Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono
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Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono
Anno 1, n. 7 • Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009 • E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele Sabato 14 Novembre 2009 AGROTECNICI ULTIMA UDIENZA GLI “ANZIANI” Pippo Russo: “Troppe stalle infette da TBC” Chi ha ucciso il soldatino di Francofonte? “Dovevamo avere la precedenza Poca chiarezza” PAG. 5 PAG. 16 (De Michele) PAG.4 (Lanaia) Anomalia tutta siracusana. Un concentrato di conflitti d’interesse, anche dei medici di famiglia Nelle commissioni invalidi civili tanti politici, alcuni le presiedono Augusta Aldo Garozzo “Il nostro obiettivo: trovare risorse per le infrastrutture e nuovi investitori” A PAG. 15 (Italia) MORREALE. NATURA SICULA “Hanno coperto pure gli scogli” “Il Comune demolisca le villette abusive” Priolo Terra di veleni La zona industriale tra le 57 aree dei veleni in Italia, dove la gente muore presto. A PAG. 15 (Privitera) Noto Antica Tra le comunità alloggio “I Comuni non pagano” PRIMO PIANO POLVERI 12 Il problema più grave è il nanoparticolato MASSAGGI 14 Nomi esotici ma tecniche standard VISENTIN 6 Uno spiazzo a Impastato Vi do la parola PAG. 3 (Bruno) Sentieri Iblei Un migliaio di persone alla festa naturalistica, domenica scorsa, a Cava Carosello A PAG. 2 (Perna) Due sono gli aspetti che meriterebbero particolare attenzione del direttore generale dell’ASP: il primo riguarda il discreto numero di “politici” che risultano componenti delle commissioni; il secondo si riferisce all’incompatibilità contrattuale dei medici di famiglia convenzionati. Sembra poco opportuno che ad esaminare la sussistenza dei requisiti che possono determinare l’erogazione di benefici economici, siano chiamate persone che svolgono attività politica. Se poi queste persone non sono semplici componenti, ma addirittura presidenti di commissione, la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente della commissione che si occupa della legge 104 sull’handicap è un politico, consigliere provinciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero. A PAGINA 13 Ortigia, la povertà dietro l’opulenza “Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi, dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le comunitàalloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprattutto ci occorre per mandare avanti la struttura”. PAGG. 8-9 (De Luca) Go-Bike, un servizio in effetti mai partito De Michele pagg. 10-11 Padre Marco Tarascio (chiesa dell’Immacolata): “Io credo che ci sia un chiaro progetto politico su Ortigia, né di destra né di sinistra. Questo progetto prevede che Ortigia diventi luogo di turismo. Ma nient’altro. Basta guardare quanti B&B ci sono. Impressionante! Gli abitanti fino a poco tempo fa c’erano ma sono stati presi e spostati nei ‘casermoni’ di via Algeri, via Italia 101 e della Mazzarrona. Le zone della Giudecca e della Graziella ancora resistono, sono quartiere vivi. Ma è evidente che il corso Matteotti separa due zone: quella alberghiera e quella abitata”. Cosa fanno le istituzioni? “Niente! Qui non funziona neppure il consiglio di quartiere. Tranne alcuni personaggi che cercano di far funzionare un po’ le cose, il quartiere non va. Qui non si vedono neppure i politici, nonostante tutte le sedi delle istituzioni siano qui. Ma per Ortigia non si spende nulla, tranne che per qualche festa”. A PAG. 7 (Mainenti) 2 14 Novembre 2009 Continuare sulla strada del consumismo sfrenato porta all’esaurimento delle risorse Ogni anno si eccede nell’uso della carta di credito ecologica liquidando di fatto il capitale naturale del pianeta di PAOLO PANTANO La crisi economica è figlia legittima della crisi culturale e sociale. Il metro di valutazione è oggi più immediato, basta apparire bene, avere una buona immagine e sapersi vendere (con tutte le sfaccettature positive e negative che il verbo vendere comporta). Ma, come i titoli tossici per cui dietro la facciata non vi è economia reale ma solo economia virtuale di carta, così dietro un’apparenza ben presentata e ben confezionata non corrisponde spesso un prodotto serio. Oggi la falsa cultura del populismo imperante cerca di soddisfare i desideri anziché i bisogni. Ciò comporta una corsa folle all’iperconsumo e al sovraconsumo e quindi alla distruzione progressiva del nostro capitale naturale. Ma quanto capitale naturale serve per la sostenibilità dei nostri sistemi economici e sociali? Quanto incide la nostra impronta ecologica? Ma descriviamo prima cosa essa è. L’impronta ecologica di una data popolazione può essere definita come la superficie di territorio, indipendentemente da dove tale territorio è situato, che è necessaria per fornire alla popolazione tutte le risorse di energia e materie prime e per assorbire, a tempo indeterminato, gli scarti della stessa popolazione. Per esempio: im- maginiamo una città sotto una cupola di vetro emisferica trasparente che faccia passare luce ma non permetta il passaggio di cose materiali. Per poter continuare a vivere all’interno della cupola i cittadini hanno bisogno di una quantità di terreno (zone agricole, foreste, fiumi ecc.) che dia le risorse necessarie e assorba gli scarti prodotti. Il territorio racchiuso sotto la cupola corrisponde all’impronta ecologica di quei cittadini, la capacità produttiva e di sostenere la vita di quel territorio è la biocapacità, cioè un sistema sostenibile che soddisfi i bisogni di oggi senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro. Vivere in modo sostenibile significa, infatti, vivere in modo confortevole e pacifico entro i limiti posti dalla natura. Oggi si vuole vivere (o meglio si è vissuti, la crisi attuale ci ridimensiona un po’) a un livello superiore di quello che potremmo permetterci. Come si usa dire “il sergente vive come se fosse un generale, ma con la paga di sergente”. Anche il concetto di produzione viene falsato, si produce per il consumo non per il bisogno, tutto ciò va contro le più elementari regole economiche. Circa due mesi fa, il 24 settembre, v’è stato quello che viene chiamato overshoot day (giorno del superamento del capitale naturale per effetto del sovraconsumo). I calcoli diffusi dal Global Footprint Network mostrano che, a partire da questo giorno sino alla fine dell’anno, gli esseri umani vivranno al di là delle risorse ecologiche messe a disposizione dal nostro pianeta. Le ricerche effettuate dall’organizzazione non-profit statunitense in collaborazione con la “New Economics Foundation”, un’organizzazione indipendente inglese, dimostrano che l’umanità sta consumando la quantità totale di risorse rinnovabili che la na- tura ha prodotto quest’anno. Ricerche aggiornate dimostrano che il crescente consumo di risorse ecologiche sta spingendo il mondo sempre più presto verso il deficit ambientale. Ogni anno il Global Footprint Network calcola l’impronta ecologica dell’umanità. Questa valutazione viene utilizzata per determinare la data esatta in cui noi, come comunità globale, cominciamo a far crescere il nostro deficit ecologico annuale, cioè quando la domanda di risorse inizia a superare le disponibilità rinnovabili naturali. Allo stato attuale l’umanità eccede nell’uso della sua carta di credito ecologica e può solo farlo liquidando il capitale naturale del pianeta. Continuare su questa strada porta all’esaurimento di risorse come le foreste e le terre agricole sulle quali si basa tutta la nostra economia. L’Overshoot (il sovraconsumo ) é stato definito “il più grande problema che dobbiamo affrontare”. Pur essendo ancora poco noto al pubblico, le cause e gli effetti dell’overshoot sono tanto semplici quanto significativi. In ogni dato anno, se l’umanità consuma più cibo di quanto produce, ha bisogno di dar fondo alle riserve; se gli alberi vengono tagliati più velocemente della loro ricrescita, le foreste diven- tano più piccole dell’anno prima. Il consumo di risorse dell’umanità cresce, e di conseguenza il nostro stile di vita attuale sta esaurendo il capitale naturale terrestre, cosa che mina il futuro dell’umanità. Attualmente, l’impronta ecologica dell’umanità é almeno il 30% più grande della biocapacità del pianeta. In altre parole c’é bisogno di un anno e tre mesi affinché la Terra rigeneri ciò che usiamo in un singolo anno. Ogni anno, a partire dalla metà degli anni ‘80 il nostro deficit ecologico contribuisce ad aumentare il debito ecologico globale. Uscire dal debito e fermare il sovraconsumo significa riportare la domanda entro il livello sostenibile dal pianeta. Mezzi di valutazione come l’impronta ecologica, che confrontano la nostra domanda con le capacità naturali di fornire risorse, ci possono aiutare nel nostro bilancio ecologico che possiamo soddisfare riducendo la domanda, consumando meno risorse pro capite, incrementando l’efficienza nell’uso delle risorse, incrementando gli ecosistemi strategici per la fornitura di rifornimenti. Intraprese insieme, queste azioni possono aiutarci a proteggere sia la biodiversità che a fermare il sovraconsumo. Un migliaio alla “Festa dei sentieri iblei” alla Cava del Carosello di Noto Antica Viaggio nella storia di questa terra, tra concerie medievali gualcherie, mulini, chiese rupestri e una natura stupenda di MASSIMILIANO PERNA Due giorni intensi dedicati agli Iblei e al loro splendido patrimonio naturalistico, storico ed archeologico: anche quest’anno, la “Festa dei sentieri iblei”, giunta alla sua terza edizione, è stata l’occasione per consentire a circa un migliaio di persone di scoprire la storia, gli odori e i sapori custoditi tra le rocce e il verde di un territorio che rientra nell’ambito di quel meraviglioso Parco degli Iblei che da anni deve essere istituito, ma che viene frenato dall’inerzia di un sistema incapace, a grandi linee, di concepire la ricchezza e il carattere innovativo di uno sviluppo basato sulla promozione dell’ambiente e delle tradizioni. Teatro di questa due giorni, svoltasi lo scorso week-end, è stata la città di Noto, la sua parte più antica. L’iniziativa ha preso avvio il sabato con una serie di attività e di mostre, a cui è seguita la proiezione di diversi audiovisivi preparati dagli enti e dalle associazioni che hanno organizzato insieme questo evento. La domenica, invece, ha rappresentato il clou della manifestazione, con la visita alla Cava del Carosello di Noto Antica, dove il Corpo Forestale della Regione Siciliana ha di recente svolto un’importante opera di sistemazione dei sentieri, resi così fruibili a tutti, e di recupero delle concerie medievali che insistono lungo il percorso. Un percorso iniziato dalla Porta della Montagna, dove i partecipanti si sono radunati per scegliere tra le varie attività previste: la visita guidata agli scavi archeologici, il reinserimento della fauna selvatica riabilitata, le prove di salita su corda e, soprattutto, l’escursione alle cave del Carosello e S. Calogero. Attività proposte e realizzate dalle varie forze che hanno sapiente- mente organizzato il tutto, ossia istituzioni e associazioni. Il risultato è stato eccellente. I partecipanti, divisi in gruppi accompagnati dalle guide delle varie associazioni, hanno potuto conoscere la flora, la fauna e le piscine naturali (i cosiddetti laghetti senza fondo) presenti nella splendida valle scavata dalle acque del fiume Asinaro. Così come hanno potuto osservare la perfetta conservazione degli insediamenti umani, come le concerie e le gualcherie, i mulini con le immancabili macine, la chiesa rupestre di San Giuliano, in cui è ancora possibile osservare l’oratorio, con gli affreschi, l’altare, l’edicola votiva e i sedili ricavati nella roccia. Un viaggio nella storia e nella natura, con la piacevole sensazione di respirare ed osservare l’assoluto rispetto che le comunità dei nostri predecessori riservavano all’ambiente circostante, sfruttato in maniera armonica, senza violenza, senza la sottomissione delle sue forme e delle sue caratteristiche al volere avido dello sviluppo e del progresso. Una giornata educativa e rigenerante, arricchita dal buffet di prodotti tipici offerto dagli organizzatori. Una suggestiva manifestazione resa possibile dalla collaborazione preziosa tra il mondo istituzionale e quello dell’ambientalismo organizzato. Una lezione su come sia possibile attrarre i cittadini e sorprenderli con la semplice bellezza dei luoghi, con il ritorno a tempi lontani di cui si è smarrito il sapore e di cui restano preziose testimonianze che non possono non essere difese e tutelate. L’ennesima dimostrazione che l’istituzione del Parco degli Iblei non può attendere oltre per- ché, così come avvenuto in altre parti d’Italia con un patrimonio, in alcuni casi, forse anche meno ricco di quello ibleo, sarebbe l’occasione per realizzare una forma di sviluppo compatibile e innovativo, capace di creare occupazione, puntando sul turismo di qualità, principalmente sul settore dell’ecoturismo e su quello enogastronomico, ambiti in grande crescita che individuano nella Sicilia uno dei luoghi con le maggiori risorse e potenzialità. Uno sviluppo che valorizzerebbe nel contempo la inestimabile ricchezza ambientale racchiusa tra le gole e le cave degli Iblei, fungendo anche da stimolo per la rivalutazione e riqualificazione di tutti quei versanti del territorio che si trovano ancora in stato di abbandono. Uno dei motivi fondanti della prevista istituzione del Parco. Una scelta lungimirante ed intelligente che richiede una mentalità opposta rispetto a quella di chi intende saccheggiare e barattare il territorio e l’ambiente con forme di pseudo sviluppo come quelle progettate in questi anni nell’area sud-orientale, tra trivellazioni, rigassificatore, inceneritori, villaggi turistici ad impatto massimo, ecc. Forse ai nuovi predatori di questa terra bisognerebbe far sentire gli odori selvatici delle piante che attraversano la Cava del Carosello e accompagnano le acque limpide dell’Asinaro, oppure far vedere da vicino l’azzurro cristallino dei laghetti. Chissà, magari potrebbero capire che la gente di questa provincia è stanca di fumi, metalli e impianti ed ha voglia di riappropriarsi della bellezza del proprio territorio. Ed occasioni come queste, così partecipate, ne sono la dimostrazione. il francosauro Bisognava pensarci prima “Cantami, o diva, di Gianfranco Fini l’ira funesta che infiniti addusse mugugni a Silvio e molte anzitempo all’orco generose cedette alme d’eroi” (La Russa, Matteoli, Gasparri eccetera). Ci scusino i puristi dell’Iliade per l’irriverente parodia di un gladiatore il quale, vedovo di una leadership consolidata in decenni, si è ritrovato annesso e trascinato nel carro trionfale del nuovo imperatore di Roma. Il leader incontrastato del MSI, l’alfiere innovatore di AN, oggi la terza carica dello Stato s’è infilato nel cul de sac del PDL dove il Re Sole, dinanzi al suo specchio rigorosamente oblungo, ripete affascinato: “L’Etat c’est moi”, “La loi c’est moi”, “La justice c’est moi”. “Caro Gianfranco dell’età tua antica rimembri ancora quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi e tu sul limitar dell’emmessì fiorivi...”. Altri tempi. Ora gli resta l’epiteto, l’invettiva dell’impotente: “Nel PDL c’è chi confonde la leadership con la monarchia assoluta”, “si respira un’aria da caserma”, ma quando il capo ordina a Gianfranco non resta che abbozzare. Anche perchè “a liti a liti s’avvizzisce l’alba della speme Gianfranco ai tuoi progetti e tutto tace intorno, tutto tramuta in lento peregrino andare al tempo dell’esilio”. Bisognava pensarci prima. 14 Novembre 2009 3 “Invalidità civile, si smaltiscono gli arretrati. “Ma all’Inps ci sono pratiche ferme da un anno” Commissioni invalidi civili, l’anomalia siracusana troppi politici dentro e alcuni persino presidenti di PINO BRUNO Da circa un anno operano nell’ambito della provincia di Siracusa dieci commissioni per l’accertamento dell’invalidità civile. Una di queste è espressamente dedicata all’handicap (legge 104) e un’altra alla verifica di sordomuti e ciechi. Nell’ultimo biennio le visite effettuate hanno superato quota 17 mila all’anno con un costante aumento, sebbene di lieve entità. L’enorme arretrato che si era accumulato nei primi anni del decennio è stato progressivamente smaltito da quando la competenza è passata alle ASL. Oggi l’attesa per essere chiamati a visita si aggira attorno a 2-3 mesi, mentre per l’effettiva erogazione dei benefici bisogna aspettare ulteriori 6 mesi circa affinchè l’INPS definisca la pratica. Nel 2008 sono state 17.779 le pensioni pagate a cittadini della nostra provincia, equivalenti a 44,4 ogni 1000 abitanti con un incremento del 18,6% rispetto al 2004, anno precedente all’ultima modifica legislativa sulla materia. La provincia di Siracusa, per una volta almeno, non si trova agli ultimi posti della classifica, risulta infatti preceduta in negativo da altre 24 province per quanto riguarda il rapporto abitanti/trattamenti erogati, sebbene ugualmente al di sopra della media nazionale di 36,5 pensioni ogni 1000 abitanti. L’eccessivo numero di trattamenti, che vede al Sud il 50% di erogazioni in più rispetto al Nord, ha indotto il Governo prima a stabilire un piano straordinario di controlli per il 2009, successivamente a emanare una nuova disciplina nella procedura di accertamento. Le novità, che scatteranno dal primo gennaio 2010, sono contenute nel cosiddetto “decreto anticrisi”, successivamente convertito nella legge102, e riguardano principalmente la modalità di presentazione delle domande e la composizione delle commissioni. I cittadini dovranno presentare l’istanza direttamente all’Inps, che la trasmetterà in tempo reale e in via telematica alle Asl, con la creazione di un fascicolo elettronico per ciascun invalido civile. La commissione medica sarà integrata con un medico dell’Inps quale componente effettivo, per cui verrà saltato un passaggio della procedura permanendo però il controllo dell’ente erogatore del beneficio. La presenza dell’Inps direttamente nella commissione dovrebbe garantire in ogni fase del procedimento l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale e soprattutto accelerare i tempi. Si tratterà quindi, almeno nelle intenzioni, di una rivoluzione che dovrebbe semplificare la vita ai cittadini, assicurare loro trasparenza, rendere più celeri i tempi per le visite e l’erogazione degli eventuali trattamenti economici. Anche all’ASP di Siracusa si è avviato il nuovo processo organizzativo che al momento incontra però delle criticità legate al nuovo programma informatico, collegato con quello dell’INPS, che gestirà a regime l’intera procedura. “Siamo riusciti a ridurre notevolmente le liste d’attesa portandole ad appena 70 giorni; purtroppo negli ultimi mesi, da quando abbiamo iniziato ad usare il nuovo software fornito dall’INPS, sono iniziate delle difficoltà e conseguentemente stiamo accumulando ritardi. Siamo in fase di rodaggio e speriamo di allinearci entro la fine dell’anno poiché da gennaio dobbiamo tassativamente partire con quanto prevede la nuova normativa”. Questo è ciò che ci hanno detto al settore di medicina legale dell’ASP, competente per il coordinamento delle commissioni. “I medici dell’INPS di Siracusa sono in numero veramente esiguo per far fronte all’alto numero di richieste annuali, in pratica i sanitari di quell’ente sono solo tre. Uno di questi non potrà fare parte delle commissioni invalidi poichè presso l’INPS dovrà rimanere una commissione di verifica nel caso di controversie che potrebbero nascere quando non vi è accordo tra i componenti di quella di prima istanza”. La soluzione a questo problema che rischia di vanificare gli obiettivi di celerità che si propone Siracusa (25^) Totale Italia Pensioni Beneficiari ogni Variazione % Inv.Civ. 2008 1.000 abitanti sul 2004 17.779 44,4 18,6 2.137.078 36,5 28,4 la “riforma”, non sono ovviamente di competenza degli interlocutori che abbiamo ascoltato. Rimane il fatto che già oggi gran parte del tempo per definire una pratica, soprattutto quando vi è un contenzioso, si perde proprio all’INPS per le obiettive carenze d’organico. “Ci sono pratiche ferme all’istituto di previdenza da più di un anno”, continuano dalla medicina legale, “inoltre in Sicilia, a differenza di altre regioni, abbiamo l’ulteriore passaggio della Prefettura che allunga ancor più i tempi. Si spera che anche quest’altro ostacolo che impedisce di erogare un servizio più adeguato all’utenza possa essere superato in futuro. E’ necessaria però in questo caso, una legge regionale”. Dal quadro che ci è stato esposto si può legittimamente dubitare che la situazione migliorerà, la tematica tra l’altro pone non pochi problemi di trasparenza e per questo abbiamo chiesto come vengono assegnate le pratiche alle varie commissioni. “Ogni istanza viene trattata rigorosamente in maniera cronologica a eccezione di quelle che si riferiscono a patologie tumorali a cui diamo la precedenza. Viene fatta quindi una suddivisione per tipologia di richiesta, ad