la cara vecchia fontana

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la cara vecchia fontana
LA CARA VECCHIA FONTANA
Sulla piazzuola, davanti alla casa dei Kròmer, stava una grande fontana
di pietra a pianta ottagonale. Dalla colonna centrale (nona) due polle "curnon"
di ottima acqua.
Era il centro della vita della contrada. Vi arrivavano le donne ad attingere
l'acqua coi secchi di rame appesi al bigoncio "zampdon". Mentre l'acqua
cantava nei secchi posti sopra due ferri di sostegno, c'era il tempo per
scambiare impressioni sul tempo, raccogliere o donare le ultime novità del
paese. Si sapeva tutto di tutti. C'era chi andava di fretta: acqua e via, altre
invece assaporavano i pettegolezzi che variavano a seconda della fantasiosa
malignità di qualche lingua.
La conversazione continuava anche verso casa, con soste. I secchi
pesavano sulle spalle, ma non li si sentiva, quello che veniva ricordato era ben
più importante.
Alla fontana, luogo di incontro, sono nati grandi amori. Lì era più facile
incontrarsi sfuggendo al controllo materno; attingere acqua era una scusa per
uscire.
Il sabato poi era un giorno eccezionale. Si doveva lucidare il rame e le
ragazze sfoderavano una improvvisa voglia d'essere utili " Vad iò! Vad iò!". Una
occasione per uscire e incontrarsi con le amiche.
Sul muretto a lato della fontana arrivavano secchi, mestoli, coperchi, pentole,
vaschette di rame. Una prima pulitura con l'impasto di farina gialla, sale e aceto,
risciacquata sotto la polla di uscita della fontana, lucidatura con la sabbia fine,
risciacquo e poi ad asciugare. E gli alti frassini a lato della piazzuola
raccoglievano confidenze e scoppi di risate.
D'inverno, la vecchia fontana, incappucciata di neve, sorrideva ai ragazzi che
sfrecciavano sugli slittini, "zòcal", preparati nelle soffitte. Quattro assicelle, due ai
lati e due sopra, inchiodate ad un'asse centrale, lamine levigate, uno spago per il
traino e ... giù per la contrada. I più arditi, in pancia, usavano le punte degli zoccoli
di legno come timone e freno. Poi fughe appena appariva il mantello della guardia
comunale che era costretto a raccogliere le lamentele della gente perché la strada
era diventata una lastra di ghiaccio.
Mio padre, 93 anni, ricorda che da ragazzo partiva in piazza, scendeva coi
pattini di legno ed era il solo che riusciva a fare il giro attorno alla fontana.
Al mattino e verso sera, uscivano dalle stalle, annesse alle abitazioni, le
mucche, le manze, i cavalli, i muli e si avviavano prudenti per il ghiaccio ad
abbeverarsi alla fontana.
All'inizio del secolo c'erano anche i buoi aggiogati ai carri che scendevano
alla pianura per provviste di grano, granoturco e vino. Anche il mio nonno
Francesco faceva il carrettiere come i Kromer e i Purlan.
Se le nevicate erano abbondanti, ecco il fendineve scendere dalla piazza
trainato da due o tre coppie di cavalli, fumanti per lo sforzo e la fontana rimaneva
prigioniera della morsa bianca.
Mia madre, 91 anni, ricorda un gelo eccezionale che aveva trasformato la
fontana in uno spettacolare castello di ghiaccio, dalle polle usciva un filo d'acqua e
si davano il turno per attingere.
No si può dimenticare quando era il tempo del grande bucato che doveva
essere risciacquato alla fontana, d'inverno, coll'acqua gelida. Allora non c'erano
altre soluzioni. La "salera" per raccogliere l'acqua dalla polla e convogliarla
nell'ampia tinozza di legno, "brunton", l'asse da lavare e via via le pesanti lenzuola
di lino e cotone, bianche di lisciva, venivano immerse nell'acqua corrente. Lavoro
lungo e faticoso per sollevarle, torcerle, sbatterle, poi, riposte nelle ceste di vimini,
erano stese ad asciugare nelle ampie soffitte. Le mani delle donne erano rosse,
gonfie, doloranti. Una tazza di caffè con la grappa ridava loro un po' di calore.
