Avanti a sinistra_nuovo_Collana Derrida

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Avanti a sinistra_nuovo_Collana Derrida
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Titolo originale:
Un pacte écologique pour vivre mieux ed
Entretien avec François Hollande
tratti da Le Rêve Français. Discours et entretien (2009-2011)
© Editions Privat, 2011
I edizione: agosto 2012
© 2012 Lit Edizioni Srl
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Traduzione dal francese di Alessandro Bresolin
Tutti i diritti riservati
François Hollande
Le ragioni della Sinistra
Traduzione di Alessandro Bresolin
UN PATTO ECOLOGICO
PER VIVERE MEGLIO1
ppartengo a una generazione nata nell’abbondanza e nella crescita. Inizio a vivere ora l’ultima fase della mia vita in
un’epoca segnata dalla crisi e dalla recessione.
Cominciamo ad avere la consapevolezza che oggi il nostro modello di crescita, adottato oltre
cinquant’anni fa, è superato. Non riusciremo,
nonostante tutti i nostri tentativi, ad aggiustarlo e a rimetterlo a posto.
A
Questo modello ha molti limiti.
Innanzitutto non produce crescita, ed è
un difetto fondamentale, bisogna ammetterlo, se si pensa che gli viene assegnato quest’unico obiettivo. Il suo presupposto è produrre ricchezza, ma oggi ne crea di meno o a
un ritmo più lento.
In secondo luogo questo modello è esaurito, nel senso che esaurisce le risorse natu9
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rali. In queste condizioni, produce esso stesso recessione e provoca un rincaro tendenziale del prezzo delle materie prime.
Infine non è esportabile. Nessun Paese
emergente potrà tollerare lo sfruttamento
ecologico che abbiamo attuato per un secolo. Il nostro modo di consumare è diventato
incompatibile con la salvaguardia degli equilibri del pianeta.
L’ecologia non è solo un tipo di sensibilità
politica e non è nemmeno riducibile a una mera questione elettorale: infatti, è in primo luogo una dottrina fondata su dati scientifici. A
questo proposito, ricordiamo che tutte le teorie sul riscaldamento climatico avanzate in
questi anni non sono un’utopia, un’opinione,
un’ipotesi, bensì il frutto di osservazioni incontestabili. Consideriamo anche le istanze
sociali e morali che porta in sé il movimento
ecologista; intendo dire quell’esigenza di una
partecipazione sociale, di una democrazia allargata e anche di un senso morale: non è possibile, ad esempio, che gli Stati Uniti producano il 25% del totale delle emissioni di anidride
carbonica quando la popolazione americana
rappresenta appena il 4% di quella mondiale.
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UN PATTO ECOLOGICO PER VIVERE MEGLIO
Ecco ciò che giustifica l’importanza di un
imperativo ecologico. È al contempo una necessità politica, morale, sociale, ed è un obbligo legato al futuro del nostro pianeta e delle
prossime generazioni.
Nondimeno, il contesto è cambiato a partire dal 2007. A quel tempo eravamo in una
versione dell’ecologia «felice e consensuale».
La Sinistra plurale aveva compiuto alcuni
progressi; Jacques Chirac aveva pronunciato
discorsi che sono diventati dei punti di riferimento. C’era stata una presa di coscienza.
Poi, all’epoca dell’elezione presidenziale, la
firma del patto ecologico di Nicolas Hulot
da parte dei principali candidati ha segnato
una nuova tappa. La Grenelle Environnement
ne è stata la consacrazione.
Ma la crisi e i fallimenti, in cui si sono imbattute un certo numero di iniziative, hanno
cambiato la prospettiva. Sono sorte nuove
emergenze. La questione della crescita si è
posta in modo diverso da quando, di crescita, non ce n’è proprio più e oggi siamo addirittura in recessione. La logica finanziaria è
sembrata più pericolosa dello sconvolgimento climatico. D’altronde, il ritiro della carbon
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tax e il fallimento del summit di Copenhagen
hanno suscitato disappunto e disillusione.
