PRESIDI SLOW FOOD - Slow Food Godo e Bassa Romagna
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PRESIDI SLOW FOOD - Slow Food Godo e Bassa Romagna
GRUPPO DI ACQUISTO DICEMBRE '13 PRESIDI SLOW FOOD Cari amici, tra gli obiettivi di Slow Food c'è sicuramente quello di portare a conoscenza dei soci i prodotti delle nostre eccellenze enogastronomiche. Quale miglior modo che scegliere i prodotti dal ricco paniere dei “Presidi Slow Food”. I Presìdi sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall'estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Ora Slow Food Godo vuole darvi l'opportunità di poter gustare “ a casa vostra” questi straordinari prodotti: CARCIOFO BIANCO di Pertosa ( Campania ) :Pertosa, un paese con poco più di 600 abitanti, 70 chilometri a sud di Salerno, è nota per le sue grotte: straordinarie cavità naturali nate in seguito a fenomeni carsici, risalenti a oltre trentacinque milioni di anni fa. Abitate fin dall'età della pietra, le grotte di Pertosa si sviluppano per oltre 2.500 metri con caverne e gallerie imponenti attraversate da corsi d'acqua navigabili tra stalattiti e stalagmiti: sicuramente uno dei luoghi più suggestivi del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Ma Pertosa - con i comuni limitrofi di Auletta, Caggiano e Salvitelle - custodisce un altro unicum di biodiversità. Qui si coltiva una varietà di carciofi fra le più insolite della penisola: il carciofo Bianco di Pertosa o del basso Tanagro, il fiume che attraversa tutta la zona di coltivazione, posta fra i 300 e i 700 metri sul livello del mare. Il nome esprime la sua caratteristica più evidente: è un carciofo di colore chiarissimo, verde tenue, bianco argenteo. Le infiorescenze sono grandi, rotonde, globose, senza spine, con un caratteristico foro alla sommità. Le particolarità del Bianco di Pertosa sono numerose, ma su tutte vanno segnalate la resistenza alle basse temperature, la colorazione tenue (un verdolino chiaro, quasi bianco), la dolcezza e la straordinaria delicatezza delle brattee interne. Ideale matrimonio gastronomico con l'olio extravergine, unisce anche le due principali vocazioni agricole dell'area: i minuscoli campi di carciofi (quasi sempre di poche centinaia di metri quadri), infatti, tradizionalmente si alternano agli olivi. ANGUILLA marinata tradizionale delle Valli di Comacchio ( Emilia Romagna ): Racchiuse tra il Po, il Reno e l’Adriatico, le Valli di Comacchio sono una zona umida importantissima dal punto di vista ecologico, ma anche un singolare esempio di integrazione tra ambiente naturale e attività umana. Da tempo immemorabile, infatti, qui si praticano la pesca e l’allevamento estensivo di numerose specie ittiche pregiate: anguille, branzini, gamberetti di valle. In particolare l’anguilla, pesce serpentiforme che si riproduce nel Mar dei Sargassi, ma compie il ciclo vitale (7-10 anni) nelle acque interne, era importante per l’economia locale. Quando le anguille sessualmente mature sentono l’istinto di emigrare verso il mare per riprodursi, vengono catturate con i lavorieri, sbarramenti posizionati in prossimità delle aperture a mare delle Valli e nei canali interni, studiati in modo da catturare i pesci adulti nel momento delle loro migrazioni, consentendo al tempo stesso l’entrata in valle di nuovi esemplari. Le anguille, che arrivano vive sul mercato, possono essere consumate fresche seguendo le innumerevoli ricette tradizionali, ma, data la concentrazione della stagione di pesca in un periodo molto limitato (prevalentemente da novembre a gennaio), è tradizionale marinarle in aceto per conservarle. Le anguille cotte allo spiedo sono poste in recipienti di legno, detti zangolini, insieme alla salamoia. Il segreto sta nella cottura e nella materia prima: l’anguilla selvatica di valle. Importante anche la composizione della salamoia: la ricetta classica prevede l’amalgama, in ogni litro di aceto di vino bianco, di circa 70 grammi di sale marino di Cervia e un bicchiere d’acqua. Infine si aggiunge una foglia d’alloro. L’anguilla così lavorata mantiene le sue caratteristiche organolettiche per diversi mesi, un tempo infatti si consumava a Pasqua. Formaggio CEVRIN DI COAZZE ( Piemonte ): C’è chi lo chiama toma e chi – con termine più appropriato – robiola, ma nel patois locale il nome è Cevrin, caprino, anche se il latte dei rustici animali di razza Camosciata quasi mai è caseificato in purezza, bensì mescolato con quantità variabili di latte vaccino. I piccoli ruminanti indispensabili per la produzione del Cevrin sono di una razza particolare, la Camosciata delle Alpi. Di taglia medio-piccola, agile e snella, con mantello rossastro e magnifiche corna rivolte