Settantadue passi Ero nudo e legato ad una sedia con lacci di
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Settantadue passi Ero nudo e legato ad una sedia con lacci di
Settantadue passi Ero nudo e legato ad una sedia con lacci di plastica scura. Non sentivo più le braccia, le gambe erano sanguinanti ed i ginocchi frantumati. Intorno al collo, come terminale di una corda che calava direttamente dal soffitto, avevo un cappio che mi impediva qualsiasi movimento della testa. Se mi fossi mosso bruscamente o avessi tentato di spostarmi da quella posizione, mi sarei strangolato da solo. Davanti a me potevo vedere solo un muro grigio e scrostato. Non sapevo perché ero lì. Sapevo soltanto che a breve distanza di tempo tra loro, si alternavano nella stanza per accanirsi in tutti i modi possibili contro di me, due figuri, che non avevo mai visto e che non dicevano una parola. I miei aguzzini, pur essendo così diversi fisicamente, erano simili nella ferocia. Entravano all’improvviso passando probabilmente da una porta che era dietro di me, e senza fiatare, cominciavano a usare sulla mia persona ogni genere di strumento atto a offendere:coltelli di lunghezza diversa, forbici appuntite e tenaglie, seghetti, chiodi e un grosso martello per percuotere i piedi. Quello più grosso aveva sempre con se un tubo di metallo, con sopra avvitati dei bulloni, che usava per colpirmi le costole e talvolta i ginocchi. L’altro, più minuto, aveva mezzi più raffinati per torturarmi. La sua più grande soddisfazione era accendere dei fiammiferi infilati in mezzo alle dita dei miei piedi o conficcati tra l’unghia e la pelle. Ormai non riuscivo neppure a identificare la provenienza del dolore e non gridavo più. Le mie urla rimanevano soffocate dentro di me e dalla bocca aperta usciva solo qualche rantolo. Volevo solo morire. Un leggero spostamento d’aria mi avvertì che uno dei miei aguzzini era entrato. Era il più piccolo dei due. Senza dire nulla – in verità non avevano mai detto nulla – mi levò la corda dalla testa sfilandomi il cappio e con un calcio dato alle gambe della sedia, mi fece rotolare per terra. Mi lasciò lì per qualche minuto, senza degnarmi di uno sguardo, come se avesse gettato una carta nel cestino. Si accese una sigaretta piegandosi verso di me solo per spengere il cerino ancora acceso sulla mia faccia. Quando entrò anche l’altro mi resi conto che qualcosa era cambiato. I due mi trascinarono verso il fondo della stanza lasciando per terra scie di sangue che le gambe della sedia, come fossero un pennarello inzuppato, tracciavano sul pavimento. Solo allora mi accorsi che sulla mia destra c’era un portone molto alto fatto ad arco e chiuso con una lastra di ferro. Con inusuale lentezza e cura nei movimenti, mi tolsero i lacci e, sollevandomi per le ascelle, mi portarono fino a dove si apriva il varco chiuso. Lì mi appoggiarono per terra accanto alla pesante lastra. Il grosso si era allontanato di qualche metro raggiungendo una nicchia nel muro dove si trovavano alcuni congegni. Dopo aver guardato il compare per la condivisione del momento, tirò verso di sé una leva. Il portone di ferro cominciò lentamente a salire lasciando intravedere l’interno. Dentro era buio. Non era però un buio normale. Era denso e pesante, quasi che si potesse tagliare col coltello. Dal basso saliva un odore nauseante di marcio. Il piccolo che si trovava alle mie spalle arretrò di qualche decina di centimetri fino a che lo spazio fu sufficiente per spingermi dentro. Precipitai in un baratro orribile nel buio più assoluto. Il trillo della sveglia collettiva mi trovò completamente sudato nel letto del mio angusto modulo abitativo. Era stato l’incubo peggiore della settimana. Potevo paragonarlo solo a quello del primo venerdì del mese scorso quando ero stato bruciato vivo dopo essere stato cosparso di benzina. Il “nodreams” che passa il Governo non aveva evidentemente funzionato. Dopo un po' non facevano più effetto. Forse avrei dovuto provare qualche dose più massiccia ma, in caso di malfunzionamento, l’effetto sarebbe stato devastante: un incubo di terza fascia! Avevo 12 minuti per prepararmi e raggiungere il “velox”. La preparazione della tuta era già stata predisposta dal “armadio automatico” e avrei assorbito la “dose” di proteine previste per la giornata mentre scendevo verso l’astrobus che mi avrebbe portato a lavoro. Arrivai nella piazzetta della torre centrale (quella dove sono collocati gli uffici dei maschi della seconda età) e dopo 72 passi, girai a destra per entrare nel portone dell’area di “verifica alimentare”. I primi 52 passi li feci, come sempre, insieme a Mike, che ha l’ufficio a quell’altezza, percorrendo gli ultimi venti da solo. Era venerdì. Alle 12,00 spaccate, prima della pausa, avrebbero aperto gli shop drems. Lo fanno sempre quando stai per essere pagato. Il mese