GRISONI_restauro e conservazione
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GRISONI_restauro e conservazione
Per la facciata del Duomo di Milano: contributo alle fonti Michela Marisa Grisoni - Le lettere di Camillo Boito a Carlo Ermes Visconti Il contributo origina dal censimento delle lettere di Camillo Boito rintracciate nell'Archivio Visconti di San Vito di Somma Lombardo ove si conserva l'epistolario di Carlo Ermes Visconti (1834-1911) oggetto di mirati affondi tendenti a ricostruire il profilo di una figura poco approfondita a dispetto della sua riconoscibile presenza negli scenari politici e culturali della Milano di secondo Ottocento. Si tratta di 14 lettere che si riferiscono per lo più alle vicende legate alla riforma del fronte del Duomo di Milano e toccano dell'Accademia di Belle Arti di Brera e del Museo Poldi Pezzoli. Sono datate, o databili, tra il 1884 e il 1901. Nei pochi casi di incerta datazione si prestano ad un affinamento cronologico proprio in rapporto ai fatti relativi alla questione del fronte della cattedrale; in quanto tali sono oggetto di interesse e meritevoli di attenzione. All'interno di una vicenda nota e studiata porterebbero tuttavia un contributo modesto e poco originale se non si prendesse in considerazione la possibilità di tracciare loro tramite il profilo delle personalità coinvolte sottolineando la rilevanza dei compiti istituzionali, assunti opportunamente da taluni. Lungo l'arco cronologico indicato, la corrispondenza quasi nella sua totalità si giustifica in rapporto ai ruoli svolti: Boito, già professore di architettura e poi presidente dell'Accademia di Brera, dialoga con il marchese Visconti, amministratore della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano dal 1879 al 1902; lo interpella, perché interlocutore della Fabbrica, prima di proporre la questione della facciata in sede ministeriale; lo aggiorna, perché presidente del Giurì del concorso di primo e secondo grado, sulla stato di redazione di memorie e relazioni da dare alle stampe; lo incontra, perché collega nella sotto-commissione incaricata di curare la traduzione in modello dei disegni di Giuseppe Brentano; ma anche ne lusinga l'operato e ne reclama la collaborazione per ottenere materiali; intrattiene inoltre per lui le relazioni con altri attori. Emergono quindi le piccole tessere di un grande mosaico che solo in parte si ricompone perché non giunge all'epilogo vero della vicenda della facciata, il quale appartiene ad una fase cui Visconti non potrà partecipare per motivi biografici ma prima ancora perché sollevato, nel 1902 insieme a tutti i colleghi, dall'ufficio di amministratore. Queste lettere lasciano quindi piuttosto trasparire il rapporto tra Accademia e Fabbrica; soprattutto quello tra Boito e Visconti che non era chiaramente apparso analizzando quell'operato del nobile uomo all'interno della Commissione conservatrice per i monumenti e le antichità della provincia di Milano che ne giustifica l'interesse negli studi sulla tutela. - Carlo Ermes Visconti nella storia della tutela: una revisione Nella storia della tutela il nome di Carlo Ermes Visconti compare per il ruolo assunto in commissione ove entra nel 1878 succedendo, su nomina comunale, al defunto Antonio Caimi. La storiografia include le sue dimissioni, risalenti al 1881 e tali da ridurre a soli tre anni il suo effettivo operato, nell'ondata dimissionaria che spinse anche altri membri ad allontanarsi dalla commissione divenuta bersaglio di critiche. Si aggiunge però che per Visconti i ruoli nelle due istituzioni, la Commissione conservatrice, prima, la Veneranda fabbrica, poi, si pongono in stretta sequenza. Nel 1879, ricevuta la nomina governativa ad amministratore della Fabbrica ad occupare il posto lasciato dal deceduto Carlo Belgiojoso, Visconti confida subito al prefetto la volontà di lasciare l'una (la Commissione) per l'altra (la Fabbriceria) rilevando l'inconciliabilità dei due ruoli che intanto affronterà astenendosi dal voto consultivo nelle trattazioni della Commissione che riguardano il Duomo ad indicare il proprio rigore morale. Si osserva anche, e pare più interessante, che tali circostanze, espresse in una delle rare minute presenti nell'epistolario di Visconti, rilette nella prospettiva delle vicende della facciata del Duomo, rivelano la convinzione, da parte del marchese Visconti, che si stia entrando già in quegli anni in una fase risolutiva dell'annosa questione. L'affermazione, probabile allusione al concorso accademico del 1881, non può ovviamente prevedere episodi successivi se pure di poco e quindi forse già in discussione - quali la proposta di riforma presentata nel 1883 dall'architetto della fabbrica