Scheda film - Centro Culturale Marcello Candia

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Scheda film - Centro Culturale Marcello Candia
Messico, anni 20 del secolo scorso. Dopo una lunga stagione di rivolgimenti politici, la
nazione è caduta nell’orbita dell’inesorabile egemonia degli Stati Uniti. Washington,
nascondendosi dietro slogan di libertà e progresso, subordina all’ubbidienza e al rispetto dei
propri interessi economici l’ascesa dei leader politici messicani. […]
Nel 1924 alla guida del Messico c’è Plutarco Elias Calles, che appena eletto (vota il 2%
della popolazione) dà luce ad un clamoroso progetto politico: sradicare la religione cattolica dal
popolo. Estirparla usando come diserbante le durissime leggi penali che porteranno il suo nome,
le Leggi Calles. Un attacco alla libertà religiosa che sarà condotto con la violenza più brutale:
chiese incendiate, sacerdoti uccisi o deportati, impiegati pubblici costretti a rinnegare la fede,
pena perdita posto di lavoro, chiusura di tremila scuole cattoliche e confisca di tutto il patrimonio
del clero.
Per rispondere alla persecuzione, i messicani organizzano inizialmente una resistenza
pacifica: vengono raccolte due milioni di firme per abolire la riforma Calles, il quale però
dichiara che quelle firme “inesistenti” in quanto non provengono da cittadini, poiché “chi si pone
contro la legge dello Stato non è degno di essere considerato cittadino”. Comincia allora l’eroica
resistenza armata dei Cristeros, che diventerà presto una guerra civile tra l’esercito del governo e
il popolo messicano.
È questo il contesto storico al centro del film Cristiada, for Greater Glory.
Dopo il debutto nelle sale messicane avvenuto lo scorso aprile, il film, a giugno, è stato
accolto tiepidamente negli Stati Uniti . […] nonostante un cast d’eccezione e l’interessante regia
di Dean Wright, all’esordio dietro la macchina da cinepresa dopo essersi imposto per oltre
vent’anni come maestro degli effetti speciali di diversi colossal (vedi Titanic, la trilogia del
Signore degli anelli e Le cronache di Narnia).
Tra gli attori (bravissimi), spiccano un Peter O’Toole in grande spolvero e un Andy
Garcia autore di un’interpretazione memorabile, nella parte del carismatico generale Gorostieta,
veterano che allo scoppio della guerra civile decise di accettare l’incarico di leader militare e
strategico dei Cristeros.
Un film che narra la semisconosciuta vicenda di un popolo di eroi, di santi; di uomini che
non combatterono per il denaro, per la terra o per il potere, ma lottarono per la libertà di accedere
ai sacramenti, di educare i propri figli e per l’integrità della loro fede; contro un governo
massonico, imposto dagli Stati Uniti, che li disprezzava e li umiliava nel nome del più
disumanizzante dei progetti politici.
Una battaglia, la Cristiada, taciuta inspiegabilmente dalla storiografia prevalente e
assente dai libri di scuola (così come è ancora assente il film dalle sale italiane,
purtroppo), presentata coraggiosamente da questa notevole pellicola messicana che porta il suo
nome.
Un film da vedere, che servendosi semplicemente dei fatti e dei veri protagonisti della
storia, è in grado di far riflettere su temi scottanti e attualissimi: la libertà religiosa in primis, e
sul vero significato di quella laicità dello Stato sulla quale si fa ancora tanta confusione (come
riaffermato recentemente dall’arcivescovo di Milano, Angelo Scola). Infine, i Cristeros ci
ricordano come il pacifismo non possa scadere in un’acritica resa ai prepotenti, e che questi,
quando necessario, vanno combattuti come fecero questi martiri messicani al grido di Viva
Cristo Re!
Luca Costa per Cultura Cattolica
Cristiada - i protagonisti del film
Il generale Enrique Gorostieta Velarde (interpretato da Andy Garcia)
Nacque a Monterrey da una famiglia di origini basche, era figlio di Enrique Gorostieta González, un
avvocato e politico, e di María Velarde Valdéz-Llano […] Nel 1906 si arruolò, frequentando l’"Heroico
Colegio Militar" di Chapultepec da cui uscì nel 1911 come ufficiale d’artiglieria. Prestò servizio dalla fine del
governo di Porfirio Díaz fino alla salita al potere di Victoriano Huerta, e prese parte
alla difesa di Veracruz del 1914, occupata dall’esercito degli Stati Uniti, e alle battaglie
della rivoluzione americana, durante le quali fu promosso generale di brigata, nello
stesso 1914, divenendo il più giovane generale dell’esercito di Huerta.
Con la caduta del regime di Huerta, fuggì dal Messico, andandosi a rifugiare a
Cuba e poi negli Stati Uniti d’America. Fece ritorno in Messico nel 1921,
probabilmente a causa della morte del padre, e non continuò la carriera militare ma
divenne un produttore di sapone, lavoro che tuttavia trovava noioso e cercò così di
tornare alla vita militare. Nel 1922 sposò Gertrudis Lasaga Sepúlveda da cui ebbe quattro figli […].
Nel 1927, la Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa (Liga Nacional Defensora de la
Libertad Religiosa – LNDLR), un’organizzazione nata nel 1925 in risposta alle politiche anticlericali del
presidente Plutarco Elías Calles, propose al generale Gorostieta di porsi al comando dell’Esercito Cristero, un
esercito di ribelli cattolici che fu creato per combattere i militari del presidente Calles. La Lega assoldò
Gorostieta esclusivamente per le sue doti militari, dato che il generale era ateo e non poteva condividere gli
ideali della rivolta. Venne così assoldato con un contratto che prevedeva uno stipendio mensile di 3.000 pesos
(più di quanto percepiva un generale dell’Esercito Federale) e l’assicurazione che la Lega avrebbe provveduto
al sostentamento della famiglia del generale nel caso questi fosse morto.
L’importanza di Gorostieta risiede nel fatto che riuscì a portare organizzazione e disciplina militare in
un’insurrezione fino a quel momento disorganizzata. Da quando prese il comando dell’Esercito Cristero, gli
insorti riuscirono a sconfiggere l’Esercito Federale in tutte le regioni in cui era presente: Jalisco, Michoacan,
Colima e Zacatecas.
Gorostieta morì il 2 giugno 1929, a seguito di un’operazione di intelligence del governo messicano che
fece infiltrare un agente nella cerchia di Gorostieta. Il governo venne a conoscere la posizione del generale ed
ordinò una rapida azione militare a Atotonilco el Alto nella quale Gorostieta fu ucciso, appena 19 giorni prima
della fine delle ostilità, che fecero seguito agli accordi che la Chiesa stipulò con il nuovo presidente Emilio
Portes Gil grazie alla mediazione dell’ambasciatore americano Dwight Morrow.
Victoriano Ramírez López detto "El Catorce" (interpretato da Oscar Isaac)
Nato alla fine del 1880 a San Miguel el Alto, noto anche come El Catorce (Il Quattordici), era un
generale messicano della guerra cristera. La leggenda narra che, fuggito dal carcere (dove era in attesa di un
processo per omicidio in lite), un distaccamento di quattordici uomini armati sia andato a cercarlo su una
collina. Costretto a combattere contro i suoi inseguitori, Victoriano si nascose tra le rocce di un canyon e, dopo
un lungo scontro a fuoco, uccise tutti i suoi avversari. Quando fu sicuro della sua vittoria, raccolse le
quattordici sue vittime e le inviò al capo del carcere con un messaggio, raccomandando di non inviare così
poche persone. Si guadagnò così il nome di "El Catorce".
Victoriano Ramirez "El Catorce" è stato tra i primi ad aderire alla ribellione cristera. Ha comandato lo
squadrone dei "Draghi del Catorce", che faceva parte del reggimento al comando del generale Miguel
Hernandez. Era noto anche per la mira eccellente e si dice anche che fosse molto “appassionato” di donne.
Le difficoltà sorte tra El Catorce e i suoi compagni cominciarono, a quanto pare, con le riforme
organizzative che il generale Enrique Gorostieta Velarde riteneva necessarie per ordinare l’esercito cristero. El
Catorce (forse sentendo minata la propria autorità), pose una serie di ostacoli. A causa del suo atteggiamento
venne sollevato dall’incarico e gli venne vietato di avere uomini armati, a parte una piccola scorta. El Catorce
non obbedì agli ordini. Padre Pedroza lo invitò a riorientarsi nella lotta cristera, ma Victoriano rifiutò e con
300 uomini si asserragliò nella parte superiore di El Carretero. Infine, venne accusato di appropriazione
indebita, insubordinazione e resistenza agli ordini superiori. Per queste accuse Padre Aristeo Pedroza ordinò la
sua esecuzione. Per evitare disordini tra i Cristeros, poiché El Catorce era molto stimato, venne
immediatamente giustiziato. Al momento della sua esecuzione, si barricò nella sua cella, tanto che dovettero
sfondare la porta con un ariete per condurlo al luogo di esecuzione. Le sue spoglie riposano nella grotte
guadalupane, sotto il Tempio di Nostra Signora di Guadalupe, nella città di San Miguel el Alto.
Beato Josè Luis Sanchez Del Rio (interpretato da Mauricio Kuri)
Nacque a Sahuayo, in Messico, il 28 marzo 1913 da Macario Sánchez e María del Río. Visitando la
tomba del beato martire Anacleto González Flores chiese a Dio di poter morire in difesa della fede. Appena
quattordicenne, José fu assassinato il 10 febbraio 1928.