all’indietro, la capra alpina somiglia nettamente a uno stambecco, «cugino» selvatico di cui condivide l’attitudine frugale, intraprendente, capace di dare il meglio in condizioni estreme. Il suo habitat ideale è il pascolo, anche magro, ad alta quota. Il Cevrin è prodotto con latte misto di capra e vacca cui si aggiunge caglio liquido di vitello. La coagulazione è lenta: a metà tra la lattica e la presamica. Dopo la rottura della cagliata si lascia riposare e poi si trasferisce nelle fascere modellandola in forme larghe una ventina di centimetri. Infine si sala a secco su entrambe le facce. Il Cevrin stagiona almeno tre mesi (in alpeggio, in grotte naturali) e richiede un’impegnativa manutenzione. I caci vanno rigirati e puliti quotidianamente. Hanno una forma tonda con una crosta rugosa e umida e di colore ambrato. La pasta è leggermente granulosa con colore giallo verso l’esterno e bianco all’interno. FAGIOLI di Pigna ( Liguria ): I loro antenati sono giunti in Liguria nel XVII secolo dalla Spagna passando per la Provenza e hanno trovato, nella valle della Nervia, nella valle di Oneglia e nella valle Argentina, un habitat ideale. Qui, sui terrazzamenti a secco dell’entroterra imperiese, la selezione naturale ha prodotto tre diverse tipologie di fagioli coltivati in altrettanti piccoli comuni: Badalucco, Conio e Pigna. Le aree più vocate, lo sanno bene gli anziani, sono nei punti più alti, dove i terreni sono sciolti, ben drenati, e l’acqua, elemento principe, è quella sorgiva, calcarea, ricca di sali minerali. La semina, a filare, è un’occupazione del mese di maggio, per la raccolta si deve aspettare fino a settembre quando il legume è secco. I fagioli di Badalucco, Conio e Pigna sono a portamento rampicante, ma le differenze fra le tre tipologie, dovute alla diversità dei terreni, dell’acqua e dei microclimi, sta soprattutto nella forma e nelle dimensioni. Reniforme e un pochino più grosso (siamo nell’ordine dei 12, 13 millimetri) il legume di Conio, ovoidali e più piccoli gli altri due, particolarmente quello di Pigna. Accomunati dalla carnosità, dalla morbidezza e delicatezza della pasta, si distinguono per sfumature più riscontrabili in una degustazione comparata che nel piatto cucinato. Ottimi secchi, sono molto buoni anche i freschi nella cucina invernale. Il modo migliore per gustarli è lessi, conditi con un filo d’olio di oliva extravergine. La preparazione richiede tempi lenti: il procedimento canonico prevede l’ammollo per una notte. Successivamente si lessano in acqua (35 minuti di cottura da quanto iniziano a bollire) con aglio, alloro, qualche cucchiaiata d’olio e sale alla fine. Il grado di cottura è quello giusto quando i semi sono morbidi ma rimangono consistenti e non si disfano. La sensazione tattile sulla lingua dovrà essere di uniformità, come se non ci fosse la buccia. L’uso gastronomico tradizionale prevede diverse preparazioni, ogni paese ha un piatto tipico: a Pigna il piatto simbolo è la capra e fagioli, a Conio lo “Zemin”(zuppa di fagioli, verdura e carne), a Badalucco i “Friscioi” (Frittelle). CHINOTTO di Savona ( Liguria ): Un tempo in molti caffè italiani e francesi, sul banco di vendita, si poteva trovare un vaso dotato di un cucchiaino di maiolica pieno di piccoli agrumi verdi immersi nel Maraschino: erano chinotti di Savona, famosi e unici per qualità, aroma e ottimi come digestivo. La pianta, sempreverde, è alta poco più di un metro e mezzo, ma sviluppa sui pochi rami un’incredibile quantità di frutti e di fiori. Nel periodo del raccolto, tra settembre e novembre, è possibile scorgere tra le foglie grappoli di chinotti, di piccole dimensioni e dal colore verde brillante che, col tempo, vira all’arancio. Il primo laboratorio di canditura in Liguria risale al 1877, quando la Silvestre-Allemand si trasferisce a Savona dalla città di Apt, nel sud-est della Francia, dove era attiva già dal 1780. Verso la fine del 1800 a Savona fu fondata la “Società Cooperativa dei chinotti” che, sull’esempio delle Camere Agrumarie del sud Italia, provvedeva sia alla coltivazione che alla trasformazione e alla vendita dei frutti. Il periodo di più intensa attività dell’industria dei frutti canditi è quello a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La fortuna di questo prodotto continuò fino agli anni Venti, quando politiche economiche poco lungimiranti e un insolito succedersi di gelate invernali segnarono l’inizio della crisi. Una crisi che dura tutt’oggi: solo poche piante di chinotto sono coltivate ancora nel savonese e la conservazione della specie è affidata agli orti botanici e ai vivai. Solo poche pasticcerie candiscono ancora i chinotti di Savona: questi