Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari
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Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari
RICERCA Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri Piazza Navona, 114 00186 - Roma Tel: +39 06 45.46.891 Fax: +39 06 67.96.377 Via Vincenzo Monti, 12 20123 - Milano Tel: +39 02 99.96.131 Fax: +39 06 99.96.13.50 www.aspeninstitute.it Documento presentato in occasione degli Aspen Seminars for Leaders, Venezia 22-24 maggio 2015 Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri Ricerca per Aspen Institute Italia Steering Committee Redazione scientifica Giuliano Amato Fabio Pammolli (IMT Alti Studi Lucca) Armando Rungi (IMT Alti Studi Lucca) Marco Fortis Alberto Quadrio Curzio Paolo Savona con la collaborazione di Crisis Lab Project Analytics for Crisis Prediction and Management Coordinamento organizzativo Francesco Leopardi Dittaiuti © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 1 INDICE pag. PRESENTAZIONE DELLA RICERCA 3 EXECUTIVE SUMMARY 4 I. LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE E DEL SISTEMA ITALIA 1. QUANTO È COMPETITIVA L’ITALIA? DIPENDE 2. NON UNA, MA DUE CRISI 10 3. LA CRISI HA ACCELERATO L’INTERNAZIONALIZZAZIONE 14 4. LA COMPETITIVITÀ DEL MADE IN ITALY E DINTORNI 15 5. PICCOLO NON È BELLO, GIOVANE SÌ 18 6. REGOLAMENTAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO E ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE II. III. 6 21 INTERNAZIONALIZZAZIONE E INNOVAZIONE 1. L’ITALIA E LE CATENE GLOBALI DEL VALORE 24 2. DESTINAZIONE ITALIA, DESTINAZIONE ESTERO 28 3. RISORSE SCARSE PER L’INNOVAZIONE 30 4. ACQUISIZIONE DI CONOSCENZA E PROPRIETÀ INTELLETTUALE 33 5. L’ITALIA ALLA ‘GUERRA DEI TALENTI’ 35 MAPPA DELLE OPPORTUNITÀ E DEI VINCOLI ALLA COMPETITIVITÀ E ALLO SVILUPPO DELL’ITALIA 38 BIBLIOGRAFIA 40 APPENDICE: IL QUESTIONARIO TRASMESSO 41 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 2 PRESENTAZIONE DELLA RICERCA Nel quadro del suo costante impegno al tema della produzione, Aspen Institute Italia ha realizzato la ricerca “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri”. Una caratteristica originale di questo lavoro è il contributo che gli associati ad Aspen Institute Italia più esposti alle sfide imprenditoriali e produttive hanno fornito, attraverso un articolato questionario, con valutazioni pragmatiche e proposte a servizio del dibattito che l’Italia ha in corso1. Obiettivo della ricerca è individuare nuove fonti della crescita nel medio e lungo periodo, con particolare attenzione alle ricadute prevedibili sul futuro dell’economia italiana. La Redazione Scientifica dello studio è stata condotta da Fabio Pammolli con la collaborazione di Armando Rungi, indirizzata da uno Steering Committee costituito da Giuliano Amato, Marco Fortis, Alberto Quadrio Curzio e Paolo Savona. In un contesto di crescente integrazione dei mercati a livello internazionale è indispensabile comprendere quali sono le coordinate da seguire per continuare su un sentiero di sviluppo e di crescita per il Paese. Quali attività produttive hanno maggior potenziale? Che tipo di innovazione è necessaria per fronteggiare la crescente competizione internazionale? Esistono fasi delle filiere industriali su cui l’Italia è già ben posizionata? E quali sono le fasi sulle quali è più necessario investire? In che modo il sistema istituzionale favorisce od ostacola l’emergere delle eccellenze italiane? Queste sono solo alcune delle domande che sono state poste agli associati ad Aspen Institute Italia, in quanto d’interesse per fare il punto sugli scenari attuali e futuri, sulla base dei quali valutare l’efficacia di nuovi o tradizionali driver di sviluppo. Senza nessuna pretesa di coprire le ampie problematiche di economia interna e internazionale, nel dettaglio che in altre sedi esse meritano, si ritiene di aver colto alcuni punti essenziali che vale la pena segnalare. A corredo delle risposte fornite dal questionario, si analizzano alcune evidenze empiriche utili per un commento ragionato dei diversi argomenti affrontati. Al questionario hanno risposto, in forma anonima, 103 associati ad Aspen Institute Italia (imprenditori, managers, professionisti, membri delle Istituzioni, accademici e scienziati). Nell’Appendice Il questionario trasmesso è indicata la loro segmentazione per settore di attività. Ogni riferimento agli associati nella presente ricerca è sempre limitato ai 103 membri dell’Istituto che hanno risposto al questionario. 1 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 3 EXECUTIVE SUMMARY Tra le priorità per gli associati ad Aspen Institute Italia, i settori tradizionali del Made in Italy e il turismo emergono come fondamentali motori di sviluppo, anche per il futuro. Una volta che si scompongano le filiere dei settori industriali, resta cruciale investire nelle fasi preproduzione e post-produzione. Infatti, il maggior contributo potenziale alla crescita deriva da un lato dalla ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e processi produttivi, dall’altro dalla capacità di commercializzazione e distribuzione del prodotto, per raggiungere un consumatore sia domestico sia estero, attento alla qualità del Made in Italy. Sono queste anche le fasi della filiera dove è maggiormente necessario investire in termini d’innovazione, per mantenere ed aumentare quote di mercato e contributo alla crescita. Il sistema produttivo nel suo complesso ha reagito bene agli ultimi decenni di crescente integrazione economica internazionale. L’Italia resta leader in molti settori industriali, nonostante una parziale erosione delle quote di mercato, sofferta da tutti i Paesi di più antica e solida industrializzazione, in seguito all’emergere di nuovi attori sulla scena mondiale. Durante la crisi, molte imprese hanno aumentato il loro grado di internazionalizzazione e innovazione, potendo, quindi, contare sulla domanda estera in quanto sostituta della stagnante domanda interna. Da questo punto di vista l’Italia ha affrontato non uno, ma due episodi di crisi. Il primo è stato sincronizzato su scala globale, a partire dal contagio finanziario del 2008, mentre il secondo ha avuto origine in Europa e ha visto coinvolti alcuni Paesi più di altri. Persiste in Italia una forte dualità tra le inefficienze del ‘Sistema Paese’ definito nel suo complesso di istituzioni economiche e sociali, e le imprese italiane in grado di continuare a produrre eccellenze che vengono riconosciute a livello mondiale. La valutazione negativa che spesso viene espressa nel dibattito pubblico sulla capacità competitiva dell’Italia confonde questi due elementi, dando maggior peso alla dimensione istituzionale e politica, ma trascurando la dinamicità del sistema produttivo. Nell’attrazione d’investimenti dall’estero, l’Italia sconta ancora il peso di una percezione negativa dei vincoli istituzionali e di quello burocratico. A questo proposito, nel tempo il Paese ha attratto fasi della filiera internazionale che sono a contenuto di valore aggiunto relativamente basso. Tra i maggiori vincoli di contesto, politici e istituzionali, accanto a burocrazia, tassazione e mercato del lavoro, si è distinto, specie negli ultimi anni, un problema di accesso al credito. Ma la capacità di accesso al credito è molto eterogenea a livello regionale. Trascurata nel dibattito pubblico, la difficoltà delle imprese nel ricorrere a capitale di rischio è una debolezza del sistema finanziario italiano rispetto ad altri concorrenti internazionali. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 4 Per la maggioranza degli associati ad Aspen Institute Italia, l’Unione Europea rappresenta un’opportunità di sviluppo del sistema produttivo italiano, in termini d’innovazione e internazionalizzazione. Si sottolinea l’importanza di un mercato comune dell’energia e di una politica energetica comune, anche estera, che aiuti a fronteggiare gli alti costi energetici. Tra le recenti politiche messe in campo per adeguarsi ai mutamenti strutturali indotti dalla globalizzazione (Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione), un consenso notevole è attribuito agli incentivi alla formazione e alla mobilità dei lavoratori. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 5 I. LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE E DEL SISTEMA ITALIA 1. QUANTO È COMPETITIVA L’ITALIA? DIPENDE Per gli associati ad Aspen Institute Italia esiste una forte dualità nella valutazione della competitività dell’Italia. Al momento di valutare la posizione delle imprese italiane, il 68% dei rispondenti al questionario ritiene che esse siano abbastanza o molto competitive in uno scenario di crescente integrazione economica internazionale. D’altro canto, addirittura il 92% di essi ritiene che il Sistema Paese nel suo complesso possa essere invece considerato poco o per nulla competitivo. Il sistema produttivo italiano sta tuttora attraversando una fase di ristrutturazione, a seguito della nuova fase di integrazione economica mondiale2 che, iniziata negli anni ’90, ha subito un’accelerazione prima con l’accesso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, poi con la crisi economica e finanziaria del 2008. Il mondo è diventato più piccolo, le distanze geografiche si sono accorciate a causa dell’integrazione dei mercati, della diminuzione dei costi di trasporto e dell’adozione di nuove tecnologie. La crescente apertura dei mercati dei prodotti e dei fattori produttivi, inclusi capitale e lavoro, rappresenta non solo un’opportunità ma anche una sfida per le imprese italiane, che si trovano a competere in ambiti sempre più ampi e con nuovi attori emergenti sulla scena mondiale. Più in generale, il deflagrare della crisi nel 2008 ha acuito la percezione delle vulnerabilità di un mondo economico più integrato. Chiamato a fronteggiare un periodo prolungato di contrazione e stagnazione della domanda interna, il sistema manifatturiero italiano ha reagito con un riorientamento delle vendite verso la nuova domanda estera, aumentando ulteriormente il proprio grado di internazionalizzazione, grazie a produzioni di elevata qualità. Nel nuovo quadro di integrazione dei mercati e di competizione globale, le imprese hanno ben presto compreso la necessità di distinguersi ed emergere sia sul terreno della produttività e delle economie di costo, che su quello della qualità dei prodotti. Su questo quadro di sfondo, le risposte degli associati ad Aspen Institute Italia al questionario predisposto nell’ambito della Ricerca “Ascesa e declino dei tradizionali drivers dello sviluppo: nuovi scenari futuri” evidenziano l’esistenza di due dimensioni capaci di influenzare la competitività dell’Italia: le strategie 2 Per approfondimento v. Baldwin, R. (2006), ‘Globalization: the great unbundling(s)’, Economic Council of Finland. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 6 delle imprese da un lato; il contesto economico e istituzionale dall’altro. Due piani distinti, che sono spesso confusi e sovrapposti nell’annoso dibattito pubblico sulla posizione dell’Italia sui nuovi scenari internazionali e sulla sua capacità di reazione e di ripresa in termini di crescita e sviluppo. Ad esempio, nel commento ai diversi indicatori internazionali che periodicamente vengono pubblicati e diffusi, raramente si coglie la complessità di un contesto nel quale un sistema di articolazioni economiche, politiche e sociali agisce da vincolo esterno, ma non impedisce alle imprese italiane di registrare livelli di eccellenza in molti settori. L’evoluzione e la sostenibilità stessa di questa dualità di poli di riferimento e di performance, quella delle imprese e quella del contesto di riferimento, influenzano in modo decisivo le sorti del sistema industriale italiano. In definitiva è lo stesso concetto di competitività ad avere molteplici sfaccettature ed interpretazioni, per cui una misura che intenda riassumerne l’evoluzione nel tempo deve necessariamente tener conto di un insieme articolato di fattori, rappresentando in termini sintetici l’impatto di caratteristiche sia quantitative sia qualitative. A conferma della percezione riportata dagli associati ad Aspen Institute Italia, gli indicatori di segno negativo per l’Italia sono quelli che danno maggior peso alla qualità delle istituzioni con cui le imprese si trovano quotidianamente ad operare. Al contrario, gli indicatori che mettono maggiormente in evidenza la performance del sistema produttivo italiano, con un’enfasi minore sul contesto politico e sociale di riferimento, segnalano un buon posizionamento del Paese rispetto ai principali concorrenti. Si provi, a titolo esemplificativo, a confrontare quanto indicato di recente dal World Economic Forum3 e quanto invece si può desumere dal Trade Performance Index4 (TPI) stilato dall’International Trade Center. Il primo indicatore posiziona sinteticamente l’Italia al 49° posto in una classifica internazionale di competitività stilata sulla base di un indice che riassume dodici diverse componenti (v. Figura 1Figura 1). Di queste componenti solo due possono essere ritenute, con una certa approssimazione, una misura della qualità del cosiddetto Made in Italy: Sofisticatezza del Business e Dimensione del Mercato. E, in effetti, su queste due componenti il Paese consegue un punteggio in linea o superiore alle altre economie avanzate. Le componenti che determinano il deterioramento del punteggio generale dell’Italia sono quelle relative ad Efficienza del Mercato del Lavoro, Sviluppo del Sistema Finanziario, Ambiente Macroeconomico e Livello d’Innovazione, quest’ultimo stimato in base a caratteristiche di sistema, quali Il World Economic Forum è una fondazione internazionale senza scopo di lucro che compila ogni anno ‘The Global Competitiveness Report’: http://www.weforum.org/reports/global-competitiveness-report-2014-2015 3 L’International Trade Center è un’iniziativa congiunta di Nazioni Unite e Organizzazione Mondiale del Commercio che compila diversi indicatori con aggiornamento annuale sulla base dei dati sugli scambi internazionali tra Paesi: http://legacy.intracen.org/marketanalysis/TradeCompetitivenessMap.aspx 4 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 7 collaborazioni università-impresa o qualità dei centri di ricerca. Tra le priorità individuate dal World Economic Forum si legge che le imprese italiane, per lo più di piccole-medie