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❫ DOTTRINA BREVETTI VIOLATI: QUALI NORME PENALI APPLICARE? di Federico Piccichè SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Il delitto di cui all’articolo 473 del codice penale. – 3. Il delitto di cui all’articolo 514 del codice penale. – 4. Il delitto di cui all’articolo 127 del D.L.vo n. 30/2005 – 5. Ancora sul caso: approfondimenti. – 6. Conclusioni. 1. – Il caso. Questo scritto trae origine da un caso giudiziario particolarmente interessante nel quale tre fattispecie di reato si contendevano il campo e, cioè: i delitti previsti e puniti dagli articoli 473 e 514 c.p. e quello di cui all’art. 127 del D.L.vo n. 30/2005 (1). La vicenda si può brevemente riassumere in questo modo. Nel mese di gennaio del 2006 la guardia di finanza effettuava delle perquisizioni presso gli uffici di tre società della provincia di Milano, accertando la presenza di alcune linee di produzione per dvdrom e di svariati supporti ottici tipo dvd preregistrati, elementi che costituivano il segno di una produzione in corso che però, non risultava essere stata autorizzata dalla società titolare del relativo brevetto, non essendo state preliminarmente versate le royalties. La guardia di finanza, di conseguenza, procedeva al sequestro degl impianti e del dvd, ravvisando la flagranza del reato di cui all’articolo 473, comma 2, c.p. All’esito delle indagini, il pubblico ministero notificava ai responsabili delle società l’avviso di chiusura di cui all’articolo 415 bis del codice di rito, ipotizzando la violazione dell’articolo 514, secondo comma, c.p. (2). All’avviso, il pubblico ministero faceva seguire una richiesta di archiviazione, che veniva poi accolta dal giudice per le indagini preliminari. Determinanti erano state le argomentazioni svolte dalle difese e dal consulente di un prestigioso studio, esperto in materia di brevetti, che occorrerà ripercorrere, perché consentono di ben comprendere quale sia il discrimine fra le tre fattispecie di reato alle quali si è accennato in apertura. Essenziale è però, in primis, spendere qualche parola sulla struttura di questi tre illeciti. 2. – Il delitto di cui all’articolo 473 del codice penale. La norma si compone di tre commi. Con il primo comma il legislatore punisce «chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati». In tal modo il legislatore ha inteso tutelare la fede pubblica e cioè: l’interesse della generalità dei consociati a poter fare affidamento sulla genuinità dei segni che contraddistinguono le opere dell’ingegno o i prodotti industriali. Tutelato è anche l’interesse del legittimo titolare del segno al suo esclusivo utilizzo. Il delitto fa parte della grande categoria dei reati comuni, nel senso che può essere commesso da chiunque e ha, come oggetto, il marchio o i segni distintivi (3). Il marchio può essere considerato il segno distintivo per antonomasia (4). Esso tecnicamente costituisce un indicatore di provenienza, in quanto ha la funzione di collegare la res, sulla quale è apposto, al soggetto che l’ha creata. Il marchio garantisce l’acquirente che ciò che sta comprando proviene da un determinato soggetto e da nessun altro. Il marchio, oltre ad essere un indicatore di provenienza, costituisce anche un collettore di valori, posto che è capace di imprimere il prodotto, sul quale viene impresso, di maggiori informazioni e qualità, che lo rendono unico e differente dagli altri prodotti. L’elemento oggettivo del reato è dato dalla contraffazione o alterazione del marchio e/o segno distintivo, oppure, dall’uso che si fa del segno falsificato. La contraffazione consiste nella creazione non autorizzata di una o più copie del segno originale ed essa ha la capacità di ingannare il compratore, che di fronte al segno, è assistito dalla convinzione che ciò che sta acquistando provenga da un determinato soggetto (magari noto sul mercato perché i suoi prodotti sono i migliori qualitativamente e il frutto delle più sofisticate tecniche di lavorazione) oppure da una regione geografica ben precisa (ad es. le denominazioni di origine). ASTOLFO DI AMATO, con specifico riferimento al marchio, scrive: «La contraffazione si realizza ... quando il marchio genuino sia riprodotto più o RIVISTA PENALE 10/2008 977 meno pedissequamente ed anche solo parzialmente..., in modo da recare confusione in ordine alla provenienza dei prodotti» (5). L’alterazione, invece, consiste nella modifica materiale del segno originale. In questo contesto si agisce direttamente e concretamente sul segno genuino. L’ipotesi ha una scarsa rilevanza applicativa (6). L’uso, da ultimo, consiste in un’attività di impiego, per scopi non meramente commerciali (7), del segno falsificato da parte di chi non è concorso nella falsificazione. Per l’integrazione dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico e cioè, la coscienza e volontà di falsificare il segno o, in alternativa, di fare uso del segno essendo consapevoli della sua falsificazione. Il secondo comma dell’articolo 473 punisce, invece, «chi contraffà o altera bevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati». Anche in questo caso l’interesse protetto è quello della pubblica fede, consistente nella fiducia che la collettività ripone nei brevetti, disegni o modelli industriali. Il delitto è un reato comune e l’azione delittuosa ha come oggetto il brevetto, il disegno o il modello industriale. Il brevetto è tecnicamente un attestato in base al quale una data invenzione viene riferita ad un determinato soggetto, cui lo Stato concede il diritto all’esclusivo sfruttamento. L’attestato è dunque un documento che consacra ufficialmente il riconoscimento del diritto dell’inventore all’esclusivo sfruttamento della sua invenzione. Con le espressioni «disegno» e «modello industriale» il legislatore ha inteso riferirsi al brevetto per disegno e modello industriale, nel senso che, costituendo il disegno e il modello industriale delle creazioni intellettuali (8), essi potranno trovare protezione solo dopo essere stati brevettati. Protetto sarà, pertanto, il relativo brevetto, che attesterà l’esclusività del disegno o del modello in capo al suo creatore. L’elemento oggettivo consiste nel contraffare o alterare il brevetto, il disegno o il modello industriale oppure nel fare uso dei medesimi falsificati. L’elemento oggettivo ha dato grossi problemi ai fini di un suo corretto inquadramento dogmatico. A fronte di alcuni, i quali sostengono che la norma punirebbe le «falsità materiali» dell’attestato, in cui consiste propriamente il brevetto sotto il profilo documentale, altri invece pensano, che la norma punirebbe la contraffazione della creazione intellettuale in sé e per sé considerata (9). 978 RIVISTA PENALE 10/2008 L’elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza di falsare il vero o di fare uso di prodotti falsificati. Il terzo ed ultimo comma dell’articolo in esame statuisce, infine, che i due commi sopra analizzati trovano applicazione «sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale». Ciò porta a pensare che la tutela penale non potrà essere riconosciuta a favore di marchi e/o brevetti non registrati o illegittimamente registrati. 3. – Il delitto di cui all’articolo 514 del codice penale. La norma punisce «chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale». L’articolo vuole contrastare la circolazione di prodotti industriali con segni contraffatti, sui mercati interni o esteri, che sia in grado di pregiudicare l’economia nazionale. L’obiettivo è quello di tenere indenne l’ordine economico interno da un evento di considerevole portata, in quanto capace di arrecare un nocumento all’industria italiana considerata nel suo complesso. Al riguardo, continuano ad essere davvero significative le parole tratte dal prezioso Manuale di diritto penale di G IOVANNI F IANDACA ed E NZO MUSCO, che testualmente si riportano: «Questa fattispecie, mai applicata, è intesa a tutelare l’ordine economico ed è imperniata su di un evento: il «nocumento all’industria nazionale» di proporzioni smisurate, difficilmente verificabile e accertabile» (10). Non risultando questa fattispecie essere stata mai applicata, si potrebbe aggiungere che l’evento, in questo reato, è destinato a restare una sorta di idea vuota. Difficilmente esso, anche se perfettamente e ineccepibilmente pensabile, potrà essere dato dall’esperienza. Anche questo delitto, rientra nella grande famiglia dei reati comuni, potendo essere commesso da chiunque. L’azione delittuosa può ricadere solo sui prodotti industriali e non anche sulle opere dell’ingegno (11). L’elemento oggettivo è integrato dalla messa in vendita o in circolazione di prodotti industriali falsi ed è, pertanto, caratterizzato da qualsiasi comportamento che sia capace di immetterli in concreto nel mercato. Per l’integrazione dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico e cioè, la coscienza e volontà della immissione dei falsi prodotti industriali nel mercato, accompagnate dalla consapevolezza che da ciò, potrebbe derivare un grave danno all’economia del Paese. L’evento di danno, come si può notare, deve riferirsi all’economia dello Stato italiano. Non entrerà, pertanto, nel fuoco di tiro dell’articolo una condotta che abbia provocato danni al sistema economico di uno Stato estero. Il capoverso dell’articolo individua una circostanza aggravante qualora per i marchi e/o i segni distintivi siano state osservate le norme interne o internazionali sulla tutela della proprietà industriale. 