esempio legge 104, legge 68, ciechi; quindi un’ulteriore suddivisione per distretto di competenza. Infine, automaticamente il programma informatico assegna le pratiche a ciascuna commissione, sempre in base alla data di presentazione della domanda, fino ad un massimo di 50 pratiche iniziando dalla prima commissione. Questo limite non può essere superato, per cui non possono essere inserite pratiche che non rispettino l’ordine cronologico.” Un sistema trasparente quindi, che permette di esitare fino a 500 istanze settimanali. Per ogni commissione è prevista infatti una seduta settimanale, oltre a quella dedicata ad eventuali visite domiciliari per pazienti non trasportabili. Il sistema adottato ad oggi, tralasciando per il momento quanto succederà da gennaio 2010, sembra effettivamente trasparente e sufficientemente celere per la parte che riguarda l’azienda sanitaria. Ci risulta però che esistono problemi di “incompatibilità” di alcuni componenti delle commissioni. Alla domanda non abbiamo ricevuto risposta, comprendiamo la riservatezza trattandosi di argomento alquanto delicato. Poichè parliamo di incarichi pubblici, affidati con delibere della ex ASL, ne riferiamo tranquillamente noi. Due sono gli aspetti che meriterebbero particolare attenzione del direttore generale dell’ASP: il primo riguarda il discreto numero di “politici” che risultano componenti delle commissioni; il secondo si riferisce all’incompatibilità contrattuale dei medici di famiglia convenzionati. Sembra poco opportuno che ad esaminare la sussistenza dei requisiti che possono determinare l’erogazione di benefici economici, siano chiamate persone che svolgono attività politica. Se poi queste persone non sono semplici componenti, ma addirittura presidenti di commissione, la cosa appare intollerabile. Perfino il presidente della commissione che si occupa della legge 104 sull’handicap è un politico, consigliere provinciale e direttore sanitario di presidio ospedaliero. Un concentrato di conflitti d’interesse. Un altro presidente di commissione è vice-sindaco e medico di famiglia. Altri consiglieri comunali sono “semplici”componenti di commissione. Per quanto riguarda i medici convenzionati, l’incompatibilità si riferisce alla impossibilità di svolgere l’attività di componente di una commissione invalidi civili nell’ambito territoriale in cui si presta servizio come convenzionato. La ragione di questo divieto risiede nella possibilità di dover esaminare e decidere sull’invalidità di un proprio assistito. Nel caso in cui si è “semplici” componenti ci si può sempre astenere, ma se si è presidenti di commissione non si può! Come farà il presidente della seconda commissione, medico di famiglia nonchè presidente dell’ordine dei medici? In fondo le soluzioni ci sono. Basterebbe, ad esempio, che anche nell’azienda sanitaria di Siracusa si adottasse un regolamento, già vigente peraltro in altre aziende anche siciliane, che in considerazione della delicatezza della materia da trattare escludesse dagli incarichi coloro che, all’atto dell’affidamento o successivamente allo stesso, rivestano cariche politiche o sindacali, oppure svolgano attività di medici convenzionati nell’ambito territoriale di competenza della commissione in cui dovrebbero essere nominati. Semplice, trasparente, ma effettivamente poco produttivo per creare consenso. Gli “obiettivi specifici” di Maniscalco fino al 31 dicembre. Ma non è ancora riuscito a nominare il direttore sanitario Due mesi al direttore generale dell’ASP per risolvere problemi che si trascinano da almeno dieci anni Come annunciato, l’assessore regionale alla sanità ha assegnato ai nuovi manager gli obiettivi da realizzare entro il 2010. Si tratta di impegni che fanno parte integrante dei loro contratti e sul cui raggiungimento saranno valutati. Ogni direttore generale ha degli obiettivi specifici correlati alla realtà in cui opera, oltre ad alcuni di carattere generale uguali per tutti. Le date sono fissate in maniera precisa e scandiscono i trimestri che mancano al 31 dicembre del prossimo anno. Entro la fine del 2009, il dott. Maniscalco dovrà dare piena attuazione alla rimodulazione dei posti letto ospedalieri. Dovrà cioè risolvere in via definitiva la scabrosa questione dell’ospedale Avola-Noto senza possibilità di tergiversare ulteriormente. Dovrà cercare di mettere d’accordo Lentini ed Augusta senza provocare le reazioni dei sostenitori dei due ospedali. Siamo infine giunti alla soluzione finale, all’Armageddon, riuscirà a sconfiggere i cavalieri dell’apocalisse? Scherzi a parte, non sarà questo lo scoglio più importante da superare. Il direttore generale dell’ASP sarà impegnato a stilare, entro il 2009, un piano programmatico per l’attivazione dei presidi territoriali di assistenza (PTA) che dovran- no essere realizzati nel territorio provinciale. Dovrà progettarne l’attività e soprattutto coinvolgere i medici di famiglia nel loro funzionamento. Medici di famiglia e pediatri dovranno svolgere la loro attività in collegamento con i PTA in maniera da garantire una maggiore continuità assistenziale nel territorio. Sembra che i medici di famiglia abbiano già fatto presente che senza soldi non si canta messa. Vorranno l’ennesima indennità per rimpinguare il loro misero salario. Sempre entro l’anno in corso, il dott Maniscalco è chiamato a riorganizzare tutta la specialistica ambulatoriale pubblica e privata per “migliorare l’offerta di prestazioni, aumentarne l’appropriatezza, migliorarne l’efficienza, ridurre i tempi di attesa per effettuare gli esami diagnostici.” Compito facile facile da realizzare in meno di due mesi. Ancora, dovrà potenziare la prevenzione oncologica aumentando la popolazione da sottoporre ai tre screenings individuati dalla regione: paptest, mammografia, test per la prevenzione dei tumori del colon. Infine, sarà valutato anche in base alla capacità di “riorganizzare e riqualificare i pronto soccorso aziendali al fine di migliorarne l’accoglienza ed i tempi di attesa per i trattamenti.” Tutto questo entro il 31 dicembre 2009; sembra il programma, come si dice, di un’intera legislatura. Uno degli obiettivi del primo trimestre lo ha però già raggiunto: l’apertura dell’hospice. E’ già in vantaggio dunque. Un piccolo sforzo ed è fatta! In soli due mesi dovrebbero risolversi problemi che si trascinano da almeno dieci anni. E non è finita, entro marzo 2010 il manager dovrà rendere operativa l’assistenza domiciliare, realizzare gli sportelli unici per l’accesso alle cure domiciliari, collegarli con i PTA, fornire il primo ciclo terapeutico ai pazienti dimessi dagli ospedali, redigere l’atto aziendale e determinare la dotazione organica. Entro la fine del 2010 il dott. Maniscalco dovrà raggiungere altri 34 obiettivi, tra potenziamento di quelli già ricordati sopra e altri di cui sottolineiamo in particolare l’attivazione della risonanza magnetica presso l’Umberto I° entro il 30 giugno. Forse non si tratta di un programma di legislatura, piuttosto di un difficile e complesso piano decennale. Registriamo, non ce ne voglia, che dopo due mesi non è ancora riuscito a nominare il direttore sanitario. Pino Bruno Il dott. Maniscalco, direttore generale dell’ASP 4 14 Novembre 2009 Dopo le “sviste” rimandato a mercoledì prossimo il trasferimento in piazza Sgarlata L’odissea della fiera di via Algeri. Contestato il sorteggio Gli anziani: “Prima noi”, ma Visentin si gioca la faccia di MONICA LANAIA Che questa vicenda della fiera di via Algeri si prospettasse spinosa era prevedibile. Innanzitutto perché da anni e anni si annunciava “un veloce spostamento” del mercato che, fino a questo momento, non si è ancora concretizzato. Inoltre, perché il dibattito in merito è stato arduo e ha coinvolto una pluralità di voci: sindaci, assessori, consiglieri comunali, associazioni di categoria e, non ultimi, cittadini (residenti della Mazzarrona principalmente) e operatori commerciali. E la storia non è ancora giunta all’ultima puntata: mercoledì, il giorno di S. Martino, mentre la via Algeri si sarebbe dovuta risvegliare vuota e tranquilla, il suolo della piazza Sgarlata avrebbe dovuto ospitare, per la prima volta, le bancarelle dei venditori. Così non è stato. Cosa volete, meglio sorridere dei soliti “intoppi burocratici” anche perché, stavolta, la situazione ha del paradossale. Ricostruiamo gli eventi, cominciando però, perché di questi fatti si parla già da troppo tempo, dal momento in cui, ormai assodato che la via Algeri non è un posto idoneo - causa condizioni logistiche, igieniche, strutturali e di sicurezza - ad ospitare la tradizionale fiera del mercoledì, si decide di spostare la suddetta fiera nel nuovo piazzale Sgarlata, ex parco Robinson. Ovviamente non mancano proteste poiché i venditori ambulanti sono restii a far lasciare alle loro bancarelle il terreno natio, temendo, peraltro, che il trasloco provochi tracolli finanziari e ritenendo che un’alterazione dello status quo non sia conveniente. D’altro canto, era oramai impossibile fare tacere le proteste dei residenti della via Algeri e delle zone limitrofe, prigionieri in casa propria ogni mercoledì, stipati tra rifiuti e camionette, tra ortaggi e articoli per la casa. Dunque, da un lato i sostenitori dello spostamento del mercato, dall’altro i sostenitori del mantenimento del luogo tradizionale; vi erano, poi, i molti che, pur asserendo l’inagibilità evidente della via Algeri, consigliavano di procedere contrastando l’abusivismo, assicurando maggiori controlli, modificando la disposizione delle bancarelle, senza, tuttavia, privare la Mazzarrona del suo “polmone” commerciale. Infine, come tutti ben sanno, si è optato per il trasferimento del mercato in un luogo apposito, più spazioso e più adeguato, indubbiamente, rispetto alla via Algeri. Siccome, però, il teletrasporto non fa ancora parte delle dotazioni dell’amministrazione comunale, le operazioni del trasloco, che apparivano lineari sulla carta planimetrica, si sono inceppate al momento della loro messa in pratica. Paola Gianì, presidentessa dell’associazione nazionale dei venditori ambulanti, ci ha narrato il seguito della vicenda e la difficile mediazione svolta dalle associazioni di categoria e, infine, dallo stesso sindaco Roberto Visentin. Inizialmente, infatti, si era deciso di stilare una graduatoria degli operatori commerciali aventi diritto a posizionarsi nel nuovo mercato; l’ufficio del commercio, in poco più di una settimana, ha compilato la graduatoria in questione, visionando le circa 250 pratiche e le annesse documentazioni presentate dagli ambulanti. È accaduto tuttavia che, essendosi rivelato molto gravoso il disbrigo di tali atti, vi siano state delle, chiamiamole così, sviste, prontamente segnalate da quei venditori danneggiati dalla mancata analisi dei loro documenti. A questo punto apriamo una parentesi: il nostro sindaco aveva affermato che “se mercoledì 11 il mercato non fosse stato già insediato in piazza Sgarlata, ci avrebbe perso la faccia”. Ma come sedare le proteste dei commercianti e risolvere celermente la faccenda, senza “perderci la faccia”, alle porte ormai del paventato giorno di S. Martino? L’uovo di Colombo, in questo caso, si chiamava sorteggio. In pratica, sorvolando il trascurabile dettaglio dell’anzianità, ci si sarebbe affidati al caso fortuito per l’assegnazione dei punti vendita nel nuovo mercato. Pe- raltro, il sorteggio non è avvenuto utilizzando due urne, una contenente i numeri dei posti disponibili, l’altra contenente i nomi dei commercianti: l’urna era una sola ed era riempita dai biglietti con i numeri dei posti del mercato; per associare il numero estratto al nome del commerciante si seguiva la famosa graduatoria stilata in base ai criteri di anzianità. Questo ingegnoso accorgimento consentiva di non sconfessare la menzionata graduatoria inserendo, al contempo, un pizzico di suspense nell’assegnazione delle aree commerciali. Tale soluzione ha, però, suscitato il malcontento degli ambulanti che hanno visto azzerate le loro anzianità di commercio; nonostante le proteste e le segnalazioni da parte dei commercianti e da parte dell’Anva e di altre associazioni di categoria di Catania, si è proceduto ugualmen- te all’estrazione. A questo punto è intervenuto il sindaco che, prendendo atto delle critiche e dell’insoddisfazione derivanti dal sorteggio, ha indetto un incontro, che si è tenuto martedì, al quale hanno partecipato alcuni operatori e i sindacati; l’idea originaria era quella di effettuare un nuovo sorteggio, stavolta, magari, utilizzando due urne ed affidando, realmente, tutto al destino. Simile prospettiva avrebbe, però, reso scontenti, non solo coloro che si opponevano tout court ai sorteggi, animati dall’intento di difendere le loro anzianità, ma anche coloro che, essendo stati baciati dalla sorte nel primo sorteggio, avrebbero visto sfumati eventuali privilegi ottenuti fortuitamente. “In questa situazione critica” – commenta Paola Gianì – “il sindaco ha agito coscientemen- te, dimostrando di aver compreso le necessità dei cittadini, sia commercianti che acquirenti, e ponendo in secondo piano le questioni politiche”. E la decisione del sindaco è stata, per l’appunto, quella di consentire, nonostante vi fosse già un’ordinanza di chiusura, lo svolgimento del mercato in via Algeri anche durante quel famoso mercoledì 11; in teoria questo mercoledì di S. Martino è stato il giorno di commiato della fiera al suolo della Mazzarrona, poiché la prossima settimana il nuovo polo di piazza Sgarlata dovrebbe entrare in funzione: accantonata l’ipotesi dei sorteggi, infatti, sono stati accordati all’ufficio del commercio altri sette giorni, utili per rivedere le pratiche dei venditori, correggere le sviste e stilare una nuova graduatoria che – forse – avrà l’onore di essere quella definitiva. Gli ambulanti: “Su graduatorie e sorteggi non c’è stata trasparenza e serietà, anche dai sindacati” “7,5 metri nei parcheggi sono troppo pochi per i furgoni Con i mezzi a incastro impossibile andarsene prima” Abbiamo raccolto i commenti di ambulanti e acquirenti in quell’ultima mattina di fiera in via Algeri. Gli avventori delle bancarelle sono tendenzialmente favorevoli a questo spostamento: “L’unico problema – ci confida una signora – sarà il parcheggio per l’auto, ma trovare le bancarelle disposte in una piazza e non in una via che si snoda tutta in lunghezza, sarà più pratico per noi clienti”. Di diverso tono i commenti degli operatori commerciali. “Questa faccenda ci danneggia”, esordisce un ambulante e prosegue “I parcheggi in cui dovremo posizionare i furgoni sono stati solo disegnati sulla carta, senza valutare che, in realtà, 7x5m sono troppo pochi; inoltre, saremo sistemati a incastro cosicché chi sarà al centro della piazza e vorrà arrivare più tardi la mattina o smontare prima potrà scegliere se chiedere alle altre 300 bancarelle di spostarsi o se spiccare il volo”. Un altro commerciante contesta il fatto che graduatorie e sorteggi siano stati effettuati senza la partecipazione di una commissione del mercato: “Sono mancate trasparenza e serietà, anche da parte dei sindacalisti”- accusa -“che avrebbero dovuto interpellarci maggiormente visto che siamo noi i diretti interessati”. Salvo Tosto, uno dei venditori storici del mercato, chiosa: “Non siamo in disaccordo con il trasferimento in sé, purché non ci crei ulteriori problemi in un periodo già critico per il settore. Io ho 37 anni di anzianità, dovevo apparire fra i primi della graduatoria e, dunque, scegliere uno dei parcheggi migliori della piazza Sgarlata e invece sono risultato il 59°; di fronte a questa incongruenza ho presentato documentazione aggiuntiva ma nelle successive graduatorie sono Sgarlata, ci fossimo persi in un bicchiere d’acqua al momento di redigere la graduatoria per anzianità”. E gli abusivi? “Verrà emanato un bando” – assicura la Gianì – “per assegnare i posti rimasti vacanti: a quel punto chi, fra i 100-120 abusivi stanziati nelle vie adiacenti la via Algeri, avrà intenzione di regolarizzarsi sarà il benvenuto”. Sempre che, ovviamente, come temono alcuni venditori, gli abusivi non si limitino a seguire i colleghi regolarizzati, trasferendosi anche loro nelle vie prospicienti il piazzale Sgarlata. Monica Lanaia slittato, addirittura, al 151° posto. I primi della graduatoria hanno dichiarato di avere l’autorizzazione dal 1975, data bizzarra ove si consideri che il mercato esiste solo dal 1978”. Paola Gianì conclude: “La scelta di non far perdere un giorno di lavoro ai commercianti su suolo pubblico è stata lodevole e, di più, grazie a una più attenta revisione delle documentazioni, riusciremo a stilare una graduatoria che tuteli la dignità dei lavoratori, sia equa e conforme alle normative di legge; d’altronde era inconcepibile che, dopo essere riusciti a convincere i commercianti circa la necessità dello spostamento in piazza 14 Novembre 2009 5 Gli agrotecnici: “Situazione drammatica. Occorre l’intervento della Regione” Russo: “In forte aumento TBC bovina e brucellosi ovi-caprina Moltiplicate le stalle infette anche a causa della transumanza” di FRANCO ODDO “Sicurezza e ordine pubblico, igiene e sanità, carenze infrastrutturali costituiscono le tre situazioni di debolezza del settore zootecnico, peculiari alla nostra provincia, che unite alle ragioni macroeconomiche di crisi del settore, innescano un ulteriore fattore di depressione economica e sociale. Un settore che, malgrado il crollo delle aziende, degli occupati e del reddito rilevato dall’Istat nell’ultimo censimento, rappresenta ancora oggi un fattore rilevante dell’economia provinciale, specie nella zona montana e pedemontana nord e sud della provincia, dove si pone come attività agricola prevalente”. E’ quanto afferma il dottor Giuseppe Russo, presidente provinciale degli agrotecnici, non nuovo ad appelli alle istituzioni per la sopravvivenza di questo comparto. Qualche giorno fa la federcoltivatori ha denunciato il frequente furto di prodotti dei campi che poi finiscono nelle bancarelle degli ambulanti. Ma il problema si pone anche per la zootecnia. Le aziende si lamentano che le forze dell’ordine non effettuano un adeguato controllo del territorio e che esse sono esposte ad atti criminosi… “Hanno ragione. Da oltre un decennio, reati che negli ultimi tempi erano divenuti statisticamente irrilevanti come l’abigeato, il pascolo abusivo, la macellazione clandestina, oggi tornano a essere fenomeni criminosi significativi destando non solo un notevole allarme sociale ma anche un perverso effetto devastante sull’intera economia agricola siracusana. Il progressivo abbandono delle campagne, con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita del presidio sociale, territoriale, economico e ambientale garantito dal- Dott. Pippo Russo la presenza dell’agricoltore, non è determinato solo da fattori di redditività ma anche e soprattutto dalla progressiva insicurezza in cui si vive nelle zone rurali, prive di qualunque presidio di polizia e persino di uno sporadico sistema di controllo del territorio. Questo fenomeno criminoso è molto più vasto di quanto appare dalle statistiche, perché la percentuale dei reati denunciati è molto più bassa rispetto al dato reale. Alla progressiva insicurezza delle campagne ha contribuito molto anche il fenomeno della transumanza, la cui pericolosità si accresce al saldarsi con la malavita locale”. Come si potrebbe ovviare? “Attraverso un maggiore coordinamento tra le forze di polizia per garantire presidi e controlli sistematici sul territorio. Faccio un appello anche all’autorità giudiziaria perché giudichi con maggiore rigore i reati posti sotto la sua giurisdizione e ammetta la possibilità per le pubbliche amministrazioni e per i rappresentanti di categoria di costituirsi parte civile nei processi per reati attinenti al settore zootecnico. Ai legislatori chiediamo, invece, un inasprimento delle pene e una disciplina più rigorosa nei confronti dei fenomeni di transumanza. Dovrebbe essere obbligatoria per ogni azienda agricola l’adozione di sistemi di rintracciabilità dei capi animali, per esempio attraverso l’applicazione dei sistemi di rilevamento a radiofrequenza o di mappatura del dna. Veniamo al problema igienico-sanitario. Il vicedirettore del nostro giornale, Marina De Michele, ha condotto nel recente passato una vasta inchiesta sulla diffusione della tubercolosi nella nostra provincia, evidenziando anche come il fenomeno della tubercolosi bovina sia in forte aumento in tutta la zona montana. Lei conferma? “Sì, nell’ultimo decennio si è assistito al progressivo vi- rulento riaffermarsi, in forma endemica, della tubercolosi bovina, della brucellosi ovicaprina e di altre patologie che si consideravano debellate e comunque contenute in misura tale da ritenerle fisiologiche. Questo fenomeno, al quale la transumanza ha dato un contributo determinante, ha determinato il progressivo e definitivo tracollo del settore zootecnico. “Le problematiche igienicosanitarie, oltre al grave danno economico che arrecano al settore, determinano