Relazione di Claudio Turrini

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Relazione di Claudio Turrini
INFORMAZIONE
E NUOVI MEDIA
Nuove responsabilità
e rischi
Claudio Turrini
XXIII Seminario Fisc «Mons. Alfio Inserra» - Ragusa Ibla - 19-21 settembre 2014
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Stessa professione, stessi rischi
• Con internet è cambiato il modo di lavorare dei giornalisti, non
la professione. Dunque, anche le norme che regolano l'attività
professionale dei giornalisti restano le stesse.
• Ma dal punto di vista della legislazione italiana il giornalismo
on line è equiparato a quello su carta? Sì, anche se la risposta
non è univoca...
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Cos’ è «stampa»?
• La legge 47/1948 affermava che «per stampa o stampati
dovessero considerarsi tutte le riproduzioni tipografiche o
comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in
qualsiasi modo destinate alla pubblicazione». Impossibile
applicare questa definizione alle radio-tv al mondo internet.
• La legge 223/1990 ( o «legge Mammì») all’articolo 10 ha
esteso alle emittenti televisive e radiofoniche l’obbligo di
registrazione delle rispettive testate giornalistiche e quello
della rettifica (articolo 8 della legge n. 47/1948). Quindi si
distingue tra i contenitori (le «reti»), che non sono tenuti a
registrazione, e le testate giornalistiche, soggette invece alle
stesse norme della carta stampata.
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La terza legge sulla stampa
• Nella finanziaria 2001 (Legge 388/2000) per la prima volta (a
proposito delle testate politiche) si dice – al fine di accedere a
contributi pubblici - che «I quotidiani e i periodici telematici organi di
movimenti politici (…) debbono essere comunque registrati presso i
tribunali»
• La legge 62 del 7 marzo 2001 (Nuove norme sull’editoria e sui
prodotti editoriali. Modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 416 ) all’art.
1, comma 1 stabilisce che per prodotto editoriale s’intende:
«il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su
supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla
diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche
elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con
esclusione dei prodotti discografici o cinematografici».
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La nuova definizione
di «prodotto editoriale»
• E al comma 3 si aggiunge: «Al prodotto editoriale si applicano le
disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il
prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e
contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del
prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall'articolo 5 della
medesima legge n. 47 del 1948».
• Sembrerebbe quindi che l'informazione via internet, se periodica e
contraddistinta da una testata, venga sottoposta alle stesse norme della
legge sulla stampa, la 47 del 1948, valide per gli altri prodotti editoriali.
• Chi fa informazione online dovrebbe perciò avere l'obbligo di pubblicare
il nome del proprietario e del direttore responsabile del prodotto, e di
registrare la testata presso il tribunale competente.
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Cambio di rotta
• Ma già nel 2002 con l’approvazione della Legge 1 marzo
2002, n. 39. «Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee
- Legge comunitaria 2001», all’art 31 si precisava che:
«deve essere reso esplicito che l'obbligo di registrazione della
testata editoriale telematica si applica esclusivamente alle
attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi
delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62, o
che comunque ne facciano specifica richiesta».
• Norma che fu poi inclusa nel Dlgs 70/2003:
«La registrazione della testata editoriale telematica è
obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i
prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze
previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62».
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I blog di notizie sono stampa
clandestina?
• Dal 2001 in poi si sono avute sentenze di Tribunali con
interpretazioni opposte di questa norma. Per alcuni giudici
l’equiparazione tra stampa cartacea e stampa online è totale,
per altri è impossibile. Vediamo un caso emblematico:
• Il giudice penale monocratico del Tribunale di Modica, Patricia
Di Marco, nell’udienza dell’8 maggio 2008 condanna il direttore
(Carlo Ruta) di un sito non registrato www.accadeinsicilia.net)
per stampa clandestina (art. 16 della legge 47/1948 sulla
stampa) per aver violato l’articolo 5 della stessa legge che
impone la registrazione delle testate giornalistiche. Il giudice
ritiene che quel sito web si configuri come un «un giornale che
rientra nel paradigma del prodotto editoriale descritto dall’art.
1, comma 3, legge. n. 62/2001».
• La sentenza viene confermata dalla Corte d’Appello di Catania.
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La registrazione
non è obbligatoria
• La sentenza di condanna del blogger viene però
definitivamente cancellata il 10 maggio 2012 dalla Terza
sezione civile della Cassazione (sentenza 23.230).
