accurate e sapienti tecniche. Rilas-
sante o curativo, sportivo od
estetico, oggi esistono infinite
tecniche e specializzazioni:
l’arte del massaggio è in ogni
caso un percorso molto delicato e complesso che richiede uno studio approfondito e,
pertanto, deve essere eseguito
esclusivamente da personale
specializzato.
Ma questi massaggi saranno
poi effettivamente salutari o
meglio sortiranno gli effetti
sperati compreso quello (dai
più vagheggiato e da molti
promesso) di restituirci, alla
fine del più o meno lungo ciclo di trattamenti, un corpo da
favola, indipendentemente dal
punto di partenza? O meglio i
Beauty Center siracusani sono
davvero all’altezza del compito quando, nel presentarci il
massaggio come un validissimo alleato nella lotta contro
gli inestetismi della cellulite,
ci propongono valanghe di
trattamenti per rimodellare e
tonificare gambe e glutei? Possiamo davvero affidarvi con fiducia e senza riserve il nostro
martoriato corpo?
“Alcune strutture locali pretendono tanto ma non pagano i loro dipendenti”
In estate sulle spiagge blasonate della nostra città
c’era un esercito di massaggiatori improvvisati
Scopriamo luci ed ombre che si
celano dietro questo emergente e
sicuramente affascinante mondo
intervistando Angela Gennuso,
massaggiatrice qualificata.
Perché un massaggio può risultare meravigliosamente rilassante e salutare?
“La pelle - ci spiega - grazie ad
una infinità di terminazioni nervose è estremamente sensibile.
Ogni pressione non viene percepita solo localmente ma da tutto
il sistema nervoso e da specifici
organi, in base alla zona lavorata
(ad es. il massaggio praticato a
livello addominale aiuta lo svuotamento dell’intestino). Ed è per
questo che i massaggi acuiscono la sensazione di benessere,
hanno un benefico influsso sulla salute e agiscono nel nostro
io più profondo. Se praticato
da mani esperte, un massaggio
può portare diversi benefici sia
al corpo che alla mente; infatti,
non solo consente di rilassarci e
quindi di riequilibrare il nostro
corpo sia sotto il profilo nervoso
che ormonale, ma riesce anche a
distendere i muscoli eliminando
così contrazioni e dolorini, conseguenze inevitabili di una vita
troppo sedentaria e di una postura poco corretta, con il valore
aggiunto del fondamentale beneficio a livello psicologico”.
Inevitabile chiederle se un massaggio sia in grado di restituirci
una forma fisica smagliante eliminando chili di troppo e, diciamo, “ridisegnandoci ad hoc”. Ci
spiega che non si tratta di certo
di una pozione magica. Ci sono
trattamenti mirati per ogni specifico problema che consentono
risultati più o meno notevoli (a
seconda della consistenza del
problema e del modo, del tutto
personale, in cui reagisce il corpo in questione), conditio sine
qua non è che vengano associati
ad una dieta equilibrata e ad una
minima attività fisica, come può
essere anche una semplice passeggiata a passo cadenzato. Il
tutto comporta, ovviamente, costanza, non solo nel raggiungere
l’obbiettivo ma anche nel mantenerlo, perpetuando uno stile di
vita consono.
E i costi?
“Si va dalle 30€ per un linfodrenaggio alle circa 80€ per qualcosa di più sofisticato come uno
Shirodhara (dove sotto un flusso
costante di olio caldo sulla fronte mente e corpo si liberano dalle
tensioni). Più il centro cui ci si
rivolge è rinomato più i prezzi
risultano rincarati. Per avere un
buon massaggio, comunque, è
sufficiente rivolgersi ad un operatore qualificato che si avvalga,
quando il trattamento lo richiede, di prodotti di qualità oltre
ad essere ovviamente in grado
di operare una scelta oculata del
prodotto (un prodotto sbagliato,
infatti, potrebbe provocare danni
o effetti indesiderati)”.