anche un altrettanto grave danno alla salute e alla sicurezza alimentare umana, ulteriormente accresciuta dal sottovalutato fenomeno delle macellazioni clandestine. Al moltiplicarsi di casi di stalle infette non è seguita una politica adeguata di repressione e di prevenzione sanitaria finalizzata all’eradicazione di queste patologie, ciò anche a causa, per il passato, dell’insufficiente organico del Servizio Veterinario dell’AUSL 8 che, fino a pochi mesi addietro, non era in condizione – in termini di risorse umane, economiche e strumentali – di far fronte in modo organico e strutturato al fenomeno”. A occhio e croce, non ci pare che il fenomeno sia stato compreso nella sua gravità… “Io credo sia necessario un intervento immediato sull’as- sessorato regionale alla Sanità perché, consapevole della drammaticità della situazione, provveda a dare migliori e più giuste indicazioni per la sicurezza alimentare e per la tutela dell’attività di allevamento. Sottolineo con forza che la risoluzione dei problemi igienico sanitari è di fondamentale importanza in una prospettiva di sviluppo sostenibile del settore zootecnico, non tanto e non solo perché costituisce un ostacolo alla movimentazione dei capi animali o per l’incidenza sulla salute umana, ma soprattutto perché è alla base di qualunque politica di filiera e quindi di rilancio dell’economia zootecnica”. Nel nostro territorio due soli macelli, a Palazzolo e Floridia, con alterne fortune “Questa è l’unica provincia in Sicilia che accanto alla macellazione non ha sezionamento, laboratorio di macinati e preparazione di carni” “II comparto zootecnico in Sicilia, particolarmente in provincia di Siracusa, sconta due distinti problemi, uno connesso al tipo di azienda operante sul territorio: generalmente si tratta di aziende di ridotte dimensioni, spesso carenti sotto il profilo produttivo, strutturale e organizzativo. La seconda problematicità è costituita dall’assenza di stabilimenti di macellazione adeguati sotto il profilo dimensionale, igienico-sanitario e organizzativo. In Sicilia sono funzionanti, secondo dati della Regione siciliana, 55 macelli autorizzati con la legge 286/94, 35 pubblici di cui solo due in possesso del bollo CE, 20 privati tutti con bollo CE. In questo quadro la provincia di Siracusa. è quella meno strutturata, atteso che operano solo due macelli, uno a capacità limitata (Palazzolo Acreide), l’altro (Floridia) in possesso di bollo CE, entrambi con alterne fortune! “Proseguendo nel dato statistico, il 50% dei macelli è allocato nelle province di Palermo, Messina e Agrigento e in provincia di Siracusa - unica in tutta la Regione - non esiste alcuna struttura che all’attività di macellazione affianchi il sezionamento - nonostante la crescente importanza, in termini di competitività e di qualità del prodotto, di tale tecnica di trasformazione - e meno che mai il laboratorio di macinati e di preparazioni di carni o di deposito frigorifero. Tralascio di riferire l’importanza delle piattaforme del freddo in qualunque contesto produttivo improntato a principi di redditività, efficienza ed efficacia. “Ulteriore dato generale indicativo della deficitaria situazione produttiva e infrastrutturale siciliana è costituito dalla media di macellazioni annue, che si attesta intorno 3,5/4% dei capi complessivamente abbattuti in Italia per i diversi tipi di carni, e dal fatto che la dimensione normale di destinazione del prodotto sono le macellerie non essendo minimamente incidente alcuna attività di esportazione. “Dalla concatenazione di questi dati statistici emerge con palmare evidenza – anche al più miope degli amministratori - la strategicità di un moderno impianto di macellazione - CE, di trasformazione e confezionamento delle carni, con annessa linea del freddo, nella provincia di Siracusa. Ciò anche al fine di non vanificare il nascente ragionamento in termini di “filiera delle carni” che presuppone il possesso di opere infrastrutturali funzionali non solo alla trasformazione delle carni, alla loro rintracciabilità e salubrità, ma anche a una più razionale organizzazione dell’offerta e della commercializzazione dei prodotti che, in ultima analisi, si riverbererà in una più efficace organizzazione e redditività delle produzioni zootecniche. “Per queste ragioni chiediamo che il presidente della Provincia Regionale on. Bono pro- muova idonee azioni al fine di appaltare in tempi brevi il progetto per la realizzazione del frigo macello comprensoriale di Palazzolo Acreide finanziato dal ministero dell’Economia, il progetto presentato con il Patto Verde Agricoltura promosso e voluto dal Consorzio Allevatori di Siracusa, dal Consorzio Carni qualità Val D’Anapo, dalle organizzazioni di categoria, dagli Ordini e Collegi professionali del settore, dal Gal Val d’Anapo e in particolare dalla Provincia Regionale di Siracusa e dal Comune di Palazzolo Acreide”. 6 14 Novembre 2009 Presentata al sindaco la raccolta di lettere via web, 681 firme nel volgere di pochi giorni Visentin: “Non posso dire quando. Ma do la mia parola che dedicheremo uno spazio cittadino a Impastato” di MASSIMILIANO PERNA Appena un mese fa abbiamo fatto nostra la lodevole iniziativa, lanciata dal giornale on-line Tusciaweb, volta a chiedere ai sindaci di ogni comune italiano l’intitolazione di una via, piazza o luogo a Peppino Impastato, dopo l’oltraggio alla memoria compiuto dal primo cittadino leghista di Ponteranica (Bergamo). Avevamo percepito la voglia, anche a Siracusa, di aderire a tale iniziativa, di chiedere l’assunzione di una scelta simbolica ma importante, una risposta civile e netta, una presa di posizione chiara su una vicenda vergognosa. Il sindaco di Siracusa, Visentin, da noi interpellato, si era detto disponibile, qualora gli fosse pervenuta una sollecitazione da parte dei cittadini, a soddisfare la richiesta di intitolare un luogo al coraggioso giornalista di Cinisi. E la sollecitazione è arrivata puntuale. Poco dopo questa dichiarazione di disponibilità, nella nostra città si è attivato un movimento spontaneo, generoso, trasversale, fatto soprattutto di giovani, ma non solo. Un movimento non organizzato, privo di strumenti e di strutture, ma animato dalla volontà netta di partecipare a quella che è una battaglia culturale, una lezione di civiltà, una testimonianza reale di un senso della giustizia che è fatto anche di simboli, di esempi capaci di sopravvivere alla morte, di arrivare alle coscienze della gente attraverso le parole, i pensieri, la “normale” eroicità dei propri gesti. Non ci sono state raccolte di firme ufficiali, fatte di banchetti organizzati, di liste da riempire, spesso distrattamente: c’è stata la voglia di scrivere il proprio nome e cognome, la propria firma su una lettera personale, in forma cartacea, contenente una richiesta ben precisa, nella speranza di poter un giorno vedere il nome di Peppino impresso su un luogo pubblico, visibile. Un modo per contribuire alla realizzazione di uno spazio educativo, un gesto tanto semplice quanto sentito per gridare la voglia di legalità che scorre nelle vene di una parte del Paese. Così, nel giro di pochi giorni, attraverso il passaparola, i blog o i social network, sono state raccolte 681 firme. Il totale è elevato, considerati tempi e modi della raccolta, ma avrebbe potuto anche essere molto più alto, se al criterio della tempestività si fosse preferito quello della quantità. La volontà, però, era di far arrivare il prima possibile al sindaco quella sollecitazione che era stata invocata. Siamo stati incaricati di consegnare al primo cittadino queste firme. Lo abbiamo fatto martedì 10 novembre, presso il suo ufficio, dove egli, dinnanzi alla pila di lettere riposte in un raccoglitore di cartone, ci ha ribadito la propria disponibilità: “Commento positivamente questa importante iniziativa, perché si tratta di una persona che ha contribuito a svelare e denunciare determinati comportamenti ed ha combattuto contro un fenomeno impor- Il nostro Massimiliano Perna consegna al sindaco Visentin le lettere dei cittadini tante come quello della mafia, che in Sicilia ha condizionato e ancora condiziona molti settori della società. Tenere viva la memoria di certi personaggi è una cosa giusta per la storia di una città, di una regione, di una nazione”. Sull’adesione a questa iniziativa da parte di comuni di ogni parte d’Italia e di diverso colore politico, Visentin afferma: “La mafia non può essere considerata un fenomeno localistico. Non mi meraviglio del fatto che in varie parti d’Italia si ricordi una persona che magari, in molte città che aderiscono a questa iniziativa, non è mai stata. La partecipazione trasversale? Il contrasto alla mafia non può essere un problema di partito o di appartenenza. Sarebbe assolutamente sbagliato. Ci possono essere divisioni sul modo di affrontare il problema, ma di sicuro non sul principio. Ognuno di noi la può pensare in una maniera piuttosto che in un’altra, ci sono dei modi che magari sono più vicini alla mentalità di centrodestra o di centrosinistra, ma l’importante è che tutti concordino sul fatto che la lotta alla mafia è una cosa necessaria perché condiziona troppo l’economia di una nazione, il modo di vivere, la libertà individuale delle persone. Possiamo discutere su tante cose, ma sulla lotta alla mafia c’è poco da discutere”. Tornando all’oggetto dell’iniziativa, chiediamo al sindaco se ha già in mente il luogo da intitolare a Peppino e i tempi previsti per l’intitolazione: “Dobbiamo verificare ciò che abbiamo. Il luogo potrebbe essere anche uno slargo, un edificio, una biblioteca, ma anche, ad esempio, una nuova rotatoria con una statua al centro. L’importante è che si possa onorare la memoria di questa vittima di mafia. I tempi non sono immediati. Dobbiamo farlo al più presto, ma non posso fornire una data precisa. Dobbiamo vedere i siti e poi c’è tutta la procedura della toponomastica. Ad ogni modo, che questa cosa si faccia è sicuro, c’è la mia parola. Poi se ci vogliono due o sei mesi questo non glielo so dire”. La promessa è fatta, adesso bisogna solo attendere, nella speranza che vi sia la stessa rapidità che ha contrassegnato la generosa mobilitazione di centinaia di siracusani. Ogni sabato richiedi la tua copia de “La Civetta” all’edicola più vicina “Inaccettabile condannare l’isola a un immobilismo camuffato da rinnovamento” Nicita: “La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica Se la maggioranza non c’è, si vada a nuove elezioni” Guardando alla vita politica nazionale, regionale e provinciale si ha l’impressione di attraversare una fase di profonda crisi. Pur vivendo nella stessa società i problemi vengono percepiti in maniera diversa e le soluzioni prospettate divergono profondamente. Tutto ciò, secondo lei, è giustificabile? “Da che mondo è mondo le società sono sempre state caratterizzate da valutazioni diverse sugli stessi problemi. E’ proprio dalla diversità del modo di pensare che si ha l’evoluzione e il progresso. Quindi non bisogna preoccuparsi. Certo, la società moderna è più complessa. Il grado di cultura è più elevato, lo sviluppo tecnologico ha provocato significative trasformazioni, il lavoro risulta profondamente diversificato, così come l’organizzazione delle imprese. L’individualismo è una caratteristica ampiamente diffusa attenuando i principi di solidarietà e rendendo più difficile la valorizzazione del bene comune. La rivendicazione dei diritti a volte ha il sopravvento sulla strategia dei doveri. La nostra è diventata una società consumistica ed edonistica. I valori veri, come per esempio quello della solidarietà, della tolleranza, della valorizzazione delle strutture collettive, sono vissuti come doveri che debbono essere realizzati dagli altri, esonerando se stessi dall’agire”. Quindi lei conferma la crisi della società moderna e in particolare delle organizzazioni politiche? “E’ certamente vero che oggi vi è una eccessiva valorizzazione dell’individualismo e della tutela degli interessi privatistici ai quali subordinare tanti altri valori. Ma è anche vero che la società moderna riesce ad esprimere forme di altruismo ammirevoli. La diffusa organizzazione del volontariato nelle sue diversissime articolazioni ne è una esemplare testimonianza. Come sempre, convivono atteggiamenti egoistici e iniziative altruistiche. Per questo non bisogna essere pessimisti. Anzi, occorre essere ottimisti senza sottovalutare le difficoltà”. In tale contesto quale dovrebbe essere il ruolo dei partiti e dei gruppi dirigenti? “Il ruolo dei partiti è chiaramente previsto dalla nostra Costituzione. Sono libere associazioni che dovrebbero concorrere al bene comune. La lotta politica, purtroppo e spesso, trasforma i partiti in organizzazioni con il compito di esercitare il potere, anche attraverso libere elezioni. Non più un ruolo di servizio disinteressato bensì l’occasione per consolidare il potere personale e di gruppo, alimentando e soddisfacendo le proprie clientele elettorali. Un sistema politico così caratterizzato finisce col favorire processi degenerativi e fazioni. Oggi purtroppo viviamo, a mio giudizio, a livello nazionale regionale e provinciale alcuni significativi processi degenerativi e faziosi” Vuole esplicitare meglio questi concetti? “A livello nazionale, con l’ultima legge elettorale proporzionale col premio di maggioranza, che prevede l’abolizione del voto di preferenza, il sistema democratico è stato trasformato in sistema oligarchico. Il ristretto gruppo dirigente di ogni partito sostanzialmente nomina i parlamentari, per cui questi non sono più liberi e autonomi e se protestano corrono il rischio di non essere più ripresentati. I partiti, ad esclusione del PD, come dimostrato dalle recenti primarie, e in parte dell’UDC, che ha svolto il suo congresso, sono diventati partiti personalistici comprimendo la dialettica interna, cosa questa obiettivamente insopportabile e antidemocratica. La stessa unificazione di Forza Italia con Alleanza Nazionale, con un 37% di voti del PdL, non ha avviato un processo di vera democrazia interna tanto che l’on. Gianfranco Fini ha dovuto precisare fortemente che il PDL non può essere “una caserma”, né può essere accettato il pensiero unico. “A livello regionale, l’elezione diretta del Presidente della Regione, il cosiddetto Governatore, anche se espressione di una coalizione di quattro partiti (F.I., AN, UDC, MPA), avendo poteri eccezionali per garantire la governabilità, ha finito per stravolgere qualsiasi principio di confronto e di dialogo, utilizzando in maniera stravagante i poteri previsti dalla legge, per imporre soluzioni organizzate da un gruppo di potere politicamente trasversale. “La Sicilia ha bisogno di chiarezza politica. Se la maggioranza (FI, AN, UDC,MPA) vittoriosa nelle elezioni che ha eletto governatore Raffaele Lombardo non esiste più e non ci sono le condizioni per una sua ricomposizione è doveroso dichiarare il proprio fallimento e andare a nuove elezioni, o rompere il cordone ombelicale con i danti causa creando situazioni politiche di emergenza con caratteristiche politiche nuove. Non è accettabile condannare la Sicilia a un immobilismo dannoso, anche se camuffato da rinnovamento. In politica le gestioni personalistiche non sono mai innovative e frutto di cambiamento preparato e vissuto come tale. “Questa situazione regionale si è trasferita a livello provinciale, condannando anche i nostri enti a un pericoloso immobilismo”. Alla mia prima domanda lei ha risposto escludendo quasi l’esistenza di una crisi politica, ora sta concludendo in maniera più negativa di quanto le abbia chiesto... “In ogni società democratica vi sono energie, volontà, esigenze sociali, economiche e culturali tali da trovare le vie d’uscita, come peraltro ci insegna la storia. Sono profondamente convinto che l’opinione pubblica stia meditando e valutando i fallimenti politici e organizzativi, per cui se non ci sarà a breve termine una profonda revisione del modo di agire del governo dello Stato, della Regione e degli enti locali, si formerà dal basso una spinta unitaria sempre più larga per una vera alternativa a queste forze degenerative del sistema democratico”. 14 Novembre 2009 7 Padre Marco Tarascio: “Nell’isola tutto gira intorno al turismo. E i residenti?” Ortigia, la povertà dietro l’opulenza. “Ci vive gente qui cui manca ogni cosa: tetto, acqua, elettricità, igiene, cibo” di ISABELLA MAINENTI Avete mai fatto caso a quanto splendida e affascinante sia Ortigia? Avete mai fatto caso ai meravigliosi palazzi che da corso Matteotti accompagnano chi passeggia fino a piazza Duomo o giù per via Maestranza? E ai lavori di restauro condotti con grande perizia e capaci di riportare in auge una bellezza architettonica coperta dal tempo? Direte su Ortigia: “E’ senz’altro la parte più curata della città”. E invece no! Direte: “E’ la parte più ricca”. Ma sbagliereste di nuovo. Mettiamola così: c’è da rivedere tutto quello che comunemente si pensa di questa parte della nostra città perché quello che noi vediamo, in realtà, è tutta crosta. Per rendersene conto non bisogna andare tanto lontano: basta imboccare una qualsiasi traversa di una via principale e notare le differenze rispetto a quest’ultima. I palazzi non saranno più così perfettamente curati e i negozi (se ne trovate) non così chic come quelli, per esempio, di corso Matteotti. Ne abbiamo voluto sapere di più e abbiamo parlato con padre Marco Tarascio, presente da ormai quattro anni nella Chiesa dell’Immacolata. Le prime parole che ci rivolge sono sulla condizione demografica della zona: “Ortigia ha avuto diversi migrazioni di cui l’ultima negli anni ’90. Una c’era già stata negli anni ’50 e una negli anni ’60. Prima il quartiere faceva 12.000 abitanti, oggi se ne fa 2.500 è tanto”. Quali le zone più problematiche? “I quartieri della Giudecca, della Graziella e quello del mercato. Sembrano tre quartieri staccati dal resto della città. E’ come se il corso Matteotti costituisse una linea di separazione tra la Siracusa-bene e il resto. Per esempio, percorrendo il corso Matteotti a salire a nessuno viene in mente di imboccare via Maestranza; è come se si mirasse a escludere le zone della Giudecca e della Graziella anche dalla semplice passeggiata. La realtà è diversa però. La stessa Giudecca non è il quartiere malavitoso dell’immaginario comune, non è ‘a jureca’! In questi quattro anni in cui io sono stato qui c’è stato un solo scippo nonostante d’estate vi siano in Ortigia moltissime persone. “Io credo che ci sia un chiaro progetto politico su Ortigia, né di destra né di sinistra. Questo progetto prevede che Ortigia diventi luogo di turismo. Ma nient’altro. Basta guardare quanti B&B ci sono. Impressionante! Gli abitanti fino a poco tempo fa c’erano ma sono stati presi e spostati nei ‘casermoni’ di via Algeri, via Italia 101 e della Mazzarrona. Le zone della Giudecca e della Graziella ancora resistono, sono quartiere vivi. Ma è evidente che il corso Matteotti separa due zone: quella alberghiera e quella abitata”. Cosa fanno le istituzioni? “Niente! Qui non funziona neppure il consiglio di quartiere. Tranne alcuni personaggi che cercano di far funzionare un po’ le cose, il quartiere non va. Qui non si vedono neppure i politici, nonostante tutte le sedi delle istituzioni siano qui. Ma per Ortigia non si spende nulla, tranne che per le cose belle: festa di Santa Lucia, albero di Natale, festa dell’Immacolata. Solo per queste occasioni si muove qualcosa.” E con la legge speciale per Ortigia cosa è cambiato? “Non è cambiato nulla.” Uno dei grandi problemi che tormenta padre Tarascio è poi la questione dei ragazzi, per cui non c’è alcun tipo di progetto, e dei bambini per cui in Ortigia non esiste uno spazio. Ci fa notare che davanti al parcheggio Talete c’è un’area vuota in cui si potrebbero fare dei campetti o comunque uno spazio per Uno scorcio del quartiere Giudecca Padre Marco Tarascio i più piccoli. “Noi per far fare una partita di calcetto ai bambini della parrocchia li dobbiamo portare a San Metodio. Non c’è un luogo per i bambini. I bambini, a parte piazza Duomo, non sanno dove andare e anche lì non possono mica giocare a pallone. Non solo i bambini non hanno gli spazi, ma non c’è neanche un progetto al riguardo.” Oltre a quello dei bambini quali sono gli altri problemi della zona? “Innanzitutto una totale assenza di assistenza domiciliare per gli anziani nonostante qui ce ne siano molti. Nessuno li va a visitare. I servizi sociali io non li ho mai visti qui. Eppure le situazioni in cui dovrebbero intervenire non mancano. E poi il problema dei bambini e della dispersione scolastica: non se ne occupa nessuno. Ci sono ragazzi che hanno lasciato la scuola in prima o seconda media e non credo che qualcuno sia mai andato a cercarli. La scuola fa quello che può, ma manca il servizio sociale. Il servizio sociale è qualcosa che sta sul territorio, che conosce il territorio, che ha un ufficio, che ha uno sportello. E invece non c’è niente di tutto ciò. Inoltre dentro Ortigia gli sfratti esecutivi