Ischia non ha bisogno di mito

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Ischia non ha bisogno di mito
Don Pietro Monti, rettore del Santuario di S. Restituta in Lacco Ameno, studioso di archeologia, autore di varie pubblicazioni sulla
storia dell’isola d’Ischia, e che diede vita agli scavi
ed al successivo Museo di S. Restituta, è morto il 13
aprile 2008.
A suo ricordo riportiamo un suo articolo, pubblicato su La
Tribuna Sportiva dell’isola d’Ischia n. 8/1970.
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Ischia non ha bisogno di mito
di Pietro Monti
«L’Osservatore Romano» del 4 luglio 1970 pubblicava un articolo, dal
titolo «Ischia e Capri fra mito e storia», inteso certamente a far propagan­
da turistica efficiente a favore del­le due isole del Golfo, ma che, in realtà,
ha dato effetto contrario e pericoloso, almeno per Ischia.
Sembra che l’articolo sia stato scritto quasi per inteso dire, igno­rando le
nuovissime pubblicazio­ni, le varie campagne di scavi ar­cheologici, i mo­
numenti e docu­menti messi alla luce, l’ultimo Congresso di Archeologia
Cristia­na in Campania, chiusosi a Lacco Ameno il 24 aprile scorso. Ad
ono­re della storia e per una maggiore (kmq 46,3), emerse dal mare non per
notorietà dell’isola verde nel mondo, eruzione vulcanica, ma per un ringio­
preme dare delle precisazioni.
vanimento di un bacino magmatico
Ischia, la più grande delle iso­le locale, nel qua­ternario.
partenopee, situata a chiusura del L’affermazione: «Monte Epomeo,
lato occidentale del Golfo di Napoli vulcano attivo» è errata, perché
l’Epomeo non è stato mai un vulcano,
non ha avu­to mai un cratere con re­
lativa colata lavica. Chi ha gustato lo
spettacolo impareggiabile della levata
o del tramonto del sole dal gigantesco
pilastro epomeico si è reso conto che
Don Pietro Monti ha scosso la nostra società «locale» da un’apatia verso le pagine di storia scritte nei secoli passati.
È storia «locale», ma trattasi pur sempre di momenti che lo studioso serio riesce a collocare in un contesto di storia patria
e, nel caso di Ischia, nel più ampio scenario della civiltà mediterranea.
[...] Il pensiero va ai primi tentativi di Don Pietro di portare alla luce documenti che la sua immaginazione e il suo
entusiasmo di dilettante gli facevano collocare nella zona sottostante la chiesa di S. Restituta e il municipio. Andava alla
ricerca di testimonianze di fede e del culto plurisecolare di S. Restituta e le ha trovate; ma ha principalmente trovato la
molla che nel breve volgere di anni gli ha fatto attingere la collocazione tra i più stimati studiosi della archeologia della
nostra Isola.
Ma i meriti di Don Pietro non si fermano qui. E non parlo dei suoi meriti di studioso e di divulgatore, che ha costruito la
sua preparazione con la tenacia di un impegno verificato «sul campo», che da Lacco Ameno si è andato presto estendendo
all’intera isola d’Ischia, e coltivato con numerosi viaggi all’estero nelle terre che ebbero con l’isola nostra comunanza
di interessi e di cultura. Parlo piuttosto della spinta che dagli studi di Don Pietro è venuta anche alla valorizzazione
delle ricerche allora già in atto da anni da parte della Soprintendenza archeologica ad opera, principalmente, del prof.
Giorgio Buchner e del prof. David Ridgway. (Vincenzo Mennella, Prefazione al libro La tradizione storica e archeologica in età tardo-antica e medievale, 1984)
Da gran tempo, gli scavi di S. Restituta erano sentiti dagli studiosi come una vera necessità, ma i più non erano disposti
a vederli fare per quel tremore che, di fronte alle novità, rende istintivamente gli animi pavidi e restii. Ci voleva la volontà
realizzatrice, non priva di ardimento, di un giovane sacerdote per rompere ogni indugio. Don Pietro Monti, infatti, intraprese i lavori, picconando personalmente, coadiuvato da due fidi, improvvisati, sterratori.
Era il 12 aprile 1950, quando gli scavi - motivati dal pavimento ormai consunto che s’intendeva rinnovare, e dal riadattamento dell’altare, in alcune parti, fatiscente - iniziarono nel più grande riserbo. Continuarono negli anni successivi in
maniera più sistematica.
