Studio di interazioni di neutrino e antineutrino nel near detector dell

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Studio di interazioni di neutrino e antineutrino nel near detector dell
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2010/2011
Tesi di Laurea
Studio di interazioni di neutrino e
antineutrino nel near detector
dell’esperimento T2K
Relatori:
Prof. Vittorio Palladino
Dott.sa Gianfranca De Rosa
Candidato: Ciro Riccio
Matricola: N85/40
Alla mia famiglia
I
Introduzione
Questo lavoro di tesi si é svolto nel gruppo di Napoli che collabora all’esperimento T2K in Giappone, oggi alla frontiera della ricerca sui neutrini. Il primo
capitolo percorre rapidamente alcune tappe dell’investigazione delle proprietá
del neutrino, fino alle recenti inequivocabili evidenze di due tipi diversi di transizioni in volo tra neutrini, entrambe modulate da un andamento oscillatorio,
ma con due diverse lunghezze d’onda (15 Km/Mev e 500 Km/Gev circa) nella variabile fisica EL . Continua mostrando come queste evidenze implicano che
i neutrini hanno una massa non nulla e sono soggetti a fenomeni di mixing,
mostrando che esiste della nuova fisica oltre il Modello Standard delle particelle elementari. Conclude descrivendo gli esperimenti, DCHOOZ e T2K, che
guidano oggi l’investigazione dei meccanismi dettagliati di questa nuova fisica.
Il secondo capitolo descrive una parte decisiva dell’esperimento T2K: il rivelatore ND280. Infatti, dopo aver chiarito gli scopi di T2K, illustrato le sue caratteristiche e quelle del rivelatore SK, sono stati illustrati i componenti di ND280
e le informazioni fornite da ciascuno sulle particelle prodotte dalle interazioni
di neutrino.
Infine nel terzo capitolo sono state analizzate le funzioni definite in uno script di
analisi utilizzato dalla Collaborazione internazionale per lo studio di interazioni
di neutrino e di antineutrino. Utilizzando poi ROOT ed Event Display sono
stati ricavati rispettivamente un certo numero di istogrammi ottenuti facendo
runnare gli script e, display di alcuni eventi simulati e ricostruiti di interazione
in ND280. Questo lavoro é stato anche oggetto del mio tirocinio e mi ha permesso di apprendere e cominciare a padroneggiare alcuni strumenti tecnici di
uso corrente nella ricerca in fisica delle particelle elementari.
II
Indice
1 Fisica del neutrino (ν)
1.1 Prima evidenza del neutrino da sorgenti radiattive . . . . . . . .
1.2 Prima rivelazione di neutrini da reattori nucleari . . . . . . . . .
1.3 Fasci di neutrini prodotti da acceleratori: il secondo ed il terzo
neutrino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Il Modello Standard delle interazioni deboli . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Interazioni di neutrino e antineutrino . . . . . . . . . . .
1.5 Il problema dei neutrini solari . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 I neutrini atmosferici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Fenomenologia delle oscillazioni di neutrino . . . . . . . . . . . .
1.8 Gli esperimenti attuali di oscillazione di neutrino . . . . . . . .
2
3
4
5
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2 L’esperimento T2K
2.1 Presentazione dell’esperimento . . . . . . . .
2.2 Near Detector ND280 . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 Il Magnete . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.2 SMRD: Side Muon Range Detector .
2.2.3 TPC: Temporal Proiection Chamber
2.2.4 FGD: Fine-Grained Detector . . . . .
2.2.5 P0D: π 0 Detector . . . . . . . . . . .
2.2.6 ECAL: Electromagnetic Calorimeter
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3 Analisi dati delle interazioni di ν e ν̄
3.1 Software ufficiale di T2K . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Analisi delle interazioni quasi-elastiche di νµ ed ν̄µ
3.2.1 Cinematica della diffusione elastica . . . .
3.3 Studio dello Script di Analisi . . . . . . . . . . . .
3.4 Selezione degli eventi di ν̄ . . . . . . . . . . . . .
3.5 Event Display . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
III
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Capitolo 1
Fisica del neutrino (ν)
La cosa piú bella che possiamo
sperimentare é il mistero, é la fonte di
ogni vera arte e di ogni vera scienza.
Albert Einstein
1.1
Prima evidenza del neutrino da sorgenti
radiattive
L’esistenza di una nuova particella invisibile che potesse spiegare lo spettro
continuo del decadimento β e salvare la conservazione del quadrimpulso e del
momento angolare fu ipotizzata come “disperato rimedio” da Wolfgang Pauli
nel dicembre del 1930. Successivamente Enrico Fermi gli diede il nome di “neutrino” (ν). Tale particella, secondo Pauli, doveva interagire molto debolmente
con la materia, doveva quindi essere neutra, doveva avere momento magnetico
molto piccolo e risultare un fermione di spin 21 . Come indicava la coda dello
spettro di emissione del decadimento β, doveva inoltre avere massa nulla o
prossima a zero. Fermi nel 1934 caratterizzó le prime proprietá dinamiche del
neutrino nel suo “tentativo” di Teoria del decadimento β, usando il formalismo
della Meccanica Quantistica Relativistica. Questa prima teoria che ipotizzava
l’emissione simultanea di un ν e di un e+ (p→nνe+ ) o di un e− (n→pνe− ),
rendeva conto dello spettro del decadimento e, suggeriva che la reazione ν 1 +p
→ n + e+ potesse essere rivelata. Essa, quindi, rafforzó la nozione di neutrino
agli occhi dei fisici, ma questo rimaneva elusivo.
1
In realtá nel modello standard questo dovrebbe essere un antineutrino (ν̄), ma Pauli e
Fermi non facevano questa distinzione.
1
1.2
Prima rivelazione di neutrini da reattori
nucleari
Si capı́ presto invece, dopo la guerra, che nelle esplosioni atomiche e dai nuovi
reattori a fissione vengono prodotti copiosamente neutrini2 dal decadimento β
dei frammenti di fissione, rendendone per la prima volta possibile la rivelazione.
Infatti la prima osservazione diretta fu ottenuta nel 1956 da Reins e Cowan,
osservando interazioni di ν̄ di questo tipo[1]
ν̄ + p → n + e+
(1.1)
in un esperimento facente uso del reattore nucleare di Savannah River. L’apparato sperimentale consisteva di vari recipienti, contenenti ognuno 1400 litri di
scintillatore liquido, alternati a recipienti contenenti una soluzione di cloruro di
cadmio. Il positrone, una volta prodotto nell’interazione di un ν̄, annichila con
un elettrone del materiale che traversa ed i fotoni di annichilazione generano un
segnale nello scintillatore liquido. Il neutrone, invece, migra nella soluzione acquosa, subendo diversi eventi di diffusione con i nuclei leggeri che lo rallentano,
fino a che non viene catturato da un nucleo di cadmio, il quale ha un’elevata sezione d’urto di cattura di neutroni, dando luogo ad un’altra emissione di
fotoni nello scintillatore.
1.3
Fasci di neutrini prodotti da acceleratori:
il secondo ed il terzo neutrino
Si comprese intanto che neutrini dovevano essere emessi anche nel decadimento
dei muoni µ± → e± + ν̄µ /νµ + νe /ν̄e , dei pioni π→µνµ e dei kaoni K→µνµ .
Verso la fine degli anni ’50, Pontecorvo e, indipendentemente, Schwartz proposero di produrre fasci di neutrini agli acceleratori, utilizzando proprio i decadimenti del π e del K come sorgenti di ν.
Il fascio di neutrini é ottenuto nel modo seguente[2]:
1. I protoni (p) sono accelerati in acceleratori di particelle (normalmente
sincrotroni). L’energia dei p determina l’energia dei ν.
2. Un fascio di protoni é estratto dall’acceleratore e diretto su un bersaglio
dove interagiscono producendo un largo numero di π e K secondari.
3. Campi magnetici sono usati per selezionare π + per il fascio di ν e π − per
quello di ν̄, focalizzandoli in un fascio collimato.
2
Oggi si sa che in reltá si tratta di ν̄.
2
4. Il fascio é diretto in un lungo volume di decadimento, dove i π ± decadono
in µ± e νµ /ν̄µ . I π ± hanno una vita media di 0.0026 µs, mentre i µ hanno
una vita media di 2.2 µs, quindi la lunghezza del volume di decadimendo
é tale che la maggior parte dei π decadono e, la maggior parte dei µ
sopravvivono.
5. Alla fine del volume di decadimento si trovano dei rivelatori di µ usati per
monitorare la posizione e l’intensitá del fascio lungo il suo percorso e il
beam dump, una grande massa di materiale che assorbe tutte le particelle
inclusi i µ, ma non i ν.
Il primo fascio realizzato a Brookhaven nel 1962 riservó un’enorme sorpresa. In
tale esperimento infatti si osservó che i neutrini da acceleratore producono µ
e non e, a differenza di quelli da sorgenti radiattive e reattori. Nasceva, cosı́
la distinzione tra i due doppietti (νe , e) e (νµ , µ). Un terzo doppietto neutrinoleptone (ντ , τ ) apparve inoltre inevitabile dopo la scoperta del τ nel 1974 e, il
ντ fu infatti piú tardi identificato in un fascio al Fermilab nel 1999.
1.4
Il Modello Standard delle interazioni deboli
L’affermarsi delle evidenze sperimentali portó, agli inizi degli anni ’70, alla
costruzione di un modello teorico delle interazioni deboli, il Modello Standard
della fisica delle particelle elementari, ad opera di Glashow, Weinberg e Salam.
Tutte le evidenze sperimentali sono state fino ad ieri a favore del Modello Standard, ma molte erano e sono le questioni ancora aperte. Una di esse é legata alle
masse delle particelle, poiché queste ultime, in tale modello, restano parametri
liberi il cui valore viene fissato in base ai risultati sperimentali.
In particolare i tre neutrini sono trattati come particelle a massa nulla. Attualmente i migliori limiti superiori sperimentali per la massa del neutrino
sono[3]:
mνe < 2.0 eV /c2
mνµ < 190 keV /c2
mντ < 18.2 M eV /c2
inoltre misure cosmologiche(WMAP, 2dF, CBI, ACBAR e Lyman-α forest)
implicano[4]:
Σmν < 0.7 eV
limite che peró dipende da alcune critiche assunzioni teoriche. Tutte le altre
proprietá scoperte fin’ora sono state via via incorporate nel modello: il numero
3
quantico L detto numero leptonico3 che distingue tra neutrini elettronici (νe ),
muonici (νµ ) e tauonici (ντ ) e, l’esistenza di tre bosoni di campo vettoriali (con
spin 1) mediatori dell’interazione debole, due carichi, W ± e uno neutro, Z 0 ,
aventi massa compresa tra 80 e 90 GeV/c2 , giustificando cosı́ il trattamento
di tale interazione a range zero. Le interazioni deboli dovute allo scambio di
un W ± sono dette interazioni di corrente carica, mentre quelle dovute allo
scambio di Z 0 sono dette interazioni di corrente neutra. Queste ultime furono
scoperte nel 1974 grazie ad un esperimento con neutrini nella camera a bolle
Gargamelle al CERN. Le interazioni di neutrino tramite Z 0 hanno delle caratteristiche particolari: sono l’unico meccanismo noto per lo scattering elastico
di ν nella materia, il quale avviene con probabilitá comparabile a quella dello
scattering anelastico tramite W ± .