sono esecutivi”. Infatti in questa parte della città non avviene mai che un’azione di sfratto venga bloccata in qualche modo come succede altrove. Chi viene sfrattato deve lasciare immediatamente l’immobile. E tra l’altro il numero di questi sfratti non è certo trascurabile. E poi moltissimi palazzi vengono restaurati e successivamente abbandonati senza senso per anni, magari solo perché, come troppo spesso accade, le istituzioni non si mettono d’accordo su chi debba gestire l’immobile all’indomani dei lavori. “Potrebbero diventare spazi per ragazzi – continua padre Tarascio - invece di restare chiusi. Non spazi solo religiosi o giocosi, ma anche spazi culturali. Noi abbiamo una biblioteca che già chiamarla tale è un eufemismo. Per esempio quella di Canicattini, che è un paese molto più piccolo di Siracusa, è più fornita. Ma il problema vero di Ortigia sta diventando la totale e crescente sfiducia dei residenti. Non so fino a quando si potrà reggere questa situazione perché le stesse povertà resistono fino a quando possono. C’è una marea di gente che viene qui non a chiedermi soldi, perché non c’è bisogno di quelli, ma viene a chiedermi la pasta. Quanto si può resistere così? In periodo di elezioni sono tutti presenti. Poi scompaiono. I problemi rimangono. La gente ha problemi seri e mancano le cose essenziali: tetto, acqua, elettricità, igiene, cibo, gas. Molte persona stanno davvero male. La gente ha la dignità, vorrebbe comprare con i propri soldi, ma i soldi non ci sono. E’ chiaro che poi diventa difficile se hai tre figli a cui dare da mangiare rifiutare i € 100 che ti vengono dati per spacciare droga. In Ortigia non c’è nessuno che ti aiuta”. Quali sono dunque i motivi per cui la gente va via da Ortigia? “Fondamentalmente non conviene stare in Ortigia perché se qui pago un certo affitto per 45 m², nella parte alta di Siracusa con la stessa somma ne prendo uno da 90m². E poi vendere in Ortigia rende! I prezzi sono altissimi, un secondo piano alla Giudecca viene venduto come attico”. E poi il problema della spesa. “Per comprare l’acqua devo uscire fuori da Ortigia perché qui l’acqua costa mediamente un terzo in più rispetto al resto della città. E tutto rientra nel progetto turistico. Perché si paga € 2,50 una bottiglia che il negoziante paga € 0,30? Basta passare il ponte e uscire da Ortigia che il prezzo si abbassa”. E poi ancora c’è il problema culturale: “Il liceo classico Gargallo ha la sua sede naturale qui ma nessuno si è mosso per riportarlo in Ortigia. Non si è messa una mano per ristrutturarlo. Ortigia dovrebbe essere fonte di cultura e invece per i siracusani è solo la passeggiata il sabato e la domenica. E’, poi, secondo me, impossibile che Siracusa non abbia un’università autonoma. Con la cultura siracusana si potrebbe parlare benissimo di università, ma la mente politica è impegnata in altro. Il progetto politico su Ortigia è esclusivamente turistico e tutto ruota intorno a questo. Ovviamente se io ho un progetto del genere non vedo l’ora che i pochi residenti che ci sono se ne vadano così posso comprare le case per renderli hotel, alberghi e B&B”. Padre Tarascio si chiede dove sia la cultura a Siracusa. Si chiede perché non ci sia nessuna iniziativa, nessun circolo culturale. “È grave. Siracusa è stata una città culturale, da Archimede a Elio Vittorini. La cultura è ciò che cambia il mondo. Possiamo fare tutti i porti turistici che vogliamo, ma se non c’è cultura non cambia niente. È per esempio assurdo che, nonostante la presenza del teatro greco non ci sia una compagnia di teatro stabile a Siracusa”. Si tratta dunque di una situazione di collasso, difficile da contenere e reggere. “Cosa ne vogliamo fare di Ortigia? A noi che ci sia un’Ortigia turistica sta benissimo, ma non si può dimenticare l’Ortigia abitata”, è l’appello di padre Tarascio che vede ogni giorno delle realtà a cui invece noi non dedichiamo neppure un singolo pensiero nel corso delle nostre giornate. Sono realtà che, se viste in televisione, ci fanno dire “poverini”, “che brutta situazione”, “ma perché nessuno fa niente”, ma che poi evidentemente releghiamo in fondo al carico di pensieri quotidiani se non ci accorgiamo che quelle stesse realtà le troviamo vicine, vicinissime magari proprio nel vicolo accanto a quel negozio così chic al centro di Ortigia. 8 14 Novembre 2009 VIAGGIO NEL MONDO DELLE COMUNITA’ AL “Nel nostro paese un’altra comunità ha chiuso. Ma sopravvivere è sempre più difficile” Spadaro (Sodalis onlus di Floridia): “E’ da più di un anno che il Comune deve darci le rette per 12 extracomunitari” Per la Regione Siciliana, la ricerca di misure alternative all’istituzionalizzazione dei minori si è tradotta, a partire dagli anni ottanta, in un impegno, anche finanziario, nel promuovere l’incremento in tutta la regione di strutture residenziali aperte per minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria minorile, le comunità-alloggio. Scopo dichiarato quello di offrire a questi minori che vivono in condizioni di disagio, spesso familiare, di violenze subite, di situazioni di marginalità sociale che inducono i giudici ad imporre l’allontanamento dalla famiglia, un ambiente a dimensione familiare adeguato a restituire sicurezza e protezione così da promuovere uno sviluppo armonico dell’identità sociale e individuale. Queste strutture di accoglienza hanno subito un considerevole incremento negli ultimi anni. In particolare nel 2007 si è registrato un aumento pari al 40% rispetto al 2001. All’interno di questo potenziale successo dell’assessorato regionale per la famiglia, le politiche sociali e le autonomie locali, si insinuano dati che rimandano all’instaurarsi di un clima di sostanziale regresso culturale. Si sente di comunità che, vicine al collasso economico, accusano i Comuni di non volerle pagare; di operatori che, in precario equilibrio tra moti di stizza nei confronti di Comuni pseudo inadempienti e pericolosi lanci di accuse verso datori di lavoro dalla politica ben poco trasparente, lamentano di non essere retribuiti pur percependo regolari buste paga; di minori (di cui ci arriva solo l’eco di flebili richieste di aiuto, bizzarro: gli unici che sarebbero autorizzati ad urlarle le loro richieste!) abbandonati a se stessi pur nel perpetuarsi di situazioni di disagio. Intanto, nel bel mezzo di questa sotterranea battaglia sociale, nell’avvicendarsi di lamentele ed accuse, si fa strada ed emerge prepotente un dubbio: forse le tanto decantate comunità, così come l’intero sistema di tutela approntato, non sono poi così efficienti come i resoconti statistici, con i loro rosei numeri, vorrebbero farci credere. La salvaguardia delle garanzie di tutela di questi minori rende impellente un approfondimento della situazione in essere nella nostra provincia. Decidiamo di testare il sistema vivendo in prima persona l’esperienza della comunità. La nostra scelta cade sulla “Sodalis Onlus” sita in Floridia che accoglie fino a 10 minori compresi tra i 4 e i 14 anni. Ad accoglierci è Pietro Rosa, uno dei 5 educatori, il quale si scusa per il disordine: “La fase che precede la cena, tra far fare le docce e cucinare, è sempre un momento un po’ critico”. Noi di disordine non ne notiamo granchè, anzi, l’appartamento appare ben tenuto e di piccoli “Oliver Twist” affamati e afflitti non ne scorgiamo affatto, al contrario, i bambini ci appaiono ben nutriti, allegri e contenti di incontrarci. Dopo i primi convenevoli: “Vi piacciono i babbuci? Li abbiamo raccolti noi”. “Vi stanno invitando a cena”, tuona Pietro divertito. A parlare è Gabriele, un ragazzino dall’aria vispa che scopriamo poi essere il leader del gruppo. A lui chiediamo se qui si sente in famiglia: “Questa è la mia famiglia!”, afferma deciso. Ma è anche lo stesso bimbo a cui sentiamo esclamare a gran voce che se fosse realmente possibile tornare a casa sarebbe già a fare “a razzo” le valigie. Per quanto qui si respiri un clima sereno e i bambini si trovino effettivamente bene, ci spiega Pietro, il desiderio di una mamma e un papà che ti rimboccano le coperte la sera e al mattino, sono di nuovo lì prodighi di cure ed affetto, è sempre riposto con cura nel cuore di ogni bambino per quanto, spesso, si tratti di uno scenario tutt’altro che realizzabile nel contesto familiare d’origine. Approfondiamo con Pietro la figura dell’educatore professionale. Ma chi è l’educatore professionale? “E’ l’operatore che, ci spiega, dopo avere acquisito una preparazione specifica di carattere teorico pratica, svolge la propria attività attraverso l’attuazione del progetto educativo di minori, disabili, tossicodipendenti, anziani e malati di mente. Mancando una legge quadro nel settore assistenziale, continua, non esiste ancora un riconoscimento dello status giuridico “dell’educatore professionale”, che viene inquadrato al sesto e al settimo livello. Viene riconosciuto educatore, sintetizza, chi è in possesso della laurea almeno triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione”. Pietro, laurea in triennale in Scienze dell’Educazione, specializzazione in Scienze Pedagogiche, master in Pedagogia clinica, non evita di sottolineare che accanto a tutti questi titoli, per quanto altisonanti, occorre un requisito fondamentale che nessun titolo di studio può assicurare: tanta passione e amore per quello che è un lavoro al servizio degli altri. “Basilare è riuscire a stabilire un contatto con l’utente, sottolinea, e per questo occorre una formazione adeguata ma anche un’inclinazione personale. Occorre una grande apertura mentale: il sapersi porre libero da ogni preconcetto e disponibile ad ogni nuovo input. La comprensione della persona diviene del tutto inutile se poi con quella persona, con cui devi concretamente lavorare, non riesci a instaurare un rapporto di fiducia, un canale di sana comunicazione. Nel caso dei minori, si inserisce l’educatrice Mollica, questo risultato consente di porre le basi del processo educativo, di stimolare almeno la disponibilità a intraprendere un percorso guidato che alla fine li dovrebbe portare al raggiungimento di un obbiettivo ben definito in un arco di tempo prestabilito. Durante questo percorso essi saranno aiutati ad accettare l’idea della comunità, ad integrarsi nel gruppo, a lasciarsi alle spalle il fardello personale o a sentirne meno il peso trovando nell’educatore una figura di riferimento incline a favorire momenti di spontanea apertura, preziosissime perle incastonate in questo cammino. Chiediamo a Pietro, che ha lavorato presso diverse strutture, quali siano le principali difficoltà riscontrate. “Sicuramente, ci spiega, il problema più ostico è quello di garantire la continuità, caratteristica fondamentale dell’azione educativa dato che l’educatore, essendo la famiglia spesso assente o carente, deve sostituire e integrare in molti casi i ruoli familiari. Ma nel perpetuo rinnovarsi delle figure educative, scenario altrove per lo più costante, ciò diviene praticamente impossibile”. Ogni volta che un educatore sparisce vanifica i risultati raggiunti, occorre ricostruire gli equilibri, già messi a dura prova ogni qual volta si verifica l’ingresso di un nuovo minore. “Sarà la mancanza di una profonda motivazione, chiarisce, o più spesso l’esigenza di una famiglia da mantenere, del mutuo da pagare che non può certo attendere i lunghi tempi comunali, o ancora l’intenso coinvolgimento emotivo ma alla fine il risultato si ripete: molti mollano!” Inevitabile chiedere se non gli siano mai sorti dubbi sulla buona fede di qualcuno dei titolari delle comunità. “Quando il direttore della comunità di Canicattini, presso cui lavoravo e ormai chiusa proprio perché le sovvenzioni comunali si sono lasciate attendere un po’ troppo, chiese disperato a me, allora coordinatore, di fargli da portavoce e di chiamare personalmente l’ufficio di competenza di Siracusa per cercare di recuperare i soldi anticipati per 10 ragazzi egiziani dai 14 ai 18 anni (alcuni, poi, risultati molto più grandi) accolti il settembre dell’anno prima, come risultato mi sono visto elegantemente rimbalzare da un ufficio all’altro senza ottenere altra risposta che un odioso: devo controllare. Quando, dopo innumerevoli tentativi, ho finalmente ottenuto il responso di stanziamento e a questo è seguito un insopportabile: adesso per ottenere i soldi occorre attendere i tempi burocratici; quando tutto ciò mi ha travolto personalmente, solo allora ogni dubbio è sparito e dal mio ex direttore non ho preteso più niente, ho fatto l’unica cosa in mio potere: cambiare comunità”. Finalmente l’attenzione torna sui ragazzi, cinque in tutto. Li seguiamo in giro per le camere da letto del loro appartamentino che, ben tenute, conservano tracce del loro vissuto e del loro presente, vecchie foto, qualche giocattolo nuovo, qualche vestito abbandonato sul letto. Si divertono a farsi fotografare, quasi a voler immortalare una fecondità nascosta che per quanto possano aver sofferto non si è lasciata totalmente estinguere, per loro parlano i gesti, gli sguardi e Gabriele che ci tiene a regalarci un resoconto ben dettagliato delle loro giornate. Resoconto da cui traspare non solo la stima e l’affetto di questi bambini per i loro educatori, presentati con orgoglio ad insegnanti e compagni, ma anche l’impegno di queste persone nel portarli a scuola, nel seguirne gli studi, nel condurli dal dottore, nel vivere alla giornata ogni problema ma anche ogni sorriso. Con la signora Cettina Spadaro, responsabile della comunità, affrontiamo le difficoltà insite nella gestione di una simile struttura. Sguardo appassionato e parole toccanti, nel suo lavoro la presidente sembra crederci davvero. Ed è molto chiara nell’esporci le problematiche di chi si trova costretto ad anticipare grosse somme dato che i Comuni pagano poco e con enormi ritardi. “E’ da più di un anno, sbotta, che tra solleciti e litigate con funzionari che, non di rado, ci hanno gentilmente invitato a lasciare i loro uffici e a non disturbare il quieto e regolare svolgersi dell’altrui lavoro, attendiamo che il Comune di Siracusa si decida a pagarci per il servizio reso a 12 ragazzi extracomunitari. E in quel periodo le spese non si riuscivano nemmeno a contare! D’altro canto, continua, ci sono le difficoltà di chi si ostina a non voler applicare la logica del risparmio, di chi si rifiuta di sacrificare le esigenze “primarie” di questi bambini già sufficientemente provati dalla vita. Abbiamo sempre agito, incalza, nel tentativo di offrire loro non solo lo stretto necessario ma tutto ciò che potesse regalargli una normalità ma anche qualche gioia in più. Ed è proprio con questa logica che la scorsa estate abbiamo affittato, alla modica cifra di1500€, una casa al mare zona Avola. Anche questi bimbi hanno diritto ad un po’ di svago, ad una adeguata vita sociale. E le loro famiglie non possono permettersi il lusso nemmeno di idealizzare su possibili vacanze”. Una domanda irrompe spontanea: “Ma all’esterno non incontrate alcu- na solidarietà?”. “1500€ di affitto vi sembrano solidali?”, ironizza e prosegue: “Vince la logica del mercato e del guadagno. Mai avuto regali né tantomeno trattamenti di favore, l’unico regalo sono le nostre volontarie che ci sostengono con il loro validissimo aiuto”. Non resiste e si lascia scappare una esortazione: “Ogni tanto si dovrebbe uscire dal proprio guscio di egoismo e guardare oltre, così da accorgersi che oltre la nostra ci sono altre e diverse realtà su cui il nostro occhio potrebbe e dovrebbe posarsi, la nostra mano aprirsi in un aiuto”. Ma se questo è il contesto come fate a sopravvivere? “C’era un’altra comunità a Floridia ed ha chiuso. Noi finora abbiamo resistito perché alla base c’è tanta convinzione, soprattutto la mia: quando gli altri soci volevano chiudere io ho detto no e per fortuna l’ho spuntata!”. Gli piace sottolineare, però, che buona parte del merito è di quei pochi educatori che, soprattutto agli inizi, mentre la maggior parte fuggiva per i turni troppo impegnativi e la paga modesta hanno puntato i piedi e sono rimasti per amore di quei bambini che in quel momento avevano bisogno (bambini che spesso o per negligenza o per logiche di risparmio vengono rituffati in ambienti di disagio e abbandono) e per atto di fede in questa comunità che tanto aiuto ha dato e tanto può ancora darne. “Proprio in questi giorni, si sfoga, avrebbero dovuto portarci 6 bambini ma all’ultimo momento il Comune di Siracusa ha optato per una comunità a retta regionale. Così, per noi, sopravvivere è sempre più difficile!”. “Qui qualcuno mente. Nessuno ha chiesto di i L’ass. Castagnino: “L’istituto dell’a A Siracusa ci sono 24 famiglie Assessore Castagnino, le Comunità-Alloggio della provincia lamentano di non venire pagate o, comunque, fortemente in ritardo, con tutte le problematiche che ciò può comportare. Cosa può dirci in merito? “Questa situazione riguarda più che altro il passato. Attualmente, con la riorganizzazione degli uffici, possiamo ben affermare che gli intoppi burocratici si sono notevolmente ridotti. Ma i problemi economici delle comunità-alloggio, più che da lentezze burocratiche, hanno origine dal fatto che le spese legate al sociale sono difficilmente prevedibili: è obbiettivamente impossibile far coincidere il bilancio di previsione con le attività sociali. Così, ad esempio, con riferimento al caso concreto, è difficile prevedere quanti ragazzi saranno effettivamente sottoposti a questo tipo di servizio. A estremizzare tale imprescindibile peculiarità interviene la circostanza che molti dei minori affidati alle comunità non sono di nazionalità italiana bensì extracomunitari che, giunti in Italia clandestinamente, vengono trattati, per la legge presente, alla stregua di minori italiani abbandonati. E data la continuità degli sbarchi, la spesa sociale viene notevolmente ad accrescersi risolvendosi in un vero e proprio enigma. Urge precisare che quello della mancanza di fondi è un problema che va affrontato congiuntamente anche con i tribunali in quanto, molto spesso, avviene che il Tribunale dei minori nomini come tutore il Comune di Siracusa che, però, in quel momento, non ha fondi per fronteggiare l’emergenza mentre magari ce li ha un altro Comune. Dunque, emerge l’esigenza di realizzare un collegamento di rete affinché ci sia immediatezza”. Nonostante la riorganizzazione da lei dichiarata molte comunità continuano a esprimere disagio e molte sono state costrette a chiudere. “Questo perché le comunità vivono le dinamiche di una vera e propria gestione aziendale, si trovano infatti a sostenere tutta una serie di spese (in primis per struttura e personale) anche quando all’interno non ospitano alcun minore.” In realtà molte hanno chiuso pur alloggiando tanti minori, non venendo rimborsate non erano più in grado di anticipare grosse somme; e la maggior parte di quelle tuttora in essere asseriscono di avanzare ancora soldi. “Per quanto riguarda Siracusa è poco probabile avendo già provveduto a pagare tutte le quote che dovevamo alle Comunità. Addirittura, per gli immigrati, non solo abbandonati, abbiamo ricevuto un rimborso di 800.000€. Chi rientra in questo ipotetico elenco di comunità insoddisfatte?” Tra le tante la “Sodalis Onlus” di Floridia. Segue una telefonata. A una certa “dottoressa”, all’altro capo del filo, chiede se per caso siano in ritardo con i pagamenti con la comunità in questione. Dopo aver riattaccato, ci spiega che effettivamente c’è un ritardo relativamente a dei minori immigrati che, però, a suo dire, è giustificato dalla circostanza che il tribunale dei minori ha ritardato nella nomina del tutore per cui, poi, si è creata una situazione di confusione in cui non si riusciva più a capire se il tutore individuato fosse il Comune di Siracusa o quello di Floridia. “Dato che fino ad ora non si è in grado di venirne a capo, proprio oggi abbiamo deciso di pagare noi”, conclude soddisfatto. Come mai ci sono casi in cui non è chiaro chi sia responsabile del minore? “Può avvenire che ci sia uno sbarco, la Prefettura invia i minori in una struttura ma non viene nominato immediatamente un tutore. In tal caso si innescano tutta una serie di problemi burocratici non facilmente risolvibili che finiscono per dilatare notevolmente i tempi dei pagamenti”. Ma nell’attesa che si sveli il “mistero tutore” a chi spetta finanziare la Comunità in questione? “A nessuno. A noi, no di certo: se non siamo nominati tutori a che titolo possiamo pagare?” In una situazione in cui gli organismi strutturati per la tutela dei minori, primi fra tutti le comunità, conoscono una forte crisi come pensate di garantire la tutela dei minori disagiati? “Ci stiamo impegnando puntando sul potenziamento dello strumento dell’affido che consente non solo di erogare un servizio migliore, in quanto si dà la possibilità al minore di crescere all’interno di una famiglia anche se di famiglia affidataria si tratta, ma presenta anche il vantaggio di dover sostenere dei costi notevolmente più bassi. Inoltre, dato non trascurabile, le famiglie affidatarie sono tante, circa 