Guerrilla e mercato New entry Case history

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Guerrilla e mercato New entry Case history
New entry
Tooquoque.com
Guerrilla e mercato
l’affermazione del non convenzionale
Case history
Havaianas
MARZO
BLOG MINIATURES
IO TI ODIO.
Avanti, sfogatevi. Diteci tutto quello che volete. Questo mese siamo in maledetto ritardo. Non è colpa nostra: è colpa mia, che è
diverso. Fare il direttore di un ‘mag’ totalmente gratuito ed autofinanziato significa
ritagliare tempo da altre attività che spesso
invece costituiscono il sostentamento. Ma
per carità, lungi da noi il richiedere compassione o pietà. Figurarsi, non abbiamo mai
nemmeno fatto una petizione per un obolo
pro-sostenibilità di Subvertising...usciamo in
ritardo ma usciamo, senza chiedere niente
a nessuno, senza nascondere le difficoltà
che incontriamo. Può farvi schifo il giornale, potete trovarlo scadente, incompleto per
mille motivi, ma di certo non potrete dirci che
siamo poco trasparenti o accattoni. Non siamo, insomma, come il Multilevel Marketing.
MLM, io ti odio. Prima sfruttavi soltanto i sogni di numerosi giovani venditori con le finte
promesse di vacanze/riunioni in Sardegna
come in Sud America, con la visione di piscine sul tetto di lussuosi edifici e convention ricche di donzelle delle quali decantavi
professionalità ed esperienza, conscio del
fatto che se anche il pubblico aveva capito
che erano ignorantissime hostess d’agenFrancesco Rossi
Direttore (IR)Responsabile
[email protected]
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zia gli andava bene così perché forse, dico
forse, un lavoro glielo davi. Ma tutto questo
non ti è bastato. Sorvolo sullo spam con cui
mi riempi la casella di posta elettronica, proponendomi in un italiano stentato collaborazioni con multinazionali megatroniche; ma
davvero, sul tuo trasformismo non ci ho visto
più. Non puoi, hai oltrepassato ogni limite. Il
giorno che ti sei chiamato “viral marketing”
hai deciso di far parlare nuovamente di te, di
accendere la discussione, questa volta nella
comunità di chi lavora con il viral marketing,
quello vero. Che già è un settore nuovo, in
crescita, inesperto, in cerca di fiducia...e tu
intendi davvero inquinarlo con il tuo furto di
nome? No caro multilevel, non ci riuscirai.
Non ce la farai, e non perché te lo dicono
gli italiani, Francesco Rossi; te lo dicono gli
italiani, che saranno anche in crisi ma scemi non sono, e difficilmente si faranno oltremodo conquistare come fai in altri paesi.
Anche se ci sono tuoi baluardi a Napoli, a
Milano, a Reggio Emilia, ovunque, ebbene,
resterai deluso. Gli italiani non si fideranno
mai di te, e il guerrilla marketing, il virale,
quello vero, un giorno ti si ritorcerà contro.
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blog news
Dal flash mob al dance mob
is not guerrilla
Ed osano chiamarlo virale
6 this
il guerrilla si sta
imponendo nel mercato
10 Come
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Una notte di guerrilla
per una social italiano
E’ primavera,
svegliatevi Havaianas!
SUBVERTISING
Anno III, numero 17 del 10 aprile 2009
Direttore Responsabile: Francesco Rossi ([email protected])
Comunicati stampa, informazioni o altre richieste:
[email protected]
Pubblicità:
Barbara Zanardi ([email protected])
Grafica e impaginazione: Frameart.it
Edizioni Cnet Web
Mensile iscritto presso il Tribunale di Bologna, numero 7803 del 16/10/2007
blog news
Dal flash mob al dance mob
di Fables (www.bloguerrilla.it)
D
al numero 6 di Subvertising ai guerrilleri: la
parola flash mob contiene già nella sua etimologia tutto il suo significato. I termini flash, inteso
come breve esperienza, e mob, come esperienza
affrontata da una moltitudine, da una mobilità veloce e dirompente, delineano perfettamente i confini
concettuali di questa performance. Il flash mob, infatti, è un’aggregazione improvvisa, in uno spazio
pubblico, di un determinato numero
di persone, che
mettono insieme
un’azione insolita
per un breve periodo di tempo. I
flashmobbers organizzano le loro
performance tramite il passaparola, che viene portato avanti grazie
a delle comunità
che si creano sul web e che usano i nuovi mezzi
di comunicazione per tenersi in contatto. La performance non viene provata prima ed i partecipanti seguono le istruzioni che gli vengono impartite pochi
minuti prima dell’inizio dell’exploit. Succede però
che, soprattutto negli ultimi tempi, per il grande successo che queste performance si assicurano, alcune mobilitazioni ricevono il marchio indelebile di un
brand, quindi la loro natura fortemente spontanea
viene messa a repentaglio, mentre si da maggior
peso alla spettacolarità. Il ruolo degli spettatori, che
ignari si ritrovano di fronte ad una simile esperienza, rimane invariato, la loro passività viene premiata nel momento in cui diffondono ulteriormente il
verbo con tutto il materiale, foto e video, che viene
prodotto durante la performance live. Forse moltissimi di voi ricorderanno quanto successo più di
due anni fa al Cebu Provincial Detention and Rehabilitation Center delle Filippine (il video ha fatto
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fin’ora registrare più di 22 milioni di visite), con ben
1.500 detenuti pronti a riproporre una versione danzante di Thriller di Michael Jackson. Quella performance non sarà di certo passata inosservata, visto
che T-Mobile, seguendo le direttive della Saatchi &
Saatchi, ha dato vita ad un altro dance mob, stavolta di natura fortemente commerciale. Siamo alla
stazione della metropolitana di Liverpool, quando
improvvisamente,
alle ore 11 del mattino, gli altoparlanti
della sala centrale diffondono una
canzone che una
sola persona comincia a ballare.