• La Cassazione ha ribadito che non si può considerare
«stampa» in senso tecnico l’informazione sul web e quindi
non sono applicabili (perché costruirebbe analogia in malam
partem) le norme (artt. 5 e 16 legge 47/48) che vietano e
puniscono la pubblicazione di giornali o periodici senza aver
prima provveduto alla registrazione della testata presso la
cancelleria del competente tribunale (per gli stampati non
periodici è prevista la indicazione dell’editore e dello
stampatore).
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Le norme sulla semplificazione
• Un’ulteriore spinta in questa direzione è arrivata con il
Decreto-legge 18 maggio 2012 n. 63 (Decreto sull’editoria),
che all’art. 3bis, stabilisce che:
«Le testate periodiche realizzate unicamente su supporto
informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on
line, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze,
contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi
annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non
sono soggette agli obblighi stabiliti dall'articolo 5 della legge 8
febbraio 1948, n. 47, dall'articolo 1 della legge 5 agosto 1981, n.
416, e successive modificazioni, e dall'articolo 16 della legge 7
marzo 2001, n. 62….».
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La definizione di testata online
• La Legge 103/2012 (Disposizioni sulla stampa, diffamazione, reati
attinenti alla professione e processo penale - 24 luglio 2012)
contiene all’art. 4 questa definizione:
• «…per testate in formato digitale si intendono quelle migrate a un
sistema digitale di gestione di contenuti unico, dotate di un sistema
di gestione di spazi pubblicitari digitali, anche attraverso soggetti
concessionari di spazi pubblicitari digitali, di un sistema che consenta
l’inserimento di commenti da parte del pubblico, con facoltà di
prevedere registrazione e moderazione, di un sistema di
distribuzione di contenuti attraverso dispositivi mobili. Nel caso in
cui la pubblicazione sia fruibile, in tutto o in parte, a titolo oneroso, le
testate devono essere altresì dotate di un sistema di pubblicazione
che consenta la gestione di abbonamenti e di contenuti a
pagamento, nonché di una piattaforma che consenta l’integrazione
con sistemi di pagamento digitali».
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Omesso controllo del direttore
• Dalla non equiparabilità tra i due tipi di media è stata fatta
discendere la inapplicabilità, per quel che riguarda i giornali
telematici, dell’art 57 cod. pen., relativo alla responsabilità
colposa per omesso controllo da parte del direttore del
giornale diffuso tramite web.
• Però anche qui troviamo sentenze che vanno in senso opposto
(almeno in parte).
• Il Tribunale di Messina (sentenza della Prima sezione civile, del
29 maggio 2014) ha condannato il direttore di un sito perché
tra i commenti ad un articolo sul blackout elettrico al
Policlinico di Messina era stato inserito da un lettore un
commento nel quale si definiva uno dei protagonisti della
vicenda come «indagato per mafia».
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Reo di non averlo rimosso
• È interessante seguire il ragionamento fatto: il giudice ha escluso
che il direttore di un periodico on-line, possa considerarsi
«responsabile per il reato di omesso controllo ex art. 57 c.p. sia
per l’impossibilità di ricomprendere detta attività on-line nel
concetto di stampa periodica, sia per l’impossibilità per il
direttore della testata on-line di impedire le pubblicazioni di
contenuti diffamatori “postati” direttamente dall’utenza».
• Tuttavia ha ravvisato una responsabilità ex art. 2043 c.c. per non
aver «tempestivamente rimosso il commento dal contenuto
diffamatorio (…) essendo trascorsi circa quattro mesi
dall’inserimento del predetto commento alla sua eliminazione».
Questo dimostrava per il giudice «una assoluta mancanza di
controllo da parte dei convenuti in ordine ai commenti inseriti dai
lettori», con il rischio che potessero perciò in astratto, rimanere
impuniti.
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Quali responsabilità per
contenuti degli utenti?
• Pur con tutte le incognite sull’applicazione che giudici diversi
possono dare al problema, la norma alla quale possiamo
riferirci è il decreto legislativo 70/2003 sul commercio
elettronico.
• Non esiste un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti
inseriti dagli utenti, i quali rimangono gli unici responsabili di
quanto diffondono in rete.