24 in questo momento nel Comune di Siracusa, e non solo sono disponibili ma hanno anche le caratteristiche per poter prendere in affido un bambino. Per non parlare della possibilità di affidare i minori a famiglie di parenti. Finora la politica della Regione è stata quella di favorire e incrementare le comunità-alloggio, adesso occorre che la politica guardi all’affido come a uno strumento su cui investire”. Lodevole puntare sull’affido quale strumento preferenziale di tutela ma, volendo trascurare i casi in cui è lo stesso Tribunale dei Minori a rendere obbligatorio l’inserimento del minore in Comunità, non si può comunque trascurare che l’affido parentale non sempre è possibile (c’è, infatti, chi non ha nessun familiare o questi non è in condizione o disponibile) 14 Novembre 2009 9 Servizi di DANIELA DE LUCA LLOGGIO. COMUNI E REGIONE NON PAGANO In una struttura “privilegiata” perchè pagata direttamente dalla Regione e non dal Comune Fontana (Coop. Eden): “Prima i soldi in due tranches Con Lombardo in quattro rate. Da 9 mesi senza stipendio” La nostra bella Siracusa, col suo peculiare fascino e le sue innumerevoli contraddizioni, cosa può confidarci sul mondo delle comunità alloggio? Prima di accingerci a esplorare il nostro territorio urge chiarire e in ciò ci viene in aiuto la dottoressa Pina Marangi, assistente sociale del servizio di educativa domiciliare rivolto ai minori gestito dalla “Luigi Monti”, comunità per minori ubicata in via Favara a Siracusa, la quale ci spiega perché alcune comunità siano pagate dalla Regione mentre altre dai Comuni. “Quando le Comunità cominciarono a divenire un peso ormai insostenibile per la Regione spiega la dottoressa - questa intervenne tagliando i fondi. Per cui, pur dovendo tutte le comunità essere iscritte all’Albo Regionale (occorre comunque l’autorizzazione al funzionamento da parte della Regione), alcune, quelle più antiche, come la “Luigi Monti” di Siracusa, hanno anche il finanziamento da parte della Regione, per le altre, invece, saranno i Comuni a pagare di volta in volta per ogni singolo minore inserito, previa stipula di apposita determina dirigenziale con la comunità di accoglienza”. In via Damone, n.4, in una delle zone nevralgiche della città, si trova la “Cooperativa Sociale Eden” – Comunità-Alloggio “Arenella”, che, nata nel ’98, rientra tra le comunità etichettate come privilegiate in quanto pagate direttamente dalla Regione che rispetto ai Comuni, a quanto si sente dire, dovrebbe essere più generosa e puntuale nei pagamenti. Verifichiamolo chiacchierando con la dottoressa Teresa Fontana, assistente sociale e responsabile della comunità. Invitata ad erudirci sulle logiche alla base di queste strutture, essa esordisce sottolineando che quello della comunità è un periodo di transizione durante il quale, dopo un primo mese di osservazione necessario per tirare fuori un progetto educativo individuale, si lavora sul minore aiutandolo nel perseguimento dell’obbiettivo individuato che è comunque sempre un obbiettivo flessibile e verificabile, commisurato al tempo della sua permanenza nella struttura. E, in ogni caso, l’obbiettivo principale è sempre quello di favorire il rientro del minore, possibilmente arricchito di qualcosa di nuovo, nella sua famiglia. Ma, per riuscire in questo ambizioso progetto, decisivo, anche se difficilmente realizzabile, risulta lavorare in equipe allargata, in collaborazione con i servizi sociali del territorio, quindi ricorrendo incontrarmi per manifestare un malcontento” affido darebbe un servizio migliore in grado di educare i bambini” e in generale l’affido non sempre è una via perseguibile. Basti pensare ai vari adolescenti difficili: sono pochissime le famiglie disponibili e soprattutto preparate ad accoglierli addossandosene tutte le problematiche. E, in ogni caso, l’affido richiede dei tempi piuttosto lunghi ragion per cui nell’emergenza (caso tipico quello dell’unico genitore che vedendosi costretto ad andare al lavoro, pena il licenziamento, e non avendo a chi affidare il minore si rivolge disperato ai Servizi Sociali) bisogna necessariamente appoggiarsi alle comunità, solo successivamente ci si può avvalere dell’osannato strumento. Permanendo il bisogno di queste strutture permane anche il problema della loro sopravvivenza. Come intervenire? “Queste difficoltà, comuni ai sindaci di tutti i Comuni, sono state portate sul tavolo della 328. Si sta valutando la possibilità di potenziare questi servizi per i Comuni che si trovano in grossa difficoltà compreso il nostro”. E’ chiara la preferenza dei Comuni per le comunità a retta regionale ma nell’optare per queste comunità viene attenzionato anche il lato qualitativo del servizio erogato, ciò che la struttura è in grado di offrire al minore? “All’interno del territorio delimitato dal tribunale, la scelta sta ai Servizi Sociali che decidono, sulla base della valutazione della situazione del minore, la comunità che ritengono per lui più opportuna a prescindere dai costi. Così avviene che si predilige la struttura a maggior prevalenza maschile o femminile o ancora quella in cui è già presente un fratello o una sorella, al fine di garantire l’unità familiare. Gli assistenti sociali elaborano una relazione tecnica alla quale noi, come Ufficio, ci atteniamo. E’ chiaro che a parità di qualità si decide per la struttura più economica, sarebbe ingiustificabile il contrario.” Eppure, nonostante le particolari attenzioni menzionate, molti minori sono stati affidati a comunità in cui gli educatori non solo si rinnovano continuamente ma non sono neanche qualificati per il ruolo ricoperto. Un tale risultato esclude lo svolgimento di un accurato controllo di qualità in ingresso. E se nessuna segnalazione su tale stato di fatto è a lei giunta da parte dei Servizi come spiega il verificarsi di ciò? Superficialità da parte dei Servizi Sociali? Oppure le segnalazioni effettivamente ci sono state ma lei non ne è a conoscenza? “I controlli sulle Comunità spettano alla Regione: le comunità sono iscritte ad un Albo Regionale. La sussistenza di tale iscrizione è per noi garanzia sufficiente.” Questo giustifica i Servizi a chiudere gli occhi ignorando l’eventuale disagio minorile? “No di certo. In ogni caso a me personalmente non è mai giunta alcuna segnalazione, qualora ciò fosse accaduto avrei senza dubbio predisposto dei controlli. E’ anche vero che, a volte, ci troviamo in condizioni particolari qualora i minori vengano mandati fuori dal territorio provinciale, circostanza nella quale effettuare un’attività di controllo risulta davvero complesso. In ogni caso, condizioni particolari o estreme comprese, finora non mi è mai pervenuta alcuna lamentela di inadempienza dell’Ufficio. Nel verificarsi di una tale evenienza sarei disponibile all’incontro e al dialogo”. Le comunità denunciano anche casi di minori prematuramente reinseriti nel contesto familiare d’origine senza alcun riguardo per un processo educativo ancora in pieno corso e con il risultato non solo di far ripiombare il minore in una situazione di disagio e abbandono ma anche di vanificare i risultati intermedi raggiunti. Ancora un problema di mancata segnalazione o inadeguatezza dei Servizi Sociali? “Mi chiedo perché i responsabili di queste comunità, così frustrati, non vengano a parlare direttamente con me che sono l’ente pubblico di riferimento. Nessuno, ne sono sicuro, ha mai chiesto di incontrarmi. Nessuna forma di malcontento ha conosciuto formalizzazione ufficiale, non esiste alcun documento che attesti diversamente”. Qui, evidentemente, le possibilità sono due: o qualcuno all’interno delle Comunità mente, perché vuole guadagnarci, o i Servizi Sociali non svolgono adeguatamente il loro lavoro. Status quo: le comunità sostengono di non venir pagate, o per lo meno fortemente in ritardo, così come molti educatori; il Comune si vanta di aver ormai regolarizzato i pagamenti riorganizzando l’intero sistema e, comunque, di non aver mai ricevuto in merito formali reclami da parte di nessuno. “Nessun reclamo è mai giunto al mio assessorato - rimarca con foga l’assessore Salvatore Castagnino - e la mia posta è sempre colma” (se la legga, però, non lo precisa). “In ogni caso – conclude - qualora qualcuno si facesse avanti, rimango disponibile al dialogo”. E, intanto, in questo groviglio di accuse e scuse, con rilanci all’inverosimile, in questa caccia al tesoro di probabili tutori e, dunque, debitori, che ci lascia mille dubbi e nessuna risposta, a rimetterci sono proprio questi minori che continueranno a chiedersi, così come tutti noi, se alla resa dei conti qualcuno si preoccuperà davvero di garantirne la tutela o se la loro vita, già abbastanza segnata, non sia inesorabilmente appesa ad un filo sul punto di spezzarsi così da farli precipitare nell’indifferenza più totale. allo strumento della mediazione familiare così da poter agire, secondo un concordato programma, anche sulla famiglia, vera depositaria dei problemi del minore, quindi nel contesto in cui il minore viveva e ritornerà a vivere, così che al suo reingresso trovi un ambiente idoneo ad accoglierlo. Quando ciò non è possibile si lavora in alternativa, quando l’età lo consente, sull’autonomia sociale del minore. Altro tassello fondamentale: “Occorre agire come gruppo, argomenta, sia pure con libertà nell’approccio e nel modo di interfacciarsi, ma al fine di comunicare stabilità e coerenza si deve operare seguendo un filo comune, all’unisono: tante teste ma una sola voce per il raggiungimento di un unico concordato obbiettivo. Il lavoro di equipe deve trasparire in ogni atto, come ad esempio mantenendo come dato di fatto la punizione impartita da una collega che ci ha preceduto e che ha provveduto ad appuntare questa come altre comunicazioni nel cosiddetto “diario tecnico” che, lasciato in consegna ad ogni operatore che deve debitamente compilarlo, non è altro che un mezzo di aggiornamento istantaneo di quanto accaduto nel proprio turno”. Intuendo la nostra perplessità si affretta a chiarire che questo risultato, non sempre realizzabile, è merito delle continue riunioni, che coinvolgono a volte solo gli educatori, altre l’intera equipe, comprendente tra l’altro anche uno psicologo, un pedagogista e un assistente sociale. “Se qui il clima è sereno e tutte le attività si svolgono con regolarità, commenta, il merito è essenzialmente della sovrastruttura e della sua équipe che è riuscita a imporre delle regole che vengono percepite non come ordini ma come linee di correttezza fondamentali per una sana e armonica convivenza. Ovviamente, prosegue, non abbiamo a che fare con dei computerini per cui è sufficiente imputare dei dati, basilare per raggiungere simili risultati è il dialogo, bisogna realizzare quello che potrebbe definirsi l’incontro tra due mondi, il nostro e il loro, dimostrare dunque una certa flessibilità, ma quando occorre anche indiscutibile autorità. Rispetto al tutto che viene dato ben poco viene loro richiesto e quel poco, ne acquisiscono pian piano consapevolezza, è esclusivamente per il loro bene”. Quando ci addentriamo sul personale non si nasconde e ci racconta come sia difficoltoso conciliare questo lavoro, che lei vive come una “missione” con la vita personale. “Non è facile far accettare a chi ci sta accanto che una parte di noi è sempre votata a qualcun altro o meglio a tanti altri. C’è un carico emotivo che ci si porta dietro come in una borsetta e che lì deve rimanere confinato quando si interagisce con queste ragazze a cui non possiamo certo rischiare di trasferire ulteriori tensioni. Così come non è facile, ma si acquisisce solo nel tempo, il giusto distacco, la rigorosa professionalità, dovuta quando si opera in questo settore. Non puoi concederti sentimentalismi, tuona, devi trattare ogni caso con razionalità e discernimento. Se ti capita di commuoverti, aggiunge, puoi piangere dentro o in solitudine, ma al momento nessuna lacrima deve rigare il tuo volto”. E’ indiscutibile come qui si vada oltre il normale e corretto svolgimento del proprio lavoro entrano in gioco motivazioni più profonde che nascono dal cuore. La solidarietà è palpabile. Determinazione e passione alimentate da un grande spirito di umanità sono le costanti che scandiscono le giornate, che sostengono azioni ed interventi. Abbandoniamo il confortante lato umano per affrontare lo spinoso e tanto dibattuto tema economico, certi di trovare, almeno in questo caso, in quanto trattasi di comunità a retta regionale, un riscontro positivo. Chiediamo, quindi fiduciosi, se siano regolarmente retribuiti dalla Regione. “Macchè, irrompe la dottoressa Fontana, sono più di 9 mesi che aspettiamo di essere pagati e, quindi, che non percepiamo stipendio”. Apprendiamo tristemente che anche le invidiatis- sime comunità a retta regionale, preannunciateci come isole felici, predilette dai Comuni in quanto finanziate dalla Regione, hanno i loro bei problemi con i pagamenti. E’ vero, infatti, che è la Regione a pagare ma non così puntualmente e mai in un’unica soluzione, almeno in due tranches e, dopo l’insediamento della nuova compagine politica, anche in tre o quattro. Con il Presidente Lombardo, inoltre, l’iter si è notevolmente complicato rasentando il farraginoso: i soldi stanziati escono dalla Regione per entrare in un altro ufficio che si occupa, a sua volta, di emanare i mandati per tutte le province, solo diversi mesi dopo il mandato giunge finalmente nelle casse della Ragioneria comunale. E fino ad allora il Comune non esce un euro! Dunque le delibere vengono preparate solo dopo l’arrivo dei soldi. “Abbiamo chiesto al Comune di Siracusa di aiutarci anticipando quelli che sono, in sostanza, soldi certi, dato che la Regione in qualche modo li manderà, ma la dirigenza dell’Assessorato delle Politiche Sociali si è rifiutata di farsene carico. Così, dopo più di 20 giorni dall’emanazione dei mandati per pagare le comunità-alloggio di tutta la Sicilia, noi continuiamo a restare in attesa di ciò che ci spetta (per l’intero 2009) e soprattutto ci occorre per mandare avanti la struttura”. Con un residuo di speranza chiediamo se almeno il finanziamento sia sufficientemente generoso. “Mensilmente ci viene riconosciuta la copertura del posto fisso, quindi per 10 ragazze, più la quota giornaliera pari a 70,50€, calcolata in base ai giorni effettivi che le ragazze trascorrono in comunità. Rispetto a quanto richiesto ai Comuni dalle comunità solo autorizzate dalla Regione che, pur di accogliere i minori si svendono per sole 40-45€ giornaliere, è sicuramente generoso”. Allo stato dei fatti, anche qui, ritroviamo gli stessi problemi, gli stessi disagi, c’è sempre chi deve anticipare grosse somme, in questo caso la Coop. Eden, e chi per diversi mesi deve rinunciare allo stipendio. Da un’analisi generale emerge chiaramente come esista il rischio concreto che la precarietà economica delle classi comunali provochi, in un clima di sostanziale indifferenza, un abbassamento del livello di protezione per i bambini e i ragazzi in condizione di deprivazione e abbandono che abitano il nostro territorio. Infatti, se da un lato sono aumentati gli strumenti a disposizione degli operatori per la definizione delle migliori risposte ai bisogni dei minori in difficoltà (affidamento familiare, case famiglia, comunità etc.) dall’altro la necessità di razionalizzazione delle spese sociali (spesso usate a copertura di ragionamenti più propriamente politici) oltre a mettere a rischio alcuni di questi strumenti, in particolare le comunità, induce implicitamente alla scelta degli strumenti meno onerosi economicamente, come il volontariato, con il rischio che situazioni pesanti e gravose di minori segnati dalla propria storia personale finiscano per essere trattate in contesti non qualificati professionalmente né adeguatamente sostenuti e monitorati dai servizi sociali e sanitari del territorio. Se non quando nel tentativo di razionalizzazione estremo si finisce per sconfinare nel campo della superficialità e nella negligenza più assoluta seppellendo sotto una coltre di inestricabile silenzio storie di minori bisognosi di tutela e invece abbandonati a se stessi. In una situazione di fatto in cui quei settori, cui spetta la scelta degli interventi da attuare, il loro monitoraggio e il loro controllo (quali il servizio sociale), hanno conosciuto una pesante riduzione delle risorse economiche ed umane a disposizione e in cui gli aiuti approntati, primi fra tutti le comunità in questione, sono in forte crisi chi garantirà la tutela dei minori allontanati dalle famiglie e con quali strumenti effettivi? Tali e altre domande esigono una risposta. Al Comune di Siracusa oggi chiediamo una risposta. 10 14 Novembre 2009 Go-Bike, il sistema finora non... pedala. Un’idea: gratis la smartcard ai turisti In altre città in uso il call a bike: ci si registra on line si telefona al numero impresso sul telaio, si riceve l’addebito di MARINA DE MICHELE Un investimento complessivo di oltre due milioni di euro tra go-bike e pista ciclabile per almeno sognare di essere un po’ più vicini alla modernità, all’esempio di alcune capitali europee come della nostra, delle grandi metropoli del vecchio e nuovo continente come di tanti altri comuni italiani che già da anni hanno incentivato, con appetibili proposte, il ricorso a una mobilità sostenibile grazie al servizio di bike sharing e alla creazione di percorsi riservati alle due ruote. Un progetto, quello delle due ruote condivise, così vecchio, l’anno di nascita è il 1989, da indurre il suo ideatore, l’americano Pedro Kanof, a proporre al presidente Obama di passare direttamente a una rete di stazioni di sosta automatizzate, con impianti di allarme e carica batterie per le bici elettriche, a disposizione però di tutti i tantissimi proprietari delle due ruote; inutile per Kanof pensare ancora alla bicicletta condivisa, esigenza di una società un po’ più povera e soprattutto meno sensibile alle problematiche ambientali, della mobilità a zero emissioni. Certo, altra realtà l’America, non solo per Siracusa ma per tutta l’Italia che solo nel 2000, a Ravenna, ha inaugurato il primo bike sharing a sistema meccanico e ha dovuto attendere il 2004 per passare alla carta magnetica introdotta allora, per la prima volta, nel comune di Cuneo. Ma nonostante il ritardo un piccolo primato la città di Siracusa l’ha comunque conquistato inserendosi tra i pochissimi comuni, ci risulta solo tre, che hanno affiancato alle bici normali quelle a pedalata assistita, elettriche. Un sistema misto quindi per affrontare più agevolmente le non poche pendenze della città. Un “regalo” del ministro per l’ambiente Stefania Prestigiacomo alla sua città, forse un po’ troppo magnificato in quei giorni che precedevano il G8, presentato come un’assoluta innovazione quasi non fossero già oltre 120 i comuni italiani con un servizio di bike sharing attivato (e non solo 35 come si è scritto sulla patinata rivista del comune giocando con le ambiguità), ma che pur tuttavia ha consentito alla patria di Archimede di vantare un qualche vantaggio, un fiore all’occhiello, rispetto alle consorelle del meridione, di quel sud sempre affannato nel rincorrere l’innovazione quando questa è già diventata senescenza, sempre ultimo nel- la corsa alla modernità e all’opposto sempre al vertice delle classifiche quando i parametri indicano le negatività frutto delle poco convincenti strategie di crescita e di promozione elaborate dai suoi amministratori. Siracusa quindi in pool position tra i comuni del sud e tra le 39 città che fruiscono del sistema elettronico, quello con la smartcard. 