L. ARCIFA, Per una geografia amministrativa dell

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L. ARCIFA, Per una geografia amministrativa dell
PER UNA GEOGRAFIA AMMINISTRATIVA
DELL’ALTOMEDIOEVO IN SICILIA
NUOVE IPOTESI DI RICERCA PER UN SITO
“BIZANTINO”: CITTADELLA DI VINDICARI (SR)
di
LUCIA ARCIFA
Il dibattito sulle trasformazioni delle strutture sociali,
economiche e insediative nella Sicilia altomedievale, attraverso la tarda età bizantina, l’invasione islamica, fino all’arrivo dei Normanni, si impernia sui numerosi contributi
di carattere storico elaborati da H. Bresc nell’arco dell’ultimo ventennio (AYMARD-BRESC 1973; BRESC 1976; BRESC
1980; BRESC 1983; BRESC 1984; BRESC 1995). Solo di recente i modelli teorici fin qui proposti hanno trovato possibilità di confronto nelle ricerche di archeologia medievale
che con maggiore vigore e sulla base, appunto, di un tale
quadro interpretativo hanno ripreso il tema delle modificazioni insediative in Sicilia tra tardo-antico e altomedioevo
(ALLIATA-BELVEDERE 1988; MOLINARI 1997; APROSIO et alii
1997).
Al tema della continuità/discontinuità tra tardo antico e
medioevo si è sostituita la consapevolezza di una realtà ben
più complessa da indagare, in cui i nodi principali
(l’“incastellamento” di età tematica; l’insediamento rurale
nel lungo periodo; le strutture amministrative di età islamica) sembrano prestarsi a molteplici soluzioni, con la compresenza di realtà diversificate (MAURICI 1992). Il confronto tra modelli teorici e realtà geografiche più circoscritte,
quali le prospezioni archeologiche cominciano a delineare,
nell’evidenziare da una parte lo scarto ancora esistente, sottolinea, nel contempo, la necessità di indagini mirate a singole aree omogenee; la scarsa unitarietà delle dinamiche
insediative nell’Isola è del resto un elemento ormai invocato, anche se al momento solo in forma macroscopica, nella
distinzione tra le due parti, l’orientale e l’occidentale
(MAURICI 1995).
L’assenza di fonti e la scarsa conoscenza della cultura
materiale dei secoli altomedievali sono ben note carenze
che rendono difficoltoso l’approccio con questo periodo;
se, da una parte, solo una archeologia più attenta alle fasi di
transizione potrà meglio affrontare le questioni fin qui accennate, è pur vero che una oculata confluenza di dati archivistici, documentari, archeologici, consente spesso una
rilettura di “miti” archeologici da tempo congelati.
È questo il caso che qui si vuol presentare, paradigma
di una cristallizzazione delle conoscenze sulla Sicilia altomedievale non più rivisitate, sovente, da oltre un secolo.
Cittadella di Vindicari o dei Maccari, è il nome moderno, attestato già nel Cinquecento, di un anonimo centro posto
sulla costa siracusana, a sud-est di Noto (Fig. 1), che entra
nella letteratura archeologica alla fine dell’Ottocento grazie alle instancabili peregrinazioni di Paolo Orsi. Alla “modesta borgata” l’Orsi dedica due settimane di scavo mettendo in luce ben quattro edifici religiosi (due a pianta centrica
e due a pianta basilicale), le necropoli e un piccolo quartiere suburbano prossimo al porto, collocando tra V e VI secolo le testimonianze monumentali più cospicue e ritenendo
possibile una continuità di vita protrattasi ancora nel corso
del VII e dell’VIII secolo, momento nel quale il sito sarebbe stato abbandonato completamente a seguito delle prime
incursioni arabe (ORSI 1896; ORSI 1899).
ALLA RICERCA DI RESPENSA
Gli studi successivi (FALLICO 1971, p. 181; BONACASA
CARRA 1992, p. 6) non hanno modificato sostanzialmente il
quadro delineato dall’Orsi; il tempo e gli uomini hanno però
tenacemente disgregato le testimonianze archeologiche ancora cospicue cento anni fa, annullando ulteriormente la
possibilità di rilettura di quell’insediamento. Una occasione insperata ci viene, invece, dalla documentazione archivistica che consente di cogliere un ruolo non altrimenti ipotizzabile e di ampliare i termini cronologici di questo abitato, aprendo nel contempo prospettive nuove per una messa
a fuoco della geografia amministrativa di quest’area nell’altomedioevo.
