Pannello n°1 - Liceo Classico Lorenzo Costa

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Pannello n°1 - Liceo Classico Lorenzo Costa
Molicciara, località La Miniera
Miniere di Luni - Pozzo Carbonera
Otello Bugliani
minatore
da Luni a Marcinelle
storie di miniere e di emigrazione
Cernitrici 1940
“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi
Otello Bugliani
Massa 6 Settembre 1913 - Marcinelle 16 Settembre 1956
Carrello in galleria pronto per essere caricato di lignite
Un piccatore abbatte il filare di lignite
L’atto di morte di Otello Bugliani trascritto sui registri di stato civile del comune di Massa riporta
come giorno del decesso il 16 settembre 1956. Ma Otello Bugliani è morto, insieme ad altri 261
minatori, 135 italiani, a seguito del gravissimo incidente verificatosi nel pozzo St Charles della miniera
Bois du Cazier a Marcinelle (Belgio) l’8 agosto 1956. Era emigrato nell’estate del 1948 a Charleroi e
dal 26 agosto di quello stesso anno cominciò a lavorare in miniera a Marcinelle. Giuseppe Passarino
nel suo “Le miniere di lignite nella piana di Luni. 200 anni di vicende umane e minerarie in Val di
Magra” lo indica come “ex minatore di Luni”. Nel corso dell’incontro avvenuto il 13 ottobre 2012
presso il Liceo Costa della Spezia, la Signora Patrizia D’Annibale, nipote di Otello, così ha ricordato
l’esperienza lavorativa del nonno:“Dopo la guerra, mio nonno non aveva un’occupazione stabile, lavorava dove
capitava, spesso a giornata prendeva lavoro nelle aziende agricole della zona, nei cantieri edili, o dove capitava”.
Minatori, 1948
Otello Bugliani rappresenta così il trait d’union tra la più significativa esperienza mineraria della provincia
della Spezia costituita dal complesso dei giacimenti di lignite esistente nei comuni di Castelnuovo
Magra e Ortonovo, e la tragedia di Marcinelle, presa a riferimento per la “Giornata nazionale del
Sacrificio del lavoro italiano nel mondo” (DPCM 1 dicembre 2001)
Il 31 marzo 2005 gli è stata conferita la Medaglia d’oro al merito civile con la seguente motivazione:
“Lavoratore emigrato in Belgio, in seguito al tragico incendio verificatosi nella miniera di carbone
di Marcinelle, rimaneva bloccato insieme ad altri 135 connazionali, in un pozzo a più di mille metri
di profondità sacrificando la vita ai più nobili ideali di riscatto sociale. Luminosa testimonianza del
lavoro e del sacrificio degli italiani all’estero, meritevole del ricordo e dell’unanime riconoscenza della
nazione tutta”.
dalle miniere “Sarzanello” in Luni di Castelnuovo Magra
4 Dicembre 1948 inaugurazione a Colombiera del monumento ai minatori
La mostra è stata realizzata dagli allievi della III C del Liceo Classico “L.Costa“
della Spezia nell’ambito dell’approfondimento tematico svolto sotto la guida del Prof.
Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura della Spezia ed i Comuni di
Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno della sede INAIL della Spezia
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Nominata carbone di sasso dal Jervis (1874) la lignite della Magra è xiloide (conserva dell’autotrasporto per consegnare il prodotto estratto e la mancanza di carri ferroviari
la natura del legno) talora picea, a frattura concoide, colore da bruno fino a nero che a condizioni più vantaggiose, considerata la vicinanza della stazione di Luni,
lucente e nell’aspetto è piuttosto simile al litantrace.
avrebbero consentito tale operazione a costi competitivi.
Il Prefetto intervenne su entrambe le questioni e il 5 settembre 1946 si recò
L’attività della miniera risale a circa un secolo. Venne iniziata nel 1860 da una personalmente a visitare la miniera. Come riportato da “Il cavatore” , organo della
compagnia inglese che la gestì per 30 anni. Dopo un periodo di completa inattività Camera del Lavoro di Carrara, “giunse che era già notte, ma non mancò all’appuntamento
venne ripresa all’inizio della prima guerra mondiale dalla “Società Anonima Mineraria dato”.
di Luni”, appartenente al Gruppo Montecatini, e da questa gestita fino al 1935, anno Secondo l’autore dell’articolo firmato “il minatore di turno” , l’indisponibilità dell’azienda
in cui la concessione fu rilevata dalla “Società Anonima Unione Cementi Marchino”, ad effettuare gli investimenti necessari all’incremento della produzione sarebbe da
che commercializzava il prodotto verso terzi ma utilizzava la lignite soprattutto riferire alla volontà di eliminare il turno di sei ore in galleria rispetto alle otto pagate:
come combustibile per l’attività di grandi cementifici dalla stessa gestiti in Casale “è cosa elementare che in tutte le miniere del mondo, benchè gli operai rimangano
Monferrato (AL).
nel sottosuolo otto ore per ogni turno non è possibile rimanere al lavoro continuo
più di cinque ore e perciò i minatori di Luni riuscirono a riconquistare tale orario
La carenza di combustibili conseguente alle sanzioni internazionali contro l’Italia di lavoro che in dette miniere era già in vigore fino dal 1919, che solo il fascismo
ed allo scoppio della Guerra assicurò un intenso sfruttamento del giacimento, non riportò ad otto ore.” Una motivazione politica e non solo economica avrebbe
sempre secondo la buona tecnica mineraria: come evidenzia Luigi Passarino (Le peraltro determinato quella posizione in quanto voleva contrastare l’iniziativa delle
miniere di lignite della Piana di Luni) “Imperativo era produrre e con le vicende Organizzazioni Sindacali che chiedevano di introdurre per tutti i settori industriali
della Seconda Guerra Mondiale, a fronte delle necessità belliche nessuno si occupò l’orario di sei ore per combattere la disoccupazione.
della sicurezza della miniera e neppure del modo i cui erano condotti i lavori”. I
lavoratori passarono da 93 nel 1936 a 500 nel 1939.
