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Martedì 27/12/2016 Recuperare coesione per rilanciare il Sud e competere al Nord di Aldo Bonomi Tempi di turbolenza, indotti da una globalizzazione che da espansiva si è fatta selettiva. Il che induce riposizionamenti nello spazio di posizione geoeconomica e geopolitica. Si guarda in alto alle urgenze dei governi, alle grandi città, all’Europa. Poi, basta un referendum, non solo in Italia, a ricordarci che i flussi della globalizzazione selettiva impattano sul territorio, nella vita quotidiana e su ciò che sta in mezzo tra flussi e luoghi. Non sarà un caso se, metamorfosi semantica, nel Governo Gentiloni fa capolino la parola “coesione” dopo anni di retorica di disintermediazione. E’ infatti anche sulla capacità dei sistemi di “intermediare” tra flussi e luoghi che occorre concentrarsi, e non, come purtroppo si tende a fare, sulla capacità di agevolare una disintermediazione che, come tutti i processi sociali, se non governata produce più danni che benefici anche nel tessuto economico, specie nel contesto di una globalizzazione selettiva che erode la coesione. Coesione per sopravvivere a Sud, visti i dati alla greca del Mezzogiorno, e coesione per competere nel Centro Nord. Quest’ultima ha il suo epicentro in Lombardia che vale, in termini di PIL relativo (20,7% per Eurostat nel 2014) ciò che vale la grande Londra per la Gran Bretagna o la Renania Settentrionale-Vestfalia per la Germania. La Lombardia è infatti uno dei grandi motori economici dell’Europa e, a seconda del punto di vista, può essere considerata la più “grande” delle regioni italiane o una del gruppo delle più “piccole” nel contesto delle grandi regioni economiche europee. E ciò vale anche dal punto di vista delle performance. Nell’arco del decennio 2005-2014 (sempre dati Eurostat sul PIL) cresce più della media italiana ma meno (molto meno) della media delle regioni europee più importanti: +12,2% del PIL rispetto al +23,5% della Renania-Vetsfalia, al +32,1% della Baviera; ma, soprattutto, -0,5% in termini di occupati rispetto al +7,4% e al +11,9% delle due regioni tedesche che condividono con la Lombardia una quota di addetti alla manifattura abbastanza simile. Ciò che non è simile è, storicamente, il modello sociale di capitalismo. Là un modello tutto in grande: grande impresa, grandi banche, grande concertazione, grande stabilità istituzionale, qui un modello fatto da una microfisica di relazioni di filiera, di relazioni con il mondo del credito, di pluralità e frammentazione della rappresentanza, di articolazione locale delle autonomie funzionali (Camere di commercio e Università). In entrambi i casi, quale che sia il modello con i suoi pro e contro, la misura della sua efficacia non deve essere ridotta ad una semplice questione di “dimensioni” quanto, a mio modo di vedere, in termini di capacità di “stare in mezzo” e governare il rapporto tra la sfera competitiva globale dei flussi e i particolari assetti produttivi locali. In questo scenario, alla luce dei processi di ristrutturazione dell’apparato produttivo e della crescente importanza strategica assunta da quello che io chiamo capitalismo delle reti che presidia (intermedia) la circolazione di denaro, merci, energia, persone, saperi e informazioni, prendono corpo quelle che io chiamo da tempo “piattaforme territoriali”. Nel caso della Lombardia se ne delineano quattro: la città metropolitana di Milano, porta nazionale e regionale dei flussi in entrata e in uscita; la pedemontana lombarda che si snoda da Malpensa a Brescia, architrave del sistema manifatturiero regionale e principale asset nazionale insieme alle piattaforme della pedemontana veneta e della via Emilia; la piattaforma della bassa padana, cuore dell’agroindustria high tech e della logistica alla Amazon; la piattaforma alpina, serbatoio ambientale e luogo di intreccio tra turismi, tradizioni agroalimentari e qualità della vita. A mio modesto avviso il tentativo di governo (governance) della dialettica tra flussi e luoghi dovrebbe essere posto a questo livello, né sotto, dove non c’è massa critica per influire realmente sui processi, né sopra, dove si rischia di perdere di vista l’orizzonte strategico legato alle vocazioni produttive e alle traiettorie dello sviluppo. Da questo punto di vista mi pare di poter dire che se è vero che c’è stato un eccesso di disintermediazione, è anche vero che la spinta autoriformatrice dal basso non è stata più illuminata o più attiva nell’aggregare soggetti e aprire nuove relazioni. Tanto è vero che mentre assistiamo ad una riconfigurazione accelerata verso l’altro, verso il cielo dei flussi, del capitalismo delle reti: banche, utilities, servizi ICT e TV, reti infrastrutturali e hub aeroportuali, non assistiamo ad alcun gioco di contro-bilanciamento (si chiama democrazia economica all’epoca dei flussi) per accompagnare il radicamento di queste asset strategici nel cuore produttivo delle quattro piattaforme, con parziale eccezione della città metropolitana nella sua specifica funzione di gate, alla quale, non a caso, un po’ tutti i territori contigui cercano di aggregarsi (da Rho a Treviglio, da Lodi a Vigevano). Questo compito di ri-bilanciamento dovrebbe essere preso in carico anche dalla rappresentanze territoriali degli interessi delle imprese, del lavoro e delle professioni, dalle Camere di Commercio e da ciò che saranno le cosiddette Aree vaste. In questo accompagnate anche dalla Regione, per altro essa stessa, in quanto entità amministrativa, alla ricerca di nuovi spazi di legittimazione istituzionale tra centro e periferia. Qualche segnale in questo senso pare di coglierlo dell’accordo di programma firmato tra Regione Lombardia e sistema camerale regionale, poi si tratterà di capire cosa tale programma sarà in grado di produrre anche nell’ottica di influire sull’evoluzione delle forme di governance delle piattaforme territoriali, vero spazio di ricucitura possibile di un tessuto economico e sociale in cerca di coesione. Qui si tratta di prendere in prestito il pacato invito al “rammendo” evocato da Renzo Piano in relazione al tessuto delle periferie urbane e sociali. Occorre accompagnare la trasformazione delle relazioni sociali che provano a rammendare il tessuto lacerato della microfisica dei poteri in cerca di un nuovo spazio di rappresentazione tra flussi e luoghi, tra centri e periferie. [email protected]