1.4.1
Interazioni di neutrino e antineutrino
In generale, l’interazione fra due particelle puó essere indicata con
a+b→c+d
(1.2)
A seconda dell’urto si ha:
1. Diffusione elastica nel caso in cui c = a e b = d, implicando solo trasferimento di energia cinetica.
2. Diffusione anelastica nel caso in cui c6=a oppure b6=d.
Le interazioni che coinvolgono neutrini sono interazioni deboli. Questo tipo di
interazioni possono avvenire tra leptoni e quark (interazioni semileptoniche), tra
soli leptoni (interazioni leptoniche) o tra soli quark (interazioni non leptoniche),
grazie allo scambio di W ± e Z 0 .
L’osservazione di ν e ν̄ avviene quando c’é una rara interazione con i nuclei o
gli elettroni dei rivelatori usati per l’identificazione di queste particelle. Ciascun rivelatore, quindi, é anche bersaglio. Ad esempio il nucleo di carbonio é la
componente reattiva principale dei rivelatori a scintillatore liquido e il nucleo di
ossigeno é quella dei rivelatori Cerenkov. É chiaro dunque quanto sia importante
delineare una teoria che sia in grado di descrivere le interazioni di neutrino. La
descrizione della sezione d’urto delle reazioni neutrino-nucleo comporta diversi
livelli di complessitá, poiché il neutrino, che é una particella puntiforme, interagisce con un sistema composto da nucleoni, a loro volta composti da quark
e gluoni. Si considerino quindi i processi di diffusione di ν su nucleoni liberi.
3
In seguito in luogo di numero leptonico si userá la parola “sapore”, mutuata dalla fisica
dei quark, che indica l’insieme delle proprietá che permettono di distinguere diversi tipi di
quark.
4
Il diagramma di Feynman del primo ordine in fig. 1.1 rappresenta un processo
semileptonico di corrente carica:
ν + N → l− + X
(1.3)
Figura 1.1: Interazione di corrente carica di un neutrino con un nucleone
dove un neutrino incide su un nucleone libero e, per scambio di un W ± , le due
particelle si convertono rispettivamente in un leptone carico della stessa famiglia
del neutrino incidente e in uno stato adronico X. Analogamente, per gli ν̄ si ha:
ν̄ + N → l+ + X
(1.4)
A basse energie, le interazioni di corrente carica sono dominate dai processi
quasi-elestici del tipo
ν + n → l− + p
(1.5)
dove il neutrino interagisce con un neutrone (n). In questo caso l’effetto dello
scambio di W ± é la conversione di n in p. Analogamente, in interazioni di ν̄:
ν̄ + p → l+ + n
(1.6)
in cui interagisce con p, si ha la conversione di p in n.
1.5
Il problema dei neutrini solari
Il Sole e le stelle splendono per effetto delle reazioni nucleari che avvengono
al loro interno. I neutrini νe prodotti in queste reazioni, essendo caratterizzati
5
Figura 1.2: Interazione di corrente neutra e di corrente carica di un neutrino
con un nucleone
da una piccolissima sezione d’urto, viaggiano indisturbati e, portano informazioni fondamentali per la comprensione della struttura e dell’evoluzione stellare
e, quindi sulla validià dei modelli teorici attuali. I neutrini provenienti dallo
spazio piú profondo possono fornire informazione anche su importanti fenomeni
astrofisici come le supernove e l’attivitá delle galassie
A partire dall’esperimento radiochimico di Raymond Davis Jr. in una miniera
del South Dakota, dal 1967 in poi tutti gli esperimenti che hanno studiato
i neutrini provenienti dal Sole hanno indicato che sulla terra viene rivelato
un flusso di νe minore di quello predetto dal modello standard delle particelle
elementari e dal cosiddetto modello solare standard della fisica stellare. Altri
due esperimenti simili a quello di Davis, Gallex e Sage, hanno confermato negli
anni ’80 e ’90 questo deficit rispetto ai modelli teorici.
L’avvento del grande rivelatore ad acqua SuperKamiokande4 (SK), dal 1996
ancora il piú grande esistente, ha confermanto i risultati radiochimici, stabilendo
sperimentalmente che esiste un deficit di νe .
In linea di principio esso poteva essere imputato ad una limitata conoscenza del
flusso di νe emesso dal Sole, cioé ad un problema del modello solare standard, che
peró fa buone previsioni su altre quantitá, oppure ad un problema del modello
standard delle particelle, che é invece apparso sempre piú evidente, portando
ad introdurre l’ipotesi di mixing di neutrini e masse non nulle. Attualmente
si sa che una parte dei νe trasmutano in νµ e ντ in volo dal Sole ai rivelatori
terrestri, secondo onde di probabilitá di lunghezza di circa 15 Km/MeV nella
quantitá fisica EL , dove L é la distanza percorsa ed E la loro energia.
L’evidenza sperimentale che il deficit di neutrini solari é dovuto a transizioni in
volo é stata ottenuta con l’esperimento SNO (Subdury Neutrino Observatory)
nel 2002. In tale esperimento sono state immesse 1000 tonnellate di acqua
4
Tale rivelatore sará descritto nel paragrafo 2.1.
6
Figura 1.3: Interno del SuperKamiokande
pesante (D2 O) in un contenitore sferico circondato da uno schermo di acqua e
da 9600 fotomoltiplicatori.
Tale esperimento é stato in grado di rivelare contemporaneamente le seguenti
reazioni:
ES : νl + e− → νl + e−
CC : νe + d → p + p + e−
N C : νe + d → p + n + νe
Quindi con l’esperimento SNO possono essere osservati sia νe che tutti i sapori
di neutrino, infatti al suo interno possono avvenire sia interazioni di Scattering
Elastico (ES), come in SK, che di Corrente Carica (CC) (indotte solamente
da νe ) ma soprattutto, ed è questa caratteristica che lo differenzia e migliora
rispetto agli altri esperimenti, interazioni di Corrente Neutra (NC). SNO ha
confermato il deficit di νe nelle prime due reazioni, ma ha rivelato esattamente
il flusso di ν previsto dalle teorie nella terza reazione, chiarendo il problema del
neutrino solare.
Quindi per spiegare i risultati sperimentali si deve ipotizzare che si verificano
transizioni in volo non previste dal modello standard delle particelle: il flusso
totale di ν, considerando tutti i sapori, misurato dal tasso di interazioni NC,
che sono indipendenti dal sapore, é in accordo con le previsioni; il tasso di
interazioni di νe é invece ridotto rispetto alle predizioni.
In seguito si vedrá che l’esistenza di transizioni spontanee di neutrini, che sono
in effetti vere e proprie oscillazioni di sapore, implica che i tre neutrini non sono
7
Figura 1.4: Supporto per i fotomoltiplicatori dell’esperimento SNO
completamente distinti e che almeno un neutrino abbia una massa, piccola ma
non zero, mostrando l’esistenza di una fisica oltre il Modello Standard. Questi
risultati confermano inoltre l’esigenza di indagini più accurate.
1.6
I neutrini atmosferici
Nel 1998, ancora da SK, ci fu una seconda chiara indicazione di un’altro tipo
indipendente di transizioni in volo, anch’esse di tipo oscillatorio, ma con onde
circa 30 volte piú corte di quelle solari.
Quando i raggi cosmici primari (costituiti principalmente da protoni e nuclei
leggeri) interagiscono con l’atmosfera, producono una cascata di particelle secondarie. I mesoni π e K presenti in essa possono decadere producendo un
flusso di νe e νµ . Secondo questo schema, il rapporto atteso tra il numero di
neutrini νµ e νe è 2 : 1. Inoltre, siccome la terra è approssivativamente sferica,
se il fenomeno delle oscillazioni non avvenisse, il flusso di neutrini atmosferici dovrebbe essere simmetrico nelle varie direzioni di rivelazione (per esempio
direzione sopra-sotto).
Tipicamente si usa suddividere gli eventi indotti da neutrini atmosferici in tre
categorie a seconda dell’energia visibile del neutrino e della posizione del vertice:
8
• eventi sub-GeV: Eν < 1.3GeV (hEν i∼0.7 GeV) e totalmente contenuti
nel rivelatore
• eventi multi-GeV: Eν > 1.3GeV (hEν i∼6 GeV) per i quali l’evento può
essere totalmente o parzialmente contenuto nel rivelatore
• upward-through-going muons: eventi con muoni prodotti nelle rocce circostanti il rivelatore da neutrini con hEν i∼100 GeV
La misura piú accurata di νe e νµ é stata compiuta da SK. Il risultato ottenuto
é stato indicato come:
N (νµ )
N (νe )
R= N (νµ )
N (νe )
osservato
(1.7)
atteso
Quello che SK ha trovato e, che altri esperimenti, come Soudan2, MACRO,
K2K prima e MINOS poi, hanno confermato è[5]:
0.044
1. R = 0.668 ±0.026
0.023 ±0.007 ± 0.052sub − GeV R = 0.663 ±0.041 ±0.013 ±
0.078multi − GeV
2. La distribuzione di eventi indotti da νµ rispetto al coseno dell’angolo
di zenith è chiaramente asimmetrica, diversamente da quella dovuta ad
eventi di νe , la quale risulta, infatti, simmetrica.
L’analisi combinata, ripetuta con tecniche diverse, di tutti questi dati di sparizione forniscono una forte indicazione di una modulazione oscillatoria di νµ ,
con una lunghezza delle onde di circa 500 Km/GeV. Varie analisi indipendenti nel contesto a tre sapori cui verrá accennato, favoriscono fortemente
l’interpretazione che si tratti di oscillazione di νµ quasi completamente in ντ [6].
Anche i neutrini atmosferici forniscono chiara evidenza di un fenomeno altrettanto nuovo come quello osservato con i neutrini solari.
1.7
Fenomenologia delle oscillazioni di neutrino
L’ipotesi, inizialmente proposta da Bruno Pontecorvo in un lavoro del 1957,
di oscillazioni di neutrini, possibile se c’é un mixing tra i tre tipi di neutrino
e se questi hanno una massa non nulla e non degenere, sembra interpretare i
risultati sperimentali fin ora ottenuti. In generale, un neutrino di sapore definito
(autostato del sapore) να non è necessariamente un autostato di massa. Si puó
pensare al neutrino να come ad una sovrapposizione lineare di questi ultimi.
