Danno non patrimoniale il decimo problema di Hilbert

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Danno non patrimoniale il decimo problema di Hilbert
Scuola Superiore della Magistratura – Struttura di Formazione Decentrata del Distretto di Brescia
“Il punto sul risarcimento del danno non patrimoniale” – 27 marzo 2015
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
NON PATRIMONIALE OSSIA IL
DECIMO PROBLEMA DI
HILBERT
di Giuseppe Buffone,
Giudice del Tribunale di Milano
***
[1]. Introduzione: l’«anima tormentata» del danno non
patrimoniale - [2]. “Die unendliche Geschichte”1 del
danno patrimoniale - [3]. La recidiva dopo le Sezioni unite
- [4]. Tempi contemporanei.
[1]. Introduzione: l’«anima tormentata» del danno non patrimoniale
Il risarcimento del danno si colloca, sistematicamente, nell’ambito delle sanzioni (civili)
riparatorie2. Si tratta di una tutela rimediale con carattere compensativo (e non punitivo3) in quanto
tende a reintegrare il danno provocato dalla violazione della situazione giuridica soggettiva:
conseguentemente, per la vittima è “pecuniariamente” indifferente non patire il danno, ovvero patire
il danno ma intascare il risarcimento4 (cd. principio di indifferenza). La matrice squisitamente
compensativa della tutela rimediale esclude che il danneggiato possa trarre vantaggio dal fatto illecito
essendogli precluso di incamerare più di quanto sia necessario per ricondurlo allo status quo ante
(ossia la situazione precedente l’illecito). Taluni sostengono che, accanto alla tipica funzione
1
Ossia “La storia infinita”, parafrasando il romanzo di Michael Ende
BIANCA, Istituzioni di diritto privato, 2014, 5
3
La Corte Costituzionale, tuttavia, in passato, in un’occasione, ebbe a sottolineare la funzione “anche sanzionatoria” del
risarcimento: v. Corte Cost., 14 luglio 1986 n. 184 in Giust. Civ., I, 2324. Dalla pronuncia citata: «E’ impossibile negare
o ritenere irrazionale che la responsabilità civile da atto illecito sia in grado di provvedere non soltanto alla
reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma fra l'altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad ulteriormente
prevenire e sanzionare l'illecito, come avviene appunto per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto
alla responsabilità penale (anzi, forse meglio, insieme ed "ulteriormente" alla pena pubblica) la responsabilità civile ben
può assumere compiti preventivi e sanzionatori. Né può essere vietato al legislatore ordinario, ai fini ora indicati,
prescrivere, anche a parità di effetto dannoso (danno morale subiettivo) il risarcimento soltanto in relazione a fatti illeciti
particolarmente qualificati e, più di altri, da prevenire ed ulteriormente sanzionare”.
4
cfr. Cass. Civ., sez. III, 13 giugno 2014 n. 13537 (Pres. Berruti, rel. Rossetti)
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reintegratrice, la tutela risarcitoria avrebbe anche una funzione di general deterrence5 con ricadute
pratico-applicative in punto di quantificazione della somma riparatoria. In linea di principio, la lesione
è riparata in forma specifica: là dove ciò non sia possibile, alla vittima del fatto illecito viene erogato
un tantundem monetario che traduce, in moneta, ciò che il danneggiato ha “perduto”. Il tantundem
monetario versato dal danneggiante non ha la finalità di “arricchire” il danneggiato bensì, in linea con
quanto sin qui precisato, il fine di “restaurare” la sua situazione giuridica soggettiva. Non mancano,
tuttavia, voci autorevoli nel senso di assegnare alla somma monetaria di risarcimento la finalità di
garantire al danneggiato utilità sostitutive capaci di creare condizioni alternative a quelle pregiudicate
dal fatto illecito6: per taluni, le citate utilità dovrebbero, peraltro, far conseguire alla vittima del fatto
illecito finanche una situazione qualitativa migliorativa, rispetto a quella precedente. Questo dibattito
si è sviluppato, per lo più, con riguardo allo specifico tema del risarcimento del danno non
patrimoniale nell’ambito del quale, sostanzialmente, gli Autori hanno sostenuto ora la funzione
punitiva7, ora quella meramente reintegratrice, ora quella satisfattiva8. Come noto, gli studi più recenti
– ma soprattutto la giurisprudenza pressoché consolidata – assegna alla tutela del risarcimento una
vocazione reintegratrice ritenendo che il danno abbia lo scopo di sostituire una utilità perduta con un
equivalente pecuniario equitativamente scelto9. Questo procedimento di «monetizzazione delle
perdite» incontra serie difficoltà nel caso in cui il pregiudizio sia di tipo non patrimoniale: non già
solo nel momento di selezione delle lesioni che possono essere ammesse al risarcimento, ma pure là
dove si tratti di quantificare, in moneta, il tantundem da versare alla vittima del fatto dannoso. Questi
nodi interpretativi hanno interessato (e interessano) una grande vastità di studi ma soprattutto hanno
comportato (e comportano) un flusso continuo di giurisprudenza. La dottrina ha evidenziato, d’altro
canto, a più riprese, l’impossibilità di una trattazione unitaria del danno non patrimoniale10
frantumandosi questa in una pluralità di considerazioni che attengono alle diverse fattispecie11. Sta di
fatto che, ad oggi, non è possibile sostenere di essere giunti a un pacifico diritto vivente nonostante i
plurimi interventi delle Sezioni Unite, quasi che il danno non patrimoniale avesse un’anima
tormentata. Sembra ci si trovi, ahimè, al cospetto del famoso «decimo problema di Hilbert»12.
