Il Mare Mediterraneo: lago di Tiberiade o acque
Transcript
Il Mare Mediterraneo: lago di Tiberiade o acque
1 Il Mare Mediterraneo: lago di Tiberiade o acque di morte? La guerra, l’accoglienza, la pace. La riflessione che condivido con voi nasce immediatamente dalla necessità di stare da credenti di fronte al continuo dramma che coinvolge il nostro Paese. Il flusso di uomini, donne e bambini che ininterrottamente giunge nella nostra terra, in particolare nelle regioni vicine alle coste africane. Si tratta di un cammino sulle acque del mare Mediterraneo di cui sentiamo parlare solo perché si citano i numeri, perché emergono incidenti clamorosi. Occorre reagire all’assuefazione alle notizie che si susseguono e domandarci se vi è in questi fatti un invito ad entrare con realismo cristiano nel fenomeno a cui stiamo assistendo. Intendo dunque procedere nel nostro discorso con tre passaggi. 1) La prospettiva cristiana da cui porre la questione della pace nel Mediterraneo. 2) Il fatto della rivolta che ha infiammato il Nord Africa. Qualche nota per tenere desta la coscienza dei drammi di cui siamo ‘testimoni colpevoli’. Intendo condividere con voi il desiderio di capire che cosa sta succedendo. 3) Formulare la domanda: c’è un percorso educativo che ci consenta di stare da credenti entro il dramma di tante sorelle e fratelli; e più ampiamente, è possibile che una realtà come la Caritas e la Chiesa italiana possano compiere qualche passo positivo per contribuire a uscire dalla drammatica situazione in cui ci troviamo? 1 La prospettiva con cui leggere la nostra situazione. A- Il titolo della mia riflessione riprende una immagine che è riferimento ideale e preziosa indicazione di percorso. Si tratta di una parola usata da Giorgio La Pira nel 1958 in una lettera a Pio XII. Questa lettera (La Pira stesso, inviandola a Mons. Dell’Acqua qualifica come "tappa" di una meditazione unica che lentamente si svolge nella mia anima: mi pare che sia questa la linea fondamentale della storia di oggi! ) sollecita Pio XII ad una particolare attenzione al dialogo mediterraneo. (...) il Mediterraneo «il lago di Tiberiade» del nuovo universo delle nazioni: le nazioni che sono nelle rive di questo lago sono nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; del Dio vero e vivo. Queste nazioni, col lago che esse circondano, costituiscono l'asse religioso e civile attorno a cui deve gravitare questo nuovo Cosmo delle nazioni. (...) E praticamente cosa fare? Cosa deve fare l'Italia cristiana? Preoccuparsi (con la preghiera, con la meditazione e con l'azione prudente, ma intelligente e a «largo respiro») della «unificazione», della convergenza, di queste nazioni mediterranee: svolgere la propria azione politica, economica, culturale, sociale (religiosa) ecc. in vista della costituzione di questo «centro» del nuovo universo delle nazioni: in vista della costituzione di questo punto di attrazione e di gravitazione delle nazioni: perché da Oriente e da Occidente le nazioni «vengano a bagnarsi» in questo grande lago di Tiberiade, che è, per definizione, il lago di tutta la terra. Si è trattato di una intuizione che ha dato l’avvio, negli anni ’50, a interessanti iniziative che coinvolgevano i sindaci delle città affacciate sul Mediterraneo. Per la sensibilità di credenti che ci unisce qui oggi, vorrei fare una sorta di esegesi delle notizie della nostra cronaca, proprio a partire dal metro di giudizio proposto da La Pira. Noi credenti in Cristo siamo partecipi del movimento posto nella storia da Gesù. Crediamo infatti nella sua incarnazione, e il percorso da lui compiuto nella storia degli uomini trascina con sé anche noi. Siamo in grado di vivere le vicende umane trascinati in esse dal Signore Gesù, che ci ha collegati con se e ci porta a vivere la sua stessa vicenda. La lettera di La Pira interpreta la vicenda di Gesù che si svolge sulle rive del lago di Gennezaret come essa ci viene presentata dagli Evangelisti. E’ l’Incarnazione del Verbo che ci consente di compiere questa lettura e soprattutto l’esercizio in cui mi accingo a coinvolgervi. 