Cristiada - i protagonisti del film
All’età di soli 13 anni era riuscito a farsi arruolare come aiutante da campo e, poco dopo, come
portabandiera e clarinettista delle truppe del generale cristero Luis Guizar Morfin. Quando, nel corso della
battaglia del 6 febbraio 1928, il cavallo di Morfin venne ucciso, Josè gli cedette il proprio per consentirgli di
mettersi in salvo, perché, come disse al suo generale, "la vostra vita è più utile della mia". Poco dopo il
ragazzino, ormai appiedato, venne sopraffatto dai soldati federali, che lo rinchiusero nella sua chiesa
parrocchiale, ridotta a stalla e a carcere per i Cristeros.
Sotto la minaccia della pena di morte gli chiesero di rinnegare la fede in cambio
della libertà, ma egli rispose: "Viva Cristo Re, viva la Madonna di Guadalupe". Sua madre
era straziata dalla pena e dall’angoscia, ma sosteneva suo figlio. Gli spellarono allora le
piante dei piedi e l’obbligarono a camminare per il paese senza scarpe sulla strada selciata
verso il cimitero. Il piccolo piangeva e gemeva di dolore, ma non cedeva. Di tanto in tanto
si fermavano e gli dicevano: «Se gridi, "Muoia Cristo Re" ti salviamo la vita. Dì "muoia Cristo Re"». Ma lui
rispondeva: «Viva Cristo Re». Giunti al cimitero, prima di sparargli, gli chiesero un’ultima volta se voleva
rinnegare la sua fede. Al suo ennesimo rifiuto, lo uccisero. Morì gridando, come molti altri martiri messicani:
«Viva Cristo Re!». Al tragico evento assistettero due bambini, rispettivamente di sette e nove anni, che in
futuro avrebbero fondato delle congregazioni religiose. I resti mortali del beato José Sanchez Del Rio riposano
ancora oggi nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel suo paese natale, divenuta meta di pellegrinaggi.
Il martirio di questa giovane vittima della persecuzione religiosa innescata dalla costituzione
messicana del 1917 fu riconosciuto il 22 giugno 2004 dal beato Giovanni Paolo II e beatificato il 20 novembre
2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, con una solenne cerimonia presieduta dal cardinal José Saraiva
Martins, presso Guadalajara in Messico.
San Cristóbal Magallanes Jara (interpretato da Peter O’Toole)
Nacque a Totaltiche, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara) il 30 luglio 1869. Parroco nella sua terra
natale, sacerdote dalla fede ardente, prudente direttore dei suoi fratelli sacerdoti e pastore pieno di zelo, fu
dedito al miglioramento umano e cristiano dei suoi fedeli. Missionario tra gli indigeni "huichole" e fervente
divulgatore del Rosario. Le vocazioni sacerdotali erano ciò a cui maggiormente si dedicava. Quando i
persecutori della Chiesa chiusero il Seminario di Guadalajara, si offrì di fondare nella sua parrocchia un
Seminario per proteggere i futuri sacerdoti ed ottenne un abbondante raccolto.
Il 25 maggio 1927 venne fucilato a Colotlàn, Jalisco (Diocesi de Zacatecas). Di fronte al carnefice
ebbe la forza di confortare il suo ministro e compagno di martirio, san Agustín Caloca, dicendogli: «Stai
tranquillo, figliolo, solo un momento e poi il cielo». Poi, rivolgendosi alla truppa, esclamò: «Io muoio
innocente e chiedo a Dio che il mio sangue serva per l’unione dei miei fratelli messicani».
Beato Anacleto Gonzalez Flores (interpretato da Eduardo Verástegui)
Fondatore dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM) di Guadalajara, questo
martire della persecuzione religiosa messicana fondò anche l’Unione Popolare, conosciuta come "U",
movimento operaio, femminile, contadino e popolare, dedito alla promozione della catechesi ed oppositore
attivo del governo locale e di quello federale a causa delle misure repressive in materia di libertà religiosa.
Il beato Anacleto González Flores, meglio noto come "il maestro Cleto", fu un leader laico assai
famoso tra il 1915 e il 1927, anno in cui fu ucciso dall’esercito federale. La predicazione in favore del
pacifismo e della non violenza nel periodo della "Guerra Cristera" gli guadagnò l’appellativo di "Gandhi
messicano". Sposato e padre di due figli, era nato a Tepatitlán, Jalisco, il 13 luglio 1888, in condizioni assai
umili, figlio di un tessitore che combatteva contro la dipendenza dall’alcool. Fu seminarista e postulante presso
i seminari di San Juan de los Lagos e Guadalajara. Svolse poi i lavori più disparati, prima di laurearsi
finalmente in Giurisprudenza nel 1921, a 33 anni.
Nel 1925 "il maestro Cleto" ricevette dal pontefice Pio XI la Croce "pro Ecclesia et Pontifice" in
riconoscimento alla sua opera di evangelizzazione a favore dei più bisognosi ed in difesa della religiosità dei
fedeli messicani. Anacleto González Flores tentò di evitare fino all’ultimo di legare l’Unione Popolare alla
Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, che aveva dichiarato guerra al Governo di Calles già dal
1926. Trascinato dagli eventi, dovette tuttavia accettare che la sua organizzazione passasse alla lotta armata,
ma ciò gli costò l’arresto il 31 marzo 1927 e la morte il giorno successivo, venerdì 1° aprile, all’età di 38 anni.
I suoi aguzzini lo appesero per i pollici, dopodiché gli provocarono ferite con la punta della baionetta
affinché rivelasse il nascondiglio dell’arcivescovo di Guadalajara e degli altri leader della rivoluzione cristera.
Infine la baionetta gli penetrò il cuore e spirò. I resti mortali del beato Anacleto riposano nel Santuario di
Guadalupe di Guadalajara, ove accorrono moltissimi fedeli spinti dalla venerazione nei confronti di questo
martire della fede cattolica in Messico.
Cristiada, con un cast eccezionale, ricorda la persecuzione dei cattolici messicani (1926-1929)
I cristeros hanno testimoniato nel martirio la loro fede gridando ‘‘Viva Cristo Re!’’
Pochi, purtroppo, ricordano che nel cuore nero del Novecento il Messico martire offrì una
testimonianza di fede e di fedeltà al Soglio di Pietro pressoché unica al mondo. Dall’inizio del secolo, il
Paese nordamericano era stato squassato da una serie di colpi di Stato inframmezzati a faide politiche che
altro non erano se non “guerre civili” intestine all’unico apparato massonico-laicista costantemente al
potere, che, attraversato pure da inquietanti atmosfere giacobino-nazionalistiche e da forti pulsioni
socialistiche, era rigorosamente definito dall’anticattolicesimo “scientifico”. Nel 1917, del resto - un annus
fatalis - il Messico retto dal despota Venustiano Carranza (1859-1920) giunse persino a darsi una
Costituzione che quell’anticattolicesimo formalizzava positivamente e coscientemente in legge
fondamentale del Paese.
Raccogliendo dunque la tempesta che tale vento aveva da tempo seminato, fu in specie il governo
del generale Plutarco Elías Calles (1877-1945), ennesimo despota, che mirò alla rivoluzione socio-culturale
più compiuta e “globalizzante” da ottenersi attraverso la lotta frontale all’unico, vero grande ostacolo che,
nella pratica e nella quotidianità, ancora aveva il potere di arrestarne la marcia: la Chiesa Cattolica, cioè la
sua gerarchia e il suo popolo di fedeli, generatori di istituti, di società, di storia. In questo quadro, le
insopportabili angherie e le persecuzioni scatenate dal governo contro i cattolici risvegliarono una vera e
propria “Vandea messicana”, disposta anche al sacrificio in armi di sé pur di
difendere il diritto di cittadinanza che spetta alla verità delle cose e a
quell’unico umanesimo autentico che solo la prospettiva cattolica anche
sulla società e sulla politica garantisce per tutti, non cioè solo per i cattolici.
L’insurrezione messicana prese un nome divenuto - in un circolo di
cultori che non hanno rinunciato alla memoria viva - famoso. Si chiamò
“Cristiada”, praticamente una crociata, e i suoi cavalieri dell’ideale,
nobilmente straccioni, furono i “cristeros”. Era infatti così che con
arroganza e saccenza li apostrofavano i nemici, storpiando la dizione
“Cristos Reyes”, cioè i “Cristi-Re”, insomma quella gente che si ostinava a
battersi e a soccombere al grido di «Viva Cristo Re!». Del resto, i cristeros
combatterono indossando l’uniforme del rosario o di un grande crocifisso
appesi al collo, proprio come i loro “avi” in Vandea. E quegli insorti, pur nulla offesi, se ne fecero un vanto
adottando volentieri l’epiteto [...]: come san Paolo insegna che “cristiano” è un “aggettivo di possesso” che
indica “colui che appartiene a Cristo” così cristero indicò chi apparteneva in toto all’unico re, Gesù. Fu una
bandiera, insomma, quel nomignolo; anzi la bandiera, emblema di una concezione diversa dell’agire politico
e dell’organizzare la società, antitetica a quella che li perseguitava.