[2]. “Die unendliche Geschichte”13 del danno patrimoniale
E’ opportuno, a questo punto, seguire il tracciato formato dalle tappe più importanti che hanno
condotto all’attuale «stato dell’arte» in tema di risarcimento del pregiudizio non patrimoniale. L’art.
1151 del codice civile del 1865, sulla scorta del codice napoleonico, indicava nel “danno”, senza
ulteriori aggettivazioni, l’oggetto del risarcimento. Ne era seguito un acceso contrasto di
giurisprudenza avente essenzialmente ad oggetto la ammissibilità, o meno, di una voce risarcitoria
cd. morale, come tale priva di un risvolto economico puro14. La Cassazione del Regno, a Sezioni
Unite, nel 1924, aveva, infine, composto il contrasto ammettendo alla tutela rimediale il solo
pregiudizio economico. Già allora, tuttavia, l’insegnamento del giudice di legittimità non aveva creato
uno stabile diritto vivente, essendo rimasta viva l’opinione contraria, vuoi in giurisprudenza, vuoi in
Dottrina. Il Legislatore del 1942, nella nuova codificazione, aveva optato per una soluzione di
5
NAVARRETTA, Il danno non patrimoniale: principi, regole e tabelle per la liquidazione, 2010, 273
Sull’argomento, cfr. FRANZONI, Il danno risarcibile, 2010, 617 e ss che richiama Cass. 11 ottobre 1985 n. 4947 in merito
alla funzione del risarcimento nel senso di creare utilità sostitutive
7
BONILINI, Il danno non patrimoniale, 1983, 296 e ss
8
Per una ricostruzione, cfr. ROSSETTI, Il danno non patrimoniale, 2010, 124 e ss. La funzione reintegratrice ha il fine di
ricostruire lo status quo ante; la funzione punitiva ha il fine di punire il colpevole; la funzione satisfattiva mira a consolare
il danneggiato con utilità sostitutive.
9
cfr. ROSSETTI, Opera cit., 134
10
MONATERI, La responsabilità civile in Tr. Sacco, III, Torino, 1998, 295
11
ALPA, MARICONDA, Codice civile commentato, Milano, 2009, II, 3168
12
Nel 1900, David Hilbert propose alla comunità internazionale 23 problemi matematici. Nel 1970, Yuri Matiyasevich
dimostrò che il decimo problema di Hilbert era irresolubile. Cfr. DAVIS M., Hilbert’s 10th problem, American
Mathematical Monthly, 1973; MASCI, Il decimo problema di Hilbert, 2006.
13
Ossia “La storia infinita”, parafrasando il romanzo di Michael Ende
14
Cfr. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile (2028 – 2059), 2012, 636
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compromesso, includendo, espressamente, tra i danni risarcibili, quello “non patrimoniale” ma
circoscrivendone la riparazione alla previsione di legge (“nei casi determinati dalla legge”; l’attuale
art. 2059 cod. civ.). La Relazione al codice civile precisava, peraltro, che tale riserva di Legge doveva
essere letta come riferimento all’art. 185 del codice penale, apparendo opportuno limitare, dunque, il
risarcimento del pregiudizio non patrimoniale ai soli danni morali generati dal reato15. Si veniva, così
a creare una impalcatura bipartita con il risarcimento dei danni patrimoniali (atipici, ex art. 2043 c.c.),
da un lato, e il risarcimenti dei danno morali (tipici, ex artt. 2059 c.c., 185 c.p.), dall’altro. Nelle more,
tuttavia, l’Ordinamento giuridico vedeva affiorare, sempre più ipotesi “altre” di danno non
patrimoniale, previste a livello di diritto positivo, a volte sotto l’impulso della legislazione europea16.