2 Se la Resurrezione di Cristo è vera (ed è vera), se è vera (ed è vera) tutta la Rivelazione (Antico e Nuovo Testamento), se Pentecoste (epperciò, la fondazione della Chiesa) è vera (ed è vera), allora la storia totale del mondo (cioè della Chiesa e dei popoli di tutta la terra) ha un senso, una direzione ed una finalità ben definita: Cristo è l'alfa e l'omega, il principio e la fine della storia totale del mondo: la storia attua un disegno che ha Cristo come causa efficiente, causa esemplare e causa finale! La storia del mondo è cristocentrica: a questa conclusione non si sfugge -la storia è la biografia di uno, di Cristo, dice Fornari-. B – La storia ha a che fare con la salvezza. “Nella pienezza dei tempi…”. Un lago singolare: - Per la sua geografia: sprofondato a 180 metri sotto il livello del mare. Con fenomeni inattesi. - Per la sua geografia umana: insediamento ellenistico e romano, Tiberiade, mai nominata nel Vangelo. Con paesi abitati da ebrei, pescatori e mercanti. La ‘via del mare’: accesso più diretto al Mediterraneo per i paesi dell’interno. Pluralismo e contrapposizioni; collaborazioni e mutue contaminazioni. Come si muove Gesù? Opera la redenzione, scacciando i demoni, vincendo contrasti e contrapposizioni. Agisce con creatività, alleviando malattie, solitudini, fame e ignoranza. Si confronta con il male, costruisce condizioni di giustizia maggiore e di contrasto all’egoismo. Proviamo a ripercorrere brevemente la storia del Mare Mediterraneo. Per sommi capi e istantanee. L’acqua, separa o unisce? In un primo tempo l’acqua separa, ma il suo destino, nella storia dei popoli, è unire. Paradossale ma reale: quando la conoscenza pone in mano all’uomo la tecnica del navigare, l’acqua frappone meno ostacoli di un bosco, di una montagna. E la nostra storia, nel mare Mediterraneo, si è mossa in questo senso: i siro/punici, i greci, i romani. Poi l’espandersi dell’Islam nelle sue varie forme culturali, dai saraceni agli ottomani. Quindi la contrapposizione di cui sono testimonianze le ‘guerre dei Franchi’, come venivano chiamate le Crociate, prima dell’uso ideologico che ne è stato fatto dai terroristi. 2 La crisi attuale. A - Ricordiamo le cause remote. o Anzitutto le antiche abitudine ‘eurocentriche’ di conquista e di utilizzo delle terre del continente africano. Dopo il vuoto lasciato dall’impero Ottomano, ecco l’ingresso delle nazioni europee con destini diversi: vi è il regime di protettorato per l’Egitto, la tremenda esperienza della riduzione a ‘territorio metropolitano’ per l’Algeria, e tutta una gradazione intermedia di condizioni di soggezione. o Poi siamo posti di fronte alle nazioni della sponda sul del Mediterraneo con la persuasione che valesse la pena di sostenere regimi dittatoriali anche islamisti, perché non fosse perduto il territorio strategico o ricco di risorse. o La caduta del muro di Berlino consente l’ampliarsi della globalizzazione dell’economia mondiale e il Mediterraneo diviene la “nuova frontiera” tra mondo sviluppato e mondo sottosviluppato, tra civiltà occidentale e civiltà “altre”, innanzitutto quella arabo-musulmana. o L’insoluto conflitto israelo/palestinese continua a condizionare la geopolitica dell’intera regione mediterranea. Alla lealtà verso il mondo ebraico, tanto dimenticato e conculcato in tempi recenti, dovrebbe sempre fare da completamento un interessamento leale e fattivo per la condizione della popolazione palestinese. Essa è di fatto stretta tra la violenza delle forze politiche, più spesso fazioni che partiti, e la decisione di Israele di difendere a qualunque prezzo, umano ed economico, la sicurezza dei suoi cittadini. E talvolta persino le ideologie più estreme, quasi razziste, sono professate da alcuni dei politici e dei cittadini. 