Passano
pochi
istanti e alla performance solista si
aggiungono altre
persone, intanto
cambiano le canzoni di sottofondo e i tipi di ballo, i flashmobbers
sono sempre di più fino a coprire la quasi totalità
dei presenti, che inizialmente sembrava fossero lì
per caso. Finisce la mobilitazione e sotto gli applausi degli spettatori i flashmobbers si dileguano tra la
folla. Rispetto alla definizione data all’inizio dell’articolo, questa mobilitazione è mancata dal punto di
vista della spontaneità, per organizzare qualcosa
del genere, ci saranno voluti mesi e mesi di preparazione, visti gli attori ingaggiati e la qualità dei
balli. Nonostante questo, il video non perde ne di
spettacolarità, anzi ne guadagna, vista l’armonia
con la quale gli attori hanno interpretato i vari balli,
ma soprattutto di viralità, visto che il video ufficiale
ha fatto registrare più di 10 milioni di visite, senza parlare di tutti i video di risposta, di tutte le foto
scattate che hanno fatto il giro del mondo e delle
centinaia di servizi televisivi e giornalistici realizzati.
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E
ntrate disinvolti e ben
vestiti in una
stanza piena di
gente allegra
e ben vestita,
l’atmosfera è
abbastanza
confortevole,
anche se si
percepisce
un qualcosa
di fittizio, un
maxischermo messo al
centro della sala proietta immagini di persone divertite e festanti, dal basso inizia ad alzarsi una musica dance sempre più forte che i presenti nella sala
cominciano ad assecondare con battiti di mano. La
musica si ferma scemando ed entra con un sorriso
a 32 denti un ragazzotto atletico che inizia a ammaliare la platea con neologismi e parole piene di belle
speranze. Quella che vi ho appena descritto è una
tipica scena che precede una riunione del cosiddetto
Multi-Level Marketing. La truffa del 21 secolo. Nato
nel 1934 negli Stati Uniti, questa bizzarra forma di
marketing non è altro che un metodo di distribuzione
di prodotti o servizi che permette ad un distributore
o venditore di crearsi una rete di distributori senza
consistenti investimenti in denaro. Succede quindi non di rado che per entrare a far parte di questa
sorta di catena di S.Antonio si debba acquisire la licenza di un determinato prodotto, una volta ottenuta,
si cerca di venderlo inizialmente a parenti ed amici,
(anche perché sappiamo benissimo della diffidenza
derivante dal marketing porta a porta) per cercare
di allargare la propria catena e trarre così una qualche percentuale dalla vendita stessa. Fin qui tutto
sembra andare per il verso giusto, un persona che
ha al suo interno l’animo del venditore non dovrebbe trovare molti problemi a coesistere in un siffatto
sistema; i problemi nascono quando ci confrontiamo
con la natura di questo sistema, strutturato in maniera piramidale. Solo coloro che sono nelle posizioni
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alte della piramide, perché entrati a far parte di questo sistema per primi, ottengono notevoli guadagni,
viste le percentuali che ottengono dalla vendita dei
loro sottoposti, tutti coloro (e sono la maggioranza)
di venditori inseriti nella parte bassa della piramide
guadagnano al massimo 300 euro al mese. Questa
è solo la punta dell’iceberg, il modo di coinvolgere
e illudere le persone è architettato attraverso una
serie di promesse, libri che titolano “Come guadagnare 10.000 euro al mese”, “Come uscire dai debiti nel giro di poche settimane”, persino YouTube è
contaminato, basta digitare all’interno del campo
“Cerca” la frase viral marketing e qui si snocciolano
una serie di video che ci insegnano come far fruttare
dei soldi diventando parte di un sistema come quello
fin qui descritto. Signori, il viral marketing è tutt’altro,
c’è dietro una lunga pianificazione e strategia, il passaparola è alimentato in modo naturale senza alcun
scopo di lucro, l’idea alla base di un contenuto virale
è spesso originale o caratterizzata da una componente ludica, a differenza del MLM, dove il divertimento è sul viso di pochi eletti.