Il sistema “morale-centrico” di danno non patrimoniale veniva, così, ad affievolirsi e l’attenzione
degli interpreti e dei giudici iniziava, conseguentemente, a dirigersi verso ciò che pure appariva
risarcibile, ex art. 2059 c.c., anche in assenza di una fattispecie incriminatrice penale. Le timide
reazioni della giurisprudenza non inducevano, però, a mutare la lettura tralaticia e, pertanto, si tendeva
a giustificare questo «danno non patrimoniale “altro”» come espressione comunque di una tipicità
legislativa, seppur formatasi fuori dal codice civile. La lettura tradizionale restava ancorata, quindi,
alla equivalenza “danno non patrimoniale = danno morale da reato”. Proprio sulla scorta di questo
ragionamento interpretativo, la giurisprudenza attraversava una vera e propria «crisi» ermeneutica al
cospetto di un nuovo diritto da ammettere al risarcimento: quello alla salute. Si era, infatti, affermata
nell’ordinamento la nozione di cd. “danno biologico” inteso come menomazione dell’integrità psicofisica dell’offeso. Ebbene, questo pregiudizio andava a ledere un interesse finanche qualificato come
inviolabile dalla Costituzione (la salute ex art. 32 Cost.) e, tuttavia, in caso di lesione, rischiava di
restare senza copertura economica in sede risarcitoria in quanto: non aveva sostrato patrimoniale (e
quindi fuoriusciva dall’alveo dell’art. 2043 c.c.), ma nemmeno rispondeva ai requisiti classici richiesti
dall’art. 2059 c.c. Per porre rimedio a questa aritmia della circolazione dei diritti, la giurisprudenza
aveva elaborato una sorta di fictio iuris allorché affermava che poiché l'integrità psico - fisica
dell'uomo è sempre impiegata per realizzare attività volte all'acquisizione od alla conservazione di
beni patrimoniali, la stessa integrità costituisce bene patrimoniale e, conseguentemente, ogni
riduzione della medesima realizza un deficit patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c. Questa lettura
non incontrava, però, di lì a poco, il consenso della Corte Costituzionale, intervenuta con la sentenza
n. 184 del 198617. Secondo la Corte delle Leggi, l’ingiustizia del danno biologico e la conseguente
sua risarcibilità discendevano direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, primo comma, Cost. e
2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima. Dalla
correlazione tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., veniva posta una norma che, per volontà della
Costituzione, non poteva limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico. Si profilava,
dunque, un sistema, di fatto, tripartito: danno patrimoniale (2043 c.c.), danno morale (2059 c.c.),
danno biologico (32 Cost. + 2043 c.c.). Le aperture della risarcibilità, al danno biologico, avevano,
tuttavia, rappresentato una “scossa” nella costruzione dogmatica del momento: se è vero che “non di
sola salute vive l’uomo”18, allora è anche vero che proprio la salute non è l’unico diritto presidiato a
livello costituzionale. In altri termini, si riteneva che tale lettura dell’art. 2043 c.c., sotto la lente della
carta Costituzionale, fosse chiaramente miope se adottata, con metodologia restrittiva, a favore di uno
15
"Circa il risarcimento dei danni cosiddetti morali, ossia circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti
dell'illecito che non hanno natura patrimoniale, si è ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità o la compensabilità
che l'art. 185 del codice penale pone soltanto per i reati".
16
Basti pensare al d.lgs 111/1995, in tema di danno “da vacanza rovinata”, (ma ora si veda: Decreto Legislativo 6
settembre 2005, n. 206 "Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229"), per il quale,
anche di recente, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha optato per una nozione di danno non patrimoniale in
senso ampio, (CGE sentenza 12.3.2002, n. C 168/00). Si può, però, anche ricordare il danno da irragionevole durata del
processo, (art. 6 CEDU, legge 89/2001, cfr. Cass. SS.UU. n. 1339 del 26 gennaio 2004).
17
Tra i commentatori, cfr.: ALPA, Danno biologico – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. in Nuova
giur. civ. comm., 1986, I, 547; MONATERI, La costituzione e il diritto privato: il caso dell’art. 32 Cost. e del danno
biologico in Foro It., 1986, I, 2976.
18
CENDON, Non di sola salute vive l’uomo in Responsabilità civile e tutela dei diritti, 1998
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solo dei Diritti confezionati nella Costituzione. In particolare, contro una restrizione del sistema
risarcitorio – come formatasi nella giurisprudenza del momento –, si levava il pensiero della Scuola
cd. esistenzialista19 la quale assumeva come doveroso offrire la tutela rimediale ex artt. 2043, 2059
c.c. anche alle lesioni riguardanti i risvolti personali ed esistenziali di qualunque genere di illecito,
comportanti una modificazione negativa delle modalità attraverso le quali il soggetto esplica la
propria personalità (cd. danno esistenziale)20. La giurisprudenza si orientava per un decisivo e storico
revirement nel 2003, con le sentenze nn. 8827 e 882821. Con queste pronunce gemelle, il Collegio di
Cassazione riteneva che la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all'art. 185 c.p.,
come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al
turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato non potesse essere
ulteriormente condivisa. Abbandonato, dunque, il solco tracciato dai precedenti pretorili conformi, la
Corte di Cassazione affermava i seguenti principi di diritto: 1) il rinvio dell’art. 2059 c.c., ai casi in
cui la legge ammette la riparazione del danno non patrimoniale va riferito, dopo l’entrata in vigore
della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale e, pertanto, sono ammessi al
risarcimento (se lesi) tutti i valori della persona costituzionalmente garantiti (e la salute è solo uno di
essi); 2) venendo in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il
risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva
di legge correlata all'art. 185 c.p.; 3) il danno biologico è da ricondurre, dunque, all’art. 2059 c.c. (in
linea con Corte Cost. 372/1994). Le sentenze gemelle, messa da parte una catalogazione tripartita dei
danni risarcibili, riorganizzavano la responsabilità civile in modo bipartito, collocando i pregiudizi
squisitamente patrimoniali nell’ambito dell’art. 2043 c.c. e collocando quelli non patrimoniali, tutti
nell’art. 2059 c.c., con ciò però precisando che il danno non patrimoniale non fosse solo quello morale
bensì anche quello derivante dalla lesione di valori protetti dalla legge fondamentale (Costituzione).