3 o La logica mercantile dell’occidente continua a ridurre gli investimenti alle iniziative locali a favore di mezzi e di finanziamenti che vanno all’economia globalizzata. La ricerca delle risorse energetiche, la vendita di prodotti dei paesi industrializzati fanno sì che gli operatori economici locali sono espropriati delle loro produzioni. Non dimentichiamo che la rivolta in Tunisia incomincia proprio con il tragico gesto di Mohamed Bonazizi, venditore ambulante a cui la polizia locale ha distrutto la mercanzia. B - Alcune cause prossime vanno pure ricordate. o o o o I mezzi di comunicazione di massa hanno collegato strettamente tutti i popoli e in particolare hanno consentito che l’immagine del benessere, di cui può godere una parte relativamente piccola del Pianeta, e proprio sulla sponda opposta del Mare Mediterraneo, sia a portata degli occhi, e quindi del cuore. Vedere un mondo bello e ricco ha già un fascino. La condizione di vedere da vicino un mondo di sogno, sia esso una possibilità concreta o una cartolina inventata, continua a produrre quell’esperienza, che avevamo fatto in occasione degli sbarchi dall’Albania. La forza della tecnologia della comunicazione consente di testimoniare anche lontano e addirittura di rendere planetario un fatto. Si sono affacciati alla ribalta della storia i c.d. social network i quali hanno caratteristiche note: multimedialità, facilità d’uso, possibilità per l’utente di inserire contenuti e di renderli visibili. L’incrocio fra questi nuovi media e le tecnologie mobili –smart phone, I- pad- ha steso una rete quasi globale sulla società civile. E’ cronaca di questi anni, come i social network hanno rivelato informazioni, hanno insegnato ai manifestanti ad affrontare le forze di sicurezza, hanno convocato folle nelle piazze. Si rimane colpiti e pensosi nel seguire le modalità della crescita della coscienza di uomini e donne che imparano ad affrontare le strutture ingiuste e le pratiche violente delle autorità per rivendicare la dignità anche di una singola persona conculcata. Si incomincia nel 2005 in Egitto con il movimento Kefaya («abbastanza») contro la rielezione anticostituzionale di Mubarak; si continua con il sostegno ad uno sciopero di operai, schiacciato dalla violenta reazione della polizia, nel 2008. Dall’esperienza egiziana alla Tunisia, dove uno sciopero di operai e un movimento simile a quello egiziano, richiama l’azione popolare di presenza e di sostegno. Di qui alla Serbia, dove un gruppo Otpor, attivo contro Slobodan Milosevic, ha esperienza di resistenza non violenta. Questo gruppo insegna ai movimenti egiziano e tunisino le tecniche di resistenza alla polizia e la pratica di uso dei social network. E di qui di nuovo in Egitto, per mostrare la brutalità della polizia nel caso concreto di un attivista ucciso. Il fatto stesso è reso pubblico. Da ultimo, la censura e l’oscuramento dell’accesso a internet ha fatto il resto: la gente si è riversata nelle piazze per capire che cosa stava succedendo. Un aspetto importante rimane, oggi e soprattutto domani, la condizione dello sviluppo demografico. Basta pensare che oggi i cittadini egiziani sono 80 milioni, e tra 20 o trenta anni saranno addirittura il doppio. Questo fatto innesca una pressione continua che esige di essere liberata. La ricerca di una dimensione più partecipata della società civile. Giovani e ragazze istruiti e senza prospettive hanno attuato una mobilitazione in cerca di dignità e libertà. Si sa infatti che in quei paesi se non appartieni ai ‘giri giusti’ non hai accesso al lavoro, ad un futuro desiderabile. Non si è trattato dunque di una ‘rivolta del pane’, ma di una esigenza più profonda e decisiva, sia per l’età di chi la manifestava, sia per le richieste –alte e significative- che venivano gridate e sostenute dalla gente. 