I bimbi a frotte andavano e venivano da scuola, chiassosi, con le cartelle di
tela a tracolla, gli zoccoli di legno con grosse "broche". Incrociavano lanci di palle
di neve, alle volte imbevute d'acqua di fonte per acquistare peso e consistenza.
Appena la neve se ne andava davanti alle case era il momento del gioco
delle biglie di terracotta e i "nichel" per il lancio più deciso. Un triangolo sulla terra
battuta, la quota di biglie stabilita, la pietra lontana come partenza per i lanci e ...
via al gioco silenzioso, attento, eccitato in crescendo.
Colla buona stagione si riprendevano i giochi. Ci si radunava alla fontana,
bimbi e ragazzi, maschi e femmine, si decideva il gioco: a nascondino, a libera
tutti. Poi era il momento delle corse con i cerchi, delle biciclette di legno e, al
tempo di mio padre, delle lunghe fruste di canapa e stoppa intrecciata fatte
schioccare con maestria. Un salto sulla fontana a dissetarsi alla polla poi ... via a
giocare.
E la fontana viveva, registrava tutta la vita semplice, intensa, di grande
socializzazione. Era testimone di tanti battesimi, sposalizi, funerali e lunghe
processioni. Tanta era la gente che scendeva alla chiesa nei dì di festa. E la
fontana era là che cantava nella notte, le facevano compagnia le stelle, la luna, i
gatti, i passeri. La sua voce era familiare e rassicurante. Riconosceva dai passi
chiodati chi se ne andava nella notte con le slitte verso il bosco per legna o fieno,
o verso le baite a governare il bestiame.
M
Stava lì da cent'anni, infatti venne costruita dopo il 1851, quando un fulmine
d'agosto bruciò le case di legna e il paese venne ricostruito in muratura più a sud
dove c'erano i campi. Cent'anni di storia operosa ma anche di due guerre
(1915/18 - 1940/45) e due invasioni.
Mio padre e mia madre hanno un vivo ricordo di quei giorni. Soldati che
bivaccavano nelle stalle, nei fienili, nelle soffitte, si incontravano alla fontana per le
pulizie in una mescolanza di lingue e dialetti e sfidavano il gelo avvolti nelle
coperte militari.
E la fontana non poteva scordare il passo cadenzato della ronda di notte, i
rastrellamenti all'alba quando il paese era ancora nel sonno....
Nella febbre di rinnovamento del dopoguerra, quando tutti avevano l'acqua in
casa, la vecchia fontana non serviva più. Era un simbolo del passato che la poca
lungimiranza degli amministratori doveva cancellare. Non è servita l'opposizione di
mio padre, di "Damianu dal Cucu", di "Cardu di Jone": quattro colpi di piccone e i
lastroni sono finiti chissà dove.
Venne sistemata in un angolo una fontanella di ferro che cantava garrula
durante la notte, ma ebbe vita breve. Per far passare una scala anch'essa sparì.
Ora sostano i cassoni della spazzatura, la campana raccogli vetri: oggetti
senza musica e senza poesia.
Il consumismo vorace ha inghiottito sadicamente una testimonianza di vita.
C'è un grande silenzio giorno e notte. Mancano i bimbi, chiusa la scuola materna,
elementare, professionale e la latteria sociale...
A mezzogiorno, cronometrici, volteggiano eleganti e petulanti i neri corvi di
monte, sostano sulle antenne, sui fili del telefono, sui comignoli pronti a piombare
sul cibo gettato a loro sulla via.
Il paese ha voltato pagina, si scrive un'altra storia.... Ma la cara e vecchia
fontana è ancora viva nel ricordo di generazioni.
RAFFAELLA ZANDERIGO ROSOLO