L’area archeologica di Cittadella è oggi compresa all’interno della più famosa oasi naturalistica di Vindicari;
essa occupa uno stretto e basso promontorio che si protende da nord a sud circondato a est, nord e ovest da aree lacustri e paludose. Uno stretto canale, oggi parzialmente insabbiato, collegava in antico al mare quest’area paludosa
che costituiva così una insenatura portuale naturale e ben
riparata (Fig. 2). Tali caratteristiche geomorfologiche ripropongono, peraltro, la conformazione tipica di questo tratto
di costa a sud di Eloro, dove si susseguono numerosi pantani lungo la costa o appena separati da essa da strette dune
sabbiose (LENA-BASILE-DI STEFANO 1988). Immediatamente a nord di Cittadella, il porto di Vindicari, sede nel medioevo di un importante caricatore, costituiva il naturale sbocco a mare della città demaniale di Noto.
Dal punto di vista amministrativo, a partire da epoca
normanna, quest’area era inglobata nell’ampio territorio di
Noto (Fig. 3), che le fonti tardo medievali suddividono in
montanea terra Nothi (l’area collinare e boschiva costituita
dalle ultime propaggini dell’altopiano acrense) e maritima
terra Nothi, area di formazione alluvionale, delimitata a nord
dal corso del Tellaro e che degrada verso la costa dove le
numerose formazioni di pantani furono sfruttate come saline nel corso dei secoli. A ben vedere, in questa distinzione,
che rimarca i caratteri geografici peculiari delle due aree,
permane il ricordo di una diversa partizione territoriale che
sembra ricalcare proprio questi limiti naturali e che consente di ricostruire per l’altomedioevo una organizzazione
amministrativa diversa rispetto a quella che si consoliderà
nel corso dell’età normanna.
Nel medioevo la maritima terra Nothi è fittamente punteggiata di casali (BRESC 1972) che, a partire dalla fine del
’200, sono oggetto di numerosi passaggi di proprietà tutti
volti a riconfigurare l’assetto insediativo con la costituzioni di più ampie partizioni feudali. Nei dati relativi alle confinazioni dei singoli casali si fa sovente riferimento alla
contrada Respensa: non si tratta, come lascerebbe pensare
l’uso del termine contrada, di una limitata porzione di territorio ubicata nella piana. Una rapida disamina dei contesti
in cui è citata la contrada Respensa lascia chiaramente intendere che il toponimo indica una vasta zona, i cui limiti
coincidono con quelli della piana costiera, cioè della
maritima terra Nothi: dal fiume Tellaro fino al mare, a est e
a sud, e fino al tenimentum di Spaccafurno a ovest (ARCIFA
c.d.s.) (Fig. 4). Proiettando indietro nel tempo questa documentazione tarda, nella quale il riferimento a Respensa ha
sostanzialmente valore toponomastico, si ricostruisce, pur
con qualche incertezza, l’esistenza di un distretto che aveva inizialmente una valenza di tipo amministrativo. Una tale
ipotesi risulta ulteriormente avvalorata richiamando l’elenco delle decime dovute alla chiesa siracusana nel 1275 là
dove si cita: «integram decimam veterum iurium et
proventum curie… subscriptorum locorum et casalium
videlicet casalium Respensa» (CONTI 1974, p. 58). La dizione fa intravedere con chiarezza una situazione pregressa
di un centro amministrativo forte, ormai decaduto, a cui
afferivano i casali suburbani della piana di Noto. La forte
persistenza toponomastica, che solo nel Cinquecento sarà
definitivamente soppiantata dall’indicazione maritima terra Nothi, è già di per sé evidente indizio di una cospicua
presenza nel territorio la cui natura è svelata dal diploma di
fondazione della diocesi di Siracusa. Nel 1093 la bolla di
Urbano II enumera i castella ricadenti all’interno dei limiti
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Fig. 1 – I.G.M. 1: 25.000, stralcio delle tavolette 277 III NE (Torre Vindicari) e III N.O. (Rosolini). In
evidenza l’area archeologica di Cittadella e quella del casale Li Maccari.