Su come orientarsi nella vasta
gamma di trattamenti a disposizione Angela Gennuso spiega
che quando si valuta il tipo di
trattamento occorrerebbe pren-
dere in considerazione non solo
la competenza scientifica ma anche l’attitudine personale tanto
del cliente quanto del massaggiatore. Non tutti sono portati
per tutte le discipline. “Bisogna
anche dire però – confessa - che
spesso massaggi dai nomi accattivanti ed esotici si concretizzano per lo più nell’applicazione di
tecniche e sequenze di massaggi
standard da parte di operatori, sia
pure bravi, ma che, affidandosi
fondamentalmente sull’effetto
scenico, poi finiscono per ripetere più o meno le stesse manualità. Qualcosa, però, sta cambiando, i clienti mostrano di gradire
sempre meno sedute cariche di
“effetti speciali” quanto piuttosto ricercare attenzioni dirette
all’Essere. Non più sequenze
standard che, essendo ognuno di
noi unico ed irripetibile, non possono andare bene per tutti, ma si
chiede all’operatore di mettersi
in ascolto e lasciarsi guidare così
da meglio veicolare le energie
spirituali. Si cerca il massaggio
su misura, unico ed irripetibile
proprio come lo è ognuno di noi,
quello che consente l’ottenimento di quel “relax” che, in realtà, si
identifica nel sentirsi finalmente
bene con se stessi. Tutto ciò, ovviamente, presuppone una elevata capacità di canalizzazione
da parte dell’operatore ma anche
una grande fiducia da parte del
ricevente che deve riuscire a lasciarsi andare completamente”.
Dopo aver puntualizzato con
Angela l’importanza di affidarsi
a mani esperte (le conseguenze
del sottoporsi a pratiche improvvisate possono, infatti, essere anche estreme come il rimetterci la
stessa vita per il sopravvenire di
rare evenienze), commentiamo
con una sua amica, la signora
Sciuto, su come quest’estate
lei stessa, in quanto abbonata
presso lo stabilimento balneare
Sayonara, abbia avuto modo di
constatare sulle nostre spiagge
un nutrito traffico di massaggiatori improvvisati alla ricerca di
potenziali vittime cui elargire i
loro scarsi e pericolosi servizi.
“I clienti – racconta –, tutt’altro
che esigui, erano difesi a suon
di minacce e nell’insufficienza
anche dandosele di santa ragione
dinnanzi agli occhi increduli di
innumerevoli bagnanti”.
Inutile dire che tutto questo avveniva nonostante una ordinanza
preveda il divieto di praticare
massaggi a qualsiasi titolo da
improvvisati operatori ambulanti pena l’arresto o, in alternativa,
il pagamento di una pena pecuniaria. Nell’inutilità dell’ordinanza (il suo rispetto è affidato ai
sindaci, quindi ai Vigili Urbani,
che è alquanto improbabile che
girino per le spiagge a caccia di
ambulanti che praticano massaggi, tanto è vero che l’obbligo
di segnalazione spetta ai gestori
degli stabilimenti i quali, in considerazione degli eventi, non si
sono dimostrati poi così solerti),
non resta che fare affidamento
su quel buon senso che dovrebbe
indurci a diffidare da certe ma-
nipolazioni tanto deleterie per la
nostra salute.
Intervistiamo una ragazza, ex
massaggiatrice in un centro, che
però preferisce mantenersi anonima. Con lei approfondiamo le
difficoltà insite in questo mestiere che – ci spiega - non sono solo
quelle legate all’attività di per sé
(come ad esempio il trovarsi di
fronte, caso non rarissimo, un
cliente diciamo un po’ troppo
malizioso o ancora una cliente non eccessivamente amante
dell’igiene), ma soprattutto quelle connesse al dover lavorare
per una struttura che non solo
pretende tanto e paga poco ma
che per di più non ci pensa proprio a regolarizzare la posizione
lavorativa dei propri dipendenti.
“Solo una di noi era ingaggiata e,
comunque, sottopagata, le altre
eravamo fantasmi che dovevano
volatilizzarsi o, nell’impossibilità, istruite a recitare una parte
non compromettente in caso di
controlli ufficiali che, in ogni
caso, per quanto spesso emergessero dati che rimandassero ad
irregolarità, non sortivano altro
effetto che quello di farci perdere
tempo. Sono andata via – continua - perché non ne potevo più
di farmi sfruttare, ero costretta a
stare lì tutto il giorno, anche senza appuntamenti, per poi percepire, nell’eventualità, una misera
percentuale. Ho resistito finchè
ho capito che così non sarei arrivata da nessuna parte, dunque
con estremo coraggio ho cambiato strategia!”