Nel formalismo della meccanica quantistica il neutrino να di sapore α, viene
espresso come:
X
|να i =
Uαk |νk i
(1.8)
k
9
dove i |νk i sono gli autostati di massa e i coefficienti Uαk formano una matrice,
necessariamente unitaria per la conservazione della norma, che collega gli autostati di massa a quelli di sapore. Per comprendere le oscillazioni di neutrino,
se ne consideri uno prodotto in un’interazione debole in x̄ = 0 all’istante t = 0,
con un momento p̄ν ed energia Eν . Lo stato a t = 0 è
N
X
|να (x̄, t = 0)i =
Uαk ei(p̄νk ·x̄) |νk i
(1.9)
k=1
in unità naturali. Al tempo t si avrà invece
|να (x̄, t)i =
N
X
Uαk ei(p̄νk ·x̄−Ek t) |νk i
(1.10)
q
p2νk + m2k
(1.11)
k=1
in cui
Ek ≡ E(νk ) =
D’altra parte
X
|νk i =
∗
Uβk
|νβ i
β
e perciò la 1.10 diventa
|να (x, t)i =
N
X
Uαk ei(pνk ·x−Ek t)
X
∗
Uβk
|νβ i
(1.12)
β
k=1
ovvero
|να (x, t)i =
X
Aνα →νβ (t) |νβ i
(1.13)
∗ i(pνk ·x−Ek t)
Uαk Uβk
e
(1.14)
β
con
Aνα →νβ (t) =
X
k
La relazione 1.14 esprime l’ampiezza di probabilità di transire dello stato α
agli stati β. La probabilità di transizione al tempo t, dopo aver percorso una
distanza x̄, Pνα →νβ è quindi:
2
X
2
∗ i(p̄νk ·x̄−Ek t) (1.15)
Pνα →νβ = |hνβ |να i| = Uαk Uβk e
k
Se il neutrino ha momento definito (ovvero tutti i pνk sono uguali tra loro e
tutti pari a pν ), nell’approssimazione ultrarelativistica, sicuramente valida, in
cui mk ≪ pνk , si puó approssimare la 1.11 con
pν ≃ E ν +
10
m2k
2Eν
Poiché il neutrino si muove quasi esattamente alla velocità della luce, all’istante
t si trova nella posizione x = t. Si ottiene allora per la probabilità di transizione
2
X
m2
x
∗ −i 2Ekν Uαk Uβk e
(1.16)
Pνα →νβ = k
Sviluppando tale espressione si ha
2
X
2
m
x
∗
Uαk Uβk
exp −i k =
Pνα →νβ (x) = 2Eν k
=
X
k
∗ 2 X
∗
∗
+
|Uαk |2 · Uβk
Re(Uαk Uαk
′ Uβk ′ Uβm ) · cos
k6=k
+
X
k6=k
′
∗
∗
Im(Uαk Uαk
′ Uβk ′ Uβm ) · sin
′
!
m2k − m2k′
·x +
2Eν
m2k − m2k′
·x
2Eν
!
(1.17)
che rappresenta la probabilità che il neutrino, inizialmente di sapore α abbia
invece, dopo una distanza x, sapore β. Frequentemente, un esperimento di
oscillazione è analizzato assumendo che solo due neutrini autostati di sapore
(να e νβ ) e due autostati di massa (ν1 e ν2 ) partecipino apprezzabilmente alle
oscillazioni. In questa ipotesi la matrice di mescolamento U assume la forma:
cos θαβ sin θαβ
− sin θαβ cos θαβ
dove θαβ è l’angolo di mescolamento tra να e νβ . Introducendo questa matrice,
che é reale, nell’equazione 1.17 si trova
2 L
2
2
P (να → νβ ; L) = sin 2θαβ sin ∆m12
(1.18)
4Eν
dove ∆m212 = m21 − m22 , con ν1 e ν2 autostati di massa che forniscono να e νβ
ed L è la distanza che separa il punto di produzione dei neutrini da quello di
rivelazione. Reintroducendo ~ e c nell’equazione 1.18 e introducendo le unità
di misura tipiche degli esperimenti con acceleratori
2
P (να → νβ ; L) = sin 2θαβ sin
2
1.267∆m2αβ (eV 2 )
L(km)
Eν (GeV )
(1.19)
Con un modello a due doppietti sono stati interpretati i risultati degli esperimenti sui neutrini solari e sui neutrini atmosferici. Tuttavia ci si aspetta che
i due fenomeni oscillatori indipendenti fin qui scoperti rientrino a far parte di
un modello superiore che includa i tre doppietti. La matrice unitaria U sarebbe
11
ovviamente 3x3 e, potrebbe risultare a sua volta composta da tre matrici: la
prima che governa l’onda di tipo atmosferico, la terza che governa l’onda di
tipo solare e la seconda ancora inesplorata che li connette. Inoltre la seconda
matrice puó contenere anche una fase complessa, possibile origine di violazione
di CP nel settore leptonico.
(νe , νµ , ντ )T = U (ν1 , ν2 , ν3 )T
(1.20)



c12 s12 0
c13
0 s13 e−iδ
1
0
0
  −s12 c12 0 
0
1
0
U =  0 c23 s23  
iδ
0
0 1
−s13 e 0
c13
0 −s23 c23

Dove con cij e sij , con i, j = 1, 2, 3, si indicano rispettivamente cosθij e sinθij .
La ricerca corrente si concentra dunque sulla misura di θ13 . Un suo valore
sperimentale incompatibile con zero confermerebbe la natura 3x3 della matrice
U. Per il futuro piú lontano si studia la fattibilitá di una misura della fase δ.
1.8
Gli esperimenti attuali di oscillazione di
neutrino
Una eventuale componente subdominante, ma non nulla, di oscillazione νe ↔ νµ
di tipo atmosferico, con onde di 500 Km/GeV é direttamente proporzionale a
sin2θ13 . Misure di questa quantitá sono possibili con esperimenti terrestri su
Long Baseline(LBL), in cui intercorre, cioé, una grande distanza tra il luogo
in cui vengono generati i neutrini e il luogo in cui essi vengono rivelati. Per
realizzare questi esperimenti, in condizioni controllate, si puó ricorrere a reattori
e acceleratori.
Neutrini prodotti da reattori: gli esperimenti CHOOZ e DCHOOZ
I reattori nucleari costituiscono un’intensa sorgente di ν̄e con una contaminazione praticamente nulla di neutrini di altro sapore. Essi quindi forniscono la
possibilitá di investigare con accuratezza le caratteristiche di queste particelle.
I neutrini prodotti hanno energia minore di 8 MeV e per rivelarli si utilizza la
reazione
ν̄e + p → n + e+
Eν > 1.8M eV
(1.21)
Per effetto della bassa energia dei neutrini, é possibile misurare solo interazioni di νe . La ricerca di possibili oscillazioni di neutrino é quindi limitata a
misure di eventuali diminuzioni del flusso di ν rispetto alle previsioni, per cui
é possibile studiare solo il canale di “scomparsa” ν̄e →ν̄x . Un esperimento che
si é occupato della rivelazione di possibili oscillazioni nel vuoto di ν̄e prodotti
12
da centrali nucleari é l’esperimento CHOOZ. Tale esperimento non ha osservato
scomparsa di ν̄e , ed ha quindi posto un limite superiore[7]:
sin2 2θ13 < 0.15 (90% C.L.)
(1.22)
Recentemente risultati preliminari ottenuti da Double CHOOZ, che ha aggiunto
a CHOOZ un rivelatore vicino per misurare al meglio il flusso atteso al rivelatore
lontano in assenza di sparizione, sembra invece indicare un effetto di scomparsa,
che corrisponde a:
sin2 2θ13 = 0.093 ± 0.029(stat) ± 0.073(syst).
(1.23)
Neutrini prodotti agli acceleratori: T2K
I neutrini prodotti agli acceleratori sono principalmente νµ . Essi hanno alcune
caratteristiche importanti, rispetto alle altre sorgenti di neutrini[2]:
• lo spettro del fascio puó essere ottimizzato e tenuto sotto controllo per
soddisfare le esigenze sperimentali;
• si possono ottenere abbondanti flussi di neutrini con energie al di sopra
della soglia per la realizzazione di reazioni di corrente carica di νµ e ντ ;
• in linea di principio possono essere verificati tutti i possibili mixing di
neutrino, essendo possibili esperimenti di apparizione di sapore differente.
Utilizzando il nuovo fascio di ν prodotto a J-PARC5 , é possibile ricercare la
transizione subdominante νµ → νe .
Prima di T2K a J-PARC, MINOS al Main Injector del Fermilab e OPERA allo
SPS del CERN, hanno rispettivamente confermato prima la sparizione dei νµ
atmosferici e poi anche la loro transizione in ντ .
Le difficoltá che si incontrano in questo tipo di esperimenti sono:
• Lo spettro energetico del neutrino puó essere calcolato dai parametri del
fascio oppure puó essere ricostruito dalla misura dello spettro dei µ con
una certa incertezza;
• Il fascio é comunque contaminato da νe , i quali sono prodotti dal decadimento dei K, principalmente nei canali[3]:
K ± → π 0 + e± + νe /ν̄e
KL0 → π ± + e∓ + νe
5
Si veda il paragrafo 2.1.
13
(5.07 ± 0.04)%
(40.55 ± 0.12)%
Per questo motivo risulta necessario un rivelatore vicino, capace di misurare al
meglio il livello di contaminazione comunque atteso in aggiunta ad un eventuale
segnale di apparizione nel rivelatore lontano.
Cosı́ come per DCHOOZ, é emersa una indicazione preliminare (2.5σ) della
transizione subdominante νµ → νe . Sei eventi passano tutti i criteri di selezione
per identificazione di elettroni in SK, se θ13 fosse uguale a zero, ci aspetteremmo
1.5±0.3 eventi di fondo. Questo corrisponde ad un intervallo 0.03 < sen2 2θ13 <
0.28.
Figura 1.5: Spettro di energia ricostruito dei neutrini che passano i criteri di
selezione, dando un eccesso di 4.5 eventi[8].
14
Capitolo 2
L’esperimento T2K
2.1
Presentazione dell’esperimento
L’esperimento T2K, acronimo di Tokai to Kamioka, intende osservare le oscillazioni di νµ in νe . É un esperimento su LBL, con una distanza di circa 300
Km tra il luogo di produzione e il rivelatore SK. Il sincrotrone ad alta potenza
J-PARC sito a Tokai provvede a fornire un fascio di protoni di 100 KW di
potenza, che dovrebbe evolvere fino a 1.6 MW. Tale fascio viene poi estratto ed
indirizzato verso Kamioka.
