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New York
VIAGGIO DEL CUORE
E
testo e foto di
Luca Buti
STASI
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VERTICALE
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Biglietto aereo, mezza giornata abbondante di viaggio,
un’ultima ora di trasporto urbano
e si arriva a Manhattan, ovvero
al centro del mondo! Il fascino di
questo luogo lo avverti subito,
pesantissimo sopra di te, come ti
stesse schiacciando…
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...un gigantesco acquario,
un contenitore in cui milioni di creature
nuotano, boccheggiano o passivamente
galleggiano, ognuno alla propria altezza
e ognuno secondo la legge naturale che
regola la propria specie...
C
onsideriamo, per un dato ragionamento, di dover formulare un postulato, un
enunciato cioè su cui basare una teoria,
senza però averne una verifica scientifica. Questo
potrebbe essere qualcosa del tipo: “Se c’è un luogo assimilabile al centro del mondo, questo è proprio Manhattan!” Infatti, oltre il centro geometrico della Terra, l’altro centro, quello vitale, quello
nevralgico, quello definibile con un jovanottiano
“ombelico del mondo” è proprio (in) questa città
nella città.
Il centro del mondo
Pensandoci bene però, non è del tutto vero che non
c’è la possibilità di una verifica scientifica… Se analizziamo la questione in tutti i suoi dettagli, un qualcosa potrebbe essere tentato… Tanto per iniziare,
il centro del mondo è sì a Manhattan, ma se vogliamo essere ancor più precisi, si trova a Times Square ed è addirittura localizzabile con la precisione del
metro. Esattamente si trova nel mezzo a quell’isola trapezoidale che ha per lati Broadway, la Seventh
Avenue, la 46th e la 47th Street. Ecco, basta mettersi in piedi in quest’area, voltati verso sud, con lo
sguardo alzato di qualche grado sull’orizzontale e
con le orecchie al massimo della sensibilità. Non ha
importanza che sia giorno o notte, lunedì o sabato,
estate o inverno, in quel momento siete al centro
del mondo! Qualsiasi cosa sul pianeta succederà pas-
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conclusione quindi è che: “Manhattan è il centro del
mondo!”
serà da lì! Provateci e in quel momento sarà come
trasformarsi in un’antenna universale e onniricettiva ed essere attraversati, bombardati, da milioni di
informazioni. Sarà come essere assaliti da una sindrome di Stendhal sensoriale.
A meno di una teoria che dimostri diversamente, la
La metropoli “normale”
È una city dove tutto è possibile, tutto è al massimo in un inesauribile generatore di situazioni. È qualche giorno dopo lo sbandamento iniziale dovuto alla “prima volta”, che nel mezzo a tutta questa gente iperattiva, che mentre mangia parla, legge e riceve e-mail dall’etere, che inizia l’assurda infatuazione per questo posto. Inizia quando meno te lo aspetti, in mezzo a quell’apparente estraneità che si avverte di fronte a queste persone mai indecise, a
quei giovani che si conoscono tra loro con le lunghe
gittate di Internet, a questo popolo che non comunica con le parole, ma con il vestire, l’atteggiarsi, lo
smanacciare rap ecc. Però, è in mezzo a questa
gente che ti accorgi che, per certi versi, Manhattan
è anche una città normale.
È solo così, con il passare del tempo, che pian piano la scopri. Nei primi giorni, ogni giorno esce un’idea
diversa di Manhattan e dei newyorchesi, ma poi le
impressioni si stabilizzano. All’inizio è come incastrare in un puzzle quello che di Manhattan conosci
e quello che di nuovo scopri: déjà vu e spiazzamento del tipo “come-non-me-lo-sarei-mai-aspettato”. I
déjà vu, senza saperlo, fanno già parte di noi, complici il bombardamento mediatico e la miriade di ambientazioni cinematografiche che questa città ha
ospitato: dal King Kong attaccato all’antenna dell’Empire State Building agli allegorici affreschi del vivere moderno dei film di Woody Allen, al torbido annaspare metropolitano raccontato da Robert De Niro in Taxi Driver. Lo spiazzamento invece è quello
delle sensazioni più subdole: degli odori acri e quasi mai gradevoli (ogni angolo ha il suo) dell’instan-
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cabile brusio di sottofondo (ogni ora della giornata
ha il suo), del modo di fare dei tassisti, dei poliziotti, delle commesse dei fast food, dei mendicanti
(questi invece sono tutti uguali, uniformati per categorie dalla metodica dello standard globale).