Fig. 2 – Veduta aerea di Cittadella e dell’area portuale (foto Stefano Arcifa).
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Fig. 3 – In evidenza i limiti del territorio di Noto in età medievale con la ripartizione tra maritima e montanea terra Nothi.
Fig. 4 – Ubicazione dei casali medievali, ricadenti in contrada Respensa: 1. Bonfallura; 2. Maucini; 3. Burgio; 4. Ritillini; 5.
Cameratino; 6. Binurrato; 7. Stafenna; 8 Saytunini; 9. Musolino; 10. Bimiska; 11. Rahalchichira; 12. Cadeddi; 13. Bimena; 14.
Buhulesy; 15. Li Maccari; 16. Baroni.
della ricostituita diocesi siracusana: Lentina, Nota Pantarga,
Cassibula, Bizina, Essina, Calata elphar, Respexa, Isbacha,
Modica, Sycla, Anaor, Ragusa, Buthera (PIRRI 1733, I, p.
618). La citazione di Respensa nella documentazione della
prima età normanna è anche l’unica menzione di questa
misteriosa “terra” (BRESC 1976, p. 191) che scompare precocemente nella mappa insediativa di età normanna. Essa è
pur tuttavia estremamente preziosa perché ci chiarisce la
natura del centro, ricordato in un elenco di siti forti, e per i
quali, in considerazione della datazione del documento, si
deve necessariamente ipotizzare la preesistenza all’arrivo
dei Normanni; in base a queste considerazioni Respensa e i
siti insieme indicati sono, dunque, stati inseriti nella ricostruzione dei centri capo di distretto (iqlim) ipotizzati per la
tarda età islamica, sulla base del rescritto del califfo fatimita
Al Muizz (967), che avrebbe inaugurato in Sicilia una nuova gerarchia tra abitato aperto e abitato fortificato. Si tratterebbe di siti fortificati o in posizione naturalmente difendibile, in cui la presenza della moschea costituisce un importante riferimento dal punto di vista religioso e che presie-
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dono ad un tentativo di accentramento della popolazione
(BRESC 1984, p. 75).
Se, dunque, sulla base dei dati documentari, è possibile
ipotizzare il ruolo di Respensa quale capoluogo di un vasto
distretto in età islamica, riteniamo che la recente pubblicazione di pergamene siciliane dell’Archivio della Corona
d’Aragona offra ora nuovi spunti per ripensare al problema
dell’identificazione di Respensa e proporre, se possibile,
una soluzione. Nel 1335 una sentenza arbitrale stabilisce i
confini tra i feudi Bimisca, Arbacamea e Cadeddi: tra i limiti indicati è la «via magna que est versus meridiem, qua
itur ad Respensam» (SCIASCIA 1994, p. 271); la persistenza
toponomastica, pur in mancanza di una esatta ubicazione
del casale e del feudo Chadeddi, ci riporta con certezza all’area costiera prossima alla villa romana del Tellaro, nella
contrada oggi denominata Caddeddi. La magna via cui si fa
riferimento nel testo è dunque un tracciato verosimilmente
antico che prosegue lungo la costa verso sud in direzione di
Respensa. L’indicazione allude chiaramente ad un centro
abitato, più che ad una generica contrada, che va dunque
ricercato nell’area a sud di Caddeddi, lungo la costa.
È questa un’area fittamente abitata nell’antichità, e per
la quale le ricerche archeologiche più recenti non fanno altro che confermare lo specifico spessore insediativo e produttivo di quest’area nella tarda antichità e nell’età bizantina. Alla metà del Cinquecento, la descrizione di Tommaso
Fazello restituisce in modo vivido una campagna ancora
disseminata di ruderi, resti di borghi rurali aggregati intorno agli edifici religiosi di S. Andrea, S. Basilio, S. Lorenzo,
S. Pietro (FAZELLO 1533). Per alcuni di essi oggi siamo in
grado di proporre una identificazione certa: così per il casale di S. Lorenzo de Biserii, insediatosi in prossimità della
chiesa bizantina di S. Lorenzo, per il casale di Li Maccari,
per Arbacamea. Lo stesso Fazello si sofferma sulla realtà
monumentale di Cittadella, la cui consistenza urbana distingue nettamente dai centri rurali vicini, e da lui identificata con il centro antico di Macara.