La nuova costruzione, inaugurata dalla Suprema Corte, otteneva, ben presto l’avvallo costituzionale.
La Consulta, infatti, con la sentenza n. 233 del 2003 offriva un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno
di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: «e dunque sia il danno
morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno
biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito,
all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.);
sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla
lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona»22. La Corte delle Leggi
convalidava, dunque, un sistema di responsabilità civile di tipo bipolare (danno patrimoniale – danno
patrimoniale), seppur aderendo a una concezione tripartita del danno non patrimoniale, inteso nelle
sue autonome categorie di “danno biologico” (compromissione di natura areddituale dell’integrità
psicofisica della persona), “danno morale” (cd. pretium doloris23 ossia lesione dell’integrità morale),
“danno esistenziale” (danno da lesione di interessi costituzionalmente tutelati)24. Questa lettura
19
ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenziale, in Contr. Impr., 1994, 845-869; CENDON, ZIVIZ, Il risarcimento del danno
esistenziale, 2003
20
ZIVIZ, Il danno non patrimoniale, in La responsabilità civile, a cura di CENDON, 1998
21
Cass. Civ., sez. III, sentenze 31 maggio 2003 n. 8827 e 8828 in Foro It., 2003, I, 2272 e ss
22
Corte cost., sentenza 11 luglio 2003 n. 233. Tra i commentatori: CENDON-ZIVIZ, Vincitori e vinti (..dopo la sentenza n.
233/2003 della Corte costituzionale) in Giur. it., 2003, 1777 e ss; BONA, Il danno esistenziale bussa alla porta e la Corte
Costituzionale apre (verso il “nuovo” art. 2059 c.c.) in Danno e resp., 2003, 841; PERLINGIERI, L’art. 2059 c.c. al vaglio
della Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale si allinea con la Cassazione in Danno e resp., 2003, 962
23
Secondo il diritto francese : «le prix de la douleur», les souffrances liées à l'accident ainsi qu'au sentiment de
dévalorisation de la victime qui ne peut en découler. V. GOBERT, La Réparation du dommage moral en matière
contractuelle: étude comparative, Paris, 1997
24
Ex multis, cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza 6 febbraio 2007 n. 2546: “Il danno esistenziale, da intendere come ogni
pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli
assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua
personalità nel mondo esterno, non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma
un autonomo titolo di danno”
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veniva in seguito ulteriormente ribadita (Corte cost., ordinanza 28 gennaio 2005 n. 58). Sulle
fondamenta gettate da Cassazione (8827/13) e Corte costituzionale (233/13) gli interpreti, tuttavia,
ancora una volta erigevano esegesi ermeneutiche diversificate, frantumando, di nuovo, la storia del
danno non patrimoniale. Secondo un primo orientamento, infatti, la “nuova lettura” dell’art. 2059 c.c.
aveva dissolto il principio di “tipicità” del danno non patrimoniale e ammesso, dunque, il fronte
risarcitorio in ogni ipotesi di pregiudizi cd. esistenziali, consistenti, in genere, in uno
“sconvolgimento” delle abitudini di vita. In particolare, secondo questa lettura, il nuovo trend aveva
legittimato una nuova categoria concettuale da riconoscere nella sintesi lessicale “danno esistenziale”,
diverso dal danno biologico e da quello morale. Altra opposta lettura, negava che la tipicità dell’art.
2059 c.c. fosse venuta meno e riteneva che, semplicemente, fosse stata inclusa, proprio in quella
tipicità, il testo costituzionale quale sorgente cui attingere per riconoscere o non la tutela rimediale
risarcitorie. Soprattutto, contestava che potesse essere riconosciuta una categoria ontologica
autonoma quale il “danno esistenziale”. Il contrasto emergeva, in particolare, a seguito della sentenza
15022 del 2005, della Corte di Cassazione25. In questa decisione, il Collegio affermava che,
interpretando correttamente l’art. 2059 c.c., nel nuovo sistema bipolare delineato da Cass. 8827/13 e
Corte cost. 233/13, “non può farsi riferimento ad una generica categoria di "danno esistenziale"
(dagli incerti e non definiti confini), poiché attraverso questa via si finisce per portare anche il danno
non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione dell'apparente tipica figura
categoriale del "danno esistenziale", in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente
previste dalla norma ai fini specifici della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione
non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art.