• Se però giungerà richiesta di rimozione di un contenuto
immesso da un utente da parte dell'autorità giudiziaria o
amministrativa, bisognerà rispondere tempestivamente per
non incorrere in responsabilità civile di tipo risarcitorio.
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La registrazione
comporta doveri e diritti
• Anche se non obbligatoria (tranne per alcuni casi), la
registrazione della testata è comunque possibile.
• Una testata online registrata (al pari di quelle, televisive,
cartacee o radiofoniche), guidata da un direttore responsabile
giornalista professionista o pubblicista, è vincolata
obbligatoriamente a rispettare le regole deontologiche fissate
per legge (n. 69/1963), per contratto e nel Codice della
privacy. E per l’Ordine è del tutto equiparata ad una testata
cartacea o televisiva (può avviare al praticantato e può
contrattualizzare i giornalisti professionisti).
• E gode a pieno titolo delle tutele (ad esempio divieto di
sequestro preventivo) previste dalla Legge 47/1948.
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La diffamazione
• Internet, in quanto mezzo di comunicazione di massa, gode
della tutela prevista dall’art. 21 della Costituzione che
garantisce «il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione». Diritto che, come su ogni altro mezzo di
comunicazione, deve però conciliarsi con la tutela della
persona, anch’essa prevista dalla Costituzione, che difende il
diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione, alla
riservatezza.
• Anche su internet si è perciò perseguiti per reati come
ingiurie, diffamazioni, vilipendi, diffusioni di immagini o
scritti osceni, istigazione e apologia di reato.
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Internet aggrava il reato
• Come è noto c’è diffamazione se il giornalista nel suo lavoro
esce dai criteri che regolano il libero e lecito diritto di cronaca:
- verità della notizia
- interesse pubblico
- continenza della forma espositiva.
• L’averlo fatto su internet è casomai un’aggravante. La
Cassazione ha ritenuto che nel caso di diffamazione commessa
tramite internet, proprio la particolare circolazione del
messaggio denigratorio, potenzialmente disponibile per tutti
gli utenti della rete, possa certamente configurare il delitto di
diffamazione aggravata, punita con un più severo trattamento
penale (Cassazione penale, 27-12-2000, n. 4741).
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Aspetti particolari della
diffamazione su internet
• Per la carta stampata è competente a perseguire il reato di
diffamazione il giudice del luogo dove si stampa il giornale
(criterio che oggi ha meno senso). Nella diffamazione a mezzo
radio-televisivo è invece competente il giudice del luogo di
residenza della persona offesa (articolo 30, comma 5, legge
223/1990).
• Per quanto riguarda internet, una sentenza della Cassazione ha
stabilito la competenza del giudice del luogo in cui si trova il
domicilio della persona lesa (ord. 08-05-2002, n. 6591).
• Resta il problema della quantificazione del danno. I criteri
seguiti per la carta stampata non si possono usare, ma il giudice
può chiedere i file log del server per capire la effettiva
diffusione del reato. Controversa è poi la questione della
responsabilità del provider.
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Il diritto all’oblio
• I temi degli archivi digitali, del diritto all'oblio, della rettifica stanno
diventando fondamentali e senza una normativa si rischia di navigare a
vista con decisioni disomogenee.
• La sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13 maggio 2014 (nella
causa C-131/12 Mario Costeja Gonzalese e AEPD contro Google Spain e
Google Inc.) ha aperto la strada a migliaia di richieste di cancellazione. La
Corte riconosce il diritto della persona all'oblio alla luce della direttiva
95/46/CE (trattamento dati personali). Google è ritenuto titolare del
trattamento dei dati e, come tale, ha l'obbligo di evitare che certe pagine
web vengano elencate nelle ricerche se i contenuti ospitati sono ritenuti
non più giustificati da finalità attuali di cronaca. Ma - precisa la Corte questo intervento «censorio» resta sempre subordinato a una
preventiva disposizione di una autorità giudiziaria o amministrativa di
controllo.
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Il caso Wolfang Werlé
• Sulle problematiche del «diritto all’oblio» può essere
interessante un caso clamoroso.
• Un cittadino tedesco, Wolfang Werlé, che aveva scontato 15
anni di reclusione per aver ucciso l'attore Walter Sedlmayr, una
volta uscito di carcere (siamo nel 2007) chiese la cancellazione
di questo dettaglio dalle biografie su Wikipedia dell'attore
ucciso, sostenendo che ormai erano passati tanti anni (e quindi
non c’era più un preminente interesse pubblico) e che questa
permanenza in rete ostacolava il suo reinserimento.