3 Stare la storia da credenti Dobbiamo cercare una prospettiva da cui collocarci per comprendere da credenti il tempo che stiamo vivendo. Si tratta di una raccomandazione solenne contenuta nel Vangelo: “fate attenzione al tempo favorevole in cui vi siete venuti a trovare!” (Luca 12,54-57). Si tratta di ricostituire la unitarietà della nostra vita proprio a partire dall’incontro con il Maestro, domandando a noi stessi, come singoli e come comunità cristiana, quali azioni, quali sentimenti, quali disposizioni d’animo coltivare per riconoscere la parola dello Spirito che risuona in questo momento della storia, in questa occasione della nostra vita. In caso contrario, cioè se noi non riusciamo a riconoscere la chiamata del Signore, eccoci divisi in noi stessi, tra la 4 considerazione che diamo alla nostra condizioni di battezzati e partecipi della storia di Gesù, e cittadini di una storia che sembra ubbidire soltanto ad un disegno enigmatico e incomprensibile. A – Imparare a leggere i fatti che segnano la nostra società. Anzitutto occorre prendere sul serio la globalizzazione; essa, come è noto, è frutto di tutte quelle tecnologie che hanno consentito di spostare i capitali da una zona del mondo all’altra, e di quella facilità di comunicazione che rende possibile alle persone di muoversi da un paese all’altro. Tutto ciò ha reso ancora più evidente una verità a tutti noi ben nota: l’uomo ha un unico destino. Ma questa verità, creduta e ora sperimentata, va poi resa concreta. Vi sono letture erronee o parziali di cui dobbiamo prendere coscienza. o Anzitutto non si può accettare che l’economia, così divenuta vagabonda e onnivora, sia da difendere o da promuovere solo nei nostri interessi. Ogni uomo va riscattato e promosso. La globalizzazione deve diventare partecipazione e corresponsabilità nell’economia, nei diritti dei cittadini e nel diritto del lavoro, per avere un senso. Non siamo forse chiamati a camminare in questa prospettiva? E’ sufficiente ora una tiepida simpatia per i paesi che ricercano la propria strada nella democrazia, per riscattarci dalla interessata incertezza con cui abbiamo seguito lo sviluppo dimezzato di questi Paesi? o L’esperienza della vita nella società ci deve spingere a desiderare e a operare per una democrazia reale, sia nel nostro Paese, sia nei paesi che stanno sulle rive del Mediterraneo. I social network e le moderne tecnologie hanno consentito ai movimenti sociali locali di irrompere dentro i luoghi del potere per imprimere una agenda adatta alla modalità di organizzazione di una società matura e solidale. Certamente la funzione dei social network nel costruire una democrazia, non è priva di rischi. Le nuove vie di comunicazione sono segnate da una forte spinta alla polarizzazione; sono infiltrabili da altri poteri; sono fragili perché, come è stato dimostrato, possono far passare notizie false in modo incontrollabile. Tuttavia sono evidenti i vantaggi del loro uso: hanno introdotto una alternativa ai ‘media’ tradizionali; sono in grado di integrare più profondamente le idee e la capacità organizzativa; hanno la forza per aiutare gruppi e singoli a trovare un comune progetto e di attuarle in tempi brevi. o Il cittadino, e il credente, può dunque guardare a questi fatti della storia contemporanea chiedendosi che cosa di positivo riconoscere per la vita delle persone e della società. Non basta che nei paesi nel nord Africa una elite si sostituisca ad un’altra . E’ certo che nella abulia in cui si trova il cittadino a proposito della politica e della organizzazione della società, nelle rivolte a cui abbiamo assistito troviamo occasioni di stimolo, luoghi nei quali si può attuare un dialogo tra persone. Indubbiamente sarà sempre necessario giungere alla buona politica, intesa