2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona, ritenuti
inviolabili dalla norma costituzionale”. Le divergenze di pensiero, nel tempo, si estendevano ad altri
profili pur significativi (onere della prova; quantificazione, etc.) generando così una polifonia
interpretativa a fronte della quale, la Suprema Corte, decideva di investire le Sezioni Unite. Con
l’ordinanza n. 4712 del 200826, la terza sezione civile richiedeva al giudice supremo, nella sua
massima composizione, di dirimere i contrasti prendendo atto di un sistema risarcitorio dei danni
ormai definitivamente riconosciuto come sistematicamente bipolare (danno patrimoniale/danno non
patrimoniale) e sottosistemicamente pentapartito (lucro cessante/danno emergente, da un canto;
danno morale subbiettivo/danno biologico in senso stretto/danno "derivante da lesione di altri
interessi costituzionalmente protetti", dall'altro). Le Sezioni Unite si pronunciavano con quattro
sentenze gemelle, depositate in data 11 novembre 2008 e recanti i numeri 26972, 26973, 26974,
2697527 intensificando, invece che affievolirlo, lo scontro tra i diversi orientamenti in campo28. Con
questa pronuncia, le Sezioni Unite, con un articolato di motivazioni non esente da scompostezze e
contraddizioni, affermavano che il danno non patrimoniale deve essere liquidato unitariamente, non
potendosi distinguere tra diverse voci di danno ex art. 2059 c.c., se non con valenza descrittiva. In
particolare, assumevano che non potesse essere annessa una categoria generica di “danno
esistenziale” apparendo risarcibile non la lesione di ogni danno all’esistenza della persona ma solo le
lesioni germinate da vulnera a diritti protetti dalla Costituzione. Più in dettaglio, il Collegio affermava
che: 1) il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in
due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad es., nel caso in cui il fatto
illecito integri gli estremi di un reato); e quella in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non
essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una
interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in
modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione; 2) il danno non
25
Cass. Civ., sez. III, sentenza 15 luglio 2005 n. 15022 in DeG, 2005, 40, 48
Cass. Civ., sez. III, ordinanza 25 febbraio 2008 n. 4712 in Danno e resp., 2008, 553
27
Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 in Guida al diritto, 2008, 47 18.
28
Sono emblematiche già le risposte della Dottrina, all’indomani della sentenza: CENDON, Non con l’accetta per favore
e Ha da passà a nuttata, in www.personaedanno.it; contro GAZZONI, Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla
porta, rientrerà dalla finestra in www.iudicium.it.
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patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è
possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. E’, pertanto,
scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale
soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la
sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella
liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante; 3) non
è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d’un danno definito “esistenziale”, inteso quale
la perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo
di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce né più né meno che un ordinario
danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., e che non può essere liquidato
separatamente sol perché diversamente denominato. Quando, per contro, un pregiudizio del tipo
definito in dottrina “esistenziale” sia causato da condotte che non siano lesive di specifici diritti della
persona costituzionalmente garantiti, esso sarà irrisarcibile, giusta la limitazione di cui all’art. 2059
c.c.; 4) deve essere negata la risarcibilità dei danni non patrimoniali cc.dd. “bagatellari”, ossia quelli
futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità. L’intervento delle
Sezioni Unite – otteneva l’avvallo della Consulta (v. Corte costituzionale, 15 dicembre 2010 n. 355,
Pres. De Siervo, est. Quaranta) - aveva lo scopo di creare una “Pangea” del danno non patrimoniale:
tuttavia, la Pangea appena forgiata dalla nomofilachia, di lì a poco – volendo proseguire in questa
metafora - si spezzava sotto la spinta di un vero e proprio processo di tettonica delle placche.
[3]. La recidiva dopo le Sezioni Unite
L’incertezza di regole comuni stabili nell’interpretazione dell’art. 2059 c.c., come se si
trattasse di una patologia debellata dalla cura delle Sezioni Unite, di lì a poco ritornava ancor più
acuta regalando al sistema-diritto una evidente recidiva. Nemmeno occorreva aspettare molto: già
pochi giorno dopo il deposito delle sentenze gemelle, altre pronunce della Suprema Corte agitavano
critiche contro i principi delle Sezioni Unite. Un terreno che incontrava vere e proprie smentite è
quello del danno morale29. Contraddicendo espressamente le Sezioni Unite, le stesse sezioni semplici
della Cassazione tornavano ad affermare l’autonomia ontologia del danno morale (v. Cass. Civ., sez.
III, 28 novembre 2008, n. 2840730), affermandone la “separatezza” risarcitoria rispetto al danno
biologico(Cass. Civ., sez. III, 12 dicembre 2008, n. 2919131). Lo stesso Legislatore, con due diversi
interventi normativi, metteva in dubbio la costruzione delle Sezioni Unite, postulando, seppur in
specifici settori, la diversità strutturale, ai fini del risarcimento, tra danno biologico e danno morale32.
