GESTAZIONE SUDAMERICANA DI PAOLO FILARDO Terzo mese

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GESTAZIONE SUDAMERICANA DI PAOLO FILARDO Terzo mese
GESTAZIONE SUDAMERICANA DI PAOLO FILARDO
Terzo mese: el impenetrabile
Salve brava gente.
Arrivato in argentina decido che è arrivato il momento per cominciare ad usufruire
dell'hospitality club (del quale faccio parte), ossia un gruppo di persone sparse per il
mondo che offrono ospitalità gratuita e informazioni a gente che viaggia. Il primo a fare le
spese della mia presenza è Walter, uomo grasso, divorziato e molto buono di Posadas.
Una sera incappo in quello che scoprirò essere un classico: la visione delle foto di viaggio
e di famiglia. Ergo mi fa vedere le foto di mille viaggi, già di per se poco interessanti, e le
foto dei parenti, che non conosco, e che, con rispetto parlando, neanche mi interessa
conoscere.
Bene, pensavo fosse il peggio.
Non lo era.
Mi fa vedere il servizio fotografico fatto da un fotografo professionista a sua figlia di cinque
anni, in varie pose, vestiti e luoghi.
Decido allora di recarmi a Ituzaingò, dove alla tele del ristorante in cui mangio un
personaggio evidentemente famoso in argentina fa cantare ad un talk show due suoi figli.
Sono stonati in maniera imbarazzante.
Lui sorride.
La presentatrice tesse lodi.
Io ingoio bocconi amari.
Al successivo paesino, Ita Ibatè, il propietario del bar dove faccio colazione mi spiega che
ormai il sud america è in mano ai comunisti. Come dargli torto.
Arrivato a Corrientes sono ospite di una famiglia costituita da padre, madre, e quattro figli
tra i 5 e 15 anni. A parte le solite foto, ho l'onore di festeggiare in casa loro i 40 anni del
cognato di lei. Il cognato insiste per regalarmi una bandiera argentina, ne possiede sei.
Per fortuna non le ha a portata di mano. Parlo a lungo con la nonna sorda. Iniziamo a
mangiare a mezzanotte, finiamo alle quattro.
Decido a questo punto di andare a Mburucuyà, per visitare l'omonimo parco là vicino. Al
parco faccio amicizia con la guardia forestale, Pedro. Mi invita a mangiare a casa sua. Per
cui pranziamo io, lui e suo padre di settant'anni, mentre guardiamo un reality show in cui
bisogna perdere peso.
A questo punto vado a Resistencia, capitale del Chaco, dove sono ospite di Marcelo. ha
un cane che si chiama Trompo. A Trompo hanno amputato una zampa posteriore da una
settimana. Un giorno trovo il mio lenzuolo e la mia camicia impregnati del sangue del
moncherino di Trompo. Con rispetto parlando, metto tutto in lavatrice.
Da qua vado al Parque Nacional Chaco con Jesica, altro membro dell'hospitality club. La
dura verità è che il secondo nome di Jesica è Solange. Cerco di spiegarle chi sia Solange
in italia. Chissà se ha capito.
A Formosa un nano gay romantico metallaro ubriaco cerca, in un bar, di portarmi a casa
sua. Per poco non cedo, ma mantengo la mia integrità morale. Quando me ne vado dal
bar lo saluto «ciao amigo», lui risponde «ciao baby».
A questo punto, essendo a soli duecento chilometri dal paraguay, ne approfitto per fare un
salto il fine settimana ad Asuncion, giusto giusto per trovare i miei amici e per scoprire al
ritorno che, per passare a Clorinda, in argentina, ci sono due frontiere: una ufficiale, dove
esiste la dogana, ed unʼaltra un poʼ meno ufficiale, dove però i paraguaiani si guardano
bene dal contrabbandare nulla, son gente seria loro.
Arrivo perciò a Clorinda, in argentina, dove vedo ciò che qualunque palermitano sogna ma
vede solo come un miraggio. Qua cʼè. Mi ritrovo davanti l'«autoservicio suca».
Felice e soddisfatto mi dirigo al Parque Nacional Pilcomayo, dove nel bagno del
campeggio ci sono almeno un centinaio di piccole ranocchiette. Alcune fanno la brutta
scelta di vivere nello sciacquone. Non credo vivano più. Sono affogate insieme alla mia
merda (nel senso buono).
Tornato a Formosa (tengo a ricordare, sono nell'emisfero australe, qua è ancora inverno)
ci sono circa quaranta gradi. Non ho più cose pulite. Chiedo al gestore dell'hotel se posso
lavare le mie cose. Mi dice «senza problema, ma non cʼè dove stenderle». Mi faccio una
doccia, lavo i vestiti che avevo indosso e li ri-indosso fradici. Esco fuori.
Credo di avere un aspetto miserabile, ma sono felice, e mi asciugo in cinque minuti.
Vado a Las Lomitas, punto di partenza per quello che sino ad ora è la cosa più incredibile
che abbia visto, e cioè il Bañado la Estrella. Torno in autostop dal Bañado su un trattore
che spiana la strada di terra, e mi lascia a soli 15 chilometri da Las Lomitas, alle 12:30 di
giorno. Fa caldo. Ma vinco io. Un motociclista dopo un ora mi raccatta per la strada.
Arrivo a questo punto a Ibarreta, paesino dove la chiesa è anche sede della radio «La
buena noticia». Mi sembra corretto andare nel paesino di J. J. Castelli, dove Daniel,
dell'hospitality club ma impossibilitato ad ospitarmi, tramite amicizie, mi fa stare in un hotel
gratis, e mi riempe di interessantissime riviste da lui redatte con le notizie locali.
E così arriva il momento di andare a Mision Nueva Pompeya, paesino di poche anime nel
mezzo dell'impenetrabile Chaqueño.
Ci ho pensato molto, e ho deciso che non farò battute di basso livello, scontate e niente
affatto divertenti sul concetto di impenetrabile. Sono un ometto ormai. Ho capito che a fare
il cretino non si arriva da nessuna parte: devo crescere e prendermi le mie responsibilità.
Ed è per questo che abbandono il Chaco e tutto il nord est argentina, dirigendomi verso il
nord ovest, utilizzando come ultima tappa il ridente ed allegro paesino di Pampa del
Infierno.
Che il rock'n'roll sia con voi.