agrumi si possono consumare infatti esclusivamente canditi - freschi sono troppo amarognoli - oppure sotto sciroppo. La lavorazione comincia con un’immersione in salamoia – un tempo si utilizzava l’acqua di mare – che si prolunga per tre settimane circa. Gli agrumi, quindi, sono torniti a mano per togliere un sottile strato di buccia contenente gli estratti e gli aromi più amari, e rimessi poi in salamoia. Dopo questi passaggi i chinotti sono pronti per essere conciati con bolliture successive in sciroppi dolci a concentrazione crescente e infine posti in liquore, preferibilmente Maraschino, oppure canditi. Ottimo dessert, digestivo , possono i chinotti possono essere serviti anche come guarnizione del gelato o di alcune torte. VINO SANTO TRENTINO ( Trentino-Alto Adige): Il Vino Santo Trentino si ricava esclusivamente dal vitigno autoctono nosiola (coltivato su circa 110 ettari che rappresentano l’1,5% della produzione di uva trentina) che ha trovato la sua zona di elezione nella Valle dei Laghi, la valle percorsa dall’antica strada romana che metteva in comunicazione la valle dell’Adige con il Garda, caratterizzata da una quantità di piccoli laghi di origine glaciale e da un clima mite favorito dalla vicinanza del Garda. Per produrlo si utilizzano i grappoli spargoli (quelli con acini radi) provenienti da vecchi vigneti posti in pochi e distinti appezzamenti, i soli che permettono il lunghissimo appassimento (solo il 10% dei vigneti di nosiola della Valle dei Laghi è ritenuto idoneo dai produttori per l’appassimento, quindi poco più di 10 ettari complessivi in tutto per i cinque produttori esistenti). I grappoli ben maturi, raccolti tardivamente, sono stesi su graticci detti arele e collocati sulle soffitte. La costante ventilazione è garantita tutto l’anno dalla cosiddetta “ora del Garda”, il caratteristico e celebre vento che soffia dal vicino lago di Garda. L’appassimento si protrae per oltre cinque o sei mesi, fino alla Settimana Santa (di qui il nome). La muffa nobile, botrytis cinerea, si sviluppa esclusivamente all’interno dell’acino accentuandone la disidratazione, e con l’azione combinata del tempo e del vento, provoca un calo dell’80% e oltre. Il che significa che da 100 chili di uva nosiola fresca si ottengono appena 15, 18 litri di mosto di Vino Santo. Terminata la pigiatura, il mosto è travasato in piccole botti di rovere dove inizia la fermentazione naturale che, per l’elevatissima concentrazione degli zuccheri, procede molto lentamente: per almeno sei, otto anni. Dopo l’imbottigliamento ricomincia la vita di questo vino, che si protrae oltre i cinquant’anni. PANETTONE LOISON al mandarino tardivo di Ciaculli : tutte le fasi di lavorazione dei panettoni Loison rispecchiano, oggi come nel 1938, la naturalezza e la lentezza dei processi, dalla lievitazione, che dura ben 72 ore e che si basa sulla genuinità del lievito madre naturale a bassa acidità, fino al raffreddamento, fondamentali per garantire la freschezza e la fragranza dei prodotti nel tempo. Il laboratorio si distingue anche per l'utilizzo di molti Presidi Slow Food, tra cui il Mandarino Tardivo di Ciaculli Slow Food Godo vi propone i seguenti prodotti: − CARCIOFO BIANCO DI Pertosa sott'olio: produttore: Azienda Morrone - Pertosa formato: vasetto 270 gr. prezzo: euro 9,00 pz − ANGUILLA MARINATA TRADIZIONALE DELLE VALLI DI COMACCHIO: produttore: Manifattura dei Marinati– Comacchio formato: Latta da 500 gr prezzo: euro 18,50 pz ****sono disponibili solo 10 (dieci) pezzi *** − Formaggio CEVRIN DI COAZZE: produttore: Fratelli Lussiana– Giaveno formato: 8-900 grammi prezzo: euro 20,00 pz − FAGIOLI DI PIGNA: produttore: Agriturismo Al Pagan– Pigna formato: sacchetto 250 gr. prezzo: euro 7,00 pz − CHINOTTO DI SAVONA candito nel maraschino: produttore: Parodi – Finale Ligure formato: vaso da 400 gr. prezzo: euro 9,00 pz − VINO SANTO TRENTINO ( annata 2000): produttore: Cantina Pedrotti - Cavedine formato: bottiglia 375 cc prezzo: euro 27,00 bottiglia − PANETTONE LOISON al mandarino tardivo di Ciaculli: produttore: Dario Loison - Costabissara formato: conf. 1 kg prezzo: euro 17,00 pz I prodotti potranno essere ordinati anche singolarmente chiamando direttamente Mauro 347 4524084 entro e non oltre il 24 novembre 2013. Pagamento: l'ordine verrà accettato solo dietro versamento dell'intero importo della spesa entro e non oltre il 30 novembre a: Slow Food Godo - Banca Popolare Ravenna IBAN: IT86O0564013100000000158767 causale : GDA PRESIDI La consegna verrà effettata, prevedibilmente, tra il 5 ed il 10 dicembre. Per ogni ulteriore chiarimento rivolgersi a Mauro Agolini 347 4524084 ** IL GRUPPO DI ACQUISTO E' RISERVATO AI SOCI SLOW FOOD **