Nel 1926 i cristeros insorsero e tennero per tre anni, fino al 1929, testa a un nemico
incommensurabile. Irrorarono il suolo del Messico di sangue martire, quello che genera conversioni, santi e
l’unico bene autentico: la memoria corre qui doverosamente almeno al giovane presbitero gesuita Miguel
Agustín Pro (1891-1927), beatificato dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) il 25 settembre 1988, ma i
martiri messicani, laici e consacrati, furono legione. Alla fine sui campi di battaglia ne rimasero un numero
calcolato tra i 70 e gli 85mila.
Dopo quel triennio di sangue, la guerra si fermò pur senza davvero (mai) finire. Né si esaurirono le
cause profonde che l’avevano generata. Il governo era solamente riuscito di fatto a dividere gli avversari e,
complice anche la pavidità di certi vertici cattolici, le armi furono deposte (almeno da una delle parti in
causa, visto che le rappresaglie della vendetta governativa continuarono a mietere vittime).
A quasi un secolo di distanza resta la memoria di un sacrifico immenso: che non è una semplice
consolazione, ma la testimonianza, dura, di una storia gloriosa verso la quale un certo mondo non ha ancora
fatto bene tutti i conti. A partire dagli anni 1960 ne ha raccontato le vicende in modo ancora insuperato lo
storico e sociologo alsaziano Jean Meyer Barth (da non confondere con lo storico francese Jean Meyer, che,
assieme al collega Pierre Chaunu [1923-2009], ha dato impulso alle ricerche sul genocidio vandeano
condotte dallo studioso bretone Reynald Secher). Tra 1973 e 1974 Meyer Barth ha quindi dato alle stampe
una monografia in tre tomi, La Cristiada, continuamente - per fortuna - in edizione (la più recente è uscita a
Buenos Aires nel 2003 per l’editore Siglo XXI), un’opera monumentale di cui in italiano esiste solo una
sintesi - il saggio Quando la storia è scritta dai vincitori. Insurrezione vandeana e rivolta dei cristeros
messicani: due sollevazioni popolari escluse dalla storia ufficiale e dalla memoria nazionale, accolto nel
volume a più mani La Vandea (trad. it., Corbaccio, Milano 1995) - e qualche “reperto” in forma di intervista
giornalistica.
Utilissimi sono dunque due volumi di recenti produzione italiana. Anzitutto “Dio, Patria e libertà!
L’epopea dei Cristeros”, firmato dallo storico militare Alberto Leoni e uscito nella collana “I quaderni del
Timone” (Edizioni Art, Milano 2010, pp. 64, € 6,00), poi il freschissimo di stampa “Cristiada. Messico
martire. Storia della persecuzione” di Luigi Ziliani (Amicizia Cristiana, Chieti 2012, pp. 216, €15,00). Il
libro di Zuliani è un felice reprint di un’opera pubblicata in presa diretta, una cronaca frutto di un viaggiopellegrinaggio effettuato dall’autore, un sacerdote cattolico italiano,
sul posto nel 1928. Don Ziliani (che tra il 1928 e il 1938 tenne in
Italia e in tutta Europa circa 300 conferenze per denunciare il
“dispotismo giacobino-bolscevico” del governo Calles) pubblicò il
proprio reportage esplosivo dapprima con il titolo “Tre mesi nel
Messico Martire” e poi lo trasformò in “Messico martire. Storia
della persecuzione, eroi e martiri di Cristo Re” (Società Editrice S.
Alessandro, Bergamo, 1929). Il testo venne ripubblicato ben 15
volte in 10 anni, dall’edizione del 1933 recò l’approvazione
dell’arcivescovo messicano di Guadalajara, mons. Francisco Orozco
y Jiménez (1864-1936), e diverse altre edizioni postume uscirono
sino all’ultima del 1951. In esso il sacerdote spiegò benissimo come
fu la natura autenticamente popolare del cattolicesimo messicano a
far sì che a quelle latitudini la fede costituisse anche una
irrinunciabile quanto cristallina scelta sociale e politica, che dunque
non poteva per forza di cose essere tollerata dalle forze laiciste in quel frangente al potere nel Paese. Lo
scontro fra le due civiltà antagoniste - quella edificata prendendo sul serio in ogni piega anche della storia
temporale la Rivelazione del Dio che si fa uomo e quella che vorrebbe costruire prescindendo
coscientemente da Dio - fu dunque “naturale”, inevitabile; meraviglierebbe, cioè, se in Messico, date le
premesse, fosse accaduto qualcosa di diverso da una guerra aperta... Perché, una volta fallito il tentativo di
rispondere alla persecuzione sul piano legislativo e dunque legale, non rimase che l’extrema ratio
dell’insurrezione. Non a caso il Messico cristero godette “dell’imprimatur” - caso più unico che raro - della
stessa Santa Sede. Papa Pio XI (1857-1939) dedicò infatti alla persecuzione anticattolica di quello sfortunato
Paese nordamericano non uno ma ben quattro documenti magisteriali, tre dei quali furono nientemeno che
encicliche, oggi opportunamente raccolti nel volume Encicliche sulle persecuzioni in Messico, 1926-1937
(Amicizia Cristiana, 2012, pp. 78, € 7,00).
Il primo fu la lettera apostolica Paterna sane, del 2 febbraio 1926, con cui il pontefice suggeriva
all’episcopato messicano modi concreti per contrastare le leggi anticristiane promosse dal governo di Città
del Messico. La seconda fu la lettera enciclica Iniquis afflitisque, del 18 novembre del medesimo anno, che,
rivolgendosi significativamente alla Chiesa universale, additava la sofferenza del popolo cattolico messicano
a modello di virtù per tutti. Dunque, a guerra finita, il Papa promulgò la lettera enciclica Acerba animi, del
29 settembre 1932, esortando i cattolici messicani a una nuova (forma di) resistenza. Infine venne la lettera
enciclica Firmissimam constantiam, del 28 marzo 1937, la quale persino legittimò (a norma
dell’antichissimo diritto di resistenza all’oppressione tirannica, che il diritto naturale e la dottrina cattolica
contemplano positivamente) l’insurrezione dei cristeros. Solo pochi giorni, anzi ore prima di quest’ultimo
documento “messicano”, rispettivamente il 14 e il 28 marzo, Pio XI aveva promulgato le due storiche
encicliche di scomunica delle ideologie violente più note del secolo XX e in quel momento massimamente
distruttive, ovvero il nazionalsocialismo ateo (e l’eresia del “cristianesimo tedesco”) attraverso l’enciclica
Mit brennender sorge, nonché il socialcomunismo materialistico e altrettanto ateo con l’enciclica Divini
redemptoris. Alla Cattedra sempiterna di Pietro era cioè chiaro il volto che l’anticristianesimo militante, non
certo una novità, assumeva in quel momento: la somma tra i due totalitarismi di massa che avvelenavano
l’Europa e la persecuzione “liberale” americana che divorava il Messico.
Un vero peccato che oggi solo pochi ricordino il fatto dei cristeros. Eppure è un argomento di cui
dovrebbe impossessarsi l’immaginario collettivo. Pensare che nel 2011 vi è stato dedicato persino un film,
Cristiada, con un cast (Andy Garcia, Peter O’Toole, Eduardo Verástegui, Eva Longoria; musiche del
talentuoso James Horner; effetti speciali di chi ha lavorato per i Tolkien cinematografici di Peter Jackson...)
e un budget da vero kolossal, ma che forse nessuno riuscirà a vedere, dato che da mesi e mesi cerca invano
un distributore [...]. Che i poveri cristeros scamiciati e con le pezze alle ginocchia facciano ancora tremare i
potenti del mondo?...
Marco Respinti
I MARTIRI CRISTEROS
I santi e beati proclamati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Nel corso del Novecento, dolorosamente percorso da immani tragedie conseguenza soprattutto del
clima ideologico segnato dall’odio anticristiano, si è verificato anche un episodio ancor oggi poco
conosciuto di martirio. Si trattò di una tremenda persecuzione, che si trascinò poi ancora per
moltissimo tempo dopo il triennio cruento (1926-1929), lasciando effetti duraturi sulla struttura
politica e sociale del Messico, determinando in maniera irreversibile il
destino forse anche dell’intero sub-continente latino-americano. Fu un
conflitto scatenato contro una società contadina, tradizionale, cattolica,
un’aggressione perpetrata da uno Stato autoritario uscito da un processo
rivoluzionario. Sarà papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ad elevare agli
onori degli altari alcuni martiri della persecuzione messicana: sacerdoti e
laici, militanti delle organizzazioni cattoliche, tra cui san Manuel
Morales, presidente della Lega Nazionale per la difesa della libertà
religiosa. Uomini e donne che testimoniarono con coraggio la loro fede
contro un governo che nella propria Costituzione affermava, tra l’altro,
che «L’esistenza di qualsiasi ordine e congregazione religiosa resta
proibito» (art. 5); «ogni culto è proibito fuori delle chiese, e nelle chiese il
culto sarà sempre sottomesso all’ispezione dell’autorità civile» (art. 24);
«le chiese sono proprietà dello Stato. Tutte le associazioni religiose sono
incapaci di acquistare, possedere o amministrare beni immobili».
L’epopea della Cristiada annovera come suoi protomartiri Joaquim Silva e Manuel
Melgarejo, il primo di 27 anni, il secondo di soli 17, entrambi militanti della Gioventù cattolica.