dimensioni, devono risolvere seri problemi di accesso al credito e beneficiare di una riduzione dei livelli di tassazione e rigidità del mercato del lavoro, entrambi elementi che ne limitano le capacità di investimento e di sfruttamento efficiente dei talenti italiani. Ciò nonostante, si legge sempre nelle note dello studio, l’economia italiana si caratterizza per la sua capacità d’impresa particolarmente qualificata, con alte potenzialità di innovazione e un mercato piuttosto ampio e diversificato, tale da poter conseguire rilevanti economie di scala e di scopo. Figura 1: Dimensioni di competitività per l'Italia, fonte: World Economic Forum (2015) Italia Economie avanzate Istituzioni 7 6 5 4 3 2 1 0 Innovazione Sofisticatezza del business Dimensione mercato Infrastrutture Ambiente macroeconomico Salute e istruzione primaria Istruzione superiore e professionale Preparazione tecnologica Efficienza mercati di sbocco Sviluppo mercati finanziari Efficienza mercato del lavoro Per avere un’idea precisa della posizione di leadership dell’Italia sui mercati internazionali, si consideri l’indice Fortis-Corradini5. Per 935 prodotti sui 5.117 commerciati a livello mondiale, l’Italia è primo, secondo o terzo Paese esportatore nel 2012. In Tabella 1 si riportano i dati per l’Italia, con indicazione del posizionamento in termini di bilancia commerciale. Ad esempio, seguendo la prima riga, l’Italia è primo esportatore netto per 235 prodotti, di 5 Per maggiori dettagli sulla costruzione dell’indice e sulla sua capacità esplicativa si veda Fortis, Corradini e Carminati (2015). © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 8 cui 135 riportano un saldo commerciale netto compreso tra i 50 e i 500 milioni di dollari, 19 prodotti riportano esportazioni nette comprese tra 0,5 e 1 miliardo di dollari, 11 prodotti fanno registrare un saldo commerciale netto compreso fra 1 e 3 miliardi di dollari. Proporzioni simili, in termini di rilevanza sulla bilancia commerciale italiana, si riscontrano anche per prodotti in cui l’Italia è secondo o terzo esportatore mondiale. Tabella 1: Indice Fortis-Corradini per l’Italia e contributo alla bilancia commerciale nel 2012, fonte: Fondazione Edison Primo posto Secondo posto Terzo posto Totale Contributo alla bilancia commerciale (miliardi $) 56 68 53 177 Numero totale prodotti 235 376 321 932 Andando ad analizzare le caratteristiche specifiche che segnano la posizione industriale dell’Italia, si scopre ad esempio che i settori del Made in Italy propriamente inteso, inclusi i beni per la cura della persona, dell’alimentazione e della casa, reagiscono alla concorrenza della Cina e degli altri Paesi emergenti spostandosi sulle produzioni e le esportazioni di beni a più alto valore aggiunto. Nel contempo, la meccanica s’impone sempre più come filiera trainante nella bilancia commerciale italiana, conquistando una vasta serie di leadership di nicchia, nelle macchine industriali e nella componentistica, con ciò compensando parte delle quote di mercato perse da settori più tradizionali nelle produzioni a più basso valore aggiunto. A questi settori si aggiungono le performance particolarmente positive nell’export di prodotti farmaceutici, aumentato grazie soprattutto agli importanti investimenti produttivi di multinazionali straniere in Italia. Insomma, ad essere messa in discussione non dovrebbe essere la competitività, di tutto rispetto, delle imprese italiane. Le sfide per il sistema industriale italiano sembrano risiedere soprattutto nella sostenibilità e nella qualità del contesto economico, istituzionale e regolatorio di riferimento. Sfide sintetizzabili nella forte dualità rappresentata da imprese competitive in un ambiente non competitivo. Una dualità non produttiva, che deve trovare un punto di soluzione. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 9 2. NON UNA, MA DUE CRISI Secondo l’86% degli associati ad Aspen Institute Italia, i settori più colpiti dalla crisi economica sono quelli che contavano principalmente sulla domanda interna. Per il futuro, nel 64% dei casi si ritiene che i settori trainanti saranno quelli che potranno contare principalmente sulla domanda estera. Esiste un problema di accesso al credito per l’81% dei rispondenti. La risorsa finanziaria più difficile da reperire è il capitale di rischio e/o venture capital per il 30% dei rispondenti, solo in seconda battuta viene il credito bancario a lungo termine (26%) e poi il credito bancario a breve termine (11%). La dinamica della crisi economica e finanziaria del 2008-2009 ha dimostrato la crescente interdipendenza sui mercati internazionali, anche tra economie avanzate e in via di sviluppo. Non solo la finanza, da cui pure partì il contagio, ma anche gli scambi internazionali hanno contribuito da subito a una sincronizzazione nel calo del redditi e del prodotto nazionali6. Aspettative di domanda più basse si sono trasmesse a livello internazionale attraverso una diminuzione delle scorte, in particolare di beni durevoli e intermedi7. Le imprese che si attendevano una minor domanda nell’immediato futuro incominciarono a scontarla da subito, riducendo la propria capacità produttiva. A differenza però del primo episodio recessivo, gli eventi registratisi nel periodo 2011-2013 hanno segnato una fase di crisi asimmetrica e asincrona. Una crisi che, questa volta, ha interessato in particolar modo i Paesi europei e, tra di essi, alcuni più di altri8. Rispetto al 2007, alla fine del 2013 l’Italia si trovava ad aver perso circa un quarto del suo prodotto industriale, la Germania era l’unico Paese ad avere recuperato quasi del tutto i livelli produttivi precedenti, Francia e Regno Unito producevano circa il 13% e il 15% in meno. Infine, ultima tra i grandi Paesi europei, la Spagna ha registrato una riduzione di circa un terzo della propria capacità produttiva. ‘Dancing Together? Spillovers, common shocks and the role of financial and trade linkages’, di Abdul Abiad, Davide Furceri, Sebnem Kalemli-Ozcan e Andrea Pescatori. Pubblicato nel ‘World Economic Outlook 2013’ del Fondo Monetario Internazionale: http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2013/02/pdf/c3.pdf 7 ‘Global Value Chains during the Great Trade Collapse: a Bullwhip Effect?’ di Carlo Altomonte, Filippo Di Mauro, Gianmarco Ottaviano, Armando Rungi e Vincent Vicard. Pubblicato dalla Banca Centrale Europea: https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scpwps/ecbwp1412.pdf . 8 ‘Rapporto sulla competitività dei settori produttivi 2014’, ISTAT: http://www.istat.it/it/archivio/112353 . 6 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 10 In conseguenza di queste asimmetrie, le imprese italiane più produttive hanno cercato all’estero nuove quote di mercato, capaci di aiutarle a far fronte alla contrazione della domanda interna. Seguendo le risposte degli associati ad Aspen Institute Italia, questa strategia rimane valida e necessaria anche per il futuro. In termini numerici, come riportato dall’ISTAT, nel 2011-2013 a una diminuzione della componente di fatturato domestica del 17% ha corrisposto un aumento, seppure in rallentamento, della componente di fatturato estera del 3%. Ma una visione solo settoriale può trarre in inganno. In realtà il settore industriale può aggregare imprese che hanno adottato strategie molto diverse di risposta alla crisi economica. Una volta che si guardi alla dimensione microeconomica, la maggioranza delle imprese italiane (61%) aumenta il proprio fatturato estero (ISTAT). Tra queste, il massimo si registra per le imprese attive nel settore farmaceutico (73%) e il minimo nel settore dell’abbigliamento (43%). Le strategie a livello di impresa sono state ampiamente differenziate. Secondo ISTAT, le imprese vincenti sono state innanzitutto quelle in grado di aumentare la propria ‘connettività’, essendo capaci di stabilire contratti di fornitura con altre imprese estere. Seguono quelle che hanno attuato un’innovazione di processo, seguite da quelle che hanno ampliato la gamma di prodotti e investito in formazione. A perdere, invece, sono state le imprese che hanno scelto una strategia difensiva: riducendo la capacità produttiva o cercando di mantenere alta la propria quota di mercato senza agire su prodotto e processo produttivo (ISTAT, 2014). Più in generale, si può dire che l’Italia durante la crisi ha aumentato il grado di internazionalizzazione attiva (via esportazioni e investimenti diretti all’estero), nonostante si sia ridotto il grado di internazionalizzazione passiva (via importazioni e investimenti diretti in entrata). Difatti nel 2013, per la prima volta dopo circa 13 anni, si è registrato un avanzo della bilancia commerciale. Tale avanzo è il risultato di due componenti: l’aumento delle esportazioni e una diminuzione delle importazioni (pari ad un tasso del 2,3%), come riflesso della caduta della domanda interna. Qualunque sia la strategia adottata dall’impresa, essa non può non risentire di un inasprimento dei vincoli finanziari. In Figura 2 si riporta l’evoluzione per l’Italia del tasso di decadimento per cassa, che esprime la solvibilità media di coloro che hanno contratto debito bancario. Lo impieghiamo come indice di rischiosità per le banche di concedere prestiti alla clientela. Innegabilmente esiste, in seguito ai due periodi recessivi 2008-2009 e 2011-2013, un aumentato rischio nell’impiego del credito bancario, che ha causato una riduzione dei prestiti concessi alle imprese. Il picco nazionale è stato però raggiunto negli ultimi due anni osservati, 2012 e 2013. Il dato a livello nazionale nasconde una forte dispersione geografica se si guarda a cosa accade a livello regionale. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 11 Figura 2: Rischio dei finanziamenti (%), misurato come tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa nel 2013, fonte: elaborazione degli autori su dati ISTAT 4,05 2,99 2,85 2,29 2,48 2,14 2,11 1,69 1,46 1,50 1,42 2,30 2,32 1,63 1,23 1,22 1,15 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 In Figura 3 si riporta il tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa per ogni regione italiana e in media nazionale al 2013. Ne risulta un’Italia divisa in due, con le regioni del centro e del sud sempre al di sopra e le regioni del nord, ad eccezione del Piemonte, al di sotto della media nazionale. La maggiore rischiosità del finanziamento nel centro e nel sud Italia si riflette su tassi di interesse più elevati, per cui l’ISTAT stima che, indipendentemente dalla durata, un’impresa centro-meridionale che decida di ricorrere al prestito bancario deve pagare in media un punto percentuale in più rispetto alle imprese del nord-Italia. Un fenomeno, questo, che tenderà ad ampliare il divario di sviluppo tra le regioni italiane. Figura 3: Rischio dei finanziamenti a livello regionale, misurato come tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa, fonte: elaborazione degli autori su dati ISTAT 7,79 6,83 6,21 5,72 5,45 5,42 5,28 5,21 4,97 4,82 4,70 4,18 4,06 4,05 4,02 3,83 3,75 3,26 3,17 2,05 1,76 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 12 Ma come gli associati ad Aspen Institute Italia hanno fatto rilevare, ancora più sentito del credito bancario è il problema della scarsità di capitale di rischio, di disponibilità alla partecipazione al progetto imprenditoriale da parte di soggetti che condividano il rischio d'impresa. E’ un problema solo parzialmente affrontato dal dibattito pubblico sul mancato accesso alle risorse finanziarie, che non riguarda solo l’Italia ma che in Italia presenta delle peculiarità. La mancanza di cosiddetto ‘capitale paziente’9 ha radici nell’organizzazione del sistema finanziario così come si è andata configurando negli ultimi decenni. A una prospettiva di lungo termine gli operatori finanziari hanno talvolta anteposto le performance aziendali sul breve periodo. Del resto, questo orientamento è stato, a livello mondiale, una delle cause scatenanti della crisi finanziaria10, creando livelli di indebitamento troppo alti, tali da innalzare drasticamente i livelli di volatilità e instabilità. In seguito alla crisi, poi, la raccolta di fondi è diventata più difficile in generale da tutte le fonti, anche da investitori specializzati in capitale di rischio. Su questo quadro di sfondo, l’Italia conserva le proprie peculiarità. Nella Figura 4 si riporta l’erogazione di capitale di rischio per l’Italia a confronto con alcuni dei Paesi dell’Unione Europea. Il rapporto con il PIL per l’Italia è di poco inferiore a quello della Spagna, ma il confronto rispetto alla Germania e alla Francia segna un punto dolente. I due competitor dell’Italia riescono a raccogliere proporzioni di capitale di rischio rispetto al PIL circa tre volte e quattro volte più alte dell’Italia. Figura 4: Capitale di rischio in percentuale sul PIL nel 2013, fonte: elaborazione degli autori su dati Eurostat 0,842 0,297 0,289 0,216 0,073 0,069 Un dato che non muta quando si passa ad analizzare le differenze a livello Paese nell’erogazione di venture capital, per l’avvio o la crescita di attività ad alto potenziale di sviluppo. Sull’argomento si è fatto ricorso al lavoro di Marco Vitale su Impresa & Stato, ‘Imprese e società di investimento nel capitale di rischio’: http://www.mi.camcom.it/c/document_library/get_file?uuid=e8a2f40b-ce81-47a8-b929-c8d3ec9dd679 10 Per un lavoro che aveva già discusso anni prima la possibilità di crisi finanziarie in quanto legate a indebitamento e investimento a breve termine, v. ‘Banks, short-term debt and financial crises: theory, policy implications and applications’, scritto dal premio Nobel Diamond insieme all’attuale governatore della banca centrale indiana, Raghuram Rajan: http://faculty.chicagobooth.edu/douglas.diamond/research/papers/bankshortterm.pdf 9 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 13 3. LA CRISI HA ACCELERATO L’INTERNAZIONALIZZAZIONE Solo l’11% degli associati ad Aspen Institute Italia ritiene che i concorrenti delle imprese italiane siano da ricercarsi sul mercato domestico. L’89% ritiene invece che essi siano attivi all’estero e in genere di facile identificazione (57%). Tra i Paesi diretti competitor, la Germania occupa una posizione chiave (52%), seguita solo a distanza dalla Cina (27%). Gli Stati Uniti sono solo quarti (6,8%), dopo la Francia (7,8%). Più generale, gli associati Aspen sono d’accordo che il sistema produttivo italiano si trovi a competere sui mercati mondiali sia con le economie avanzate (78%), sia con le economie emergenti (73%). L’incertezza e la mancanza di risposta prevalgono invece nel caso dei nuovi membri dell’Unione Europea (36%). L’accorciarsi delle distanze su scala mondiale e l’integrazione economica hanno aumentato la competizione con il resto del mondo. Allo stesso tempo, nuove economie contestano quote di mercato ai Paesi di vecchia industrializzazione. Eventi simbolo, a questo proposito, possono essere considerati l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 e l’adesione di nuovi Paesi membri nell’Unione Europea a partire dal 2004. Di conseguenza, la crisi economica degli ultimi anni ha accelerato e reso più intenso un processo già in atto, in cui la creazione di un unico mercato mondiale ha accresciuto la pressione competitiva sul sistema produttivo italiano. Un recente rapporto ICE (2014) 11 fornisce una rappresentazione accurata delle direzioni dalle quali è aumentata la pressione competitiva sui mercati internazionali. In Tabella 2 si riporta l’analisi della variazione della quota di esportazioni italiane nel mondo, scomposta secondo il metodo ‘a quota di mercato costante’ (CSM). Rapporto 2013-2014 ‘L'Italia nell'economia internazionale’, Istituto per il Commercio Estero: http://www.ice.it/statistiche/rapporto_ICE.htm). Per i dettagli metodologici del ‘metodo a quota di mercato costante’ (constant-market-share analysis), si veda Richardson (1971), ‘Constant-market-shares analysis of export growth’, su Journal of International Economics, vol. 1 (2) pagine 227–239. 