Continua... - Mauro Calise

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Tempi supplementari
Avessero il coraggio di farlo, tutti i partiti presenti in Parlamento manderebbero a Napolitano un bel fascio di
fiori cadauno, con un biglietto di ringraziamento. Non per il ruolo di garante del rispetto istituzionale che il
Presidente, ancora una volta, ha svolto senza tentennamenti. Ma perchè rifiutando di firmare il decreto-blitz del
governo, il Capo dello Stato ha tolto, a tutti i contendenti, le castagne dal fuoco. Assumendosi, come di
consueto, le responsabilità che gli competono, Napolitano ha, indirettamente, creato le condizioni migliori
perchè la legislatura continuasse. Levando, in un colpo solo, dagli impacci maggioranza ed opposizione. Che
mentre continuavano a gridare che bisognava correre alle urne, desideravano entrambe in cuor loro di rimanere
saldamente ferme, attaccate alla proprie traballanti poltrone ministeriali e parlamentari.
Il primo ad esser grato al Presidente è, ovviamente, il Cavaliere. Se fosse stato emanato il decreto, la Lega si
trovava in condizione di staccare finalmente la spina. Si sa che Bossi è in pole position, qualora si andasse al
voto, per aumentare considerevolmente i suoi consensi, ma può farlo solo a condizione di presentarsi con
qualche gallone sulla bandiera federalista. Niente decreto, niente elezioni. E niente rebus per Berlusconi. Che,
per quanto continui a dichiarare di esser pronto a buttarsi nella mischia, sa che nessuno oggi è in condizione di
garantirgli la candidatura. Quanti tra i suoi colonnelli rischierebbero di ritrovarsi con un generale che, nel pieno
della campagna elettorale, potrebbe svegliarsi un mattino con un filmino porno - vero o taroccato che sia - su
internet e su tutti i giornali? La bocciatura del decreto consente, invece, al premier di attestarsi sulla sua linea
della resistenza a oltranza, e addirittura al rilancio del governo attraverso un mini-rimpasto.
A guardar bene, però, lo stesso Bossi non deve esserci rimasto tanto male. Intanto ha incassato il colpo con
insolito fair-play, e ha impedito che i suoi ministri, come spesso accade, facessero qualche commento sopra le
righe. Questo atteggiamento remissivo si spiega, in parte, con la consapevolezza di aver preteso una forzatura
che ha esposto il premier a una figuraccia. Ma dipende anche dal fatto che la Lega è a corto di prospettive sul
futuro. Una volta che avrà portato a casa l'ambito medaglione federalista, come potrà Bossi giustificare ai suoi
elettori l'alleanza rinnovata col Cavaliere? Stavolta, oltre che turarsi il naso, dovrebbero anche chiudere gli occhi
e - a giudicare dalle intercettazioni che girano - tapparsi bene le orecchie. Insomma, anche il Senatur avrà
pensato che una pausa di decantazione ed il nuovo passaggio in parlamento gli consentono di ricarburare una
strategia di alleanze che si è, a dir poco, logorata.
Per ragioni diverse e convergenti, il rinvio a tempo indeterminato della resa dei conti elettorale ha riempito di
soddisfazione anche i ranghi dell'opposizione. Il terzo polo è ancora sotto la botta dei transfughi del
calciomercato, ed è ben lungi dall'aver risolto i tre problemi che lo affliggono: leadership, organizzazione e
coesione. Se si giocano bene questa mano, Fini e Casini sanno di poter andare lontano. Ma hanno bisogno di
tempo, e oggi possono prendere fiato. Quanto al Pd di Besani, è in condizioni quasi disperate ma sta cercando di
risalire la china. Il segretario sa di non avere il carisma per mettersi alla guida di una coalizione arlecchino, e
già è un miracolo se riesce a controllare la miriade di tensioni interne che rischiano, da un momento all'altro, di
far implodere il partito. E se non può far a meno, ogni mattina, di ribadire che in un paese normale già da un
pezzo saremmo tornati a votare, Bersani avrà certo tirato anche lui un sospiro di sollievo quando ha capito che,
grazie al Quirinale, le urne erano state procrastinate.
Inoltre, un poco risollevato, si sentirà perfino Di Pietro. Il più determinato - a parole - a ricorrere al voto a tutti i
costi. Ma anche, recentemente, il più isolato. Ha fatto una pessima figura negando alla Lega, in commissione,
l'appoggio che le aveva fornito in parlamento. E gli saranno fischiate le orecchie, sentendo ventilare l'ipotesi che
nella Grande Coalizione per fronteggiare il Cavaliere ci sarebbe posto per tutti, tranne che per il suo partito.
Un'esclusione tanto più pericolosa se si considera che Di Pietro ha costruito le proprie fortune proprio - e solo sull'antiberlusconismo.
Infine, cosa, dietro le nubi imperscrutabili del colle più alto, starà pensando il Capo dello Stato, si può intuire.
Ma non dire.
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