Paolo Cesa Bianchi o le pressioni del duca Melzi d'Eril tendenti a garantire fattibilità economica al progetto - e sembra piuttosto rivelare un'intenzione che lo stesso Visconti avrebbe titolo di promuovere in veste di amministratore. Nel lungo elenco di cariche da lui assunte ve ne sono alcune brevi ma di particolare spessore, come quella di assessore nella Giunta di Gaetano Negri (1884-1889), e altre di apparente carattere onorario ma di straordinaria continuità. Tra queste il ruolo di conservatore del Museo Artistico Municipale che giustamente reclama di essere approfondito. Al pari di questo ruolo, che più rivela l'orientarsi della sua azione di tutela verso il patrimonio artistico con intenti di conservazione, pubblica fruibilità e didattica finalità, l'attività di amministratore della Veneranda Fabbrica è ugualmente una delle più durature. Con la nomina del 1879 Visconti aveva consapevolmente assunto un incarico per sua natura destinato a decadere solo per decesso o per dimissioni spontanee; ne fu invece privato nel 1902 con suo grave disappunto verso l'operato della nuova amministrazione civica, espresso nella minuta di una vibrante lettera di saluto al cancelliere dell'amministrazione del Duomo e già confidato nel 1901 in altra all'amico, e collega, Emilio Visconti Venosta. - Relazioni e corrispondenze: sulla questione della facciata del Duomo tra 1878 e 1902 La nuova composizione della Fabbriceria del Duomo, conseguenza dei mutati assetti giuridici, mentre contribuisce ad aprire una diversa fase nella questione della facciata chiude definitivamente quella di Visconti; la circostanza offre quindi un termine cronologico entro cui trattenere un più esteso esame delle sue corrispondenze che consideri, oltre alle citate lettere di Camillo Boito, anche quelle di altre personalità che animano la scena artistica e architettonica milanese negli ultimi due decenni dell'Ottocento. Allo stato attuale della ricerca già più di un centinaio sono le lettere che si possono includere in un censimento che abbia tali interessi di studio. L'esito non è meno fertile quando si considerino le sole lettere che toccano del Duomo. Le 58 finora censite, comprensive delle 14 di Boito già indicate, includono manoscritti di Solone Ambrosoli, Tito Azzolini, Luca Beltrami, Luigi Bisi, Emilio Borromeo, Luigi e Giuseppe Brentano, Cesare Cantù, Alfredo d'Andrade, Fernand de Dartein, Tullo Massarani, Lodovico Pogliaghi, Serafino Ricci, Federico Schmidt, Emilio Visconti Venosta. Riaffiora, nella calligrafia dei protagonisti, lo scenario che precede il concorso di primo e secondo grado e quello che lo segue, intersecando gli sforzi tesi a tradurre il disegno di Brentano in un concreto modello di cantiere ma anche la realizzazione delle ante della porta maggiore per opera di Lodovico Pogliaghi e il tentativo, riuscito, di arenare gli esiti del concorso. Più della ricognizione delle vicende, note e dunque semplicemente riproposte dal carteggio in un gioco di riflessi privo di sorprese, si coglie l'opportunità di precisare i profili dei protagonisti oltre a Boito. Visconti intrattiene una corrispondenza fitta anche con Luca Beltrami: prova di una frequentazione assidua, legata alle cariche assunte nella giunta milanese e dunque anticipata dalla frequentazione degli stessi circoli politici. E' già emersa una condivisione di intenti, soprattutto quanto si tratta dello sviluppo edilizio di Milano, del restauro del castello e della sua destinazione d'uso a sede delle collezioni storico-artistiche, nella coincidenza della costruzione del nuovo museo civico; ma sul Duomo, mentre in un primo momento si accerta la confidenza con la quale Beltrami confida a Visconti la delusione della sconfitta, più tardi si rivela il disappunto di Visconti per la silente resistenza posta al compiersi del progetto Brentano. Visconti confiderà la delusione a Emilio Visconti Venosta, il cui archivio, ove peraltro si rintracciano altre lettere di Boito indicative delle sue simpatie politiche e della sua antipatia per Tullo Massarani, lo rivela affidabile appoggio in sede ministeriale nell'intera vicenda. Di un certo interesse, inoltre, anche le tre lettere di Fernand de Dartein a Visconti. Non sono dunque tanto gli aspetti di natura artistica ad emergere quanto la trama delle relazioni e i ruoli degli attori coinvolti. Si tratterà di osservare come la questione del completamento della facciata del Duomo rifletta, per le personalità coinvolte che ne rappresentano l'Amministrazione, un dovere morale che tocca la sfera del senso civico e che suo tramite interseca la politica delle arti e della tutela lasciando sullo sfondo, consapevolmente, il dibattito teorico su architettura e restauro.