Visto che «la più grande delle riforme dopo
l’abolizione della pena di morte» poteva essere abbandonata, che la «riunione dell’ultima
spiaggia» poteva concludersi senza arrivare a
niente e che il mondo non sarebbe crollato
per questo, allora perché tanto zelo?
Di fatto è cambiata la percezione del problema e così oggi i discorsi sull’ecologia non
raggiungono la stessa intensità, non suscitano lo stesso entusiasmo, non portano gli
stessi consensi di appena qualche anno fa.
Allora bisogna inserire l’ecologia in un
progetto globale. Questa sarà l’originalità
del nostro approccio. Pensare in modo globale significa che il cambiamento che vogliamo compiere deve al contempo basarsi sul
sistema produttivo, sulla politica energetica,
sul consumo responsabile, sull’organizzazione dei trasporti, ma anche sul sistema fiscale,
sulla politica familiare, sullo sviluppo urbano, sulla qualità dell’alimentazione, senza dimenticare la Sanità pubblica.
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UN PATTO ECOLOGICO PER VIVERE MEGLIO
Quest’approccio presuppone di regolamentare quattro grandi questioni.
La prima è sociale: come portare avanti
una politica ecologica, di lotta contro il riscaldamento climatico, in un mondo in cui le
diseguaglianze sono sempre più grandi e in
un Paese, il nostro, in cui le disparità sociali
e territoriali sono sempre più profonde.
L’esperienza della fiscalità ecologica è illuminante. Appariva come una soluzione di
buon senso dal momento in cui tutti erano
d’accordo sull’introduzione dei prelievi fiscali,
per mandare un segnale ai mercati rispetto alla
scarsità dei prodotti petroliferi e in merito
all’esaurimento delle energie fossili. Quel dispositivo aveva una sua logica, dato che mirava
a penalizzare le emissioni di anidride carbonica. Nonostante ciò, questa proposta è stata largamente respinta dalle classi popolari. È stata
percepita come un rincaro sul prezzo della
benzina e dunque come una diminuzione del
potere d’acquisto. Ed è stata anche ritenuta ingiusta in un momento in cui molti soggetti
economici non hanno altra scelta se non quella
di utilizzare la loro automobile per spostarsi.
Bisogna giungere alla conclusione che, dal
momento in cui viene istituita una tassa per
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dimostrare la scarsità della materia prima, la
realtà dei prezzi contraddice il principio di
giustizia sociale? Non credo!
Ecco perché propongo di inserire la fiscalità ecologica e la dimensione tariffaria, come avviene già in modo diffuso in tutte le
politiche locali, in particolare per l’acqua, le
bonifiche, i rifiuti. La redistribuzione deve
permettere ai ceti popolari colpiti dal rialzo
dei prezzi dei prodotti di consumo di avere
una compensazione. È questa la sfida della
riforma fiscale.
Allo stesso modo potrei evocare il fallimento o la triste archiviazione della conferenza di Copenhagen con la stessa argomentazione. Quel vertice è fallito perché gli Stati
Uniti non erano disposti a rimettere in discussione il modo in cui gli americani consumano, ma anche perché veniva richiesto ai
Paesi emergenti di rinunciare a un modello
di crescita, il nostro, con il pretesto che noi
stessi abbiamo esaurito le risorse naturali.
Come potrebbero i Paesi emergenti, che sono in una logica di ripresa economica e in
alcuni casi addirittura di sorpasso, accettare
questo pessimo scambio?
Così, se manca una politica di riduzione
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UN PATTO ECOLOGICO PER VIVERE MEGLIO
dei costi delle risorse su scala planetaria e se
manca l’elaborazione di regole comuni per la
crescita di domani, per forza andremo incontro ad altre sconfitte. Il vertice di Cancùn ha
permesso di cancellare il fallimento di
Copenhagen, al prezzo però della rinuncia ad
ogni tipo di meccanismo di regolamentazione, sia per gli Stati Uniti che per i Paesi emergenti. La prima sfida sta dunque nel riuscire
a tessere un legame tra la lotta contro le diseguaglianze e l’imperativo ecologico.