11 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 14 Tabella 2: Scomposizione della quota di mercato italiana nel mondo, analisi constant-market-share (CSM) 2004-2013, fonte: ICE (2014) Di cui: Variazione totale quota esportazioni italiane nel mondo (2013 su 2004) 2,76% – 3,60% = -0.84% Per effetto competitività: -0.34% Per effetto struttura (merceologica/geografica): -0.35% Per effetto adattamento: -0.15% Nel periodo 2004-2013, le esportazioni italiane sul totale mondo sono passate dal 3,6% al 2,8%. La variazione totale può essere scomposta in tre effetti: una minor competitività (-0,34%), cambiamenti di struttura della domanda (-0,35%), incapacità di adattamento (-0,15%). Le tre componenti definiscono la variazione totale, negativa e pari a -0,84%. L’effetto competitività è quello che ci interessa di più, in quanto coglie la variazione negativa dovuta a svantaggi di costo o deficit di qualità: il consumatore mondiale chiede relativamente meno prodotti italiani in parte perché costano di più o perché ne trova di migliore qualità su altri mercati. Gli effetti di struttura colgono, invece, i cambiamenti occorsi nel tempo nella composizione della domanda. In particolare, la quota di esportazioni è diminuita per l’emergere di nuovi prodotti (per esempio elettronica di consumo), che hanno indotto un cambiamento di struttura merceologica. Nel contempo, la diminuzione è riconducibile, in parte, a cambiamenti di struttura geografica, in relazione a nuovi prodotti provenienti da altri Paesi, prima non presenti sui mercati internazionali. L’ultima componente, anch’essa negativa, denominata dall’ICE “effetto adattamento”, sta a indicare che i flussi di commercio mondiali sono aumentati, nel complesso, più velocemente rispetto alle esportazioni in partenza dall’Italia. 4. LA COMPETITIVITÀ DEL M ADE IN I TALY E DINTORNI I settori tradizionali del Made in Italy sono considerati abbastanza competitivi dal 74% degli associati ad Aspen Institute Italia e molto competitivi da un restante 20%. Tra i settori che dovranno sempre più affermarsi come driver dello sviluppo italiano si segnalano a grande maggioranza il settore turistico (22,6%), il settore agroalimentare (21,1%) e la meccanica strumentale (19,6%). A grande distanza seguono le biotecnologie (8,3%), le energie rinnovabili (6,1%) e i settori chimico e farmaceutico (5,8%). © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 15 Il consenso sembra essere piuttosto unanime tra gli associati ad Aspen Institute Italia nel rigettare l’ipotesi di un declino del Made in Italy. I settori legati alla cura della persona, dell’alimentazione e della casa vengono percepiti ancora come ad alto potenziale per il futuro. A cui si aggiunge il settore turistico, troppo spesso sottovalutato nelle statistiche ufficiali, ma che secondo i dati raccolti della Banca Mondiale fa registrare circa 46,3 milioni di arrivi internazionali12. L’Italia è la terza metà preferita in Europa (dopo Francia e Spagna) e la quinta nella classifica mondiale (dove gli Stati Uniti e la Cina occupano rispettivamente il secondo e terzo posto). Motore delle esportazioni italiane, il settore della meccanica strumentale è anch’esso un fiore all’occhiello del Made in Italy, da molti anni ormai, visti i volumi di esportazioni. Secondo i dati ISTAT le imprese esportatrici destinano una quota prossima al 75% del proprio fatturato all’estero. Una quota che è molto più alta di quella registrata dalle media delle altre imprese esportatrici (43%). Al di là però della competitività aggregata a livello settoriale, è utile considerare la forte eterogeneità che si registra all’interno dei singoli settori, quando si guarda alle singole imprese, alle strategie adottate e alle loro performance. Più di un terzo delle imprese italiane (35,6%), distribuite un po’ in tutti i settori, hanno sofferto una diminuzione del fatturato totale, sia nella componente domestica sia nella componente estera. Nella Figura 5 si riportano, rispettivamente, gli indicatori di competitività a livello aggregato basati sul costo del lavoro, misurati dalla Banca Centrale Europea13, per Italia, Francia e Germania. Figura 5: Indicatore di Competitività Armonizzato in termini di costo del lavoro unitario, periodo base 1999 Q1=100, fonte: Banca Centrale Europea Italia Germania 120 110 110 110 100 100 100 90 90 90 80 80 80 70 70 70 1999Q1 2000Q3 2002Q1 2003Q3 2005Q1 2006Q3 2008Q1 2009Q3 2011Q1 2012Q3 2014Q1 120 1999Q1 2000Q3 2002Q1 2003Q3 2005Q1 2006Q3 2008Q1 2009Q3 2011Q1 2012Q3 2014Q1 120 1999Q1 2000Q3 2002Q1 2003Q3 2005Q1 2006Q3 2008Q1 2009Q3 2011Q1 2012Q3 2014Q1 Francia La Banca Mondiale misura gli arrivi internazionali come numero di turisti che viaggiano in un Paese diverso da quello di residenza, per un periodo inferiore ai 12 mesi e per un motivo diverso dalla remunerazione in quello stesso Paese (http://data.worldbank.org/indicator/ST.INT.ARVL). 13 Una diminuzione dell’Indicatore di Competitività Armonizzato significa un guadagno in termini di competitività. 12 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 16 Il confronto internazionale segnala una perdita di competitività rispetto al costo del lavoro per l’Italia maggiore che in Francia, mentre la Germania ha migliorato la propria posizione. Il costo del lavoro, fatto 100 il primo trimestre del 1999, era 108,5 al terzo trimestre del 2014 per l’Italia, pressoché invariato a 100,3 per la Francia e scende addirittura a 85,8 in Germania. Tuttavia, a cavallo del 1999 e del 2000, questi tre Paesi riportavano tutti una tendenza alla diminuzione dell’indicatore armonizzato, con un miglioramento nella competitività di costo. La situazione si è poi deteriorata a partire dal 2001. Nella Figura 6 si osserva invece la distribuzione della produttività del lavoro per gli stessi Paesi nel 2012, questa volta elaborata utilizzando i dati di bilancio delle imprese fornitici dalla base di dati Orbis14: Figura 6: Distribuzione di produttività del lavoro a livello di impresa nel 2012, fonte: elaborazione degli autori su dati Orbis, Bureau Van Dijk .8 .4 densità .6 .2 0 2 Italia 4 6 produttività del lavoro Germania 8 0 Francia Nella Figura 6, relativa alla distribuzione del valore aggiunto per lavoratore nel 2012, l’Italia presentava una quota maggiore di imprese sulla coda sinistra della distribuzione (dove la produttività è più bassa). Sono queste imprese, in definitiva, a determinare una perdita di competitività dell’Italia nel suo complesso. 14 Le distribuzioni della produttività del lavoro, misurata come valore aggiunto per dipendente, è qui riportata in logaritmi e per kernel density, in modo da rendere di più agevole lettura il grafico. La base di dati Orbis, raccolta dal Bureau Van Dijk, raccoglie informazioni su dati di bilancio per oltre 130 milioni di imprese in più di 200 Paesi. Le informazioni qui utilizzate fanno riferimento a circa 264.839 imprese manifatturiere. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 17 5. PICCOLO NON È BELLO, GIOVANE SÌ Per il 55% degli associati ad Aspen Institute Italia, le imprese italiane hanno un problema di scala produttiva. Per il 37% degli associati i vincoli a crescita, internazionalizzazione e innovazione delle imprese sono da ricercarsi soprattutto al di fuori dell’impresa. Tuttavia nel 36% dei casi si ritiene che vincoli esterni ed interni all’impresa contribuiscano in egual misura. Tra i maggiori fattori che ostacolano la crescita delle imprese (v. Figura 7), sono stati individuati: 1°) eccesso di burocrazia; 2°) tassazione; 3°) regolamentazione del mercato del lavoro; 4°) alto costo di energia e/o materie prime; 5°) mancato accesso al credito; 6°) scarsa dotazione di infrastrutture e trasporti; 7°) mancanza di capacità organizzativa a livello d’impresa. Si registra, tuttavia, un gran numero di incerti, in media il 22%. Figura 7: Fattori che ostacolano crescita produttiva delle imprese italiane, fonte: questionario Aspen Institute Italia. eccesso di burocrazia eccessivo livello di tassazione eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro alto costo di energia e/o materie prime mancato accesso al credito scarsa dotazione di infrastrutture e trasporti mancanza di capacità organizzativa a livello di impresa mancanza di domanda domestica e/o estera mancanza di manodopera qualificata le imprese italiane non hanno un problema di dimensione… beni strumentali inadeguati e/o obsoleti eccessiva competizione domestica e/o internazionale mancanza di manodopera non qualificata 0% molto d'accordo d'accordo poco d'accordo 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% per nulla d'accordo incerto non risponde Una caratteristica storica del sistema industriale italiano è la forte presenza di piccole e medie imprese, fonte di orgoglio nazionale per flessibilità e capacità di adattamento, ma anche per la loro capacità di organizzarsi in distretti industriali. Ma non è il fatto in sé di essere ‘piccoli’ che fa la differenza, al contrario. Un livello di dimensione ottimale è comunque necessario per raggiungere quella massa critica che aiuta sia nell’innovazione sia nell’internazionalizzazione. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 18 Innanzitutto, imprese più grandi possono sostenere i costi fissi d’investimento che il raggiungimento di mercati esteri comporta. La ricognizione dei gusti del consumatore all’estero, la ricerca di partner locali, la verifica di normative e regolamenti specifici, sono tutte attività che implicano dei costi, i quali sono più sopportabili se ci sono economie di scala su cui poter contare. Allo stesso modo, i costi di innovazione di prodotto o di processo, seppur non specificamente destinati alla penetrazione di nuovi mercati esteri, possono anch’essi essere meglio sostenuti se si ha una struttura produttiva alle spalle abbastanza solida, che permetta autofinanziamento di Ricerca e Sviluppo, che sia in grado di investire in capitale umano o in collaborazioni innovative. Non ultimo, in presenza di vincoli finanziari, un’impresa più grande può fornire maggiori garanzie per l’accesso al credito. In ogni caso, non solo in Italia ma in tutte le economie avanzate, esiste in genere un’ampia quota di imprese medio-piccole sul totale. In Figura 8 si riporta la percentuale di imprese sotto i 20 dipendenti nei Paesi dell’Unione Europea, che oscilla da un minimo di 70% dell’Irlanda ad un massimo in Grecia del 97%. Ovviamente la dimensione di impresa è da porre anche in relazione con il percorso di specializzazione settoriale. Ad esempio in Irlanda o Lussemburgo i numeri così bassi sono dovuti alla presenza di molte imprese di servizi, normalmente più piccole di quelle manifatturiere. Ciò nonostante, occorre riflettere sulla differenza tra due economie come l’Italia e la Germania, entrambe campioni europei del manifatturiero. Nel caso dell’Italia il 93% delle imprese ha meno di 20 dipendenti, di cui l’83% addirittura meno di 10 dipendenti. Nel caso della Germania siamo all’82%, di cui solo il 62% sotto i 10 dipendenti. Una prospettiva sulla dimensione, molto diversa, tra Paesi in cui la presenza del manifatturiero è importante. Diversamente dall’Italia, la Germania ha una tradizione consolidata di imprese del Mittelstand: imprese di media dimensione, che secondo la definizione tedesca sono da intendere come tali fin quando raggiungono i 500 dipendenti o fin quando fatturano 50 milioni di euro annui. Figura 8: Imprese sotto i 20 dipendenti per Paese membro dell’Unione Europea, fonte: Eurostat – Structural Business Statistics Grecia Slovacchia Repubblica Ceca Cipro Slovenia Svezia Italia Francia Spagna Croazia Ungheria Polonia Portogallo Unione Europea Olanda Finlandia Belgio Lituania Lettonia Regno Unito Bulgaria Danimarca Austria Estonia Germania Romania Lussemburgo Irlanda 100,0% 95,0% 90,0% 85,0% 80,0% 75,0% 70,0% 65,0% 60,0% 55,0% 50,0% © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 19 A ciò si aggiunga che in Italia anche le grandi imprese hanno attraversato e stanno attraversando un processo di trasformazione. L’adozione di modelli produttivi più snelli ha dato inizio a una fase che può definirsi di ‘Quarto Capitalismo’. Il declino delle grandi imprese figlie del miracolo economico degli anni ’50 e ’60 è stato accompagnato dal trasferimento di una quota significativa di valore aggiunto a imprese di media dimensione, maggiormente radicate nei territori. Tra il 1980 e il 200715 il totale degli occupati dalle grandi imprese era già diminuito del 43%. Nonostante i benefici che possono derivare da una specializzazione produttiva delle grandi imprese, concentrate su attività dove hanno maggior vantaggio competitivo, la crisi della grande impresa italiana non è stata compensata a pieno dalle dinamiche industriali e imprenditoriali tipiche del Quarto Capitalismo, che pure