Rigettate già dall’Orsi le proposte di identificazione dei
ruderi di Cittadella con le varie Imacara, Tyracina, Ina, riteniamo che l’anonima borgata possa con tutta probabilità
essere la Respensa che andiamo cercando.
Il nome di Respensa, di probabile derivazione latina,
risulta sconosciuto a scrittori quali Stefano Bizantino, né è
menzionato nell’Itinerarium ad maritima loca il cui tracciato, peraltro, interessa quest’area, come accenneremo più
avanti; queste assenze sembrerebbero confermare la lettura
cronologica che viene normalmente accettata per questo
insediamento. Ma, tralasciando, in questa sede, le questioni
poste dal silenzio delle fonti, affronteremo piuttosto i temi
relativi alla fase di vita successiva all’età bizantina.
L’EVIDENZA ARCHEOLOGICA
L’ipotesi di una fase islamica a Cittadella costringe a
rivedere le datazioni da tempo assodate per questo sito,
aprendo nel contempo nuovi interrogativi sulle funzioni
effettivamente esercitate, e dunque sulla struttura urbana,
in quella fase, nonché sul rapporto tra questo centro e gli
insediamenti rurali (casali) più prossimi. È chiaro che allo
stato attuale della ricerca molti di queste questioni non possono che essere semplicemente poste, in attesa di essere
affrontate da una ricerca archeologica mirata. La stessa consistenza monumentale del sito è stata, come si diceva, fortemente compromessa nell’ultimo secolo; praticamente
scomparse sono le due chiese a pianta basilicale indagate
dall’Orsi in prossimità della Trigona, mentre il villaggio
suburbano vicino la foce è testimoniato solo dai piedritti
ancora in situ relativi agli stipiti delle aperture. Solo la massa
squadrata della Trigona si erge nella parte più settentrionale del promontorio, oggi parzialmente inglobata da
caseggiati rurali, costruiti probabilmente agli inizi del se-
colo (Figg. 5,6). Esso rientra in un ben noto gruppo di edifici religiosi (cellae tricorae) (FRESHFIEL 1913), costituendo anzi uno degli esempi più noti e meglio conservati in
Sicilia di uno schema architettonico che trova nell’architettura civile di età tardo-antica i suoi più immediati raffronti.
Di recente esso è stato oggetto di riflessione da parte di
R.J.A. Wilson che propone una datazione al VI piuttosto
che al V secolo (WILSON 1990, p. 308). Non è nostro compito, né lo consentirebbe lo spazio a disposizione in questa
sede, entrare nel merito delle questioni architettoniche poste dall’edificio. Ai nostri fini ci preme, tuttavia, sottolineare l’esistenza di rifacimenti nella struttura, e segnatamente il restringimento dell’apertura centrale, che segnalano un
riuso della struttura e comunque una ben più lunga continuità di vita.
Ben altra consistenza doveva presentare il sito a giudicare dalle descrizioni piuttosto dettagliate del Fazello, alla
metà del Cinquecento, e di J. Houel che lo visita alla fine
del ’700. Il Fazello (FAZELLO 1533) attesta la presenza di
resti di numerosi edifici pubblici e privati, descrive la chiesa della Trigona, dedicata al Salvatore, nonché la presenza
di un secondo tempio della stessa forma e resti di strutture
antiche da lui interpretati quali terme. Due secoli dopo Houel
(HOUEL 1785, pp. 120-125) descrive la Trigona, che ritiene
una costruzione del basso Impero, riutilizzata in un secondo momento come chiesa cristiana. Particolarmente interessante, ai nostri fini, è la descrizione delle numerose strutture murarie disseminate all’interno del circuito urbano: di
esse Houel nota la costruzione senza uso di malta e la caratteristica alternanza tra filari a doppio paramento e filari
costituiti da blocchi di spessore maggiore, equivalente a
quello del muro. Tali muri ben allineati e con angoli a squadra costituivano grandi recinti, a loro volta ripartiti internamente a formare «de petites maisons placées dans de grandes
cours». La totale scomparsa di questi resti ci priva oggi degli elementi determinanti per comprendere la consistenza
del centro e l’eventuale presenza di una fase insediativa che
si prolunga oltre l’età tardo-antica e bizantina.