Dopo il provvedimento della sospensione del culto pubblico voluto dai vescovi messicani per
protestare contro le misure del governo, Silva aveva cominciato, insieme all’amico, a percorrere il
paese e a tenere conferenze nelle quali, grazie ad una solida cultura, una fede appassionata e una
concezione della vita come milizia, sapeva accendere gli animi dell’uditorio e spronarlo alla lotta.
Domenica 12 settembre 1925, mentre si dirigevano in treno a Zamora per tenervi uno di questi
incontri, vennero arrestati e condannati a morte senza nemmeno un processo. Inutilmente Silva
chiese che almeno l’amico minorenne fosse risparmiato. Entrambi furono condotti al muro, dove i
soldati non riuscirono a strappare dalle loro mani le corone del Rosario. Di fronte al plotone
d’esecuzione Joaquim Silva tenne un discorso talmente toccante per sentimenti religiosi e patriottici,
che gli stessi soldati ne furono commossi. Uno di essi si rifiutò di prender parte all’esecuzione, così
che venne a sua volta arrestato e passato per le armi il giorno seguente. Joaquim disse con fermezza
al comandante: «Non siamo dei criminali, né abbiamo paura della morte. lo stesso vi darò il segnale
di sparare, quando griderò viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe». Così avvenne: al grido di
battaglia e di vittoria lanciato dai due giovani partì la scarica di fucileria che li abbatté. I corpi dei
due eroi furono esposti più tardi nel cimitero: stringevano ancora tra le mani i rosari, e furono
rivestiti di bianche vesti, dopo che i loro abiti insanguinati erano stati divisi in frammenti, come
reliquie, tra i fedeli del paese.
Tra i martiri si poterono annoverare anche amministratori pubblici, come Luis Navarro
Origel, il sindaco terziario francescano della città di Peniamo, fondatore nella sua regione
dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, di società di mutuo soccorso, casse rurali, sezioni della
Gioventù Cattolica, circoli culturali, scuole di catechismo, propagatore instancabile dell’adorazione
eucaristica notturna. Dopo quattro anni di amministrazione corretta e vantaggiosa per la popolazione,
venne destituito di forza dal governo, prima di essere assassinato.
Un’altra figura commovente della persecuzione fu Tomàs de la Mora, di Colima, un ragazzo
di soli sedici anni, uno dei più attivi membri del locale Circolo Cattolico, che svolgeva l’attività di
catechista tra i bambini più poveri. Il 15 agosto 1927 fu arrestato per il semplice motivo che portava
uno scapolare, ossia un pezzo di stoffa con una immagine sacra, simbolo di una confraternita
religiosa. Il comandante della caserma gli domandò se avesse rapporti con "i fanatici", ovvero preti,
frati, cattolici e briganti. «Non fanatici – rispose il ragazzo – ma liberatori della Chiesa e della Patria
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dai tiranni». Tomàs fu allora frustato, affinché fornisse informazioni sui ribelli, ma fu tutto inutile. Il
comandante ordinò allora che venisse impiccato all’Albero della libertà che era stato eretto, cupo
retaggio della Rivoluzione Francese, nella piazza principale della città.
Un esempio di eroismo femminile è quello di Eleonora Garduno, arrestata per complicità coi
ribelli. Interrogata dal generale Ortiz, uno dei principali collaboratori di Calles, che aveva per motto
"Il mio dio è il diavolo", la cui figura portava tatuata sul petto, ricevette dal militare l’offerta della
scarcerazione, in cambio di una docile collaborazione. La ragazza rispose: «Lei mi chiede una cosa
impossibile: io continuerò a lavorare finché questo governo cadrà». Anche lei finì davanti al plotone
d’esecuzione.
Quando portarono alla moglie dell’avvocato Gonzales, una delle guide dell’insurrezione, il
cadavere straziato del marito, la donna chiamò vicino i figli e disse: «Guardatelo, è vostro padre. È
un martire della Fede. Promettetegli che anche voi sarete degni figli e continuerete un giorno la sua
opera».
Accanto a questi uomini, donne e ragazzi, occorre ricordare il tanto sangue sacerdotale
versato. Furono centinaia i sacerdoti uccisi: poveri parroci di villaggio, giovani strappati dal
seminario (con l’intenzione di "liberarli"!) monaci uccisi nei loro conventi. Fra di essi il più celebre è
senz’altro il beato padre Miguel Augustin Pro, gesuita, di Guadalupe, assassinato a soli trentasette
anni nel 1927, riconosciuto come martire dalla Chiesa il 25 settembre 1988. Ma non solo lui.
Il beato padre Elia Nieves, agostiniano: nonostante il divieto, continuò a esercitare il suo
ministero, recandosi ovunque era necessario confortare, aiutare, amministrare i sacramenti. La
polizia, venuta a conoscenza dei fatti, lo fece pedinare e arrestare mentre, in una soffitta, celebrava la
Messa. Condannato a morte, venne condotto sul luogo dell’esecuzione. Dopo essersi inginocchiato a
pregare, si rivolse ai soldati del plotone di esecuzione: «In ginocchio, figli miei. Prima di morire
voglio darvi la mia benedizione». I soldati obbedirono e si
inchinarono riverenti al gesto del sacerdote. Mentre padre Nieves
tracciava il segno di croce, l’ufficiale che comandava il picchetto,
infuriato, gli sparò al petto, uccidendolo mentre ancora benediva.
A volte gli aguzzini si divertivano a infierire sui sacerdoti
senza ucciderli; venivano loro tagliate le braccia per impedire che
in futuro potessero celebrare la Messa. Don Pablo Garcia subì una
sorte atroce: parroco zelante, anch’egli sfidava le leggi e ogni pericolo. Volle celebrare con grande
solennità la festa nazionale di Nostra Signora di Guadalupe e il 12 dicembre raccolse il suo popolo in
un luogo solitario sulla montagna di S. Juan de los Lagos. Scoperto, arrestato, venne orribilmente
torturato per giorni. «La morte, ma mai tradire» ripeteva il sacerdote, finché fu finito a colpi di
pistola.
San David Uribe, annoverato nel gruppo di martiri canonizzati da papa Giovanni Paolo II, fu
strappato al suo gregge, dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Riuscì tuttavia
ad evadere e tornò alla sua parrocchia di Iguala, continuando ad esercitare, in forma clandestina, il
suo ministero. Finì per essere nuovamente arrestato. Il generale governativo Castrejon propose ai
parrocchiani di riscattare il sacerdote consegnando tremila pesos. Furono raccolti immediatamente, a
costo anche di enormi sacrifici, ma il parroco non fu rilasciato: si pretendeva da lui un pubblico atto
di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica. Pabre Uribe rifiutò decisamente e fu
allora sottoposto a lunghe torture, tra le quali il supplizio della graticola. La Domenica delle Palme
del 1927 spirò dopo i terribili tormenti subiti. Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che
rinnegare il Vicario di Cristo, lo amo il Papa! Viva il Papa!». Il suo corpo, gettato per strada, venne
raccolto e gli fu data sepoltura con grandi onori.
Paolo Gulisano
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BEATIFICAZIONE DEL 25 SETTEMBRE 1988
Beato Miguel Agustin Pro, Sacerdote, 23 novembre
BEATIFICAZIONE DEL 12 OTTOBRE 1997
Beato Elia del Soccorso (Matteo Nieves), Sacerdote, 10 marzo
CANONIZZAZIONE DEL 21 MAGGIO 2000
San Cristobal Magallanes Jara, Sacerdote, 25 maggio
San Roman Adame Rosales, Sacerdote, 21 aprile
San Rodrigo Aguilar Aleman, Sacerdote, 28 ottobre
San Julio Alvarez Mendoza, Sacerdote, 30 marzo
San Luis Batis Sainz, Sacerdote, 15 agosto
Sant’Agustin Caloca Cortes, Sacerdote, 25 maggio
San Mateo Correa Magallanes, Sacerdote, 6 febbraio
Sant’Atilano Cruz Alvarado, Sacerdote, 1 luglio
San Miguel De La Mora De La Mora, Sacerdote, 7 agosto
San Pedro Esqueda Ramirez, Sacerdote, 22 novembre
San Margarito Flores Garcia, Sacerdote, 12 novembre
San Jose Isabel Flores Varela, Sacerdote, 21 giugno
San David Galvan Bermudez, Sacerdote, 30 gennaio
San Salvador Lara Puente, Laico, 15 agosto
San Pedro de Jesus Maldonado Lucero, Sacerdote, 11 febbraio
San Jesus Mendez Montoya, Sacerdote, 5 febbraio
San Manuel Morales, Laico, 15 agosto
San Justino Orona Madrigal, Sacerdote, 1 luglio
San Sabas Reyes Salazar, Sacerdote, 13 aprile
San Jose Maria Robles Hurtado, Sacerdote, 26 giugno
San David Roldan Lara, Laico, 15 agosto
San Toribio Romo Gonzalez, Sacerdote, 25 febbraio
San Jenaro Sanchez Delgadillo, Sacerdote, 17 gennaio
San David Uribe Velasco, Sacerdote, 12 aprile
San Tranquilino Ubiarco Robles, Sacerdote, 5 ottobre
BEATIFICAZIONE DEL 20 NOVEMBRE 2005
Beato Anacleto Gonzalez Flores, Laico, 1 aprile
Beato José Dionisio Luis Padilla Gómez, Laico, 1 aprile
Beato Jorge Ramon Vargas González, Laico, 1 aprile
Beato Ramón Vicente Vargas González, Laico, 1 aprile
Beato José Luciano Ezequiel Huerta Gutiérrez, Laico, 3 aprile
Beato José Salvador Huerta Gutiérrez, Laico, 3 aprile
Beato Miguel Gómez Loza, Laico, 21 marzo
Beato Luis Magaña Servin, Laico, 9 febbraio
Beato José Sanchez Del Rio, Laico, 10 febbraio
Beato Andrés Sola Molist, Sacerdote, 25 aprile
Beato José Trinitad Rangel Montano, Laico, 25 aprile
Beato Leonardo Pérez Larios, Laico, 25 aprile
Beato Dario Acosta Zurita, Sacerdote, 25 luglio
SERVI DI DIO
- Aurelio de la Vega Velazquez (Junipero) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
- Adrian Martinez Gil (Humilde) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
- David Perez Rojas (José) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
- Andrés Galindo Chierico dell’arcidiocesi di Guadalajara
- Miguel Flores de la Cruz Diacono dell’arcidiocesi di Guadalajara
- Rafael Encarnacion Acevedo Saavedra Laico sposato dell’arcidiocesi di Antequera
- Jesus Vicente Acevedo Vega Seminarista della diocesi di Veracruz
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MARTIRI MESSICANI – GLORIA DELLA CHIESA UNIVERSALE
I martiri messicani non sono solo gloria della Chiesa messicana, ma soprattutto della Chiesa universale,
perché hanno seguito le orme di Gesù morto in croce. Questi santi e beati, sono prima di tutto sacerdoti, e
sono stati uccisi a causa dell’esercizio del loro ministero, coscienti delle circostanze persecutorie contro la
Chiesa del Messico. Ci sono anche tre giovani entusiasti e profondamente impegnati nel lavoro pastorale
del loro parroco, che hanno accompagnato nell’esercizio del ministero della Parola durante la loro vita, e
nel sacrificio supremo della morte.