La Società Marchino, il 27 settembre 1946, segnalava un costo per tonnellata estratta
doppia rispetto al prezzo stabilito dalla commissione interministeriale, determinato
Nel 1943, l’attività della miniera passò sotto il controllo delle forze germaniche tra l’altro da un’eccedenza di circa 100 unità, dal mancato incremento della produttività
e nonostante le gravi difficoltà nel reclutare manodopera e reperire il materiale che avrebbe dovuto corrispondere alla riduzione dell’orario di lavoro a sei ore per
occorrente per la manutenzione dei pozzi, ancora nel secondo semestre del 1944 turno, ed al contrario una produzione minore del 36%, dai costi per l’armamento
rimase molto attiva, proseguendo la coltivazione secondo la logica del massimo delle gallerie.
sfruttamento e senza razionalità tecnica a tutto discapito della sicurezza. Al momento
di ritirarsi i tedeschi asportarono i motori degli argani e fecero saltare alcune cabine Su sollecitazioni del Prefetto Oscar Moccia, nel frattempo subentrato a Beghi, le
elettriche bloccando completamente la produzione.
parti si incontrarono e definirono modalità operative ed organizzative in grado di
Tra il 1935 ed il 1948 furono 35 i morti in incidenti nella miniera. Particolarmente consentire gli auspicati interventi.
gravi furono quello occorso il 5 agosto 1942 con la morte di Giovanni Finotello e La questione dell’orario di lavoro, tuttavia, continuò a mantenere alta la tensione,
l’esplosione di gas grisou al pozzo n.1, il 19 agosto 1945, che costò la vita a 11 operai soprattutto a seguito della firma del contratto nazionale che fissava il turno di otto
ed il ferimento ad altri 8.
ore. Nel gennaio 1947 la Camera di Commercio della Spezia evidenziò che la Società
Marchino, contravvenendo alle disposizioni sulla distribuzione della lignite alle
E’ nel contesto di questa tragedia che il 30 settembre 1945, a seguito delle pressioni aziende industriali, riservava tutto il prodotto, invece del 50 per cento previsto, per
dei minatori, venne concluso un accordo provvisorio sull’orario di lavoro a 6 ore le proprie esigenze, determinando difficoltà alle fornaci in quel periodo impegnate
per turno e la creazione di un quarto turno in modo da equilibrare i costi con un al massimo nella ricostruzione del patrimonio edilizio distrutto dalla guerra. Al
aumento della produzione. In questo modo gli operai potevano integrare il reddito riconoscimento a marzo delle ragioni della Marchino con la riserva del 90 per cento
con il lavoro in agricoltura. A dicembre 1945 erano attivi, nella miniera di Sarzanello della produzione (fatto salvo un quantitativo di 500 tonnellate per le esigenze di
solo 3 pozzi dei 5 esistenti, con 480 minatori impiegati.
Massa e La Spezia), corrispose - su richiesta del Prefetto - la sospensione della
Non abbiamo trovato documenti che testimonino la presenza di Otello pretesa della stessa al ripristino dell’orario di lavoro.
Bugliani tra questi.
E’ nel gennaio 1948 che si addensano nubi minacciose sulla miniera di Luni.In una
Su segnalazione della Commissione di Fabbrica Miniere di Sarzanello, il 4 gennaio lettera del 10 gennaio, il Prefetto Moccia chiede alla Marchino conferma o meno
1946, Pietro Beghi, Prefetto reggente su nomina del Comitato di Liberazione delle “voci incontrollate che indicano come imminente la chiusura della miniera”.
Nazionale, chiedeva alla Società Unione Cementi Marchino di riaprire i pozzi chiusi
per contribuire allo sforzo della ricostruzione ed alleviare la disoccupazione. La La Marchino risponde il 27 gennaio di non avere in corso provvedimenti al proposito.
Società dichiarava l’impossibilità a provvedere perché ostacolata dalle prescrizioni di
sicurezza emanate dal Corpo delle Miniere, a seguito del tragico incidente di agosto
in particolare per la necessaria ventilazione delle gallerie.
Altre difficoltà nell’incremento della produzione erano connesse al costo elevatissimo
Evidenzia tuttavia che “l’attuale grave crisi in cui versa l’industria in generale e quella lignitifera
in particolare fa prevedere la necessità di seri e gravi provvedimenti, data la grande affluenza sul
mercato nazionale di combustibili esteri che hanno sensibilmente sconvolto l’equilibrio economico
degli indici di produzione e di vendita”.
Ma la situazione precipita. Il 9 febbraio 1948 con un appunto riservato al Prefetto,
la Marchino dopo avere descritto la gravissima situazione di mercato in cui si trova,
aggravata dalla cattiva qualità del cemento prodotto con l’impiego della lignite di
Sarzanello, annuncia la decisione di evitare la sospensione totale delle lavorazioni
ma di mantenere in forza solo 186 operai a fronte di una forza presente di 580.
Il Prefetto convince l’Azienda a non dare corso unilateralmente alla procedura di
licenziamento collettivo ma di informare preventivamente la Commissione Interna.
Adempimento che pone in essere il 21 febbraio 1948 ricevendo la netta opposizione
della CI.
E’ in questi giorni che forse Otello Bugliani matura la scelta di emigrare.