(Pasquale Polito, in Lacco Ameno, il paese la protettrice il folklore, 1963).
La Rassegna d’Ischia 3/2008
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Commiato
(Postfazione di Pietro Monti al suo libro Ischia archeologia e storia, 1980)
Chiudendo queste pagine, mi auguro di aver condotto il lettore non
sulla leggenda ma attraverso una fedele ricostruzione archeologica e
storica dell’Isola, e gli chiedo scusa se, du­rante questa lunga passeggiata,
gli è capitato di inciampare più volte contro i « cocci» o di essere scivolato
dentro qualche bur­rone storico.
Avrei potuto impennarmi sulle ali del mito, parlare della lotta dei Titani
contro Giove, delle lacrime di Tifeo, trasformate in ac­que termo-minerali
risanatrici; purtroppo girovagando tra i sentieri sperduti dell’Isola, non
mi sono ancora imbattuto sulle tracce del folgorante Giove né di quelle
del naufrago Ulisse, scampato presso il bel fiumicello. Se avessi trovato
almeno un frammento del relitto della nave di Enea o individuato l’antica
sepoltura del semovente Tifeo, incatenato sotto l’Epomeo, avrei condotto
queste leggende sul piano della storia. Ma la leggenda, il mito lasciamolo
ai poeti, potremmo attenderci anche l’av­verarsi dell’inattendibile.
« Ischia non ha bisogno di mito » per essere valorizzata.
Quando mi affaccio dalla cima dell’Epomeo per godere lo spettacolo
della natura, come sul ponte di una gigantesca nave pietrificata, da qualunque angolo dell’orizzonte io guardi vi tro­vo sempre nuove attrattive
che rallegrano la vista: le cale, le marine fluttuanti nei bordi, le punte
rocciose allungate mollemente in un trasognato incantesimo!
Nessuna Isola al mondo, come questa, costruita dalla va­riabilità strabiliante di un vulcanismo più unico che raro, può mostrare, in una gamma
di verde e di silenzi, i segni di tante civiltà, particolarmente di quella greca
che si fuse mirabilmente con la romana, di cui oggi restano testimonianze
vive e reali nello sviluppo civile e sociale dell’Isola d’Ischia.
Il turista che vi arriva, sbarcando in uno dei tanti porticciuoli, ha davanti ai suoi occhi visioni diverse che, per il fascino delle marine, risalenti
verso l’Epomeo, e l’incantesimo dei co­lori, gli riempiono l’animo di stupore: vede il Castello degli Ara­gonesi, l’accogliente Porto di Plinio e di
Ferdinando II, l’affasci­nante Casamicciola Terme di Lamartine, l’Ameno
Lacco, la Tur­rita Forio, l’incomparabile visione di S. Angelo e, più in alto,
Serrara, Fontana, Barano incastonate nel fianco delle colline, sullo sfondo
di un celeste evanescente cielo, soffuso di luci e di vapori.
Un’Isola così carica di storia e di fascino non può essere abbandonata
all’irrompente dilagar dell’abusivismo! Ischia ha bisogno di spiriti ferventi perché la salvino, ha bisogno di gio­vani che vi cerchino ancora, con
maggiori emozioni, tante tracce di civiltà sepolte che la circonfusero di
industrie, di arte, di cul­tura e di pietà.
Io la lascio a voi, o giovani!
Amatela, studiatela, custoditela, difendetela!
Per il trionfo della natura, per la rarità degli angoli ancora incontaminati, disponetevi, o giovani, a sacrificarvi, a farvi va­lere contro le resistenze
più agguerrite. Solo con voi si potrà riuscire a salvare e a trasmettere alle
generazioni future quel che resta del nostro patrimonio archeologico,
artistico e paesag­gistico, ed «a costringere i responsabili ad uscire dalle
loro tane»! Non scatti più tempo!
Ricordate che di quest’Isola sconvolta da fenomeni tellu­rici, devastata
da barbari invasori, avvolta in scenari estatici, va tutto salvato. Anche i
«cocci», ultime reliquie di distrutti monumenti, nella forma più insignificante, pur essi parlano, si levano giganti, come l’Epomeo nel sereno
incanto della na­tura, al pari dell’avvenimento storico e restano segni
imperituri della civiltà a cui appartennero!
