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DOTTRINA
BREVETTI VIOLATI: QUALI NORME PENALI APPLICARE?
di Federico Piccichè
SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Il delitto di cui all’articolo 473
del codice penale. – 3. Il delitto di cui all’articolo 514 del codice penale. – 4. Il delitto di cui all’articolo 127 del D.L.vo
n. 30/2005 – 5. Ancora sul caso: approfondimenti. – 6. Conclusioni.
1. – Il caso.
Questo scritto trae origine da un caso giudiziario
particolarmente interessante nel quale tre fattispecie di reato si contendevano il campo e, cioè: i delitti previsti e puniti dagli articoli 473 e 514 c.p. e
quello di cui all’art. 127 del D.L.vo n. 30/2005 (1).
La vicenda si può brevemente riassumere in questo modo.
Nel mese di gennaio del 2006 la guardia di finanza effettuava delle perquisizioni presso gli uffici
di tre società della provincia di Milano, accertando
la presenza di alcune linee di produzione per dvdrom e di svariati supporti ottici tipo dvd preregistrati, elementi che costituivano il segno di una produzione in corso che però, non risultava essere stata
autorizzata dalla società titolare del relativo brevetto, non essendo state preliminarmente versate le
royalties.
La guardia di finanza, di conseguenza, procedeva al sequestro degl impianti e del dvd, ravvisando la flagranza del reato di cui all’articolo 473,
comma 2, c.p.
All’esito delle indagini, il pubblico ministero
notificava ai responsabili delle società l’avviso di
chiusura di cui all’articolo 415 bis del codice di rito,
ipotizzando la violazione dell’articolo 514, secondo
comma, c.p. (2).
All’avviso, il pubblico ministero faceva seguire
una richiesta di archiviazione, che veniva poi accolta dal giudice per le indagini preliminari.
Determinanti erano state le argomentazioni
svolte dalle difese e dal consulente di un prestigioso
studio, esperto in materia di brevetti, che occorrerà
ripercorrere, perché consentono di ben comprendere quale sia il discrimine fra le tre fattispecie di
reato alle quali si è accennato in apertura.
Essenziale è però, in primis, spendere qualche
parola sulla struttura di questi tre illeciti.
2. – Il delitto di cui all’articolo 473 del codice
penale.
La norma si compone di tre commi.
Con il primo comma il legislatore punisce
«chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o
dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di
tali marchi o segni contraffatti o alterati».
In tal modo il legislatore ha inteso tutelare la
fede pubblica e cioè: l’interesse della generalità dei
consociati a poter fare affidamento sulla genuinità
dei segni che contraddistinguono le opere dell’ingegno o i prodotti industriali.
Tutelato è anche l’interesse del legittimo titolare
del segno al suo esclusivo utilizzo.
Il delitto fa parte della grande categoria dei reati
comuni, nel senso che può essere commesso da
chiunque e ha, come oggetto, il marchio o i segni
distintivi (3).
Il marchio può essere considerato il segno distintivo per antonomasia (4).
Esso tecnicamente costituisce un indicatore di
provenienza, in quanto ha la funzione di collegare
la res, sulla quale è apposto, al soggetto che l’ha
creata.
Il marchio garantisce l’acquirente che ciò che sta
comprando proviene da un determinato soggetto e
da nessun altro.
Il marchio, oltre ad essere un indicatore di provenienza, costituisce anche un collettore di valori,
posto che è capace di imprimere il prodotto, sul
quale viene impresso, di maggiori informazioni e
qualità, che lo rendono unico e differente dagli altri
prodotti.
L’elemento oggettivo del reato è dato dalla contraffazione o alterazione del marchio e/o segno distintivo, oppure, dall’uso che si fa del segno falsificato.
La contraffazione consiste nella creazione non
autorizzata di una o più copie del segno originale ed
essa ha la capacità di ingannare il compratore, che
di fronte al segno, è assistito dalla convinzione che
ciò che sta acquistando provenga da un determinato
soggetto (magari noto sul mercato perché i suoi
prodotti sono i migliori qualitativamente e il frutto
delle più sofisticate tecniche di lavorazione) oppure
da una regione geografica ben precisa (ad es. le denominazioni di origine).