4. – Il delitto di cui all’articolo 127 del D.L.vo n. 30/2005. Tale articolo, al primo comma, sancisce testualmente: «Salva l’applicazione degli articoli 473, 474 e 517 del codice penale, chiunque fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente, introduce nello Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido ai sensi delle norme del presente codice, è punito, a querela di parte, con la multa fino a 1.032,91 euro». La norma è posta a presidio dei diritti di proprietà industriale (12). L’interesse protetto è il diritto del titolare del brevetto a sfruttare in via esclusiva l’idea brevettata. Chiunque potrà assumere la veste di soggetto attivo del delitto, trovandoci di fronte ancora una volta ad un reato comune. Oggetto del reato sono i brevetti per invenzione industriale, per modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali. L’elemento oggettivo si sostanzia di una pluralità di condotte, tutte capaci di intaccare il diritto di esclusiva facente capo al titolare del brevetto. In particolare, la norma punisce chi fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente o introduce nello Stato oggetti, frodando un titolo di proprietà industriale. L’elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza dell’esistenza di un valido brevetto, in frode al quale si agisce. 5. – Ancora sul caso: approfondimenti. Ciò premesso, vediamo ora di ritornare al caso da cui ho preso le mosse e di gettare uno sguardo sui processi industriali che caratterizzavano l’attività delle tre società e sulle qualità intrinseche dei loro prodotti, posto che, in questo modo, sarà possibile comprendere perché, fra le tre norme sopra commentate, si è ritenuto e si ritiene più corretto il ricorso all’articolo 127 del cosiddetto codice della proprietà industriale. L’attività di lavorazione posta in essere dalle società indagate consisteva nella replicazione di dvd preregistrati mediante l’utilizzo di una matrice contenente informazioni audio e video. La matrice, più in particolare, veniva posizionata in una pressa per lo stampaggio ad iniezione, dal cui funzionamento derivava il mero stampo di supporti fisici che poi, attraverso un sofisticato processo di metallizzazione ed incollaggio, venivano trasformati in dvd. In sostanza, il procedimento consisteva in un’attività di stampaggio di copie del tutto identiche alla matrice, detta anche master (13). Il consulente delle difese aveva categoricamente escluso che tale attività di replicazione di dischi preregistrati interferisse con il brevetto che tutelava la tecnologia posta a base del funzionamento dei dvd. In altri termini, ciò che il brevetto proteggeva era il procedimento, con il quale venivano create le tracce su dischi, del tipo vergini registrabili. Gli impianti utilizzati dalle tre società, però, non ricorrevano a questi procedimenti, ma si limitavano a creare copie da un disco originale, mediante una semplice attività di stampaggio. Le società, dunque, ponevano in essere un procedimento che per nulla presupponeva lo sfruttamento della tecnologia descritta nel brevetto rivendicato dalla società titolare. Non ricorreva, pertanto, potendosi ritenere esclusa in radice, la contraffazione, che i difensori della società titolare del brevetto ravvisavano, a torto, nello sfruttamento non autorizzato dell’idea tutelata dal titolo brevettuale. Neppure era ipotizzabile il delitto di cui all’articolo 514 del codice penale, a fronte del numero relativamente cospicuo dei dvd fabbricati dalle tre imprese finite sotto inchiesta e sequestrati dai finanzieri. Infatti, l’evento proprio di questo reato, ben difficilmente poteva essere dato dall’esperienza che caratterizzava il caso in discussione, ove la produzione illegittima di qualche migliaio di supporti ottici tipo dvd non poteva certamente ritenersi una seria causa di nocumento per l’industria complessivamente considerata del nostro Paese. A ciò, doveva aggiungersi che il delitto in questione, punendo le «frodi contro le industrie nazionali», poco si conformava alla fattispecie, non essendo italiana la società titolare del brevetto. L’unica ipotesi delittuosa in astratto configurabile e poi, ritenuta in concreto sussistente dal pubblico ministero e dal Gip, che ha accolto la richiesta di archiviazione (14), era quella di cui all’articolo 127 del D.L.vo n. 30/2005, con la quale il legislatore ha voluto offrire al soggetto passivo la possibilità di avvalersi dello strumento penale, per reagire a supposte lesioni di interessi patrimoniali di natura esclusivamente privatistica: dal che deriva, la perseguibilità a querela di tale particolare fattispecie criminosa, in cui la lesione si sostanzia, si concretizza, nasce in buona sostanza dal mancato versamento delle royalties. Ed in questa vicenda, era palese che vi fosse stata solo una violazione del diritto di esclusiva spettante al titolare del brevetto, violazione eliminata con il successivo versamento delle royalties da RIVISTA PENALE 10/2008 979 parte delle imprese indagate; il che ha consentito loro di divenire licenziatarie a tutti gli effetti. 