La seconda sfida è territoriale. Conviene
integrare l’ecologia in una logica di pianificazione.
Si tratta di conferire una dimensione concreta, non solo morale, punitiva o cautelativa, ma tangibile per il cittadino: «Cosa posso
guadagnarci dalla nuova distribuzione ecologica»? Arriviamo così alle politiche per la
casa, per la mobilità, per i trasporti, per l’urbanistica, per l’istruzione. I progetti ecologici devono diventare strumenti di pianificazione e sviluppo. Per questo prospetto una
fase nuova riguardo al decentramento amministrativo: un cambiamento delle modalità di
partecipazione, un maggior ruolo assegnato
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LE RAGIONI DELLA SINISTRA
all’intervento dei cittadini e una nuova suddivisione delle responsabilità tra Stato e comunità locali attraverso la stipula dei «contratti per lo sviluppo sostenibile». Per trovare i finanziamenti a sostegno di questa trasformazione territoriale, la Cassa dei risparmi dev’essere trasformata in Cassa per lo
sviluppo sostenibile.
La terza grande questione è economica,
riguarda il futuro della crescita.
Ognuno di noi ha constatato che il Pil riflette solo in modo improprio la realtà del
progresso economico. Fin dal 1973, Valéry
Giscard d’Estaing aveva suggerito di riflettere su come misurare in modo nuovo la crescita. Oggi è un fatto evidente, ma quanto
tempo perso! Non si tratta di rimettere in discussione il Pil in quanto tale. È un utile elemento di confronto nel tempo e nello spazio.
Ne conosciamo perfettamente i vizi costitutivi. Si tratta di formulare altri parametri: gli
indicatori sullo sviluppo umano o gli indici
di riduzione delle diseguaglianze.
Un Paese come la Francia deve poter dire,
dopo l’elezione presidenziale: «Abbiamo una
strategia di crescita riguardo al Pil, ma anche
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una strategia di sviluppo umano di cui i cittadini definiranno insieme gli obiettivi, il calendario e i mezzi per la sua realizzazione».
In questo senso, non significa semplicemente ridefinire che cosa sono la ricchezza o
il progresso, non significa solo capire meglio
i costi e riconoscere le disparità, significa soprattutto sviluppare un formidabile strumento di partecipazione e governance.
Dopo l’elezione presidenziale e le elezioni legislative che seguiranno, propongo di
organizzare dei tavoli di concertazione per
la democrazia ambientale e solidale.
Questi avranno l’obiettivo di stabilire a
scadenza quinquennale la via per ridurre il
deficit pubblico, per migliorare la nostra
competititvità, per favorire una ridefinizione
dello stato sociale, per assicurare l’indipendenza energetica e ridurre le emissioni di
anidride carbonica.
Definire degli obiettivi diventa un elemento di mobilitazione sociale.
La quarta questione è quella dell’impresa
e della sua responsabilità sociale.
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LE RAGIONI DELLA SINISTRA
La legge Nre (Nuovi Regolamenti Economici), votata sotto il governo Jospin, ha
avuto almeno il merito di costringere le imprese a pubblicare, nei loro rapporti annuali,
un certo numero d’informazioni sul modo in
cui prendono in considerazione i dati ambientali e sociali. Più di recente, gli incontri
della Grenelle Environnement hanno esteso
alle società quotate in borsa l’obbligo di informare le autorità pubbliche con uno specifico rapporto, anche se poi quest’aspetto è
stato edulcorato, con la Grenelle II, nella discussione parlamentare dell’autunno.
Occorrerà ripartire dall’esigenza di trasparenza, fornendole una prospettiva in termini
di competitività e di mobilitazione delle risorse umane. Perché è un motivo d’orgoglio collettivo per una società, per i suoi lavoratori
come per i suoi dirigenti e azionisti, darsi degli obiettivi per uno sviluppo sostenibile.