Il 10 marzo il Prefetto chiede di sospendere la procedura per non aggravare la
situazione dell’ordine pubblico in relazione alla gravissima crisi occupazionale ed
al periodo preelettorale ed “evitare di mettere sul lastrico tante famiglie”. In quella stessa
data viene così raggiunto un accordo tra le parti per la riduzione, a decorrere dal 1
marzo, dell’orario settimanale di lavoro a 24 ore per tutte le maestranze, godendo
per le rimanenti del trattamento di cassa integrazione.
Già con il pagamento dei salari di marzo si registrano ritardi ed a fronte della protesta
della Commissione Interna la Marchino risponde di riservarsi “di inviare i fondi per i
salari solo quando potrà procurarseli e fino a quando potrà”. Il 9 aprile il Direttore dell’Ufficio
Minerario rassicura sull’intervenuto accreditamento delle somme sufficienti a pagare
i salari di marzo.
Il 21 maggio 1948, la società Marchino, scaduta la tregua preelettorale, riprende
la procedura di licenziamento per almeno 300 operai. Per facilitare la scelta e
l’allontanamento del contingente indicato, l’Azienda propone di concedere a coloro
che si dimetteranno volontariamente entro il 31 marzo un premio di 35.000 lire ai
capi famiglia, 30.000 lire ai celibi e 25.000 lire alle nubili.
L’11 giugno 1948, grazie al fattivo interessamento dei Prefetti di La Spezia e di
Apuania, viene raggiunto un accordo tra le parti con la fissazione di un premio più
elevato per incentivare le dimissioni volontarie di almeno 300 operai, ridotti a 286 il
15 luglio 1948.
Lampada di sicurezza
Qualche mese dopo, Otello Bugliani, coniugato con una figlia, partiva per il
Belgio. Per molti italiani, l’emigrazione rappresentò una possibilità di riscatto dalla
miseria. Così viene rappresentata la situazione in una lettera al Prefetto della Spezia
della Commissione Interna delle Miniere di Sarzanello, datata 18 gennaio 1949:
“Nel mese di maggio 1948, la Soc. con l’attenuante dell’impossibilità di smaltire il prodotto della
nostra miniera perché inferiore in calorie e per l’arrivo nei porti italiani di carbone di provenienza
estera e di migliore qualità, in parte anche da noi a quel tempo riconosciuto tale, ci siamo trovati
ad accettare un licenziamento di n. 285 operai, ciò che è stato fatto nostro malgrado, se questo
provvedimento può, in qualche modo essere stato giustificato, oggi noi assistiamo invece ad un fatto
reale, cioè che, mentre gli operai minatori disoccupati cercano lavoro e mentre gli stessi si rendono in
miniera per comperare il carbone per i suoi usi famigliari, si sentono rifiutare il lavoro, ed anche il
carbone in quanto questo è stato limitato a 25 kg a famiglia, i piazzali sono completamente vuoti
e molte sono le richieste di carbone, sia per uso famigliare, che industriale”.
In prossimità di un fronte di avanzamento
Sostituzione di una “gamba”, palo di sostegno delle gallerie
Ispezione di un fronte di avanzamento
Risalita dal pozzo n°5
Le fotografie relative alle miniere di Luni sono sate messe a disposizione da Tommaso Malfanti
19/10/12 10:41
Otello Bugliani
minatore
da Luni a Marcinelle
storie di miniere e di emigrazione
“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi
alla Miniera Bois du Cazier - Marcinelle (Belgio)
L’emigrazione italiana
L’Italia è stata diffusamente interessata dal fenomeno
dell’emigrazione: si stima che tra il 1861 e il 1985 almeno 25
milioni di nostri connazionali abbiano lasciato il Paese in cerca di
lavoro, prevalentemente diretti verso gli Stati Uniti, l’Argentina
e il Brasile per quanto concerne l’emigrazione transoceanica;
la Francia, la Germania, la Svizzera, la Gran Bretagna e il
Belgio per quanto riguarda l’emigrazione europea. Se fino al
1876 l’Italia settentrionale dava fino all’85% dell’emigrazione
annuale, a partire dalla sciagurata guerra doganale con la Francia
si registrò una sempre più accentuata inversione di tendenza
che condusse al triste primato del Mezzogiorno, accresciutosi
ulteriormente durante l’Età giolittiana. Dopo la prima guerra
mondiale, l’emigrazione riprese vigore, tanto che nel solo
1920, ben 350.000 italiani si trasferirono negli USA. Le cose
in seguito cominciarono però a cambiare, non tanto per scelte
governative interne, quanto perché le leggi sull’immigrazione
cominciarono a prevedere l’introduzione delle quote: nel 1921
gli USA fissarono un contingente massimo di 40.000 unità
riservate all’Italia, destinate a calare ulteriormente anno dopo
anno. Altri paesi seguirono l’esempio americano, in particolare
a seguito della crisi economica del ’29 e questo spiega così
la forte decrescita che si registrò fino al secondo conflitto
mondiale.
L‘emigrazione in Belgio: uomini contro carbone
Se gli anni che vanno dal 1945 al 1950 sono per definizione gli
anni della ricostruzione di un Paese che la guerra aveva ridotto
ai suoi minimi termini, l’elevata disoccupazione che pure si
registrava e il peso insopportabile e la miseria spinsero molti
connazionali a riprendere quello che Pietro Germi definisce in
uno dei suoi film più riusciti “il Cammino della Speranza”.
Fu così che l’emigrazione riprese campo incoraggiata anche da
precise scelte di governo come si evince dal protocollo italobelga siglato a Roma il 23 giugno 1946 che “scambiava” forzalavoro italiana con carbone belga a cui fece seguito la legge 16
dicembre 1947 n.1663.