Figura 2.1: Acceleratore J-PARC
Dalla collisione del fascio di protoni con un bersaglio di grafite viene estratto
il fascio di neutrini; queste collisioni producono π e K, i quali decadono in
15
un tunnel di decadimento secondo le reazioni viste nel primo capitolo, producendo quindi neutrini e antineutrini muonici ed elettronici. I muoni e i pochi
protoni, pioni e kaoni rimasti sono fermati da un beam dump, mentre i neutrini
lo attraversano.
Il fascio di neutrini viaggia sotteraneamente per 295 km, raggiungendo SK.
Questo rivelatore ha una struttura cilindrica avente un’altezza di 41.4 m e un
diametro di 39.3 m, contenete 50.000 tonnellate di acqua ultra-pura, circondato da 11.146 fotomoltiplicatori. Alcuni neutrini del fascio interagiscono con
l’acqua in SK, che é capace di distinguere i µ prodotti dai νµ e gli e− prodotti
dai νe . Queste particelle prodotte eccitano gli elettroni delle molecole d’acqua,
i quali tornando nella loro posizione di equilibrio emettono radiazione. Se le
particelle cariche viaggiano piú veloce della luce nell’acqua, questa radiazione
viene emessa sotto forma di cono conosciuto come radiazione Cerenkov. Tale
radiazione genera anelli di luce diversi, ben definiti per i µ e piú sfuocati per gli
e− , che vengono registrati e forniscono informazioni sulla direzione e il sapore
del neutrino incidente.
Energia dei neutrini
Un parametro importante per il fenomeno delle oscillazioni, poiché da esso
dipende, é l’energia dei neutrini del fascio. Tant’é vero che i neutrini aventi
bassa energia oscillano in una distanza piú corta rispetto a quelli che hanno
energia piú alta. Il fascio di neutrini di T2K ha un range di energia centrato
sui 600 MeV, poiché i νµ , caratterizzati da questa energia, hanno la massima
probabilitá di oscillare dopo aver percorso 295 Km.
Obiettivi di T2K
Lo scopo principale di questo esperimento é la rivelazione dell’apparizione di νe ,
necessaria per confermare che una matrice 3x3 governa i fenomeni di mixing.
Si cerca cioé, nelle interazione rivelate in SK un eccesso di elettroni rispetto al
numero atteso dal fondo predetto dal rivelatore vicino. Per raggiungere questo
scopo T2K deve compiere[9]:
• Una più accurata determinazione dei paramentri atmosferici θ23 e della
lunghezza d’onda del fenomeno di sparizione di νµ ;
• La misura di θ13 , con una sensibilità maggiore di un ordine di grandezza
rispetto ad ogni altro esperimento esistente, dalla misura di oscillazioni
νµ → νe ;
• Conferma di eventi di oscillazione di tipo νµ → ντ dalla misura di eventi
di corrente neutra.
16
Off-Axis
T2K è il primo esperimento LBL con rivelatore off-axis. Questo vuol dire che
l’asse del fascio di neutrini non punta sul rivelatore. Se l’angolo formato é di
2.5 gradi si ottiene un’energia media di 0.6 GeV, cioé un valore di EL per il quale
é massima la probabilitá di oscillazioni. La distribuzione di energia dei neutrini
del fascio Eν diventa piú definita e piccata rispetto al caso in cui il fascio sia
on-axis (in questa configurazione il massimo é meno piccato) e diventa inoltre
quasi indipendente dall’energia del pione genitore, all’aumentare dell’angolo di
off-axis.
Figura 2.2: Cinematica del fascio Off-axis[9]
Quest’ultimo aspetto si puó capire analizzando la fig. 2.2. Quando l’angolo di
off-axis é zero, l’energia dei neutrini del fascio é proporzionale all’energia dei π
genitore, mentre nel caso in cui l’angolo di off-axis sia diverso da zero diventa
quasi indipendente da essa.
Inoltre, per questioni cinematiche, legate al decadimento dei K, viene anche
ridotta la contaminazione di νe all’interno del fascio di νµ .
17
2.2
Near Detector ND280
Oltre al rivelatore lontano è presente un secondo rivelatore a ∼280 m dal
bersaglio di creazione del fascio di neutrini, che prende il nome di ND280 (Near
Detector 280 m). Esso deve ottenere misure precise del flusso, dello spettro
e della composizione dei neutrini in vicinanza del bersaglio, per gli studi di
sparizione di νµ e, di apparizioni di νe . Queste misure necessitano di un grande
rivelatore altamente segmentato, capace di rivelare particelle sia neutre che
cariche e di misurare la loro energia. La ricostruzione dell’energia dei neutrini
rivelati dal near detector é basata sulle interazioni quasi-elastiche di corrente
carica (CCQE), dove l’energia dei neutrini, Eν , é ricostruita misurando l’energia
El dei leptoni prodotti nelle interazioni e, l’angolo θl che il fascio di neutrini
forma con il leptone prodotto[9]. Inoltre é possibile migliorare la misura della
sezione d’urto di nutrino e antineutrino nei vari processi di CC ed NC.
ND280 é contenuto in un grande magnete, giá utilizzato nell’esperimento UA1
al CERN per la scoperta dei W ± e Z 0 , che produce un campo magnetico di
0.2 T perpendicolare alla direzione del fascio di neutrini, permettendo di distinguere il segno e misurare il momento delle particelle cariche che emergono dalle
interazioni nel volume del rivelatore.
Il rivelatore si compone dei seguenti elementi[9]:
• Pi-Zero Detector (P0D): posto nella parte iniziale del rivelatore permette
di misurare la quantitá di π 0 prodotti da NC, uno dei due fondi principali
per l’analisi di apparizioni di neutrino elettronico.
• Tracker: si trova dietro al P0D ed é un rivelatore tracciante ottimizzato
per la misura del momento delle particelle cariche. É formato da:
1. Camere traccianti a proiezione temporale (TPCs): tre TPC identiche misurano in 3D segno, direzione e momento dei muoni prodotti
da interazioni CC e compiono la misura piú accurata dello spettro
di energia dei neutrini. La misura dell’energia depositata permette
inoltre di distinguere tra muoni, pioni ed elettroni.
2. Bersagli attivi ad alta granularitá-Fine Grained Detectors (FGDs):
due moduli FDG sono posti dietro rispettivamete la prima e la seconda TPC. Forniscono la massa bersaglio per le interazioni di neutrino
che vengono poi misurate dalle TPC.
• Calorimetro elettromagnetico (ECAL): circonda sia il P0D che il tracker
e, misura i raggi γ che non convertono in questi due rivelatori. É di vitale
importanza per la ricostruzione dei decadimenti dei π 0 ;
• Rivelatori laterali per la misura del range dei muoni - Side Muon Range
Detector (SMRD): gli interspazi tra le lastre di ferro del magnete UA1
18
sono riempiti con scintillatori in modo da misurare il range dei muoni che
escono dai lati dell’ND280.
Figura 2.3: Sezione dell’ND280
In aggiunta a questi rivelatori situati off-axis, é presente un rivelatore per il
controllo del fascio on-axis, che prende il nome di INGRID. Si puó ora passare
ad una descrizione piú dettagliata dei vari componenti dell’ND280.
2.2.1
Il Magnete
Il magnete presente in ND280 crea un campo magnetico uniforme, diretto orizzontalmente di 0.2 T e, perpendicolare al fascio di neutrini. Esso é costituito da
due metá simmetriche rispetto ad un piano verticale contenente l’asse del fascio.
Ogni sezione é composta di 16 piani di ferro, le cui dimensioni sono 0.88x0.90
m2 per quelli verticali e, 0.88x0.72 m2 per gli orizzontali, entrambi aventi uno
spessore di 5 cm, divise l’una dall’altra da una gap di 1.7 cm.
Tra le gap sono inseriti degli scintillatori (Side Muon Range Detector, SMRD),
che permettono la rivelazioni di muoni che sfuggono lateralmente e la misurazione del loro range, fornendo quindi una ricostruzione dell’impulso. Il complesso che forma il rivelatore interno é chiaramente, costruito in modo da rientrare
tra le due metá del magnete. I rivelatori piú interni, a parte il calorimetro
elettromagnetico, sono posti in un supporto metallico di dimensioni 6.5x2.6x2.5
m3 .
19
Figura 2.4: Magnete dell’UA1
2.2.2
SMRD: Side Muon Range Detector
Il Side Muon Range Detector é un rivelatore capace di fornire una misura di
impulso del muone, basata sul suo range. Esso consiste di moduli di scintillatori
di 1 cm di spessore inseriti tra le gap del magnete. L’SMRD permette la rivelazione dei muoni di bassa energia che sfuggono dalle parti interne dell’ND280 a
grandi angoli rispetto alla direzione del fascio. La grande maggioranza dei µ che
hanno un grande angolo di emissione, vale a dire il 91% di tutti quelli prodotti
nei rivelatori, hanno un momento piú basso di 600 MeV/c. Gli studi Monte
Carlo indicano che puó essere ottenuta una risoluzione dell’energia di un muone
inferiore al 10% competitiva con un’analisi magnetica, a queste basse energie.
Inoltre, come ci si aspetta, tale risoluzione é migliore per i muoni emessi a grandi angoli e, peggiore per i muoni emessi a piccoli angoli rispetto alla direzione
del fascio. Affinché l’ND280 riesca realmente ad identificare interazioni quasielastiche di corrente carica e ad individuare gli eventi di fondo, l’SMRD deve
rivelare particelle minimamente ionizzanti (MIP) con buona efficienza. É anche
presente un trigger per distinguere i raggi cosmici dalle particelle che vengono
prodotte dalle interazioni all’interno del rivelatore. Fibre WLS equidistanti
sono incorporate negli scintillatori e sono usate per la raccolta della luce, che
convogliano verso i photo detectors in modo da ottenere una alta effecienza
20
di rivelazione anche delle particelle poco ionizzanti, raggiungendo un’efficienza
nella rivelazione di queste particelle di circa il 99.5%.
2.2.3
TPC: Temporal Proiection Chamber
La camera a proiezione temporale o TPC é un rivelatore a gas (in ND280 il
gas é CO2 ), che unisce le caratteristiche della multiwire proportional chamber
(MWPC) e della camera a deriva. Esso permette di ricostruire tracce in 3D
delle particelle che lo attraversano e, fornisce informazioni, in molti punti del
percorso della particella, sulla sua perdita specifica di energia, dE/dx. Una
TPC è composta, come mostrato in fig. 2.5, da un cilindro con un piano ad alta
tensione al centro, in modo da creare un campo elettrico tra le basi e il centro
del cilindro. Le estremità del cilindro sono coperte da un piano di fili anodici
proporzionali divisi in settori e da un piano adiacente di segmenti catodici di
forma rettangolare (pads).