C’è un gesto primario che quotidianamente si perpetua e che identifica il vivere di questo villaggio globale. Pensiamo alla Fifth Avenue dell’ora di massimo affollamento o alle stazione della metropolitana.
È l’azione di sfregamento reciproco delle migliaia di
sconosciuti di tutte la razze e culture che s’incrociano, si tagliano la strada, si toccano spalla-con-spalla, braccio-con-braccio, scambiandosi in questo gesto sottinteso chissà che cosa, per poi di nuovo
schizzare via, ognuna nella propria direzione. È questa azione che sviluppa l’energia che unisce questo
popolo globale nella città globale. È così che la Manhattan sfarzosa e selettiva dei suoi status symbol
diventa la Manhattan della gente “normale”. È così che la Manhattan delle limousine, delle lussuose
boutique, degli alberghi a cinque stelle e dei locali
ad accesso ristretto diventa anche la Manhattan di
tutti: delle persone con le borse della spesa, dei tu-
risti in fila per la Statua della Libertà, dei quattordicenni guerrieri-annoiati e così via.
Ecco una definizione che riassume tutto: “Lunatic
Park”. È così che il magazine “Private” ha definito
Manhattan nel suo numero dedicato a New York. In
effetti, di “lunatico” e di “parco” in Manhattan c’è
molto. Il tavolato di questa città rappresenta un vero, unico e ineguagliabile esempio di museo urbano naturale moderno (Allen lo definisce “emblema
della decadenza post-moderna”). Ancora più appropriato, però, potrebbe essere un altro paragone di
tipo espositivo: un gigantesco acquario. Un contenitore in cui milioni di creature nuotano, boccheggiano o passivamente galleggiano, ognuno alla propria altezza e ognuno secondo la legge naturale che
regola la propria specie (che in questo caso ben si
associa al concetto di livello sociale).
L’acquario e il piano divisorio
Escludendo il rettangolo verde che corrisponde al
Central Park e le altre aiuole più o meno grandi, può
venire da chiedersi: “dov’è la terra?”. Risposta: “terra non ce n’è!”. Infatti, è come se in questa città
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svariati chilometri quadri d’estensione e milioni di metri cubi di terra e materiale sedimentoso vario avessero firmato una specie di rassegnata resa sine die
al rivedere la luce, per fare da ancora a un gioco di
costruzione urbana, architettonica di strabiliante bellezza. È su questa terra che sprofondano per decine di metri le radici impiantistiche invisibili e le utilità tecnologiche di questa città.
Immaginiamo di dividere, di affettare Manhattan
con un grande piano orizzontale. Proviamo a immaginare questo piano come una sorta di “livello zero” corrispondente alle strade, ai marciapiedi e a
tutto ciò sul quale è concesso ai comuni mortali di
appoggiarsi e di spaziare in pseudo-libertà. È sopra/
sotto questo livello che può essere tentata una prima divisione. È come un ideale e ideologico confine che divide due mondi, due popolazioni, due stili di vita, attraversabili con dei trabiccoli rotativi simili a tritacarne per corpi umani: i tornelli d’accesso ai binari della metropolitana. Scendere dal livello stradale al sottosuolo, entrare in questi tritacarne, è come essere investiti da un’aberrazione spazio-temporale che ti catapulta in un’altra dimensio-
ne. Via le
...ogni suo centimetro deve essere
iperluci della
city, via ogni
futile manieun orgoglioso alzarsi, un alzarsi
rismo estetico-architettoin pura esaltazione, che dal basso
nico… via
tante altre
cose. Rispetverso l’alto costituisce un’unità
to a quello
che si è lasciato sopra,
senza linee discordanti...
sembra il negativo fotografico che con il sopra ha in comune soltanto il vapore degli sfiati della MTA Subway.
È il modo degli odori umidi, dei rumori stridolenti,
del fascino claustrofobico, della polvere che si stratifica millimetro dopo millimetro e che soltanto l’usura del quotidiano passare è capace di pulire. È questo il mondo affogato sotto quella terra carotata dalla tecnologia del mass transportation (l’equivalente
sotterraneo della fiumana gialla dei taxi di superfi-
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notizie utili
QUANDO ANDARE
New York è consigliata tutto l’anno.