ASTOLFO DI AMATO, con specifico riferimento
al marchio, scrive: «La contraffazione si realizza ...
quando il marchio genuino sia riprodotto più o
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meno pedissequamente ed anche solo parzialmente..., in modo da recare confusione in ordine alla
provenienza dei prodotti» (5).
L’alterazione, invece, consiste nella modifica
materiale del segno originale.
In questo contesto si agisce direttamente e concretamente sul segno genuino.
L’ipotesi ha una scarsa rilevanza applicativa (6).
L’uso, da ultimo, consiste in un’attività di impiego, per scopi non meramente commerciali (7),
del segno falsificato da parte di chi non è concorso
nella falsificazione.
Per l’integrazione dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico e cioè, la coscienza e volontà di falsificare il segno o, in alternativa, di fare
uso del segno essendo consapevoli della sua falsificazione.
Il secondo comma dell’articolo 473 punisce, invece, «chi contraffà o altera bevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa
uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o
alterati».
Anche in questo caso l’interesse protetto è quello
della pubblica fede, consistente nella fiducia che la
collettività ripone nei brevetti, disegni o modelli industriali.
Il delitto è un reato comune e l’azione delittuosa
ha come oggetto il brevetto, il disegno o il modello
industriale.
Il brevetto è tecnicamente un attestato in base al
quale una data invenzione viene riferita ad un determinato soggetto, cui lo Stato concede il diritto
all’esclusivo sfruttamento.
L’attestato è dunque un documento che consacra
ufficialmente il riconoscimento del diritto dell’inventore all’esclusivo sfruttamento della sua invenzione.
Con le espressioni «disegno» e «modello industriale» il legislatore ha inteso riferirsi al brevetto
per disegno e modello industriale, nel senso che, costituendo il disegno e il modello industriale delle
creazioni intellettuali (8), essi potranno trovare protezione solo dopo essere stati brevettati.
Protetto sarà, pertanto, il relativo brevetto, che
attesterà l’esclusività del disegno o del modello in
capo al suo creatore.
L’elemento oggettivo consiste nel contraffare o
alterare il brevetto, il disegno o il modello industriale oppure nel fare uso dei medesimi falsificati.
L’elemento oggettivo ha dato grossi problemi ai
fini di un suo corretto inquadramento dogmatico.
A fronte di alcuni, i quali sostengono che la
norma punirebbe le «falsità materiali» dell’attestato, in cui consiste propriamente il brevetto sotto
il profilo documentale, altri invece pensano, che la
norma punirebbe la contraffazione della creazione
intellettuale in sé e per sé considerata (9).
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L’elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza di falsare il vero o di fare uso di prodotti
falsificati.
Il terzo ed ultimo comma dell’articolo in esame
statuisce, infine, che i due commi sopra analizzati
trovano applicazione «sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni
internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale».
Ciò porta a pensare che la tutela penale non potrà
essere riconosciuta a favore di marchi e/o brevetti
non registrati o illegittimamente registrati.
3. – Il delitto di cui all’articolo 514 del codice
penale.
La norma punisce «chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi,
marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale».
L’articolo vuole contrastare la circolazione di
prodotti industriali con segni contraffatti, sui mercati interni o esteri, che sia in grado di pregiudicare
l’economia nazionale.
L’obiettivo è quello di tenere indenne l’ordine
economico interno da un evento di considerevole
portata, in quanto capace di arrecare un nocumento
all’industria italiana considerata nel suo complesso.
Al riguardo, continuano ad essere davvero significative le parole tratte dal prezioso Manuale di diritto penale di G IOVANNI F IANDACA ed E NZO
MUSCO, che testualmente si riportano: «Questa fattispecie, mai applicata, è intesa a tutelare l’ordine
economico ed è imperniata su di un evento: il «nocumento all’industria nazionale» di proporzioni
smisurate, difficilmente verificabile e accertabile»
(10).