• In Germania ottenne ragione nel primo grado di giudizio, ma la
Corte Federale annullò la sentenza sostenendo che l’interesse
pubblico alla notizia non era limitato nel tempo. Anche negli
USA la Corte Suprema del New Jersey gli diede torto.
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Rimozione non scontata
• La sentenza non modifica gli obblighi del gestore del motore di ricerca,
che dovrà limitarsi a dare esecuzione all'ordine di rimozione non
appena questo venga emesso dall'autorità e gli venga comunicato. • Sembra che a Google siano già arrivate 91 mila richieste di «oblio» per
un totale di più di 100 mila link dai motori di ricerca europei. Dall’Italia
ne sarebbero arrivate 5.500.
• La rimozione non è immediata, né scontata: una volta ricevuta la
richiesta, Google invia una notifica alla testata o al sito che riporta il
contenuto da rimuovere, aprendo la procedura di cancellazione.
• Diverse testate (come Bbc e «The Guardian») hanno protestato contro
la richiesta di rimozione di alcuni loro articoli riguardanti personaggi
pubblici e fatti di interesse collettivo, opponendo il diritto di cronaca. E
Google è stato costretto a ripubblicare gli articoli.
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Servono nuove norme
• Questo diritto (sacrosanto) alla propria buona reputazione si
scontra chiaramente con il diritto di cronaca. Se un giudice
riconoscesse che un certo articolo lede l’onorabilità di una
persona, imporrebbe una rettifica al giornale cartaceo, ma non
si sognerebbe (anche perché impossibile) di far strappare la
pagina incriminata dalle collezioni delle emeroteche!
• Su internet si rischia invece di manipolare per sempre quello
che è accaduto in un determinato momento. Il documento
«storico» non dovrebbe essere mai eliminato. Ed è anche
evidente che questa tutela varrà soprattutto per i «potenti» di
turno.
• Serviranno presto linee guida a livello mondiale per trovare un
punto di equilibrio tra tutela della persona e libertà di
informazione.
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Il diritto d’autore sul web
• Sul web tutto è facilmente riproducibile, scaricabile e
condivisibile. Molti siti ormai mettono in calce agli articoli o
alle foto il copyright (Riproduzione riservata).
• Il giornalista deve sempre chiedersi se i documenti, anche
multimediali, reperiti in rete siano utilizzabili o no ed
eventualmente, in quale forma.
• L'articolo 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
consente il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o
parti dell'opera per scopi dì critica, discussione o
insegnamento. Ovviamente, in questi casi deve essere sempre
citata la fonte, menzionato il nome dell'autore e dell'editore.
• In tutti gli altri casi si dovrebbe chiedere l'autorizzazione al
titolare dei diritti, anche se nella realtà nella rete il copiaincolla è assai diffuso.
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Le licenze «creative commons»
• Qualcosa è cambiato con le licenze «Creative Commons»,
l'alternativa al copyright in rete, nate negli Usa nel 2001 e
adattate alla giurisprudenza italiana dal dipartimento di
Scienze giuridiche dell'Università di Torino. Queste licenze
permettono di sapere in anticipo a quali condizioni un file
musicale, una pagina web, un'immagine o un video sono
utilizzabili senza incorrere nella violazione del diritto d'autore.
Le licenze, meno restrittive del copyright, prevedono sei livelli
che vanno dall'obbligo di citare l'autore dell'opera riprodotta,
al divieto di utilizzo a scopo di lucro del lavoro; dal divieto di
modificare l'originale alla sua commercializzazione anche in
forma derivata.
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• Fare clic per modificare gli stili del testo dello schema
• Secondo livello
• Terzo livello
• Quarto livello
• Quinto livello
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Le foto prese da twitter
• Oggi la rete offre in tempo reale immagini di quasi ogni evento (e questo ha
portato al licenziamento di tanti fotografi professionisti!). È una pratica comune
per i siti di informazione attingere ai sociaI network (in nome dell’user
generated content, o citizen journalism). Vale la pena ricordare un caso recente.