hanno assicurato al Paese il conseguimento di posizioni di forte leadership industriale in numerosi comparti di nicchia ad elevato valore aggiunto, con l’affermazione diffusa del Made in Italy. Ma focalizzarsi solo sulla dimensione come determinante di successo può essere fuorviante, come sostenuto anche da un recente rapporto OCSE (2014)16. Il principale problema è il livello di produttività delle microimprese, che è molto basso se confrontato con altri Paesi. A parità di dimensione, invece, le imprese del manifatturiero italiano sopra i 20 dipendenti sono più produttive di quelle tedesche. Nel caso dei servizi la situazione è un po’ meno definita. Bisogna superare la soglia dei 250 dipendenti perché il vantaggio delle imprese italiane si riscontri rispetto a Germania, Francia e Regno Unito; anche se, nel caso delle imprese di servizi, la definizione di produttività del lavoro può essere più problematica, in quanto può essere molto eterogenea a seconda del settore che si voglia considerare. Le società di consulenza o le banche possono voler richiedere indicatori di performance diversi dalla produttività del lavoro, che diventa poco informativa. Secondo lo stesso rapporto OCSE (2014), invece, è il tasso di start-up che è carente in Italia17. In particolare c’è carenza di cosiddette ‘gazzelle’, quelle giovani imprese che seppure piccole registrano fortissima crescita occupazionale in un breve periodo di tempo. Tuttavia, secondo l’OCSE, le recenti politiche di semplificazione burocratica per l’inizio di attività di nuove imprese hanno snellito di molto le procedure. Si può prevedere che in un prossimo futuro, almeno su questo versante, si potranno registrare i primi effetti positivi delle politiche e delle soluzioni adottate. Per un approfondimento si veda il lavoro di Fulvio Coltorti, ‘Investire nella crisi’ su Impresa & Stato: http://www.mi.camcom.it/upload/file/1554/777402/FILENAME/13-COLTORTI.pdf 16 ‘Entrepreneurship at a Glance’, OECD 2014: http://www.oecd.org/std/business-stats/entrepreneurship-at-a-glance22266941.htm 17 Per una visione di tipo regionale per le determinanti di nascita delle start-up, si veda: Rungi (2012) ‘Le start-up come fenomeno regionale’, in Impresa & Stato, 94, pp. 44-49. 15 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 20 Rimangono, purtroppo, un alto costo monetario e la difficoltà a reperire risorse finanziarie per i nuovi potenziali imprenditori. Se ci basiamo sull’ultima rilevazione della Banca Mondiale, riportata in Tabella 3, il ‘numero di procedure’ legali e burocratiche per iniziare una nuova attività economica sono adesso in media 5, in linea con le 4,8 per il resto dei membri OCSE. Non è invece previsto in Italia un minimo deposito in banca o presso altro intermediario finanziario prima di iniziare un’attività economica. Il costo invece, misurato in percentuale di reddito pro-capite, è arrivato ad essere circa quattro volte quello della media OCSE. Tabella 3: Indicatori per difficoltà ad aprire nuove attività economiche, fonte: Banca Mondiale Numero di procedure Tempo (misurato in giorni) Costo (in % su reddito pro capite) Minimo deposito in banca Italia 5.0 5.0 14.1 0.0 Altri Paesi OCSE 4.8 9.2 3.4 8.8 Fin qui il peso della burocrazia per chi volesse avviare una nuova attività produttiva. Ma ci sono anche oneri burocratici per le imprese già operanti sul mercato: in Italia sono necessarie 15 diverse procedure di pagamento per adempiere agli oneri fiscali, contro le 7 della Francia, le 8 della Grecia e le 9 della Germania. Naturalmente anche il tempo necessario per ogni singolo adempimento fiscale è maggiore: 269 ore per le imprese italiane, contro una media europea di 179 ore. 6. REGOLAMENTAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO E ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE Il 78% degli associati ad Aspen Institute Italia conviene che l’eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro è un fattore che ostacola la crescita della dimensione produttiva delle imprese italiane 18 (molto d’accordo 51%, d’accordo 27%). Il carico fiscale sul lavoro dipendente è la componente fiscale che più limita la capacità di espansione delle imprese, in Italia e all’estero (molto d’accordo il 69%, d’accordo il 27%). Solo in seconda battuta viene il carico fiscale sul lavoro autonomo (molto d’accordo il 25%, d’accordo il 35%). 18 La compilazione del questionario da parte degli associati ad Aspen Institute Italia è avvenuta prima che il Parlamento approvasse in via definitiva il provvedimento comunemente definito come ‘Jobs Act’. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 21 A conferma dell’opinione espressa dagli associati ad Aspen Institute Italia, alcune recenti evidenze empiriche dimostrano come la regolamentazione del lavoro in Italia abbia contribuito, nel corso del tempo, a creare distorsioni sul sistema produttivo. In genere, non solo per l’Italia, si riconosce che una cattiva regolamentazione del mercato del lavoro può avere gli stessi effetti di un’imposizione fiscale su assunzione e licenziamento di lavoratori. Il costo implicito del lavoro per le imprese aumenta e queste tenderanno non solo a licenziare di meno, ma anche ad assumere di meno. Di recente è stata introdotta una riforma19 che cambia la legislazione sul lavoro. Quelle riportate poco sopra sono opinioni espresse dagli associati ad Aspen Institute Italia prima che il cosiddetto ‘Jobs Act’ fosse definitivamente approvato. Il quadro di riferimento economico che si aggiunge a commento potrebbe essere utile per comprendere in che modo l’ultima riforma del lavoro, nata con l’intenzione esplicita di mitigare i costi di licenziamento (tecnicamente definiti ‘firing costs’), potrà avere un impatto sul sistema produttivo nell’immediato futuro. Prima che la riforma introducesse novità anche su questo fronte, la legislazione del lavoro includeva una discriminazione su base dimensionale: lo Statuto dei Lavoratori prevedeva una netta discontinuità nei costi di licenziamento in base alla dimensione d’impresa, quando quest’ultimo fosse giudicato ‘illegittimo’. Le imprese sopra i 15 dipendenti dovevano sostenere un più alto costo di licenziamento di quelle sotto tale soglia. Questa peculiarità del sistema italiano è stata spesso indicata come una delle cause del ‘nanismo’ delle imprese, di cui abbiamo fornito una rappresentazione grafica nella Figura 8. Se così fosse, ci sarebbe dovuto attendere un forte addensamento di imprese appena sotto la soglia dei 15 dipendenti, alcune delle quali avrebbero tenuto artificialmente bassa la propria occupazione per non incorrere nella tagliola dell’articolo 18. Subito sopra la soglia dei 15 dipendenti, invece, si sarebbe dovuto riscontrare un salto, con un numero nettamente inferiore di imprese che superano di poco i 16 dipendenti. Tuttavia, le evidenze empiriche non confortano questa tesi20. Per questo, la rimozione della soglia imposta dallo Statuto dei Lavoratori dovrebbe riflettersi in un aumento comunque molto contenuto della dimensione media delle imprese. Su un piano diverso, è utile considerare che le rigidità nella regolazione sul mercato del lavoro hanno prodotto un’intensa sostituzione di lavoratori con capitale. Nel caso dell’Italia, recenti indagini economiche21 hanno mostrato che negli anni ’90, quando la legislazione del lavoro si inasprì rendendo Legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 recante disposizioni in materia di riforma del lavoro. L’esecutivo, sulla base di questa, sta introducendo volta per volta i decreti attuativi che implementano gli obiettivi in essa contenuti. 20 Si veda l’articolo divulgativo di Fabiano Schivardi: http://www.lavoce.info/archives/27448/articolo-18-tra-tabu-edefficienza/ 21 Qui riportiamo i risultati di Cingano F., Leonardi M., Messina J. e Pica G. (2015), ‘Employment Protection Legislation, Capital Investment and Access to Credit: Evidence from Italy’, di prossima pubblicazione su The Economic Journal. 19 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 22 più difficile il licenziamento per i contratti permanenti, si ebbe un effetto di sostituzione del lavoro con capitale. Un processo di riorganizzazione produttiva che coinvolse maggiormente le imprese che utilizzavano più intensivamente il fattore lavoro. I soggetti più danneggiati da questo fenomeno furono i lavoratori meno qualificati, mentre quelli più qualificati poterono trarne beneficio fintanto che le loro professioni erano complementari all’utilizzo del capitale. Ovvero, fintanto che ci fosse bisogno di loro per far funzionare i nuovi macchinari. Una dinamica, questa, che tende a ripresentarsi anche nella fase attuale, con il rischio di una ripresa economica che, qualora si realizzasse, potrebbe manifestarsi come ripresa senza un reale decollo dell’occupazione. In breve, se il costo del lavoro è troppo alto, le imprese preferiranno investire in macchinari e impianti in grado di sostituire, ove possibile, il lavoro umano. Un problema di forte attualità, per l’emergere di nuove tecnologie produttive che rendono un livello crescente di automazione, i cui effetti sul mercato del lavoro mondiale sono ancora tutti da stimare. L’adozione di stampanti 3D a livello industriale, l’avvento di ‘internet of things’ e l’utilizzo di algoritmi per trattare ‘Big Data’ sono solo esempi estremi di un processo che vede i beni strumentali sempre più accessibili e in grado di svolgere processi produttivi complessi con un minimo intervento umano. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 23 II. INTERNAZIONALIZZAZIONE E INNOVAZIONE 1. L’ITALIA E LE CATENE GLOBALI DEL VALORE Per gli associati ad Aspen Institute Italia, il vantaggio competitivo delle imprese italiane nelle filiere internazionali è e dovrà essere innanzitutto nelle fasi pre-produzione (engineering e design) e nella produzione di beni di consumo di nicchia. Le fasi di post-produzione (commercializzazione, distribuzione e servizi di assistenza al consumo e alla produzione) non vengono considerate innovative. Fasi della catena globale del valore in cui si ritiene che le imprese italiane siano più innovative: ORDINAMENTO 1° 2° 3° 4° FASE DEL PROCESSO PRODUTTIVO Engineering e design del prodotto Produzione di beni di consumo di nicchia Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione Produzione di beni capitali e strumentali Produzione di beni di alto consumo Ex-aequo: 5° Commercializzazione e distribuzione del prodotto 6° Servizi di assistenza alla produzione 7° Servizi di assistenza al consumo Fonte: elaborazione delle risposte al questionario relativo alla presente ricerca. Fasi della catena globale del valore in cui si ritiene che le imprese italiane dovrebbero essere più innovative: ORDINAMENTO 1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8° FASE DEL PROCESSO PRODUTTIVO Engineering e design del prodotto Produzione di beni di consumo di nicchia Servizi di assistenza al consumo Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione Commercializzazione e distribuzione del prodotto Servizi di assistenza alla produzione Produzione di beni di alto consumo Produzione di beni capitali e strumentali Fonte: elaborazione delle risposte al questionario relativo alla presente ricerca. Il continuo processo di frammentazione internazionale della produzione, in atto ormai da diversi decenni, ha portato alla creazione di complesse Catene Globali del Valore. Le imprese sono sempre più in grado di stabilire, qualora necessario, reti produttive con altre imprese localizzate ove sia possibile sfruttare vantaggi di costo e di qualità di beni e servizi intermedi utilizzati per la produzione di beni © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 24 finali. Ciò permette indubbiamente una maggior specializzazione, con guadagni di efficienza, ma anche un cambio di prospettiva a livello Paese, a seguito delle ristrutturazioni industriali che ne conseguono. Il fenomeno ha assunto dimensioni di vasta portata. Il flusso di beni e servizi intermedi importati o esportati, destinati a reti produttive tra imprese, oscilla tra il 56% e il 73% del totale22. Dal punto di vista della singola impresa, la decisione di delocalizzare fasi del processo produttivo all’estero può avvenire sia attraverso la costituzione o l’acquisto di affiliate estere (offshoring), sia attraverso la stipula di contratti di fornitura con imprese indipendenti (international outsourcing). Qualunque sia la forma di governance scelta, essa comporta dei cambiamenti strutturali che è necessario comprendere per mantenere una posizione competitiva. Nonostante i guadagni di efficienza di cui anche le imprese italiane possono beneficiare, la posizione che l’Italia assumerà nelle Catene Globali del Valore non sarà neutra rispetto al potenziale di crescita e di sviluppo che ne potrà ricavare. Ad esempio le fasi di pre-produzione (engineering e design) e post-produzione (commercializzazione, distribuzione e servizi al consumo/produzione) hanno tipicamente un più alto contenuto di valore aggiunto, che potrà essere distribuito ai fattori della produzione (capitale e lavoro) locali. Si osservi nello specifico alla Figura 9, dove si riportano il contenuto medio di valore aggiunto delle filiere italiane, distinguendo per fasi della produzione. I dati utilizzati provengono direttamente da bilanci di imprese per gli anni 2004 e 2012. Il contenuto di valore aggiunto è qui misurato come il rapporto tra il valore aggiunto e il valore della produzione. Le fasi della produzione sono ordinate in termini di distanza dal consumatore finale. E’ evidente, innanzitutto, l’alto contenuto in termini di valore aggiunto delle fasi pre-produzione e postproduzione, poste agli estremi del grafico, che superano tutte ampiamente l’80%, e le fasi più tangibili, di produzione (beni capitali, beni intermedi, beni di consumo), posizionate al centro della figura. 22 Per un approfondimento del fenomeno in quanto legato alle multinazionali in Italia, si veda Armando Rungi (2012), ‘Le Catene Globali del Valore dei Gruppi Multinazionali in Italia’, Rapporto 2011-2012. L’Italia nell’economia internazionale, ISTATICE, Roma. Per un’idea dell’estensione del fenomeno si può far riferimento al lavoro di Koen De Backer e Sébastien Miroudot (2013), ‘Mapping Global Value Chains’, OECD Trade Policy Papers. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 25 Figura 9: Contenuto di valore aggiunto lungo le filiere nel 2004 e nel 2012, elaborazione degli autori su dati Orbis. Anche intuitivamente, fasi come l’assemblaggio o la produzione di beni intermedi, in genere molto standardizzate e richiedenti un basso contenuto di conoscenza, implicano un più basso contenuto di valore aggiunto, una più bassa remunerazione del lavoro e del capitale e un più basso potenziale di crescita a livello Paese. D’altro canto tra il 2004 e il 2012 tutte le fasi produttive, ad eccezione dei servizi di intermediazione al consumo, registrano un discreto aumento di contenuto di valore aggiunto, tanto più notevole nel caso dei beni intermedi che passano dal 42% al 48% di valore sulla produzione totale. Anche questo è un indicatore della reattività del sistema produttivo italiano all’integrazione economica e alla crisi finanziaria, che prova ad aumentare il contenuto innovativo di tutte le fasi della produzione, per competere in uno scenario più dinamico. Tuttavia anche le fasi di produzione manifatturiera, in Italia come in altri Paesi, possono presentare una doppia eterogeneità che va analizzata: a livello settoriale e a livello di impresa. Il caso dell’Italia viene riportato qui di seguito, nella Figura 10, dove sono rappresentate le distribuzioni di contenuto di valore aggiunto per le imprese del manifatturiero distribuite per singoli settori (secondo la classificazione ATECO 2007, aggregati alle prime due cifre). Ogni settore è riportato in un boxplot, con quota di contenuto di valore aggiunto riportata sull’asse delle ordinate, la posizione della ‘scatola’ all’interno di ogni grafico sta ad indicare la concentrazione o dispersione (dal primo al terzo quartile) di imprese attorno ad un livello mediano, rappresentato dalla barra centrale all’interno della stessa scatola, graficamente riportata in rosso. Al di fuori della ‘scatola’, la © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 26 presenza di imprese che rappresentano ‘eccezioni’ rispetto al resto della distribuzione (trovandosi al di là del primo e del terzo quartile). In definitiva, i settori che presentano in media imprese con più alto contenuto di valore aggiunto sono il tessile, l’abbigliamento, la pelletteria, la stampa e riproduzione media, i prodotti farmaceutici, computer ed elettronica, mezzi di trasporto diversi dalle automobili. Figura 10: Distribuzione di contenuto di valore aggiunto per imprese appartenenti a settori del manifatturiero, fonte: elaborazione degli autori su dati Orbis 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 Macchinari e apparecchiature 0 .2 .4 .6 .8 1 Apparecchiature elettriche 0 .2 .4 .6 .8 1 Lavorazione metalli Autoveicoli 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 contenuto di valore aggiunto 0 .2 .4 .6 .8 1 Computer, elettronica, ottica Farmaceutica Metallurgica Lavorazione minerali Gomma e materie plastiche Carta Chimica Coke e derivati del petrolio Stampa e riproduzione Tessile Legno Pelli e calzature Abbigliamento Arredamento 0 .2 .4 .6 .8 1 Altri mezzi di trasporto 0 .2 .4 .6 .8 1 Tabacco 0 .2 .4 .6 .8 1 Bevande 0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1 Alimentari © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 27 2. DESTINAZIONE ITALIA, DESTINAZIONE ESTERO Per aumentare la propria integrazione nelle filiere internazionali, le imprese italiane dovrebbero incrementare gli investimenti produttivi innanzitutto nei nuovi Paesi emergenti, per cui è d’accordo l’83% dei rispondenti al questionario, e nei nuovi membri dell’Unione Europea, per cui è d’accordo il 61% dei rispondenti. Solo il 29% è d’accordo nel ritenere necessario incrementare gli investimenti produttivi anche nei Paesi vecchi membri dell’Unione Europea. Per la necessità di attrarre investimenti produttivi dall’estero non si discrimina in maniera significativa tra imprese provenienti da economie avanzate (d’accordo il 74%) o da Paesi emergenti (d’accordo il 76%). Per avere accesso ai mercati esteri, la reputazione del Sistema Italia è ancora un’opportunità solo per il 40%, mentre per attrarre investimenti dall’estero il 65% degli associati ad Aspen Institute Italia ritiene che la reputazione sia un vincolo di notevole rilevanza. Per gli associati ad Aspen Institute Italia, gli investimenti diretti esteri in entrata sono la modalità di accesso alle tecnologie estere che più produrrebbe vantaggio al sistema produttivo (d’accordo l’81%). A seguire esportazioni e relazioni con i clienti esteri (78%) e poi accordi di joint venture con imprese estere (d’accordo il 75%). Nelle classifiche internazionali l’Italia è undicesima nel 2013 per origine di investimenti diretti esteri, volti all’acquisizione o allo stabilimento di attività produttive, solo ventesima invece nella graduatoria per destinazione di investimenti produttivi. Nello stesso anno lo stock di investimenti esteri attratti dall'Italia era pari al 20% in rapporto al PIL, contro il 49% medio dei Paesi dell’Unione Europea. In particolare, l'Italia riceve meno investimenti esteri rispetto ad altre economie notoriamente aperte come il Regno Unito, dove in effetti gli investimenti esteri in entrata sono pari al 63% del PIL, ma anche rispetto alle altre principali economie europee. A fronte di un processo di delocalizzazione, per cui si stima che le imprese italiane all’estero diano lavoro a oltre un milione e mezzo di persone escluso l’indotto, l’attrattività del Paese per gli investitori esteri è oltremodo problematica. L’ambiente istituzionale ostile, considerando le procedure, i tempi e i costi necessari per avviare un’attività d’impresa, disincentiva l’ingresso di capitali stranieri. Una valutazione negativa presso gli investitori esteri, questa, che trova una conferma anche negli indicatori © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 28 sintetici della Banca Mondiale, secondo cui il Paese è sceso nel 2015 al 56° posto nella classifica ‘Ease of Doing Business’, rispetto alla 52ª posizione del 2014. Ciò che spesso si fa fatica a rilevare è la qualità degli investimenti diretti esteri in Italia. Pochi indicatori sono in grado di cogliere quanto le imprese multinazionali che investono in un Paese partecipino poi alla distribuzione di valore locale. Esistono numerosi lavori che evidenziano, ad esempio, quanto la semplice presenza di multinazionali in un Paese che le ospita possa ivi facilitare il trasferimento di tecnologia e di conoscenza23. Di seguito si forniscono indicazioni sul contenuto di valore aggiunto delle attività che le multinazionali localizzano in Italia rispetto a quelle che le stesse localizzano in altre aree geografiche24. In Figura 11 si riportano le distribuzioni di contenuto di valore aggiunto delle imprese controllate da multinazionali estere in Italia a confronto con altre imprese controllate dalle stesse imprese multinazionali, ma localizzate in altri Paesi. I dati si riferiscono al 2012. Nel primo grafico a sinistra l’Italia è posta a confronto con gli altri Paesi OCSE e con le economie emergenti. Nel secondo grafico a destra, il confronto è con l’Unione Europea 0 0 .5 .5 1 1 1.5 1.5 2 2 2.5 2.5 Figura 11: Distribuzione del contenuto di valore aggiunto nel 2011, imprese controllate da multinazionali estere in Italia a confronto con proprie co-affiliate all’estero. Fonte: Rungi (2012) 0 .2 .4 .6 Contenuto di valore aggiunto Italia Economie emergenti .8 1 Paesi OCSE (Italia esclusa) 0 .2 .4 .6 Contenuto di valore aggiunto Italia .8 1 EU 15 (Italia esclusa) Nuovi Membri EU Per una disanima di questa ed altre questioni legate alla presenza ed attrazione di multinazionali, v. Giorgio Barba Navaretti e Anthony J. Venables (2006), ‘Le multinazionali nell’economia mondiale’. 24 Queste evidenze sono tratte dal lavoro di Rungi A. (2012), ‘Le Catene Globali del Valore dei Gruppi Multinazionali in Italia’, disponibile come contributo al rapporto ICE-ISTAT del 2012 su: http://www.istat.it/storage/Istat-ICE2012/Rapporto/contributi/Rapporto%20ICE%202012%20cap%204%20web.pdf 23 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 29 Innanzitutto si coglie un’elevata eterogeneità nelle distribuzioni, che presentano in genere un numero elevato di imprese con basso contenuto di valore aggiunto (le code a sinistra delle distribuzioni, che catturano i livelli più bassi di produttività, sono densamente popolate). Molto raramente, le affiliate di imprese multinazionali sono in grado di superare una quota di contenuto di valore aggiunto superiore al 50%. Tuttavia, il peso relativo delle imprese che creano più valore è maggiore rispettivamente per le affiliate localizzate negli altri Paesi OCSE e nei membri storici dell’Unione Europea. Più dell’Italia, che si trova in una posizione intermedia tra OCSE ed economie emergenti, con una distribuzione molto simile ai nuovi membri dell’Unione Europea (cfr. grafico di destra di Figura 11). Nel complesso, l’organizzazione internazionale della produzione comporta per l’Italia, rispetto ad altre economie avanzate, l’attrazione di fasi produttive a più basso contenuto di conoscenza e progresso tecnologico, con una minore capacità di generare e distribuire valore ai fattori della produzione utilizzati localmente. Ciò non mette comunque in discussione la capacità di trasferimento tecnologico delle imprese multinazionali alle imprese domestiche. Un vero e proprio effetto reputazione, basato su difficoltà oggettive di accesso al sistema Italia, porta le multinazionali a selezionare attività a più basso potenziale rispetto a quanto non accada per le altre economie avanzate. 3. RISORSE SCARSE PER L’INNOVAZIONE Per oltre l’84% degli associati ad Aspen Institute Italia l’innovazione è una priorità strategica per l’Italia, cui si somma un altro 8% per cui essa è abbastanza importante. In questo ambito, assume un rilievo assolutamente primario l’innovazione di prodotto/servizio rispetto all’innovazione del processo produttivo e all’innovazione organizzativa. Solo il 44% è invece d’accordo che l’innovazione finanziaria costituisca una priorità. In principio, la capacità di sfruttare tutte le dimensioni dell’innovazione permette di incorporare valore aggiunto nella produzione e di assumere posizioni maggiormente competitive sia sui mercati domestici sia sui mercati internazionali. Con ciò aumentando il proprio potenziale di crescita e sviluppo. Gli associati ad Aspen Institute Italia ritengono che la priorità sia comunque tenere alto il contenuto innovativo a livello di prodotto, anche in coerenza con una strategia ritenuta necessaria di posizionamento su fasi ad alto valore aggiunto, sia sui mercati domestici sia su quelli esteri. D’altronde anche qui emerge una dualità, tra imprese e sistema Paese, che vale la pena esplorare. Indicatori che sintetizzano insieme valutazioni di sistema Paese e a livello di impresa giungono a © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 30 considerare carente la capacità innovativa dell’Italia, spesso in funzione del peso che l’una o l’altra componente ha nella costruzione dell’indicatore. Il paradosso è presente, ad esempio nel caso dell’Innovation Union Scoreboard redatto annualmente dalla Commissione Europea e volto a paragonare le performance innovative a livello Paese tra i 28 membri dell’Unione Europea e associati. In Figura 12 si riporta la posizione dell’Italia una volta che si consideri l’Indice di Innovazione, sintetico, riportato dalla Commissione Europea per il 2013. In Figura 13 si riporta, invece, una disaggregazione per l’Italia e per la media UE delle dimensioni utilizzate per la costruzione dell’indice. Figura 12: Indice di Innovazione per Paese, fonte: Innovation Union Scoreboard, Commissione Europea (2014). 0,900 0,800 0,700 0,600 0,500 0,400 0,300 0,200 0,100 Bulgaria Lettonia Turchia Romania Macedonia Polonia Lituania Croazia Malta Slovacchia Ungheria Serbia Grecia Portogallo Spagna Repubblica Ceca Italia Norvegia Cipro Estonia Slovenia EU Francia Islanda Austria Irlanda Regno Unito Belgio Olanda Lussemburgo Finlandia Germania Danimarca Svezia Svizzera 0,000 Dall’indice sintetico della Figura 12, l’Italia risulta in ritardo rispetto alla media degli altri Paesi. Nel rapporto originale della Commissione, i Paesi dell'Unione sono divisi in quattro gruppi: i Paesi leader (tra i quali ci sono la Finlandia e la Germania), i Paesi che tengono il passo (fra questi l'Austria e la Francia), i Paesi moderatamente innovatori (che vede l'Italia in compagnia di stati dell'Europa orientale o meridionale) e i Paesi in ritardo (tra i quali Bulgaria, Romania e Lettonia). Se si analizzano le variabili che entrano nella costruzione dell’indice composito, nella Figura 13, si nota che la posizione dell’Italia nel 2013 rispetto alla media UE risente del peso negativo degli indicatori finanziari, quali Finanziamento e Supporto e Investimenti d’Impresa, e, inoltre, degli indicatori che sintetizzano la qualità del sistema d’istruzione e ricerca, Sistemi di Ricerca e Risorse Umane. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 31 0,583 2006 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 0,529 0,595 EFFETTI ECONOMICI INNOVATORI 0,509 0,549 INNOVATORI EFFETTI ECONOMICI PROPRIETÀ INTELLETTUALE IMPRENDITORIALITÀ E COLLEGAMENTI PUBBLICO-PRIVATO INVESTIMENTI D'IMPRESA FINANZIAMENTO E SUPPORTO SISTEMI DI RICERCA RISORSE UMANE INDICE COMPOSITO 0,509 0,564 2013 PROPRIETÀ INTELLETTUALE MEDIA UE 0,496 0,550 0,573 0,558 0,539 0,447 0,417 0,407 0,460 0,493 0,554 0,394 0,420 0,415 0,409 0,516 0,430 0,512 0,474 0,507 0,350 0,430 0,292 0,368 0,306 0,260 0,289 0,380 0,443 2006 IMPRENDITORIALITÀ E COLLEGAMENTI PUBBLICOPRIVATO INVESTIMENTI D'IMPRESA FINANZIAMENTO E SUPPORTO SISTEMI DI RICERCA RISORSE UMANE INDICE COMPOSITO Figura 13: Italia e media UE a confronto su dimensioni di innovazione 2006 e 2013, fonte: Innovation Union Scoreboard, Commissione Europea (2014) ITALIA 2013 32 Particolare interessante, gli indicatori per risorse finanziarie (pubbliche e private) sono gli unici a scendere nel 2013 rispetto al 2006. Un dato, questo, che sembra confermare che la crisi occorsa nello stesso periodo ha purtroppo penalizzato il settore dell’innovazione, a scapito dell’incremento della dotazione tecnologica del Paese, con effetti facilmente immaginabili in termini di potenziale di crescita. Anche per la media dei Paesi dell’Unione Europea gli indicatori legati a finanziamento e investimenti diminuiscono in tempo di crisi, ma in misura molto minore rispetto all’Italia. La differenza con il resto dell’Unione è significativamente minore, invece, per indicatori quali Proprietà Intellettuale, Innovatori ed Effetti Economici. Quest’ultima dimensione, in particolare, include cinque voci che catturano il successo economico dell’innovazione in termini di occupazione, esportazioni e vendite. Resta il problema di una differenza negativa rispetto alla media dell’Unione Europea per tutte le dimensioni, come riportato in Figura. 