È anche uno strumento per informare il
consumatore e per mandargli un messaggio
ambientale che potrà usare decidendo se
comprare o meno il prodotto.
Infine è un parametro per la concorrenza,
rispetto ad altre società meno sensibili allo
sviluppo sostenibile. Deve dunque essere
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riaffermata la responsabilità sociale e ambientale dell’impresa.
In questo modo la definizione di una nuova politica ecologica si integra in un progetto
globale in cui si sposano le dimensioni sociali, produttive e democratiche. Non partiamo
dal nulla. So quanto è stato fatto dalla Sinistra
plurale. Evitiamo di infierire sulla Grenelle
Environnement con il pretesto che un gran
numero di quei provvedimenti sono stati abbandonati lungo il cammino. Riconosciamo
che la Grenelle è stata una felice presa di coscienza che ha corrisposto a una massiccia
mobilitazione di numerosi partner che, fino a
quel momento, non riuscivano nemmeno a
lavorare insieme, oppure dubitavano della
capacità dei poteri pubblici di fissare degli
obiettivi a medio termine.
Gli incontri della Grenelle Environnement
hanno tracciato delle nuove forme di governance, hanno contribuito a un mutamento,
seppur modesto, dei comportamenti che si
sono diffusi in molte amministrazioni locali.
Ognuno ha la sua Agenda 21 e attua delle politiche di sviluppo sostenibile. A questa esigenza si può rispondere con più o meno vo19
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lontà, sincerità o concretezza, ma il fatto stesso che sia evocata conferma la realtà di una
volontà sociale, di un’aspirazione da parte
dei cittadini e senza dubbio di una sfida elettorale, e lo testimonia il fatto che, grazie
all’esperienza della Grenelle Environnement,
le responsabilità ambientali sono meglio ripartite.
I suoi aspetti deludenti li conosciamo: il
ministero dello Sviluppo Sostenibile è tornato ad essere una cosa banale; l’agenda energetica è stata collegata al ministero delle
Finanze a Bercy e tutti sanno quali sono state le conseguenze di una simile organizzazione in materia di investimenti pubblici; inoltre non si è potuta istituire la carbon tax, ma
questo riguarda la metodologia scelta piuttosto che la Grenelle in sé. Infine, l’ultima delusione è quella di aver ridotto una larga parte degli obblighi delle imprese in tema
d’informazione e di trasparenza.
Adesso bisogna passare a una nuova tappa e avviare un nuovo modello di sviluppo.
Rivendico i progressi fatti. Riaffermo la
necessità della crescita come l’assunzione
delle esigenze della competitività e del lavo20
UN PATTO ECOLOGICO PER VIVERE MEGLIO
ro, ma allo stesso tempo so che, per raggiungere gli obiettivi, i percorsi e gli strumenti
devono cambiare. A quest’evoluzione devono corrispondere nuovi concetti e nuovi
strumenti.
La salvaguardia delle risorse, l’indicazione del prezzo come riflesso della realtà, la
capacità di proiettarsi sul lungo periodo, la
sobrietà nel consumo, la prevenzione, la solidarietà, la padronanza delle tecnologie al
servizio dell’essere umano, la partecipazione dei cittadini: ecco i princìpi su cui si fonda il modello di sviluppo del Ventunesimo
secolo.
È nel prossimo decennio che dobbiamo
riuscire in questa trasformazione:
1. Innanzitutto riuscire ad attuare la transizione energetica. Non so se è meglio essere
catastrofisti od ottimisti ma, se osserviamo
l’evoluzione del prezzo del petrolio come
quello delle principali materie prime, rileviamo che da diversi anni essa dipende da elementi legati ai movimenti della speculazione
e da altri che indicano una tendenza di lungo
termine verso il rincaro delle energie fossili.
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INDICE
Un patto ecologico per vivere meglio
(Parigi, Maison de l’Amerique latine,
14 dicembre 2010)
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Intervista a François Hollande
(A cura di Vincent Duclert,
Denis Lefebvre, Bernard Poignant
e Dominique Villemot)
Conclusione
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Note bibliografiche
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