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La Rassegna d’Ischia 3/2008
quella è una cima naturale come gli
altri monti. Og­gi, fortunatamente,
l’attività vul­canica d’Ischia è limitata
alla presenza delle acque termali.
La storia dell’isola non è oscu­ra,
ma chiara e gloriosa special­mente in
tutta l’età greca.
La comparsa dell’uomo sull’iso­la
avvenne in età neolitica, nel III mil­
lennio a.C, come è attestato da scheg­
ge di selce, di ossidiana, da cuspidi di
frecce e raschiatoi, da fram­menti di
ceramica appartenenti alla facies di
Serra d’Alto.
Nell’età del bronzo e del ferro
(1400-1300 a.C.) vi troviamo in­
stallati alcuni villaggi: sul Castiglione, su Monte Vico, a Mezzavia, a
Succhivo; pentole, eleganti sagome
di vasi e di ciotole deco­rate ad inci­
sione con tipici moti­vi della civiltà
appenninica, in­ducono i ricercare i
centri di ir­radiazione dell’Oriente
greco-bal­canico.
Certamente l’isola costituiva la
indispensabile statio-base per i na­
viganti dell’età del bronzo che risa­
livano la costa tirrenica di­retti verso
i giacimenti minerari della Toscana
(stagno, allume). E la scoperta di do­
cumenti micenei pone Ischia, alla fine
del XV se­colo (1450 a.C), nel quadro
delle relazioni tra il mondo miceneo
e su tradizioni antichissime.
La più antica colonia
dell’Occidente
Le vie dei metalli costituirono le
linee direttrici della colonizza­zione
greca «storica» verso l’Ita­lia cen­
trale. I pionieri vennero dall’isola di
Eubea. Calcidesi ed Eretriesi, intorno
alla prima metà dell’VIII secolo, fon­
darono nella zona di Lacco Ameno
(Ischia) la cittadella di Pithecussaj
(nome greco derivato da pithos = vaso
ad indicare il luogo della produ­zione
dei «pithoi» e del relativo smercio:
l’opinione che vorrebbe far derivare
il nome da scimmia è del tutto priva
di fondamento).
La datazione della colonia gre­
ca, saldamente impiantata sull’iso­
la d’Ischia, è stata convalidala dal
ritrovamento della più antica spe­cie
della Kotyle - caratteristico vaso
protocorinzio del 770 a.C. - del tipo
Aetos 666 e di altra cera­mica greca
che è sicuramente la più antica fra
quella trovata fino ad oggi in ogni
altra colonia el­lenica dell’Occidente.
La scelta di un’isola costiera riflette
chiara­mente il fatto che, prima di
met­tere piede sulla terraferma, le
nuo­ve terre venivano ispezionate
per entrare poi prudentemente in con­
tatto con le popolazioni «barba­re»
ancora sconosciute del luogo. Dopo
breve stanziamento sul­l’isola di Pi­
thecussaj, gli Eretriesi e i Calcidesi
fondarono intorno al 750 a.C. Cuma,
su colle roccio­so, in riva al mare e a
dominio della pianura campana.
Cuma si elevò rapidamente al
rango di metropoli, Pithecussaj a
base di appoggio per il mercato con
le coste campane; e fu il commercio
della ceramica, del fer­ro e dei pro­
dotti orientali che tra­sformò l’isola
in un emporio intermediterraneo,
dove, fin dalla metà dell’VIII se­
colo convergeva­no i traffici degli
indigeni della Campania, dei popoli
dell’Etruria, della Grecia, della Siria e
del­l’Egitto. E , unitamente a Cuma, in
modo sia diretto sia indiretto, Pithe­
cussaj trasmise ai Latini, agli Oschi
e agli Umbri il pro­prio alfabeto di
derivazione calci­dese!
Conoscitori dell’arte figulina, i
Greci vi introdussero il tornio, sfrut­
tando abilmente i giacimenti argillosi
esistenti sui fianchi epomeici. Così
accanto alla ceramica d’importazione
fiorì con un carat­tere tutto particolare
quella di produzione locale. Maggio­
re con­valida della vitalità industriale,
diventata ormai nazionale, sono le
fornaci ed i laboratori messi alla luce
negli scavi di S. Restituta (19671968-1970).