come senso delle istituzioni, coscienza civile, disponibilità alla partecipazione. E in questo modo devono essere viste e vissute le novità della cronaca contemporanea. Non è condivisibile dunque la frase letta su di un quotidiano nazionale (Corriere della Sera, 7 marzo 2011) “L’interesse nazionale resta la principale bussola per coloro che devono decidere le politiche estere”. Occorre invece riconoscere che i popoli del nord Africa non hanno più bisogno della tutela occidentale per decidere della propria vita. Hanno già dimostrato la loro maturità e la loro diversità rispetto a noi. o Come cittadini di questo paese dobbiamo chiedere che la nostra politica estera sappia contemperare l’idealità a cui vogliamo dare il nostro contributo, democrazia, rispetto dei diritti, sviluppo economico, rispetto di ogni nazione, con il realismo di saper incontrare situazioni che sono inaccettabili. Perché questo avvenga è indispensabile che il nostro comportamento, come società italiana, sia irreprensibile per ciò che riguarda i diritti di ogni cittadino, e trasparente. Per quanto riguarda poi il trattare con situazioni che eticamente non sono corrette, si tratta di non recedere mai dalle richieste di piena umanità, pur accettando di considerare altri aspetti della realtà: gli aspetti positivi all’interno di situazioni ancora irrisolte, la capacità di continuare a chiedere il pieno rispetto per l’eticità dei comportamenti. 5 o Poi vi sono lontananze che, eliminate fisicamente dai processi di comunicazione tecnologica e di spostamento delle popolazioni, continuano esistere nel giudizio delle persone; le diversità culturali e religiose diventano, nella fantasia o nel dibattito politico viziato di opportunismo, scontri di civiltà. Così si generano incomprensioni e conflitti. Faccio riferimento alle diversità culturali e alle differenze religiose. Non si tratta certo di questioni secondarie e pongono problemi di non facile soluzione. Dobbiamo tuttavia, su questi aspetti della nostra vita, cercare un nuovo inizio, senza ingenuità ma anzi con un realismo che cerchi di leggere la concreta vita delle persone, i loro bisogni, le loro attese. Per questo ho ritenuto importante il discorso di Barak Obama al Cairo, del 4 giugno 2009. Abbiamo aspettato troppo a lungo nel dichiarare che occorre ascoltarci e valorizzare le positività di ciascuna cultura e ciascuna religione. o Dobbiamo tutti operare perché i cristiani rimangano nel Medio Oriente. E’ un fatto di rispetto delle persone e della storia, è oggi una necessità per evitare che l’identità araba divenga solo musulmana. Essere vigilanti significa sostenere che le società che nascono, anche attraverso i rivolgimenti odierni, incoraggino tutte le fedi a vivere le une accanto alle altre. Non solo è importante per quei paesi, ma per la percezione che la possibilità di unica società raggiunge il resto del mondo. La posizione dei cristiani nel Medio Oriente è molto critica. Essere attivi per quello che riguarda l’Iraq, per esempio. B – La decisione positiva dei credenti di fronte alla crisi nel Mediterraneo. Essa nasce dalla domanda: “Chi è il mio prossimo?”. Ricordiamo tutti, per averla ascoltata o per averla letta, la riflessione con cui il Card Martini ci richiamava l’essenziale cambiamento di prospettiva attuato da Gesù a proposito della identificazione del ‘prossimo’. Si tratta di colui davanti al quale io decido il passo che mi “rende prossimo”. 