Allo stato attuale, solo lo studio dei materiali ceramici
può fornire dati significativi per circoscrivere in modo meno
approssimato l’arco cronologico di questo insediamento. La
presenza di numerosa ceramica tardo-romana e bizantina
nei dintorni della Trigona è un dato già rimarcato da Wilson
(WILSON 1990, p. 229); appare evidente, già ad una ricognizione superficiale l’entità piuttosto vasta dell’area abitata: i
resti ceramici, numerosissimi, si concentrano su tutta la parte
più settentrionale del promontorio e, in particolare, sul lato
occidentale, più riparato e meno esposto ai venti di levante,
nonché sulla piccola penisoletta in prossimità della foce.
La presenza in quest’ultima area di un cospicuo agglomerato di case, interpretato dall’Orsi come villaggio suburbano, appare chiaramente in connessione con la vicina area
portuale che sfrutta, a tale scopo, il più riparato pantano
orientale: qui, sono ancora perfettamente visibili quattro
allineamenti, costituiti da pietrame informe di piccole dimensioni, che si protendono dalla riva occidentale della piccola penisoletta verso il centro del pantano (Fig. 7). La totale spoliazione dei blocchi squadrati che dovevano contenerli non impedisce di leggervi i resti di strutture destinate
all’attracco delle imbarcazioni. Si ricostruisce così l’esistenza di almeno quattro banchine lunghe circa una cinquantina
di metri che danno una idea della consistenza del porto. Ed
è certamente al ruolo di centro portuale che va riconnessa
l’importanza di Cittadella: un porto che le emergenze archeologiche attestano ancora pienamente in vita nel corso
del VII secolo e sul quale convergono le due principali correnti commerciali del mediterraneo in questa fase, quella
nord-africana e quella egeo-orientale, la cui incidenza rispettiva andrà in futuro precisata. Limitandoci in questa sede
a ricordare alcune importazioni caratteristiche in contesti
di fine VI e VII secolo, si segnalano, in particolare, frammenti di anfore cilindriche africane di grandi dimensioni
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Figg.5-8 – 5. Cittadella. La Trigona; 6. Cittadella. La Trigona, pianta (da ORSI 1942) (1:200); 7. Cittadella: probabili resti delle
banchine portuali; 8. Cittadella; materiali ceramici da ricognizione: 1) sigillata africana D: Hayes 105; 2) sigillata focese (Hayes
3); 3-4) anfore africane di grandi dimensioni; 5-6) anfore da trasporto altomedievali (1:4).
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(Fig. 8, 3-4) che, sulla base delle caratteristiche dell’orlo,
possono essere confrontate con varianti dei tipi Keay LXILXII, di provenienza tunisina (MURIALDO 1995, fig. 3 nn.
2,6); frammenti relativi a contenitori da trasporto globulari
dalle pareti fittamente scanalate, pertinenti ad anfore egee
(Late Roman 2) e palestinesi (Late Roman 5/6) (PANELLA
1993, p. 663 e ss.); numerosi i frammenti di sigillate africane tipo D, tra i quali si segnala la forma Hayes 105 (Fig.
8,1), la cui cronologia più probabile sembra ora dal 575/
580 al VII secolo (TORTORELLA 1998, p. 68); si segnala, infine, la presenza sul sito di sigillata focese Hayes 3C (Fig.
8,2) (MARTIN 1998, fig. 3, 25).