Una sostanziale smentita si registrava, invero, anche nelle tabelle risarcitorie elaborate
dall’osservatorio per la Giustizia di Milano, all’indomani delle Sezioni Unite: infatti, i criteri
meneghini virtuosi di liquidazione del pregiudizio alla salute, optavano per l’adozione di un punto
risarcitorio unico (danno non patrimoniale) cumulando, però, nello stesso, il danno biologico e il
danno morale, ancora una volta calcolato in percentuale rispetto al quantum liquidato a titolo di riparo
per la lesione dell’integrità psicofisica, con un metodo che veniva giudicato «fondato su presupposti
29
Sia consentito richiamare: BUFFONE, Liquidazione del danno biologico e del danno morale, da sinistro stradale:
progressiva erosione della tesi della somatizzazione (SS.UU: 26972/2008) in Archivio giuridico della circolazione e dei
sinistri, 2009, fasc. 10, 783; BUFFONE, I limiti legali al risarcimento del danno alla salute dopo le Sezioni Unite del 2008
in Resp. civ. e prev., 2009, 7-8, 1674
30
Guida al diritto 2008, 50 104
31
Diritto & Giustizia, 2008. Nello stesso solco: Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2009 n. 11701 (Pres. Varrone, rel. Petti).
Ancor più esplicita: Cass. Civ., sez. III Civile, sentenza 16 febbraio 2012, n. 2228 (Pres. Trifone – rel. Scarano).
32
Si tratta, in primis, del d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 (Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di
riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero,
nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell'articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
Regolando, all’art. 5, la misura del risarcimento/indennizzo, la normativa distingue espressamente tra danno morale (DM)
e danno biologico (DB). Il provvedimento è stato abrogato dal d.lgs 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell’ordinamento
militare: v. art. 2269). Si tratta, poi, del d.P.R. 30 ottobre 2009 n. 81 (recante i criteri medico-legali per l'accertamento e
la determinazione dell'individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di
tale matrice, a norma dell'articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206).
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“Il punto sul risarcimento del danno non patrimoniale” – 27 marzo 2015
antitetici e inconciliabili con quelli enunciati da Cass., sez. un., 11 novembre 2008 n. 26972»33. Più
esplicitamente, in arresti successivi alle sopravvenienze citate, la Cassazione invitava, seppur in modo
indiretto, gli interpreti a riconsiderare l’approdo delle Sezioni Unite affermando che la modifica del
2009 delle tabelle del tribunale di Milano non «aveva mai "cancellato" la fattispecie del danno morale:
né avrebbe potuto farlo senza violare un preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca
successiva alle sentenze del 2008 delle sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non,
evidentemente non può in alcun modo prescindere in una disciplina (e in una armonia) di sistema che,
nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la diposizione normativa rispetto alla
produzione giurisprudenziale». L’indirizzo di cui si discorre, ad avviso della decisione qui richiamata,
si era «espressamente manifestato attraverso la emanazione di due successivi DPR, il n. 37 del 2009
e il n. 181 del 2009, in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l'art. 5) ha inequivocamente
resa manifesta la volontà del legislatore di distinguere, concettualmente prima ancora che
giuridicamente, all'indomani delle pronunce delle sezioni unite di questa corte tra la "voce" di danno
cd. biologico da un canto, e la "voce" di danno morale dall'altro»34. La diversità di pensiero emergeva
finanche sul terreno della quantificazione del danno morale, ora ritenuto liquidabile mediante
percentuali sul danno biologico, ora ritenuto da liquidare in modo autonomo, senza limiti percentuali
parametrati al danno alla salute (v. Cass. Civ., sez. III, sentenza 29 novembre 2011 n. 25222, Pres. Preden,
rel. Lanzillo). Il chaos esiodeo35 non lasciava indenni gli altri aspetti su cui si era poggiata la
nomofilachia del 2008. In disparte l’effetto “tsunami” generato nella materia assicurativa, con
specifico riferimento agli artt. 138, 139 Cod. Ass.36, anche attorno alla stessa categoria del danno
esistenziale si registrava una nuova stagione di contrasti, con arresti che ne proclamavano l’esistenza
(v. Cass. 30 giugno 2011 n. 14402) in termini di categoria “indefinita e atipica”37 ed altri che ne
celebravano il requiem, in quanto categoria non ammessa sotto la volta dell’art. 2059 c.c.38; fino a
registrare sentenze che riportavano, sostanzialmente, lo stato dell’arte alla conformazione preesistente
alle Sezioni Unite39. La fibrillazione della giurisprudenza di legittimità si iniettava, alla fine, finanche
sul tema del danno da perdita della vita (danno cd. tanatologico), in quanto, con pronuncia inedita, la
Suprema Corte ne affermava la risarcibilità iure haereditario40 così provocando, di lì a breve, la
remissione della quaestio juris alle Sezioni Unite41, in presenza di un aperto contrasto tra orientamenti
(quello inedito e quello tradizionale: v. ex multis, Cass. Civ., 2654/2012; Cass. Civ. 13672/2010),
ancora una volta superando le Sezioni Unite del 2008. In questo clima di persistente incertezza, la
Suprema Corte, a partire da Cass. 12408/201142, indicava come criterio generale di liquidazione del
danno biologico le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano (Cass. 7 giugno 2011 n. 12408), in
33
ROSSETTI, Post nubila phoebus, ovvero gli effetti concreti della sentenza n. 26972 del 2008 delle sezioni unite in tema
di danno non patrimoniale in Aa.Vv., Il danno non patrimoniale “Guida commentata alle decisioni delle S.U. 11
novembre 2008 nn. 26972/3/4/5, Milano, 2009
34
Cass. Civ., sez. III, sentenza 12 settembre 2011, n. 18641 (Pres. Morelli, Rel. Travaglino)
35
Parafrasando ESIODO, Theog., 116
36
Sia consentito citare: BUFFONE, Lezioni di «Diritto Tabellare»: dagli artt. 138, 139 Cod. Ass., alle leggi 27/12 e 189/12
in www.scuolasuperioredellamagistratura.it, Relazione tenuta in occasione del Corso “Come si liquida il danno civile,
organizzato da R. Sabato e D. Spera per la Scuola Superiore della Magistratura; 16-18 ottobre 2013, Firenze-Scandicci.