Figura 2.5: Schema di funzionamento di una Time Projection Chamber
Gli elettroni di ionizzazione prodotti da una particella che passa attraverso il
cilindro subisce deriva fino all’estremità dove viene rivelata dai cavi anodici
come in una MWPC: una coordinata è data dal filo anodico a cui arrivano gli
elettroni, un’altra dal pad, tra quelli vicini al filo che è interessato dalla valanga
e la terza (quella lungo l’asse del cilindro) è fornita dal tempo di deriva. Inoltre,
siccome la carica collettiva all’estremità della TPC è proporzionale alla perdita
di energia della particella, l’ampiezza del segnale dell’anodo permette anche
di ricavare informazioni sul dE/dx della particella e quindi, poiché particelle
diverse subiscono perdite di energia diverse, permette anche di identificare il
tipo di particella che ha generato il segnale. A causa del lungo percorso di
deriva, si ha il problema della diffusione delle cariche, che viene risolto applicando un campo magnetico nella stessa direzione del campo elettrico in modo
da confinare gli elettroni in traiettorie elicoidali intorno alla direzione di drift.
21
Questo riduce la diffusione di più di un fattore 10. Un altro problema risiede
nell’accumulo di carica spaziale nel volume di deriva a causa degli ioni positivi
che, dalle valanghe vengono attirati verso il catodo centrale. Questi ioni sono
sufficientemente numerosi da distorcere il campo elettrico. Per risolvere questo
inconveniente si pone una griglia (Gating Grid) ad alto potenziale prima dei fili
anodici; in questo modo gli ioni vengono catturati dalla griglia senza entrare
nella regione di drift. Infine per disaccoppiare il campo della regione di drift
da quello della regione di moltiplicazione si usa una seconda griglia (Shielding
Grid), a potenziale nullo, posta dietro la gating grid, ma comunque avanti gli
anodi sensibili.
La geometria complessiva della TPC in ND280, deriva dai limiti fisici imposti dal
magnete UA1. I tre moduli sono parallelepipedi delle dimensioni di 2.5 m x 2.5
m nel piano perpendicolare alla direzione del fascio di neutrini e 1.0 m lungo
quest’ultima. La dimensione trasversale é scelta appositamente per lasciare,
tra il modulo della TPC e il magnete UA1, lo spazio necessario al calorimetro
elettromagnetico e ad un supporto meccanico. La dimensione lungo il fascio é
sufficiente per raggiungere la risoluzione desiderata della misura del momento.
Figura 2.6: Sezione della Time Projection Chamber di ND280
La gabbia per il campo elettrico é stata progettata per risultare robusta, ma di
semplice costruzione e per ottenere un campo piú uniforme possibile. Questo
campo si avvicina al valore di 200 V/cm quando il catodo centrale é posto ad
un potenziale di -25 kV. La superficie esterna della TPC é portata a potenziale
nullo onde evitare problemi di sicurezza; l’azzeramento del campo mediante
degradazione si ottiene ponendo del gas opportunatamente scelto tra la scatola esterna e la scatola interna della TPC. Le pareti devono essere costruite di
22
un materiale resistente, ma leggero, dal momento che l’impulso delle tracce da
misurare si aggira sulle poche centinaia di MeV/c. Il box interno (inner box) é
costituito da pannelli composti da G10 e rohacell all’interno dei quali corrono
striscie conduttrici equispaziate che assicurano l’uniformitá del campo elettrico.
Anche il catodo centrale é ottenuto da un pannello di G10 e, ai quattro angoli,
presenta delle fessure che consentono il passaggio del gas da una regione all’altra
della TPC; queste fessure vengono comunque ricoperte da una griglia conduttrice per assicurare anche in quelle regioni un campo uniforme. Il box esterno
(outer box) consiste di 4 pareti e due endplates. Per produrre la ionizzazione
a valanga queste TPC, anziché piani di fili anodici con separazione di qualche
millimetro, usano una tecnologia molto avanzata e recente, che permette loro
di avere una granularitá elevata: le MicroMeGas. Un modulo di MicroMeGas
conserva la geometria a piatti dei rivelatori a gas e consiste in un piano di Mesh,
ossia di un piano di fili incrociati (distanti ∼10 µm). Questo dista 50 - 100 µm
da un normale piano di strip metalliche che fungono da elementi di lettura,
gli elettroni migrano dall’elettrodo catodico verso l’anodo, attraverso il Mesh
e risentono di un forte campo elettrico dando origine, nel piano di Mesh, alla
moltiplicazione di carica che induce segnali sul piano di strips. Vari moduli di
MicroMeGas sono assemblati sugli endplates dell’inner box.
2.2.4
FGD: Fine-Grained Detector
Gli FGD, come il P0D, sono degli scintillatori, vale a dire dei rivelatori costituiti
di un materiale capace di emettere fotoni, in genere nella regione del visibile o
dell’ultravioletto, quando viene attraversato da una particella carica o coppie
prodotte da un fotone di alta energia. Quando la particella incidente attraversa
il materiale, cede parte della sua energia allo scintillatore causando l’eccitazione
di un elettrone che si sposta in un livello ad energia superiore. Questo ritornando nel livello che occupava prima dell’eccitazione emette un fotone di energia
relativamente bassa. Tale impulso di luce viene poi rivelato e trasformato in impulso elettrico da un fotomoltiplicatore. Tali rivelatori devono avere le segueti
proprietá:
• Alta efficienza di conversione dell’energia di eccitazione in impulsi di luce
rilevabile;
• La conversione deve essere quanto piú possibile lineare per intervalli energetici abbastanza ampi;
• Il materiale con cui sono realizzati deve risultare trasparente alla radiazione emessa;
• Il tempo di diseccitazione deve essere breve;
23
• L’indice di rifrazione del mezzo deve essere vicino a quello del vetro per
consentirne l’accoppiamento con fotomoltiplicatori o altri strumenti di
amplificazione e rilevazione del segnale senza perdite significative di luce
originaria.
Nell’ND280 sono presenti due Fine-Grained Detectors (FGDs), aventi dimensioni 200x200x30 cm3 . Un FGD consiste di strati x-y di barre di scintillatore
plastico letti in uscita con fibre wavelength-shifting. Il secondo FGD é per certi
aspetti diverso, infatti gli scintillatori plastici sono alternati con strati di acqua
di 3 cm. Le loro dimensioni sono 1.0x1.0x200 cm3 e, la loro superfice é rivestita
da uno strato riflettente di T iO2 . In ognuno di essi, inoltre, é praticato un
foro nel quale é installata una fibra wave-length shifting (WLS). Ogni strato
consiste di 200 di queste barre, 30 delle quali sono disposte alternativamente
orizzontalemente e verticalmenete, perpendicolari alla direzione del fascio. La
soglia di tracking attesa é di ∼4 cm, che corrispondono a un impulso di 350
MeV/c per un protone.
2.2.5
P0D: π 0 Detector
Il π 0 detector é uno scintillatore solido, la cui regione di rivelazione é circondata
da un calorimetro elettromagnetico. Tale rivelatore é costituito di 76 piani
traccianti posizionati pependicolarmente alla direzione del fascio. Questi ultimi
sono formati da barre di scintillazione triangolari di polistirene, i quali sono
ricoperti da uno strato riflettente di T iO2 e da un foro centrale per le fibre
WLS. Le barre di scintillatore hanno una base di 3 cm, un’altezza di 1.5 cm e
una larghezza di 180 o 210 cm.
Uno dei vincoli da fronteggiare in questo rivelatore é costituito dal fatto che le
interazioni di neutrino devono essere misurate usando l’acqua come bersaglio,
in quanto l’obiettivo del rivelatore é la predizione del flusso di neutrini che
raggiunge SK. Quindi sono presenti delle celle di acqua costituite da strutture semiflessibili, aventi dimensioni di 3x1.8x2.1 cm3 , contenenti circa 100 Kg
di acqua ognuno. Infine, basandosi sul tasso di eventi atteso, si possono aspettare approssimativamente 60000 eventi di corrente neutra che si originano
dal decadimento dei π 0 , dei quali circa 17000 avvengono in acqua.
2.2.6
ECAL: Electromagnetic Calorimeter
Un altro rivelatore presente in ND280 é il calorimetro elettromagnetico. I
calorimetri sono rivelatori che assorbono in parte o completamente una particella e rispondono in maniera proporzionale alla sua energia, che possono
quindi misurare. Le particelle entrando in qusti rivelatori, provocano uno sciame e l’energia delle particelle generate viene depositata nel rivelatore e misurata. Tipicamente sono divisi trasversalmente per acquisire informazioni sulla
24
Figura 2.7: Visione schematica del P0D. In bianco sono mostrati gli strati di
scintillatore, in rosso i fogli di piombo, in giallo le celle di acqua, in verde le
lastre di polipropilene(non parlo di queste lastre su ProposalT2K se ne parla
nell’FGD).
direzione delle particelle, e naturalmente per misurarne l’energia, mentre una
segmentazione longitudinale e una fine granularitá possono fornire informazioni
riguardanti il tipo di particella, basandosi sulla forma dello sciame che provoca. I calorimetri possono essere di due tipi: elettromagnetici e adronici. Un
calorimetro elettromagnetico é progettato per misurare l’energia delle particelle
che interagisco per via elettromagnetica, mentre quelli adronici sono progettati
per rivelare particelle che interagiscono attraverso l’interazione forte. Entrambi
i tipi sono spesso calorimetri a campionamento, in cui il materiale che produce
lo sciame é distinto dal materiale che misura l’energia depositata. Tipicamente
i due materiali si alternano. Un vantaggio di questo metodo é che i materiali
usati possono essere ottimizzati per il loro obiettivo, per esempio, un materiale
molto denso puó produrre lo sciame che in questo modo si evolve in uno spazio
ridotto, tale materiale peró non é ottimale per la misura dell’energia.
Il calorimetro presente in ND280 ha come scopo quello di caratterizzare l’energia
elettromagnetica prodotta dalle interazioni di neutrino nei rivelatori interni (il
P0D, l’FGD e la TPC). Tale rivelatore funge inoltre come veto attivo, per
rigettare il fondo dovuto alle particelle prodotte dalle interazioni di neutrino
25
nel magnete o in altri materiali che circondano il complesso di rivelatori. Nel
tentativo di produrre uno sciame esteso di fotoni é stata posta una sezione preradiator nell’ECAL, la quale fornisce accurate informazioni per il tracking. La
sezione interna del rivelatore consiste di 15 strati, ognuno dei quali formato da
un foglio di lega di piombo spesso 3 cm e una barra di scintillatore spessa 1 cm e
larga 5 cm. In quest’ultima, inoltre, sono presenti fibre ottiche che permettono
la rivelazione del segnale luminoso.