COME ANDARE
Tutte le compagnie hanno promozioni legate alla stagione, a prenotazioni
anticipate, proposte last minute, viaggi in coppia o per fasce d’età (giovani
e ultra-65enni). I periodi più ricchi di opportunità sono i mesi invernali, a
eccezione del Natale e dei periodi in cui vi siano festività ed eventi nelle
destinazioni di arrivo e partenza.
Per i prezzi delle tratte elencate sotto, si consiglia una verifica sui siti
www.opodo.com, versione francese con tariffe in euro, e
www.travelocity.com, o della compagnia se propone prezzi migliori del
portale.
Alitalia, diretto da Malpensa a Newark e ritorno (www.alitalia.it): durata
del volo 9h15’
Klm, via Amsterdam, da Malpensa a JFK e ritorno (www.klm.com): durata
del volo 11h20’
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Air France, via Parigi, da Linate a JFK e ritorno (www.opodo.com): durata del volo 12h35’
American Airlines, via Bruxelles, da Malpensa a JFK e ritorno via Zurigo (www.opodo.com):
durata del volo 11h40’
British Airways, via Londra, da Linate a Newark, con rientro da JFK su Malpensa
(www.ba.com): durata del volo 11h45’
Continental, diretto da Malpensa a Newark e ritorno (www.travelocity.com):
durata del volo 9h10’
Delta, diretto da Malpensa a JFK e ritorno (www.opodo.com): durata del volo 8h50’
Iberia, via Madrid, da Linate a JFK e ritorno (www.opodo.com): durata del volo 12h45’
Lufthansa, via Francoforte, da Linate a Newark e ritorno (www.travelocity.com):
durata del volo 10h50’
Sabena, via Bruxelles, da Linate a JFK, ritorno su Malpensa (www.opodo.com):
durata del volo 11h20’
Sas, via Copenaghen o Stoccolma, da Linate o Malpensa a Newark e ritorno
(www.flysas.com): durata del volo 14h05’
Swiss, via Zurigo, da Malpensa a JFK e ritorno (www.opodo.com): durata del volo 12h10’
Virgin, via Londra, da Linate a Newark e ritorno (www.opodo.com): durata del volo 11h35’
SITI UTILI
www.nyc-site.com - è il primo sito italiano interamente dedicato a New York.
Al suo interno si possono trovare numerose risorse rigorosamente in italiano per un servizio
semplice ma allo stesso tempo efficace.
iloveny.state.ny.us - sito ufficiale di viaggio e turismo dello Stato di New York (in inglese)
www.nyc.gov - sito ufficiale della città di New York (in inglese)
newyork.globoguide.de - guida dedicata a New York (in tedesco)
www.newyork.org - sito ricco links su New York (in inglese)
www.nycvisit.com - sito ufficiale del turismo (in inglese)
www.readio.com - rivista on-line della città con foto e informazioni su teatri e spettacoli in
genere (in inglese)
www.italconsulnyc.org - sito del consolato italiano a New York
www.lets-do-newyorkcity.com - sito sui tour organizzati a Manhattan (in inglese)
www.thecityreview.com - sito dedicato all’architettura, ai musei e ai libri di New York City
(in inglese)
www.nyctourist.com - sito dedicato a New York con informazioni su eventi, shopping on
line, foto (in inglese)
www.ny.com - guida completa con tante immagini e informazioni utili sulla città (in inglese)
home.att.net/%7Esj.elliott/bronx.html - informazioni per i turisti per New York e in
particolare per il Bronx (in inglese)
www.newyork.com - utile guida on line con informazioni su alberghi, ristoranti e
intrattenimento (in inglese)
www.newyorkcity.com - utile guida on line con informazioni su alberghi, ristoranti e
intrattenimento (in inglese)
www.viaggeria.it - guida alla città di New York, del sito www.viaggeria.it.