4. ACQUISIZIONE DI CONOSCENZA E PROPRIETÀ INTELLETTUALE Per la maggioranza degli associati ad Aspen Institute Italia (52%) è necessario procedere contemporaneamente ad un maggior sviluppo tecnologico domestico e ad un’acquisizione di tecnologie dall’estero. Sulle forme di tutela della proprietà intellettuale, la brevettazione resta cruciale (d’accordo o molto d’accordo l’82%). Le strategie di vendita sono anche molto importanti (d’accordo o molto d’accordo il 79%). Tuttavia si registra una volontà di ricerca di ‘altre’ forme di tutela (per cui sono d’accordo o molto d’accordo l’84%). Della possibilità di acquisire tecnologie estere attraverso investimenti diretti in entrata si è già discusso nel paragrafo 2. Qui si fornisce qualche dettaglio sulla tutela della proprietà intellettuale italiana, che tanto ha fatto discutere per l’efficacia di incentivi stabiliti tramite specifici programmi destinati alle piccole e medie imprese (PMI), per cui tradizionalmente l’innovazione è più costosa25. In Figura 14 si riporta la capacità brevettuale delle imprese manifatturiere italiane suddividendole per principali settori industriali, con data di pubblicazione del brevetto al 2004 o al 2012 e registrazione almeno una volta presso qualunque ufficio brevetti, nazionale o domestico26. 25 Per il programma di incentivi alle PMI gestito dalla Direzione Generale Contraffazione presso il Ministero dello Sviluppo Economico - Ufficio Italiano Marchi e Brevetti: http://www.uibm.gov.it/index.php/la-proprieta-industriale/incentivi-alleimprese/incentivi-alle-imprese-3 26 Per una descrizione nel dettaglio della base di dati: http://www.oecd.org/site/stipatents/PSDM2013_2_3_Van_Dijk.pdf © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 33 Figura 14: Capacità brevettuale delle imprese italiane, 2004 e 2012. Fonte: elaborazione degli autori su dati Orbis e Patstat Settore industriale Alimentari e bevande Tabacco Tessili Abbigliamento Pelletteria Legno Carta Prodotti del petrolio, nucleare Prodotti chimici e farmaceutici Materie plastiche Prodotti minerali non metalliferi Metalli di base Prodotti lavorati del metallo Macchinari Armi e munizioni Apparecchiature elettriche Computer, elettronica di consumo, apparecchiature mediche e di precisione Autoveicoli e ciclomotori Mezzi di trasporto diversi Arredamento Totale 2004 193 7 28 37 116 15 40 21 1.636 594 278 169 378 2.236 22 698 864 503 135 268 8.238 2012 93 7 13 33 111 17 17 31 1.461 532 217 75 277 1.743 17 596 1.213 455 165 182 7.255 L’Italia registra un calo significativo per numero di brevetti registrati pari a circa il 12%. Secondo la relazione dell’Ufficio Brevetti Europeo, al primo posto per nuovi depositi ci sono gli Stati Uniti, poi il Giappone e la Germania. Tra i Paesi europei, Germania, Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Olanda hanno comunque aumentato la propria capacità brevettuale. La cattiva posizione dell’Italia si riscontra anche quando l’iter procedurale sia già iniziato, in quanto si riduce anche il numero di riconoscimenti di invenzioni industriali per domande già presentate. Inoltre, dopo il riconoscimento, per l’Italia è minore nel tempo anche il numero di invenzioni che poi trovino una vera e propria realizzazione industriale. In definitiva, non si può dire che vi sia un problema di diminuita capacità inventiva. O per lo meno non può essere solo questo, visto che le imprese mostrano difficoltà anche dopo, al momento di gestire gli ingranaggi burocratici delle procedure di riconoscimento e al momento di portare a realizzazione l’invenzione. Non si può escludere che le diminuite capacità finanziarie dell’impresa, in particolare se di minori dimensioni, ed in seguito ad un limitato accesso al credito dopo la crisi finanziaria, non incida sulla capacità brevettuale. Più in generale, le imprese italiane sembrano soffrire di un’impreparazione organizzativa e culturale alla difesa della proprietà intellettuale. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 34 In questo contesto, l’imminente creazione del Brevetto Unitario27 a livello europeo può aggravare le difficoltà per le imprese italiane che intendano proteggere la propria attività innovativa. Il rischio è che si aggiunga un ulteriore costoso livello burocratico al già complicato sistema attuale. 5. L’ITALIA ALLA ‘GUERRA DEI TALENTI’ Secondo una larga maggioranza degli associati ad Aspen Institute Italia (69%), le imprese italiane non sono in grado di valorizzare le risorse umane che hanno a disposizione. Non sono, inoltre, in grado di promuovere ed attrarre i talenti italiani (79%), tanto meno di promuovere ed attrarre talenti dall’estero (92%). Per migliorare la gestione del capitale umano si ritiene necessario allo stesso tempo investire maggiormente in tecnologie informatiche e sfruttare meglio quelle già in dotazione. La sfida per le imprese che emerge dalle risposte degli associati ad Aspen Institute Italia è duplice. Da un lato utilizzare meglio il proprio capitale umano, dall’altro attrarre nuovi talenti, siano essi italiani o stranieri. Alla difficoltà di abbinare le capacità individuali all’impiego più adatto e/o alla giusta mansione (generando il ‘job mismatch’), si aggiunge la scarsa capacità di attrarre nuove abilità e competenze che sarebbero in grado di aumentare la competitività del sistema produttivo nel suo insieme. A questo proposito, in un contesto di crescente mobilità del lavoro attraverso le frontiere nazionali, si ritiene che sia ormai da tempo iniziata una guerra dei talenti28. In un contesto di economia basata sulla conoscenza, gli individui altamente qualificati fanno la differenza nell’attività d’impresa. Allo stesso tempo, imprese e Paesi possono attingere da un bacino mondiale crescente di individui con istruzione superiore. Le economie emergenti, come la Cina, stanno investendo molto in istruzione universitaria. Il numero di studenti universitari è raddoppiato a livello mondiale dal 2000 al 2010, ultimo anno disponibile per cui si stimava aggirarsi intorno ai 4 milioni. D’altro canto anche gli studenti universitari Il Consiglio Europeo, nel dicembre del 2012, ha approvato due provvedimenti che intendono implementare una cooperazione rafforzata tra 25 Paesi membri per la creazione di un sistema di Brevetto Unitario. L’accordo internazionale firmato il 19 febbraio 2013 ha istituito la Unified Patent Court (per i dettagli v.: http://www.unified-patentcourt.org/images/documents/enhanced-european-patent-system.pdf) 27 28 Si veda tra gli altri ‘The Global Race for Talent: Europe’s Migration Challenge’, di Rainer Münz, disponibile su: http://www.bruegel.org/publications/publication-detail/publication/819-the-global-race-for-talent-europes-migrationchallenge/ © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 35 sono molto più disponibili a spostarsi all’estero, con un’accresciuta probabilità che restino anche a lavorare nel Paese in cui si sono recati a studiare. Nell’Unione Europea si è passati da 800 mila a 1 milione 700 mila studenti internazionali. Negli Stati Uniti i visti per studenti cinesi sono cresciuti da 22 mila nel 2005 a 189 mila nel 2012. La posizione internazionale dell’Italia in termini di attrattività dei talenti non è delle migliori. Tenendo conto anche dei ‘cervelli in fuga’, nella Figura 15 il saldo migratorio netto dell’Italia in rapporto alla popolazione nel 2010 è vicino al pareggio: per quanti talenti arrivano per lavorare nel Paese, ce ne sono poco meno che escono per cercare altre destinazioni. Tuttavia, altri Paesi a maggior potenziale di crescita presentano, in generale, un saldo positivo (Canada, Australia, Svizzera, Stati Uniti e Regno Unito). In termini di allocazione di capitale umano già disponibile nel Paese, la Figura 16 riporta quanti tra “talenti” domestici e stranieri erano occupati nel 2012, in Italia e nell’intera Unione Europea. In entrambi i casi si registrano difficoltà a impiegare gli individui con istruzione superiore nel caso in cui essi siano stranieri. Ciò può essere dovuto a diversi fattori strutturali e culturali, per un mancato riconoscimento di titoli stranieri o per problemi di lingua. In questo, non sembrano esserci differenze sostanziali tra l’Italia e la media UE. La grande differenza si riscontra in termini di occupazione in generale, per cui l’Italia ha un tasso di occupazione per i nati all’estero inferiore del 5,8% rispetto all’Unione Europea, e per i cittadini italiani inferiore del 5%. Figura 15: Migrazione netta nel 2010 di persone con istruzione superiore, normalizzata per popolazione, fonte: Terzi (2014) 29 ‘Brainless recovery - brain drain in the aftermath of the crisis’, disponibile su: http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1507-brainless-recovery-brain-drain-in-the-aftermath-of-the-crisis/ 29 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 36 Figura 16: Tasso di occupazione di individui con istruzione superiore, fonte: elaborazione degli autori su dati OECD 69,5 79,7 ITALIA 84,7 75,3 UNIONE EUROPEA Nati all'estero Cittadini In definitiva, accanto ad altre forme di innovazione e internazionalizzazione più tangibili, come brevettazione o investimenti, l’attrazione e la miglior allocazione dei talenti domestici ed esteri è un’opportunità che l’Italia e le sue imprese non vogliono perdere. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 37 III. MAPPA DELLE OPPORTUNITÀ E DEI VINCOLI ALLA COMPETITIVITÀ E ALLO SVILUPPO DELL’ITALIA Vincolo/opportunità Reputazione del sistema Italia Fiscalità Oneri burocratici Accesso al credito e autofinanziamento Innovazione Opinioni espresse dagli associati ad Aspen Institute Italia che hanno risposto al questionario La reputazione del 'sistema Italia', nel suo complesso di articolazioni economiche, politiche e sociali, è ancora un'opportunità di notevole rilevanza sui mercati esteri per il 40% dei rispondenti ed è già un vincolo di notevole rilevanza per il 24%. Essa è invece un vincolo di notevole rilevanza per il 65% degli associati Aspen al momento di attrarre investimenti dall’estero. La capacità di espansione delle imprese, in Italia e all’estero, è innanzitutto limitata dal carico fiscale sul lavoro dipendente (molto d’accordo il 69%, d’accordo il 27%). Solo in seconda battuta viene il carico fiscale sul lavoro autonomo (molto d’accordo il 25%, d’accordo il 35%). Conta anche il carico fiscale su investimenti e risparmi, attività finanziarie in genere (molto d’accordo il 20%, d’accordo il 35%). Ultimo il carico fiscale sul consumo, con il 49% dei consensi. In generale, l’onerosità fiscale sul lavoro dipendente è però ritenuta ripartita in modo equo tra lavoratore e datore di lavoro dal 53% dei rispondenti. Per il 29% in maniera sbilanciata a carico del datore di lavoro, per il 14% sbilanciata a carico del lavoratore. Per la maggioranza dei rispondenti, gli oneri previdenziali e assicurativi rappresentano una gran parte del carico fiscale sul lavoro (molto d’accordo 48%, abbastanza d’accordo il 33%). L’eccessivo carico di oneri burocratici viene soprattutto dal livello di Amministrazione Centrale (54%), poi dalle Regioni (23%) e da Comuni e Province (18%). Gli oneri burocratici sono allo stesso tempo numerosi e contraddittori per l’82% dei rispondenti. Esiste un problema di accesso al credito per l’81% dei rispondenti. La risorsa finanziaria più difficile da reperire è il capitale di rischio e/o venture capital per il 30% dei rispondenti, solo in seconda battuta viene il credito bancario a lungo termine (26%) e poi il credito bancario a breve termine (11%). Esiste una discreta quota di rispondenti, seppur minoritaria, che crede sia necessario l’intervento pubblico, con incentivi fiscali (11%) o con fondi pubblici (6%). L’autofinanziamento è anch’esso percepito come un problema per le imprese nel 56% dei casi. La difficoltà maggiore nel reperimento di risorse interne è lo scarso autofinanziamento derivante da attività produttiva principale (46%). Poi subentrano problemi nella difficoltà a gestire il portafoglio finanziario (18%) e una scarsa diversificazione delle fonti (18%). Per il 47% dei rispondenti la priorità in termini di innovazione per le imprese è una migliore combinazione di investimenti pubblici e privati in Ricerca e Sviluppo. Per il 17% vi è necessità di maggiori investimenti privati, per l’11% di maggiori investimenti pubblici. Solo una minoranza dei rispondenti ritiene ci sia bisogno di una riqualificazione della ricerca pubblica (10%) o privata (1%) a parità di finanziamento. