Controesame (teste qualificato) Occorre, innanzitutto, precisare che

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Controesame (teste qualificato) Occorre, innanzitutto, precisare che
Controesame (teste qualificato)
Occorre, innanzitutto, precisare che per teste qualif icato, nell'ambito dell'attuale indagine,
si intende il soggetto che esercita le funzioni di polizia giudiziaria.
Con particolare riferimento al controesame avente ad oggetto il teste qualif icato, va segna lato che esso può risultare, nella sua realizzazione concreta, di notevole difficoltà. Difatti,
l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria è indubbiamente un soggetto che, più delle altre ti pologie di testimoni, conosce "dall'interno" il processo penale. Si noti che nel libro primo
del vigente codice di procedura penale, dedicato ai soggetti del procedimento, sono ricom presi e disciplinati coloro i quali esercitano le funzioni di polizia giudiziaria.
Si aggiunga, inoltre, che, nella prassi, la deposizione del testimone qualif icato è, seppur
larvatamente, finalizzata a suggellare l'attività di investigazione dallo stesso svolta nella
fase delle indagini preliminari. Con la conseguenza che, pur non essendo una parte processuale, bensì un mero soggetto del procedimento, e pur non avendo come fine "istituzionale" quello di far pervenire il giudicante ad una pronuncia di condanna, sul piano prati co, nel controesame del teste qualif icato, va senz'altro tenuto a mente che tale testimone
sarà incline a fornire elementi a carico dell'imputato.
Chi frequenta abitualmente le aule giudiziarie potrà pertanto affermare, senza tema di
smentite, che il teste operante tende naturaliter a riportare fatti e circostanze che possano
condurre ad una pronuncia di condanna.
Pertanto, per il difensore dell'imputato che si appresta a controesaminare un agente di polizia giudiziaria è necessario tenere in conto la natura in re ipsa, potremmo dire, avversa
di eventuali dichiarazioni che tale teste verrà a rendere in dibattimento.
D'altra parte, bisogna, altresì, aggiungere che lo stesso giudicante, sempre nella prassi,
avrà tendenzialmente una naturale attitudine a ritenere privilegiata l'attendibilità del testimone qualif icato rispetto a quello comune.
Sulla base di tali ultime due considerazioni, cioè la attitudine del giudicante e quella dell'a gente operante, occorre prendere le mosse per un approccio pratico al controesame del
testimone qualif icato.
Segnatamente, si può suggerire a chi si accinga a controesaminare una tale sorta di teste
di evitare la cross examination c.d. aggressiva e distruttiva.
Ciò, ovviamente, salvo che il difensore disponga di prove certe ed univoche che possano
minare fortemente la attendibilità del sopra richiamato teste.
Sempre sul piano pratico, è necessario infatti notare come il testimone qualif icato conosca
già le possibili "insidie" del controesame, e di più ha la sopra meglio descritta tendenza a
convalidare, in dibattimento, l'esito delle indagini preliminari dal medesimo svolte.
È agevole osservare come le implicazioni pratiche inerenti alla figura del teste qualif icato
siano state considerate anche dal legislatore processualpenalistico, laddove ha disciplinato il regime della testimonianza indiretta.
Su tale tema, deve farsi riferimento alla disposizione di cui all'art. 195 c.p.p., ed in particolare al comma 4 dello stesso.
Secondo tale norma, infatti, "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità previste dagli
artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni di cui ai
commi 1, 2 e 3 del presente articolo".
È chiaro che la ratio della norma risiede nel vietare ad un soggetto che comunque ha preso parte allo svolgimento delle indagini preliminari di riportare le dichiarazioni raccolte nella fase preprocessuale.
Pertanto, mentre per le altre tipologie di testimoni è possibile riferire in dibattimento quanto
appreso da altri, la stessa cosa è preclusa al teste qualif icato, eccetto alcuni casi marginali.
Occorre comunque riportare, per completezza, l'interpretazione giurisprudenziale fornita in
ordine alla predetta disposizione.
A tale proposito, assume rilievo centrale la sentenza delle Sezioni Unite della Suprema
Corte di Cassazione del 28 maggio 2003, n. 36747, Torcasio, rv 225468. Tale pronuncia
ha fatto chiarezza in ordine ai limiti dell'interpretazione della disposizione de quo, stabilen-
do che il divieto di testimonianza indiretta degli agenti di polizia giudiziaria si riferisce tanto
alle dichiarazioni ritualmente assunte e documentate quanto ai casi in cui la polizia non
abbia provveduto a redigere il verbale, eludendo le modalità di acquisizione delle dichiarazioni. Nella medesima pronuncia, peraltro, è stato precisato che restano fuori dal divieto
tutte quelle espressioni che non costituiscano una "dichiarazione" (un'espressione di disappunto, una minaccia, un colloquio tra due persone), le quali possono essere riferite da
qualunque testimone (compresi quelli qualif icati) senza che si debbano richiamare le norme sulla testimonianza indiretta. D'altronde, la nozione di testimonianza indiretta è delineata dall'art. 195, comma 3, c.p.p., e si riferisce a "dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone", e le sopra indicate espressioni indubbiamente non rientrano tra le dichiarazioni.
A tale sentenza si è adeguata tutta la giurisprudenza successiva.
Nondimeno, va sottolineato che la Corte Costituzionale con sentenza del 30 luglio 2008, n.
305 ha ribadito quanto sostenuto nella pronuncia delle Sezioni Unite sopra citata, peraltro
aggiungendo che: "È infatti irragionevole e, nel contempo, indirettamente lesivo del diritto
di difesa e del giusto processo ritenere che la testimonianza de relato possa essere utilizzata qualora si riferisca a dichiarazioni acquisite con modalità non rispettose degli artt. 351
e 357, comma 2, lett. a) e b), c.p.p., pur sussistendo le condizioni per la loro applicazione,
mentre non lo sia qualora la dichiarazione sia stata ritualmente assunta e verbalizzata. Si
finirebbe per dare rilievo - anche decisivo - come accadrebbe nel caso in esame, ad atti
processuali compiuti eludendo gli obblighi di legge, mentre sarebbero in parte inutilizzabili
quelli posti in esse rispettandoli" (Corte Cost. citata).
Va in ultimo segnalata, normativamente, la disciplina dell'autorizzazione alla consultazione
dei documenti prevista dall'art. 499, comma 5, c.p.p.
A tale proposito, occorre sottolineare come tale norma rappresenti già una deroga al prin cipio dell'oralità del processo penale. Ma con specif ico riguardo alla posizione del teste
qualif icato si deve aggiungere che, proprio per evitare l'ingresso di materiale investigativo
all'interno del processo, il legislatore ha precisato nell'art. 514, comma 2, c.p.p. che è vietata la lettura dei verbali e degli atti aventi ad oggetto l'attività svolta dalla polizia giudizia ria, riconoscendo comunque, la stessa norma, il potere del giudice di autorizzare il testimone qualif icato a consultare i documenti ma con gli stessi limiti di cui all'art. 499, comma
5, c.p.p.
Roma, 12 ottobre 2012
(Avv. Felice Cardillo)