Per ogni scaglione di 1000 operai italiani che avrebbero lavorato
nelle miniere il Belgio avrebbe esportato verso l’Italia: 2500
tonnellate mensili di carbone se la produzione sarà inferiore a
1700.000 tonnellate; 3500 mensili se la produzione sarà compresa
tra 1.700.000 e 2.000.000 di tonnellate; 5000 tonnellate mensili
se la produzione sarà superiore a 2.000.000 di tonnellate.
Per ripristinare i livelli di estrazione del carbone scemati durante
il conflitto da 30 a 13,5 mln di tonnellate annue, le Società
minerarie belghe stimarono di far affluire almeno 50.000
lavoratori italiani in contingenti di 2000 unità settimanali.
Dalla Spezia nel 1948, l’anno in cui Otello Bugliani lasciò
l’Italia - come indicato in un rapporto del Prefetto al Ministero
del Lavoro del 19 febbraio 1949 - espatriarono, a seguito di
richiesta di manodopera, 333 “lavoratori di miniera”. Nello stesso
anno emigrarono 125 lavoratori meccanici ed agricoli verso la
Francia, 115 lavoratori edili per l’Argentina. Ottanta lavoratori,
inoltre, con contratti di lavoro individuali, raggiunsero la
Svizzera, la Svezia, l’Inghilterra e la Cecoslovacchia.
La disoccupazione in provincia era così elevata che il Prefetto “in
considerazione delle particolari condizioni di disagio di questa popolazione
che ha ben modeste possibilità di lavoro” segnalò l’opportunità di
“assegnare a questa provincia un maggiore contingente di lavoratori da
inviare all’estero e particolarmente in America, verso cui si orienterebbe
la maggioranza dei lavoratori”.
Il reclutamento
La mostra è stata realizzata dagli allievi della III C del Liceo Classico “L.Costa“
della Spezia nell’ambito dell’approfondimento tematico svolto sotto la guida del Prof.
Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura della Spezia ed i Comuni di
Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno della sede INAIL della Spezia
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La crisi degli impianti carboniferi belgi è evidenziata dai dati seguenti ed è
dovuta ad una progressiva perdita di competitività rispetto al petrolio e ai
suoi derivati, nonché ai più bassi costi nello sfruttamento dello stesso minerale
rilevabile in altri Paesi extraeuropei. Le direzioni dei bacini carboniferi
del Belgio cercarono di contrastare questa tendenza del mercato attraverso
investimenti per migliorare la produttività degli impianti provvedendo alla
contemporanea chiusura di altri, ma fu tutto inutile.
Nel 1984 chiuse il “Roton”, l’ultima miniera della Vallonia, a cui seguì
quella di Zolder, l’ultima del Limburgo, la cui chiusura, prevista per il
1996 fu, ancora una volta per ragione di costi, anticipata al 30 settembre
1992. In questo modo aveva termine l’attività estrattiva in Belgio.
Il reclutamento della mano d’opera veniva bandito con
appositi manifesti colorati di rosa per renderne più appetibile
il contenuto.
Le quote frazionate per impianto venivano stabilite dai singoli
datori di lavoro belgi che le inoltravano al Ministero del Lavoro
italiano che le ripartiva quindi ai vari Uffici di collocamento
provinciali, presso le quali operavano Commissioni consultive
per l’emigrazione dei lavoratori.
I candidati in genere non dovevano avere più di 35/40 anni
e di preferenza dovevano essere iscritti agli Uffici medesimi
nelle apposite liste di disoccupazione. Esisteva tuttavia anche
un sistema parallelo di reclutamento sul posto, a chiamata
diretta, che permetteva un ulteriore margine di discrezionalità
e di sfruttamento.
Dal verbale della Commissione della Spezia, in data 24 marzo
1948 si rileva la decisione di lasciare la più ampia possibilità di
espatrio alla manodopera non qualificata, escludendo in linea
di massima la partenza di personale specializzato con qualifica
di muratore di 1^, ferrariolo, carpentiere in legno, fonditore,
di contenere entro determinati limiti per non pregiudicare
l’industria locale l’espatrio di elettricisti, autisti, bobinatori,
saldatori elettrici, meccanici in genere, montatori e carpentieri
in ferro.
Visite mediche
Dopo aver sostenuto una prima visita medica presso l’ufficio
sanitario del Comune di residenza ed una seconda presso
l’Ufficio Provinciale del lavoro che certificasse l’adattabilità dei
candidati ai lavori di fondo, gli aspiranti idonei venivano inviati
a Milano al Centro per l’Emigrazione in Belgio e sottoposti
ad ulteriori esami in appositi locali siti nei sotterranei della
Stazione Centrale. Qui erano sistemati in stanzoni freddi
(oppure troppo caldi) dotati di letti a castello di 3/4 piani in
precarie condizioni igieniche, con un vitto inadeguato. Secondo
Fedechar la selezione dei lavoratori doveva garantire che questi
ultimi fossero, oltre che “elementi tecnicamente capaci” e fisicamente
adatti al tipo di lavoro al quale erano destinati anche adeguati
all’ambiente in cui avrebbero dovuto vivere e confacenti a
“rappresentare degnamente” i lavoratori italiani all’estero.
Molti lavoratori agricoli che avevano partecipato all’occupazione
delle terre vennero rinviati come “indesiderabili”. Superati anche
questi controlli, insieme a quello di polizia italo -belga, venivano
finalmente avviati ai convogli.