Non risultando questa fattispecie essere stata mai
applicata, si potrebbe aggiungere che l’evento, in
questo reato, è destinato a restare una sorta di idea
vuota.
Difficilmente esso, anche se perfettamente e
ineccepibilmente pensabile, potrà essere dato
dall’esperienza.
Anche questo delitto, rientra nella grande famiglia dei reati comuni, potendo essere commesso da
chiunque.
L’azione delittuosa può ricadere solo sui prodotti
industriali e non anche sulle opere dell’ingegno
(11).
L’elemento oggettivo è integrato dalla messa in
vendita o in circolazione di prodotti industriali falsi
ed è, pertanto, caratterizzato da qualsiasi comportamento che sia capace di immetterli in concreto nel
mercato.
Per l’integrazione dell’elemento soggettivo è
sufficiente il dolo generico e cioè, la coscienza e volontà della immissione dei falsi prodotti industriali
nel mercato, accompagnate dalla consapevolezza
che da ciò, potrebbe derivare un grave danno
all’economia del Paese.
L’evento di danno, come si può notare, deve riferirsi all’economia dello Stato italiano.
Non entrerà, pertanto, nel fuoco di tiro dell’articolo una condotta che abbia provocato danni al sistema economico di uno Stato estero.
Il capoverso dell’articolo individua una circostanza aggravante qualora per i marchi e/o i segni
distintivi siano state osservate le norme interne o internazionali sulla tutela della proprietà industriale.
4. – Il delitto di cui all’articolo 127 del D.L.vo
n. 30/2005.
Tale articolo, al primo comma, sancisce testualmente: «Salva l’applicazione degli articoli 473, 474
e 517 del codice penale, chiunque fabbrica, vende,
espone, adopera industrialmente, introduce nello
Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà
industriale valido ai sensi delle norme del presente
codice, è punito, a querela di parte, con la multa
fino a 1.032,91 euro».
La norma è posta a presidio dei diritti di proprietà industriale (12).
L’interesse protetto è il diritto del titolare del
brevetto a sfruttare in via esclusiva l’idea brevettata.
Chiunque potrà assumere la veste di soggetto attivo del delitto, trovandoci di fronte ancora una
volta ad un reato comune.
Oggetto del reato sono i brevetti per invenzione
industriale, per modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali.
L’elemento oggettivo si sostanzia di una pluralità di condotte, tutte capaci di intaccare il diritto di
esclusiva facente capo al titolare del brevetto.
In particolare, la norma punisce chi fabbrica,
vende, espone, adopera industrialmente o introduce
nello Stato oggetti, frodando un titolo di proprietà
industriale.
L’elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza dell’esistenza di un valido brevetto, in
frode al quale si agisce.
5. – Ancora sul caso: approfondimenti.
Ciò premesso, vediamo ora di ritornare al caso
da cui ho preso le mosse e di gettare uno sguardo sui
processi industriali che caratterizzavano l’attività
delle tre società e sulle qualità intrinseche dei loro
prodotti, posto che, in questo modo, sarà possibile
comprendere perché, fra le tre norme sopra commentate, si è ritenuto e si ritiene più corretto il ricorso all’articolo 127 del cosiddetto codice della
proprietà industriale.
L’attività di lavorazione posta in essere dalle società indagate consisteva nella replicazione di dvd
preregistrati mediante l’utilizzo di una matrice contenente informazioni audio e video.
La matrice, più in particolare, veniva posizionata in una pressa per lo stampaggio ad iniezione,
dal cui funzionamento derivava il mero stampo di
supporti fisici che poi, attraverso un sofisticato processo di metallizzazione ed incollaggio, venivano
trasformati in dvd.
In sostanza, il procedimento consisteva in un’attività di stampaggio di copie del tutto identiche alla
matrice, detta anche master (13).
Il consulente delle difese aveva categoricamente
escluso che tale attività di replicazione di dischi
preregistrati interferisse con il brevetto che tutelava
la tecnologia posta a base del funzionamento dei
dvd.
In altri termini, ciò che il brevetto proteggeva era
il procedimento, con il quale venivano create le
tracce su dischi, del tipo vergini registrabili.