Non sono stati alcuni soltanto i difensori della Chiesa e della libertà, ma tutta la Nazione Messicana ha
reso la testimonianza eloquente e silenziosa del suo sangue sparso per Cristo Re. Presentiamo in
particolare la vita del Parroco san Pedro Maldonado assieme al gruppo di 25 martiri, dei quali 22 furono
presbiteri diocesani e 3 generosi giovani della Gioventù dell’Azione Cattolica Messicana.
Il motivo della pubblicazione di queste vite esemplari è quello di sentire che ci sono ancora delle persone
che con grande spirito di carità offrono la vita per gli uomini e per Dio. La Chiesa e il mondo ha bisogno
di santità, santità in tutti gli stati di vita e cioè i giovani, gli sposati, i religiosi ed i sacerdoti.
Chiediamo al Signore per l’intercessione e l’esempio di questi martiri che ci aiuti ad affrontare con più
gioia e fortezza le difficoltà della nostra vita, essendo ogni giorno più convinti che possiamo essere santi,
che oggi ci sono dei santi.
San Róman Adame Rosales
Nacque a Teocaltiche, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes) il 27 febbraio 1859. Parroco di Nochistlàn,
Zacatecas (Arcidiocesi di Guadalajara). Sacerdote profondamente umile. Non si lamentò mai di fronte al
dolore diceva con serenità: «Sia fatta la volontà di Dio». Si occupò di catechesi, missioni popolari,
costruzione di cappelle affinché i fedeli avessero vicino il Santissimo Sacramento. Aiutò gli ammalati e
cercò di educare i bambini. Queste furono le principali attività del suo ministero parrocchiale. Durante la
persecuzione, in segreto continuò ad amministrare i sacramenti. Fu individuato il suo nascondiglio e di
notte venne fatto prigioniero. Giunto il momento dell’esecuzione, il giorno 21 aprile 1927, con un gesto di
bontà cercò di salvare il soldato che, renitente, sarebbe stato anche lui fucilato. Poi deciso e irremovibile
ma umilmente, consegnò la sua vita
San Rodrigo Aguilar Aleman
Nacque a Sayula, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 13 marzo 1875. Parroco di Unión de Tula,
Jalisco (Diocesi di Autlán). Sacerdote e poeta molto sensibile sia di cuore che di fede. Consacrò il suo
sacerdozio alla Santissima Vergine di Guadalupe. Con tutto il suo cuore implorò: «O Signore, da’ a noi la
grazia di patire in nome tuo, di confermare la nostra fede con il nostro sangue e coronare il nostro
sacerdozio con il martirio "Fiat voluntas tuas!"». Per questo, quando dovette abbandonare la sua
parrocchia e nascondersi nel paese di Ejutla, Jalisco e giunsero le truppe federali ad arrestarlo, il suo volto
era splendente di pace e di gioia, e si accomiatò dicendo:
«Ci vediamo in cielo». All’alba del 28 ottobre 1927 lo condussero sulla piazza di Ejutla. Agganciarono un
cappio ad un grosso ramo di albero di mango e lo posero al collo del sacerdote. Poi vollero provare la sua
forza e con arroganza gli chiesero: «Chi acclami?». La valorosa risposta fu: «Cristo Re e Santa Maria di
Guadalupe!». Allora la corda venne tirata con forza ed il signor parroco Aguilar restò appeso. Si fece
nuovamente scendere e di nuovo gli chiesero: «Chi acclami?». E per la seconda volta, con voce sicura
rispose: «Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!». Un nuovo identico supplizio e quindi, per la terza volta
la stessa domanda: «Chi acclami?». Il martire agonizzante, sussurrando rispose: «Cristo Re e Santa Maria
di Guadalupe!».
San Julio Álvarez Mendoza
Nato a Guadalajara, Jalísco, il 20 dicembre 1866. Parroco di Mechoacanejo, Jalisco (Diocesi di
Aguascalientes). In questo luogo trascorse tutta la vita sacerdotale. Parroco affettuoso, padre ed amico dei
bambini, povero che visse tra i poveri, sacerdote semplice. Insegnò alcuni piccoli lavori affinché la gente
potesse sopravvivere. Aveva imparato il mestiere di sarto e ciò gli servì per cucire vestiti a quanti erano in
necessità. Amò come un figlio la Santissima Vergine di Guadalupe. Dedito al suo ministero di parroco di
campagna, mentre percorreva una strada di campagna, fu riconosciuto come sacerdote e arrestato dai
membri dell’esercito. A questo punto iniziò il suo cammino verso il martirio. Venne condotto tra mille
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difficoltà a Villa Hidalgo, Jalisco, a Aguascalientes, a León, Guanajuato ed infine a San Julián, Jalisco. Il
30 marzo 1927 fu posto su un cumulo di spazzatura per essere fucilato e disse dolcemente: «Sto per
morire innocente. Non ho fatto nessun male. Il mio delitto è quello di essere ministro di Dio. Io vi
perdono». Incrociò le braccia ed attese la scarica.
San Luis Batis Sáinz
Nacque a San Miguel Mezquital, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango) il 13 settembre 1870. Parroco di San
Pedro Chalchihuites, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango). Sacerdote zelante in tutte le sue attività ebbe
una particolare attenzione verso i giovani. Per loro fu una guida ed un padre affettuoso che, in modi
diversi, li faceva crescere sia spiritualmente che culturalmente e li aiutava a superare se stessi perfino in
campo materiale. In modo speciale seppe infondere nella gioventù lo spirito dell’eroismo cristiano per
professare la fede. Erano appena trascorsi quindici giorni dalla soppressione del culto pubblico, ordinata
dai Vescovi, quando venne preso prigioniero. Quando gli venne comunicato che lo cercavano, disse:
«Che si faccia la volontà di Dio, se Lui lo desidera io sarò uno dei martiri della Chiesa!». Il giorno
seguente, il 15 agosto 1926, fu condotto, insieme ai suoi più vicini collaboratori nell’apostolato, san
Manuel Morales, san Salvador Lara e san David Roldán, nella zona conosciuta come "Porto di Santa
Teresa". Il Signor Parroco san Luis Batis e san Manuel Morales furono portati in strada per essere fucilati.
Allora il sacerdote intercedette per il suo compagno san Manuel ricordando ai carnefici che aveva moglie
e figli. Fu tutto inutile e il parroco, con il suo caratteristico sorriso buono, assolse il suo compagno e gli
disse: «Arrivederci in cielo». Pochi secondi dopo si consumava il suo martirio nel giorno della festa della
Assunzione della Vergine Santissima.
Sant’Augustín Caloca Cortés
Naque a San Juan Bautista de Teúl, Zacatecas (Arcidiocesi di Guadalajara), il 5 maggio 1898.
Cooperatore nella parrocchia dì Totatiche e prefetto del Seminario Ausiliare sito nello stesso paese, fu un
esempio di purezza sacerdotale. Dopo aver aiutato i seminaristi a fuggire, fu fatto prigioniero e condotto
nella stessa prigione nella quale si trovava il suo parroco, san Mateo Correa Magallanes. Un militare,
commosso per la sua giovane età, gli offrì la libertà. Lui l’avrebbe accettata solo se veniva concessa anche
al parroco. Di fronte al plotone di esecuzione, l’atteggiamento e le parole del suo parroco lo colmarono di
forza, tanto che esclamò: «Grazie a Dio viviamo e per Lui moriamo». Il 25 maggio 1927 venne fucilato a
Colotlán, Jalisco (Diocesi de Zacatecas). Di fronte al carnefice ebbe la forza di confortare il suo ministro
e compagno di martirio, che lo consolò, dicendogli: «Stai tranquillo, figliolo, solo un momento e poi il
cielo». Dopo, rivolgendosi alla truppa, esclamò: «Io muoio innocente e chiedo a Dio che il mio sangue
serva per l’unione dei miei fratelli messicani».