15 cicloposteggi (a Parma sono dotati di pannelli fotovoltaici!) per ospitare però solo un centinaio (o duecento?) delle 450 (o 570?) biciclette acquistate. Una confusione sui numeri: se ne scrive uno nella rivista del comune, se ne cita un altro nelle interviste! Un investimento complessivo da un milione 118mila euro a valere sui fondi a disposizione del ministero per il G8, di cui 500mila sono stati utilizzati per i lavori di installazione delle rastrelliere. Un inizio comunque non felice. A evidenziarlo, nei primi giorni di agosto, lo stesso presidente della FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) Antonio Dalla Venezia che, con una lettera aperta al Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, su sollecitazione della locale sezione, stigmatizzava il mancato sostegno dell’amministrazione comunale all’iniziativa. “Ma come - lamentava Dalla Venezia - nonostante la fortuna di aver ricevuto, “proprio grazie al Suo personale interessamento”, un parco biciclette utile per iniziare la battaglia contro le emissioni di CO2 e andare verso quelle politiche di mobilità attuate in tutta Europa, il GO-BIKE non ha avuto né una presentazione ufficiale, né un convegno, né una vera e propria campagna pubblicitaria?” “Il servizio di noleggio è entrato in funzione il 21 aprile scorso - denunciava il presidente della Fiab - ma sono poche le biciclette bianco-verde che si sono viste in giro. Poche decine i virtuosi che si sono abbonati anche perché accedere all’abbonamento è un po’ macchinoso: solo due ore al giorno, con l’esclusione del sabato e della domenica, presso la sede del gestore. Increduli i turisti nel sentirsi rispondere che le bici sono al momento a disposizione solo dei residenti. Imbarazzati anche i vigili urbani che non sanno cosa rispondere a chi chiede informazioni. Oltre allo spreco di risorse determinate da tale mancato utilizzo e valorizzazione, è singolare che, mentre da un lato l’European Cyclists’ Federation chiede ai sindaci di tutte le città europee di firmare la Carta di Bruxelles per impegnarsi ad adottare adeguate politiche della mobilità sostenibile, al fine di far lievitare la media europea degli spostamenti in bici al 15% di modal share entro il 2020, in Italia ci siano città come Siracusa, ma non è purtroppo la sola, che non comprendono quale sia il ruolo strategico della bicicletta come mezzo di trasporto del futuro perché ad emissioni zero”. Impossibile per l’architetto Giuseppe Amato, mobility-manager d’area, accettare le ingenerose accuse. Dichiarandosi pervaso da stupore rispondeva che solo “la complessità del sistema tecnologicamente più avanzato e ritengo primo (sic!) in Italia” di bici tradizionali e insieme elettriche aveva determinato un prolungamento dei tempi ma che tutto era ormai stato predisposto e accessibile dal sito del comune. E poi continuava: “L’ulteriore difficoltà nel consegnare beni comunque del patrimonio pubblico ad utenti che non fossero correttamente referenziati e registrati nel database informatico ha posto in essere lo studio per una strategia che renda più semplice la presa e l’utilizzo delle L’avv. Giuliano: “A giugno volevo una bici, ho mandato una persona” bici. Ma nel mese di settembre saranno distribuite le tessere pre-caricate a tutte le edicole, tabaccai, attività commerciali, presenti sul territorio e vicine ai cicloposteggi, che aderiranno alle convenzioni, con il sistema della pre-iscrizione che di certo non farà perder tempo né a chi distribuisce tantomeno agli utenti. Preciso ancora che per l’autunno prevediamo la possibilità del pagamento e registrazione via internet”. Purtroppo le cose non sono andate così. Delle modalità complesse e farraginose per dotarsi della tessera magnetica ci ha raccontato Daniela De Luca su questo settimanale e lo testimoniano anche i tre giorni della signora Velia Aprile, assistente dello studio legale Giuliano; delle procedure telematiche al momento neanche a parlarne; di tessere precaricate non se ne vede l’ombra. In altre città è possibile “addirittura”, dopo l’iniziale registrazione on line, telefonare al numero impresso sul telaio della bicicletta, ricevere un codice che consente di liberare il mezzo e avere l’addebito direttamente sul conto telefonico: si chiama il call a bike. Ma soprattutto, e questo ci sembra una mancanza grave, Questa la sconcertante cronaca della disorganizzazione comunale 03/06/09: h. 11.00 Incarico una mia collaboratrice per la sottoscrizione dell’abbonamento del servizio Siracusa Go-Bike a mio nome. La stessa, recatasi presso la sede della City System in Via Adda n.9 con i moduli scaricati dal sito del Comune compilati e firmati, viene rimandata indietro poiché i moduli non dovevano essere firmati solo dove indicato ma in tutte le pagine. 04/06/09: h 10.00 rimando la stessa collaboratrice alla City System ma la sede è chiusa. Sulla porta di ingresso è affisso un cartello che indica l’orario di apertura dalle 10.00 alle 12.00. Alla stessa, dopo circa 30 minuti di attesa, viene comunicato da un impiegata della GE.PA. che l’impiegato addetto al servizio abbonamenti ha avuto un imprevisto presso il Comune e che lo sportello non aprirà prima di una mezz’ora circa. A questo punto la signora Velia Aprile si reca allo Sportello Unico del Cittadino in via San Metodio 38, altro ufficio preposto al servizio abbonamenti, ma anche qui non è possibile abbonarsi perché l’impiegato che se ne occupa è in ferie e nessun altro, le viene detto, ha la password per l’accesso al servizio. Viene invitata a ritornare il giorno dopo. 05/06/09: h 9.30 la stessa collaboratrice si reca allo Sportello Unico del Cittadino in via San Metodio 38, l’impiegato le dice di aspettare un attimo perché non essendo in possesso della password deve attivarsi per ottener- la e che in ogni caso è soltanto il secondo abbonamento che fanno. Trascorsi all’incirca 30 minuti, riesce ad ottenere l’abbonamento chiedendo nel contempo le modalità di ricarica della carta Go-Bike. Inizialmente le viene detto che si potrà effettuare la ricarica anche on-line attraverso una login e una password che le viene fornita ma un altro impiegato più informato smentisce il collega precedente ed informa la stessa che al momento non è possibile effettuare la ricarica online e che ogni volta sarà necessario recarsi presso gli uffici postali ed effettuare la ricarica a mezzo bollettino di c/c postale la cui ricevuta dovrà poi essere esibita e consegnata all’ufficio preposto e da lì sarà effettuata la ricarica della tessera in questione. ai turisti la tessera viene distribuita gratuitamente. Così si potrebbe promuovere la città e accogliere simpaticamente chi dovrebbe costituire il volano di un settore strategico, o almeno che dovrebbe essere tale, della nostra economia. Il servizio dunque appare per certi aspetti carente e stenta a decollare, sebbene si potrebbe obiettare che è ancora presto per fare bilanci. Forse la maggior parte dei siracusani che vuole andare in bici ne ha già una di proprietà, forse una naturale indolenza fa preferire la più comoda automobile, forse, anzi a nostro avviso sicuramente, una buona parte di responsabilità è da attribuire ad albergatori ed esercenti poco disponibili a promuovere l’iniziativa gratuitamente e a collaborare fattivamente per la sua riuscita, segno anche questo di una arretratezza culturale della nostra realtà. Fatto sta che mentre in altri comuni già si fanno i conti con la sproporzione tra domanda e offerta e così si cerca di rimpinguare il “parco macchine” e di collocare nuove rastrelliere, a Siracusa gli abbonati sarebbero non più di 150-200 e la maggior parte delle biciclette restano inutilizzate, conservate chissà dove. 14 Novembre 2009 11 Nuovo appalto al ribasso, il 25% del primo. E scompaiono servizi essenziali come il monitoraggio De Benedictis: “Il bike sharing è stato siracusanizzato Servizio mai partito per drenare soldi dal ministero” di MARINA DE MICHELE È la Tecnicar, e non più la Citysistem, il nuovo gestore del servizio go-bike in città. Si è aggiudicata un appalto da 36mila euro con un’offerta al massimo ribasso pari al 25%: circa 27mila euro quindi. Quasi un quarto rispetto al primo appalto, di sei mesi come questo, da 110mila euro e la riduzione si dovrebbe spiegare con la soppressione di una serie di obblighi contrattuali che, secondo il consigliere comunale del partito democratico architetto Riccardo De Benedictis, rappresenta un’eccezionale chiave di lettura del futuro del bike-sharing a Siracusa. “Molte cose sono state eliminate rispetto al primo appalto – evidenzia De Benedictis - È scomparso il servizio relativo all’iscrizione dell’utenza e così il call center numero verde, quest’ultimo poco comprensibilmente rimasto, nel primo appalto, a carico dell’amministrazione. La domanda è a chi si dovrà rivolgere ora il cittadino per procurarsi le tessere elettroniche o avere informazioni. La semplificazione è il risultato di un sistema perfettamente funzionante e che procede quasi in automatico, o si intende affidare ad altri, o gestire in proprio, questi aspetti? È tutta la nuova impostazione che apre eguali perplessità dal momento che viene cancellato tout court anche il servizio denominato “attività di sensibilizzazione e presenza istituzionale”. L’obbligo per il gestore di predisporre iniziative di comunicazione legate al servizio per garantire una presenza pubblicitaria nell’arco del periodo di gestione era prima ben precisato. Ogni anno si dovevano svolgere almeno 2 campagne di comunicazione sui media per la comunicazione editoriale o esterna e 3 presenze in attività istituzionali legate al servizio, esempio feste di piazza, domeniche ecologiche, conferenze stampa. Si è preso atto che questi aspetti contrattuali non sono stati rispettati e quindi si è deciso di cassarli del tutto? “Ma soprattutto è stato eliminato anche un ulteriore servizio fondamentale: quello di analisi dei dati statistici e report periodici che avevano cadenza trimestrale, vale a dire quanto necessario per valutare l’efficacia del progetto, la qualità del servizio e quindi apportare le correzioni necessarie. Che ciò non esista più è a mio avviso eloquente del fatto che l’amministrazione comunale naviga a vista anche su un progetto importante come questo. Ovviamente, privandosi di un valido strumento di analisi dei dati e di report statistici, non sarà in grado di apportare quegli interventi correttivi e di modifica utili a calibrare e offrire un servizio più adeguato alle esigenze della città. La conclusione logica è una: l’amministrazione non crede, non vuole credere e non intende utilizzare risorse in uno strumento di intermodalità come il bike sharing. Ne è prova la somma che si è deciso di investire, del tutto inadeguata se ha dovuto comportare una riduzione di servizi indispensabili alla buona riuscita del progetto. E seppure ci si potrebbe trincerare dietro le ristrettezze del bilancio, non risulta che siano state studiate soluzioni diverse, alternative, semmai anche guardando alle tante esperienze di altre realtà. “La verità è un’altra: il bike sharing è stato siracusanizzato. Non un servizio parte integrante ed essenziale di un progetto intermodale, articolato su più versanti, per ridurre l’inquinamento dell’aria, decongestionare il traffico urbano e migliorare la qualità di vita dei cittadini, bensì quattro biciclette distribuite in città (il bilanciamento è uno dei pochi servizi rimasto in piedi). Nell’ambito delle best practices, il servizio delle bikesharing a Siracusa avrebbe dovuto rappresentare un vanto per l’amministrazione comunale, un’esperienza da portare avanti con successo, un esempio per gli altri comuni, e invece ci viene consegnato un servizio mai partito, oggi ulteriormente penalizzato, che è servito solamente a drenare a Siracusa soldi del Ministero”. “Ma forse ci saremmo meravigliati se le cose fossero andate diversamente”, chiosa De Benedictis. Rimane lontana l’Europa dove molte città, Lione, Parigi, Londra, Barcellona, Stoccolma e via elencando, hanno preso accordi con compagnie pubblicitarie che forniscono al comune migliaia di biciclette a titolo gratuito (o sottocosto) e ottengono, in cambio, di poter apporre della pubblicità sia sulle biciclette stesse che in altri punti della città. Lontane anche alcune città italiane dove il servizio per l’utente è totalmente gratuito. Da noi i cittadini pagano due volte: una direttamente l’altra attraverso l’amministrazione. L’architetto Riccardo De Benedictis La ferita alla Latomia dei Cappuccini. Occorrerà cancellare quella strada carrabile e lasciare che la natura faccia da sè Il nastro bianco che si fa strada tra il verde scomposto della vegetazione spontanea sembra una ferita. È una nota stonata in un’area tutelata da sempre da una serie di vincoli archeologici. La Latomia dei Cappuccini è una delle aree “sacre” della città tra le più suggestive e sembra impossibile che qualcuno abbia pen- sato di tracciare quel percorso senza porsi il problema del danno che si stava arrecando. All’inizio, a leggere le carte, era stata autorizzata solo l’apertura di un varco nella ringhiera su via Delfica per consentire un passaggio fino all’immobile da ristrutturare. Le opere di manutenzione del refettorio dei Cappuccini era- no “improcrastinabili” e l’immobile “intercluso”, evidentemente tale da non poter essere raggiunto da nessun’altra parte. Solo per questo, a giugno, la Sovrintendenza aveva concesso l’autorizzazione: sostituire una parte della ringhiera con un cancelletto apribile per poi ripristinare lo stato dei luoghi. Ma evidentemente qualcuno si è fatto prendere la mano e non si può che pensare che tutto sia accaduto in perfetta buona fede. Non sarebbe ipotizzabile che proprio i frati cappuccini possano aver considerato possibile realizzare una strada più comoda per raggiungere l’edificio alle spalle attraversando un’area vincolata, protetta. La segnalazione dovuta, obbliga- ta, che qualcosa comunque di non regolare stava avvenendo è stata fortunatamente tempestiva. L’ufficiale di polizia giudiziaria del corpo forestale Andrea D’Angelo non poteva non notare quel rilevato stradale, l’accumulo di un terrapieno formato con il deposito di materiale da diporto e soprattutto la totale assenza di un cartello che indicasse la presenza di un cantiere e quindi la relativa autorizzazione. Di qui la segnalazione alla Sovrintendenza che sollecitamente ha ordinato di fermare i lavori. Ora occorrerà cancellare quella strada carrabile e lasciare di nuovo che la natura riprenda il suo spazio. 12 14 Novembre 2009 “Sono le responsabili dei tumori, piaga del nostro territorio, prodotte da combustioni ad oltre 1000 gradi” Giacinto Franco e Luigi Solarino: “I problemi non sono più le polveri sottili ma il nanoparticolato, particelle da 0.1 micron” di MARINA DE MICHELE Un muro di gomma quello opposto all’organizzazione mondiale della sanità e all’azienda sanitaria provinciale dal Consorzio Industriale Protezione Ambiente. Il messaggio è di quelli che non ammettono repliche: “Non nelle emissioni inquinanti delle industrie va cercata la causa, il nesso eziologico dell’allarmante situazione sanitaria dei comuni più vicini al petrolchimico. La situazione è del tutto sotto controllo, le normative europee e nazionali sono applicate alla lettera, solo insignificanti le criticità ancora da risolvere”. “Ma il Cipa non è che un organismo del controllato che si fa controllare da se stesso” commentano sarcastici il dottore Giacinto Franco e il professore Luigi Solarino. “Cosa si sarebbe registrato? Che le polveri sottili si sono ridotte? Non discuto il dato – commenta il dottore Giacinto Franco -. Non nego che questo possa essere accaduto ma i problemi non sono più le polveri sottili bensì il nanoparticolato, le particelle non di 10 micron, bensì quelle tanto più piccole, infinitesimali, da 0.1 micron, quindi cento volte più piccole di quelle che respiriamo in strada. Sono proprio esse le responsabili dei tanti tumori che sono la piaga del nostro territorio e che derivano da tutto quello che si brucia ad altissime temperature”. Osservazioni non fantasiose ma che trovano conferme in studi e indagini di scienziati di tutto il mondo ormai da anni impegnati su questo fronte. Le particelle di nanodimensioni, aggregandosi in clusters secondo alcune leggi fisiche, si fondono con le membrane del nostro corpo e sono in grado di distruggere progressivamente e senza sosta le cellule. Non conoscono barriere, sebbene qualcuno si ostini ad affermarlo nonostante prove incontrovertibili: né quella polmonare, né quella intestinale, né quella ematoencefalica. Una volta respirate, dopo 60 secondi, oltrepassano la barriera polmonare e entrano nel sangue; dopo un’ora sono nel fegato e allorquando abbiano interagito con la struttura cellulare, non possono più essere rimossi. Al momento non sono ancora state individuate tecniche di eliminazione e, se sono nel sangue, possono andare anche nelle gonadi, nello sperma, nel dna. Di qui una possibile contaminazione del partner e di qui i bambini malformati, come testimoniato dai figli dei soldati della prima guerra del Golfo. Gli scienziati si stanno sempre più convincendo che sono le nanoparticelle le responsabili del versamento pleurico, della fibrosi polmonare, dei granuloma: è detto a chiare lettere in uno studio pubblicato sull’autorevole periodico specialistico European Respiratory Journal. Ancora più pericolose e temibili delle fibre d’amianto perché ancora più piccole e insidiose al punto da indurre i ricercatori a parlare di una “contaminazione planetaria” prodotta da Dott. Giacinto Franco nanoparticelle inquinate, che è possibile trovare ovunque. Ingerite anche mangiando un alimento, passano irreversibilmente nei tessuti, ovunque, così che si è dovuto coniare un neologismo: di “nanopatologie” parla la dottoressa Antonietta Gatti, responsabile del Laboratorio dei biomateriali presso il Dipartimento di neuroscienze dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, nella relazione presentata alla Commissione di inchiesta del Senato sull’uranio impoverito già nel 2005. Le polveri sottili, il PM10, le particelle dall’ampiezza di 10 micron, appartengono all’era giurassica. Dire oggi che si è provveduto a una loro riduzione, all’abbattimento delle con- centrazioni, vuol dire aver fatto la minima parte di quanto ci si attenda. Le dimensioni di cui si deve discutere viaggiano al di sotto del micron, sono i nanometri. Spiega il dottor Franco: “Sono il prodotto delle combustioni ad altissima temperatura, dai mille gradi in su. Più si alza la temperatura più si produce nanoparticolato, inquinante per il quale i governi non hanno ancora determinato i limiti di emissione e per il quale non esiste al momento alcun filtro. C’è un tropismo specifico per ogni metallo pesante. È questa la causa delle tante insorgenze tumorali”. L’indagine sull’uranio impoverito usato nelle tante guerre della nostra terra maltrattata solleva così la coltre anche dal- Prof. Luigi Solarino la nostra realtà industriale. La presenza nelle biopsie di particelle perfettamente tondeggianti, una forma che è effetto di combustioni ad altissima temperatura, superiore almeno ai 2mila gradi, la presenza di particelle di antimonio o di tungsteno nel caso di tumori della pleura, particelle composte da fosforo, cloro, piombo e cromo nei linfomi di Hodgkin, metalli pesanti (bismuto, ferro, cobalto e tungsteno) nel cancro alla prostata e via discorrendo, suggeriscono forse quale dovrebbe essere la strada da seguire per fugare ogni dubbio, per dare finalmente una risposta certa alle domande, per impedire ancora una volta che si nascondano le responsabilità e si sappia finalmente chi si deb- ba incolpare del dolore degli uomini. Una proposta provocatoria, una scelta forse troppo coraggiosa, la volontà di fare veramente luce su una realtà che è misteriosa come quella dell’uranio impoverito, su un fenomeno eclatante ma solo a tratti emergente e all’attenzione dei governanti come può esserlo stato il dramma dei soldati americani al ritorno dalla guerra del golfo o da quella in Jugoslavia. Un pezzetto di fegato, un colon, un polmone, del midollo spinale, qualche goccia di sangue o di liquido seminale delle tante vittime di questa guerra silenziosa che i siracusani continuano a combattere. Se c’è un serial killer che si nasconde tra noi, forse solo nelle autopsie si può trovare la verità. Nel triangolo industriale +132% per le malattie respiratorie acute, +428% per il tumore della pleura De Benedictis: “Fermare le emissioni inquinanti delle industrie” Sciacca: “Dati di origine incerta”. Ma qui si continua a morire Nei fatti una guerra di dati e insieme una difesa in trincea da parte delle industrie. Sembra essere questa la lettura più immediata dopo i convegni sullo stato dell’ambiente, e di conseguenza sulla salute della popolazione della nostra provincia, che hanno visto protagonisti da una parte l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Azienda sanitaria provinciale e dall’altra la Confindustria Siracusa e il Consorzio Industriale Protezione Ambiente. L’indagine messa a punto dall’OMS, e presentata alcuni giorni fa in un incontro pubblico, si è avvalsa in gran parte dei dati raccolti dall’equipe del dottore Anselmo Madeddu, responsabile del registro territoriale delle patologie dell’ASP di Siracusa, in uno studio sulla mortalità (periodo 1995-2002) e sui ricoveri ospedalieri (tra il 2001 e il 2007) nel territorio. Una sostanziale conferma di quanto già a conoscenza di tutti: nel triangolo industriale Augusta-Priolo-Siracusa, con punte maggiori nel comune megarese, si è riscontrato un indice di mortalità e di tumori significativamente più alto rispetto sia agli altri comuni aretusei sia alla regione, e in alcuni casi anche rispetto ai report nazionali. Tra le patologie più frequenti, spesso causa di decesso, tra le donne, al primo posto, troviamo il mieloma multiplo (+120%) e a seguire le malattie respiratorie acute (+86%) e quelle del sistema nervoso (+52%), la cirrosi epatica (+32%), i traumatismi ed avvelenamenti (+24%) e infine le malattie dell’apparato digerente (+21%). Tra gli uomini si è registrato invece un +24% per il tumore maligno di trachea, bronchi e polmoni, +58% per malattie psichiatriche, +14%, per le malattie cerebrovascolari e soprattutto – e qui i dati hanno dell’incredibile - +132% per le malattie respiratorie acute e addirittura +428% per il tumore della pleura, cioè della membrana