26
Capitolo 3
Analisi dati delle interazioni di ν
e ν̄
3.1
Software ufficiale di T2K
Il software ufficiale della collaborazione di T2K per la simulazione del rivelatore vicino ND280 é usato per l’analisi sia dei dati Monte Carlo, cioé ottenuti
dalla simulazione, sia dei dati reali forniti dai rivelatori. Le varie simulazioni
usano tutte il metodo Monte Carlo. Dopo la simulazione del fascio di neutrini,
le loro interazioni sono simulate utilizzando i programmi di simulazione NEUT
(v5.1.1) [10] e GENIE [11], mentre la propagazione attraverso i rivelatori delle
particelle prodotte nelle interazioni di neutrino é basata su Geant4 (acronimo
di GEometry ANd Tracking, geometria e tracciamento). Tale software é un
toolkit basato sulla programmazione orientata ad oggetti per la simulazione del
passaggio di particelle attraverso la materia, oggi ampiamente usato e costantemente aggiornato. Tutti gli aspetti della simulazione sono inclusi all’interno
del toolkit e permettono la gestione:
• della geometria del sistema
• delle proprietá dei materiali utilizzati
• delle particelle coinvolte nella simulazione
• della generazione di eventi fisici
• del tracciamento delle particelle prodotte attraverso la materia ed i campi
elettromagnetici
• dei processi che presiedono alle diverse interazioni
• della registrazione di tutte le informazioni raccolte lungo le traiettorie
delle particelle tracciate
27
• della visualizzazione grafica di eventi e traiettorie delle particelle
• delle risposte dei componenti sensibili, simulando cosı́ il complesso delle
informazioni raccolte dall’apparato sperimentale in occasione di ciascun
evento fisico.
Tra le sue caratteristiche piú importanti c’é quella di riuscire a garantire un
livello di dettaglio a scelta dell’utente e la possibilitá di seguire ogni passo della
simulazione. I file di output, generati dalla simulazione o dalla ricostruzione dei
rivelatori, sono in formato ROOT.
ROOT é un framework orientato ad oggetti per l’analisi dati sviluppato al
CERN e, anch’esso in grandissimo uso. Il progetto fu avviato da René Brun e
Fons Rademakers nel 1994[12].
I pacchetti forniti da ROOT includono varie funzionalitá, tra cui:
• Visualizzazione, analisi di distribuzioni e funzioni tramite istogrammi e
grafici;
• Fitting e minimizzazione di funzioni;
• Strumenti statistici per l’analisi dei dati;
• Algebra matriciale;
• Supporto di quadrivettori, utilizzati nella fisica delle alte energie;
• Supporto di funzioni matematiche standard;
• Manipolazione di immagini, usata per esempio per analizzare figure astronomiche;
• Accesso ai dati distribuiti (nel contesto di Grid);
• Calcolo distribuito, per analizzare dati in parallelo;
• Persistenza e serializzazione degli oggetti, i quali possono far fronte ai
cambiamenti nelle definizioni delle classi dei dati persistenti;
• Accesso ai database;
• Visualizzazione 3D;
• Creazione di file in vari formati grafici, come PostScript, JPEG;
• Interfacciamento con generatori Monte Carlo.
28
Una caratteristica chiave di ROOT é l’organizzazione dei dati in strutture ad
albero, chiamate Tree, e sottostrutture chiamate Branches e Leaves. Un Tree
(classe TTree) é composto di Branches (classe TBranch), che a sua volta é
composto di leaves (classe TLeaf). Le leaves possono essere semplici variabili,
strutture, arrays o oggetti. Un array puó essere di lunghezza variabile. Quest’ultima puó diventare una variabile nello stesso o in un altro branch. I Branches
sono generalmente degli oggetti. La struttura dei dati di un Tree permette di
accedere direttamente ad ogni evento, ogni branch e ogni leaf. Questa particolare organizzazione evita problemi di allocazione della memoria concernenti la
creazione di oggetti. ROOT é al momento attuale, prevalentemente utilizzato
nell’acquisizione ed analisi dei dati in applicazioni di Fisica delle alte energie.
I pacchetti del software ufficiale della Collaborazione T2K utilizzati nell’ambito
di questa tesi per l’analisi dei dati sono:
• oaAnalysis: é un set di tools che aiutano a scrivere e leggere i file di
analisi. L’output di questo programma é un file in formato ROOT che
contiene tutte le informazioni relative agli eventi e che puó essere letto
utilizzando semplici script di analisi.
• eventDislay: é un programma che permette di visualizzare gli eventi
Monte Carlo e quelli ricostruiti dalle informazioni del rivelatore.
3.2
Analisi delle interazioni quasi-elastiche di
νµ ed ν̄µ
Le interazioni di corrente carica di νµ (e ν̄µ ) in ND280 sono caratterizzate dalla
presenza di µ− (µ+ ) energetici. Per questa ragione, l’analisi di queste interazioni é basata su un set di tagli che forniscono la selezione delle particelle con
un grande momento compatibili con l’ipotesi di essere un muone. Per questa
selezione occorrono[14]:
1. tracce negative (positive): la traccia di piú alto momento dell’evento deve
essere negativa (positiva);
2. la traccia di piú alto momento ricostruito dell’evento deve essere identificata come muone dagli algoritmi di particle identification.
La collaborazione internazionale che lavora all’esperimento sta realizzando una
analisi delle interazioni quasi-elastiche di neutrino ed antineutrino. In quest’analisi vengono selezionati come candidati di interazione quasi-elastica di corrente
carica gli eventi aventi un µ+ nello stato finale, nel caso di interazione di ν̄, o
un µ− nel caso di interazione di ν. La TPC ricostruisce il momento, la carica
e il segno della particella che proviene dall’FGDs, ma non seleziona i µ con
29
un’accettabile purezza. É infatti impossibile distinguere i π e i µ servendosi
solo della conoscenza dello stopping power dE/dx ricostruito dalla TPC; in piú,
c’é una considerevole contaminazione di protoni di alto momento prodotti in
interazioni quasi-elastiche di neutrino e, anche di positroni aventi un momento
di ∼250 MeV/c. Per ovviare a questo inconveniente, vengono utilizzate anche
le informazioni fornite dal calorimetro (ECAL) per identificare le particelle; si
é osservato che con buona efficienza si riescono a distinguere i campioni di µ+
dagli altri contributi[13].
In questo tipo di interazioni si ha un µ− e un p nello stato finale, nel caso dei ν o
un µ+ e un n nel caso degli ν̄. Dato che la densitá dell’FGDs non é trascurabile,
una significativa frazione di volte alcune di queste particelle finali non emergono
dall’FGD e non raggiungono le TPCs.
La selezione degli eventi quasi-elastici prevede l’identificazione di eventi di corrente carica di neutrino e antineutrino (basata fondamentalmente sulla richiesta
di una traccia di muone ricostruita); una successiva selezione ha l’obiettivo di
identificare tra questi eventi quelli quasi-elastica. In particolare occorre che[14]:
1. le tracce non siano piú di due per evento;
2. la traccia negativa nel caso di interazione di neutino o positiva nel caso di
interazione di antineutrino sia una sola;
3. non ci siano elettroni Michel, cioé quegli elettroni prodotti dal decadimento dei muoni;
4. nel caso le tracce ricostruite siano due vengono fatti degli ulteriori tagli:
• le due tracce devono essere generate nello stesso vertice
• una particella deve essere identificata come protone dai metodi di
particle identification
• selezione sulla direzione dei protoni
• selezione sulla massa invariante del neutrino
3.2.1
Cinematica della diffusione elastica
Come é stato detto uno degli obiettivi di T2K é anche una misura piú precisa
di sparizione di νµ e ν̄µ . Servono quindi eventi con µ± in cui si possa ricostruire
l’energia del neutrino. Questi eventi sono i cosiddetti CCQE, gli unici che forniscono questa indispensabile misura, grazie alle caratteristiche della cinematica
della diffusione (quasi-)elastica.
Questa cinematica definisce come, in seguito al processo d’urto, si modificano
i quadrivettori delle particelle interagenti. Si prenda in considerazione un urto
elastico fra due particelle a e b, con b ferma nel sistema del laboratorio e, si
30
indichi con θ l’angolo formato dalla direzione della particella a prima e dopo
l’urto. Alla particella a entrante si associ il quadrimomento k, alla particella
a uscente il quadrimomento k ′ , e similmente per la particella b si utilizzino i
quadrimomenti p e p′ definiti nel modo seguente:
k = ( Ec , ~k)
k ′ = ( Ec , k~′ )
p = ( Ecp , p~) = (Mb c, 0)
E′
p′ = ( p , p~′ )
c
La conservazione di energia e impulso implica che il quadrimpulso totale si
conserva:
(3.1)
k + p = k ′ + p′
Quadrando si ottiene:
|k|2 + 2k · p + |p|2 = |k ′ |2 + 2k ′ · p′ + |p′ |2
(3.2)
Essendo il quadrato del quadrimpulso uguale alla massa invariante della particella
(3.3)
Ma2 c2 + 2k · p + Mb2 c2 = Ma2 c2 + 2k ′ · p′ + Mb2 c2
tenendo conto che in un urto elastico Ma′ = Ma e Mb′ = Mb . Quindi
k · p = k ′ · p′
(3.4)
Sostituendo la 3.1 nella 3.4, si ha
k · p = k ′ · (k + p − k ′ ) = k ′ · k + k ′ · p − |k ′ |2
(3.5)
esplicitando i prodotti quadrivettoriali:
E ′E
E′
E
Mb c = 2 − ~k · ~k + Mb c − Ma2 c2
c
c
c
(3.6)
nel limite delle alte energie (masse trascurabili)
EMb =
Ora utilizzando
E ′E
− |k~′ ||~k|cosθ + E ′ Mb
2
c
E
|~k| ≈
c
|k~′ | ≈
E′
c
(3.7)
(3.8)
si ottiene
EMb =
E ′E
E
(1 − cosθ) + E ′ Mb =⇒ E = [
(1 − cosθ) + 1]E ′
2
c
Mb c 2
31
(3.9)
quindi
E′ =
E
1+
E
(1
Mb c2
− cosθ)
(3.10)
Fissata l’energia iniziale E, la conservazione dell’energia e del momento lineare
in un processo di diffusione elastica stabilisce una relazione univoca fra l’angolo
di diffusione θ e l’energia della particella uscente E ′ . Maggiore é la massa della
particella colpita minore é il peso del fattore di rinculo MEb c2 .