70 operai celibi. In alcune, gli operai si facevano da mangiare
da soli, in altre c’era la mensa preparata dal cantiniere che si
occupava pure delle pulizie e di lavare le lenzuola, ma non la
biancheria intima personale. Gli operai dormivano stipati in
grandi dormitori comuni a volte con letti a castello. Si capiscono
bene le difficoltà quando si tiene presente che si effettuavano
regolarmente i tre turni di lavoro. Gli operai pagavano una
quota stabilita per vitto e alloggio al cantiere.
Si era istaurata, in alcune cantine, una abitudine quanto mai
particolare. A ritirare la busta-paga alla miniera, non era il
minatore ma il cantiniere. Questi tratteneva quello che gli
spettava per il vitto, l’alloggio, le pulizie, ecc... e il resto lo
consegnava all’operaio, il quale non sapeva mai esattamente
quale fosse il suo vero salario guadagnato e le spese incontrate.
Doveva dar unicamente fiducia al cantiniere. Per fortuna non
ci sono mai stati reclami in campo.
Passare dai falansteri alle baracche di legno era un miglioramento
riconosciuto e ricercato nonostante avessero il pavimento in
terra battuta o in cemento. I campi di baracche erano stati
improvvisati, alla meno peggio, per i prigionieri di guerra
e costretti a lavorare nelle miniere. Le baracche erano state
rabberciate in qualche modo e assegnate poi ai minatori italiani.
Ecco come le descrive un trevisano che abitava nel famoso
campo di ClosRiveaux a Maurage, vicino ai prigionieri russi.
“Arrivati alla baracca hanno designato a tutti la stanza. La baracca
aveva 4 letti per stanza ed era una di quelle lasciate libere dai prigionieri.
La stanza era abbastanza grande e i letti erano uno vicino all’altro, si
aveva un armadio per tutti e quattro, non troppo grande. Anzi quando
sono arrivato del campo di baracche era ancora occupato dai prigionieri.
Per andare al gabinetto, bisognava percorrere 50 m fuori, all’aria aperta.
I gabinetti erano tutti in fila e dietro c’era un canale d’acqua. Abitava in
una baracca e andavo a mangiare vicino ai prigionieri, in un’altra baracca
dove avevano riservato un gran salone e là ci davano da mangiare”.
Otello Bugliani venne una prima volta dichiarato non
idoneo in quanto affetto da scarlattina (forse nel marzo Il lavoro in miniera
1948). La visita venne ripetuta 5 mesi più tardi e ottenuta
l’idoneità richiesta partì per il Belgio nell’estate dello Un altro emigrante, Davide Gialdi, così descrive il suo avvio
alla miniera:
stesso anno.
“Il 5 dicembre ero già al lavoro alla miniera numero 24 di Marcinelle al
Il trasferimento
turno del mattino. Il primo giorno mi dissero di seguire un capo (eraun
italiano). Già sull’ascensore, che scendeva velocissimo, presi paura. Una
Il viaggio poteva durare anche 52 ore in carrozze con i sedili di volta arrivato al fondo percorsi a piedi circa tre chilometri in galleria.
legno prive di riscaldamento; al momento dell’arrivo i lavoratori Nessuno ci aveva spiegato a cosa andavamo incontro. Pian piano vedevo
venivano spesso “scaricati” su binari destinati alle merci e quindi davanti a me sparire gli altri ad uno ad uno e mi sembrava di essere
avviati ai diversi “Charbonnages” su autocarri utilizzati per il rimasto da solo al buio. Non sapevo che in realtà ognuno era entrato in
trasporto di carbone.
“taglia” al posto che gli era stato assegnato. All’inizio mi misero a fare
Il medico della miniera provvedeva all’ultimo controllo e quindi il manovale a spingere il carbone sul “bac” che era una specie di canale
avveniva l’assegnazione dell’attrezzatura (il cui costo veniva di metallo che, azionato da stantuffi, spingeva in avanti il carbone a
trattenuto dal primo salario) e dell’alloggio.
strattoni. Dopo circa due mesi e mezzo ho chiesto di passare minatore a
cottimo. Lavoravo a 830 metri di profondità. Il mio numero di medaglia
Gli alloggi
era il 276. Ho lavorato in taglie alte da 80 a 50 centimetri: a volte facevo
fatica ad entrarci coricato e neppure la lampada ci entrava diritta.
Il Protocollo (art. 3) e il Contratto tipo di lavoro (art.9), In taglia prima di cominciare a lavorare, ci facevano arrivare sul “bac” il
prevedevano dei “convenienti alloggi”.
materiale necessario ad armare: i “bil”, gli “sclemp”, le gambe di ferro, i
Quando il Belgio firmò il Protocollo conosceva molto bene le puntelli ecc. ecc. Questo materiale arrivava velocemente e bisognava stare
capacità disponibili degli alloggi: non avrebbe potuto, infatti, molto attenti a non essere colpiti.
alloggiare i 50.000 operai che aveva richiesto, poiché la Fédéchar Dopo 20 giorni di lavoro ero già pronto per rientrare in Italia: l’ascensore
(Federazione carbonifera del Belgio) aveva comunicato i posti che in un minuto scendeva a 800 metri di profondità, la paura dei crolli,
letto disponibili e cioè 9590 per celibi e 431 per famiglie. una polvere che non si vedevano neppure le lampade, il frastuono del
Fédéchar, infatti, aveva comunicato al Capo Gabinetto del “motopiq” e del carbone trasportato sui “bac”... ma nessuno di noi voleva
Ministro del Carbone, in data 6 maggio 1946, che le possibilità cedere per primo. Inoltre faticavo anche a guadagnare qualche soldo: prima
di alloggio al 2 maggio 1946 erano le seguenti:
la paga da manovale era molto bassa poi, come minatore a cottimo, essendo
Campina 1.435 celibi e 160 famiglie
inesperto guadagnavo poco. Con quello che spendevo per la “cantina” non
Centro 2.045 celibi e 110 famiglie
mi rimaneva quasi nulla e invece avrei voluto mandare qualcosa alla mia
Charleroi 2.706 celibi e 91 famiglie
famiglia che ne aveva bisogno.