Gli impianti utilizzati dalle tre società, però, non
ricorrevano a questi procedimenti, ma si limitavano
a creare copie da un disco originale, mediante una
semplice attività di stampaggio.
Le società, dunque, ponevano in essere un procedimento che per nulla presupponeva lo sfruttamento della tecnologia descritta nel brevetto rivendicato dalla società titolare.
Non ricorreva, pertanto, potendosi ritenere
esclusa in radice, la contraffazione, che i difensori
della società titolare del brevetto ravvisavano, a
torto, nello sfruttamento non autorizzato dell’idea
tutelata dal titolo brevettuale.
Neppure era ipotizzabile il delitto di cui all’articolo 514 del codice penale, a fronte del numero relativamente cospicuo dei dvd fabbricati dalle tre
imprese finite sotto inchiesta e sequestrati dai finanzieri.
Infatti, l’evento proprio di questo reato, ben difficilmente poteva essere dato dall’esperienza che
caratterizzava il caso in discussione, ove la produzione illegittima di qualche migliaio di supporti ottici tipo dvd non poteva certamente ritenersi una seria causa di nocumento per l’industria
complessivamente considerata del nostro Paese.
A ciò, doveva aggiungersi che il delitto in questione, punendo le «frodi contro le industrie nazionali», poco si conformava alla fattispecie, non essendo italiana la società titolare del brevetto.
L’unica ipotesi delittuosa in astratto configurabile e poi, ritenuta in concreto sussistente dal pubblico ministero e dal Gip, che ha accolto la richiesta
di archiviazione (14), era quella di cui all’articolo
127 del D.L.vo n. 30/2005, con la quale il legislatore ha voluto offrire al soggetto passivo la possibilità di avvalersi dello strumento penale, per reagire a supposte lesioni di interessi patrimoniali di
natura esclusivamente privatistica: dal che deriva,
la perseguibilità a querela di tale particolare fattispecie criminosa, in cui la lesione si sostanzia, si
concretizza, nasce in buona sostanza dal mancato
versamento delle royalties.
Ed in questa vicenda, era palese che vi fosse
stata solo una violazione del diritto di esclusiva
spettante al titolare del brevetto, violazione eliminata con il successivo versamento delle royalties da
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parte delle imprese indagate; il che ha consentito
loro di divenire licenziatarie a tutti gli effetti.
6. – Conclusioni.
Il caso sopra evocato è di sicuro interesse, perché
consente di distinguere e di separare nettamente
l’idea-invenzione (15), che è oggetto del brevetto,
dal supporto ottico che la contiene.
L’idea brevettata, in forza della quale il supporto
ottico viene tracciato, per consentirgli di interagire
con le apparecchiature di registrazione e lettura, non
viene per nulla carpita dal replicatore, limitandosi
quest’ultimo a stampare copie partendo da un supporto originale.
Il procedimento che consente di tracciare il disco
originale, infatti, resta fuori dall’attività del replicatore, al quale certamente sono oscure le particolari
tecniche che provocano la formazione di quelle
tracce.
Perciò, se il replicatore crea autonomamente
quelle tracce, avvalendosi dell’idea-procedimento
brevettata, pone in essere, in quanto non autorizzato, un’illegittima condotta di sfruttamento
dell’idea e certa sarebbe, in questo caso, la violazione del secondo comma dell’articolo 473 del codice penale, che, a parere di chi scrive, tutela non
tanto l’attestato-documento (denominato brevetto),
quanto la creazione intellettuale in sé e per sé considerata che, attraverso il brevetto, trova la sua giusta e legittima protezione da sfruttamenti non consentiti.
In altri termini e per concludere, se ciò che si
compie si sostanzia nella formazione non autorizzata di copie di un disco originale, già tracciato (seguendo un procedimento brevettato) da chi è legittimato a farlo, si ha solamente un abusivo
sfruttamento di un brevetto, punibile ai sensi del
primo comma dell’articolo 127 del codice della proprietà industriale.