Resta, invece, sospeso il giudizio, sul piano delle evidenze archeologiche, relativamente alla continuità d’uso
della struttura portuale lungo i secoli VIII-X, per i quali
mancano, come si diceva, nell’ambito di una ricognizione
superficiale, fossili guida immediatamente riconoscibili. Pur
tuttavia alcuni frammenti di anfore (Fig. 8, 5-6), di dimensioni contenute, presentano caratteristiche morfologiche
(orlo arrotondato e estroflesso o ingrossato esteriormente)
e d’impasto (mediamente depurato, con inclusi neri e micacei) raffrontabili con anfore di produzione dell’Italia centromeridionale, circolanti nell’area del Tirreno meridionale
nel corso dell’VIII secolo (ARTHUR 1993, fig. 3, 12; SAGUÌ
et alii 1997, fig. 6,2; Ardizzone in questa sede).
Altrettanto poco certe le testimonianze monumentali per
questi secoli che pure, sulla base dell’ipotesi appena formulata, dovremmo ipotizzare; la menzione, sopra citata, del
1093, in cui Respensa appare citata all’interno di un elenco
di castella, rafforza l’idea, al di là del significato specifico
da attribuire al termine, dell’esistenza di una qualche opera
di fortificazione, la cui presenza, del resto, si inquadrerebbe perfettamente in ragione della ubicazione del sito lungo
la costa. Varrà la pena di richiamare soltanto, a tal proposito, il concetto comune al mondo bizantino e a quello islamico di porto quale limes, quale frontiera da difendere e
che rende necessaria la costruzione di torri di sorveglianza
o di più semplici apprestamenti difensivi (AHRWEILER 1978,
pp. 276-277; PICARD 1997, p. 146).
In tal senso la costruzione di opere di difesa o di controllo potrebbe avere interessato il sito già nella tarda età
bizantina, in relazione alle necessità di difesa della costa
dagli attacchi arabi o successivamente, appunto, in età islamica. In questa sede si segnala un tratto di muro, conservato per circa 5-6 m a nord-est della Trigona, che segue il
contorno della scarpata settentrionale del promontorio, costituito da pietrame riutilizzato, con uso di malta e frequenti rinzeppature di materiale ceramico, pertinente ad un edificio la cui natura e cronologia andrebbero in futuro indagate.
Ancora più tarda appare la struttura quadrangolare ubicata al
limite sud-occidentale dell’area abitata, poco al di sotto della
scarpata che delimita naturalmente il promontorio di Cittadella sul lato ovest e che sfrutta parzialmente la parete rocciosa (accuratamente appiombata in quel punto), sulla quale si attestano due muri che si dipartono dalla torre.
In attesa di chiarirne funzione e momento costruttivo,
pochi ma significativi elementi testimoniano, sul piano documentario, la natura fortificata del sito. Se un certo riscontro può già fornire lo stesso toponimo ‘Torre Cittadella’,
attestato attualmente sulla parte più settentrionale del promontorio, più significativa è la testimonianza di Fazello che
ubica alcune escavazioni chiamate “Gruttae Macharis”: «extra moenia vero ad p. fere m. occidentem versus» (FAZELLO
1533); l’uso del termine moenia va chiaramente riferito all’esistenza di mura urbiche, ancora visibili nel Cinquecento, almeno lungo il lato occidentale dell’insediamento; mura
totalmente scomparse qualche secolo dopo al punto che l’Orsi definisce Cittadella città ‘ateichistos’ (ORSI 1899). In attesa di nuovi scavi, al momento, solo il nome di Cittadella,
con cui il sito viene designato nel momento in cui si perde
il ricordo di Respensa, adombra la consapevolezza di un
insediamento con caratteristiche urbane.
IL TERRITORIO. RESPENSA E I SUOI CASALI
Il ruolo economico e amministrativo di Respensa, quale ipotizzato per l’età islamica, non nasce, peraltro, ex novo
trovando i precedenti e radicandosi in uno specifico spessore economico che tutta l’area sembra svolgere a partire
dall’età tardo-antica. Le fonti antiche nonché le recenti indagini archeologiche condotte a Vindicari e Porto Palo
(BASILE 1992; GUZZETTA 1995) hanno evidenziato come la
costa della Sicilia sud-orientale sia intensamente interessata, già da età greca, dall’attività relativa alla pesca del tonno e alla lavorazione del pescato; attività con le quali si
intreccia strettamente lo sfruttamento delle saline, risorse
naturali di questo ambiente costiero, costellato di paludi.