1. Le scelte economico-sociali che compiamo in fedeltà ad una laicità competente e operativa nella società e nella politica. Dobbiamo domandarci che cosa sia in realtà la guerra, con il suo corteo di violenza, di distruzione, di morte. E decidere che si tratta di uno strumento assolutamente inadatto a regolare i rapporti tra gli stati. Già la nostra Costituzione del resto pone vincoli chiarissimi all’ingresso in guerra dell’Italia. Ogni intervento militare infatti, non sostenuto o autorizzato dalle organizzazioni internazionali, è da considerarsi una aggressione. Per giungere dunque ad un procedimento meno scorretto possibile, nell’intervenire militarmente per regolare una situazione di violenza, è necessario che la decisione sia il più possibile obiettiva e ‘spersonalizzata’, come può avvenire nel contesto di una istituzione internazionale. Nessuna nazione imponga la sua volontà. Possiamo guardare come ad una pagina nuova della politica internazionale il fatto che nell’intervento in Libia, abbiano votato a favore non solo ‘i soliti noti’, ma anche le nazioni arabe e africane? Si tratta di rinnovare l’impegno per operare concretamente affinché le relazioni internazionali assumano un nuovo volto. Più solidale, più unitario e più attivo. Anche in questo caso è interessante misurare quali e effetti l’Unione Europea ha prodotto, nel decennio scorso, agendo come una calamita che attraeva i paesi vicini e di fatto ciò introduceva un cambio positivo nei temi dell’economia e nei diritti civili. Si era giunti, all’inizio degli anni ’90, ad operare per una politica comune degli stati europei nei confronti dei paesi che si affacciano al Mediterraneo. Nel 1995 a Barcellona venne siglato l’accordo per l’avvio di un programma di Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), basato su di una cooperazione globale e solidale. Fra le priorità vi era l’impegno a instaurare “la pace, la stabilità e la prosperità nella regione mediterranea”. Vengono delineate tre prospettive di lavoro: - Partenariato per promuovere pace, stabilità e sicurezza. - Partenariato economico-sociale. - Partenariato sociale, culturale, umano, per attuare la conoscenza e la comprensione tra i popoli e un migliore rapporto reciproco, dando primaria importanza al dialogo interculturale e religioso. Le vicende seguite all’attentato di Lockerbie (21 dicembre 1988; indagini concluse nel settembre del 1991), che induce gli Stati Uniti a entrare nella politica mediterranea; (“Nel Mediterraneo gli S.U. cucinano e gli euro-mediterranei lavano i piatti” Robert Kegan). L’11 settembre e l’immagine dello ‘scontro delle civiltà’ 6 rendono inefficaci quei patti. Gli europei poi continueranno ad avere un interesse intermittente per la realtà dei paesi del sud del Mediterraneo, con uno stile del “tentiamo anche questa”: Carta del Mediterraneo, Marsiglia 2000; collaborazione culturale fino alla fondazione di una ‘università mediterranea’ a Portorose, in Slovenia. Se ci vogliamo porre come partners credibili dei paesi in cambiamento, occorre anzitutto rispettare e far vivere la democrazia nel nostro paese. Si tratta di un sistema di voto? Piuttosto essa è una mentalità, una cultura. La crisi del nord Africa è una sorta di specchio deformante che mette in luce i difetti che segnano anche la nostra democrazia. La deresponsabilizzazione dei governanti delegittima fortemente lo stato e lo allontana dalla società perché ha perso la sua funzione di garantire il conseguimento di un bene comune capace di toccare tutte le classi e possibilmente tutte le persone. Ora l’opinione pubblica deve crescere fino a ottenere che si giunga alle elezioni con una vera possibilità di scelta. La democrazia è anche questione di persone che hanno diverse opinioni e magari di differenti culture o fedi, che decidono di vivere assieme in pace, comprendendo il diritto di ciascuno ad avere la propria idea, e tuttavia la necessità di vivere assieme. La carità politica chiede anche di investire in politiche di sviluppo onorando finalmente gli impegni nazionali che ci chiedono di evolvere ai paesi impoveriti una percentuale fissa di Prodotto interno Lordo. Si tratta infatti di attuare una politica più ambiziosa in questo campo, altrimenti continuerà in maniera drammatica l’ingresso