dossier a cura dell`Osservatorio
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Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa (Settembre 2016) Inca Cgil - Observatory on European social policies eccome... Voucher. Le differenze ci sono, Introduzione Scriveva Luciano Gallino nel 2007 : Nel nostro paese come in altri dell’Unione europea, Francia e Germania in testa, organizzazioni e personaggi autorevoli chiedono ogni giorno, ormai da alcuni lustri, che sia accresciuta la «flessibilità del lavoro». È una richiesta – sottolineava ancora Gallino – che si presenta in ogni contesto immaginabile. La avanzano la Commissione europea, l’Ocse, il Fondo monetario internazionale. La difendono (di solito con il codicillo «ce lo chiede l’Europa», oppure «ce lo chiedono i mercati») i centri di ricerche economiche, la Banca d’Italia, la Confindustria, gli editorialisti dei maggiori quotidiani, la tv, gli esponenti politici del centro-destra come del centro-sinistra, i ministri economici e i presidenti del Consiglio d’una dozzina di governi almeno. Scomparso Gallino, la sua analisi resta purtroppo di un’attualità disarmante. Secondo un importante rapporto sulle nuove forme di occupazione pubblicato nel 2015 da Eurofound (New forms of employment), una maggiore flessibilità del lavoro sarebbe un’esigenza non soltanto dei datori di lavoro, ma anche dei lavoratori. Insomma, sotto la spinta di una potentissima ondata demagogica, negli ultimi 15 anni le cosiddette nuove forme di occupazione hanno progressivamente preso il posto del lavoro a tempo pieno, a durata indeterminata e con un unico e solo datore e luogo di lavoro, trasformando così in tutta Europa il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente. Benché spesso molto diverse tra loro, tutte queste nuove forme di occupazione sono contraddistinte da relazioni e luoghi di lavoro non convenzionali, da somministrazione irregolare 1 Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa (Settembre 2016) della prestazione di lavoro in sé, da una connessione debole – quando non inesistente - tra lavoro e previdenza sociale. E, soprattutto, dalla liquefazione – per così dire - della contrattazione collettiva. Cgil - Observatory on European policies IlInca già citato studio di Eurofound individua 9 tipologiesocial principali di “nuove forme di occupazione”, ognuna delle quali non soltanto racchiude un’infinità di declinazioni specifiche, ma può a sua volta combinarsi con altre forme, dando così vita a un numero di varianti praticamente impossibile da determinare. Le 9 tipologie sono: Codatorialità. Un singolo lavoratore è assunto congiuntamente da un gruppo di datori di lavoro per soddisfare le esigenze di più imprese. Lavoro ripartito. Un datore di lavoro assume due o più lavoratori affinché occupino congiuntamente una posizione specifica, combinando due o più lavori a tempo parziale per garantire la prestazione di un’unità lavorativa a tempo pieno. Gestione temporanea. Un lavoratore (in linea di principio altamente qualificato) è assunto a tempo determinato per un progetto specifico o per risolvere un determinato problema, integrando in tal modo le capacità di gestione corrente dell’organizzazione. Lavoro occasionale. Un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro, il quale se ne può avvalere all’occorrenza, ossia senza che sia obbligato a fornirgli regolarmente lavoro, e quindi salario. Telelavoro mobile. Avvalendosi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, i lavoratori svolgono le loro mansioni senza essere fisicamente presenti in un determinanto luogo e in un determinanto momento. Lavoro su portafoglio. Un lavoratore (in linea di principio autonomo) lavora per più clienti, svolgendo lavori su piccola scala per ciascuno di essi. Lavoro tramite voucher. Il rapporto di lavoro si basa sul pagamento dei servizi attraverso un voucher (acquistato presso un ente autorizzato) che copre sia la retribuzione che i contributi della previdenza sociale. Lavoro collettivo. Una nuova forma di esternalizzazione di compiti normalmente assegnati ad un solo