3.3
Studio dello Script di Analisi
Gli scripts di analisi utilizzati dalla collaborazione T2K, permettono l’analisi
dati e la simulazione Monte Carlo dei dati di interazioni di ν e di ν̄. In questo
lavoro di tesi é stato utilizzato lo script CCAntinu 3.C su cui si basa la selezione
degli eventi per lo studio delle interazioni di ν̄. In questo script sono definite
delle funzioni il cui ruolo verrá discusso qui di seguito.
Selezione delle Tracce nel Volume Fiduciale
Le seguenti funzioni:
- FGDFiducial
- FGD1Fiducial
- FGD2Fiducial
- P0DFiducial
restituiscono una variabile boleana e, controllano se la traccia della particella
passa all’interno del volume efficace alla rivelazione del detector. Tali funzioni
hanno come argomento la posizione della traccia di tipo TLorentzVector (una
classe di ROOT), ha cioé componenti (x,y,z,t)[12]. Il tipo di questa variabile
é una classe di ROOT che viene usata per descrivere i quadrivettori. Quindi
FGD1Fiducial e FGD2Fiducial controlla se la particella attraversa il volume dei
due FGD, mentre FGDFiducial controlla se la particella attraversa entrambe
le FGD. Infine P0DFiducial controlla se la traccia della particella attraversa il
P0D.
Massa Invariante
La massa invariante o massa a riposo di un sistema di particelle é una quantitá
costante in ogni sistema di riferimento.
Per una particella si ricava dall’equazione:
(mc2 )2 = E 2 − (pc)2
32
(3.11)
Per un sistema di N particelle si ha invece:
N
N
X
X
2
(M c ) =
(E) −
(pc)2
2 2
1
(3.12)
1
E per due particelle la 3.12 diventa (in unitá naturale):
M 2 = m21 + m22 + 2 (E1 E2 − p~1 · p~2 )
(3.13)
La funzione GetInvariatMass, calcola proprio la massa invariante tra due particelle, restituisce una variabile reale1 ed ha come argomenti:
- momentumglob: cioé il momento totale ricostruito sulla base delle informazioni raccolte da tutti i rivelatori dell’apparato; momentumglob
corrisponde alla prima traccia;
- momentumglobsec: corrisponde al momento totale ricostruito per la seconda traccia;
- p1mass: ipotesi di massa della prima particella prodotta nell’interazione;
- p2mass: ipotesi di massa della seconda particella prodotta nell’interazione;
che sono anch’essi singole variabili reali, mentre
- dir: é la direzione ricostruita della prima traccia;
- dirsec: é la direzione ricostruita della seconda traccia;
sono di tipo TVector3, una classe di ROOT che permette di descrivere un vettore
in 3D[12].
Per calcolare tale massa bisognerebbe avere le componenti del momento lineare
totale e dell’energia di ciascuna particella. Infatti la funzione, a partire da
momentumglob (per la prima particella e momentumglobsec per la seconda),
trova le componenti lungo gli assi di un sistema di riferimento, il cui asse z é
diretto lungo il fascio, in questo modo:
p1x = momentumglog*sin(dir.Theta())*cos(dir.Phi())
p1y = momentumglob*sin(dir.Theta()*sin(dir.Phi())
p1z = momentumglob*cos(dir.Theta)
Poi calcola l’energia:
E1 = sqrt(momentumglob*momentumglob+p1mass*p1mass)
1
Nel linguaggio informatico il termine esatto é “double”.
33
Lo stesso fa per la seconda particella. A questo punto si hanno tutte le informazioni per calcolare la massa a riposo al quadrato:
minv = p1mass*p1mass+p2mass*p2mass+2.*(E1*E2-p1x*p2x-p1y*p2y
-p1z*p2z)
Il risultato trovato da ques’ultima operazione passa poi ad un if. Se la minv é
maggiore di zero, allora ne fa la radice quadrata, altrimente in uscita si avrá
un risultato grande tanto da segnalare un errore. La massa invariante viene
calcolata perché in questo modo si puó risalire alla particella genitore delle
particelle prodotte dall’interazione. Infatti quest’ultima dovrá essere nel limite
degli errori sperimentali uguale a quella della particella genitore.
Il suo quadrato é una variabile importante per migliorare la selezione di eventi
quasi-elastici nel caso di due tracce.
Inoltre puó essere usata per l’identificazione dei π, passaggio cruciale per la
discriminazione tra eventi quasi-elastici ed eventi di corrente carica con un solo pione prodotto nello stato finale (CC1π). Non sono pochi, infatti, i pioni
prodotti nel decadimento della risonanza ∆++ prodotta nel vertice di interazione
neutrino-nucleone[14]:
∆++ → π + + p
(3.14)
Questo fondo puó essere ridotto studiando proprio la massa invariante.
Number of entries
Entries 12134
3500
3000
CCQE
CC1π
CCNπ
2500
CCQE ν
No CCQE ν
NC
Out FV
2000
Coh
1500
1000
500
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
Minv (Mev/c^2)
Invariant Mass
Figura 3.1: Massa invariante a seconda dei vari tipi di interazione
In figura 3.1 é mostrato, per i vari tipi di interazione, tale massa calcolata in
base alle tracce ricostruite. La distribuzione é centrata intorno al valore della
massa della ∆ (m = 1232 MeV/c2 [3]).
34
Inoltre, é possibile studiare la massa a riposo del neutrino, m2ν , che puó essere calcolata usando la cinematica dello stato finale. Siano Pp , Pµ , Pn , Pν i
quadrimomenti rispettivamente del protone, del muone, del neutrone e del
neutrino[14]. Il quadrato della massa invariante del neutrino é dato da:
m2ν = Pν2 = (PP + Pµ − Pn )2
(3.15)
Questa variabile puó essere usata per selezionare eventi realmente indotti da
neutrino.
Angolo di Apertura tra due Tracce
Entries
2015
Number of entries
Number of entries
L’angolo di apertura é un parametro importante nell’interzione tra particelle,
perché permette di risalire al tipo di interazione. Infatti in interazioni quasi-elastiche l’angolo che formano le tracce del leptone é piú grande rispetto a quello
che si ha in un’interazione profondamente anelastica.
500
CCQE
400
CC1π
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
300
Entries
600
CCQE
CC1π
500
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
400
Out FV
6651
700
Out FV
Coh
Coh
300
200
200
100
0
-1
100
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0
-1
0.8
1
cos(theta)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos(theta)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
Figura 3.2: Angolo formato dalla traccia del muone rispetto alla direzione del
neutrino incidente ottenuta dalla simulazione per eventi di interazione quasielastici (a destra) e profondamente anelastici (a sinistra).
In Figura 3.2 (3.3) é mostrato l’angolo formato dalla traccia del muone rispetto
alla direzione del neutrino (antineutrino) incidente ottenuta dalla simulazione
per eventi di interazione quasi-elastici e profondamente anelastici.
Tale angolo puó essere calcolato a partire dai momenti ricostruiti delle particelle,
infatti se lo si indica con α, si ha:
cosα =
p~1 · p~2
|p~1 ||p~2 |
(3.16)
Nel caso di interazione quasi-elastica di corrente carica si assuma che ∆θp sia
l’angolo tra la direzione ricostruita del protone e quella del muone. Sia inoltre
n~p il versore della direzione misurata del protone e p~p il suo momento misurato.
L’angolo tra i due vettori é dato da:
pp cos∆θp = n~p · p~p
35
(3.17)
163
Number of entries
Number of entries
Entries
80
70
60
CCQE
CC1π
CCNπ
CCQE ν
50
No CCQE ν
NC
Entries
80
70
60
CCQE
CC1π
CCNπ
CCQE ν
50
No CCQE ν
NC
Out FV
40
Out FV
Coh
30
20
20
10
10
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
Coh
40
30
0
-1
186
0.6
0
-1
0.8
1
cos(theta)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos(theta)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
Figura 3.3: Angolo formato dalla traccia del muone rispetto alla direzione
dell’antineutrino incidente ottenuta dalla simulazione per eventi di interazione
quasi-elastici (a destra) e profondamente anelastici (a sinistra).
Per semplicitá si assuma che il fascio di neutrini sia diretto lungo l’asse Z.
Per gli eventi di CCQE la relazione tra i momenti delle particelle coinvolte
nell’interazione é p~p = p~ν − p~µ . Andando a sostituire questa relazione nella 3.17
si ha[14]:
npz pν − n~p · p~µ
cos∆θp = p 2
(3.18)
pµ + p2ν − 2pµz pν
La funzione GetOpeningAngle permette di calcolare l’angolo di apertura tra
due tracce. Restituisce quindi una variabile reale ed ha come argomenti:
- momentumglob
- momentumglobsec
che sono anch’essi reali, mentre
- dir
- dirsec
sono di tipo TVector3. Anche questa funzione calcola le componenti del momento lineare a partire dal momentumglob. Infatti l’angolo di apertura tra due
tracce é dato da:
cosalfa = (p1x*p2x+p1y*p2y+p1z*p2z)/(momentumglob*momentumglobsec)
In Figura 3.4 (3.5) é mostrato l’angolo formato dalla traccia del muone (con
il momento ricostruito piú alto) rispetto alla traccia secondaria nel caso di
eventi con 2 tracce ricostruite in interazioni quasi-elastiche e profondamente
anelastiche.
36
1348
Number of entries
Number of entries
Entries
180
160
140
CCQE
CC1π
CCNπ
120
CCQE ν
100
Out FV
No CCQE ν
NC
Entries
160
140
CCQE
120
CCQE ν
CC1π
CCNπ
No CCQE ν
NC
100
Out FV
Coh
Coh
80
80
60
60
40
40
20
20
0
-1
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
1210
180
0.6
0
-1
0.8
1
cos(alpha)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos(alpha)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
Entries
131
Number of entries
Number of entries
Figura 3.4: Angolo di apertura tra la traccia del muone (con il momento ricostruito piú alto) e la traccia secondaria nel caso di eventi con 2 tracce ricostruite in interazioni quasi-elastiche (a destra) e profondamente anelastiche
(a sinistra) di neutrino.
16
14
CCQE
12
CC1π
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
10
Entries
3.5
CCQE
3
CC1π
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
2.5
Out FV
Out FV
Coh
8
Coh
2
6
1.5
4
1
2
0.5
0
-1
31
4
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0
-1
0.8
1
cos(alpha)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos(alpha)
True µ + CosTheta with vertex in FGD2 FV
Figura 3.5: Angolo di apertura tra la traccia del muone (con il momento ricostruito piú alto) e la traccia secondaria nel caso di eventi con 2 tracce ricostruite in interazioni quasi-elastiche (a destra) e profondamente anelastiche
(a sinistra) di antineutrino.