di migranti ed esuli, causando nuove tensioni nelle persone e nell’economia di paesi come la Grecia e l’Italia, già segnate da notevoli difficoltà. Nel caso dei migranti sappiamo di doverci muovere senza semplicismi e buonismi. Le situazioni sono serie e impegnative, coinvolgono gli equilibri non proprio consolidati del nostro paese. Per coloro poi che giungono tra noi il tragitto è incerto e pericoloso, reso ancora più odioso dallo sfruttamento degli esseri umani, dalle distanze e dalle solitudini che accompagnano il difficile passo. Naturalmente si tratta di persone che inseguono una speranza personale e uno sviluppo della loro vita. Occorre dunque tenere vigili le nostre coscienze, sia rispetto al passato, verso il quale abbiamo come paese una vera responsabilità, non sempre vissuta con rispetto e per la quale non abbiamo sempre risposto con coraggio e generosità. Non si può continuare con una politica segnata da ambiguità e improvvisazione. Occorre operare perché i paesi del Mediterraneo e i nuovi arrivati non siano soltanto considerati oggetto di cura; è arrivato il momento per rendere gli immigrati e i loro paesi partecipi dei progetti che noi intendiamo realizzare su di loro. Nuovo inizio dunque dei campi di raccolta, dei luoghi di accoglienza che dovrebbero più correttamente essere chiamati luoghi di restrizione. Occorre richiamare con forza che le risorse per accogliere queste persone non sono quelle immediatamente messe a disposizione; importanti e per certi aspetti risolutive sono quelle che si spendono sul territorio; e questo è lo spazio dell’operosità della Diocesi e della Caritas. Sono le strutture, le istituzioni, i programmi capaci di svolgere sistematicamente il compito di accogliere i più sfavoriti. 2 – Le scelte culturali e religiose a partire dalla nostra appartenenza alla Chiesa. La religione può aiutarci ad una lettura condivisa della realtà? Nel nostro percorso di ricerca, affrontiamo da ultimo il tema del dialogo tra persone che appartengono a religioni diverse. Anche qui vi è un cammino da fare per crescere nella consapevolezza dei tempi nuovi che ci sono dati da vivere, e per aiutare le persone, in particolare i credenti, a vivere la condizione del Mare di Galilea. La ‘vulgata’ sul tema delle religioni e del loro confronto, è di solito segnata da pessimismo. Riprendiamo tre temi di questo sguardo, e cerchiamo di darne una lettura positiva. 1. La religione è in se stessa operatrice di divisioni. E’ giusto riconoscere che talvolta è così: tuttavia fede e ragione sono compatibili. Attraverso questa dimensione ragionevole della vita, si può giungere alla 7 reciprocità tra le confessioni religiose. Di fronte al diritto che esigono per se stesse, sono tenute al rispetto dei diritti degli altri. Compreso il rispetto per i ‘giusti limiti’ nell’esercizio della propria libertà religiosa. 2. La religione incoraggia l’estremismo fondamentalista. Dobbiamo ricordare che il valore della vita è centrale per ogni esperienza religiosa. Occorre andare più a fondo nell’analisi: molto spesso, anzi sempre, dietro al fondamentalismo vi è una lettura politico-culturale della persona umana, a partire da una idea gretta e distorta, della storia umana. E l’altro è considerato come inferiore. 3. La religione rende più difficili i rapporti nella società perché i credenti appartengono ad essa con una lettura rigida e ideologica. Occorre ricordare che vi è una laicità positiva, o del confronto, che non si lascia toccare da ostilità, pregiudizi, indifferentismo. Per il resto, dobbiamo ricordare che ciascuno di noi agisce come pensa e nessuno di noi può lasciare a casa i suoi riferimenti fondanti. Si tratta di imparare a riconoscere il positivo nell’altro. La dignità umana è affermata in nome della comune umanità e ciò sta al fondo della esperienza religiosa e aperta al rispetto dei