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Mi chiamo Giovanna, e dal 1° novembre 2005 Suor Giovanna di Gesù Crocifisso.
Il nome religioso che ho scelto sintetizza tutta la mia esistenza. E vuole essere segno
indelebile per non dimenticare mai che Gesù ha dato la sua vita per salvare la mia
perché io ero perduta e Lui mi ha ritrovata, ero morta e Lui mi ha costretta a
ritornare alla vita.
Ho vissuto per anni disprezzando la croce e tardi mi sono accorta che quella croce era
il segno del suo amore per me.
Sono nata in una famiglia povera e semplice. Avevo solo 40 giorni di vita quando i miei
genitori si sono resi conto che avevo un femore rotto. A quella frattura ne sono
seguite così tante da confondere persino i più grandi luminari della dell’ortopedia. Nel
giro di pochi anni non era rimasta parte del mio scheletro che non fosse stata
compromessa e di conseguenza “rattoppata”.
Avevo 6 anni quando i miei genitori decisero di portarmi alla Rizzoli di Bologna e li
ricevettero il verdetto: Osteopsatirosi congenita. (una malformazione congenita
spesso ereditaria che porta alla fragilità eccessiva delle ossa che si rompono in modo
spontane senza bisogno di urti. E’ una malattia rara che i medici definiscono
irrisolvibile).
I miei genitori furono presi dalla disperazione e ben presto il mio papà si rifugiò
nell’alcool e la mia mamma, per non soffrire, sembrava ignorarmi e non perdeva
occasione per dirmi quanto ero inutile e di peso alla famiglia.
Crescevo con la morte nel cuore. Non ero mai stata una bambina perché non avevo mai
avuto compagni di giochi ed ora mi rendevo conto che avevo l’età di una ragazza, ma
non sarei mai stata una donna.
In tutto questo dolore non c’era posto per Dio nella nostra casa. Per tutti noi era un
perfetto sconosciuto, un ospite per niente gradito. Per me personalmente era solo
un’invenzione degli ignoranti e dei deboli.
Non poteva esistere un Dio che si fa chiamare Padre e che gode della disperazione dei
figli.
Molto più tardi ho scoperto che quel Papà era sempre stato al mio fianco elemosinando
il mio amore.
Nel luglio del 1986, per caso incontrai P. Michele, mio parroco, ed egli mi invitò a
partecipare ad week-end di preghiera che il fine settimana seguente avrebbero
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tenuto presso la Casa di Preghiera S. Michele: “vieni, è un bel momento che di cero ti
farà bene”.
Accettai senza sapere cosa significasse “ritiro di preghiera”. Per me sarebbe stata
solo un’occasione per trascorrere qualche giorno fuori dalla mia casa.
Il ritiro iniziò il venerdì pomeriggio. Per 3 giorni assistetti con diffidenza a tutto ciò
che accadeva intorno a me. Gli altri partecipanti erano entusiasti e mi parlavano della
santità del Padre predicatore: P. Emiliano Tardif. Non sapevo chi fosse ne come il
Signore lo usasse come suo prezioso strumento.
Ogni sera, dopo la S. Messa, pregava per gli ammalati e in tanti confermavano le sue
profezie di guarigione avvenute. Il sabato sera ero arrabbiata e quasi provavo pena
per i creduloni presenti nell’assemblea. Mi dicevo: “Queste persone sono molto più
disperate di me tanto da credere che Dio esiste davvero e addirittura può guarirli dai
loro mali. Di certo P. Michele e questo sacerdote si saranno accordati con coloro che si
dichiarano guariti”.
E con aria di chi sa già tutto della vita mi dissi: “Io crederò solo se vedrò alzarsi
qualcuno dalla sedia a rotelle!!!”.
Domenica sera ci fu la consueta celebrazione con preghiera di guarigione. P. Emiliano
annunciò alcune guarigioni, per me, di poco conto, che all’istante furono confermate
dalla solita alzata di mano. Diede la benedizione e si spensero microfoni e riflettori.
Mi sentivo sollevata da ogni ansia. Finalmente potevo ritornare a casa con la certezza
che Dio non era altro che “l’oppio dei poveri”.
Ma per Dio la partita non era ancora chiusa. Lui aveva in serbo i tempi supplementari.
Mentre tutti si apprestavano ad uscire P. Emiliano chiese di riaccendere i microfoni e
le luci e annunciò: “il Signore Gesù ha guarito una persona ammalata fin dalla nascita e
che a causa di una malattia è costretta a vivere sulla sedia a rotelle. Alzati per la
gloria di Dio. Egli ti ha guarita”.