6. – Conclusioni. Il caso sopra evocato è di sicuro interesse, perché consente di distinguere e di separare nettamente l’idea-invenzione (15), che è oggetto del brevetto, dal supporto ottico che la contiene. L’idea brevettata, in forza della quale il supporto ottico viene tracciato, per consentirgli di interagire con le apparecchiature di registrazione e lettura, non viene per nulla carpita dal replicatore, limitandosi quest’ultimo a stampare copie partendo da un supporto originale. Il procedimento che consente di tracciare il disco originale, infatti, resta fuori dall’attività del replicatore, al quale certamente sono oscure le particolari tecniche che provocano la formazione di quelle tracce. Perciò, se il replicatore crea autonomamente quelle tracce, avvalendosi dell’idea-procedimento brevettata, pone in essere, in quanto non autorizzato, un’illegittima condotta di sfruttamento dell’idea e certa sarebbe, in questo caso, la violazione del secondo comma dell’articolo 473 del codice penale, che, a parere di chi scrive, tutela non tanto l’attestato-documento (denominato brevetto), quanto la creazione intellettuale in sé e per sé considerata che, attraverso il brevetto, trova la sua giusta e legittima protezione da sfruttamenti non consentiti. In altri termini e per concludere, se ciò che si compie si sostanzia nella formazione non autorizzata di copie di un disco originale, già tracciato (seguendo un procedimento brevettato) da chi è legittimato a farlo, si ha solamente un abusivo sfruttamento di un brevetto, punibile ai sensi del primo comma dell’articolo 127 del codice della proprietà industriale. Se ciò che si compie invece, si sostanzia nel tracciare un disco, utilizzando abusivamente il medesimo procedimento presidiato dal brevetto, si ha un illegittimo sfruttamento dell’idea, da intendere come creazione intellettuale, ed il delitto ipotizzabile è quello, più grave, previsto dal secondo comma dell’articolo 473 del codice penale. (1). Chiamato anche codice della proprietà industriale. (2). Il capo di incolpazione era così strutturato: «indagati A del reato di cui all’art. 514 secondo comma c.p., perché, in qualità di amministratore unico della società X produceva n. 110.450 supporti ottici tipo DVD/R/RW, in violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, in particolare senza l’autorizzazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo; B del reato di cui all’art. 514 secondo comma c.p., perché in qualità di amministratore unico della società Y produceva n. 19.437 supporti ottici tipo DVD-R/RW, in violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, in particolare senza l’autoriz- 980 RIVISTA PENALE 10/2008 zazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo; C, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società W e D, in qualità di amministratore delegato della società W, entrambi del reato di cui agli artt. 110, 514 secondo comma c.p. perché, in concorso tra loro, producevano n. 18.437 supporti ottici tipo DVD-R/RW, in violazione alle leggi e convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, in particolare senza l’autorizzazione della società Z, titolare del brevetto industriale relativo». (3). La migliore dottrina considera l’espressione «segni distintivi» usata dal legislatore pleonastica. Sul manuale di parte speciale a cura di GIOVANNI FIANDACA ed ENZO MUSCO si può leggere quanto segue: «Accanto ai marchi, le disposizioni incriminatrici menzionano, quali possibili oggetti di falsificazione, i “segni distintivi nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali”. Si tratta di locuzione del significato controverso, nella quale parte della dottrina fa rientrare tutti i contrassegni dei prodotti industriali, diversi dai marchi (ad es. denominazioni d’origine, nomi commerciali ecc.). Si è tuttavia giustamente obiettato che tali specie di contrassegni, all’epoca dell’emanazione del codice penale, non godevano ancora neppure di tutela civilistica, sicché l’assumerli ad oggetto di tutela penale darebbe luogo a una sorta di “interpretazione evolutiva in malam partem”. Senza contare, poi, che molti dei segni accennati sono del tutto privi di virtù distintive (si pensi ad es. alla denominazione d’origine, la cui funzione è quella di confondere sotto il segno della comune origine geografica, beni provenienti dalle più disparate imprese produttive). È pertanto preferibile la tesi che ravvisa nella locuzione “segni distintivi” un puro pleonasmo, dovuto forse alla preoccupazione legislativa di evitare una interpretazione troppo restrittiva del marchio tutelabile». (Diritto penale. Parte speciale, vol. I, III ed., Zanichelli Ed., 556-557). (4). L’articolo 7 del codice della proprietà industriale fornisce del marchio la seguente definizione: «Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, la combinazione o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese». (5). Parole tratte dal libro di ASTOLFO DI AMATO intitolato Diritto penale dell’impresa, Giuffrè Editore 2006, 178. (6). L’ipotesi può concretizzarsi «ad opera di chi intervenga in una fase intermedia del ciclo economico del prodotto contrassegnato» (ASTOLFO DI AMATO, Op. cit., 180). (7). Perché diversamente troverebbe applicazione l’articolo 474 del codice penale. (8). Il primo comma dell’articolo 31 del codice della proprietà industriale recita: «Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale». (9). ASTOLFO DI AMATO scrive al riguardo: «Si tratta, quindi, di stabilire se, in conformità con la lettera della legge, venga punita sia la contraffazione del brevetto, inteso come documento, sia la contraffazione della creazione intellettuale in sé considerata, ovvero se la norma vada riferita alla sola falsificazione dell’attestato proveniente dalla pubblica amministrazione...» (v. Op. cit., 194). (10). V. Op. cit., 522. Si veda, pure, MARINUCCI secondo il quale «l’incriminazione posta dall’art. 514 sotto la rubrica “Frodi contro le industrie nazionali” si impernia su un evento materiale di danno, “il nocumento all’industria nazionale”, che è ad un tempo smisurato e nebuloso, a ovvio scapito dell’efficacia pratica e quindi dell’importanza dell’incriminazione stessa, come è testimoniato dalla sua applicazione giurisprudenziale del tutto nulla» (GIORGIO MARINUCCI, Frode contro le industrie nazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. XVIII, Giuffrè Editore 1989, 155). Della stessa opinione era il PEDRAZZI che, al riguardo, evidenziava come il «gigantismo che informa simili fattispecie, in cui l’evento di danno o di pericolo assume proporzioni smisurate» ne pregiudicava inevitabilmente la pratica applicazione (C ESARE PEDRAZZI, Delitti contro la economia pubblica, industria e commercio, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Giuffrè Editore 1995, 281). (11). Chiare sono le parole di ASTOLFO DI AMATO: «Quanto all’oggetto del reato, per un verso l’art. 514, riferendosi sia nel primo e sia nel secondo comma ai soli prodotti industriali e non già all’opera dell’ingegno, ha un’area di applicazione più ristretta. Per altro verso, avendo riguardo il primo comma ai contrassegni non registrati, mentre quelli registrati sono contemplati nel secondo comma, amplia notevolmente il raggio di azione dell’incriminazione. Anzi, il riferimento, oltre che ai marchi, anche ai nomi, induca a ritenere che l’incriminazione si riferisca a tutte le indicazioni impiegate per contrassegnare i prodotti industriali» (v. Op. cit., 185-186). Si veda, però, la nota precedente, ove si evidenzia di questo articolo la mancanza di precedenti giurisprudenziali. (12). Secondo A STOLFO D I A MATO il reato di cui all’articolo 127 del D.L.vo 10 febbraio 2005, n. 30 è «di- retto ad impedire che, anche di fatto, sia violato il diritto di esclusiva spettante al titolare del brevetto. In definitiva, pertanto, è l’interesse di quest’ultimo ad essere oggetto di tutela, come è del resto confermato dalla circolazione che il reato è perseguibile a querela di parte» (v. Op. cit., 197). (13). Così scriveva il consulente di parte nel suo parere tecnico: «L’impianto utilizzato... è deputato alla produzione di DVD a singolo o a doppio strato registrati e non più modificabili, del tipo 5 e 9, mediante creazione di repliche di un DVD registrato master fornito... da soggetti terzi. Riassumo qui di seguito le fasi salienti dell’inerente lavorazione...: a) preparazione dei materiali per la produzione dei DVD; b) stampaggio per iniezione plastica tramite pressa, con creazione di repliche dei DVD master; c) metallizzazione ed incollaggio; d) stampa delle etichette...». (14). Nella sua richiesta di archiviazione il pubblico ministero ha scritto che dovevano «condividersi le tesi difensive che ravvisano nel fatto in esame non il reato di cui all’art. 473 c.p. (mancando l’elemento materiale della contraffazione e/o falsificazione del brevetto), né quello di cui all’art. 514 c.p. (mancando il nocumento all’industria nazionale), ma solo il reato di cui all’art. 127 D.L.vo n. 30/2005 (per avere fabbricato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido)». Il giudice per le indagini preliminari ha condiviso le argomentazioni della pubblica accusa e ha archiviato, dopo aver preso atto che la querela sporta per il delitto previsto dall’articolo 127 contro una delle tre società era stata rimessa, a seguito del versamento delle royalties, mentre nei riguardi delle restanti due imprese non era presentata alcuna querela. (15). Secondo il primo comma dell’articolo 45 del codice della proprietà industriale «possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale». RIVISTA PENALE 10/2008 981