Per via della sua aggressività sul profilo psicologico,
sulle sue fondamenta basate su altre cattive parole come “mobbing” e “sfruttamento”, in alcuni paesi,
molti a dire il vero, il MLM è illegale. Eppure anche
qui in Italia ci sono diverse aziende che si basano su
questo, magari senza nemmeno la richiesta di acquisti iniziali per far parte del “dream team” di supervenditori. Navigando, la rete propone numerosi casi ed
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esperienze, dalla famosa ed ormai fallita, chiusa e sotto processo Tucker di Rimini a diverse proteste per una guida
del cittadino edita da una società di Reggio Emilia
con sistemi analoghi relativamente alla parte di raccolta pubblicitaria. Ai nostri lettori che fossero entrati
in contatto con realtà ed offerte di lavoro sul genere
(che in tempi di crisi proliferano e sfruttano ancora di
più i sogni di poveri venditori resi incapaci di intendere e volere dalle false speranze profuse come promesse), diciamo di stare molto attenti, di informarsi,
di prendere il tempo per leggere ogni cosa che firmano. Alle società che invece lavorano così, semmai
dovessero leggerci, anche a loro raccomandiamo
attenzione; che un giorno il vero viral marketing non
si svegli per scagliarsi contro questi impostori.
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È
ormai lapalissiano, il non convenzionale, un tempo speme di pedicellosi
ragazzi che volevano cambiare il mondo,
è diventato una realtà partecipata e partecipante in cui nuove e affermate abilità
partoriscono illibate risposte a rinnovati
bisogni. La fine dell’apartheid tra vecchi e
nuovi orientamenti è sempre più vicina e,
a dimostrarlo, non sono soltanto l’inquietudine di clienti desiderosi di percorrere anche strade alternative o la marea di case
history che permette ad appassionati blogger divulgatori di navigare sulle pagine del
proprio diario on-line.
A dichiarare finalmente avviato l’invocato
processo di commistione sono soprattutto
i primi lampanti indizi di smarrimento e di
collera da parte di chi comincia a percepire
come incombente e concreto un pericolo pri
ma solamente supposto. Si tratta
delle reazioni dei detentori dell’ordine costituito che, nel vano tentativo di respingere la minacciosa
richiesta di residenza di un ragazzo diventato uomo e che reclama
il suo diritto alla libertà e all’autonomia, hanno pensato di difendersi con il lancio di superficiali accuse di millanteria e spaccio di false
sostanze miracolose.
Ma l’autodeterminazione si è
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compiuta, il riconoscimento è ufficiale e gli antichi equilibri sono ormai alterati.
Sono queste avvisaglie a rendere ancora
più attendibile la probabilità che, setacciando la poltiglia comunicativa, troveremo pepite
sempre più fulgide e felici di essersi separate dai
primitivi giacimenti.
Ed è proprio dal fondo del mio personale crivello
che vorrei ancora una volta condividere un prezioso ritrovamento, chiarificatore del titolo di questo
piccolo articolo.
Si tratta dello sticker, dell’antico
offuscatore
di
finestre e addobbatore dei
battenti
di
quei patiboli
di camicie
sgualcite
e jeans
vissuti
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chiamati armadi.
Sequestrato dai pericolosi unconventional’s men,
lo stickering non rappresenta più un anarchico invasore urbano di brand o siti web, ma ha assunto le
fattezze di un segugio dal fiuto infallibile, in grado di
stanare target nascosti in mille differenti stili di vita
grazie alla sua abilità mimetica e alla sua capacità
di “attaccare” luoghi e oggetti, trasformandoli in collaboratori comunicativi dal forte appeal.
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Q
uesta è una storia italiana..c’è un locale ed un evento in corso, c’è un social
network da promuovere e dei guerriglieri in
azione.
E’ un giorno come tanti a Roma quando
decine di persone, richiamate da un invito
partito da Facebook, affollano un noto cocktail bar di Testaccio affacciato sul Tevere.
Sono grafici, videomaker, creativi in genere
ed anche chi, per una volta, ha deciso di
liberare l’artista dentro di sé.
La serata “Video Up The River” è dedicata
ai cortometraggi ed alla video-arte, un’occasione, non frequente, per condividere i
propri lavori in modo libero e partecipato.