Informazioni utili per un soggiorno nella Grande Mela (in italiano)
PER INFORMAZIONI SUI DOCUMENTI
Consolato Generale degli Stati Uniti
http://www.usembassy.it/english
A Roma - via Vittorio Veneto, 119/A - 00187 Roma - tel. 06 4674.1 fax 06 4674.2356
A Firenze - Lungarno Vespucci, 38 - 50123 Firenze - tel. 055 266.951 fax 055 284.088
A Napoli - Piazza della Repubblica - 80122 Napoli - tel. 081 5838.111 fax 081 7611.869
http://naples.usconsulate.gov/english/
A Milano - Via Principe Amedeo 2/10 - 20121 Milano - tel. 02 290351 fax 02 29001165
http://milan.usconsulate.gov
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cie). È il mondo invisibile, dove alloggia un iperbolico sistema di vene e arterie, che trasporta i mille fluidi di cui la città si nutre, ma anche un groviglio di
segnali in cui galoppano follemente i numeri delle
transazioni bancarie, cozzandosi con i
fili meno nobili che accendono volgari lampadine. Una
rete disordinata che privilegia l’efficienza al senso estetico, contrapposta all’appariscente ordine ortogonale dell’intersecarsi di avenue e street.
L’altro mondo sta sopra, ma sopra sopra quell’ipotetico piano divisorio. Ci vorrebbe quella macchinetta-razzo che fu presentata alla cerimonia d’apertura delle olimpiadi di Los Angeles del 1984 e che permette di volare galleggiando nell’aria come fanno gli elicotteri (che ne sarà stato di quell’invenzione?). Sarebbe lo strumento ideale per goderci queste meraviglie. Sarebbe bellissimo accendere i motori e alzarsi lentamente
per assistere, centimetro dopo centimetro, al
materializzarsi di uno spettacolo sempre diverso. Dalla fascia terrena, nella quale i graffiti fanno a gara con le insegne, su, su, sopra tetti piatti, dove poggiano quei macchinoni a ventola per
l’aria condizionata, i serbatoi dell’acqua, per proseguire ancora con questo gioco di costruzioni verso
l’alto, che sembra non avere limiti.
Skyscraper (“grattacielo”). Louis Sullivan, uno dei più
grandi architetti americani, ne dà una definizione
molto “fotografica”, una definizione tra il mistico, il
presuntuoso e l’inquietante: “Ci deve essere la forza dell’altezza, ci devono essere la gloria, l’orgoglio
e il senso di esaltazione. Ogni suo centimetro deve essere un orgoglioso alzarsi, un alzarsi in pura
esaltazione, che dal basso verso l’alto costituisce
un’unità senza linee discordanti”. Ed eccoli i grattacieli di Manhattan, la quintessenza estetica di
questa città dove cemento e ferro battuto si mescolano al vetro, all’acciaio inox, al plexiglas e alla luce.
La Downtown è un’insieme di costruzioni di imponenza assoluta, di magnificente bellezza, di intimidatoria fierezza. Viste lì, così come stanno, sembrano appena appoggiate, saltate fuori da un campionato mondiale di costruzioni Lego, ingigantito migliaia di volte con un colpo di bacchetta magica. Migliaia di tonnellate di materia edile che appaiono leggere, disposte secondo un equilibrio architettonico dove semplicità e complessità coesistono e che l’homo modernus è disposto ad acquistare per cifre altissime. È su questo lato del piano divisorio che si
fronteggiano questi titani, a cui il ciclo decennale di
neve, vento e sole non ha scalfito il fascino. È que-
sto scacchiere immobile, dove il sole arriva a malapena, è la solidità costruttiva di queste opere che si
può contemplare nei mille poster e nelle mille vedute della città.
È il Manhattan skyline, frutto di un lungo, lento e costante progetto evolutivo. Come in parallelo all’evoluzione dell’uomo nella sua storia contemporanea
e l’andamento economico-capitalistico-globale, del quale qui siamo nella capitale. Un’evoluzione misurabile in metri d’altezza e
record su record. Grattacieli che si
passano il testimone dei record
d’altezza: dal Flatiron, costruito agli inizi del 900, alla Torre 1 del World Trade Center,
per scendere nel 2001 sull’attuale record di 381 metri
dell’Empire State Building
(come se la presunzione
umana fosse stata punita…). Ma c’è anche
l’ineffabile gara dell’eleganza, una gara che
va avanti da più di un
secolo e che le regole dell’innovazione hanno
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incoraggiato. La gara dove le teste aquiline del Chrysler Building rivaleggiano con l’impronta da ferro da
stiro del Flatiron (art decò metallico contro austerità neo-gotica del cemento). Oppure tra le vetrate della Grand Central Station e le levigate rotondità del
Guggenheim Museum.