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Nardi (Filt Cgil): “L’Itsa ha cercato il dialogo ma trovava sempre un muro di gomma”
Garozzo: “Obiettivo trovare risorse per le infrastrutture
intercettare il traffico marittimo e cercare investitori”
di CATERINA ITALIA
Aldo Garozzo, presidente dell’Autorità Portuale
Di solito sono le navi ad affondare, non certo i porti. Nel
comune di Augusta, da qualche
anno, si sta verificando uno
strano fenomeno di sprofondamento di uno dei più importanti scali portuali d’Italia.
Nonostante la sua posizione
strategica al centro del mar
Mediterraneo, nonostante la
sua vicinanza al polo petrolchimico siracusano, nonostante
la presenza di una delle basi
della marina militare, il porto
di Augusta stenta a decollare.
A riprova che anche una grande risorsa, se mal gestita, può
spogliarsi di tutta la sua importanza.
Il ritardo nella nomina del
nuovo presidente dell’autorità
portuale e il lungo commissariamento che ne è conseguito
hanno contribuito di certo a
rallentare l’attività del porto e a
impedirne il rilancio. Dall’ottobre 2007 fino al settembre 2009
l’autorità portuale è stata affidata al commissario straordinario Pietro Bernardo. I giudizi
sul suo operato sono stati piuttosto controversi. In un giornale locale, Giuseppe Spanò, ex
presidente dell’autorità portuale, ha dichiarato che negli anni
di commissariamento poco è
stato aggiunto alla programmazione infrastrutturale da lui
stesso svolta precedentemente.
Luigi Maugeri Boccadifuoco,
imprenditore, a mezzo stampa,
nel marzo del 2008, ha lanciato la sua provocazione: “Se per
aver credito bisogna essere cinesi o giapponesi, siamo pronti
a travestirci da orientali con
gli occhi a mandorla”. L’esternazione dell’imprenditore fa
riferimento alla scelta dell’autorità portuale di facilitare gli
investimenti di grandi società
straniere a discapito del rilancio delle locali. Anche Paolino
Amato, capogruppo di Forza
Italia verso il PDL, ha voluto
far chiarezza su come sia stato
gestito lo scalo portuale negli
anni di commissariamento. Per
tale ragione, nel giugno scorso,
ha inviato un’interrogazione
alle autorità portuali per far
luce su alcuni argomenti d’interesse pubblico: in particolare sull’assenza d’informativa
relativa ai volumi di traffico
merci del porto, sui bilanci e
sulla consistenza di cassa. A
tutt’oggi nessuno gli ha fornito
risposte.
Finalmente Il 18 settembre
Paolino Amato, già capogruppo di F.I. alla Provincia
Aldo Garozzo viene nominato
presidente della port authority
di Augusta. La nomina arriva in un momento difficile. Il
più grande investitore straniero, la società nippo-americana
ITSA, il 22 ottobre abbandona
il porto, lasciando venticinque
dipendenti senza occupazione.
Il repentino ritiro dell’ITSA
dal mercato megarese oggi è
diventato l’emblema di tutte
le tensioni che ruotano attorno
al porto. In tale indietreggiamento sono chiari due grandi
problemi: quello strutturale e
quello occupazionale.
L’International Terminal Service of Augusta (ITSA), controllata dall’azienda nipponica
Kawasaki Kisen Kaisha, è una
società che si occupa di movimentazione di container. Ha
mostrato interesse per lo scalo
megarese sia per la sua posizione strategica sia per la sua ampiezza: a differenza del porto di
Genova, che si trova a ridosso
della città, quello di Augusta ha
tanto terreno alle spalle da poter riutilizzare. Dopo esplicita
richiesta, la società ottiene in
concessione dall’autorità portuale un’area di circa centomila metri quadrati, con banchine
annesse. Oltre al terreno, sembra che la multinazionale abbia
ricevuto delle rassicurazioni in
merito alla bonifica del porto,
all’ampliamento dei livelli di
pescaggio e all’urbanizzazione
della zona: in quel luogo era
assente l’acqua e la linea telefonica.