diritti fondamentali. La vita umana non ha senso senza il desiderio di trovare la verità e di vivere nella libertà: relazione con Dio e con le persone; a questo ci spinge la vita e l’opera di Gesù. Padre Silvano, ora in Algeria per comprendere meglio che cosa significa vivere sul confine tra religioni diverse, scrive di tanto in tanto delle riflessioni. Ne cito una, per la sua attualità. Siamo a Jenin, è il 3 novembre 2005, il primo giorno dell’Aid Al Fitr, la festa che conclude il mese sacro di Ramadan, il piccolo Ahmed, dodici anni, ha in mano un fucile giocattolo. Un soldato israeliano scambia il giocattolo per un’arma vera e spara. I medici chiedono ai genitori se sono disposti a donare i suoi organi. Per un palestinese il consenso vuol dire accettare che quel cuore, quel fegato, quei reni porteranno vita a uomini, donne bambini israeliani come il soldato che ha premuto il grilletto. I genitori prima di dire di sì, consultano l’Imam e questi dice: “Dona quegli organi, perché qualcun altro abbia la vita”. E così è successo nella “Jenin dei Terroristi”. Spesso, quando sento alcuni amici musulmani che lasciano parlare il cuore, mi ritrovo sentimenti e parole universali. Il bello è che nel linguaggio del cuore risento le stesse parole, gli stessi sentimenti di Gesù. Il credente è anche persuaso che il Dio in cui crede è sempre oltre la rappresentazione che ciascuno sa dare della divinità. Chi vive con intensità la sua propria fede riconosce di avere una idea di Dio, ma di stare di fronte ad una Presenza che supera la sua capacità di comprendere, e la parola con cui cerca di esprimere la presenza del divino. E’ evidente che un simile modo di stare nella propria esperienza religiosa, segna poi in maniera decisiva la propria vita quotidiana, e consente di aprire il discorso con chi ha un’altra fede religiosa. Leggiamo assieme questa singolare Lettera a un amico musulmano. Mio fratello musulmano. L’altro giorno mi hai chiesto perché non mi facevo musulmano. Sorpreso, non ti ho risposto subito. Poi mi son detto e ti dico: “Perché tu non ti converti al cristianesimo?” In realtà queste domande non ci fanno avanzare nelle nostre relazioni. Il più importante è di credere che Dio è con ciascuno di noi. Tu sei mio fratello. Non sono diverso da te. Solamente, io credo in Dio tramite Gesù. Tu, tramite il Corano. Noi viviamo insieme, crediamo nell’unico Dio. Dobbiamo rispettarci e conoscerci di più e creare un clima di tolleranza e di fiducia. Per noi cristiani, il primo comandamento è di amare Dio più di tutto e di amare il prossimo come se stessi. E per voi musulmani, qual è la prima esigenza? Non aver paura di avvicinarti a me. Frequentarmi non è un peccato, anche se la società insiste a farti pensare che l’Islam à l’unica via di accesso al Paradiso. Ricordati che un giorno mi hai chiesto di bruciare una candela secondo le tue intenzioni. L’ho fatto con la mia convinzione e l’ho presentata a Gesù e ho chiesto a Maria che tu sia esaudito. Il mio desiderio più vivo è che possiamo trovarci in uno scambio che ci arricchisca della fede dell’altro. Questo scambio ci porterebbe a una migliore conoscenza di Dio e amplierebbe la nostra preghiera. Ti abbraccio, fratello. (Dal bollettino diocesano della Diocesi di Costantine, Algeria). 8 E’ importante guardare alle prospettive di speranza che sappiamo dare ai nostri giovani. Se ciò che abbiamo delineato è un sogno, che i sogni non rimangano tali solo per la nostra pigrizia. Concludo Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. 18 Non si sentirà più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza [giustizia] le tue mura e gloria [preghiera] le tue porte. (Isaia 60,17-18) Ritornando a La Pira: E’ di notte che è bello credere nella luce; dobbiamo forzare l’aurora a nascere, credendoci. (Mons Giovanni Giudici ad un incontro della Caritas di Milano)