che fa da involucro ai polmoni. Proprio su quest’ultimo dato sembra opportuno focalizzare l’attenzione per la certa correlazione che hanno, nell’insorgenza delle patologie polmonari, e non solo, le nanoparticelle, come dimostra uno studio di cui riferiamo e come spiegano il dottor Giacinto Franco, vicepresidente di Augustambiente, e il professore Luigi Solarino, presidente di Decontaminazione Sicilia. Eppure, a fronte di questi dati, nonostante le connessioni tra tumori e “sviluppo” industriale emerse con evidenza nel corso dell’incontro con i rappresentanti dell’OMS, le reazioni non sono state univoche. Il deputato regionale del partito democratico Roberto De Benedictis ha espresso da subito seria preoccupazione e ha evidenziato la necessità, oltre che del potenziamento dell’intervento sanitario e di quelle bonifiche mai effettuate nonostante i programmi specifici, soprattutto di andare alla fonte del problema. “Occorre analizzare e approfondire il rapporto dell’OMS e sollecitare il governo regionale ad assumere questa come un’emergenza prioritaria, ma soprattutto è indispensabile fermare le emissioni inquinanti delle industrie”. Parole a cui hanno fatto da contraltare i risultati del Rapporto Ambiente 2008, redatto dal Cipa, presentato nei giorni successivi. Una progressiva e significativa diminuzione dei valori delle emissioni di sostanze inquinanti “ben al di sotto di quanto stabilito dalle normative nazionali e comunitarie” e ancora una volta individuate nell’origine naturale, sabbie desertiche e vulcaniche, le cause dei comunque relativi picchi di PM10: “Gli ultimi sforamenti della media giornaliera di concentrazione di polveri sottili risalgono al 2006” è stato detto. Unico neo quindi “le alte concentrazioni di benzene nelle zone del depuratore Ias e degli impianti Erg Nord”; per il resto la garanzia di respirare, compatibilmente con il tessuto produttivo, aria tra le più salubri del Paese. Infatti tanto gli industriali quanto i vertici del Cipa non hanno nascosto un certo fastidio per i dati dell’OMS che mal si sono attagliati con la visione ottimistica da loro espressa. “Dati di cui non si conosce l’origine – ha dichiarato per tutti il professore Salvatore Sciacca, nella doppia veste di presidente del Cipa e direttore scientifico del registro tumori della Sicilia orientale –. Se si tratta di dati relativi al periodo 1999-2005, l’aumento delle patologie tumorali è in linea con quello di tutto il mondo occidentale – ha affermato con assoluta certezza -, e non si è certo potuto fare riferimento a dati più recenti dal momento che essi non sono ancora stati né rielaborati né divulgati”. Parole che suonano all’osservatore esterno come un sostanziale rimprovero a chi ha avallato la relazione OMS e il pensiero non può che correre allo stesso dottore Anselmo Madeddu che, con il professore Sciacca, condivide la responsabilità del registro tumori. Una smentita quindi, avallata dai rilievi critici di Confindustria: “Abbiamo partecipato alle riunioni preliminari e abbiamo messo a disposizione tutti i dati attuali e storici in nostro possesso. Con grande sorpresa dobbiamo constatare che, alla nostra disponibilità, non ha fatto seguito alcun riscontro e che non siamo stati posti in condizione di esternare, in un dialogo costruttivo, le nostre considerazioni sia nel corso della elaborazione che in occasione della presentazione dei dati”. E ancora: “In particolare dobbiamo sottolineare che in maniera del tutto superficiale sono stati enunciati superamenti dei limiti normativi nazionali ed internazionali per diverse sostanze pericolose come i metalli pesanti ed inquinanti organici con caratteristiche di persistenza e tossicità nell’ambiente. Per l’emergenza delle patologie non abbiamo elementi diretti di valutazione; tuttavia, considerata la difformità nella elaborazione dei dati sull’inquinamento, riteniamo che le conclusioni debbano derivare da un confronto con i risultati elaborati dalle autorità e dagli esperti in materia”. Distanze astrali tengono lontani i due organismi, ma nella nostra provincia di tumore si continua a morire. Marina De Michele 14 Novembre 2009 13 Terra di veleni nel mare, nell’aria, nel sottosuolo. “E nessuno ha fatto nulla, anzi” Tutti i progetti che rendono incontrollabile il nanoparticolato: inceneritore di Punta Cugno, Enel Tifeo, Buzzi Unicem... “Ma di quali altre prove abbiamo ancora bisogno per raggiungere la piena consapevolezza del livello di degrado ambientale in cui versa la nostra provincia e in particolare il triangolo Augusta Priolo Siracusa?” Un’analisi impietosa quella del dottore Giacinto Franco e del professore Luigi Solarino. Il suolo inquinato dalla presenza di numerose discariche abusive di rifiuti tossici e nocivi - alcuni nel passato interrati con l’autorizzazione delle stesse autorità comunali come il campo sportivo di Augusta, realizzato su ex saline comunali colmate con ceneri di pirite, così come quello di Priolo – e interessato dalla ricaduta delle polveri tossiche emesse dai camini. Siti sequestrati dalla magistratura e diossine e furani presenti fino a una profondità di 20-30 cm, come dimostrato dai carotaggi eseguiti nell’area dove dovrebbe sorgere il termovalorizzatore. L’aria inquinata da emissioni di sostanze tutte cancerogene e teratogene. Polveri di metalli pesanti che, a causa dei venti da nord a sud-sud/ovest, ricadono prevalentemente su Belvedere e Città Giardino. Le falde idriche soggette sia a processi di innalzamento della salinità per l’eccessivo emungimento ad opera delle industrie che a infiltrazioni dovute alla presenza delle numerose discariche abusive disseminate nel territorio o inquinate da idrocarburi provenienti da serbatoi di carburante privi del doppio fondo: i casi di Melilli e Priolo hanno fatto scuola. Il mare trasformato in una tomba di pesci morti per le sostanze tossiche ingerite e dai fondali contaminati da metalli pesanti (in particolare il mercurio 22 volte superiore il limite consentito), diossine, idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili (simili alle diossine). Inevitabili quindi le conseguenze sull’uomo alle prese anche con il più temibile nemico: il nanoparticolato, emesso in continuo dai camini e in particolar modo nei fuori servizio dalle fiaccole. Costituito essenzialmente da metalli pesanti, così come rilevato negli studi effettuati con i licheni, ha un notevole potere di veicolare per assorbimento i vari tossici e nocivi presenti nei fumi. Recentissimi studi hanno tra l’altro dimostrato come il nanoparticolato arrivi all’encefalo anche tramite le terminazioni dei nervi olfattivi e come, nelle zone ad alto tasso di inquinamento industriale, il morbo di Alzheimer sia aumentato del 1.200%. “Si può sin da oggi anticipare che molte altre patologie cronico-degenerative saranno destinate ad essere ascritte al nanoparticolato” avverte il dottor Franco. “Ebbene, a fronte di tutto questo, non solo non è stato fatto nulla, neanche uno solo degli interventi previsti dal piano di risanamento ambientale, ma si è continuato il saccheggio del territorio e si prevede ancora altro”. E qui l’elenco diventa infinito. L’inceneritore di Punta Cugno per rifiuti portuali, industriali e ospedalieri, già potenziato negli anni ’90 da 2mila a 15mila tonnellate annue, oggi si appresta ad un potenziamento a 60mila tonnellate annue, di cui 56mila pericolose, senza le procedure dovute per un impianto che sarà altro rispetto a ciò che è, quasi si trattasse di un semplice adeguamento. Il termovalorizzatore Enel Ti- feo progettato per smaltire i rifiuti urbani non solo della provincia di Siracusa ma anche di quelle di Enna, Ragusa e di Catania città, per 500mila t/anno e per il quale il piano regionale prevede solamente il recupero dei residui ferrosi lasciando tutto il resto all’incenerimento senza che si parli di raccolta differenziata. Un produttore eccezionale di nanoparticolato senza controllo. La piattaforma polifunzionale per il trattamento dei rifiuti industriali, di cui è stato approvato il trattamento meccanico-biologico e al momento è stata bloccata la realizzazione dell’inceneritore da 70.000 t/ anno di pericolosi, che la stessa ditta costruttrice Oikothen si è riservata di realizzare successivamente. L’ampliamento di potenzialità per la Buzzi-Unicem Augusta, dove si è prospettato l’uso di carcasse di pneumatici come combustibile. La costruzione di un impianto di termodistruzione di biomasse, di cui si prevede la provenienza dall’est europeo, considerato che il nostro territorio è soprattutto a sviluppo industriale e non agricolo forestale. E infine, “la ciliegina sulla torta” l’impianto di rigassificazione Shell ERGPower da 12 miliardi di m³/ anno di metano, per il quale occorrono circa 110 navi metaniere l’anno, da 130.000/140.000 m3 ciascuna. Un impianto che sorgerebbe a 200 metri in linea d’aria dall’impianto di etilene ex Icam, già esploso nel 1985, a duecento metri dal pontile Nato, con la ferrovia CT-SR che passa fra i due citati impianti, ad est il porto di Augusta con la base della Marina Militare Italiana e, ad ovest i depositi militari Nato ed adia- centi sia a nord che a sud senza soluzione di continuità impianti industriali ad alto rischio di incidente rilevante. Il tutto in area sismica. “Invece di delocalizzare dal nostro polo industriale impianti ad alto rischio di incidente rilevante e bonificare i siti inquinati – osserva Solarino – insistiamo nella monocultura industriale dei megaimpianti. È necessario imporre controlli in continuo e limiti più restrittivi alle emissioni in atmosfera e può, deve, essere compito in primo luogo dei sindaci, i primi responsabili della salute pubblica. A loro chiediamo ordinanze di necessità e urgenza come prescrive la legge; invocando il principio di precauzione possono assumere deliberazioni che salvaguardino le comunità da loro amministrate. La presenza del nanoparticolato e l’inquinamento del suolo impongono che le amministrazioni locali vietino le coltivazioni e i pascoli che insistono nei pressi degli insediamenti industriali. I prodotti di quelle terre rappresentano il primo anello dell’inquinamento della catena alimentare. Può apparire una posizione non condivisibile la nostra: non vogliamo la rovina degli agricoltori ma una riconversione agricola. È possibile consentire la coltivazione solo di piante oleaginose, come per esempio la jatropha curcas, molto indicata per la produzione di un olio vegetale da destinare alla produzione di biodiesel. “Se ne è recentemente parlato in relazione a un progetto di cooperazione internazionale in favore della popolazione dello stato africano del Burkina Faso a cui partecipa l’Istituto Pro- Dove si depositano le nanoparticelle fessionale Agrario di Rosolini. Sarebbe una scelta strategica proprio in vista della prossima realizzazione a Priolo di un impianto della Ecoil per la produzione di circa 200mila tonnellate annue di biodiesel. Questo carburante, equivalente del gasolio, fa parte delle energie rinnovabili: nella combustione infatti emette la stessa quantità di CO2 assorbita per la sua sintesi e i motori che lo utilizzano non producono anidride solforosa e scaricano una minore quantità di fumo e di monossido di carbonio rispetto a quelli alimentati con gasolio. Si può fare, perché i costi sarebbero senz’altro inferiori a quelli necessari per fronteggiare le emergenze sanitarie come è quella della nostra terra. E poi, la vita umana non ha prezzo”. Marina De Michele “Chiediamo al Comune che si mobiliti per demolire le villette già segnalate alla Procura della Repubblica” Morreale: “Da qualche decennio numerose case abusive sono state realizzate fino al mare” Siracusa. La polemica sulla opportunità o meno di realizzare il mega villaggio turistico di Terrauzza, pur se inquadrabile in una visione più ampia che riguarda quale modello di sviluppo sostenibile il Comune debba scegliere per la città, rischia di mettere in ombra un altro grave problema che compromette la salvaguardia e la libera fruizione di questo tratto di costa dirimpetto all’Area Marina Protetta del Plemmirio: l’abusivismo edilizio. Da qualche decennio numerose case abusive sono state realizzate fino al mare, lasciando un corridoio talmente esiguo che, in situazioni di alta marea, non sempre è possibile percorrerlo a pie- di. Per non parlare delle recinzioni abusive che scendono fino alla battigia o di alcune scogliere scavate per realizzare “piscine” costiere connesse direttamente al mare. Affinché nessuno possa pensare che l’amministrazione si stia occupando del problema villaggio senza inserire in rubrica quello sull’abusivismo edilizio, affinchè nessuno venga preso dal sospetto che si voglia favorire qualche proprietario amico, chiediamo al Comune che si mobiliti al più presto per demolire le villette già segnalate dalla Procura e per individuare quelle ancora non segnalate. Fabio Morreale 14 14 Novembre 2009 Tantissime le siracusane pronte a spendere 30€ per un linfodrenaggio e 80 per uno Shirodhara Angela Gennuso: “Spesso massaggi esotici non sono altro che l’applicazione di tecniche standard con effetti scenici” pagina di DANIELA DE LUCA In una quotidianità che sembra nutrirsi di frenesia incalzandoci con ritmi sempre più rapidi, che sembra volerci risucchiare in un turbinio di inesauribili attività, si cerca, sempre con maggiore insistenza, un rifugio, una piccola via di fuga. E in questi momenti chi non ha mai sognato di ritagliarsi un attimo di “relax e benessere” lasciandosi travolgere dal piacere di un massaggio? La risposta la si ricava da poche ma significative considerazioni: la lunga trafila necessaria per ottenere un appuntamento presso il Centro Benessere di fiducia e l’esposizione a un continuo bombardamento di messaggi pubblicitari di S.p.A., Centri Termali, Istituti di ogni sorta e genere che (perennemente al completo nonostante prezzi esorbitanti e incombente crisi) cercano di convincerci a soggiornare presso le loro strutture, anche solo per un giorno, ammaliandoci con la promessa di rigenerarci attraverso un percorso terapeutico e rilassante nel mondo dei massaggi. Archiviati in obsoleti faldoni i romantici momenti in cui (dopo una giornata di fatiche e stress che finivano per trasformarsi in fastidiosi centri di tensione muscolare localizzati in innumerevoli parti del corpo, con particolare predilezione per la nostra zona lombare), ci si accontentava di farsi massaggiare dal proprio compagno/a davanti alla tv che, più che rigenerarci, finiva per infliggerci il colpo di grazia, oggi si esige una figura professionale: il massaggiatore. E non ci si accontenta neanche più di un tradizionale massaggio, come un linfodrenaggio: da quello ayurvedico a quello con le pietre calde (Hot-Stone) passando per il Lomi-Lomi (massaggio energetico), l’esotico nel massaggio è ormai la moda dilagante. E cosa dire del grande consenso riscosso da massaggi studiati per le coppie (magari in comode vasche colme di petali odorosi sorseggiando tisane), proposti in occasione della festa di S. Valentino o per una Pasqua alternativa alla caccia di un insperato recupero psicofisico in previsione della bella stagione? L’arte del massaggio rappre- senta una delle più antiche metodologie utilizzate a fini terapeutici. “Il medico deve avere molteplici esperienze, ma deve conoscere sicuramente l’arte del massaggio” – affermava Ippocrate, padre della medicina occidentale, all’inizio del V° secolo a.C. Col passare dei tempi il massaggio è diventato un’arte, una precisa metodica da insegnare in specifiche scuole professionali. In ogni parte del mondo ha una sua storia e ha sviluppato accurate e sapienti tecniche. Rilas- sante o curativo, sportivo od estetico, oggi esistono infinite tecniche e specializzazioni: l’arte del massaggio è in ogni caso un percorso molto delicato e complesso che richiede uno studio approfondito e, pertanto, deve essere eseguito esclusivamente da personale specializzato. Ma questi massaggi saranno poi effettivamente salutari o meglio sortiranno gli effetti sperati compreso quello (dai più vagheggiato e da molti promesso) di restituirci, alla fine del più o meno lungo ciclo di trattamenti, un corpo da favola, indipendentemente dal punto di partenza? O meglio i Beauty Center siracusani sono davvero all’altezza del compito quando, nel presentarci il massaggio come un validissimo alleato nella lotta contro gli inestetismi della cellulite, ci propongono valanghe di trattamenti per rimodellare e tonificare gambe e glutei? Possiamo davvero affidarvi con fiducia e senza riserve il nostro martoriato corpo? “Alcune strutture locali pretendono tanto ma non pagano i loro dipendenti” In estate sulle spiagge blasonate della nostra città c’era un esercito di massaggiatori improvvisati Scopriamo luci ed ombre che si celano dietro questo emergente e sicuramente affascinante mondo intervistando Angela Gennuso, massaggiatrice qualificata. Perché un massaggio può risultare meravigliosamente rilassante e salutare? “La pelle - ci spiega - grazie ad una infinità di terminazioni nervose è estremamente sensibile. Ogni pressione non viene percepita solo localmente ma da tutto il sistema nervoso e da specifici organi, in base alla zona lavorata (ad es. il massaggio praticato a livello addominale aiuta lo svuotamento dell’intestino). Ed è per questo che i massaggi acuiscono la sensazione di benessere, hanno un benefico influsso sulla salute e agiscono nel nostro io più profondo. Se praticato da mani esperte, un massaggio può portare diversi benefici sia al corpo che alla mente; infatti, non solo consente di rilassarci e quindi di riequilibrare il nostro corpo sia sotto il profilo nervoso che ormonale, ma riesce anche a distendere i muscoli eliminando così contrazioni e dolorini, conseguenze inevitabili di una vita troppo sedentaria e di una postura poco corretta, con il valore aggiunto del fondamentale beneficio a livello psicologico”. Inevitabile chiederle se un massaggio sia in grado di restituirci una forma fisica smagliante eliminando chili di troppo e, diciamo, “ridisegnandoci ad hoc”. Ci spiega che non si tratta di certo di una pozione magica. Ci sono trattamenti mirati per ogni specifico problema che consentono risultati più o meno notevoli (a seconda della consistenza del problema e del modo, del tutto personale, in cui reagisce il corpo in questione), conditio sine qua non è che vengano associati ad una dieta equilibrata e ad una minima attività fisica, come può essere anche una semplice passeggiata a passo cadenzato. Il tutto comporta, ovviamente, costanza, non solo nel raggiungere l’obbiettivo ma anche nel mantenerlo, perpetuando uno stile di vita consono. E i costi? “Si va dalle 30€ per un linfodrenaggio alle circa 80€ per qualcosa di più sofisticato come uno Shirodhara (dove sotto un flusso costante di olio caldo sulla fronte mente e corpo si liberano dalle tensioni). Più il centro cui ci si rivolge è rinomato più i prezzi risultano rincarati. Per avere un buon massaggio, comunque, è sufficiente rivolgersi ad un operatore qualificato che si avvalga, quando il trattamento lo richiede, di prodotti di qualità oltre ad essere ovviamente in grado di operare una scelta oculata del prodotto (un prodotto sbagliato, infatti, potrebbe provocare danni o effetti indesiderati)”. Su come orientarsi nella vasta gamma di trattamenti a disposizione Angela Gennuso spiega che quando si valuta il tipo di trattamento occorrerebbe pren- dere in considerazione non solo la competenza scientifica ma anche l’attitudine personale tanto del cliente quanto del massaggiatore. Non tutti sono portati per tutte le discipline. “Bisogna anche dire però – confessa - che spesso massaggi dai nomi accattivanti ed esotici si concretizzano per lo più nell’applicazione di tecniche e sequenze di massaggi standard da parte di operatori, sia pure bravi, ma che, affidandosi fondamentalmente sull’effetto scenico, poi finiscono per ripetere più o meno le stesse manualità. Qualcosa, però, sta cambiando, i clienti mostrano di gradire sempre meno sedute cariche di “effetti speciali” quanto piuttosto ricercare attenzioni dirette all’Essere. Non più sequenze standard che, essendo ognuno di noi unico ed irripetibile, non possono andare bene per tutti, ma si chiede all’operatore di mettersi in ascolto e lasciarsi guidare così da meglio veicolare le energie spirituali. Si cerca il massaggio su misura, unico ed irripetibile proprio come lo è ognuno di noi, quello che consente l’ottenimento di quel “relax” che, in realtà, si identifica nel sentirsi finalmente bene con se stessi. Tutto ciò, ovviamente, presuppone una elevata capacità di canalizzazione da parte dell’operatore ma anche una grande fiducia da parte del ricevente che deve riuscire a lasciarsi andare completamente”. Dopo aver puntualizzato con Angela l’importanza di affidarsi a mani esperte (le conseguenze del sottoporsi a pratiche improvvisate possono, infatti, essere anche estreme come il rimetterci la stessa vita per il sopravvenire di rare evenienze), commentiamo con una sua amica, la signora Sciuto, su come quest’estate lei stessa, in quanto abbonata presso lo stabilimento balneare Sayonara, abbia avuto modo di constatare sulle nostre spiagge un nutrito traffico di massaggiatori improvvisati alla ricerca di potenziali vittime cui elargire i loro scarsi e pericolosi servizi. “I clienti – racconta –, tutt’altro che esigui, erano difesi a suon di minacce e nell’insufficienza anche dandosele di santa ragione dinnanzi agli occhi increduli di innumerevoli bagnanti”. Inutile dire che tutto questo avveniva nonostante una ordinanza preveda il divieto di praticare massaggi a qualsiasi titolo da improvvisati operatori ambulanti pena l’arresto o, in alternativa, il pagamento di una pena pecuniaria. Nell’inutilità dell’ordinanza (il suo rispetto è affidato ai sindaci, quindi ai Vigili Urbani, che è alquanto improbabile che girino per le spiagge a caccia di ambulanti che praticano massaggi, tanto è vero che l’obbligo di segnalazione spetta ai gestori degli stabilimenti i quali, in considerazione degli eventi, non si sono dimostrati poi così solerti), non resta che fare affidamento su quel buon senso che dovrebbe indurci a diffidare da certe ma- nipolazioni tanto deleterie per la nostra salute. Intervistiamo una ragazza, ex massaggiatrice in un centro, che però preferisce mantenersi anonima. Con lei approfondiamo le difficoltà insite in questo mestiere che – ci spiega - non sono solo quelle legate all’attività di per sé (come ad esempio il trovarsi di fronte, caso non rarissimo, un cliente diciamo un po’ troppo malizioso o ancora una cliente non eccessivamente amante dell’igiene), ma soprattutto quelle connesse al dover lavorare per una struttura che non solo pretende tanto e paga poco ma che per di più non ci pensa proprio a regolarizzare la posizione lavorativa dei propri dipendenti. “Solo una di noi era ingaggiata e, comunque, sottopagata, le altre eravamo fantasmi che dovevano volatilizzarsi o, nell’impossibilità, istruite a recitare una parte non compromettente in caso di controlli ufficiali che, in ogni caso, per quanto spesso emergessero dati che rimandassero ad irregolarità, non sortivano altro effetto che quello di farci perdere tempo. Sono andata via – continua - perché non ne potevo più di farmi sfruttare, ero costretta a stare lì tutto il giorno, anche senza appuntamenti, per poi percepire, nell’eventualità, una misera percentuale. Ho resistito finchè ho capito che così non sarei arrivata da nessuna parte, dunque con estremo coraggio ho cambiato strategia!” 