Nonostante questi limiti, la società nipponica si premura di
dotare la zona ad essa affidata
di sistemi antincendio e delle
infrastrutture di base e di metterla in regola con le norme europee. Senonché, a distanza di
qualche anno, nessuna bonifica
è avvenuta, il livello del pescaggio non è stato accresciuto rendendo impossibile alle
grandi navi container di muoversi agevolmente all’interno
dello scalo.
Considerate le cospicue perdite
economiche, gli azionisti della
società ITSA hanno maturato
la decisione di ritirarsi dalla
concessione, non considerando più Augusta un’area idonea
per i loro investimenti, soprattutto in un momento di crisi
internazionale. Per tali ragioni
l’impresa ha lasciato il porto e
messo in mobilità venticinque
operatori.
Francesco Nardi, segretario della FILT CGIL di Augusta
Per quanto attiene alle responsabilità di questo ritiro, Francesco Nardi, segretario della
FILT CGIL, sostiene che i rappresentanti della società ITSA
hanno sempre cercato di dialogare con le autorità portuali che
negli anni si sono succedute,
trovandosi spesso davanti un
muro di gomma. Sembra che
nessuno abbia voluto assumersi le giuste responsabilità. Nei
fatti la ITSA non ha mai avuto
un vero interlocutore sul territorio. La conseguenza è stata
che la provincia di Siracusa ha
perso una grande opportunità
di sviluppo economico e occupazionale.
Il consigliere Paolino Amato,
capogruppo di Forza Italia verso il Pdl, non avendo ricevuto
alcuna risposta all’interrogazione di giugno, ne ha presentata un’altra alla fine di ottobre
in cui chiede espressamente
quali siano i motivi dell’indietreggiamento della società
ITSA e soprattutto se l’autorità
portuale abbia delle responsabilità oggettive in merito a tale
abbandono.
Sbrogliare la matassa non è
semplice. Il neo presidente
dell’autorità portuale Garozzo
si è insediato da pochissimo
tempo negli uffici di via Millo e chiaramente non può rispondere degli atti di chi lo ha
preceduto. Nonostante ciò si è
dimostrato disponibile a porre rimedio alla situazione. Gli
obiettivi principali rimangono
quelli relativi alla canalizzazione di risorse per dotare il porto
di migliori infrastrutture, intercettare il traffico marittimo e
ricercare nuovi investitori.
D’altra parte, il porto di Augusta non va rilanciato, ma
lanciato: la movimentazione
dei container per lo scalo megarese è una novità, di solito il
porto si è occupato d’altro e ha
soddisfatto esigenze prevalentemente locali. Per quanto riguarda i 25 operatori marittimi,
è chiaro che l’autorità portuale
può assumere nei loro confronti un impegno morale e non
giuridico: le concessioni non
possono essere subordinate
alle assunzioni. Ma trattandosi
di persone che hanno maturato
una loro professionalità, non è
improbabile che esse vengano
riassorbite dall’impresa che
otterrà la futura concessione.
Almeno questo è ciò che tutti
si auspicano.
Augusta e Priolo aree dei veleni in Italia dove la gente
convive con le sostanze tossiche, si ammala e muore
Con il decreto n.60 del 2 aprile 2002, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio recepiva la direttiva 1999/30/CE del Consiglio del
22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il
biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle
e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa
ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per
il benzene ed il monossido di carbonio.
Il decreto, cioè, stabilisce per tutti questi inquinanti i valori limite e le soglie di allarme; il
margine di tolleranza e le modalità secondo le
quali tale margine deve essere ridotto nel tempo; il termine entro il quale il valore limite deve
essere raggiunto; i criteri per la raccolta dei dati
inerenti la qualità dell’aria ambiente, i criteri e
le tecniche di misurazione, con particolare riferimento all’ubicazione ed al numero minimo dei
punti di campionamento, nonché alle metodiche
di riferimento per la misura, il campionamento
di ALESSANDRA PRIVITERA
e l’analisi; la soglia di valutazione superiore, la
soglia di valutazione inferiore e i criteri di verifica della classificazione delle zone e degli agglomerati; le modalità per l’informazione da fornire
al pubblico sui livelli registrati di inquinamento
atmosferico ed in caso di superamento delle soglie di allarme; il formato per la comunicazione
dei dati.