prima avevo comprato un sogno da poco, ma era comunque servito ad interrompere il crescente livello degli incubi. Avevo trascorso una tranquilla serata intorno al fuoco con il crepitio delle fiamme, una buona lettura ed un bicchiere di Gin. Per comprare un sogno di media fascia avrei dovuto spendere un quarto della paga. Ci dovevo pensare. Le ultime due notti erano state pesanti. Non tanto per quella della caduta nel baratro dopo le torture, quanto perché nella precedente ero affogato e la settimana scorsa ero stato gettato in una fossa di serpenti e topi. Chissà se gli incubi erano stati sempre così o se in anni lontani magari erano meno angoscianti. Avevo letto su vecchi cd in disuso (avevo avuto accesso alla quasi museale biblioteca solo perché avevo messo un po' più di alimenti nella razione di un addetto!) che un tempo la fantasia era una capacità naturale dell’uomo e non c’era bisogno di indurla. Si raccontava che i sogni notturni erano casuali e che raramente si trasformavano in incubi. Probabilmente erano favole per bambini. Come si fanno ad immaginare certe cose? Puntualissimi gli addetti alla vendita di sogni aprirono lo spazio acquisti. Erano in due, ed anche se vestivano con le nostre stesse tute grigie, sembravano diversi. A me era sempre sorto il dubbio che qualche volta utilizzassero loro stessi i sogni che vendevano. Non avevano le facce di tutti noi, pallide con gli occhi cerchiati di nero. Mi spostai dalla mia postazione per raggiungerli facendo un giro leggermente più lungo. 21 passi invece dei 18 previsti. Così per cambiare, a chi aveva più di dieci anni di servizio era concesso. Vidi subito quello che mi sarebbe piaciuto comprare. Mentre tutti i miei colleghi si affollavano introno alle offerte con donne dalle tute semiaperte e colorate che promettevano di togliersi per te, io mi soffermai su una giornata di completo relax, che non a caso costava di più. Invece dei soliti 12 micron ne occorrevano 15. Il pensiero che quella notte avrei potuto ancora rimpiombare in qualche baratro o essere mangiato a pezzettini, mi spingeva verso l’acquisto. Guardai nelle mie tasche e contai le pillole che passava il governo per rintuzzare gli incubi. Me ne rimanevano solo due e fino alla prossima distribuzione sarebbero passati cinque giorni. Quindi qualcosa avrei dovuto fare. Mi avvicinai dunque al venditore per comprare un sogno relax. Tra questi scelsi il soggiorno in una soffice poltrona con accompagnamento musicale di violini ed arpa. Al ritorno, i settantadue passi, sembrarono più corti mentre mi tenevo stretto al petto il pacchetto con “il sogno di seconda”. Ero più a corto di stipendio ma davanti a me avevo una bella prospettiva notturna. Pima di salire a casa venni fermato dalla sicurezza. Guardarono le percorrenze controllando se avevo fatto i previsti tragitti e i passi concessi. Vollero guardare il pacchetto e la ricevuta e non contenti, mi fecero uno screening totale per vedere se in me c’erano “germi di sovversione”. Naturalmente ne uscii pulito. Salii in casa e prima di collegarmi al video per la trasmissione interattiva e obbligatoria dei nuovi avvisi, mi collegai con Akel, un mio vecchio amico che mi era stato concesso ormai da un paio d’anni. Era la terza chiamata del mese, ma pur sapendo che con quella avrei esaurito il limite imposto, volevo farlo partecipe del mio acquisto. Dopo pochi secondi dall’attivazione, sentii la voce preregistrata di un governativo < informiamo che il soggetto Akel registrato al n.347G della seconda sessione, è stato depennato per infrazione di 4° grado>. Mi lasciai cadere sulla branda. Non ci volevo credere. Akel era sempre stato un modello per me, mai avrebbe contestato le “regole”, mai si sarebbe permesso di andare contro le disposizioni governative. Tantomeno infrangendole con un 4° grado: quello che proibisce l’uso non regolamentato del proprio cervello. Volevo chiamare Ubert che, con Akel e me, aveva frequentato i corsi di “eliminazione delle difformità”, ma non avevo più possibilità foniche. Mi era passata la voglia persino di usare il “sogno acquistato”. Fu in quel momento che sentii il collegamento fonico. Era Ubert. Evidentemente lui aveva ancora disponibilità connettiva ed aveva saputo di Akel. < Hei, hai saputo?> chiese < si, ma il quarto grado!