San Mateo Correa Magallanes
Nacque a Tepechitlán (Diocesi di Zacatecas) il 23 luglio 1866. Parroco di Valparaiso (Diocesi di
Zacatecas). Il Padre Mateo svolse fedelmente tutti gli incarichi sacerdotali: evangelizzare e servire i
poveri, ubbidire al suo Vescovo, unirsi a Cristo Sacerdote e Vittima, specialmente diventando martire a
motivo del sigillo sacramentale. Continuamente perseguitato e imprigionato varie volte, fu catturato
nuovamente mentre andava ad aiutare una persona ammalata. Lo tennero in carcere alcuni giorni a
Fresnillo, Zacatecas, quindi venne condotto a Durango. Il generale gli chiese di confessare alcuni
prigionieri e di riferire poi ciò che aveva appreso in confessione, altrimenti lo avrebbe ucciso. II signor
Parroco Correa rispose con dignità: «Lei può farlo, ma sappia che un Sacerdote deve saper conservare il
segreto della confessione. Sono disposto a morire». Fu fucilato in un campo, nei dintorni della città di
Durango, il 16 febbraio 1927 e così quel parroco mite e pronto al sacrificio iniziò la sua vera vita.
Sant’Atilano Cruz Alvarado
Nacque ad Ahuetita de Abajo, appartenente alla parrocchia di Teocaltiche, Jalisco (Diocesi de
Aguascalientes) il 5 ottobre 1901. Sacerdote al servizio della parrocchia di Cuquío, Jalisco. Venne
ordinato sacerdote, quando questo era considerato il maggior delitto che poteva commettere un
messicano. Ma lui, con una gioia che sprizzava da tutti i pori, stese le sue mani affinché fossero
consacrate sotto il cielo azzurro dello Stato di Jalisco in un dirupo vicino al quale si nascondevano sia
l’Arcivescovo che il Seminario. Undici mesi dopo il tranquillo ed allegro sacerdote, mentre esercitava,
come poteva, il suo ministero, venne chiamato dal suo parroco il signor Curato Justino Orona. Obbediente
si avviò verso il "Rancho de las Cruces", luogo che sarebbe stato il suo calvario. Poco prima aveva
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scritto: «Nostro Signore Gesù Cristo ci invita ad accompagnarlo nella passione». Mentre dormiva
giunsero le forze militari e le autorità civili. Il Padre Atilano udendo la scarica che troncò la vita al
proprio superiore, si inginocchiò sul letto ed attese il momento del suo sacrificio. Lui venne fucilato,
dando prova della sua fedeltà a Cristo Sacerdote, all’alba del 1° luglio 1928.
San Miguel De La Mora De La Mora
Nacque a Tecalitlán, Jalisco (Diocesi di Colima) il 19 giugno 1878. Cappellano della Cattedrale di
Colima. Sacerdote semplice, modesto, ordinato, puntuale, fu particolarmente caritatevole con i poveri e
pronto a servire tutti. Colima fu il primo Stato della Repubblica Messicana che richiese l’iscrizione dei
sacerdoti per poter svolgere il sacerdozio. Sia il Vescovo che i suoi sacerdoti protestarono ribadendo che
avrebbero patito qualsiasi cosa prima di tradire la loro fede e la fedeltà alla Chiesa. La risposta del
governo fu quella di processare ed allontanare tutti i sacerdoti. Padre Miguel, come altri, cercò di
nascondersi per poter prestare aiuto ai fedeli. Fu scoperto e minacciato di essere imprigionato a vita se
non apriva al culto la Cattedrale, contro le disposizioni del Vescovo. Di fronte alle pressioni del governo
militare preferì andare via dalla città. Per la strada fu arrestato e condotto di fronte al generale, che lo
condannò alla fucilazione. Camminò in silenzio fino al luogo indicatogli e, come proclama della sua fede
e del suo amore a Maria Santissima, tirò fuori il suo rosario, iniziò a pregare e con questo in mano, cadde
ucciso dai proiettili. Era mezzogiorno del 7 agosto 1927.
San Pedro Esqueda Ramírez
Nacque a San Juan de los Lagos, Jalisco (Diocesi de San Juan de los Lagos) il 29 aprile 1887. Vicario di
San Juan de los Lagos, si dedicò con particolare cura e con vera passione alla catechesi dei bambini.
Fondò vari centri di studio ed una scuola per la formazione catechistica. Nutrì grande devozione al
Santissimo Sacramento. Nel mezzo della persecuzione organizzò una veglia perenne a Gesù Sacramentato
con le varie famiglie. Nel momento in cui fu incarcerato fu malmenato così duramente che gli si aprì una
ferita sul volto. Un militare, dopo averlo colpito, gli disse: «Ora sarai pentito di esser stato sacerdote», ed
a ciò rispose dolcemente Padre Pedro: «No, neppure un attimo, e mi manca poco per vedere il cielo». Il
22 novembre 1927 lo portarono fuori dal carcere per giustiziarlo; i bambini lo circondarono e il Padre
Esqueda ripeté con insistenza ad un piccolo che camminava al suo fianco: «Non tralasciare di studiare il
catechismo, né per alcun motivo tralascia la dottrina cristiana». Su un foglio di carta annotò le sue ultime
raccomandazioni per le catechiste. Quando giunsero nella periferia del paese di Teocaltitlán, Jalisco, gli
spararono tre colpi che cambiarono la sua vita terrena in eterna.
San Margarito Flores García
Nacque a Taxco, Guerrero (Diocesi di Chilapa) il 22 febbraio 1899. Parroco di Atenango del Río,
Guerrero (Diocesi di Chilapa). I tre anni trascorsi nel ministero furono sufficienti per conoscere la sua
indole sacerdotale. Si trovava fuori della Diocesi, a causa della persecuzione, quando venne a conoscenza
della morte eroica del signor Parroco David Uribe, e professò queste parole: «Mi ribolle l’anima, anch’io
finirò con il dar la vita per Cristo; chiederò il permesso al Superiore ed inizierò il volo verso il martirio».
Il Vicario generale della Diocesi lo nominò vicario con funzioni di parroco di Atenango del Río,
Guerrero. Il Padre Margarito si mise all’opera. Fu scoperto e identificato come sacerdote, quando stava
per giungere alla meta; fu imprigionato e condotto a Tulimán, Guerrero, luogo in cui venne dato l’ordine
di fucilarlo. Il Padre Margarito chiese il permesso di pregare, si inginocchiò per qualche secondo, baciò il
suolo e quindi, in piedi, attese gli spari che gli distrussero la testa e lo unirono per sempre a Cristo
Sacerdote, il giorno 12 novembre 1927.
San José Isabel Flores Varela
Nacque a Santa Maria de la Paz, della parrocchia di San Juan Bautista del Teúl, Zacatecas (Arcidiocesi di
Guadalajara) il 28 novembre 1866. Cappellano di Matatlán, della parrocchia di Zapotlanejo, Jalisco
(Arcidiocesi di Guadalajara). Per 26 anni diffuse la carità del suo ministero in quella cappellania,
mostrandosi a tutti come un padre affettuoso che li edificò con la sua abnegazione e con la sua povertà, il
suo spirito di sacrificio, la sua pietà e la sua sapienza. Un vecchio compagno che era stato protetto da
Padre Flores, lo denunciò al capo di Zapotlanejo e venne incarcerato il 18 giugno 1927, quando stava
dirigendosi verso una fattoria per celebrare l’Eucaristia. Fu nascosto in un luogo sporco, tenuto
prigioniero e maltrattato; il capo gli faceva ascoltare musica e gli diceva: «Ascolta questa bella musica; se
firmi accettando le leggi, ti lascio libero». Senza scomporsi, il martire disse: «Io ascolterò una musica
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migliore in cielo». Padre José Isabel ripeté più volte: «Preferisco morire piuttosto che deludere Dio». Il 21
giugno 1927 venne condotto, di notte, nel camposanto di Zapotlanejo per l’esecuzione. Cercarono di
ucciderlo impiccandolo ma non vi riuscirono. Il capo ordinò di sparare, ma un soldato riconobbe in lui il
sacerdote che lo aveva battezzato e non volle farlo; infuriato l’aguzzino assassinò il soldato.
Misteriosamente le armi non spararono contro Padre Flores, e quindi, uno di quegli assassini tirò fuori un
grosso coltello e recise la gola del valoroso martire.
San David Galván Bermudes
Nacque a Guadalajara, Jalisco il 29 gennaio 1881. Professore nel Seminario di Guadalajara. La sua
grande carità verso i poveri e gli operai lo spinsero ad organizzare ed aiutare il gruppo dei calzolai, lavoro
che effettuò a fianco di suo padre. Strenuo difensore della santità del matrimonio aiutò una ragazza
perseguitata da un militare, che, già coniugato, desiderava contrarre matrimonio con lei. Questo fatto
procurò al Padre Galván l’inimicizia del tenente che, alla fine, divenne il suo giustiziere. Il 30 gennaio
1915 mentre cercava di aiutare spiritualmente i soldati feriti in un combattimento avvenuto a Guadalajara,
fu fatto prigioniero. Mentre era in attesa dell’esecuzione il suo compagno di prigionia gli comunicò che
non avevano fatto colazione ed il Padre Galván gli disse tranquillamente: «Oggi andremo a pranzare con
Dio». E, di fronte a coloro che erano incaricati di giustiziarlo, mostrò il petto per ricevere le pallottole.