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 38 Sistema educativo e capitale umano Infrastrutture e trasporti Politiche nazionali Politiche europee Per il 58% degli associati Aspen, il sistema educativo italiano è in grado di fornire capitale umano abbastanza qualificato. Nel 21% dei casi si ritiene che sia altamente qualificato. Si ritiene necessaria innanzitutto una riqualificazione della spesa per istruzione e solo dopo maggiori investimenti (60%). La priorità da seguire per gli investimenti in infrastrutture e trasporti è l’accesso ai mercati dell’Unione Europea (d’accordo 45%, molto d’accordo 37%). Poi l’accesso ai mercati extra-europei (d’accordo 41%, molto d’accordo 30%). La necessità di accedere al mercato domestico, per superare la frammentazione Nord-Sud, è percepita comunque fra le priorità, seppure meno rilevante rispetto alle precedenti (d’accordo 31%, molto d’accordo 36%). E’ necessario riqualificare la dotazione esistente di infrastrutture e trasporti, prima di investire in nuovi progetti, per il 68% dei rispondenti. Nel 25% dei casi si ritiene invece che occorra dare priorità a nuovi investimenti, prima di un’opera di riqualificazione. Le politiche messe in atto dai governi degli ultimi anni per favorire una maggior collaborazione tra ricerca pubblica e privata, al fine di incrementare la dotazione tecnologica del sistema Italia sono state poco efficaci (73%) o per nulla efficaci (16%). Anche le politiche per l’internazionalizzazione sono state poco efficaci (75%) o per nulla efficaci (16%). La gran maggioranza dei rispondenti ritiene che l’Unione Europea rappresenti un’opportunità di sviluppo del sistema produttivo italiano in termini di innovazione e internazionalizzazione (molto d’accordo 44%; d’accordo 44%). Tra le politiche europee per le quali è stata chiesta una valutazione: - L’Agenda Digitale 2010: unico obiettivo a portata di mano, aumento di utenti internet. Piena copertura della banda larga, riduzione consumi energetici e aumento investimenti pubblici sono quelli di più difficile realizzazione nei prossimi anni. - Politica energetica comune: sarebbe utile individuare obiettivi di riduzione consumo energetico (d’accordo o molto d’accordo 85%), creazione di un Mercato Comune dell’energia comprensivo di infrastrutture (d’accordo o molto d’accordo 72%). Riscuote molti consensi anche la necessità di stabilire una politica estera energetica comune (d’accordo o molto d’accordo 68%) che includa una diversificazione dei Paesi fornitori (d’accordo o molto d’accordo 69%). Importante anche rinforzare meccanismi di solidarietà ed emergenza in caso di crisi (d’accordo o molto d’accordo (60%). - Fondo di Adeguamento alla Globalizzazione: altissimo il numero di incerti sull’utilità delle priorità finanziate (in media il 20%). La maggior quota di consensi si raccoglie per la necessità di una formazione e riqualificazione professionale (d’accordo o molto d’accordo 77%), di un supporto nella ricerca attiva di un lavoro (d’accordo o molto d’accordo 65%), su un incentivo alla mobilità tra regioni e Paesi (d’accordo o molto d’accordo 65%). © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 39 BIBLIOGRAFIA Abiad Abdul, Furceri Davide, Kalemli-Ozcan Sebnem e Pescatori Andrea (2013). ‘Dancing Together? Spillovers, common shocks and the role of financial and trade linkages’, in ‘World Economic Outlook 2013’, Fondo Monetario Internazionale. Altomonte Carlo, Di Mauro Filippo, Ottaviano Gianmarco, Rungi Armando e Vicard Vincent (2013). ‘Global Value Chains during the Great Trade Collapse: a Bullwhip Effect?’, in 'Firms in the International Economy: Firms Heterogeneity Meets International Business’, edito da: Beugelsdijk S., Brakman S., van Ees H., e Garretsen H. 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World Economic Forum. © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 40 APPENDICE: IL QUESTIONARIO TRASMESSO Gli associati ad Aspen Institute Italia più esposti alle sfide imprenditoriali e produttive hanno fornito attraverso un articolato questionario qui di seguito riportato - le risposte che hanno consentito l’elaborazione di questo studio. Al questionario hanno risposto, in forma anonima, 103 associati così suddivisi per settore di attività prevalente: TOTALE DEI QUESTIONARI RICEVUTI per SETTORE DI ATTIVITA' Istituzioni e Imprenditore o Manager Università e Ricerca Pubbliche Amministrazioni Libero Settore Consulente professista Settore Settore creditizio, Livello Livello Area Area sociale industriale finanziario o non-profit nazionale internazionale scientifica assicurativo Totali per settore Totale generale 40 15 4 5 5 7 3 14 10 103 © Aspen Institute Italia| “Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri” 41 >h'>/K 2014 Il presente questionario è stato compilato da: Nome: Cognome: La preghiamo di restituire il presente Questionario compilato entro ŗŖȱȱŘŖŗŚ a: Francesco Leopardi Dittaiuti via e-mail: [email protected] oppure via fax: 06 6796377 Tel: 06 454689.1 – 06 454689.25 I. SEZIONE INTERNAZIONALIZZAZIONE A) In base alla Sua esperienza, in uno scenario di crescente integrazione economica internazionale, le imprese italiane sono: 1) Molto competitive. 2) Abbastanza competitive. 3) Poco competitive. 4) Per niente competitive. B) In base alla Sua esperienza, in uno scenario di crescente integrazione economica internazionale, il ‘Sistema Italia’, nel suo complesso di articolazioni economiche, politiche e sociali, è: 1) Molto competitivo. 2) Abbastanza competitivo. 3) Poco competitivo. 4) Per niente competitivo. pagina 1 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia C) Secondo Lei, il sistema produttivo italiano nel suo complesso si trova a competere sul più ampio scenario economico internazionale con: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) Tutti gli altri membri dell'Unione Europea in generale 2) I vecchi membri dell'Unione Europea in particolare 1 3) I nuovi membri dell'Unione Europea in particolare 2 4) I paesi già sviluppati (es: area OCSE) 5) I nuovi paesi emergenti 6) Altro: _______________________________________ Più in particolare, citare un paese che si ritiene competitor sullo scenario mondiale: 1) Stati Uniti 2) Cina 3) Germania 4) Francia 5) Regno Unito 6) Giappone 7) Russia 8) India 9) Brasile 10) Altro: ________________________________________ D) In base alla Sua esperienza, i concorrenti delle imprese italiane sono da ricercarsi: 1) Per lo più sul mercato domestico, sono di facile identificazione. 2) Per lo più sul mercato domestico, ma non sono di facile identificazione. 3) Per lo più sul mercato estero, sono di facile identificazione. 4) Per lo più sul mercato estero, ma non sono di facile identificazione. E) In base alla Sua esperienza, i settori che sono stati più colpiti dalla crisi economica sono quelli rivolti: 1) Principalmente alla domanda interna. 2) Principalmente alla domanda estera. 3) In egual misura a domanda interna ed estera. 1 Paesi membri dell’Unione Europea prima di maggio 2004: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia. 2 Paesi diventati membri dell’Unione Europea: a) maggio 2004: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria; b) gennaio 2007: Bulgaria, Romania; c) luglio 2013: Croazia. pagina 2 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia F) In base alla Sua esperienza, i settori trainanti per il sistema produttivo italiano sono quelli che potranno contare: 1) Principalmente alla domanda interna. 2) Principalmente alla domanda estera. 3) In egual misura a domanda interna ed estera. G) In base alla Sua esperienza, in seguito al processo in atto di integrazione economica internazionale, i settori tradizionalmente inclusi nel ‘Made in Italy’, destinati alla cura della persona, dell’alimentazione e della casa, sono: 1) Molto competitivi. 2) Abbastanza competitivi. 3) Poco competitivi. 4) Per nulla competitivi. H) Quali sono, Secondo Lei, i settori che dovranno sempre più affermarsi come driver dello sviluppo italiano (selezionare o aggiungere al massimo tre categorie): 1) Agroalimentare. 2) Tessile. 3) Meccanica strumentale. 4) Produzione di mezzi di trasporto alternativi alle automobili. 5) Settore chimico e farmaceutico. 6) Edilizia (compreso uploading edifici). 7) Biotecnologie. 8) Turismo. 9) Finanza. 10) Energie rinnovabili. Altri (massimo 200 caratteri): pagina 3 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia I) In base alla Sua esperienza, qual è l’attività prevalente delle imprese italiane nell’ambito delle più ampie filiere internazionali (global value chains)? (ordinare le seguenti categorieĚĂϭĂϴ) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Engineering e design del prodotto. Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione. Produzione di beni capitali e strumentali. Produzione di beni di alto consumo. Produzione di beni di consumo di nicchia. Commercializzazione e distribuzione del prodotto. Servizi di assistenza alla produzione. Servizi di assistenza al consumo. J) Per aumentare la competitività delle imprese italiane sui mercati sia domestici sia internazionali è necessario che esse: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) Risparmino sul costo del lavoro. 2) Investano in capitale umano. 3) Incrementino la qualità e il contenuto innovativo del prodotto/servizio. 4) Aumentino il contenuto di servizi aggiuntivi offerti al cliente (manutenzione, assistenza, finanza al consumo, ecc.). 5) Innovino sul processo produttivo. 6) Trovino nuove forme di organizzazione manageriale. 7) Investano in nuove tecnologie informatiche e di comunicazione. 8) Delocalizzino parte della produzione all'estero. 9) Aumentino la scala di produzione. 10) Altro: K) Per aumentare la propria integrazione nelle filiere internazionali (global value chains), le imprese italiane dovrebbero incrementare gli investimenti produttivi in: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) (2) (3) (4) (5) Tutti gli altri membri dell'Unione Europea in generale I vecchi membri dell'Unione Europea I nuovi membri dell'Unione Europea I paesi già sviluppati (es: area OCSE) I nuovi paesi emergenti Altro: _______________________________________ pagina 4 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia L) Per aumentare la propria integrazione nelle filiere internazionali, il sistema produttivo italiano nel suo complesso dovrebbe attirare investimenti produttivi da: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) (2) (3) (4) (5) Tutti gli altri membri dell'Unione Europea in generale I vecchi membri dell'Unione Europea I nuovi membri dell'Unione Europea I paesi già sviluppati (es: area OCSE) I nuovi paesi emergenti Altro: _______________________________________ M) Per aumentare la propria integrazione nelle filiere internazionali (global value chains), le imprese italiane dovrebbero incrementare la propria quota di esportazioni di beni e servizi in: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) (2) (3) (4) (5) Tutti gli altri membri dell'Unione Europea in generale I vecchi membri dell'Unione Europea I nuovi membri dell'Unione Europea I paesi già sviluppati (es: area OCSE) I nuovi paesi emergenti Altro: _______________________________________ N) Per aumentare la propria integrazione nelle filiere internazionali, il sistema produttivo italiano nel suo complesso dovrebbe aumentare le importazioni di beni e servizi da: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) (2) (3) (4) (5) Tutti gli altri membri dell'Unione Europea in generale I vecchi membri dell'Unione Europea I nuovi membri dell'Unione Europea I paesi già sviluppati (es: area OCSE) I nuovi paesi emergenti Altro: _______________________________________ pagina 5 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia II. SEZIONE INNOVAZIONE A) In base alla Sua esperienza, per l’Italia l’innovazione è una priorità strategica: 1) Molto importante. 2) Abbastanza importante. 3) Poco importante. 4) Di nessuna rilevanza. B) Quale tipo di innovazione contribuirebbe ad incrementare la competitività del sistema produttivo italiano? (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) (2) (3) (4) (5) Innovazione di prodotto/servizio. Innovazione di processo. Innovazione organizzativa. Innovazione finanziaria. C) A Suo giudizio, la capacità innovativa delle imprese italiane, così come rilevata dai metodi contabili e statistici, è: 1) Molto sopravvalutata. 2) Abbastanza sopravvalutata. 3) Correttamente valutata. 4) Abbastanza sottovalutata. 5) Molto sottovalutata. D) Secondo Lei, le misure della capacità innovativa delle imprese italiane dovrebbero tener maggior conto di elementi spesso trascurati, quali: 1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) Spese di Ricerca e Sviluppo per innovazioni di prodotto/servizio. 2) Spese di Ricerca e Sviluppo per innovazioni sul processo produttivo. 3) Investimenti in formazione del capitale umano. E) In quali delle seguenti fasi della catena di valore globale (global value chain), le imprese italiane sono considerate essere relativamente più innovative? (Ordinare le seguenti categorieĚĂϭĂϴ) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Engineering e design del prodotto. Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione. Produzione di beni capitali e strumentali. Produzione di beni di alto consumo. Produzione di beni di consumo di nicchia. Commercializzazione e distribuzione del prodotto. Servizi di assistenza alla produzione. Servizi di assistenza al consumo. pagina 6 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia F) Su quali delle seguenti fasi della catena di valore globale (global value chain), le imprese italiane dovrebbero puntare ad essere più innovative? (Ordinare le seguenti categorieĚĂϭĂϴ) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Engineering e design del prodotto. Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione. Produzione di beni capitali e strumentali. Produzione di beni di alto consumo. Produzione di beni di consumo di nicchia. Commercializzazione e distribuzione del prodotto. Servizi di assistenza alla produzione. Servizi di assistenza al consumo. G) Quale delle seguenti politiche orientate all’innovazione dovrebbe essere maggiormente supportata perché considerata più efficiente? 1) Politiche volte allo sviluppo tecnologico domestico (attraverso una maggiore tutela dei diritti di proprietà intellettuale, incentivi per attività di R&S alle imprese o per collaborazioni tra Università ed imprese, ecc.). 2) Politiche volte ad acquisire tecnologie innovative estere (attraverso una maggiore apertura del mercato domestico al commercio ed investimenti internazionali). 3) Entrambe le precedenti. 4) Non c’è bisogno di politiche a supporto dell’innovazione. H) Fra i seguenti strumenti di tutela di proprietà intellettuale, quale a suo parere, risulta essere efficace? (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) (2) (3) (4) (5) Segretezza. Brevettazione. Altre forme di tutela legali. Lead time (vantaggio della prima mossa). Strategie di vendita e servizi complementari. Sfruttamento di capacità manifatturiere complementari. Altro: pagina 7 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia I) Fra le seguenti modalità di accesso alle tecnologie innovative estere, quali produrrebbero vantaggio al sistema produttivo nel suo complesso? (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) (2) (3) (4) (5) Importazioni di beni intermedi o di beni capitali. Esportazioni e relazioni con i clienti esteri. Investimenti diretti esteri in entrata. Investimenti diretti esteri in uscita. Accordi di Joint venture. Accordi di subfornitura. Accordi di trasferimento di Know-how. Altro: J) Le imprese italiane nel loro complesso sono in grado di valorizzare le risorse umane che hanno a disposizione, promuovendo i talenti: 1) Molto d’accordo. 