Un invito a stimolare l’arte attraverso la capacità di creare e inventare senza essere
vittima di imposizioni o convenzioni. L’orario è quello dell’aperitivo, un modo semplice per creare connessioni tra
gli appassionati. Sono le 20,
si aprono le danze, la serata
inizia. Si accendono le luci
in sala, i guerriglieri hanno
studiato il terreno.
Dalle travi in legno del soffitto pendono alcuni cappi
in corda da impiccagione.
Sullo specchio del bagno un metro e una lavagnetta
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obbligano tutti gli ospiti della toilette ad una simbolica schedatura carceraria. Dalle gabbie scendono
lenzuola annodate, simbolo di quell’immane voglia
di libertà, in grado di superare qualsiasi prigione
o barriera che fa tornare in mente il personaggio
di Henri Charrière in Papillon. Installazioni diverse
in ogni angolo del locale per affermare lo stesso
messaggio: Non condannare la creatività.
E mentre sullo schermo scorrono le immagini dei
cortometraggi, il pubblico in sala è stupito ed incuriosito. Il coinvolgimento e la partecipazione
scaturita da azioni di guerrilla, forse non eclatanti
o gigantesche, forse nemmeno guerrilla, ma di sicuro attività non pensate per sparare nel mucchio
ma immaginate intorno ad un luogo, un evento ed
un target selezionato.
A firmare il tutto Tooquoque.com, social network
italiano che in questi
giorni
sta preparando il lancio di un portale finalizzato alla creazione di
campagne di comunicazione collaborative a partire da contenuti
video e grafica creati dagli utenti.
La campagna è stata ideata e
realizzata dai ragazzi della Tooquoque Marketing, omonima e
neonata agenzia di Roma specializzata in guerrilla. In bocca
al lupo allo staff.
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L
a primavera si
sa è la stagione
dell’amore. Dopo il
torpore dell’inverno
tutto intorno a noi si
risveglia e si riempie
di questo dolce sentimento. Le persone si
svestono, gli uccellini cinguettano e la
famosa ape, proprio
lei, quella dell’educazione
sessuale infantile, cerca
disperatamente
il suo fiore da impollinare. Tuttavia
qualcosa quest’anno ad una povera
ape romana è andato storto. Mentre
si aggirava felice nei
pressi del Colosseo
è stata attirata da
una distesa di colori
sgargianti e si precipitata vogliosa di im-
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mergere
il suo
pungiglione nel
dolce nettare di un delicato fiore. Ma
lì, invece di un
morbido pistillo caldo ed accogliente, ha
trovato ad aspettarla
della dura e semplicissima gomma. Pensate quale potrebbe essere la vostra reazione se andando
a coricarvi con la vostra metà
provaste ad abbracciarla e trovaste al
suo posto una di
quelle
bamboline
che vendono in tutti i
sexy shop. La nostra
ape delusa ed amareggiata ritenta con
il coloratissimo fiore
accanto ma la storia
è sempre la stessa.
Delusa ed incredula vola via a cercare fiori piu gustosi
non potendo minimamente immaginare di essere
incappata nell’ultima campagna di ambient marketing delle infradito per antonomasia: le “gommosissime” Havaianas.
L’azienda
brasiliana infatti ha deciso
di festeggiare
l’arrivo della
primavera con
un tour “non
convenzionale”
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quattro tra
le maggiori capitali europee. Tre giovani
creativi hanno viaggiato tra Londra , Madrid, Parigi e Roma
cercando delle zone
verdi davanti i monumenti più famosi dove poter
piantare una distesa di
ciabatte colorate che
rallegrassero i cuori di cittadini e turisti.
L’azione ha preso il
via da questa semplicissima e freschissima
modifica ambientale
ma si è articolata sulla rete dove ha trovato una più efficace
realizzazione. L’idea
creativa prende la sua
forza infatti dall’ aver
effettuato per ogni installazione scatti fotografici e
piccoli video-report in modo da creare una sorta di
diario di viaggio da far circolare prima di tutto tra
i blog relativi al marketing,
all’arte, al
fashion ed al mondo “geek” e
successivamente da veicolare come dei mini widget
su tutti i principali social
network: da Facebook
a Myspace, da Flickr a
Yuotube passando per
Twitter.
Non ci è dato sapere
per quanto tempo le
Havaianas abbiano
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realment
e
adornato
le nostre
capitali.
Forse un giorno, forse un’ora o forse
solo il tempo di uno scatto ma sinceramente non è questo ciò che ci importa.
Quello che è sicuro è che questa campagna ha saputo trasmettere a pieno, sopratutto attraverso canali
virtuali, la gioia carioca che da sempre sta
dietro a quest’azienda
che ha creato il più famoso brand di infradito in
gomma.