• ll fotografo Daniel Morel ha citato in giudizio la France-Presse e il Washington
Post per aver utilizzato senza alcuna autorizzazione delle sue foto, scattate ad
Haiti nel post-terremoto del 2010 e pubblicate sul social network. La difesa ha
sostenuto che essendo state caricate su Twitter erano divenute «pubbliche». il
giudice di Manhattan Alison Nathan ha accolto il ricorso del fotografo e stabilito
che le news agency non possono servirsi delle foto trovate sul social, in
violazione dei diritti d'autore.
• il giudice ha riconosciuto 1,2 milioni di dollari (150mila dollari per ogni
violazione) più danni, per 16 violazioni del Digital Millennium Copyright
Act (DMCA) su 8 diverse foto.
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Si possono condividere
ma non sfruttare
• La policy di Twitter (termini di servizio) spiega chiaramente che
i contenuti pubblicati sulla propria piattaforma non possono
essere considerati utilizzabili da terzi.
• La Corte di New York ha distinto fra la condivisione di prodotti
multimediali attraverso pratiche quali il retweet (lecite, perché
implicite nella filosofia del mezzo), e il comportamento di
agenzie come la AFP, che hanno interpretato - sbagliando - il
processo di ripubblicazione come una «licenza» per un loro
libero sfruttamento commerciale.
• Anche qui bisogna però ricordarsi che non esistono regole
certe e non tutti i Paesi hanno legislazioni uniformi in tema di
tutela del diritto d’autore.
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Foto e diritto d’autore
• La legge sul diritto d'autore (22 aprile 1941, legge 633) distingue tre tipi di
fotografie:
• Foto documentali non protette da diritti (equiparate a fotocopie)
• Foto semplici: cioè non con contenuto artistico; protette per 20 anni
purché pubblicate con indicato autore (o agenzia che l'ha commissionata),
la data di produzione e titolo opera fotografata; la riproduzione senza
permesso non è abusiva mancando queste indicazioni, salvo dimostrare la
mala fede dell'utilizzatore
• Foto artistiche: elaborazione creativa dell'autore tutelata per 70 anni dalla
morte dell'autore
• In ogni caso è buona pratica verificare la fonte fotografica. Esistono
strumenti come quello fornito da google chrome per risalire a chi l'ha
diffusa e riprodotta in rete, oppure siti tipo TinEye www.tineye.com
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Deep linking e surface linking
• II link a un sito può essere di due tipi: alla home page del sito
richiamato (collegamento in superficie o surface linking),
oppure diretto alla pagina interna del sito che contiene le
informazioni specifiche che interessano (collegamento in
profondità o deep linking). Da un punto di vista giornalistico è
senza dubbio più efficace questo secondo tipo di collegamento
che conduce il navigatore direttamente alla fonte citata, senza
fargli perdere tempo. Ma non tutti i siti gradiscono questo,
perché riduce il traffico sul sito e diminuisce gli introiti da
pubblicità. Vi sono state cause e anche in questo caso la
giurisprudenza non è univoca. La tesi prevalente è però quella
di un implicit licence to link per la natura stessa della rete che
prevede la condivisione più ampia possibile.
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La rete come fonte
• Internet ha messo nelle mani di chi lo sa usare uno strumento
potentissimo, che ha trasformato anche il lavoro giornalistico
(ad esempio riducendo molto la specializzazione). Non solo
ormai la gran parte della comunicazione avviene per email…
• In rete i giornalisti possono:
- cercare spunti per una storia;
- seguire in diretta avvenimenti geograficamente lontani;
- reperire precedenti articoli su un argomento;
- verificare fatti e date, trovare dati e statistiche;
- cercare e acquisire fonti documentali;
- individuare o rintracciare una fonte o una persona da
intervistare (via email, twitter, facebook o skype).
• Il lavoro delle redazioni online è sempre più frenetico e questo
aumenta rischi di errori. Vediamone alcuni possibili.
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False identità
• Ormai si attinge a man basse ai profili twitter e facebook di
personaggi famosi o anche di semplici cittadini protagonisti di
qualche evento di cronaca.
• La pubblicazione di una foto o un post sui social network,
anche quando le policy impostate fossero molto restrittive, la
rende comunque «pubblica» (fermo restando il divieto di
usarla per scopi commerciali o lesivi dell’onorabilità della
persona).