37
Cass. Civ., sez. III, 3 ottobre 2013 n. 22585 (Pres. Uccella, est. Travaglino)
38
V. Cass. Civ., sez. III, sentenza 12 febbraio 2013 n. 3290 (Pres. Uccella, est. Cirillo)
39
Cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza 20 novembre 2012 n. 20292 (Pres. Petti, est. Travaglino): Il danno biologico (cioè la
lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile
"esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito
abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti
risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza
n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria
del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti.
40
Cass. Civ., sez. III, sentenza 23 gennaio 2014 n. 1361 (Pres. Russo, rel. Scarano)
41
Cass. Civ., sez. III, ordinanza 4 marzo 2014 n. 5056 (Pres. Russo, rel. Travaglino)
42
Cass. civ., sez. III, sentenza 19 luglio 2012 n. 12464, Pres. Segreto, rel. Lanzillo in Danno e resp., 2011, 939
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“Il punto sul risarcimento del danno non patrimoniale” – 27 marzo 2015
ragione della loro “vocazione nazionale”, in quanto le “statisticamente maggiormente testate”43. Si
divideva, però, in merito al tipo di violazione che determinasse la loro “non applicazione”: integra
violazione di Legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per taluni orientamenti; vizio di motivazione ex
art. 360 n. 5 c.p.c., per altri
[4]. Tempi contemporanei
Negli ultimi arresti, la Suprema Corte di Cassazione ha tentato di creare, nella materia del
danno non patrimoniale, dei criteri orientativi di maggiore dettaglio, al fine di sopire l’emersione dei
contrasti giurisprudenziali. Nella sentenza Cass. Civ., sez. III, 7 novembre 2014 n. 23778 (Pres.
Russo, rel. Rossetti), il Collegio ha ribadito che il danno non patrimoniale è categoria unitaria che si
differenzia nei criteri di accertamento e di liquidazione, a seconda dell'interesse concreto su cui vada
a cadere la lesione. La proclamata natura unitaria del pregiudizio «tuttavia non può restare un mero
ossequio formale alla dogmatica: e dunque non è consentito moltiplicare le voci di danno chiamando
con nomi diversi pregiudizi identici». Applicando i suddetti principi alla materia del danno alla
persona derivante da una lesione permanente della salute, nella liquidazione di tale pregiudizio,
occorre, secondo la Corte, in astratto tenere conto: (a) dell'invalidità permanente causata dalle lesioni
(danno biologico permanente), la cui liquidazione comprende necessariamente tutti i pregiudizi
normalmente derivanti da quei tipo di postumi; (b) delle sofferenze che, pur traendo occasione dalle
lesioni, non hanno un fondamento clinico (la medicina parla, al riguardo, di "dolore non avente base
nocicettiva"): si tratterà, ad esempio, della vergogna, della prostrazione, del revanchismo, della
tristezza, della disperazione. Per "tenere conto" di tutte queste circostanze il giudice di merito deve:
(-) liquidare il danno alla salute applicando un criterio standard ed uguale per tutti, che consenta di
garantire la parità di trattamento a parità di danno; (-) variare adeguatamente, in più od in meno, il
valore risultante dall'applicazione del criterio standard, al fine di adeguare il risarcimento alle
specificità del caso concreto (c.d. "personalizzazione del risarcimento"). L'una e l'altra di tali
operazioni vanno compiute senza automatismi risarcitori, juxta alligata et probata, e soprattutto sulla
base di adeguata motivazione che spieghi: - quali pregiudizi sono stati accertati; - con quali criteri
sono stati monetizzati; - con quali criteri il risarcimento è stato personalizzato. Con la decisione Cass.
Civ., sez. III, sentenza 10 ottobre 2014 n. 21424 (Pres. Amatucci, rel. Sestini), la Suprema Corte ha
confermato che la risarcibilità del danno non patrimoniale esige la verifica del superamento del filtro
rappresentato dalla serietà del danno, che, insieme a quello della gravità della lesione, presidia
l'esigenza di non risarcire danni meramente bagatellari, precisando che tale filtro opera in ogni ipotesi
di danno (Cass. Civ., sez. III, sentenza 15 luglio 2014 n. 16133). Applicando questi principi, la
Suprema Corte, nel caso affrontato con l’arresto Cass. Civ., sez. III, 16 dicembre 2014 n. 26367 (est.