14 Novembre 2009 15 Nardi (Filt Cgil): “L’Itsa ha cercato il dialogo ma trovava sempre un muro di gomma” Garozzo: “Obiettivo trovare risorse per le infrastrutture intercettare il traffico marittimo e cercare investitori” di CATERINA ITALIA Aldo Garozzo, presidente dell’Autorità Portuale Di solito sono le navi ad affondare, non certo i porti. Nel comune di Augusta, da qualche anno, si sta verificando uno strano fenomeno di sprofondamento di uno dei più importanti scali portuali d’Italia. Nonostante la sua posizione strategica al centro del mar Mediterraneo, nonostante la sua vicinanza al polo petrolchimico siracusano, nonostante la presenza di una delle basi della marina militare, il porto di Augusta stenta a decollare. A riprova che anche una grande risorsa, se mal gestita, può spogliarsi di tutta la sua importanza. Il ritardo nella nomina del nuovo presidente dell’autorità portuale e il lungo commissariamento che ne è conseguito hanno contribuito di certo a rallentare l’attività del porto e a impedirne il rilancio. Dall’ottobre 2007 fino al settembre 2009 l’autorità portuale è stata affidata al commissario straordinario Pietro Bernardo. I giudizi sul suo operato sono stati piuttosto controversi. In un giornale locale, Giuseppe Spanò, ex presidente dell’autorità portuale, ha dichiarato che negli anni di commissariamento poco è stato aggiunto alla programmazione infrastrutturale da lui stesso svolta precedentemente. Luigi Maugeri Boccadifuoco, imprenditore, a mezzo stampa, nel marzo del 2008, ha lanciato la sua provocazione: “Se per aver credito bisogna essere cinesi o giapponesi, siamo pronti a travestirci da orientali con gli occhi a mandorla”. L’esternazione dell’imprenditore fa riferimento alla scelta dell’autorità portuale di facilitare gli investimenti di grandi società straniere a discapito del rilancio delle locali. Anche Paolino Amato, capogruppo di Forza Italia verso il PDL, ha voluto far chiarezza su come sia stato gestito lo scalo portuale negli anni di commissariamento. Per tale ragione, nel giugno scorso, ha inviato un’interrogazione alle autorità portuali per far luce su alcuni argomenti d’interesse pubblico: in particolare sull’assenza d’informativa relativa ai volumi di traffico merci del porto, sui bilanci e sulla consistenza di cassa. A tutt’oggi nessuno gli ha fornito risposte. Finalmente Il 18 settembre Paolino Amato, già capogruppo di F.I. alla Provincia Aldo Garozzo viene nominato presidente della port authority di Augusta. La nomina arriva in un momento difficile. Il più grande investitore straniero, la società nippo-americana ITSA, il 22 ottobre abbandona il porto, lasciando venticinque dipendenti senza occupazione. Il repentino ritiro dell’ITSA dal mercato megarese oggi è diventato l’emblema di tutte le tensioni che ruotano attorno al porto. In tale indietreggiamento sono chiari due grandi problemi: quello strutturale e quello occupazionale. L’International Terminal Service of Augusta (ITSA), controllata dall’azienda nipponica Kawasaki Kisen Kaisha, è una società che si occupa di movimentazione di container. Ha mostrato interesse per lo scalo megarese sia per la sua posizione strategica sia per la sua ampiezza: a differenza del porto di Genova, che si trova a ridosso della città, quello di Augusta ha tanto terreno alle spalle da poter riutilizzare. Dopo esplicita richiesta, la società ottiene in concessione dall’autorità portuale un’area di circa centomila metri quadrati, con banchine annesse. Oltre al terreno, sembra che la multinazionale abbia ricevuto delle rassicurazioni in merito alla bonifica del porto, all’ampliamento dei livelli di pescaggio e all’urbanizzazione della zona: in quel luogo era assente l’acqua e la linea telefonica. Nonostante questi limiti, la società nipponica si premura di dotare la zona ad essa affidata di sistemi antincendio e delle infrastrutture di base e di metterla in regola con le norme europee. Senonché, a distanza di qualche anno, nessuna bonifica è avvenuta, il livello del pescaggio non è stato accresciuto rendendo impossibile alle grandi navi container di muoversi agevolmente all’interno dello scalo. Considerate le cospicue perdite economiche, gli azionisti della società ITSA hanno maturato la decisione di ritirarsi dalla concessione, non considerando più Augusta un’area idonea per i loro investimenti, soprattutto in un momento di crisi internazionale. Per tali ragioni l’impresa ha lasciato il porto e messo in mobilità venticinque operatori. Francesco Nardi, segretario della FILT CGIL di Augusta Per quanto attiene alle responsabilità di questo ritiro, Francesco Nardi, segretario della FILT CGIL, sostiene che i rappresentanti della società ITSA hanno sempre cercato di dialogare con le autorità portuali che negli anni si sono succedute, trovandosi spesso davanti un muro di gomma. Sembra che nessuno abbia voluto assumersi le giuste responsabilità. Nei fatti la ITSA non ha mai avuto un vero interlocutore sul territorio. La conseguenza è stata che la provincia di Siracusa ha perso una grande opportunità di sviluppo economico e occupazionale. Il consigliere Paolino Amato, capogruppo di Forza Italia verso il Pdl, non avendo ricevuto alcuna risposta all’interrogazione di giugno, ne ha presentata un’altra alla fine di ottobre in cui chiede espressamente quali siano i motivi dell’indietreggiamento della società ITSA e soprattutto se l’autorità portuale abbia delle responsabilità oggettive in merito a tale abbandono. Sbrogliare la matassa non è semplice. Il neo presidente dell’autorità portuale Garozzo si è insediato da pochissimo tempo negli uffici di via Millo e chiaramente non può rispondere degli atti di chi lo ha preceduto. Nonostante ciò si è dimostrato disponibile a porre rimedio alla situazione. Gli obiettivi principali rimangono quelli relativi alla canalizzazione di risorse per dotare il porto di migliori infrastrutture, intercettare il traffico marittimo e ricercare nuovi investitori. D’altra parte, il porto di Augusta non va rilanciato, ma lanciato: la movimentazione dei container per lo scalo megarese è una novità, di solito il porto si è occupato d’altro e ha soddisfatto esigenze prevalentemente locali. Per quanto riguarda i 25 operatori marittimi, è chiaro che l’autorità portuale può assumere nei loro confronti un impegno morale e non giuridico: le concessioni non possono essere subordinate alle assunzioni. Ma trattandosi di persone che hanno maturato una loro professionalità, non è improbabile che esse vengano riassorbite dall’impresa che otterrà la futura concessione. Almeno questo è ciò che tutti si auspicano. Augusta e Priolo aree dei veleni in Italia dove la gente convive con le sostanze tossiche, si ammala e muore Con il decreto n.60 del 2 aprile 2002, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio recepiva la direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio. Il decreto, cioè, stabilisce per tutti questi inquinanti i valori limite e le soglie di allarme; il margine di tolleranza e le modalità secondo le quali tale margine deve essere ridotto nel tempo; il termine entro il quale il valore limite deve essere raggiunto; i criteri per la raccolta dei dati inerenti la qualità dell’aria ambiente, i criteri e le tecniche di misurazione, con particolare riferimento all’ubicazione ed al numero minimo dei punti di campionamento, nonché alle metodiche di riferimento per la misura, il campionamento di ALESSANDRA PRIVITERA e l’analisi; la soglia di valutazione superiore, la soglia di valutazione inferiore e i criteri di verifica della classificazione delle zone e degli agglomerati; le modalità per l’informazione da fornire al pubblico sui livelli registrati di inquinamento atmosferico ed in caso di superamento delle soglie di allarme; il formato per la comunicazione dei dati. Tutto questo per salvaguardare le aree ad “elevato rischio di crisi”, caratterizzate, cioè, da gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo, tali da comportare un rischio per l’ambiente e per la popolazione: già diciannove anni fa (era il 30 novembre del 1990), infatti, con delibera del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 7 della legge 349/86 i territori dei comuni di Augusta, Floridia, Melilli, Priolo, Solarino, Siracusa, Gela, Butera e Niscemi venivano dichiarate ad elevato rischio di crisi ambientale. L’Italia dei veleni l’hanno battezzata i giornalisti dello Speciale TG1 andato in onda domenica 8 c.m. in seconda serata: due delle 57 aree italiane (insieme a Taranto, Valle del Sacco, Laguna di Grado, Broni, Crotone) dove la gente convive con sostanze inquinanti, le respira, ci cammina sopra, poi si ammala e muore. Perché le emissioni di polveri e piombo, di ossidi di azoto e biossidi di zolfo superano 312 volte l’anno le soglie-limite previste dalla legge. Nel 1998, con decreto legislativo del 31 marzo n.118, le competenze in campo di aree a rischio sono delegate alle regioni e nel 2005 il governo regionale siciliano (Delibera di Giunta di Governo n.306 del 29.06.2005) istituisce l’Ufficio Speciale per le aree ad elevato rischio di crisi ambientale che, presso l’assessorato Regionale territorio e ambiente, ha il compito di acquisire dai soggetti competenti le informazioni sullo stato dell’ambiente, esprimere parere, prelimi- nare all’adozione, su qualsiasi decisione di competenza di ciascuno degli enti locali e della Regione relativamente a problematiche ambientali, definire l’aggiornamento dei piani di risanamento entro il mese di dicembre di ogni anno. Tra le attività di risanamento, messe in cantiere dall’Assessorato regionale territorio e ambiente, è stato creato e sviluppato un progetto con l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per l’avvio di un’indagine epidemiologica che intervenga a definire i rapporti tra stato di salute della popolazione e stato dell’ambiente e a monitorare gli effetti degli interventi di risanamento sulla popolazione. In seno a questo progetto l’OMS, Assessorato regionale e ASP di Siracusa, il 5 c.m., hanno tenuto un convegno sulla situazione ambientale e sanitaria, di cui vi riferiamo nelle valutazioni proposte in altra pagina dal nostro vice direttore Marina De Michele. 16 14 Novembre 2009 Un mistero che si trascina da sedici anni La domanda irrisolta: quella notte il militare indossava giubbotto antischegge o antiproiettile? Chi uccise il soldato Malgioglio? Giovedì ultima udienza di MARINA DE MICHELE A quattro anni dalla morte dello studente ferrarese Federico Aldrovandi per la quale solo oggi si squarcia la coltre di silenzi e si svelano i depistaggi, dopo la vicenda di Stefano Cucchi che anche i medici hanno cercato di insabbiare, dopo il nuovo caso nel napoletano di un altro giovane forse ucciso da poliziotti violenti, e gli esempi potrebbero essere ancora tanti altri, ritornare sul caso Malgioglio ha il sapore di un risarcimento atteso da tempo che ha il valore di un viatico per tutti gli altri casi misteriosi che in Italia invocano giustizia. Ci si chiede se la giustizia lenta, quella che ritorna a distanza di quindici/vent’anni, sia ancora giustizia. Se in un caso come quello di Simonetta Cesaroni, uccisa in via Poma a Roma con 30 coltellate nell’agosto del 90, che oggi vede rinviato a giudizio per omicidio colposo l’ex fidanzato, ormai padre di due ragazze, marito forse affettuoso, si possa parlare ancora di vera giustizia, e l’aggettivo già è un inutile orpello. Quell’uomo, seppure colpevole, è oggi sicuramente altro rispetto a ciò che forse una volta è stato, o forse è migliore proprio per ciò che è stato e che non ha mai confessato. Eppure non si può non pensare che la giustizia debba fare il suo corso, debba accertare la verità perché questo è il suo compito, questa la finalità primaria, la sua stessa ragion d’essere. Sarà poi altro stabilire l’entità, la qualità della pena: forse lì le maggiori difficoltà. Ma è la verità il bene supremo e nel caso Malgioglio, nel caso di questo ragazzo di Francofonte di 19 anni, stroncato all’inizio della vita mentre effettuava il servizio militare, di un ragazzo che oggi avrebbe avuto 35 anni se un proiettile non ne avesse fermato per sempre il respiro, forse il prossimo passo sarà proprio la verità, saranno le spiegazioni di quella tragica notte del 16 luglio del 1994. Siamo ormai al secondo grado di giudizio, siamo in Corte di Assise di Appello e tutto gira intorno a un particolare, piccolo forse ma fondamentale, discriminante. Quale tipo di giubbotto indossava Salvatore Malgioglio quella notte? Era antischegge o antiproiettile? Un particolare dirimente perché passaggio chiave nell’accertamento dei fatti nel corso del processo di primo grado. Allora il giudice ritenne verosimile che Salvatore Malgioglio, la vittima, e Giuseppe Sciarabba, il maggiore accusato, si fossero scambiati in pieno accordo il posto di guardia perchè, al momento dell’inizio del turno, occupavano ciascuno postazioni che prevedevano, quale presidio di sicurezza, due giubbotti diversi. Il Malgioglio, che occupava la postazione sopra il ponte, avrebbe dovuto indossare l’antischegge, lo Sciarabba l’antiproiettile. E se Malgioglio fu trovato con il giubbotto antiproiettile vuol dire che ci fu un cambio di postazione e quindi un cambio di giubbotti con modalità sicuramente pacifiche. Questa, in estrema sintesi, la ipotesi teorizzata dalla Corte di primo grado. Ma con un’anomalia: nessuno, fra carabinieri e testimoni oculari del rinvenimento del cadavere del Malgioglio, è mai stato in grado di fare una differenza fra i due diversi tipi di giubbotto. Di qui la riapertura delle indagini e la necessità, per il giudice di secondo grado, di disporre una perizia per stabilire la verità sul giubbotto indossato da Malgioglio. Per il capitano Paniz, dei RIS di Messina, il diciannovenne indossava un giubbotto “corazza 2” prodotto da una ditta di forniture militari, la Sistemi Compositi, che svolgeva la duplice funzione di antiframmento e antiproiettile. Un giubbotto indossato da Malgioglio in maniera non regolare secondo il perito, con una delle cinghie di velcro non agganciata normalmente. Il consulente tecnico di parte civile, il dottore Guido Tirrò, già ufficiale dell’esercito italiano ed esperto in forniture militari, oltre a confermare le conclusioni del capitano Paniz, ha inoltre fornito alla Corte ulteriori informazioni soprattutto in ordine alla consistenza dei giubbotti “antischegge” in uso all’esercito italiano al momento dei fatti. “In tutte le caserme italiane e per tutte le missioni all’estero questi giubbotti erano in numero assai esiguo rispetto al corazza 2 che, all’epoca, costituiva il presidio comunemente usato da tutti i militari impegnati nelle varie caserme italiane” ed anche nell’operazione Vespri Siciliani. Solo nel 1995, un anno dopo la morte di Malgioglio l’Esercito commissionò alla Sistemi Compositi una fornitura di circa 11mila giubbotti antischegge. Sembra così destinato a saltare l’impianto probatorio del primo giudizio quando, scartata finalmente come non sosteni- L’avv. Santi Terranova, legale della famiglia Malgioglio bile l’ipotesi del suicidio che a lungo si era fatto credere fosse l’unica verità, si era chiuso il processo con l’assoluzione degli imputati perché la morte del giovane soldato era stata imputata ad un accidentale colpo esploso dallo stesso fucile della vittima. Nessun contrasto si era mai verificato tra i due commilitoni Malgioglio e Sciarabba, tornati sereni forse dopo una lieve scaramuccia tanto da scambiarsi amichevolmente i giubbotti. Così avevano decre- tato i giudici. La tenacia della famiglia, determinata nella ricerca della verità, la perseveranza del penalista Santi Terranova e dei suoi collaboratori hanno voluto la riapertura del caso, hanno indotto la Corte di Assise di Appello di Catania a dissipare ogni ulteriore dubbio, a risentire alcuni ex militari che facevano parte della muta smontante. “Quattro, fino ad oggi, i testi ascoltati e tutti hanno concordato nell’affermare che il cambio di postazione avveniva senza che vi fosse una preventiva assegnazione delle postazioni e che ognuno dei militari, al momento del cambio, “passava” il proprio giubbotto all’altro, un giubbotto antiproiettile, uguale per tutti - ci ha detto l’avvocato Terranova -. Alla prossima udienza del 17 novembre sarà sentito l’ultimo teste. E’ uno dei militari che ha dato il cambio a Malgioglio. Come gli altri! Ho fiducia, ho fiducia nella giustizia”. Grande esibizione di Enzo Annino di musica dixieland Divertissement con gusto, ironia e struggente revival Quanti anni ha Enzo Annino? Ha gli anni della memoria di ciascuno di noi, di quelli che all’Asteria blu, al Trabocchetto, nei tanti locali alla moda di una provincia che si svegliava dalla sonnolenza degli anni sessanta erano la giovane generazione godereccia siracusana. Gli anni dell’orchestra di Duke Ellington, della torpedo blu di Giorgio Gaber, delle intense sonorità di Ray Charles. Ha gli anni della nostra giovinezza che in noi è volata via e che in lui ancora resta a dispetto dell’anagrafe, grazie a una sua verve speciale, tutta bollicine e champagne. E non dico il vino. Dico la capacità di ridere sorridere e irridere. Dico la capacità di far diventare pittura l’emozione (Ortigia, piazza Duomo, sue creazioni musicali di pregevoli ritmi e poesia). Così ci è apparso domenica scorsa Enzo Annino al Club degli Amici, con una sua divertentissima band che ha proposto una difficile e complessa passeggiata nel dixieland. Una band diretta da Rino Cirinnà, tra i migliori sax italiani di tradizione americana (collabora spesso con artisti internazionali, come Emi Stuart), che aveva alla tromba Elio Perrota, con solida esperienza alla Rai e a Sanremo, alla batteria Enzo Augello, al bajo Mario Toscano, al pianoforte Gabriele Agosta e al trombone a coulisse Alfredo Vitali. E si è trattato di un autentico divertissement, com’è nello stile di Enzo Annino, dalla battuta mordace e dalla gestualità diretta. Potremmo, fermandoci qui, aver detto tutto. Ma faremmo un grande torto a un componente storico dei Mammasantissima, Enzo Bongiovanni, oggi uno dei maggiori esperti del mare siracusano, che con Annino si è esibito in esilaranti scenette del passato, forse ingenue e demodès in tempi di grande fratello, ma per noi che il carosello lo vedevamo seduti a frotte dinanzi allo schermo ancora fresche ed pungenti. E a Giuliana Accolla, che ci ha riproposto la storia del gruppo e, da grande interprete, ha vivificato taluni brani letterari, sì letterari. Grazie, Enzo. Franco Oddo