L’espansione di Pithecussaj e di Cuma
Per favorire il commercio di co­sì notevoli ricchezze industriali, divenne
estremamente necessario occupare i punti più vitali: si co­lonizzò e dominò
Reggio, si oc­cupò Messina per il controllo del­lo stretto; per assicurarsi il
do­minio del Golfo vennero fondate Dicearchia (Pozzuoli) e Neapolis (Città
Nuova) con abitanti di Pi­thecussaj e di Atene. Solo così le navi greche pote­
vano risalire le coste tirreniche verso Elea, Cuma, Pithecussaj, senza essere
distur­bate dai pirati o dagli Etruschi.
Una posizione economica tanto favorevole alle colonie greche in­cominciò
a contrastare gli inte­ressi degli Etruschi, giunti ormai fin nella Campania, a tal
punto che l’urto fu inevitabile. E ci fu­rono due battaglie, in diversi mo­menti
storici.
L’articolista ha preso un abbaglio ed ha fuso i due scontri in uno solo; ha
erroneamente assegnato ad Aristodemo (vincitore nella battaglia di Aricia,
524 a.C, sugli Etruschi guidati da Arunte) la vittoria del­la battaglia navale del
474 a.C. svoltasi nelle acque di Cuma e condotta da Jerone: quivi Siracu­sani,
Cumani e Pithecusani ri­buttarono l’attacco della flotta etrusca.
Pindaro, ospite di grande ono­re presso Jerone, immortalò nei suoi versi una
così grande vittoria.
Cuma fedele ai patti cedette l’isola di Pithecussaj a Jerone, il quale sognava
di farne una base navale di primo ordine verso il Nord. Infatti, sull’arce di
Pithecussaj, fece costruire una fortez­za e vi stabilì un comando; infondatissima
è l’idea che vorrebbe, ancora oggi, lo­calizzare questa guarnigione sul Castello
d’Ischia, venuto alla ribalta storica solo nel periodo medievale. Purtroppo
Jerone dominò per breve tempo sull’isola di Pithecussaj, occupata subito dai
Napoletani, i quali mal vedevano la presenza dei Siculi nel Golfo miranti ad
assoggettare alla dittatura di Jerone tutte le colonie greche.
Strabone si limita a dire che i Si­
racusani abbandonarono l’isola per
una spaventosa eruzione vulcanica.
Purtroppo in quel periodo di tempo
ad Ischia non si verificarono manife­
stazioni di quel genere.
Sulla piana di San Montano, sotto
il lieve rialzo di tepida arena, dor­
mono da millenni vestigia di civiltà
lontane, le quali risalendo il Tirreno
sulle triremi dalle vele di porpora ap­
prodarono all’isola di Pithecussaj. Ed
accanto alla sto­ria, ad Ischia si sente
la poesia greca: squarci di poemi
omerici cantati o dipinti dai ceramisti
pithecusani.
Su un vaso di fattura locale da­tabile
alla fine dell’VIII sec. a.C. è dipinta la
scena di un naufragio, che certamente
rievoca una scena del viaggio di Ulis­
se al pas­saggio tra Scilla e Cariddi.
C’è poi la Coppa di Nestore del
730 a.C. con la sua iscrizione sini­
strograda, ormai chiara, che mi per­
metto far ricantare a qualche erotico
moderno nella seguente euritmia:
Alla Coppa di Nestor ber valea la
pena, / Ma chi alla mia sorseggia,
dal desio / della bionda Afrodite sarà
tosto preso.
Un sigillo geometrico della fine del
secolo VIII a.C. racchiude un canto
riferito agli avvenimenti succedutisi
dopo la distruzione di Troia: si vede la
figura di un uomo che ha sulle spalle
il corpo morto di un compagno di
guerra; esso rappresenta Aiace che
tra­sporta il corpo di Achille da sotto
le mura di Troia alle navi greche. Il
sigillo trovato su Monte Vico è il più
antico documento riferentesi agli
avvenimenti postumi alla distruzione
di Troia.
Cosi la storia d’Ischia s’illu­mina
della poesia omerica. Ischia non ha
bisogno di mito né di es­sere tuffata
nella luce commer­ciale di altre lo­
calità turistiche: Ischia possiede una
storia tutta sua, un fascino che non
cerca confronti.
Pietro Monti
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