dipendente, basata sulla condivisione di una piattaforma online che consente a una “nuvola virtuale” di organizzazioni e singoli lavoratori di accedere ad altre organizzazioni e singoli lavoratori per acquistare e vendere servizi o prodotti specifici. Lavoro collaborativo. Più lavoratori autonomi (freelance o titolari di microimprese) collaborano tra loro per superare le limitazioni poste dalle dimensioni ridotte della loro impresa e e dall’isolamento professionale. Se sul piano strettamente economico alcune di queste forme di lavoro possono in taluni casi offrire gli stessi vantaggi di un’occupazione permanente e a tempo pieno, l’atipicità che contraddistingue questi rapporti di lavoro ha quasi sempre effetti negativi per il lavoratore sul piano dei diritti sindacali e soprattutto – insistiamo su quest’aspetto - previdenziali. A questo proposito, uno studio del 2014 realizzato dall’Inca Cgil in 8 paesi europei, sottolineava già come il lavoro atipico può essere in taluni casi una scelta consapevole del lavoratore, o il risultato di un accordo volontario ed esplicito tra datore e lavoratore. Una scelta, ad esempio, che permette maggiore libertà di orario, o che consente al lavoratore di continuare a studiare o di conciliare quel lavoro con altri interessi e altre fonti di reddito. Ciò avviene ad esempio nel mondo artistico o delle nuove professioni. Ma si tratta di una minoranza. Nella maggior parte dei casi, nonostante l’eterogeneità che le contraddistingue, le cosiddette nuove forme di lavoro in vigore nei diversi paesi europei hanno in comune una serie di svantaggi per i 2 Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa (Settembre 2016) lavoratori: minore sicurezza del posto di lavoro, stipendi più bassi e discontinui, meno opportunità di formazione e di carriera, peggiori condizioni di salute, minori diritti sindacali. E per quanto riguarda laInca previdenza scarsa copertura, soprattutto per policies quanto riguarda le indennità di Cgil - sociale: Observatory on European social disoccupazione, e forti difficoltà a costruire una pensione di vecchiaia decente. In poche parole, impossibilità di fare progetti di vita. In questi mesi, una “nuova forma di lavoro” che sta facendo molto discutere in Italia è quella dei cosiddetti “voucher”, o per meglio dire “buoni lavoro” (incredibile come l’espressione “buoni lavoro” sia simile a quella “buon lavoro”, o “lavoro buono”!). Due milioni e mezzo di lavoratori sono stati pagati con questo sistema tra il 2008 e il 2015, passando da 25 mila di otto anni fa al milione e 380 mila del 2015. Pochi giorni fa l’INPS ha comunicato che nel corso del primo semestre 2016 sono stati venduti 69,9 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di “lavoro accessorio”, del valore di 10 euro l’uno, con un aumento del 40,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel primo semestre 2015, a sua volta, la crescita della fruizione dei voucher rispetto all’anno prima era stata del 74,7%: un boom che prosegue da oltre due anni. L’età media dei “voucheristi” è nel frattempo crollata da 60 a 36 anni, mentre il compenso medio si sarebbe attestato a meno di 500 euro netti all'anno. Come diceva Luciano Gallino, una caratteristica ricorrente dei discorsi in favore di una sempre maggiore flessibilità del lavoro è il ricorso alla formula «ce lo chiede l’Europa», oppure «ce lo chiedono i mercati»). Nel caso dei voucher, un argomento spesso utilizzato dai suoi sostenitori è «così fanno altri paesi d’Europa», con questo intendendo soprattutto Belgio e Francia. Ma diamo uno sguardo, brevemente, a come funziona il sistema dei voucher in questi altri due paesi. Belgio In Belgio, il sistema dei voucher (titres-services / dienstencheque) è stato introdotto dalla legge sui lavori e servizi di prossimità del 20 luglio 2001 ed è diventato operativo per la prima volta all'inizio del 2004. Obiettivo principale principale del legislatore era, da un lato trasformare il lavoro nero in lavoro regolare creando condizioni d’occupazione regolare per fasce di popolazione più difficilmente occupabili, dall’altro favorire