Se ciò che si compie invece, si sostanzia nel tracciare un disco, utilizzando abusivamente il medesimo procedimento presidiato dal brevetto, si ha un
illegittimo sfruttamento dell’idea, da intendere
come creazione intellettuale, ed il delitto ipotizzabile è quello, più grave, previsto dal secondo
comma dell’articolo 473 del codice penale.
(1). Chiamato anche codice della proprietà industriale.
(2). Il capo di incolpazione era così strutturato:
«indagati
A del reato di cui all’art. 514 secondo comma c.p., perché, in qualità di amministratore unico della società X
produceva n. 110.450 supporti ottici tipo DVD/R/RW, in
violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, in particolare senza l’autorizzazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo;
B del reato di cui all’art. 514 secondo comma c.p., perché in qualità di amministratore unico della società Y produceva n. 19.437 supporti ottici tipo DVD-R/RW, in violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla tutela
della proprietà industriale, in particolare senza l’autoriz-
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zazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo;
C, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società W e D, in qualità di amministratore delegato della società W, entrambi del reato di cui agli artt.
110, 514 secondo comma c.p. perché, in concorso tra loro,
producevano n. 18.437 supporti ottici tipo DVD-R/RW,
in violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla
tutela della proprietà industriale, in particolare senza l’autorizzazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo».
(3). La migliore dottrina considera l’espressione «segni distintivi» usata dal legislatore pleonastica. Sul manuale di parte speciale a cura di GIOVANNI FIANDACA ed
ENZO MUSCO si può leggere quanto segue:
«Accanto ai marchi, le disposizioni incriminatrici
menzionano, quali possibili oggetti di falsificazione, i
“segni distintivi nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali”. Si tratta di locuzione del significato controverso, nella quale parte della dottrina fa
rientrare tutti i contrassegni dei prodotti industriali, diversi dai marchi (ad es. denominazioni d’origine, nomi commerciali ecc.). Si è tuttavia giustamente obiettato che tali
specie di contrassegni, all’epoca dell’emanazione del codice penale, non godevano ancora neppure di tutela civilistica, sicché l’assumerli ad oggetto di tutela penale darebbe luogo a una sorta di “interpretazione evolutiva in
malam partem”. Senza contare, poi, che molti dei segni
accennati sono del tutto privi di virtù distintive (si pensi
ad es. alla denominazione d’origine, la cui funzione è
quella di confondere sotto il segno della comune origine
geografica, beni provenienti dalle più disparate imprese
produttive). È pertanto preferibile la tesi che ravvisa nella
locuzione “segni distintivi” un puro pleonasmo, dovuto
forse alla preoccupazione legislativa di evitare una interpretazione troppo restrittiva del marchio tutelabile». (Diritto penale. Parte speciale, vol. I, III ed., Zanichelli Ed.,
556-557).
(4). L’articolo 7 del codice della proprietà industriale
fornisce del marchio la seguente definizione:
«Possono costituire oggetto di registrazione come
marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi
i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la
forma del prodotto o della confezione di esso, la combinazione o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di
altre imprese».
(5). Parole tratte dal libro di ASTOLFO DI AMATO intitolato Diritto penale dell’impresa, Giuffrè Editore 2006,
178.
(6). L’ipotesi può concretizzarsi «ad opera di chi intervenga in una fase intermedia del ciclo economico del
prodotto contrassegnato» (ASTOLFO DI AMATO, Op. cit.,
180).
(7). Perché diversamente troverebbe applicazione
l’articolo 474 del codice penale.
(8). Il primo comma dell’articolo 31 del codice della
proprietà industriale recita:
«Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua
parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso
ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi
ed abbiano carattere individuale».
(9). ASTOLFO DI AMATO scrive al riguardo: «Si tratta,
quindi, di stabilire se, in conformità con la lettera della
legge, venga punita sia la contraffazione del brevetto, inteso come documento, sia la contraffazione della creazione intellettuale in sé considerata, ovvero se la norma
vada riferita alla sola falsificazione dell’attestato proveniente dalla pubblica amministrazione...» (v. Op. cit.,
194).