2) Abbastanza d’accordo. 3) Poco d’accordo. 4) Per nulla d’accordo. K) Le imprese italiane nel loro complesso sono in grado di promuovere ed attrarre talenti italiani: 1) Molto d’accordo. 2) Abbastanza d’accordo. 3) Poco d’accordo. 4) Per nulla d’accordo. L) Le imprese italiane nel loro complesso sono in grado di promuovere ed attrarre talenti dall’estero: 1) Molto d’accordo. 2) Abbastanza d’accordo. 3) Poco d’accordo. 4) Per nulla d’accordo. M) Per migliorare la gestione del capitale umano, le imprese dovrebbero: 1) 2) Investire di più in tecnologie informatiche e di comunicazione; 3) Entrambe le precedenti. 4) Non c’è bisogno di migliorare la gestione del capitale umano. Sfruttare meglio la propria dotazione di tecnologie informatiche e di comunicazione; pagina 8 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia III. SEZIONE VINCOLI ALLA COMPETITIVITA’ E ALLO SVILUPPO A) Sulla base anche della Sua esperienza, quali dei seguenti fattori ostacolano la crescita della dimensione produttiva delle imprese italiane? (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) (2) (3) (4) (5) Eccessivo livello di tassazione Eccesso di burocrazia Mancato accesso al credito. Eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro. Scarsa dotazione di infrastrutture e trasporti. Mancanza di domanda domestica e/o estera. Eccessiva competizione domestica e/o internazionale. Mancanza di capacità organizzativa a livello di impresa. Mancanza di manodopera qualificata. Mancanza di manodopera non qualificata. Alto costo di energia e/o materie prime. Beni strumentali inadeguati e/o obsoleti. Non hanno un problema di dimensione produttiva. Altro: B) In generale, quale peso percentuale Lei attribuisce ai vincoli esterni all’impresa (istituzionali, sociali, politici, culturali) nell’ostacolare crescita, internazionalizzazione e innovazione, quando essi siano raffrontati ai vincoli interni all’impresa stessa (scarsa organizzazione manageriale, scelte di investimento sbagliate, ecc.): 1) meno del 25%. 2) tra il 25% e il 50% 3) il 50%. 4) tra il 50% e il 75%. 5) più del 75%. C) Per avere accesso ai mercati esteri, la reputazione del ‘Sistema Italia’ nel suo complesso di articolazioni economiche, politiche e sociali, è: 1) Un’opportunità di notevole rilevanza. 2) Un’opportunità di scarsa rilevanza. 3) Un vincolo di scarsa rilevanza. 4) Un vincolo di notevole rilevanza. 5) Non rilevante. pagina 9 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia D) Per attrarre investimenti dall’estero, la reputazione del ‘Sistema Italia’ nel suo complesso di articolazioni economiche, politiche e sociali, è: 1) Un’opportunità di notevole rilevanza. 2) Un’opportunità di scarsa rilevanza. 3) Un vincolo di scarsa rilevanza. 4) Un vincolo di notevole rilevanza. 5) Non rilevante. E) Quale tipo di carico fiscale influisce negativamente sulla capacità delle imprese di espandere la propria attività economica in Italia e all’estero: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) Carico fiscale sul lavoro dipendente. 2) Carico fiscale sul lavoro autonomo. Carico fiscale su attività finanziarie, investimenti e 3) risparmi. 4) Carico fiscale sul consumo. F) L’onerosità fiscale sul lavoro in Italia è ripartita tra lavoratore e datore di lavoro: 1) In maniera sbilanciata a carico del lavoratore. 2) In maniera sbilanciata a carico del datore di lavoro. 3) In modo equo. G) Gli oneri previdenziali e assicurativi in Italia rappresentano una gran parte del carico fiscale sul lavoro: 1) Molto d’accordo. 2) Abbastanza d’accordo. 3) Poco d’accordo. 4) Per nulla d’accordo. H) Gli oneri burocratici a cui le imprese devono sottomettersi in Italia sono da ricercarsi soprattutto: 1) A livello di amministrazione centrale. 2) A livello di amministrazione locale regionale. 3) A livello di amministrazione locale comunale e/o provinciale. 4) A livello di direttive e/o regolamenti della Commissione Europea. 5) Nessuna delle precedenti. pagina 10 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia I) Gli oneri burocratici che incidono negativamente sul sistema produttivo italiano nel suo complesso: 1) Sono per lo più numerosi. 2) Sono per lo più contraddittori. 3) Sono sia numerosi sia contraddittori. 4) Non sono né numerosi né contraddittori. J) Sulla base anche della Sua esperienza, quali sono i vincoli per l’accesso al credito sostenuti in generale dal sistema produttivo italiano? 1) Difficoltà a reperire risorse finanziarie esterne SI NO Se SI, quale (selezionare al massimo due risposte): 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) Credito bancario a lungo termine Credito bancario a breve termine Venture capital / Capitale di rischio Finanziamento tramite prestiti obbligazionari Nuovi strumenti finanziari Leasing e/o factoring Fondi pubblici Incentivi fiscali Altro: _________________________________ 2) Difficoltà a reinvestire risorse finanziarie interne SI NO Se SI, quale (selezionare al massimo due risposte): 1) 2) 3) 4) 5) Scarso autofinanziamento derivante da attività produttiva principale. Scarso autofinanziamento derivante da attività produttive secondarie. Non appropriata gestione di portafoglio finanziario. Scarsa diversificazione finanziaria. Altro: ____________________________________ K) Per accrescere il contenuto di innovazione, anche secondo la Sua personale esperienza, le imprese dovrebbero poter contare su: 1) 2) 3) 4) 5) 6) Maggiori investimenti pubblici alla ricerca Maggiori investimenti privati alla ricerca Una miglior combinazione di investimenti pubblici e privati alla ricerca Maggior qualità della ricerca pubblica a parità di finanziamento Maggior qualità della ricerca privata a parità di finanziamento Una maggior collaborazione tra ricerca pubblica e privata pagina 11 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia L) Secondo la Sua esperienza, il sistema educativo italiano è in grado di fornire al sistema produttivo italiano capitale umano: 1) Altamente qualificato. 2) Abbastanza qualificato. 3) Poco qualificato. 4) Non qualificato. M) Per quanto riguarda il sistema educativo, le imprese italiane dovrebbero poter contare su: 1) 2) 3) 4) Maggiori investimenti, non c’è bisogno di riqualificare la spesa. Riqualificazione della spesa, non c’è bisogno di maggiori investimenti. Prima maggiori investimenti, poi riqualificazione dell’attuale spesa. Prima riqualificazione dell’attuale spesa, in seguito maggiori investimenti. N) Secondo la Sua esperienza, il sistema produttivo italiano può contare su una dotazione di infrastrutture e trasporti: 1) Molto adeguata. 2) Abbastanza adeguata. 3) Poco adeguata. 4) Per niente adeguata. O) Per le imprese italiane, la priorità da seguire per gli investimenti in infrastrutture e trasporti è: (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) L'accesso al mercato domestico, per superare la frammentazione 1) nazionale. L'accesso ai mercati dell'Unione Europea, per superare la 2) frammentazione del Mercato Unico Europeo. 3) L'accesso ai mercati extra-europei. P) Per favorire l’accesso ai mercati nazionali e/o esteri, la priorità per gli investimenti in infrastrutture e trasporti é: 1) 2) 3) 4) La riqualificazione della dotazione esistente, non c’è bisogno di nuovi progetti. L’investimento in nuovi progetti, non c’è bisogno di riqualificare la dotazione esistente. Prima la riqualificazione della dotazione esistente, poi l’investimento in nuovi progetti. Prima l’investimento in nuovi progetti, poi la riqualificazione della dotazione esistente. pagina 12 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia (5) Q) Affinché vi sia la possibilità di una riduzione del costo energetico per il sistema produttivo italiano è necessaria: 1) 2) 3) 4) Una politica energetica a partire dalle autonomie locali. Una politica energetica che coinvolga il governo nazionale. Una politica energetica coordinata dall’intera Unione Europea. Nessuna delle precedenti. R) A Suo giudizio, le misure messe in atto dai governi degli ultimi anni per internazionalizzare il Sistema Italia e renderlo più competitivo sono: 1) Molto efficaci. 2) Abbastanza efficaci. 3) Poco efficaci. 4) Per nulla efficaci. S) A Suo giudizio, le misure messe in atto dai governi degli ultimi anni per favorire una maggior collaborazione tra ricerca pubblica e privata al fine di incrementare la dotazione tecnologica del Sistema Italia sono: 1) Molto efficaci. 2) Abbastanza efficaci. 3) Poco efficaci. 4) Per nulla efficaci. pagina 13 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia IV. SEZIONE EUROPA A) In generale, secondo Lei, l’Unione Europea rappresenta un’opportunità per lo sviluppo del sistema produttivo italiano in termini di innovazione e internazionalizzazione. 1) Molto d’accordo. 2) D’accordo. 3) Incerto. 4) Poco d’accordo. 5) Per nulla d’accordo. B) L’Agenda Digitale per l’Europa aveva identificato alcuni obiettivi prioritari con un preciso percorso da finalizzare entro il 2020. Secondo Lei, il Sistema Italia nel suo complesso sarà grado di raggiungerli. (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) Piena copertura della banda larga. 2) Possibilità di effettuare acquisti domestici online per oltre la metà della popolazione. 3) Possibilità di effettuare acquisti dall’estero online per almeno il 20% della popolazione. 4) Almeno un terzo delle piccole e medie imprese (PMI) capace di vendere ed acquistare online. 5) Tendenza allo zero per la differenza tra roaming europeo e tariffe nazionali. 6) Incremento nell’utilizzo regolare di internet fino a raggiungere i tre quarti della popolazione. 7) Dimezzamento della quota di persone che non hanno mai usato internet. 8) Accesso online di almeno metà della popolazione a servizi e certificazioni della Pubblica Amministrazione. 9) Raddoppio degli investimenti pubblici totali in Ricerca e Sviluppo, tecnologie informatiche e di comunicazioni (ICT). 10) Riduzione del 20% nell’utilizzo di energia per l’illuminazione. pagina 14 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia C) L’Unione Europea ha individuato i seguenti sei obiettivi in grado di assicurare forniture energetiche ininterrotte e stabilità dei costi. Esprima la sua valutazione sull’importanza di tali obiettivi per il Sistema Italia. (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) (2) (3) (4) (5) 1) 2) 3) 4) Riduzione del consumo energetico. Aumento della produzione in Europa. Diversificazione nei paesi fornitori. Piena realizzazione di un Mercato Comune Europeo dell’energia, costruzione delle infrastrutture necessarie. 5) Una politica estera comune dell’Unione Europea per l’energia. 6) Rinforzare meccanismi comuni di solidarietà ed emergenza, protezione di infrastrutture critiche (stoccaggio, piani di sicurezza energetica, ecc.). D) Il nuovo Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione si aggiunge al già esistente Fondo Sociale Europeo, per gestire l’impatto sociale delle ristrutturazioni industriali. Secondo Lei, le priorità di finanziamento messe così in atto dall’Unione Europea sono utili a far fronte al problema della minor occupazione in Italia. (1) molto d’accordo; (2) d’accordo; (3) incerto; (4) poco d’accordo; (5) per nulla d’accordo: (1) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) (2) (3) (4) Supporto nella ricerca attiva di un nuovo lavoro. Orientamento professionale. Formazione e riqualificazione professionale. Favorire la mobilità dei lavoratori fra regioni e paesi. Lotta alla marginalizzazione di comunità e categorie di lavoratori (es: migranti, persone disabili). Programmi di apprendimento permanente (lifelong learning). Supporto nella transizione dalla scuola al lavoro. Formazione all’imprenditorialità. Maggior qualità dei servizi pubblici all’occupazione. pagina 15 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia (5) V. SEZIONE ANAGRAFICA Si prega di indicare l’ambito organizzativo di Sua attività;ƐĐĞŐůŝĞƌĞƚƌĂ͕ŽͿ: A) Istituzioni o Pubbliche Amministrazioni: 1) Livello locale 2) Livello nazionale 3) Livello internazionale B) Università e ricerca: 1) Area scientifica 2) Area sociale 3) Area umanistica C) Imprenditore, Executive, Manager, Consulente, Libero Professionista: 1) Attività industriale 2) Attività creditizio-finanziaria 3) Attività non-profit 4) Attività di consulenza 5) Libera professione C1) Descrizione dell’impresa e delle sue attività;ƐŽůŽƐĞƐŝŚĂƌŝƐƉŽƐƚŽĂͿ In quale classe dimensionale colloca il fatturato realizzato dall’impresa nell’ultimo anno (2013)? 1) Sotto i 10 milioni di euro. 2) Tra i 10 e i 50 milioni di euro. 3) Tra i 50 e i 100 milioni di euro. 4) Tra i 100 e i 250 milioni di euro. 5) Tra i 250 e i 500 milioni di euro. 6) Oltre i 500 milioni di euro. Principali aree di provenienza del fatturato export nell’ultimo periodo di attività. 1) Altri paesi membri dell’Unione Europea in generale. 2) I vecchi paesi membri dell’Unione Europea in particolare. 3) I nuovi paesi membri dell’Unione Europea in particolare. 4) Altri paesi sviluppati (es: area OCSE). 5) I nuovi paesi emergenti. pagina 16 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia Su che proporzione del fatturato si attesta l’export dell’impresa? 1) 0 – 10% 2) 11 – 30 % 3) 30 – 50 % 4) Oltre 50 % Su che proporzione del totale dei costi si attesta l’import di beni e servizi intermedi dell’impresa? 1) 0 – 10% 2) 11 – 30 % 3) 30 – 50 % 4) Oltre 50 % L’impresa ha al momento investimenti produttivi all’estero che riguardano attività di: 1) Engineering e design del prodotto. 2) Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione. 3) Produzione di beni capitali e strumentali. 4) Produzione di beni di consumo. 5) Commercializzazione e distribuzione del prodotto. 6) Servizi di assistenza alla produzione. 7) Servizi di assistenza al consumo. L’impresa ha al momento investimenti produttivi in Italia che riguardano attività di: 1) Engineering e design del prodotto. 2) Produzione di beni/servizi intermedi alla produzione. 3) Produzione di beni capitali e strumentali. 4) Produzione di beni di consumo. 5) Commercializzazione e distribuzione del prodotto. 6) Servizi di assistenza alla produzione. 7) Servizi di assistenza al consumo. pagina 17 di 17 - Il presente documento può essere utilizzato solo per gli scopi istituzionali di Aspen Institute Italia Piazza Navona 114 - 00186 Roma Tel: +39 06 45.46.891 Fax: +39 06 67.96.377 Via Vincenzo Monti 12 - 20123 Milano Tel: +39 02 99.96.131 Fax: +39 06 99.96.13.50 web: www.aspeninstitute.it