il ricorso ad alcuni servizi per una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia. Innanzitutto il regime belga riguarda esclusivamente un numero limitato di servizi domestici, più precisamente le pulizie della casa e la stiratura. Questa limitazione è stata introdotta perché altri servizi alla persona, come l’assistenza domiciliare, sono sovvenzionati e regolati attraverso appositi canali professionali, mentre altri servizi domestici, come il giardinaggio e le piccole riparazioni, devono poter funzionare – secondo il legislatore - attraverso il mercato del lavoro regolare. Inoltre, in Belgio il voucher non è una moneta direttamente scambiabile tra cliente e lavoratore. Il sistema belga presuppone una relazione triangolare tra il lavoratore, il datore di lavoro e il cliente/utilizzatore. In pratica il cliente – che non può mai essere un’impresa - deve prima registrarsi e acquistare da un’unica società emittente (Sodexho a partire dal 2014) un certo numero di voucher (massimo 500 per anno civile) per un prezzo unitario di 9 o 10 euro, secondo i casi. Successivamente il cliente sceglie un’agenzia di servizio tra quelle accreditate all’impiego di lavoratori tramite voucher. Un accordo scritto tra il cliente e l'agenzia specifica in seguito il numero di ore di lavoro da svolgere ogni settimana. In questo rapporto triangolare, è sempre l’agenzia che gestisce l’invio del lavoratore al domicilio del cliente, e tutte le comunicazioni tra cliente e lavoratore (ferie, malattia, assenze, cambiamenti d’orario, ecc.) passano necessariamente attraverso l’agenzia. 3 Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa (Settembre 2016) Sul piano economico il valore del voucher cambia in funzione del soggetto che lo utilizza. Per il cliente, l’acquisto di un voucher – equivalente a un’ora di servizi - costa come abbiamo detto 9 o 10 euro. parte però di questo on costo viene recuperata forma di deduzione d’imposta. IncaUna Cgil - Observatory European socialsotto policies Quest’ultima era del 30% nel 2015 ed è stata ridotta al 15% nel 2016. La deduzione è maggiore per le persone con basso reddito. Per l’impresa di servizi il valore finale del voucher è di 22 euro. Questo comprende infatti un importo aggiuntivo di 13 o 12 euro, che lo Stato (dal 2016 la regione) versa all’impresa per coprire una parte del costo dei salari e dei costi aggiuntivi come la formazione e la supervisione. Il lavoratore, infine, riceve un regolare salario mensile dal proprio datore di lavoro (che ricordiamo, è l’agenzia di servizi e non come in Italia il cliente/utilizzatore finale), a cui è legato da un contratto che può essere – a seconda dei casi – a tempo pieno o part-time e a durata determinata o indeterminata. Sulla base del contratto collettivo del settore, in vigore dal 1 febbraio 2013, la retribuzione oraria lorda di un lavoratore del sistema voucher deve essere pari almeno a 10,30 euro, ed è quindi superiore al salario minimo legale (pari attualmente a 8,94 euro). Francia Il sistema francese dei voucher, detto brevemente CESU (chèque emploi service universel), è stato introdotto con la legge 841 del 26 luglio 2005 ed è entrato effettivamente in vigore il 1 gennaio 2006, in sostituzione del precedente sistema denominato CES (chèque emploi-service), creato nel 1994 per facilitare la messa in regola dei piccoli lavori domestici. Il sistema CESU permette a una singola persona di utilizzare i servizi di un lavoratore assunto attraverso una società di servizi accreditata, ma a differenza del Belgio non vi è alcun obbligo in tal senso. In Francia il cliente può infatti utilizzare i voucher anche per assumere direttamente un lavoratore, come in Italia in tal senso. 