Una cosa solenne ed eccitante

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Una cosa solenne ed eccitante
Unità
8
I TEMI: la lettura
Elias Canetti
Una cosa solenne ed eccitante
Andavo già a scuola da qualche mese, quando accadde una cosa solenne ed eccitante che determinò tutta la mia successiva esistenza. Mio
padre mi portò un libro. Mi accompagnò da solo nella stanza, sul retro
dove dormivamo noi bambini e me lo spiegò. Era The Arabian Nights,
le Mille e una notte in un’edizione adatta alla mia età. Sulla copertina
c’era un’illustrazione a colori, se non sbaglio di Aladino con la lampada meravigliosa. Il papà mi parlò in tono molto serio e incoraggiante e mi disse quanto sarebbe stato bello leggere quel libro. Lui stesso
mi lesse ad alta voce una storia: altrettanto belle sarebbero state tutte
le altre. Dovevo cercare di leggerle da solo e poi la sera raccontargliele. Quando avessi finito quel libro, me ne avrebbe portato un altro.
Non me lo feci ripetere due volte e sebbene a scuola avessi appena
finito di imparare a leggere, mi gettai subito su quel libro meraviglioso e ogni sera avevo qualcosa da raccontargli. Lui mantenne la promessa, ogni volta c’era un libro nuovo, così che non ho mai dovuto
interrompere, neppure per un solo giorno, le mie letture.
Era una collana di libri per bambini, tutti volumi dello stesso formato
quadrato. Si distinguevano solo per la diversa illustrazione a colori in
copertina. In tutti i volumi i caratteri erano di uguale grandezza, così
che si aveva l’impressione di leggere sempre lo stesso libro. Ma che
collana stupenda e impareggiabile! Non ce n’è mai stata un’altra simile. I titoli li ricordo tutti. Dopo le Mille e una notte vennero le fiabe di
Grimm, Robinson Crusoe, I viaggi di Gulliver, i Racconti tratti da Shakespeare, Don Chisciotte, Dante, Guglielmo Tell. Mi domando ora come
fosse possibile ridurre il poema di Dante per renderlo adatto ai bambini. Ogni volume aveva parecchie illustrazioni a colori che però non
mi piacevano, erano molto più belle le storie, non so nemmeno se
oggi sarei in grado di riconoscere quelle figure. Sarebbe facile dimostrare che quasi tutto ciò di cui più tardi si è nutrita la mia esistenza
era già contenuto in quei libri, i libri che io lessi per amore di mio
padre nel mio settimo anno di vita. Dei personaggi che poi non mi
avrebbero più abbandonato mancava soltanto Ulisse.
Ogni volta che avevo finito un libro, ne discutevo con mio padre e
talvolta mi eccitavo a tal segno che lui doveva calmarmi. Non mi
disse mai però, come usano fare gli adulti, che le fiabe non sono vere;
e di questo gli sono particolarmente grato, forse le considero vere
ancora oggi. Mi accorsi ben presto che Robinson Crusoe era diversissimo da Sindbad il marinaio, ma mai mi venne in mente di considerare quelle storie una meno importante dell’altra. L’Inferno di Dante
in verità mi ispirò qualche brutto sogno. Quando udii la mamma che
diceva: «Jacques, quello non glielo avresti dovuto dare, è troppo presto
Una cosa solenne ed eccitante
per lui» ebbi paura che papà smettesse di portarmi i libri e imparai a
tener nascosti i miei sogni. Credo anche – ma di questo non sono del
tutto sicuro – che la mamma vedesse un rapporto fra i libri e i miei
frequenti discorsi con i personaggi della tappezzeria. Fu il periodo in
cui volli meno bene alla mamma. Ero abbastanza furbo da intuire il
pericolo e forse non avrei abbandonato così volenterosamente e ipocritamente i miei colloqui a voce alta con i personaggi della tappezzeria, se i miei libri e le conversazioni con mio padre che li riguardavano
non fossero stati allora per me la cosa più importante del mondo.
Mio padre però non si lasciò affatto fuorviare e dopo Dante tentò con
Guglielmo Tell. Fu in quell’occasione che udii per la prima volta la
parola «libertà». Mi disse in proposito qualcosa che ho dimenticato,
ma ricordo che aggiunse qualche parola sull’Inghilterra: per questo
eravamo venuti a vivere in Inghilterra, perché qui si era liberi. Lo sapevo quanto lui amasse l’Inghilterra, mentre il cuore della mamma
era rimasto a Vienna. Mio padre si sforzava di imparare sempre meglio
la lingua inglese e una volta la settimana veniva in casa un’insegnante a dargli lezione. Notai che pronunciava le frasi inglesi con una intonazione diversa da quando parlava tedesco, quel tedesco che gli era
familiare fin dall’infanzia e che quasi sempre usava con la mamma.
Talvolta lo udivo mentre ripeteva più volte singole frasi. Le pronunciava lentamente, come qualcosa di molto bello, gli davano un grande godimento e le diceva più d’una volta. Con noi bambini ora parlava sempre inglese, e lo spagnolo, che fino allora era stata la mia
lingua, passò in secondo piano, ormai lo udivo soltanto dagli altri, per
lo più dai parenti anziani.
Il resoconto dei libri che leggevo voleva sentirlo soltanto in inglese, e
suppongo di aver fatto rapidi progressi grazie a quelle letture così appassionanti. Papà era molto contento quando raccontavo con scioltezza. Ma ad ogni cosa che diceva lui attribuiva un peso particolare, e
infatti rifletteva ben bene prima di parlare per non fare errori e parlava quasi come un libro stampato. Ricordo le ore che passavamo a discutere dei libri come ore solenni, ben diverse da quando il papà veniva a giocare nella stanza dei bambini inventando continuamente
nuovi scherzi.
L’ultimo libro che ricevetti da lui fu un libro su Napoleone. Era scritto dal punto di vista inglese e Napoleone vi compariva come un crudele tiranno che voleva ridurre sotto il proprio giogo tutte le nazioni,
e in particolare l’Inghilterra. Stavo ancora leggendo quel libro quando
mio padre morì. La mia avversione per Napoleone è rimasta da allora
ferma e incrollabile. Avevo già cominciato a raccontargli le mie impressioni riguardanti quella lettura, ma non ero ancora molto avanti.
Me lo aveva dato subito dopo il Wilhelm Tell, e avendomi fatto quel
discorso sulla libertà, il libro voleva essere un piccolo esperimento.
Quando, eccitatissimo, cominciai a parlargli di Napoleone, mi disse:
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I TEMI: la lettura
“Aspetta, è ancora troppo presto. Vai avanti a leggere. Vedrai, le cose
cambieranno molto.” So con sicurezza che Napoleone allora non era
ancora imperatore. Forse era una prova, forse voleva vedere come avrei
retto agli splendori e alle meraviglie della gloria imperiale. Dopo la
sua morte finii di leggere quel libro, e lo rilessi, come tutti i libri che
lui mi aveva regalato, moltissime volte. Del potere fino allora non
avevo quasi avuto occasione di accorgermi. Per la prima volta me ne
feci un’idea leggendo quel libro, e non ho mai potuto sentir pronunciare il nome di Napoleone senza collegarlo dentro di me con la morte repentina di mio padre. Per me mio padre è rimasto una vittima di
Napoleone, di tutte la più grande, la più atroce.
E. Canetti, La lingua salvata, trad. di A. Pandolfi – R. Colorei, Adelphi