Le “a” di arte e
di avanguardia
Se gli architetti hanno disegnato la parte “fisica”,
tangibile, della Manhattan “che è”, una cosa altrettanto tangibile è l’influsso delle varie espressioni artistiche, ed ecco che l’altro “connotato forte” di questa città si chiama Velvet Underground,
Jackson Pollock, Jack Kerouac e Woody Allen. Solo quattro, sono i quattro nomi con i quali tracciare una sorta di confine artistico onnicomprensivo.
Se le varie città europee, ognuna per la sua parte, sono state la culla dell’arte classica, tutti i movimenti artistici che si sono affermati dal dopoguerra (soltanto pochi nomi fanno eccezione) hanno in
qualche modo a che fare con la Grande Mela. È
stata tutta quella commistione di motivazioni geografiche, sociali, politiche ed economiche che dagli anni Cinquanta si sono stratificate in questo
posto, a innescare un’esplosione artistica di portata enorme. Un’esplosione nella quale ogni “conquista” è a sua volta riesplosa in altre situazioni,
in un intrecciarsi creativo-trasversale più veloce,
anche della propria capacità di catalogarsi.
Partiamo con l’album Produced By Andy Warhol
dei Velvet Underground & Nico (il banana album):
uno dei riferimenti musicali più importanti di tutti
per la musica del 900. È l’esplosione new wave
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che ridefinisce il rock tutto. Basta ascoltare “Venus In Furs” per rendersi conto di quest’energia
grezza, puramente istintiva, che il rock sprigiona
e che non poteva incubarsi che in un posto come
New York. È l’inquietudine urbana, è il velluto sotterraneo di questo luogo l’impalpabile humus creativo della band prediletta da Warhol (a quel tempo immerso nell’aleatoria fusione tra suoni, luci e
immagini dell’Exploding Plastic Inevitable). È una
musica dai contrasti forti: la sensazione tattile del
velluto che contrasta con le note sporche di questo nuovo rock, così come le note nude della viola di John Cale dissonavano con la chitarra elettrica di Lou Reed.
Jackson Pollock è un altro artista per cui “dopo di
lui niente sarà più come prima!” Nessun modello fisico, reale cui rifarsi, nessuna narrazione. Da
qui in poi la creatività sarà veramente infinita. Se
le avanguardie pittoriche di derivazione europea
avevano stravolto le regole formali del dipingere
classico, queste (avanguardie) si sbricioleranno
nell’urto con un modo di fare che scoprirà tutti i
loro limiti: l’action painting (o dripping o espressionismo astratto)! A una a una cadono anche le (poche) regole, che né l’espressionismo nordeuropeo, né le correnti dadaiste sovvertirono. La tela
si sgancia dalla posizione deputata verticale per essere dipinta stesa sul suolo. Il pennello che lavora schizzando il colore, trattenendolo appena, per
lasciare che questo goccioli liquido sulla tela, senza venirne mai a contatto. È un passo fondamentale per tutta l’arte moderna. È l’artista che sovrappone all’arte del dipingere con una sorta di danza
rituale, cercando solo se stesso e liberandosi pa-
big apple
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radossalmente proprio del suo essere artista. Non
è più creazione che segue un discorso cerebrale.
Attraverso la liberazione dell’istinto, attraverso la
creazione al suo stato più puro è rottura assoluta! Lo sbandamento fu totale. Ci vorranno anni di
studio e nuove generazioni per decodificare la lezione.
Il testimone passa di mano in mano e niente meglio di una tela di Pollock, “White Light”, poté rappresentare una delle correnti musicali più importanti di fine secolo, un equivalente musicale di
questa lezione: il free jazz. A testimoniare una reazione a catena, che, a questo punto (siamo a cavallo degli anni 60), è inarrestabile.