San Salvador Lara Puente
Nacque nel paese di Berlín, Durango, appartenente alla parrocchia di Súchil (Arcidiocesi di Durango) il
13 agosto 1905. Salvatore era giovane, nel pieno degli anni, alto e robusto, dedito allo sport della
charrería; educato e dai modi distinti con tutti; rispettoso ed affettuoso con sua madre che era vedova;
onesto e responsabile come impiegato in una ditta mineraria. Viveva la sua fede con purezza e si dedicava
all’apostolato come militante nell’Azione Cattolica della Gioventù Messicana. Quando giunsero i soldati
per arrestarlo, insieme a san Manuel e san David, rispose quando venne chiamato: «Sono qui». Camminò
sorridente, come sempre, insieme al suo compagno e cugino Davide fino al luogo indicatogli per essere
fucilato. Si erano appena resi conto che il parroco, il san Luis Batis e il suo amico san Manuel Morales
erano stati fucilati. Pregando a voce bassa san Salvador ricevette una scarica che gli causò delle ferite
dalle quali uscì il suo sangue di martire e si scoprì la sua grandezza di cristiano.
San Jesús Méndez Montoya
Nacque a Tarímbaro, Michoacán (Arcidiocesi di Morelia) il 10 giugno 1880. Vicario di Valtierrilla,
Guanajuato (Arcidiacesi di Morelia). Fu un sacerdote che dedicò completamente se stesso agli altri, e non
lesinò mezzi per intensificare la vita cristiana tra i suoi fedeli. Si sottopose a confessare per lunghe ore e
da queste confessioni uscivano cristiani convertiti o anelanti a maggiore perfezione grazie ai suoi giusti
consigli. Viveva con le famiglie povere, era un catechista ed una guida per gli operai e per i contadini; un
solerte maestro di musica che riuscì ad organizzare un nutrito coro per le celebrazioni. Il 5 febbraio 1928
le forze federali cercarono di reprimere un gruppetto di praticanti e si diressero verso l’abitazione in cui si
nascondeva il Padre Jesús, che cercò di salvare una pisside contenente Ostie consacrate. Notato dai soldati
chiese loro che gli venisse concesso un attimo per poter consumare il Santissimo Sacramento; gli venne
concesso. Successivamente con dolcezza si avvicinò ad una sorella e le disse: «È la volontà di Dio. Che si
compia la sua volontà». I soldati lo condussero a pochi metri dal tempio, fuori dell’atrio, e lo
sacrificarono con tre colpi d’arma da fuoco. Il sacerdote che seppe valorizzare le sue doti umane e la sua
conoscenza di Dio per far amare Gesù Cristo, con il suo sangue proclamò il suo grande amore a Cristo
Re.
San Manuel Morales
Nacque a Mesillas, Zacatecas, appartenente alla parrocchia Sombrerete, Zacatecas (Arcidiocesi di
Durango) il giorno 8 febbraio 1898. Cristiano di un solo pezzo: sposo fedele, padre affettuoso con i suoi
tre figli piccoli, buon lavoratore, laico dedito all’apostolato della sua parrocchia e all’intensa vita
spirituale alimentata dall’Eucaristia. Membro dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana e
presidente della Lega Nazionale in Difesa della Libertà Religiosa, associazione che, con mezzi pacifici,
cercava di ottenere l’abolizione delle empie leggi. Il giorno 15 agosto 1926 quando venne a conoscenza
che il signor Parroco san Luis Batis era stato incarcerato si mosse per andare ad intercedere per la sua
libertà. Aveva appena riunito un gruppo di giovani per decidere sul da farsi, quando si presentò una
truppa ed il capo gridò: «Manuel Morales!». Manuel fece un passo avanti e con molto garbo si presentò:
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«Sono io, a sua disposizione!». Lo insultarono ed iniziarono a colpirlo con ferocia. Fu portato fuori dalla
città insieme al signor Parroco, e quando udì che questi chiedeva grazia per la sua vita, considerando che
aveva famiglia, con audacia disse:
«Signor Parroco, io muoio, ma Dio non muore. Lui si occuperà di mia moglie e dei miei figli». Poi si
sollevò ed esclamò: «Viva Cristo Re e la Vergine di Guadalupe!». La testimonianza della sua vita restò
firmata con il suo sangue di martire.
San Justino Orona Madrigal
Nacque a Atoyac, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 14 aprile 1877. Parroco di Cuquío, Jalisco
(Arcidiocesi di Guadalajara). Fondatore della Congregazione religiosa delle Sorelle Clarisse del Sacro
Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre si mantenne cortese e generoso. Una volta scrisse:
«Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, con certezza possono salire al cielo». Quando
la persecuzione divenne più pesante rimase tra i suoi fedeli dicendo: «Io resterò tra i miei, vivo o morto».
Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, il Padre san Atilano Cruz, una
speciale azione pastorale, da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una casa
del "Rancho de Las Cruces", vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali ed
il presidente municipale de Cuquío irruppero violentemente nel rancho e colpirono la porta della stanza in
cui dormivano. San Justino Orona aprì e con voce forte salutò il giustiziere: «Viva Cristo Re!». La
risposta fu una pioggia di pallottole.
San Sabas Reyes Salazar
Nacque a Cocula, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara) il 5 dicembre 1883. Vicario a Tototlán, Jalisco
(Diocesi di San Juan de los Lagos). Semplice e fervente aveva una speciale devozione per la Santissima
Trinità. Invocava frequentemente anche le anime del purgatorio. Si interessò molto della formazione dei
bambini e dei giovani, tanto nella catechesi come nell’insegnamento delle scienze, arti e mestieri,
soprattutto nella musica. Affabile e dedito al suo ministero. Esigeva molto rispetto per tutto ciò che si
riferiva al culto e desiderava che si eseguissero prontamente tutti gli incarichi. Durante il periodo più
pericoloso per i sacerdoti, quando gli si consigliava di lasciare Tototlán, lui replicava: «Mi hanno lasciato
qui e qui attendo. Vediamo che cosa dispone Iddio». Nella Settimana Santa del 1927 giunsero le truppe
federali e i proprietari di terre cercando il signor Parroco Francisco Vizcarra ed i suoi ministri. Trovarono
solo Padre Reyes e su lui riversarono tutto il loro odio. Lo presero, lo legarono con forza ad una colonna
del tempio parrocchiale, lo torturarono per tre giorni con la fame e la sete e, con inqualificabile sadismo,
gli bruciarono le mani. Il 13 aprile 1927, Mercoledì Santo, venne condotto al cimitero. Finirono di
ucciderlo, ma, prima di morire, più con l’anima che con la voce, il sacerdote martire riuscì a gridare:
«Viva Cristo Re!».
San José María Robles Hurtado
Nacque a Mascota, Jalisco (Diocesi di Tepic) il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán, Jalisco, e
fondatore della Congregazione religiosa delle Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato. Fervido apostolo
della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative. Poco prima di essere ucciso,
scrisse in una poesia i suoi ultimi desideri: «Desidero amare il tuo Cuore, / Gesù mio, con partecipazione
totale, / desidero amarlo con passione, / desidero amarlo fino al martirio. / Con l’anima ti benedico, / mio
Sacro Cuore; / dimmi: Si arriva all’attimo / della felice ed eterna unione?».
Nella sierra di Quila, Jalisco (Diocesi di Autlán), venne appeso ad un albero il 26 giugno 1927.
San David Roldán Lara
Nacque a Chalchihuites, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango) il 2 marzo 1902. Orfano di padre, quando
era molto piccolo, fu per la madre un figlio buono ed affettuoso. Per i suoi fratelli fu come un padre. I
suoi amici lo stimavano per la sua allegria e per la generosità; i suoi compagni di lavoro per la bontà e
comprensione. Per il proprietario dell’impresa mineraria, in cui lavorava, fu impiegato attento, onesto e
lavoratore. Per la sua fidanzata, fu giovane tutto di un pezzo e sincero. Condivideva con il suo Parroco, il
signor Curato san Luis Batis, i problemi dell’apostolato, come membro dell’Azione Cattolica della
Gioventù Messicana, le angustie della situazione in cui si trovava la Chiesa e le aspirazioni di essere
fedele a Cristo fino al martirio. Dato che era unito dagli stessi ideali del suo amico san Manuel Morales e
di suo cugino san Salvador Lara, fu con essi imprigionato e quindi giustiziato. A pochi metri dal luogo
dove furono martirizzati il signor Curato san Luis Batis e san Manuel. Senza impaurirsi percorse
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serenamente gli ultimi passi sulla terra che lo separavano dal cielo e venne ucciso insieme al cugino san
Salvador. Quel 15 agosto 1926, il sole allo zenit, la vita in fiore e il supremo amore di Cristo si unirono
nel martirio di san David.