Liegi
1.591 celibi e 38 famiglie
Ho fatto il primo mese con un solo paio di scarpe che usavo sia in miniera
Mons
1.810 celibi e 91 famiglie
che fuori: avevo sempre i piedi neri! I primi soldi che mandai a casa
Totale 9591 celibi e 431 famiglie, cioè 10.022 minatori.
furono 1.500 franchi che mi aveva prestato il cugino di Adriano Biffi
e che corrispondevano ad una discreta somma: se non ricordo male circa
E per gli altri 40.000 non era previsto assolutamente niente: 20.000 lire dell’epoca.
dovevano cavarsela come meglio potevano. Il problema degli Poi pian piano la situazione è migliorata: mi sono comprato un paio di
alloggi, per il Belgio, era dunque una vera vergogna, rimasta scarpe e un vestito. Riuscivo a mandare a casa regolarmente una parte di
tale per molti anni.
quello che guadagnavo. Mia madre prima di spendere qualcosa, oltre lo
Esistevano vari tipi di alloggi. Oltre ai rinomati “corons”, c’erano stretto necessario per vivere, mi scriveva: comprò una stufa, un letto, dei
i falansteri in lamiera ondulata, le baracche in legno e le famose materassi e il resto cercava di metterlo da parte.
cantine, che nonostante tutto erano una soluzione tra le migliori. I miei compagni di lavoro erano italiani (mi ricordo dei bergamaschi ma
Erano vecchie costruzioni delle miniere chiuse negli anni ’30 anche diversi cremonesi che erano arrivati qualche mese prima), greci,
e trasformate in cantine. Qui potevano alloggiare anche 60- polacchi e belgi. Fino alla metà del 1948 c’erano anche dei prigionieri
di guerra tedeschi. Per un po’ di tempo ho lavorato con due di loro. Ho
lavorato anche con un russo (si chiamava Victor) prigioniero di guerra
perché era stato collaborazionista.
Si lavorava sei giorni alla settimana. Alla festa andavamo a caffè, al
cinema o a fare due passi a Charleroi dove compravamo della cioccolata e
soprattutto delle banane che vendevano ad ogni angolo a poco prezzo.
Nell’agosto del 1949 decisi di ritornare in Italia: il lavoro in miniera era
pessimo e non si guadagnava quello che speravo. Finito il servizio militare
incontrai ancora molte difficoltà a trovare un lavoro e così, dopo la solita
trafila di occupazioni saltuarie, decisi di andare di nuovo in Belgio: era
l’agosto del 1955.
Questa volta partii con Carlo Ballerini e Guglielmo Goffredi. Lavoravo
sempre nella zona di Charleroi, in una miniera nella località di Fontaine
l’Eveque. Ero già più esperto e in questa seconda occasione fumeno dura.
Rimasi fino al gennaio del 1957 e poi decisi di smettere definitivamente.”
Otello Bugliani giunge a Marcinelle nell’estate del 1948 e il
26 agosto comincia la sua attività di “abbatteur” al Bois du
Cazier. Dopo aver seguito la solita trafila per l’alloggiamento
(cantine, baracche) nel 1951 riesce a procurarsi una stanza
con uso di cucina, in una vecchia casa vicino alla miniera.
Così la moglie e la figlia possono finalmente raggiungerlo
e la famiglia può riunirsi.
Nel 1953, alla scadenza del contratto quinquennale
puntualmente onorato Otello cerca in tutti i modi di tornare
in Italia, ma invano perché non trova alcuna offerta di
lavoro, malgrado che anche i parenti avessero cercato di
aiutarlo nella ricerca.
Così, per disperazione, per bisogno, come tanti altri, non
ebbe alternative e firmò un secondo contratto quinquennale,
purtroppo l’ultimo perché la morte lo avrebbe colto nel
drammatico incidente dell’8 agosto 1956.
Infortuni ed incidenti
E’ sempre Davide Gialdi: “Non ho mai subito dei seri infortuni.
Una volta ero salito in cima ad una taglia per finire di armare in un
punto dove c’era il “grisou”: mi sentii mancare i sensi ma fortunatamente
scivolai verso il basso in un punto dove di “grisou” non ce ne era. Questo
gas era pericoloso non solo per le esplosioni ma anche perché procurava
l’asfissia. In questo modo era morto un mio compagno di lavoro originario
del Lago di Garda. Al rientro in Italia io e Adriano Biffi andammo a
trovare i suoi genitori.
I tre anni di lavoro in miniera (sempre in taglia) mi hanno procurato una
silicosi del 26%.”
Un’insidia notevole era rappresentata dalla silicosi detta anche
“malattia del minatore”, causata da un tasso di polvere molto
alto inalato costantemente nelle vie respiratorie. Certo l’uso
della maschera avrebbe dovuto prevenire tale patologia ma è
pur vero che non sempre il suo utilizzo era compatibile con
il caldo eccessivo e con la scomoda posizione che i lavoratori
mantenevano nelle parti più basse del fondo, per cui molti non
la usavano, continuando ad utilizzare solo il fazzoletto intorno
alla bocca.
E’ il fazzoletto che Oreste Bugliani ha al collo nel
fotomontaggio composto in ricordo della tragedia di
Marcinelle.
Quanto la miniera sia deleteria per la salute risulta chiaramente
dalla tabella malattie professionali contratte all’estero.