Le fonti agiografiche che nel IV secolo ambientano nei pressi
del promontorium Pachinum lo sbarco di S. Ilarione, proveniente dall’Egitto in un nave carica di mercanti orientali
(RIZZO 1988), così come i relitti di età bizantina naufragati
in prossimità di Marzamemi (KAPITÄN 1980; PARKER 1992,
p. 269) e di Vindicari (PARKER 1981, pp. 330-333; PARKER
1992, p. 446) confermano quest’area crocevia di rotte commerciali da oriente e dall’Africa. A questo vivace quadro
economico va probabilmente riconnesso il quadro insediativo caratterizzato da numerosi borghi rurali, i cui resti erano ancora ben visibili al Fazello.
In questa sede, due episodi si segnalano, entrambi rappresentativi di una lunga durata, dall’età classica fino al pieno medioevo, che sembra prevalere nelle strutture di quest’area: il casale di S. Lorenzo de Biserii, a sud di Cittadella, costituitosi attorno alla chiesa bizantina di S. Lorenzo,
che utilizza, come è noto, le strutture di un tempio greco
(AGNELLO 1952, p. 129 e ss.), e, soprattutto, la magna via di
Respensa, che costituisce ancora nel medioevo l’asse portante della viabilità di questo territorio. Per questa strada, il
cui tracciato è sostanzialmente riproposto dall’attuale SP
Noto-Pachino, abbiamo infatti prospettato una ben più alta
antichità (ARCIFA c.d.s.): essa costituisce infatti la naturale
prosecuzione del tracciato di età greca che congiungeva
Siracusa a Eloro (Via Elorina) e che doveva proseguire verso sud, come fa supporre la presenza lungo il suo tracciato
del tempio greco di S. Lorenzo. La vitalità economica di
quest’area in età tardo-antica fa inoltre ritenere che questo
stesso tracciato sia sopravvissuto nell’Itinerarium ad
maritima loca, la via costiera che in età romana congiungeva Siracusa ad Agrigento.
Nel caso di Cittadella-Respensa siamo di fronte, secondo la nostra ipotesi, ad una continuità insediativa almeno
dalla tarda antichità attraverso l’età bizantina e l’età islamica. Ma il ruolo specifico che ipotizziamo per questo insediamento in età islamica pone, per converso, numerose questioni in rapporto all’insediamento rurale circostante. La
toponomastica attuale conserva in quest’area varie attestazioni di origine araba (es. Xirbia), particolarmente frequenti nei nomi dei casali che costellavano il territorio prossimo
a Respensa: qui si trova una significativa concentrazione di
antroponimi formati sul suffisso Abu che rimanda come è
noto ad un tectonimico onorifico o al soprannome; in questo senso i nomi dei casali di Bonfalà, Bonfallura,
Buchalchemi Bimmiska, Bimena, Binurrato, Bufaleffi potrebbero attestare una fase di colonizzazione legata ad una
iniziativa di età islamica (BRESC 1984, p. 76). Ma tutto da
chiarire è il rapporto in termini cronologici e amministrativi tra centro forte e insediamenti rurali.
Una stretta relazione, almeno sul piano topografico,
sembra poi collegare Cittadella-Respensa con il vicino casale di Li Maccari, attestato nelle fonti tardo-duecentesche
(ARCIFA c.s.). Una relazione che sembra in qualche modo
adombrata, ancora in età moderna, dalla confusione e spesso dalla sovrapposizione tra i due toponimi, in base alla
quale Fazello riteneva di dovere ubicare a Cittadella la città
di Imacara. Il sito del casale di Li Maccari va, in realtà,
cercato poco più a sud-ovest, nell’area dell’attuale contra-
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da Maccari e di Case Maccari, a poca distanza dal corso
della saia Scirbia (Fig. 1). Questo piccolo corso d’acqua,
ora scarsamente alimentato e irregimentato nel tratto finale, confluisce nei pantani Scirbia e Sichilli, i pantani che
circondano a ovest il promontorio di Cittadella. Ci pare piuttosto plausibile che l’attuale situazione idrografica, con il
netto impaludamento della saia e del pantano Scirbia, possa essersi determinata anche a seguito dell’insabbiamento
della foce del pantano Sichilli che limitando il ricambio con
il mare, ha accentuato non poco il processo di formazione
di depositi alluvionali trasportati dalla saia Scirbia. Non così
in antico, quando l’attuale foce costituiva un vero e proprio
ingresso all’area portuale, determinando nel sistema idrografico complessivo un migliore deflusso delle acque. È
possibile così che la Saia Scirbia, il cui corso doveva in
passato avere una portata maggiore, possa avere costituito
una sorta di via fluviale che consentiva, dal porto di Cittadella, di addentrarsi verso l’interno. Non a caso, lungo il
suo corso ritroviamo allineati i casali di Li Maccari e, ancora più a ovest, di Baroni. Suggestiva, ma al momento solo
ipotetica, è l’idea che il toponimo di Li Maccari possa essere un calco dall’arabo mahâris che indica le torri di sorveglianza nei siti portuali (PICARD 1997, p. 147).