San Toribio Romo González
Nacque a Santa Ana de Guadalupe, appartenente alla parrocchia di Jalostotitlán, Jalisco, (Diocesi di San
Juan de los Lagos) il 16 aprile del 1900. Vicario con funzioni di parroco a Tequila, Jalisco (Arcidiocesi di
Guadalajara). Sacerdote dal cuore sensibile e di assidua orazione. Profondamente preso dal mistero
dell’Eucaristia chiese molte volte: «Signore non mi lasciare nemmeno per un giorno senza dire la Messa,
senza abbracciarti nella Comunione». In occasione di una Prima Comunione, tenendo l’Ostia Sacra nelle
sue mani disse: «Signore, accetteresti il mio sangue che ti offro per la pace della Chiesa?». Mentre si
trovava ad Aguascalientes, luogo vicino a Tequila, che serviva come rifugio e centro del suo apostolato,
volle aggiornare i registri parrocchiali. Lavorò tutto il giorno del venerdì ed anche la notte. Alle cinque
del mattino di sabato 25 febbraio 1928, volle celebrare l’Eucaristia ma, sentendosi molto stanco e con
sonno, preferì dormire un poco per celebrare meglio. Si era appena addormentato quando un gruppo di
contadini e soldati entrarono nella stanza e uno di questi lo indicò dicendo: «Quello è il sacerdote,
uccidetelo». Il Padre Toribio si svegliò impaurito, si sollevò e lo colpirono. Ferito e vacillante camminò
un po’, ma una nuova scarica alle spalle gli tolse la vita ed il suo sangue generoso tinse di rosso la terra di
questa zona di Jalisco.
San Jenaro Sánchez Delgadillo
Nacque a Zapopan, Jalisco (Arcidiocesí di Guadalajara) il 19 settembre 1886. Vicario di Tamazulita, della
parrocchia di Tecolotlán, Jalisco (Diocesi di Autlán). Il suo parroco elogiava la sua obbedienza. I fedeli
ammiravano la sua rettitudine, il suo fervore, la sua eloquenza nella predicazione ed accettavano
facilmente la fermezza del Padre Jenaro quando chiedeva una buona preparazione per poter ricevere i
sacramenti. I soldati ed alcuni coloni lo individuarono mentre insieme ad alcuni fedeli suoi amici andava
per i campi. Vennero tutti lasciati liberi, mentre il Padre Jenaro venne condotto su un colle vicino a
Tecolotlán e su un albero prepararono la forca. Padre Jenaro posto di fronte al plotone, con eroica serenità
proferì le seguenti parole: «Paesani, mi impiccheranno; io ti perdono; che anche Iddio, mio Padre, ti
perdoni e che sempre viva Cristo Re!». I carnefici tirarono la corda così forte che la testa del martire batté
violentemente su un ramo dell’albero. Dopo poco morì in quella stessa notte del 17 gennaio 1927. L’astio
dei soldati continuò e, tornati all’alba, fecero scendere il cadavere, gli spararono sulla spalla e una
pugnalata quasi attraversò il corpo ormai inerte del testimone di Cristo.
San Tranquilino Ubiarco Robles
Nacque a Zapotlán el Grande, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) l’8 luglio 1899. Vicario con funzioni
di parroco a Tepatitlán, Jalisco (Diocesi di San Juan de los Lagos). Fu uno degli instancabili ministri nei
tempi difficili della persecuzione. Non veniva fermato da nulla. Pieno di carità, andava ad amministrare i
sacramenti ed a sostenere la vita cristiana tra i fedeli portando l’Eucaristia nelle case. All’inizio del mese
di ottobre del 1928 andò a Guadalajara a comprare quanto era necessario per il Sacrificio Eucaristico.
Qualcuno gli fece notare che la sua zona pastorale era posta in uno dei luoghi di maggior pericolo: Los
Altos de Jalisco. Allora il Padre Ubiarco con molta semplicità replicò: «Per ora ritorno alla mia
parrocchia; vediamo che posso fare e se mi toccherà morire per Dio, sia benedetto». Una notte si stava
preparando a celebrare l’Eucaristia ed a benedire un matrimonio, quando lo fecero prigioniero e lo
condannarono a morire impiccato su un albero del viale, fuori città. Con fermezza cristiana benedisse la
grossa fune, strumento del suo martirio, e ad un soldato che non volle partecipare al crimine, disse,
ripetendo le parole del Maestro: «Oggi verrai con me in paradiso». Era la mattina del 5 ottobre 1928.
San David Uribe Velasco
Nacque a Buenavista de Cuéllar, Guerrero (Diocesi di Chilapa) il 29 dicembre 1889. Parroco di Iguala,
Guerrero (Diocesi di Chilapa). Esercitò in modo esemplare il suo ministero in una regione attaccata dalla
massoneria, dal protestantesimo e dallo scisma. Il militare che lo catturò gli propose ampia libertà nel
caso che avesse accettato le leggi e fosse diventato vescovo della chiesa scismatica creata dal governo
della repubblica. Il Padre David, ribadì ciò che già aveva scritto, appena un mese prima, e che denota tutta
la forza della sua fede e della sua fedeltà: «Se sono stato unto con l’olio santo che mi fa ministro
dell’Altissimo, perché non essere unto con il mio sangue in difesa delle anime redente con il sangue di
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Cristo? Quale felicità morire in difesa dei diritti di Dio! Morire prima di rinnegare il Vicario di Cristo!».
Ormai in carcere, scrisse le sue ultime parole: «Dichiaro di non aver commesso i delitti che mi vengono
imputati. Sto nelle mani di Dio e della Vergine di Guadalupe. Domando a Dio perdono e perdono i miei
nemici; chiedo perdono a tutti quelli che ho offeso». Condotto in un luogo vicino alla stazione di San José
Vistahermosa, Morelos (Diocesi di Cuernavaca) fu sacrificato con un colpo alla nuca il 12 aprile 1927.
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Il piccolo José e i martiri di oggi
Pigi Colognesi
lunedì 22 aprile 2013 – il sussidiario.net
Questo editoriale avrei dovuto scriverlo il 28 marzo, centesimo anniversario della
nascita di José Sanchez Del Rio. Ma allora non sapevo neppure che fosse esistito e non potevo
immaginare quanto grande fosse stata la sua vita.
José nasce nel 1913 a Sauhay o una cittadina non lontano da Guadalajara, in Messico.
Il paese viveva allora i sussulti della rivoluzione Emilano Zapata, che si sarebbe conclusa con
la nuova costituzione del 1917. Costituzione spiccatamente avversa alla Chiesa:
espropriazione di beni, soppressione di ordini, chiusura di scuole e chiese fino alla vera e
propria persecuzione cruenta.
A partire dal 1926 – José ha 13 anni – prende il via una rivolta armata contro il
governo. Sono i «cristeros», gruppi di combattenti unificati dal motto «Viva Cristo Rey ». I due
fratelli maggiori di José si arruolano in questo esercito popolare, ma lui è troppo giovane.
Però non privo di coraggio e determinazione, tanto che alla fine riesce a farsi arruolare;
dapprima svolge piccoli lavoretti al campo militare, come la pulizia delle armi e la cura dei
cavalli, poi ottiene il rango di portabandiera del battaglione guidato da un generale. Come
tale José partecipa alle battaglie dei cristeros contro le truppe federali.
In quella del 6 febbraio 1928 – non ha ancora quindici anni – si accorge che il cavallo
del suo generale è stato abbattuto; smonta in fretta dal proprio e lo porta all’ufficiale. «La
vostra vita è più importante della mia» gli dice per convincerlo ad accettare. Solo e appiedato
José viene facilmente catturato dai federali, che lo rinchiudono in una chiesa da loro
profanata e poi trasformata in stalla e prigione.
I carcerieri lo sentono recitare ad alta voce le preghiere cui era fedele fin da bambino
(riuscirà persino a farsi portar la comunione di nascosto) e cercano di persuaderlo a
rinnegare la sua fede, ma José risponde invariabilmente «Viva Cristo Rey ». Allora decidono di
torturalo, ottenendo soltanto che il giovane invochi sempre più intensamente che il Signore
gli conceda la forza di resistere. La mattina del 10 febbraio gli scorticano lentamente le
piante dei piedi, gli legano le mani dietro la schiena e lo costringono a camminare su un
selciato cosparso di sale fino al cimitero; è la sua via Crucis.
Davanti alla fossa preparata per lui, gli aguzzini rinnovano le promesse di onori e
ricchezze se solo avesse pronunciato poche parole di rinnegamento della fede cattolica. Dal
fondo della sofferenza, con lo sguardo che solo la limpidezza di un adolescente può avere, José
risponde come sempre. «Viva Cristo Rey ». Lo ammazzano.
La Chiesa ha sempre avuto i suoi martiri e li ha devotamente onorati: José è stato
beatificato il 20 novembre del 2005.
Recentemente papa Francesco ha detto:«La Chiesa ha più martiri oggi che nel tempo
dei primi secoli». E il martirio, per noi che magari ci lamentiamo di sciocchi contrattempi o
siamo presi dal dubbio per qualche inezia, è sempre un esempio sconvolgente. Ma quando il
martire è un ragazzo come José ci si trova di fronte ad una purezza disarmante: si capisce che
la forza per resistere è un dono e che noi dobbiamo semplicemente accoglierlo.
Ah, dimenticavo. Come ho conosciuto la storia di José? Perché un amico mi ha fatto
vedere il film Cristiada (nell’originale For a Greater Glory). È una pellicola americana del
2012 che nelle nostre sale non è ancora arrivata (e magari non arriverà mai), ma che si può
pescare nel gran mare di internet.