6 organismi sono accreditati in Francia alla vendita di voucher, tra questi la Posta e Sodexo, che possono poi essere utilizzati per pagare il lavoro domestico aussi o anche servizi d’assistenza all'infanzia, non a domicilio, siano essi forniti da singole persone o da organizzazioni. Come in Belgio, il ricorso al lavoro tramite voucher non è illimitato. In Francia questo può essere utilizzato per servizi occasionali la cui durata complessiva sia inferiore alle 8 ore alla settimana, o per un mese l'anno consecutivo (non rinnovabile). Può essere anche utilizzato per piccoli lavori regolari (per esempio, due ore ogni settimana), ma in tal caso un accordo di lavoro deve essere sottoscritto tra le parti. Il sistema CESU si declina in due forme: Il CESU cosiddetto déclaratif non ha un importo predefinito. Si tratta infatti di un sistema che permette a un singolo datore di lavoro (persona fisica) di dichiarare più facilmente il proprio dipendente che lavora in casa, a tempo pieno o part-time, come aiutante nelle faccende familiari e domestiche (pulizie, sostegno scolastico, giardinaggio, assistenza alle persone non autosufficienti). Su base di ogni dichiarazione, il Centro Nazionale CESU stabilisce la busta paga e i corrispondenti contributi previdenziali - che comprendono malattia e maternità, indennità di disoccupazione, assegni familiari e pensione - e la trasmette al lavoratore per conto del suo datore di lavoro. Le dichiarazioni possono essere effettuate direttamente on-line o su un registro sociale cartaceo, e vanno trasmesse una volta al mese, al più tardi 15 giorni dopo la fine del mese lavorativo. Il CESU préfinancé è invece un titolo di pagamento a importo predefinito (tipo buono pasto) intestato al cliente utilizzatore e da questi utilizzabile per pagare prestazioni di servizio alla persona o per l’assistenza all’infanzia. Come appunto per i buoni pasto, il sistema è finanziato in 4 Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa (Settembre 2016) tutto o in parte dalle aziende, private o pubbliche, per i loro dipendenti. Può anche essere erogato anche da enti locali, organizzazioni sociali, fondi pensione, servizi sociali, enti previdenziali, ecc., ad uso di alcune categorie disocial beneficiarie dei servizi di assistenza sociale Inca Cgil - Observatory on European policies dedicati a alla persona o alla custodia dei bambini. Questa formula consente al destinatario sia di retribuire direttamente un lavoratore domestico, sia di pagare - come in Belgio – un intermediario che mette dei lavoratori domestici a disposizione del cliente, sia ancora di pagare servizi di assistenza e cura dei bambini, compresi asili nido e servizi di dopo-scuola. Un’ulteriore e più recente variante del voucher CESU sono i cosiddetti TESE (titre emploi-service entreprise), introdotti dalla legge 776 del 4 agosto 2008 per permettere alle piccole imprese con meno di 21 dipendenti di assumere e gestire lavoratori occasional, occupati per non più di 100 giorni o 700 ore l’anno. Il sistema TESE non può essere utilizzato per i lavoratori agricoli, né per artisti e lavoratori del settore dello spettacolo. Come il CESU, il TESE libera il datore di lavoro dall'obbligo di gestire egli stesso il contratto e la dichiarazione di lavoro, la busta paga e il calcolo dei contributi sociali. Per concludere Questo non per tessere gli elogi di questi altri sistemi di voucher. E neanche, quindi, per nasconderne gli elementi di debolezza. Anzi, tanto per citarne alcuni, diversi attori sociali - sindacati e movimenti delle donne in testa – denunciano l’effetto segregazionista di queste forme di lavoro. I lavoratori, anzi le lavoratrici, impiegati con questi sistemi sono quasi esclusivamente donne. E sono donne anche la maggior parte dei clienti/utilizzatori. Le lavoratici in questione sono poi quasi sempre di origine straniera. E il fatto di lavorare esclusivamente in questo settore, dove le relazioni collettive sono quasi inesistenti, non aiuta certamente l’integrazione, la socializzazione o peggio ancora la partecipazione alla vita sindacale. Ma insomma, le differenze rispetto al sistema italiano sono radicali. La “tracciabilità” dei voucher, soprattutto, di cui si discute ardentemente in questi giorni in Italia, è un elemento intrinseco dei sistemi belga e francese, fin dalle loro origini. Carlo Caldarini Direttore dell'Osservatorio per le politiche sociali in Europa INCA CGIL osservatorioinca.org Wetstraat Rue de la Loi, 26/20 B-1040 Bruxelles 5