Tutto questo per salvaguardare le aree ad “elevato rischio di crisi”, caratterizzate, cioè, da gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi
idrici, nell’atmosfera o nel suolo, tali da comportare un rischio per l’ambiente e per la popolazione: già diciannove anni fa (era il 30 novembre
del 1990), infatti, con delibera del Consiglio dei
Ministri ai sensi dell’art. 7 della legge 349/86 i
territori dei comuni di Augusta, Floridia, Melilli,
Priolo, Solarino, Siracusa, Gela, Butera e Niscemi venivano dichiarate ad elevato rischio di crisi
ambientale.
L’Italia dei veleni l’hanno battezzata i giornalisti
dello Speciale TG1 andato in onda domenica 8
c.m. in seconda serata: due delle 57 aree italiane
(insieme a Taranto, Valle del Sacco, Laguna di
Grado, Broni, Crotone) dove la gente convive
con sostanze inquinanti, le respira, ci cammina
sopra, poi si ammala e muore. Perché le emissioni di polveri e piombo, di ossidi di azoto e
biossidi di zolfo superano 312 volte l’anno le
soglie-limite previste dalla legge.
Nel 1998, con decreto legislativo del 31 marzo
n.118, le competenze in campo di aree a rischio
sono delegate alle regioni e nel 2005 il governo
regionale siciliano (Delibera di Giunta di Governo n.306 del 29.06.2005) istituisce l’Ufficio
Speciale per le aree ad elevato rischio di crisi
ambientale che, presso l’assessorato Regionale
territorio e ambiente, ha il compito di acquisire dai soggetti competenti le informazioni sullo
stato dell’ambiente, esprimere parere, prelimi-
nare all’adozione, su qualsiasi decisione di competenza di ciascuno degli enti locali e della Regione relativamente a problematiche ambientali,
definire l’aggiornamento dei piani di risanamento entro il mese di dicembre di ogni anno.
Tra le attività di risanamento, messe in cantiere
dall’Assessorato regionale territorio e ambiente, è stato creato e sviluppato un progetto con
l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)
per l’avvio di un’indagine epidemiologica che
intervenga a definire i rapporti tra stato di salute
della popolazione e stato dell’ambiente e a monitorare gli effetti degli interventi di risanamento
sulla popolazione.
In seno a questo progetto l’OMS, Assessorato
regionale e ASP di Siracusa, il 5 c.m., hanno
tenuto un convegno sulla situazione ambientale
e sanitaria, di cui vi riferiamo nelle valutazioni
proposte in altra pagina dal nostro vice direttore
Marina De Michele.
16
14 Novembre 2009
Un mistero che si trascina da sedici anni
La domanda irrisolta: quella notte il militare indossava giubbotto antischegge o antiproiettile?
Chi uccise il soldato Malgioglio? Giovedì ultima udienza
di MARINA DE MICHELE
A quattro anni dalla morte dello studente ferrarese
Federico Aldrovandi per la
quale solo oggi si squarcia la
coltre di silenzi e si svelano
i depistaggi, dopo la vicenda
di Stefano Cucchi che anche
i medici hanno cercato di insabbiare, dopo il nuovo caso
nel napoletano di un altro giovane forse ucciso da poliziotti
violenti, e gli esempi potrebbero essere ancora tanti altri,
ritornare sul caso Malgioglio
ha il sapore di un risarcimento atteso da tempo che ha il
valore di un viatico per tutti
gli altri casi misteriosi che in
Italia invocano giustizia. Ci
si chiede se la giustizia lenta,
quella che ritorna a distanza di
quindici/vent’anni, sia ancora
giustizia. Se in un caso come
quello di Simonetta Cesaroni,
uccisa in via Poma a Roma
con 30 coltellate nell’agosto
del 90, che oggi vede rinviato
a giudizio per omicidio colposo l’ex fidanzato, ormai
padre di due ragazze, marito
forse affettuoso, si possa parlare ancora di vera giustizia,
e l’aggettivo già è un inutile
orpello. Quell’uomo, seppure
colpevole, è oggi sicuramente
altro rispetto a ciò che forse
una volta è stato, o forse è
migliore proprio per ciò che è
stato e che non ha mai confessato. Eppure non si può non
pensare che la giustizia debba
fare il suo corso, debba accertare la verità perché questo è
il suo compito, questa la finalità primaria, la sua stessa
ragion d’essere. Sarà poi altro
stabilire l’entità, la qualità
della pena: forse lì le maggiori difficoltà.