Vincenti), ha rigettato, ad esempio, la domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivanti dal
disagio provocato all'attrice dalla lunga attesa, di oltre sei ore, in una piazzola autostradale per il
guasto del mezzo correlato al rifornimento del carburante rivelatosi inidoneo, dovendo – secondo la
Corte - «tali pregiudizi ricondursi a quegli sconvolgimenti della vita quotidiana ritenuti non meritevoli
di tutela risarcitoria». La Cassazione ha così ulteriormente ribadito che il disposto dell'art. 2059 cod.
civ., secondo una lettura costituzionalmente orientata, “non disciplina un'autonoma fattispecie di
illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall'art. 2043 cod. civ., ma
regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, tra cui va annoverata
la necessità - anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela
minima risarcitoria - che la lesione sia grave e che il danno non sia futile”. In un’altra occasione ha,
invece, stimato risarcibile una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria
abitazione, determinata da immissioni sonore - costituite da musica ad alto volume e altri schiamazzi
"clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità" in orario serale e notturno – che avevano
determinato una lesione, non futile, al diritto al riposo notturno per un periodo di almeno tre anni
(Cass. Civ., sez. III, 19 dicembre 2014 n. 26899, est. Lanzillo). L’arresto Cass. Sez. lav., n. 687/2014,
43
Cass. Civ., sez. III, 30 giugno 2011 n. 14402 - Pres. Preden, rel. Scarano; Cass. Civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408
- Pres. Preden, rel. Amatucci; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012 n. 2228 - Pres. Trifone, rel. Scarano
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“Il punto sul risarcimento del danno non patrimoniale” – 27 marzo 2015
est. Blasutto, pur ribadendo che la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva,
e cioè tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai nomina iuris dei vari tipi di danno, i quali
non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione, ha chiarito
che, sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali
sottocategorie del "danno biologico" e del "danno morale" continuano a svolgere una funzione, per
quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di
parametrare la liquidazione del danno risarcibile. Conforme Cass. Civ., sez. III, 24 settembre 2014 n.
20111 (est. De Stefano): “il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la
sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente
nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato
diritti fondamentali della persona) costituiscono componenti dell'unitario danno non patrimoniale
che, senza poter essere valutate atomisticamente, debbono pur sempre dar luogo ad una valutazione
globale”. Cass. Civ., Sez. III, n. 24471, est. Rossetti, ha chiarito che dà diritto alla personalizzazione
del risarcimento solo la sussistenza di circostanze specifiche che siano anomali ed eccezionali rispetto
alla generalità dei casi analoghi. La Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di danno morale
e di danno esistenziale. Con la pronuncia Cass. Lav. n. 21917/2014, est. Buffa (conforme a Sez. 3, n.
22585 del 2013, Rv. 628153), ha affermato che il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non
patrimoniale al pari di quello biologico, non è ricompreso in quest'ultimo e va liquidato
autonomamente. Con la pronuncia Cass. Lav., n. 18207/2014, est. Ghinoy ha riconosciuto l’autonoma
risarcibilità del danno esistenziale. La Corte di Cassazione ha confermato il valore preminente delle
tabelle milanesi nella liquidazione del danno alla salute ma ha anche riproposto il contrasto in tema
di qualificazione del vizio che consegua alla loro non applicazione (cfr. Cass. 5243/2014, est. Barreca
e Cass. 447/2014, est. Frasca). De Jure Condendo, il Legislatore ha presentato, in data 19 febbraio
2015, un corposo disegno di Legge contenente importanti modifiche nel settore assicurativo (cd. DDL
concorrenza). Per quanto qui di interessa, questo progetto legislativo propone la modifica degli artt.
138, 139 del Codice delle Assicurazioni con conferma sostanziale degli attuali contenuti salvo
introdurre una delimitazione del risarcimento massimo del danno non patrimoniale complessivo,
prevedendo soglie rigide per l’eventuale cd. personalizzazione. In presenza di una “materia” che resta
sostanzialmente “instabile” – vuoi per la continua presentazione di progetti legislativi di modifica
degli assetti vigenti (puntualmente privi di sistematicità e aderenza ai principi generali), vuoi per la
ormai riconosciuta seria difficoltà del sistema nomofilattico a creare “diritto vivente” in questo
comparto normativo – il contenzioso italiano in materia di danno alla persona continua a trovare la
sua sede elettiva di composizione solo nelle aule di Giustizia, e, non raramente, esaurendo tutti i gradi
di giudizio. Questa «aritmia» di sistema incide negativamente sull’effetto deflattivo, sul tasso di
“mediabilità”, sulle chances di definizione stragiudiziale: essa resta, dunque, un problema certamente
serio e importante. Speriamo, però, che non si tratti, davvero, del decimo “problema” di Hilbert: sono
passati oltre 100 anni ed è rimasto irrisolto.