• Ci si deve sempre chiedere però se vi siano motivi per dubitare
delle dichiarazioni o delle informazioni attribuite a un
personaggio, e in presenza di un ragionevole dubbio, verificare
l'origine della fonte. Perché i social network sono pieni di
fakes, di falsi profili…
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Qualche esempio
• Da dati ufficiali risalenti all’agosto del 2012, più dell’8%
dei profili Facebook è un fake. Tra gli 83 milioni di falsi
profili oltre la metà sono doppi, persone che si sono
iscritte con due o più account, solo 1,5% del totale di
iscritti sono profili completamente falsi, mentre il 2,4%,
circa 24 milioni di account sono mal classificati e
questo interessa in particolar modo le aziende e gli
hotel. Creare un falso profilo, sostituendosi ad un’altra
persona è punito dalla legge (reato di sostituzione di
persona) ed è perseguibile d’ufficio. Però i casi sono
tanti: in Italia è toccato a Samuele Bersani, Monica
Bellucci, Michelle Hunziker, Fiorello, Pippo Baudo e
anche a Carlo Verdone… Per non parlare di Papa
Francesco.
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Il falso Camilleri
• Fare clic per modificare gli stili del testo dello schema
• Secondo livello
• Terzo livello
• Quarto livello
• Quinto livello
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Verificare un profilo
• Due giovani ricercatori Carlo De Micheli e Andrea
Stroppa sostengono che oggi i fake account su twitter
rappresentino circa il 4% della base di utenti. Vi sono dei
«market place» che vendono vere e proprie confezioni di
falsi profili, con una media di 18 dollari per 1000
follower. Per ciascuno di essi, dunque, è possibile
guadagnare dai 2 a più di 36 dollari, considerando che il
following di un falso profilo può essere anche riciclato fra
utenti diversi. C’è anche la possibilità di acquistare falsi
«retweet», che fanno schizzare i propri tweet fra i
«Trending Topics», ovvero i temi più popolari sul social
network.
• Stefano Chiarazzo (Osservatorio Social#Vip) ha elaborato
una check list per scoprire se un profilo è falso.
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Profili verificati
• Twitter prima e adesso anche facebook hanno introdotto i profili
verificati (ma non possiamo chiedere noi, come utenti la verifica;
la certificazione viene fatta direttamente dai social network)
• Come si vede il profilo del Corriere della Sera è verificato, quello di
padre Antonio Spadaro no.
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False notizie
• È sempre capitato che certe notizie vengano messe in circolazione con scopi di
propaganda o di condizionamento. Internet rende questo ancora più facile, grazie alla
pervasività della rete e alle difficoltà di controllo delle fonti. È dunque buona regola,
quando si trova una notizia, domandarsi: perché? A chi giova? E, se si hanno dubbi, è
necessario lavorarci sopra e verificarla prima di attribuirle dignità di informazione e
pubblicarla. Ecco due esempi clamorosi di false notizie rimbalzate dalla rete sui siti di
informazione.
• Il 18 gennaio 2010 si diffonde rapidamente la notizia della morte di Lino Banfi.
L'annuncio secondo il quale il noto attore pugliese è morto nella notte compare su molti
blog, rimbalza su tutti i siti e viene ripreso anche da Wikipedia.
• La notizia arriva alle prime ore del 5 luglio 2010: il capo dei talebani, il mullah Omar, è
stato arrestato a Karachi, in Pakistan. L'informazione parte dal blog di un ex funzionario
del Dipartimento per la Sicurezza nazionale Usa e viene ripresa dai media afghani e
pakistani: l'arresto sarebbe avvenuto il 27 marzo. E il 23 maggio 2011 la tv afghana lo dà
per morto… (altra falsa notizia).
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Leggende metropolitane
• Le leggende metropolitane esistono e si diffondono anche in
rete, dove, per la natura stessa del media, possono trasformarsi
in leggende globalizzate.
• Ad esempio, attorno all’attentato alle Twin Towers ne sono
girate tante (dai 4 mila ebrei che si sono salvati perché non
erano al lavoro, al volto di satana fotografato nel crollo delle
Torri).
• Ovviamente per i «complottisti» non poteva mancare Bill
Gates: «Uno dei due aerei che ha colpito New York era il volo
Q33 NY. Digitate questa sequenza sul vostro computer usando il
programma Microsoft Word, scegliete la grandezza dei caratteri
26 e il font Windings». Un'inquietante serie di simboli appare
sul computer: un aereo, due grattacieli, un teschio e la stella di
David.