37
Momento Trasverso
La funzione GetTrasvMom restituisce il momento lineare trasversale (anche
questo un paramentro importante per identificare i vari tipi di interazioni), vale
a dire la proiezione del momento nel piano perpendicolare alla direzione del
fascio, tramite la seguente relazione:
pt = momentum*sin(dir.Theta())
Entries 11919
Number of entries
Number of entries
Entries 13902
4500
2500
4000
3500
CCQE
3000
CCQE ν
2500
Out FV
2000
CC1π
CCNπ
No CCQE ν
NC
CCQE
CC1π
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
1500
Out FV
Coh
Coh
2000
1000
1500
1000
500
500
0
0
500
0
0
1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
pt(MeV/c)
Pt
500
1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
pt(MeV/c)
Pt
Entries
1049
Number of entries
Number of entries
Figura 3.6:
Momento trasverso ricostruito del muone in interazioni
quasi-elastiche (a destra) e profondamente anelastiche (a sinistra) di neutrino.
300
250
CCQE
CC1π
CCNπ
CCQE ν
200
No CCQE ν
NC
Entries
60
CCQE
CC1π
50
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
40
Out FV
408
70
Out FV
Coh
Coh
150
30
100
20
50
0
0
10
500
0
0
1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
pt(MeV/c)
Pt
500
1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
pt(MeV/c)
Pt
Figura 3.7:
Momento trasverso ricostruito del muone in interazioni
quasi-elastiche (a destra) e profondamente anelastiche (a sinistra) di
antineutrino.
In Figura 3.6 (3.7) é mostrato il momento trasverso ricostruito del muone in
interazioni quasi-elastiche e profondamente anelastiche di ν (ν̄).
Distanza tra 2 tracce
La distanza tra due tracce é un parametro legato all’angolo di apertura tra due
tracce, quindi anch’esso permette di discriminare i vari tipi di interazioni.
Le seguenti funzioni:
38
- GetXDistanceFromTheMainTrack
- GetYDistanceFromTheMainTrack
- GetZDistanceFromTheMainTrack
restituiscono una variabile reale e permettono di calcolare la distanza tra due
tracce. Hanno come argomento:
- startpos
- startposSec
entrambi di tipo TLorentzVector. La distanza tra le due tracce é calcolata nel
modo seguente:
Entries 6186
Number of entries
1200
1000
CCQE
CC1π
CCNπ
800
CCQE ν
No CCQE ν
NC
Out FV
Coh
600
400
200
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
distance x (mm)
DistX
Figura 3.8: Distanza lungo l’asse X della traccia secondaria dalla traccia
principale a seconda dei vari tipi di interazione
xmax=startpos.X() per la prima particella
xsec = startposSec.X() per la seconda particella
dx = xmax-xsec
Lo stesso procedimento viene usato per calcolare dy e dz.
39
Number of entries
Entries 6186
1200
1000
CCQE
CC1π
CCNπ
800
CCQE ν
No CCQE ν
NC
Out FV
Coh
600
400
200
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
distance y (mm)
DistY
Number of entries
Figura 3.9: Distanza lungo l’asse Y della traccia secondaria dalla traccia
principale a seconda dei vari tipi di interazione
Entries 6186
1000
CCQE
CC1π
800
CCNπ
CCQE ν
No CCQE ν
NC
Out FV
600
Coh
400
200
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
distance z (mm)
DistZ
Figura 3.10: Distanza lungo l’asse Z della traccia secondaria dalla traccia
principale a seconda dei vari tipi di interazione
Momento Monte Carlo delle particelle
La funzione GetMcTruthTrackMomentum restituisce un valore reale ed ha come
argomento recTrack, cioé la traccia ricostruita della particella, di tipo ND::40
TGlobalReconModule::TGlobalPID, che é una classe definita in ROOT. In particolare tale funzione restituisce il momento simulato della particella. Per farlo
utilizza le seguenti istruzioni:
X = recTrack.TrueParticle.InitMom.X();
Y = recTrack.TrueParticle.InitMom.Y();
Z = recTrack.TrueParticle.InitMom.Z();
P = sqrt((X*X)+(Y*Y)+(Z*Z));
Number of entries
Entries 38515
7000
6000
CCQE
CC1π
CCNπ
5000
CCQE ν
No CCQE ν
NC
Out FV
4000
Coh
3000
2000
1000
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
MuMomMC(MeV/c)
True µ - Momentum with vertex in FGD2 FV
Figura 3.11: Istogramma del momento Monte Carlo dei neutrini nelle interazioni
quasi-elastiche di corrente carica
E infine fornisce il valore del momento
std::cout<<"The truth momenta is "<<P<<std::endl.
3.4
Selezione degli eventi di ν̄
L’esperimento T2K é in acquisizione dati dal 2010. Un’analisi preliminare é stata realizzata dalla collaborazione per lo studio delle interazioni di antineutrino
nel rivelatore ND280.
La selezione degli eventi si basa sui seguenti criteri:
• deve essere ricostruita una traccia con carica positiva;
41
• questa traccia deve essere identificata come muone dagli algoritmi di
particle identification;
• é applicata una selezione sul momento richiedendo p > 50M eV per evitare
che tracce di bassa energia mal ricostruite possano contaminare il campione;
• é applicata una selezione sull’energia depositata nel calorimetro per selezionare le MIP
Number of entries
Per la selezione degli eventi quasi-elastici, in una fase preliminare di analisi si
richiede che una sola traccia sia ricostruita.
Entries 1121
250
200
Muon neg
Electrons
π+
πProton
Muon pos
Positron
Other
150
100
50
0
0
500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
p (MeV)/c
Momentum Sel in FGD2 FV
Figura 3.12: Distribuzione del momento ricostruito del muone per gli eventi selezionati, confrontata con le distribuzioni Monte Carlo per i vari tipi di
interazione di neutrino
In Figura 3.12 é mostrata la distribuzione del momento ricostruito del muone
per gli eventi selezionati, richiedendo che il vertice sia nel volume fiduciale
del rivelatore e, che si abbia una sola traccia ricostruita, confrontata con le
distribuzioni Monte Carlo per i vari tipi di interazione di neutrino.
In Figura 3.13 é invece mostrata la distribuzione della direzione ricostruita del
muone per lo stesso campione di eventi. Come si nota, a questo livello dell’analisi
si ha ancora una rilevante contaminazione di eventi indotti da neutrino.
In Figura 3.14 é mostrata la distribuzione dell’energia rilasciata nel calorimetro che é, come si é accennato, una variabile utile per la discriminazione degli
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Number of entries
Entries 1121
350
300
Muon neg
Electrons
π+
πProton
Muon pos
Positron
Other
250
200
150
100
50
0
-1
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos theta
Cosangle of the sample selected
Number of entries
Figura 3.13: Distribuzione della direzione ricostruita del muone per gli eventi selezionati, confrontata con le distribuzioni Monte Carlo per i vari tipi di
interazione di neutrino
Entries
135
60
Muon neg
Electrons
π+
πProton
Muon pos
Positron
Other
50
40
30
20
10
0
0
200
400
600
800 1000 1200 1400 1600 1800 2000
EMEnergy (MeV)
EM Energy
Figura 3.14: Distribuzione dell’energia ricostruita nel calorimetro per gli eventi selezionati, confrontata con le distribuzioni Monte Carlo per i vari tipi di
interazione di neutrino
eventi, applicando tutti i criteri di selezione descritti, mentre in 3.15 é mostrata la distribuzione dell’angolo ricostruito della traccia di muone per lo stesso
43
Number of entries
Entries
135
80
70
Muon neg
Electrons
π+
πProton
Muon pos
Positron
Other
60
50
40
30
20
10
0
-1
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
cos theta
Cosangle of the sample selected
Figura 3.15: Distribuzione della direzione della traccia del muone per gli eventi selezionati, confrontata con le distribuzioni Monte Carlo per i vari tipi di
interazione di neutrino
campione di eventi.
Il campione di eventi selezionato mostra una contaminazione di eventi di fondo.
3.5
Event Display
Event display é un programma che simula un rivelatore e le interazioni che
avvengono al suo interno. Inoltre si possono visualizzare anche gli eventi ricostruiti grazie alle informazioni fornite dai rivelatori. Permette la visualizzazione sia in 3D, anche sotto varie prospettive, che in 2D. Nel pacchetto software di ND280 l’event display é il file EveDisplay.exe, costruito su un nuovo
modulo di ROOT: Eve. Una volta fatto partire il programma viene visualizzata
una schermata nella quale é simulato ND280. La parte destra dello shermo contiene i comandi per il controllo della visualizzazione della simulazione, mentre
nella parte sinistra ci sono i comandi per il controllo del programma e della
geometria del rivelatore.
Le figure 3.16, 3.17 e 3.18 mostrano alcune simulazioni che si possono ottenere
utilizzando Event Diplay. Mentre le figure 3.19, 3.20 e 3.21 mostrano le tracce
ricostruite dai rivelatori.
44
Figura 3.16: Simulazione tridimensionale del Near Detector
Figura 3.17: Simulazione di interazione elastica di corrente neutra. La particella
entrante é un ν̄µ , la traccia verde é un ν¯µ , mentre quella viola é un n.
45
Figura 3.18: Simulazione di interazione quasi-elastica di corrente carica. La
particella entrante é un νµ , la traccia verde é un µ− , le tracce blu é un p.
Figura 3.19: Evento di interazione di antineutrino scelto applicando i criteri di
selezione.
46
Figura 3.20: Evento di interazione di neutrino con vertice in FGD scelto senza
applicare alcun criterio di selezione.
Figura 3.21: Evento di interazione di neutrino con vertice nel P0D scelto senza
applicare alcun criterio di selezione.
47
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Fisica and Università e Politecnico di Bari, January 18, 2012
[14] A.Cervera et al., Inclusive νµ CC and exclusive νµ CCQE analises using
the entire ND280 detector, T2K Internal Note
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Ringraziamenti
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare la mia famiglia, perché grazie al loro
sostegno e sopratutto ai loro sacrifici ho potuto raggiungere questo obiettivo.
Li ringrazio per l’affetto e la comprensione, per avermi fatto sempre fare le mie
scelte in completa libertá, non senza darmi consigli.
Ringrazio gli amici per le risate, per i giorni insieme e per le emozioni vissute,
che tanto hanno reso leggeri questi anni.
Vorrei infine ringraziare la Dott.sa Gianfranca De Rosa e il Prof. Vittorio
Palladino per avermi dato la possibilitá di lavorare con loro. In questo modo ho
potuto capire cosa significano le parole passione e sacrificio. Li ringrazio per aver
messo a mia disposizione la loro esperienza, per la loro pazienza, disponibilitá
e per i preziosi consigli.
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