Ma è la verità il bene supremo e nel caso Malgioglio,
nel caso di questo ragazzo
di Francofonte di 19 anni,
stroncato all’inizio della vita
mentre effettuava il servizio
militare, di un ragazzo che
oggi avrebbe avuto 35 anni
se un proiettile non ne avesse
fermato per sempre il respiro,
forse il prossimo passo sarà
proprio la verità, saranno le
spiegazioni di quella tragica
notte del 16 luglio del 1994.
Siamo ormai al secondo grado di giudizio, siamo in Corte
di Assise di Appello e tutto
gira intorno a un particolare,
piccolo forse ma fondamentale, discriminante. Quale tipo
di giubbotto indossava Salvatore Malgioglio quella notte?
Era antischegge o antiproiettile?
Un particolare dirimente perché passaggio chiave nell’accertamento dei fatti nel corso
del processo di primo grado.
Allora il giudice ritenne verosimile che Salvatore Malgioglio, la vittima, e Giuseppe
Sciarabba, il maggiore accusato, si fossero scambiati
in pieno accordo il posto di
guardia perchè, al momento
dell’inizio del turno, occupavano ciascuno postazioni che
prevedevano, quale presidio
di sicurezza, due giubbotti
diversi. Il Malgioglio, che occupava la postazione sopra il
ponte, avrebbe dovuto indossare l’antischegge, lo Sciarabba l’antiproiettile. E se
Malgioglio fu trovato con il
giubbotto antiproiettile vuol
dire che ci fu un cambio di
postazione e quindi un cambio di giubbotti con modalità
sicuramente pacifiche.
Questa, in estrema sintesi, la
ipotesi teorizzata dalla Corte di primo grado. Ma con
un’anomalia: nessuno, fra carabinieri e testimoni oculari
del rinvenimento del cadavere del Malgioglio, è mai stato
in grado di fare una differenza
fra i due diversi tipi di giubbotto.
Di qui la riapertura delle indagini e la necessità, per il
giudice di secondo grado, di
disporre una perizia per stabilire la verità sul giubbotto
indossato da Malgioglio.
Per il capitano Paniz, dei RIS
di Messina, il diciannovenne indossava un giubbotto
“corazza 2” prodotto da una
ditta di forniture militari, la
Sistemi Compositi, che svolgeva la duplice funzione di
antiframmento e antiproiettile. Un giubbotto indossato da
Malgioglio in maniera non regolare secondo il perito, con
una delle cinghie di velcro
non agganciata normalmente.
Il consulente tecnico di parte
civile, il dottore Guido Tirrò,
già ufficiale dell’esercito italiano ed esperto in forniture
militari, oltre a confermare
le conclusioni del capitano
Paniz, ha inoltre fornito alla
Corte ulteriori informazioni
soprattutto in ordine alla consistenza dei giubbotti “antischegge” in uso all’esercito
italiano al momento dei fatti.
“In tutte le caserme italiane e
per tutte le missioni all’estero questi giubbotti erano in
numero assai esiguo rispetto
al corazza 2 che, all’epoca,
costituiva il presidio comunemente usato da tutti i militari impegnati nelle varie
caserme italiane” ed anche
nell’operazione Vespri Siciliani. Solo nel 1995, un anno
dopo la morte di Malgioglio
l’Esercito commissionò alla
Sistemi Compositi una fornitura di circa 11mila giubbotti
antischegge.