Mi invase una grande paura. Pensavo: “e se questi fanatici mi costringessero ad alzarmi
dalla sedia a rotelle?... Mi spezzerei in mille parti e per me sarebbe la fine”.
Mi guardavo intorno e speravo con tutte le forze di scorgere tra la folla qualcuno che
si alzasse e mi liberasse dalla mia ansia.
Trascorsero alcuni secondi di interminabile silenzio. Ma nessuno si muoveva. Tutti si
guardavano intorno trattenendo il fiato nell’attesa che qualcuno di noi paralitici si
alzasse.
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P. Emiliano continuò: “questa persona avverte un forte calore e tremore alle gambe.
Alzati è Dio che ti sta toccando!”.
Le mie gambe iniziarono a muoversi come impazzite tanto che la cosa attirò
l’attenzione di tutti coloro che stavano nei pressi della mia sedia. Alcuni di essi mi
presero per mano e mi esortarono ad alzarmi e mi ritrovai a correre verso il palco per
lodare Dio.
Può sembrare assurdo, ma questo abbraccio d’amore di Gesù non fu sufficiente a
cambiare la mia vita, ma al contrario insuperbì il mio cuore. Come il figliol prodigo
chiesi a Dio Padre “la mia parte di eredità” e partii per un paese lontano dove
sperperai tutti i suoi doni e il suo amore.
Infondo Dio me lo doveva: dovevo recuperare il tempo perduto e fare tutto ciò che
fino ad allora non avevo potuto fare. Così mentre da una parte mi misi a lavorare per
Lui aiutando P. Michele nella Casa di Preghiera, dall’altra mi costruivo una vita comoda,
rilassata, mondana e piena di distrazioni e pian piano finii negli abissi del porcile del
mondo a mangiare le carrube destinate ai porci.
Nel giro di pochi anni abbandonai la pratica della preghiera. Indossai la maschera del
perbenismo e continuai a costruire i miei progetti di morte.
Ora sapevo che Dio era una realtà. Che Gesù era una persona che era venuta a
cercarmi, ma mi chiedeva troppo. Gesù non voleva molto da me…. Gesù voleva tutto,
non il primo posto nei miei affetti e interessi, ma l’unico, e “con tutto il cuore”. Non
potevo farcela!
Avevo bisogno di sentirmi amata e non ritenevo appagante il suo Amore. Iniziai a
cercare l’amore delle creature e finii per chiudere nello sgabuzzino il Creatore.
Nel giro di poco mi accomodai nella dissolutezza tra i piaceri del mondo e mi sembrava
addirittura di essere felice.
Poi all’improvviso il terremoto che sconvolse tutte le mie sicurezze.
L’unica persona, Lucia, che mi amava sinceramente e che mi spingeva verso il bene
eterno si ammalò di leucemia fulminante.
Lucia era una sorella innamorata di Gesù e che viveva nella Casa di preghiera S.
Michele. Lei era diventata per me sorella, amica e madre. Lucia credeva con tutto il
cuore e riusciva in ogni nostro dialogo a comunicarmi il sorriso di Dio. Ed ora
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quell’unico pezzo di cielo che avevo sulla terra mi veniva strappato senza poter
battere ciglio.
La perdita di Lucia mi mise in ginocchio e come il figliol prodigo mi fece rientrare in
me stessa.
Nei giorni di agonia di Lucia cercavo disperatamente Dio implorando da Lui la
guarigione per la mia amata sorella, ma Dio restò in silenzio. Una sola frase risuonava
nel mio cuore: “se il chicco di grano caduto in terra non muore non può portare frutto”.
Durante il suo funerale compresi: Lucia aveva donato la sua vita chiedendo a Dio di
salvare la mia.
Trascorsi notti interminabili a piangere e a pregare. Fissavo il Crocifisso che era a
capo del mio letto e avevo l’impressione che stesse piangendo con me.
Mi sentivo amata per la prima volta di un amore inimitabile anche dalla più santa
persona umana. Dio mi aveva accolta e perdonata nonostante tutto il male che gli avevo
fatto.
Una di quelle tante notti gli giurai che non lo avrei mai più tradito e che sarei stata
per sempre solo sua.
Ma come far comprendere a coloro che ti circondano che davvero hai incontrato
l’Amore e che vuoi vivere solo per Lui?
Gesù mi aveva salvata, mi aveva tratta dalla fossa della perdizione ed io non potevo
ignorarlo. Dio in persona era venuto a cercarmi perché stessi con lui.