> risposi - < che avrà combinato? -aggiunsi - Nel mentre attendevo la risposta si inserì nella conversazione un “addetto alla sicurezza delle conversazioni” riportandoci al rispetto delle regole conversative: < l’argomento non è contemplato>. Salutai Ubert con mestizia. Mentre mi accingevo ad assumere il dosaggio alimentare serale, mi venne in mente l’unica possibile causa del depennamento ed era colpa mia. Due settimane prima avevo dato al mio amico una copia del vecchio cd del museo che avevo trattenuto per copiare. Quasi sicuramente era stato scoperto durante la verifica settimanale della sicurezza. Il problema dunque non riguardava solo il povero Akel ma anche il sottoscritto che, non solo aveva procurato l’oggetto del reato, ma aveva anche l’originale in casa. Nella mia azione non c’era stata nessuna velleità di ribellione, in verità non credevo che il possesso di documentazione per ragazzi fosse così grave. Il possesso, se pur illegittimo, di favole per bambini non può essere considerato ragione di possibile “squilibrio sociale”. Che bisogno c’era di depennare una persona. Il fatto è che non importa quello che pensi o quello che ritieni, la “regola” non ammette eccezioni ed io dovevo distruggere immediatamente la mia copia. L’avevo nascosta dietro il contenitore dei residui in modo da poter sembrare che stessi per buttarla via. Prima però di metterla nel tritaggio volli dargli ancora un’occhiata. Volevo capire la ragione del provvedimento definitivo preso nei confronti di un amico. Accesi il commutatore e inserii il vecchio disco. Le prime scene le avevo viste e non mi parevano particolarmente “sovversive”. Scorrevano immagini talmente irreali da essere evidentemente create al computer : grandi distese di liquido color blu dove contenitori con dentro alcune persone, si spostavano in modo irregolare come se fossero condotte da stoffe bianche legate a un palo sopra di loro piantato nel contenitore, cumuli di non so che cosa colorati di verde con decine di pali marroni al cui vertice si trovavano altri ammassi di verde svolazzante, un sole che non era grigio come deve essere ma che appariva come nei sogni di seconda, rosso ! Balle! fantasie per ragazzi di un’altra epoca. Stavo per staccare il visore, quando improvvisamente lo schermo cambiò. Apparve un uomo di mezza età con una proibitissima barba bianca. Parlava a fatica < non fatevi ingannare! non lasciate che il grigio avanzi e la creatività venga uccisa> il vecchio continuava < morite da uomini non da automi eterodiretti, lasciate galoppare le vostre idee e la vostra immaginazione. Siate persone libere>. Il video diventò nero. A queste ultime parole la paura mi prese lo stomaco. Chi era? E cosa diceva? Il suono dell’obbligo del risposo notturno interruppe i miei pensieri. Mi coricai dopo aver ingerito il mio acquisto e aver ricollocato il cd al suo posto, promettendomi di distruggerlo l’indomani. La notte fu lieve e piacevole. Ero seduto su una poltrona soffice e calda che mi fasciava il corpo lasciandomi addosso una sensazione di benessere. Nell’aria non c’era nessun odore di macchine e tutt’intorno a me c’erano soltanto grandi distese di strade azzurre. Una musica garbata faceva da contorno a questa oasi di pace. All’improvviso però apparve davanti a me il vecchio del video. Sembrava avere ancor più dei suoi anni, che mi ripeteva quasi come se fosse una nenia, il suo mantra < morite da uomini, non fate uccidere la vostra creatività > - non so nemmeno di che parlasse e perché imperversava nel mio sogno !?>. Mi ripromisi di protestare con i venditori. Quando mi svegliai avevo ancora il viso del vecchio in mente. Non riuscivo a farlo uscire dal mio cervello quasi come se avesse risvegliato in me qualcosa che non riuscivo a decifrare. E se avesse detto la verità!? Cacciai con forza quell’improvviso pensiero non autorizzato e non previsto. Attesi che scattassero i 12 minuti e scesi, come al solito, per la strada. Mi guardai attorno. Vidi delle cose che non avevo mai osservato VERAMENTE. Perché dovevamo fare così? chi lo aveva deciso? – le mie riflessioni stavano esagerando ed avevo paura che qualcuno potesse notare la mia diversa espressione o leggere i miei pensieri, ma nella realtà delle cose nessuno mi guardava. Scesi dal bus e mi incamminai per i miei 72 passi. Accanto a me avevo Mike. Proseguii da solo per i successivi venti passi come al solito, mentre Mike aveva iniziato il suo percorso laterale. Non so cosa successe. Arrivato in fondo al mio itinerario, dentro di me scattò qualcosa. Non mi fermai per girare a destra come avevo fatto per dieci anni e come avrei dovuto obbligatoriamente fare per altri dieci. Continuai a camminare fuori area e senza autorizzazione. Libero! Settantadue,settantatre…settantotto..ottanta…ottantaquat tro, all’ ottantacinquesimo passo venni improvvisamente circondato da tre membri della sicurezza che puntandomi delle armi contro, mi dettero l’ordine di fermarmi. < alt!> Non lo feci…ottantasei..ottantasette… Al novantesimo passo una raffica di isotoni mi scaraventò a terra. Il dolore fu tremendo. Sapevo di avere pochi minuti di vita. Guardai intorno a me girando con difficoltà il collo. Da questa parte Mike aveva proseguito la sua strada senza fermarsi ed in alto altre persone stavano scambiando tra loro i percorsi obbligati senza rispettare i passi previsti. Un sorriso si stampò sulle mie labbra. Non era un sogno.