Un dato al momento appare evidente: ed è quello della
continuità di vita dei casali di Respensa almeno fino al tardo
’200, ben oltre cioè la fine del loro centro amministrativo. Come
si diceva, la menzione del 1093 è anche l’ultima attestazione relativa a Respensa; in sintonia con il dato documentario
è, sul piano archeologico, la mancanza di ceramica invetriata che indurrebbe anzi a ipotizzare una decadenza del sito
già alla fine del X e nel corso dell’XI secolo. È in altri termini
possibile che, al momento della redazione del documento relativo alla diocesi di Siracusa, Respensa fosse un sito già
abbandonato, la cui realtà monumentale era ancora evidente e tale da essere inserita in una lista di siti fortificati.
È possibile che una tale discontinuità insediativa sia stata
determinata dalla formazione di cordoni sabbiosi sulla costa in prossimità della foce e tali da impedire l’ingresso al
porto, secondo un processo ben riconoscibile e documentato in quest’area e in altre limitrofe (LENA-BASILE-DI STEFANO 1988, p. 15); l’impossibilità di accesso e il conseguente
insabbiamento del porto decretò il ridimensionamento del
ruolo amministrativo di Respensa e la fine del suo ruolo
economico che sarà ereditato dal poco distante caricatore
di Vindicari, punto di drenaggio per tutto il medioevo della
produzione cerealicola di quest’area a sud di Siracusa; ma
questo passaggio fu probabilmente più graduale di quanto
non appaia sulla base delle nostre conoscenze: la presenza
del relitto bizantino in prossimità di Vindicari e l’ipotesi di
Guillou che farebbe derivare il nome dai vindices (GUILLOU
1975-76, p. 51) funzionari bizantini che provvedevano alla
riscossione dei diritti di esportazione, porterebbero a ipotizzare l’esistenza di un approdo già in età bizantina. Ma è
con l’età normanna che il porto di Vindicari appare pienamente in funzione: all’XI secolo si data un frammento di
bacino invetriato con decorazione tipo pavoncella (GUZZARDI
1990-96, fig. 6), mentre genericamente a età normanna è
databile una moneta recuperata in prossimità della torre
sveva (TRANCHINA 1992, p. 86); alla metà del XII secolo il
porto è poi attestato da Edrisi il quale lo menziona specificatamente (Daklat ibn D.k.nî) (IDRÎSÎ et al. 1999, p. 339).
Il ruolo amministrativo di Respensa, invece, sarà ereditato in età normanna dal centro di Noto, che vedrà accrescere il
suo territorio nel quale confluiranno la maritima e la montanea
terra Nothi. Una diversa geografia amministrativa si afferma così a partire dall’età normanna, modificando sostanzialmente le partizioni territoriali di età islamica.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio la dott.ssa Beatrice Basile, direttore della sez. archeologica della Soprintendenza BB.CC.AA. di Siracusa, per la
disponibilità e l’interesse con cui ha seguito la ricerca. Insieme a F.
Ardizzone ho esaminato i frammenti ceramici provenienti dal sito;
ad A. Nef ho sottoposto le numerose questioni relative alla toponomastica araba dell’area; con V. Zoric ho discusso delle strutture
murarie di Cittadella. A loro va il mio grazie per la disponibilità con
cui mi hanno messo a disposizione le loro competenze.
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