I dati forniti dalla sede INAIL della Spezia, aggiornati al
dicembre 2011, evidenziano quanto segue:
Italia
n.1257 rendite dirette per silico-asbestosi
(di cui 1.154 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)
n.2.191 rendite ai superstiti per silico asbestosi
(di cui 2.007 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)
Provincia della Spezia
n.6 rendite dirette per silico asbestosi
(di cui 5 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)
n.16 rendite ai superstiti per silico-asbestosi
(di cui 12 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)
E dire che per andare a lavorare nelle miniere del Belgio i
lavoratori dovevano essere tutti riconosciuti in ottima salute,
sani come pesci.
Che nel 1995 siano complessivamente rientrati in Italia oltre
40.000 titolari di una pensione belga vuol dire che nonostante
tutto sono abbastanza numerosi quelli che hanno potuto
realizzare il sogno di tornare a casa.
19/10/12 10:41
Otello Bugliani
minatore
da Luni a Marcinelle
storie di miniere e di emigrazione
“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi
Marcinelle 8 agosto 1956. La “catastròfa”
Antefatto
Corso degli eventi
Il pozzo numero 1 della miniera di Marcinelle era in funzione dal 1830, ma la sua
manutenzione era ridotta al minimo necessario, e funzionava come condotta per
l’entrata dell’aria. Il pozzo numero 2 invece ne costituiva la via d’uscita. Vi era, inoltre,
un terzo pozzo in costruzione, che aveva delle gallerie che lo collegavano agli altri
due pozzi, le quali però erano state murate per diverse ragioni. Ciascun pozzo aveva
due ascensori “gabbie”, mossi da due potenti motori posti all’esterno della miniera e
da due grandi molette poste su dei tralicci.
L’aerazione era assicurata da grandi ventilatori.
Occorre sottolineare che quasi tutte le strutture all’interno della miniera erano in
legno.
Così viene ricostruito l’incidente nel “Rapport d’Enquete”
Grafico dell’estrazione al Cazier l’8 Agosto 1956 “La Nouvelle Gazette”
La mostra è stata realizzata dagli allievi della III C del Liceo Classico “L.Costa“
della Spezia nell’ambito dell’approfondimento tematico svolto sotto la guida del Prof.
Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura della Spezia ed i Comuni di
Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno della sede INAIL della Spezia
Otello Bugliani.indd 3
Un doloroso ritorno
Ricorda ancora la nipote di Otello Bugliani: “Mia nonna e mia madre se ne
tornarono a casa ancora più’ sole e disperate di quando erano partite cinque
8 agosto 1956
anni prima per raggiungere il nonno, per alleviargli quella solitudine che nei
tre anni passati lassù dal suo arrivo aveva cercato di riempire ammazzandosi
7.56
Antonio Iannetta al livello 975 dopo aver caricato l’ultimo carrello e
di lavoro...”
aver dato il via alla rimonta, lascia il posto di lavoro, alla ricerca di altri
Nulla sarebbe più stato come prima, il loro futuro sarebbe stato segnato per sempre
carrelli pieni.
da quella mancanza irreparabile, il vuoto di quella assenza non sarebbe mai più stato
8.00
Mauroy, l’ascensorista in superficie, telefona a Vaussort (l’aiutante di
colmato e persino il ricordo di quella polvere di carbone, che inesorabilmente si
Iannetta) perché l’ascensore serve al piano 765. Mauroy e Vaussort
depositava su ogni cosa, in ogni momento di quella povera vita passata in quell’unico
prendono un accordo previsto dai protocolli di lavoro: per due viaggi
vano della loro casa vicino alla miniera, appariva ora come qualcosa di struggente a
l’ascensore sarà libero e Mauroy può far muovere l’ascensore senza il via cui ancorarsi.
libera del livello 975, ma ciò avrebbe significato che per due turni il
“Mia madre aveva fatto la scuola in Belgio fino a quella che per noi oggi sarebbe
piano 975 non avrebbe potuto caricare.
la terza media, ma, tornata a casa, fu “retrocessa” in quarta elementare...”
8.05
L’ascensore A arriva al piano 765 per essere caricato, B è a 350 m, nel Ecco, questa cosa ci ha profondamente colpiti ed anche indignati: possibile che
pozzo.
non ci sia stato modo di mostrarsi più sensibili nei confronti di una ragazzina che
8.07
A, carico rimonta in superficie, B ridiscende a 975. Iannetta era intanto
aveva perduto il padre in una circostanza così tragica e che faceva ora fatica doppia
tornato sul posto di lavoro.
a parlare la lingua dei suoi genitori?
8.10
L’ascensore A arriva in superficie, il B al livello 975. Ignaro (o incurante) Quanta indifferenza c’è stata nei confronti di tutte queste persone? Poteva forse
del fatto che quell’ascensore gli fosse vietato, Iannetta inizia a caricare
bastare una semplice pensione a pagare il debito che il nostro Stato aveva nei loro
i vagoncini pieni. Il meccanismo che frena i carrelli si inceppa. I vagoncini confronti? Ancora una volta, evidentemente, si pensava che con i soldi - pochi, per
si ritrovano sporgenti fuori dal montacarichi. Mauroy è nel protocollo
altro - si potesse mettere a posto ogni cosa.
di lavoro ascensore libero, e farà partire l’ascensore quando saranno stati
scaricati i carrelli al livello 765.