(10). V. Op. cit., 522. Si veda, pure, MARINUCCI secondo il quale «l’incriminazione posta dall’art. 514 sotto
la rubrica “Frodi contro le industrie nazionali” si impernia su un evento materiale di danno, “il nocumento all’industria nazionale”, che è ad un tempo smisurato e nebuloso, a ovvio scapito dell’efficacia pratica e quindi
dell’importanza dell’incriminazione stessa, come è testimoniato dalla sua applicazione giurisprudenziale del tutto nulla» (GIORGIO MARINUCCI, Frode contro le industrie
nazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. XVIII, Giuffrè
Editore 1989, 155). Della stessa opinione era il PEDRAZZI
che, al riguardo, evidenziava come il «gigantismo che informa simili fattispecie, in cui l’evento di danno o di pericolo assume proporzioni smisurate» ne pregiudicava
inevitabilmente la pratica applicazione (C ESARE
PEDRAZZI, Delitti contro la economia pubblica, industria
e commercio, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Giuffrè Editore 1995, 281).
(11). Chiare sono le parole di ASTOLFO DI AMATO:
«Quanto all’oggetto del reato, per un verso l’art. 514, riferendosi sia nel primo e sia nel secondo comma ai soli
prodotti industriali e non già all’opera dell’ingegno, ha
un’area di applicazione più ristretta. Per altro verso,
avendo riguardo il primo comma ai contrassegni non registrati, mentre quelli registrati sono contemplati nel secondo comma, amplia notevolmente il raggio di azione
dell’incriminazione. Anzi, il riferimento, oltre che ai
marchi, anche ai nomi, induca a ritenere che l’incriminazione si riferisca a tutte le indicazioni impiegate per contrassegnare i prodotti industriali» (v. Op. cit., 185-186).
Si veda, però, la nota precedente, ove si evidenzia di questo articolo la mancanza di precedenti giurisprudenziali.
(12). Secondo A STOLFO D I A MATO il reato di cui
all’articolo 127 del D.L.vo 10 febbraio 2005, n. 30 è «di-
retto ad impedire che, anche di fatto, sia violato il diritto
di esclusiva spettante al titolare del brevetto. In definitiva, pertanto, è l’interesse di quest’ultimo ad essere oggetto di tutela, come è del resto confermato dalla circolazione che il reato è perseguibile a querela di parte» (v.
Op. cit., 197).
(13). Così scriveva il consulente di parte nel suo parere tecnico:
«L’impianto utilizzato... è deputato alla produzione di
DVD a singolo o a doppio strato registrati e non più modificabili, del tipo 5 e 9, mediante creazione di repliche
di un DVD registrato master fornito... da soggetti terzi.
Riassumo qui di seguito le fasi salienti dell’inerente
lavorazione...:
a) preparazione dei materiali per la produzione dei
DVD;
b) stampaggio per iniezione plastica tramite pressa,
con creazione di repliche dei DVD master;
c) metallizzazione ed incollaggio;
d) stampa delle etichette...».
(14). Nella sua richiesta di archiviazione il pubblico
ministero ha scritto che dovevano «condividersi le tesi difensive che ravvisano nel fatto in esame non il reato di cui
all’art. 473 c.p. (mancando l’elemento materiale della
contraffazione e/o falsificazione del brevetto), né quello
di cui all’art. 514 c.p. (mancando il nocumento all’industria nazionale), ma solo il reato di cui all’art. 127 D.L.vo
n. 30/2005 (per avere fabbricato oggetti in violazione di
un titolo di proprietà industriale valido)». Il giudice per
le indagini preliminari ha condiviso le argomentazioni
della pubblica accusa e ha archiviato, dopo aver preso
atto che la querela sporta per il delitto previsto dall’articolo 127 contro una delle tre società era stata rimessa, a
seguito del versamento delle royalties, mentre nei riguardi delle restanti due imprese non era presentata alcuna
querela.
(15). Secondo il primo comma dell’articolo 45 del codice della proprietà industriale «possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere
un’applicazione industriale».
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