Sembra così destinato a saltare
l’impianto probatorio del primo giudizio quando, scartata
finalmente come non sosteni-
L’avv. Santi Terranova, legale della famiglia Malgioglio
bile l’ipotesi del suicidio che a
lungo si era fatto credere fosse l’unica verità, si era chiuso
il processo con l’assoluzione
degli imputati perché la morte
del giovane soldato era stata
imputata ad un accidentale colpo esploso dallo stesso fucile
della vittima. Nessun contrasto
si era mai verificato tra i due
commilitoni Malgioglio e Sciarabba, tornati sereni forse dopo
una lieve scaramuccia tanto da
scambiarsi amichevolmente i
giubbotti. Così avevano decre-
tato i giudici.
La tenacia della famiglia, determinata nella ricerca della verità, la perseveranza del penalista
Santi Terranova e dei suoi collaboratori hanno voluto la riapertura del caso, hanno indotto
la Corte di Assise di Appello di
Catania a dissipare ogni ulteriore dubbio, a risentire alcuni
ex militari che facevano parte
della muta smontante. “Quattro, fino ad oggi, i testi ascoltati e tutti hanno concordato
nell’affermare che il cambio
di postazione avveniva senza
che vi fosse una preventiva assegnazione delle postazioni e
che ognuno dei militari, al momento del cambio, “passava” il
proprio giubbotto all’altro, un
giubbotto antiproiettile, uguale
per tutti - ci ha detto l’avvocato Terranova -. Alla prossima
udienza del 17 novembre sarà
sentito l’ultimo teste. E’ uno dei
militari che ha dato il cambio a
Malgioglio. Come gli altri! Ho
fiducia, ho fiducia nella giustizia”.
Grande esibizione di Enzo Annino di musica dixieland
Divertissement con gusto, ironia e struggente revival
Quanti anni ha Enzo Annino? Ha gli anni della memoria di ciascuno di noi, di quelli che all’Asteria blu,
al Trabocchetto, nei tanti locali alla moda di una provincia che si svegliava dalla sonnolenza degli anni
sessanta erano la giovane generazione godereccia siracusana. Gli anni dell’orchestra di Duke Ellington,
della torpedo blu di Giorgio Gaber, delle intense sonorità di Ray Charles. Ha gli anni della nostra giovinezza che in noi è volata via e che in lui ancora resta
a dispetto dell’anagrafe, grazie a una sua verve speciale, tutta bollicine e champagne. E non dico il vino.
Dico la capacità di ridere sorridere e irridere. Dico la
capacità di far diventare pittura l’emozione (Ortigia,
piazza Duomo, sue creazioni musicali di pregevoli
ritmi e poesia).
Così ci è apparso domenica scorsa Enzo Annino al
Club degli Amici, con una sua divertentissima band
che ha proposto una difficile e complessa passeggiata
nel dixieland. Una band diretta da Rino Cirinnà, tra i
migliori sax italiani di tradizione americana (collabora spesso con artisti internazionali, come Emi Stuart),
che aveva alla tromba Elio Perrota, con solida esperienza alla Rai e a Sanremo, alla batteria Enzo Augello, al bajo Mario Toscano, al pianoforte Gabriele
Agosta e al trombone a coulisse Alfredo Vitali. E si
è trattato di un autentico divertissement, com’è nello
stile di Enzo Annino, dalla battuta mordace e dalla gestualità diretta. Potremmo, fermandoci qui, aver detto
tutto. Ma faremmo un grande torto a un componente
storico dei Mammasantissima, Enzo Bongiovanni,
oggi uno dei maggiori esperti del mare siracusano,
che con Annino si è esibito in esilaranti scenette del
passato, forse ingenue e demodès in tempi di grande
fratello, ma per noi che il carosello lo vedevamo seduti a frotte dinanzi allo schermo ancora fresche ed
pungenti. E a Giuliana Accolla, che ci ha riproposto
la storia del gruppo e, da grande interprete, ha vivificato taluni brani letterari, sì letterari. Grazie, Enzo.
Franco Oddo