Nuovo passaggio di testimone, ed è proprio il jazz
a dare il via a un altro fenomeno artistico, ma anche sociale: la beat generation. Se il jazz si lega
alla pittura, c’è a sua volta la letteratura che si lega al jazz. La libertà è alla base di tutto e adesso
è la libertà del jazz (che da bebop diventa free) che,
fondendosi con l’esercizio artistico libero per eccellenza, la scrittura, innescherà il nuovo flusso
artistico. È di nuovo “il rompere” il credo principale della nuova corrente e la rottura è (di nuovo)
funzione del proporre un’alternativa alla società
precostituita, allo status quo. Non c’è posto al
mondo diverso dal Greenwich Village, da cui Jack
Kerouac poté urlare il manifesto programmatico di
quest’ordine: “In accordo alle leggi dell’orgasmo,
è necessario scrivere in fretta, con eccitazione,
guardando sempre avanti e fino a sentire i crampi”. L’urlo è ancora una volta inquieto come la sua
città: forte, libero e anticonformista.
Non è finita. Se Pollock, Kerouac insieme ai Vel-
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vet Underground di Warhol rappresentano l’avanguardia radicale, personificando l’alternativa, Woody Allen interpreta Manhattan in una chiave decisamente più cool, più easy, anche se non priva di
caustica denuncia, diventando per la città, il personaggio più iconografico. È attorno all’universo
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delle “nevrosi metropolitane moderne” che si cementificano due suoi capolavori: Manhattan e Io
e Annie. È la parodiata vivisezione del borderline
psichiatrico del vivere newyorchese ad affrescare scene di valenza culturale universale e la forza
motrice di queste opere sono proprio i frammenti della vita quotidiana. Quei vernissage a base di
arte e tartine, in cui tutti s’impegnano a parlare “difficile”, ma nessuno ascolta (ovvero la capacità di
emissione vocale superiore a quella uditiva)… Oppure quella generazione di trentenni che fluttua in
perenne angoscia tra fedeltà matrimoniale e tradimento, tra carriera e famiglia, tra esaltazione e
disillusione.
Oppure il trionfo del voltafaccia, dove saluti il tuo
peggior nemico con il bacetto sulla guancia, con
lo stupidissimo: “Ah… Ma sei proprio tu… Da
quanto tempo… Bla bla bla…” Oppure ancora
quelle competizioni in cui tutti rivaleggiano contro
tutti nel gioco dell’apparire.
Comunque, niente meglio del film Manhattan è riuscito a intrappolare l’anima senza tempo di questo posto. È una lezione assoluta di cinema: fotogrammi in banco e nero, dove la fisicità di vetro,
cemento e acciaio si spalma nelle immagini sotto forma di impercettibili variazioni di grigio (Manhattan è una città in bianco e nero…) in una danza d’immagini musicata dalle note della gershwiniana “Rhapsody In Blue”.
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PERCORSO ARCHITETTONICO ESSENZIALE
American Radiator Building
40th Street tra la Fifth e la Sixth Avenue
Chrysler Building
405 Lexington Avenue
Empire State Building
350 Fifth Avenue
Flatiron Building
Tra la 23rd Street, Broadway e la Fifth Avenue
Grand Central Station
Tra la Park Avenue e la 42nd Street
Rockefeller Center
48th e 51st Street, tra la Fifth e la Sixth Avenue
Woolworth Building
223 Broadway
Brooklyn Bridge e Manhattan Bridge
Tra Lower Manhattan e Brooklyn.
PERCORSO ARTISTICO ESSENZIALE
Solomon R. Guggenheim Museum
1071 Fifth Avenue
The Metropolitan Museum of Art
1000 Fifth Avenue
Museum of Modern Art (MoMA)
11 West 53 Street, tra la Fifth e la Sixth Avenue
Whitney Museum of American Art
945 Madison Avenue incrocio 75th Street
Lincoln Center for the Performing Arts
70 Lincoln Center Plaza
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Le fotografie fanno parte della serie “Manhattan - Vertical Living & Horizontal
Views” e sono state esposte tra il 2005 e il 2006 a Firenze, Lucca e Roma.
“Zoom Magazine” le ha definite: “… Espressione della voglia di abbracciare le
grandezze (fisiche e ideologiche) di questa città. Creare una sorta di reazione
acida attraverso lo scontro tra le verticalizzazioni estreme e lineiformi dei
grattacieli con l’orizzontalità e le aberrazioni della visione panoramica…
Liquefazione delle linee contro l’ortodossia della fotografia architettonica…”
Manhattan
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