I tardivi riconoscimenti
8.11
Il montacarichi riparte, i carrelli che sporgono strusciano contro le pareti
del pozzo, tranciando di netto un cavo elettrico e un tubo per l’olio, che Dopo tanti anni di silenzio, bisognerà attendere il 2001 per vedere moralmente
erano adiacenti. Scoppia l’incendio, alimentato dal condotto di aerazione. riconosciuto il Sacrificio di questi lavoratori attraverso l’istituzione della Giornata
8.25
Iannetta risale in superficie e da’ l’allarme.
Nazionale del Lavoro Italiano nel Mondo. Dopo la visita di Stato a Marcinelle
8.30
Votquenne e Matton provano a scendere senza equipaggiamento, ma
compiuta dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi l’anno successivo,
devono rinunciare a causa del fumo.
alla presenza dei Reali del Belgio, nel 2005 il Capo dello Stato concesse la Medaglia
8.58
Arriva la prima squadra di soccorso equipaggiata con respiratori e
d’Oro al Merito civile ai famigliari dei caduti del Bois du Cazier.
Votquenne e uno dei soccorritori fanno un secondo tentativo. Arrivano
“Mia nonna ricorda con gratitudine quel gesto, che certo non poteva restituirle
a 1035 ma non riescono a uscire dall’ascensore in quanto sono saliti sul
il marito, ma che contribuiva ad alleviare quel senso di solitudine e quasi di
terzo compartimento della gabbia, fino a 3,15 metri più in alto del piano abbandono che l’aveva accompagnata per tutta la vita.”
di uscita.
Nel 2012 il Bois du Cazier, insieme alle altre tre storiche miniere del Belgio (Grand
9.10
I cavi degli ascensori del pozzo 2 cedono, rendendo il pozzo inutilizzabile. Hornù, Bpois-Du-Luc e Blengy Mine) è stato inserito dall’UNESCO nel Patrimonio
9.30
Due persone tentano di aprirsi un varco nel diaframma che collega il
Mondiale dell’Umanità.
pozzo nuovo con il pozzo interessato dall’incendio.
10.00 Calicis decide di separare i due cavi del pozzo 1, ciò permetterà di servirsi
Una
riflessione
conclusiva...
dell’ascensore. Il lavoro finisce alle 12.00.
12:00 Calcis, Galvan e altri uomini scendono fino a 170 metri, ma un tappo di
A conclusione di questo nostro lavoro, comprendiamo che senza un’autentica giustizia
vapore impedisce loro di continuare.
sociale non si potrà mai parlare compiutamente di Diritti dell’Uomo e di rispetto
13.15 Gonet, al livello 1035, lascia un messaggio su una trave di legno.
per la Dignità che è dovuto ad ogni essere umano.
“Indietreggiamo per il fumo verso 4 palmi. Siamo circa cinquanta. E’ l’una
Come recita la nostra Costituzione (artt. 1 e 4) il lavoro è un fondamentale diritto
e un quarto. Gonet” Il messaggio sarà ritrovato dai soccorritori il 23 agosto.
dovere irrinunciabile, perché senza di esso non solo non esiste futuro, ma lo stesso
15.00 Una spedizione scende attraverso il primo pozzo e scopre tre sopravvissuti.
presente si riduce a ben misera cosa.
Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un’altra spedizione.
A noi tutti spetta perciò il compito di adoperarsi affinché la disoccupazione sia
22 Agosto, ore 3.00
combattuta come il peggiore dei mali, affinché non vi sia più sfruttamento dell’uomo
Uno dei soccorritori, dopo la risalita, dichiara in italiano: “Tutti cadaveri”.
sull’uomo, affinché ciascuno possa dare il meglio di sé senza essere costretto a farlo
a mille chilometri dalla propria terra, in condizioni di sicurezza tali da non mettere
I soccorritori
mai a repentaglio la propria vita, perché morire per lavorare - cosa che purtroppo
accade ancora - rappresenta qualcosa che non possiamo accettare né ora né mai.
I primi a prestare soccorso, a cercare eventuali sopravvissuti furono proprio i loro
compagni che, appena smontati dal turno che si era chiuso alle sei, poco dopo le
Per
non
dimenticare
otto, quando il fumo nero dell’incendio cominciò a levarsi, erano già lì, pronti a
rituffarsi nelle viscere incandescenti di quell’inferno.
Nella frazione di Veppo, in comune di Rocchetta di Vara, un monumento realizzato
Se i loro disperati tentativi furono vani è dalla loro generosità, dal loro altruismo,
nel 1982 ricorda l’Emigrante:
dalla loro abnegazione silenziosa che dobbiamo trarre l’insegnamento più grande:
quello della solidarietà che lega indissolubilmente gli esseri umani tra loro e che fa
“Per altra terra
percepire l’altro come una parte di noi stessi. Insieme ad altri uomini coraggiosi,
ma non col cuore
andarono avanti giorno e notte, prima di arrendersi, con turni che prevedevano tre
lasciarti Veppo
ore di lavoro e tre ore di riposo.
in lontano
e vivevi tra noi”
Il lavoro di ritrovamento dei corpi proseguì per mesi, il pietoso riconoscimento
dei resti mortali di quelli che un tempo erano stati uomini forti e pieni di vita fu un
A Castelnuovo Magra una stele di marmo è così dedicata:
compito straziante, eppure indispensabile, perché la morte doveva essere attestata
affinché la burocrazia facesse il suo corso.
“I minatori di Luni
Fu solo dopo questa operazione che le vedove e gli orfani poterono fare ritorno ai
a imperituro ricordo
loro paesi, riportando quello che rimaneva dei loro cari alle stesse terre da cui erano
eressero nel giorno IV-XII-MCMXLVIII
partiti, pieni di dignità e di speranza cercando di sfuggire alla miseria con la forza e
ai compagni morti”
il coraggio delle loro giovani vite.
19/10/12 10:41