Da quel giorno iniziai la mia ricerca del suo progetto per la mia vita e chiedevo
incessantemente: “Signore, manda me!”.
E Dio non fece tardare la sua risposta.
Dopo poco tempo inviò nella casa di preghiera alcuni giovani che desideravano fare
un’esperienza vocazionale e tra questi vi era anche P. Mauro. Iniziammo così un
cammino di discernimento sotto la guida di P. Michele.
Più conoscevo Gesù e più lo amavo, più lo amavo e più volevo appartenergli.
Un giorno pregando insieme a P. Mauro ci soffermammo a meditare il brano degli Atti
degli apostoli 2,42-47 dove Luca ci racconta come vivevano le prime comunità
cristiane. Terminata la preghiera ci rendemmo conto che avevamo scoperto il progetto
di Dio per noi: tornare alle origine per abbracciare e fare nostro il testamento di
Gesù: vivere come le prime comunità cristiane il Comandamento nuovo e trasmetterlo
con la testimonianza della nostra vita a chiunque il Signore ci avesse inviato.
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Promettemmo insieme al Signore che non ci saremmo tirati indietro qualunque cosa ci
avesse chiesto.
Ben presto Gesù ribussò alla porta del nostro cuore e questa volta la richiesta fu
davvero dura: come ad Abramo ci ordinò di partire.
Sembrava inconcepibile quello che ci stava succedendo e i tanti terremoti che
infuriavano intorno a noi. Non fu affatto facile lasciare la Casa di preghiera S.
Michele, le sicurezze che trovavamo in essa, P. Michele e tutti gli affetti che ci
circondavano ma avevo imparato che a Dio è inutile dire di no. Non sapevamo cosa
sarebbe accaduto dopo. Le nostre vite erano diventate un foglio bianco. Una sola cosa
c’era scritto: Don Giustino!
Lui era sempre rimasto dietro le quinte della nostra vita e ci aveva sempre guidato
come angelo silenzioso.
Non avevamo dubbi: il progetto di Dio per noi era nella Famiglia vocazionista. Ma ora
toccava capire come.
Nello studiare gli scritti di Don Giustino trovammo la risposta che confermò i desideri
del nostro cuore: “Per crescere il piccolo Gesù è necessario che ci siano Giuseppe e
Maria!”.
Ecco il progetto di Dio per noi: Crescere i piccoli Gesù con l’amore di Giuseppe e di
Maria, prepararli affinchè possano preparare altri piccoli Gesù e cammin facendo
annunciare che Gesù è davvero risorto.
Consegnammo il progetto ricevuto da Dio nelle mani del Padre Generale Ludovico
Caputo il quale con amore di Padre ci accolse e ci incoraggiò a credere e a pregare: “Se
viene da Dio, al tempo opportuno si realizzerà”.
Restammo entrambi presso la Curia Generalizia dei Padri Vocazionisti a Roma.
Trascorremmo 4 anni di dure prove, ma mai ci sentimmo abbandonati da Dio e dai
nostri superiori.
Il 1° novembre 2005 ricevetti il privilegio di sposare il mio Re nelle mani del Padre
Generale.
Il 26 aprile 2006 il Padre Generale ci consegnò il Decreto di approvazione con il quale
prese vita la Fraternità Vocazionista come ramo della Famiglia Vocazionista.
Il 15 settembre 2007 P. Mauro fu ordinato sacerdote.
Intanto avevamo venduto, con il permesso del Padre Generale, la mia casa e avevamo
acquistato una casetta di campagna in Umbria dove ci trasferimmo per iniziare la
nostra esperienza di vita comune.
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Esattamente dopo un anno di attesa e di preghiera il Signore ci diede il primo segno
della sua benevolenza: la prima figlia spirituale Suor Sonia che con coraggio a 21 anni
lasciò tutto per condividere con noi questa stupenda avventura.
Sr. Sonia lo scorso anno, il 1° novembre 2014, ha emesso la sua professione perpetua
nella Fraternità Vocazionista nelle mani di P. Antonio Rafael Do Nascimento, attuale
Padre Generale e nostra paterna guida nel cammino.
Nel 2010 ricevemmo altri due figli nel Signore Gennaro e Agostino che lo scorso
settembre hanno emesso la prima professione nella Fraternità Vocazionista.
Attualmente operiamo e viviamo nella diocesi di Terni-Narni-Amelia dove abbiamo una
parrocchia, due case di accoglienza dove teniamo periodicamente corsi di
evangelizzazione, collaboriamo con la pastorale giovanile e vocazionale e coordiniamo il
Cism diocesano.
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