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Le «bufale»
• Esistono poi le «bufale» vere e proprie, false notizie fatte circolare per i motivi più diversi
(ideologico, pubblicitario, speculazione… o anche solo per burla). Anche qui cito alcuni
casi famosi, «da manuale».
• A giugno del 2003 comincia a circolare la segnalazione indignata di un sito, Hunting for
Bambi (www.huntingforbambi.com e www.huntforbambi.com), che dalle parti di Las
Vegas offrirebbe «battute di caccia» in cui la preda è una donna nuda, alla quale si può
sparare usando le pallottole di vernice usate nello sport del paintball.
• Il titolare del sito, Michael Burdick, ha ammesso pubblicamente che si è trattato di una
trovata promozionale, concepita a giugno 2003 per pubblicizzare i suoi «video-shock» che
ritraggono finte «cacce» di questo genere spacciandole per vere (realizzate con l'ausilio di
attori ed effetti speciali).
• Alla burla hanno abboccato numerosi giornalisti, compresi quelli del canale televisivo Fox
News. La notizia viene riportata con evidenza anche da molti giornali italiani. In rete si
trova ancora l’articolo di Emanuela Audisio, apparso su «La Repubblica», prima cartacea
e poi online.
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Le «donne bambi»
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I bonsai kitten
Caso simile è quello dei
gattini costretti a crescere
in bottiglia, come
dimostrerebbe il sito
http://bonsaikitten.com
dove si spiega come fare;
bufala confezionata da un
gruppo di studenti del
Mit alla fine del 2000
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Fare clic per modificare gli stili del testo dello schema
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Secondo livello
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Quarto livello
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bclic per modificare gli stili del testo dello
• schema
Altra leggenda metropolitana: in
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Cina, nella provincia del Sichuan,
econdo livello
sarebbero sbucati fuori negli ultimi
Se• Terzo livello
tempi dei gatti con protuberanze
e2 • Quarto livello
sulle spalle, simili alle ali. La notizia
• Quinto livello
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venne lanciata dal sito
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«Shangaiist.com» e dal quotidiano
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inglese «The Telegraph», e corredata
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con tanto di foto. Qui vedete la
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notizia (messa comunque in dubbio)
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data dal sito de La Stampa.
• Qui la foto è vera, ma non è
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corredata da informazioni vere (il
fenomeno è noto: si tratta ciuffi di
pelo impastato o, in alcuni casi,
difetti genetici della pelle come
l'astenia cutanea felina).
I gatti con le ali
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Le (false) dichiarazioni
del premier australiano
• Nelle redazioni dei giornali arrivano lettere di approvazione o di critica a
proposito di un tema «caldo», quello degli islamici che «invadono» Paesi
cristiani, a commento delle presunte dichiarazioni del premier australiano
John Howard (ma in un’altra versione sono attribuite al ministro del tesoro
Peter Costello, vicepresidente del Partito Liberale australiano dal 1994 al
2007). Si tratta di una sorta di «lettera aperta» agli immigrati islamici, perché
rispettino le identità e le tradizioni del Paese che li ospita. Su youtube c’è il
testo letto da Giulio Cainarca di Radio Padania Libera, il 10 gennaio 2008.
• Potete trovare sul sito di Paolo Attivissimo tutta la spiegazione: la mail circola
almeno dal 2005 e cita John Howard come primo ministro (lo è stato dal 1996
al 2007). Il testo è ripreso da una lettera di un semplice cittadino, Barry
Loudermilk, veterano dell'aviazione militare, pubblicata in un giornale locale
americano, il Bartow Trader, nei giorni successivi agli attentati dell'11
settembre 2001 alle Torri Gemelle.
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• Fare clic per modificare gli stili del testo dello sc
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Bibliografia essenziale
• Marco Pratellesi, New journalism. Dalla crisi della carta
stampata al giornalismo di tutti, Bruno Mondadori 2013
• Elvira Berlingieri, Evitare i rischi legali dei Social Media,
Apogeo 2012
• Sergio Maistrello, Giornalismo e nuovi media. L'informazione
al tempo del Citizen Journalism, Apogeo 2010
• Marco Marsili, La rivoluzione dell'informazione digitale in rete.
Come internet sta cambiando il modo di fare giornalismo,
Odoya 2009
• Il Disinformatico (sito di Paolo Attivissimo)
http://attivissimo.blogspot.it/
• http://www.francoabruzzo.it/